sommario (16_1) - Sale della Comunità
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SOMMARIO ITINERARI MEDIALI ANNO II GENNAIO/FEBBRAIO 2001 N.1 SAGGI 5 Spedizione in abb. postale 45% Art. 2 comma 20/b Legge 662/96 Filiale di Torino Registrazione Tribunale di Roma n. 567/99 del 1-12-1999 di Mariagrazia Fanchi 13 Editore: Effatà Editrice 21 RUBRICHE 33 FILM ANALISI Grazie per la cioccolata di Matteo Columbo Strada Saretto 9/1 10060 Cantalupa (To) Tel. 0121 353452 Fax 0121 353839 [email protected] www.effata.it In the Mood for Love di Raffaella Giancristofaro Wonders Boys di Giovanni Robertini Fratello dove sei? di Isabella Dothel Billy Elliot di Enrico Danesi 53 HOME VIDEO Il gladiatore Kirikù e la strega Karabà Grafica: Guido Pegone Man on the moon Stampa: Tipografia Stargrafica Grugliasco (To) Canone di abbonamento: Una copia: L. 12.000 Annuo (6 numeri): L. 50.000 Versamento su c/c postale n.33955105 intestato a: Effatà Editrice Str. Saretto 9/1 10060 Cantalupa (To) L’immagine documentaria tra storia e memoria di Alberto Bourlot di Gabriella Segarelli Hanno collaborato: Ezio Alberione, Maria Luisa Bionda, Alberto Bourlot, Cristina Cano, Matteo Columbo, Enrico Danesi, Livio De Marie, Isabella Dothel, Luigi Filippi, Mariagrazia Fanchi, Roberto Fiori, Alessandro Franzini, Raffaella Giancristofaro, Stefano Gorla, Enrica Mancini, Leonardo Mello, Guido Michelone, Andrea Negrini, Daniela Perazzo, Giovanni Robertini, Giorgio Simonelli, Aldo Maria Valli La scatola dei ricordi Appunti sulla memoria della tv di Maria Luisa Bionda Direttore responsabile: Dario Edoardo Viganò Direzione e redazione: ACEC Via Nomentana, 251 00161 Roma Tel. 06 4402273 Fax 06 4402280 [email protected] www.acec.it Le memorie di consumo Nuove consapevolezze e nuovi approcci allo studio dei media Rosetta di Alessandro Franzini 57 FUMETTO Ridere con chi sta nei cieli Dio e i suoi amici nei fumetti di Stefano Gorla 61 TEATRO Un anno di scene giubilari di Leonardo Mello Tadeusz Kantor «Ottengo la grandezza con la realtà del rango più basso» di Daniela Perazzo 69 MUSICA Il mito di Orfeo e la funzione regolatrice di stati interiori di Cristina Cano La grande storia del jazz; Bellafronte, Etnokult, Mondo, Racconti mediterranei di Guido Michelone 74 TELEVISIONE Religione in tv di Aldo Maria Valli Telegiornali italiani: Studio aperto di Giorgio Simonelli 85 NEW MEDIA Grande Fratello di Ruggero Eugeni Giochi in cd-rom e violenza di Enrica Mancini 92 LIBRI I Simpson Una famiglia dalla A alla Z di Andrea Negrini Bad Boys Dizionario critico del cinema della ribellione giovanile di Luigi Filippi 94 AVVENIMENTI 18mo Torino Film Festival di Roberto Fiori E d itor iale Tra memoria e oblio «Itinerari Mediali» dedica l’inizio del suo percorso nel nuovo millennio al tema della memoria. Ma cosa intendiamo quando parliamo di memoria? Come funziona? E poi, parliamo di memoria personale, sociale, memoria di consumo...? La riflessione affonda la propria analisi a partire da Le memorie di consumo. In questo saggio Mariagrazia Fanchi afferma: «La capacità degli apparati di comunicazione di massa nel loro complesso di fornire risorse utili alla realizzazione dei progetti biografici tende a contrarsi nel tempo. Mettendo a confronto le storie di vita e di consumo di soggetti nati alla fine degli anni quaranta con le storie di vita e di consumo di ragazzi nati fra il 1975 e il 1980 emerge con chiarezza un netto impoverimento delle potenzialità dei media». Nel saggio La scatola dei ricordi, Maria Luisa Bionda mette in luce come «la tv mette in salvo il proprio patrimonio storico e culturale celebrando se stessa e offrendoci sempre più spesso modelli e scenari di natura autoriflessiva». Maria Luisa Bionda prende in esame alcuni concreti esempi di programmi televisivi che si basano appunto sulla rielaborazione del passato: Blob «primo e più semplice esempio di una tv che elabora la propria storia», Matricole e Meteore «metaforicamente correlabili a quei frammenti sparsi di vita in cui rispolveriamo le vecchie fotografie del passato e rimaniamo a contemplare con stupore come siamo cambiati», Machemù, Anima mia... Un panorama interessante di come la tv si relazioni alla memoria, personale e collettiva, del consumo. Nel saggio L’immagine documentaria tra storia e memoria Bourlot indaga «da una parte l’immagine come potenzialmente documentaria e quindi, letteralmente, come capace di provare qualcosa, ma anche, d’altra parte, l’immagine come documento del desiderio, che serve a dimostrare (innanzitutto a noi stessi) la coerenza e l’ineluttabilità di ciò che non è stato come ci sarebbe piaciuto». Memoria, setaccio tra ciò che è rilevante e ciò che è passato nell’oblio: un curioso punto di vista per ricostruire e comprendere la storia degli incontri tra i processi comunicativi, le storie personali e il contesto culturale. Dario E. Viganò Saggi S ag g i Le memorie di consumo Nuove consapevolezze e nuovi approcci allo studio dei media L’ elemento che più d’ogni altro caratterizza gli studi sul consumo dei media è la loro impostazione essenzialmente sincronica. A vincolare al presente le ricerche sui processi di comunicazione di massa è, da un lato, la stretta relazione con il sistema produttivo e quindi l’impostazione operativa (o «amministrativa») di larga parte della ricerca. In seconda battuta e, comunque, come conseguenza della sua primigenia vocazione amministrativa, è poi la mancanza di strumenti ad impedire uno sguardo retrospettivo più ampio. Se le analisi sul consumo e, in special modo, quelle sul consumo televisivo, possono vantare un parco strumenti estremamente ampio e variegato e un sistema di metodiche dei più raffinati, esse restano comunque prive di sostegno quando Itinerari Mediali Gennaio-Febbraio 2001 5 si tratta di staccarsi dalle evidenze presenti e di analizzare il passato. Anche le ricerche che hanno tentato un approccio diacronico ai fenomeni di consumo, come gli studi sugli effetti sociali dei media svolti negli anni ’80, si sono quasi sempre limitate ad un’analisi sul breve periodo o al più alla rilettura di dati di consumo rilevati negli anni precedenti. Questo tipo di opzione, che per molto tempo non ha posto alcun problema, comincia ora a mostrare i suoi limiti. Da un lato, la domanda sulla possibilità e sull’opportunità di estendere le analisi del consumo sul lungo periodo proviene dai segmenti più accademici della ricerca. Da quando, in modo massiccio a partire dagli anni ’80, lo studio del consumo ha cominciato ad assumere una valenza più teorica svincolandosi dall’area amministrativa (e dalla necessità di fornire risposte immediate a problemi immediati) le domande sugli approcci e sui metodi si sono fatte più insistenti. Le cosiddette teorie della ricezione, che nascono appunto dall’innesto delle ricerche empiriche sul consumo su un sostrato teorico articolato e complesso (che incrocia istanze sociologiche, culturologiche e di studio dei testi), mettono sul tappeto una serie di questioni fra cui anche la povertà di un approccio schiacciato sul presente. La riflessione su che cosa significa «consumo», su quali elementi entrano in gioco nel processo di ricezione dei testi e quindi su quali fattori occorra centrare l’attenzione per poter descrivere (e pronosticare) i processi di consumo porta in primo piano la questione del tempo. Si tratta, da un lato, di avere presente, oltre alla disposizione del momento, anche le esperienze di consumo pregresse di chi fruisce e da cui dipendono la competenza e le attese verso i media e i loro prodotti; dall’altro di verificare quale funzione, quale posizione e ruolo assume il consumo nella vita dei soggetti, come si intreccia con la loro storia personale, come e quanto viene implicato nella realizzazione dei loro percorsi di vita. In questo quadro il tema della memoria diviene centrale. Ricostruire le storie di consumo, i ricordi degli eventi, ripercorrere l’evoluzione del rapporto con un mezzo o con una tipologia di prodotti significa avere a disposizione uno strumento cognitivo straordinario sia per inquadrare il presente, sia e soprattutto per immaginare il futuro. Al problema della memoria approda però anche la ricerca amministrativa, seguendo un suo percorso che la porta ad accostare il tema come possibile oggetto di consumo. Per limitarsi al caso della televisione, le ultime stagioni sono state all’insegna del revival, sia autoreferenziale (le molte trasmissioni sulla storia della televisione e dei suoi protagonisti più o meno effimeri), sia sociale (il mas- 6 Itinerari Mediali Gennaio-Febbraio 2001 RICORDA! Saggi siccio lavoro di recupero della storia e delle tradizioni del paese). L’intuizione che sta alla base di questa operazione non è molto diversa da quella più formalizzata delle teorie della ricezione: anche in questo caso è la scoperta della centralità della memoria nella costruzione dell’esperienza sociale e mediale a motivare il recupero del tema e il suo sistematico sfruttamento. Sotto la spinta di ragioni diverse, il binomio memoria e consumo quindi si ricompone, aprendo un fronte di ricerca assolutamente nuovo e di fronte al quale ci si sente sprovvisti non solo di strumenti empirici, ma anche teorici. Che cos’è la memoria? Come funziona? Esiste una sola memoria o più memorie? C’è sicuramente una memoria personale (la «mia memoria», il mio sistema di ricordi), ma esiste anche una memoria condivisa, collettiva (la memoria della mia famiglia, la memoria del mio gruppo di amici) e una memoria ancora più estesa, più ampia, trasversale (la memoria sociale di un gruppo, la memoria di una nazione o di un’etnia). E in tutto questo la memoria degli eventi mediali, la memoria di consumo, che ruolo può avere? Entra in tangenza con queste altre tipologie di memoria e se sì secondo quali modalità e generando quali sinergie o interferenze? «Ricordati!». Sia a livello micro, delle relazioni quotidiane, sia a livello macro, del funzionamento e della persistenza dei sistemi sociali, il ricordo è una condizione di base. Non esiste società, non esiste gruppo, né possibilità di relazione, persino non esiste individuo al di fuori della memoria. La memoria è una dimensione essenziale dell’esistenza. Un soggetto costruisce la propria identità nella misura in cui ha memoria del suo passato ed è in grado di leggerlo in continuità con il presente e in funzione dei suoi obiettivi per il futuro1. Un gruppo Itinerari Mediali Gennaio-Febbraio 2001 7 esiste nella misura in cui i suoi componenti partecipano di una memoria collettiva, di un deposito simbolico in cui sono conservati (e legittimati) i saperi importanti per la comunità, le regole, i valori, i punti di vista sulla realtà2. Un paese, una nazione nel senso più pieno del termine, si dà a condizione di avere un «capitale culturale» alle spalle, una memoria sociale, «un insieme di conoscenze, di stili, di caratteristiche, disposizioni pratiche e comportamentali»3, che agiscono da fattori stabilizzanti e che insieme sono il principale apporto energetico alla vita sociale. Sapere come nasce e da dove scaturisce la memoria è dunque ben più di una questione teorica: è una domanda fondamentale su se stessi e sull’ambiente sociale e relazionale in cui si è inseriti. La memoria è anzitutto il portato di un lavoro di ricostruzione del passato, un processo di «auto-riflessione» consapevole in cui i materiali mnestici, cioè i ricordi, vengono organizzati in una sequenza di eventi ed entrano a far parte di una storia. Frammenti di vissuto, sensazioni, odori, immagini sono ricomposti dalla memoria in un quadro unitario, sono stretti nelle maglie di un racconto, da cui traggono senso e valore. La memoria ha una struttura essenzialmente narrativa: c’è una trama, un’idea di fondo e ci sono una serie di contenuti, di eventi scelti in modo da dare consistenza e, insieme, da rendere coinvolgente la storia. Nella costruzione della memoria non agisce quindi essenzialmente un principio mimetico, quanto piuttosto un sistema di regole di verosimiglianza (le stesse del racconto) e un sistema di valori etici e estetici. La memoria dà continuità alla storia di vita del soggetto, conferisce alla sequenza spesso casuale degli eventi la parvenza di un rassicurante finalismo, e fissa l’oggetto di valore verso cui tende il percorso di vita dell’individuo e l’orizzonte morale all’interno del quale si snoda. La memoria quindi non è una ricostruzione oggettiva di quanto accaduto: la memoria bluffa, ritocca, rimuove, abbellisce; per quanto artefatte (e anzi, si potrebbe dire quanto più artefatte) le sue rappresentazioni sono comunque la base di partenza dell’agire nel presente e il sistema di riferimento sul quale si progetta il futuro. È dunque chiaro che se si vuole usare la memoria come fonte di dati, se la si vuole interrogare, bisogna anzitutto fare le domande giuste: non le si deve chiedere una ricostruzione fedele del passato, un resoconto oggettivo di quello che è stato, ma il valore, il significato che gli eventi, certi eventi, hanno nel tempo acquistato per la vita del soggetto e della comunità. La memoria è prima di tutto la fonte a cui ricorrere per valutare il portato, misurare l’impatto sociale degli eventi: la memoria è il setaccio che separa ciò che è rilevante, che ha determinato un avanzamento nel percorso di vita (o al contrario, una sua regressione o svolta), da ciò che è passato senza lasciare tracce. 8 Itinerari Mediali Gennaio-Febbraio 2001 MEMORIE DI CONSUMO, CORSI DI VITA E MEMORIA COLLETTIVA La memoria mediale può entrare nella definizione dei corsi di vita in diverso modo e con diversi gradi di efficacia. L’analisi di oltre 200 memorie di consumo, di persone appartenenti a differenti generazioni, ha permesso di individuare alcune direttrici che definiscono le forme e l’intensità di implicazione della memoria mediale nei percorsi di vita individuali. Anzitutto la capacità degli apparati di comunicazione di massa nel loro complesso di fornire risorse utili alla realizzazione dei progetti biografici tende a contrarsi nel tempo. Mettendo a confronto le storie di vita e di consumo di soggetti nati alla fine degli anni Quaranta con le storie di vita e di consumo di ragazzi nati fra il 1975 e il 1980 emerge con chiarezza un netto impoverimento delle potenzialità dei media (soprattutto di quelli più tradizionali). Il caso del cinema è in questo senso emblematico. Per le generazioni che sono giovani fra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta il cinema rappresenta un’occasione (sovente l’unica) per definire il proprio percorso biografico e per intervenire fattivamente sul sociale. Le esperienze dei cineforum e dei cineclub (che pure in questo periodo attraversano una fase di crisi) entrano a pieno titolo e costituiscono una componente essenziale delle strategie identitarie, sia a livello intergenerazionale (si marca con nettezza la distanza dalla generazione precedente per cui il cinema è semplice strumento di svago o di evasione), sia a livello intragenerazionale (la stessa opzione per il cineforum o per il cineclub, la visione di certe filmografie evidenzia l’opzione per un certo raggruppamento politico o ideologico). Il profilo funzionale del cinema e il suo raggio d’azione sui corsi di vita individuali e sul sociale muta profondamente nelle memorie di consumo dei giovani. Oltre alla contrazione dei momenti di fruizione (si va certamente Itinerari Mediali Gennaio-Febbraio 2001 Saggi In questo quadro, quello che si può legittimamente ricavare dall’analisi delle memorie mediali non è una storia dell’industria culturale, in concorrenza a quella tracciata a partire dall’evoluzione degli apparati e dalla trasformazione degli oggetti, ma è piuttosto la storia di un incontro, la ricostruzione di un rapporto che è quello che si dipana fra i processi di comunicazione di massa, le storie di vita personali e il contesto sociale. L’analisi delle memorie di consumo consente cioè di scoprire la natura della relazione che si stringe fra esperienze di consumo ed esperienze di vita, e di ponderare l’entità e la qualità delle risorse che dai media passano agli individui e all’ambiente sociale. Quello che si ricava dalla lettura delle storie di vita e di consumo è quindi un bilancio dei contributi offerti dai media alla realizzazione dei corsi di vita individuali e, insieme, alla costruzione di un corpo sociale. 9 molto meno al cinema di quanto non si facesse negli anni Cinquanta e Sessanta) si riduce il portato dell’esperienza di consumo che torna ad essere (come già lo era stata negli anni Cinquanta e negli anni Trenta) un momento di sospensione, di stacco dalla realtà quotidiana, da viversi all’insegna della pura affabulazione. L’esperienza cinematografica (ma lo stesso si può dire anche degli altri consumi mediali) da agire strategico, radicato sul sociale e finalizzato al sociale, assume una valenza puramente intrattenitiva. Troppo, tanto da perdere la propria valenza distintiva; e, troppo vicino al quotidiano tanto da diventare trasparente, scontato, il consumo dei media offre sempre meno risorse alla costruzione dei percorsi biografici. Questo naturalmente non significa che il rapporto fra l’esperienza di consumo e l’esperienza sociale sia bloccato. Esso ha solo assunto forme diverse, si direbbe più superficiali, più smaccate ed evidenti e in linea con le connotazioni e le valenze dell’esperienza mediale. Il caso della televisione aiuta a capire. A differenza del cinema e della musica (e mettendo in scacco la sua più intima vocazione pedagogica oltre che le convinzioni più radicate sugli effetti sociali del mezzo) la televisione non entra mai significativamente nei processi di costruzione dell’identità: è una risorsa debole che raramente aiuta a definire meglio (a rilanciare o a rivitalizzare) il proprio corso di vita. Il consumo televisivo è un riflesso della progettualità biografica più che un fattore che concorre a realizzarla. Sono molte le ragioni del deprezzamento della proposta televisiva, in larga misura legate all’immagine del mezzo, prima come strumento istituzionale, portavoce della cultura ufficiale e ratificata del paese, poi come mezzo invischiato nel quotidiano, così a portata di mano, così vicino da diventare invisibile. La 10 Itinerari Mediali Gennaio-Febbraio 2001 SCENARI Saggi marginalità del consumo televisivo nel racconto di vita e di consumo del pubblico non deve però essere scambiata per totale assenza di legami. La televisione sembra piuttosto farsi portatrice di una diversa strategia di intervento sul sociale, che soprattutto oggi pare l’unica possibile. Più che cercare di riempire di nuovi contenuti la memoria collettiva, di trasferire nel sociale i propri discorsi, la televisione si sforza di rendere visibile e partecipabile il patrimonio simbolico già sedimentato, di trasformare cioè la memoria sociale, quell’insieme di eventi, di modi di pensare, di valori in cui è sedimentata la storia di un gruppo, in memoria collettiva, cioè in un background vivo e riconosciuto sul quale rinnovare il senso di appartenenza al corpo sociale4. La televisione si trasforma in questo modo in una vera e propria «istituzione memoriale», luogo di formazione, conservazione ed espressione dei ricordi di un gruppo5, un archivio virtuale capace di contenere e rendere universalmente disponibili le memorie sociali6, una sorta di deposito a cui attingere per ridefinire o rafforzare la propria identità collettiva. In questo senso la televisione è anche, e nella forma più forte, uno strumento di democratizzazione: attraverso la mediazione della tv chiunque può acquisire i saperi, le competenze e quindi il diritto (non giuridico, ma morale) di essere parte integrante della società. È forse inutile sottolineare quanto questa funzione possa diventare essenziale in un’epoca di globalizzazione e di multiculturalismo. D’altra parte l’assunzione da parte del mezzo televisivo della funzione di conservare e di rendere disponibile la memoria collettiva comporta anche dei rischi. Una delega totale al medium della responsabilità di trasmettere il patrimonio simbolico del gruppo conduce infatti inevitabilmente all’esteriorizzazione della memoria: il ricordo viene oggettivato, svuotato, trasformato da esperienza vissuta in dato da esibire, scambiare, accumulare e i soggetti perdono la possibilità (e con il passare del tempo la capacità) di fare esperienza, di operare la sintesi tra vissuti personali e memorie sociali, e quindi di costruire la propria identità, personale e collettiva. E PISTE DI RICERCA La riflessione sulla memoria e l’individuazione di una prima serie di linee guida, lungo le quali interagiscono la memoria di consumo e la memoria sociale, offrono qualche strumento in più per affrontare il tema della storia della ricezione e della memoria di consumo. Pur illuminando solo un breve tratto del percorso di esplorazione, esse indicano almeno la direzione verso la quale è più opportuno muoversi, almeno per questa prima parte della ricerca. Da un lato si tratta certamente di proseguire nella rilevazione delle memorie di consumo, Itinerari Mediali Gennaio-Febbraio 2001 11 di estendere i regesti e di ampliare la documentazione: non solo racconti di consumo, ma, per esempio, diari, album dedicati ai propri divi del cuore, lettere scritte ai giornali, insomma tutto ciò che può servire a ricostruire i termini dell’esperienza di fruizione. L’obiettivo è di portare più a fondo l’analisi del rapporto fra esperienza di consumo e esperienza sociale, di comprovarne le modalità e di dettagliarne le forme. Dall’altro lato si tratta però anche di riprendere l’analisi del contributo dato dagli apparati di comunicazione di massa alla visualizzazione e quindi alla condivisione della memoria sociale, esaminando più attentamente le modalità attraverso cui oggi alcuni media (e primo fra tutti la televisione) intervengono nei processi simbolici da cui dipende la costruzione della memoria collettiva e del corpo sociale. Mariagrazia Fanchi Ricercatore al DAMS di Brescia. Svolge inoltre attività professionale presso diversi istituti di ricerche di mercato. NOTE Il ruolo della memoria nella costruzione dell’esperienza del sé è esemplarmente spiegato da Paolo Jedlowski in Memoria, esperienza e modernità, Franco Angeli, Milano 1989 e in Il sapere dell’esperienza, Il Saggiatore, Milano 1994. 2 Il contributo dato dalla memoria alla formazione dell’identità collettiva è analizzato e ricostruito tramite una serie di case studies dallo storico Ian Assman in La memoria culturale. Scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche, Einaudi, Torino 1997. 3 La definizione è di Pierre Bourdieu in What Makes a Social Class, in «Berkeley Journal of Sociology», 32 (1987), pp. 1-17. 4 Sulla distinzione fra memoria collettiva e memoria sociale si veda il classico studio di M. HALBWACHS, La mémoire collective, PUF, Paris 1968 (trad. it. La memoria collettiva, Unicopli, Milano 1987). 5 LANGE, Memoria storica e memoria collettiva: proposte critiche sulla sociologia della memoria di M. Halbwachs, Vita e Pensiero, Milano 1984. 6 G. NAMER, Mémoire et Société, Klincksieck, Paris 1987, p. 224. 1 12 Itinerari Mediali Gennaio-Febbraio 2001 F ilm A n alis i Isabelle Huppert e Jacques Dutronc «N on sembra una marcia funebre», commenta la giovane allieva. «Un po’ sì... ma in modo sottile» risponde il pianista, mentre prova a insegnarle i segreti per eseguire un pezzo di Liszt. Questo scambio di battute fra maestro e apprendista (ma potrebbe essere fra padre e figlia) descrive bene anche la tonalità emotiva e il rigore stilistico, nonché il nucleo tematico, dell’ultimo film di Claude Chabrol, cinquantaduesimo lungometraggio del regista francese. MUSICA DI MORTE Sapiente architettura noir sui generis, immersa nella luce fredda di una Losanna che si specchia nelle superfici asettiche di una serenità inquietante, Grazie per la cioccolata, presentato fuori concorso all’ultima Mostra del cinema (MERCI POUR LE CHOCOLAT, FRANCIA/SVIZZERA, 2000) REGIA: Claude Chabrol INTERPRETI: Isabelle Huppert, Jacques Dutronc, Anna Mouglalis, Rodolphe Pauly, Brigitte Catillon, Michel Robin, Mathieu Simonet SOGGETTO: dal romanzo The Chocolate Cobweb di Charlotte Armstrong SCENEGGIATURA: Claude Chabrol, Caroline Eliacheff FOTOGRAFIA: Renato Berta MUSICA: Matthieu Chabrol SCENOGRAFIA: Yvan Niclass COSTUMI: Elisabeth Tavernier PRODUZIONE: Marin Karmitz, per MK2 Productions/Cab Productions/France 2 Cinéma/Tsr/L’Ofce Fédéral de la Culture/Le Studio Canal+/Suisse Succès Cinéma/Téléclub/ Ymc Productions DURATA: 1h e 40’ Film Analisi Grazie per la cioccolata di Venezia (e da molti ritenuto il miglior film del festival), racconta con spietata asciuttezza e geometrica essenzialità l’atmosfera di un delitto, ancor prima del delitto vero e proprio. Quell’aria sottile e viziata che penetra impercettibilmente la tranquillità domestica, Itinerari Mediali Gennaio-Febbraio 2001 33 Isabelle Huppert quel sospetto che da sempre attraversa la quotidianità borghese dei personaggi del cinema di Chabrol, pare condensarsi nelle immagini taglienti e nei raffinati interni rarefatti di questo film attraverso uno sguardo sintetico, preciso ed elegante, che privilegia l’ellissi all’effetto, l’allusione alla sottolineatura esplicita e possiede la semplicità e la forza inattuali, e forse perciò perfino più incisive, del classico (in questo senso la lezione hitchcockiana appare ormai completamente metabolizzata da Chabrol e i riferimenti a Lang e a Renoir sono pienamente motivati e non semplici vezzi cinéphile). Nel proverbiale quanto apparente candore del paesaggio svizzero («Non crederai che in Svizzera ci sono i ladri?» dice scherzosamente un personaggio) regna un’immagine seducente ma illu- 34 Itinerari Mediali soria di pace. E se la vita appare in superficie un lungo fiume tranquillo, il mal-essere, ovvero il manifestarsi del Male, non tarda a rivelarsi in tutta la sua perversa e insondabile crudeltà. La morte (il delitto?), sempre e assolutamente fuori campo (Dietro la porta chiusa, si potrebbe dire usando il titolo langhiano non a caso citato nel film), emerge dapprima nei dettagli, nelle battute dette quasi per caso. «Anche la domenica lavori con i morti?» dice la pianista in erba Jeanne alla madre, direttrice di un istituto di criminologia, che le ha nascosto molte cose sulle sue origini. «Quest’anno ha la passione per le lingue morte» le fa eco, un po’ di scene più tardi, il pianista di successo Polonski a proposito del figlio che non ha ereditato il suo talento e che, per uno scambio in culla, potrebbe essere stato sostituito alla dotata Jeanne. Ma, se è vero come viene detto che «le situazioni più inverosimili sono a volte reali», ogni personaggio del film potrebbe essere qualcun altro e l’abilità di Chabrol è proprio quella di lavorare sull’identità ambigua e l’origine ignota degli attori e delle azioni di questa commedia umana, tanto che si potrebbe parlare di personaggi-«alibi», sempre e comunque portatori di un «altrove» mai completamente chiaro e definito, e di relazioni che conservano preziose tracce d’incertezza e di oscurità, rivelando in filigrana sempre molteplici e spesso contrastanti tensioni. Gennaio-Febbraio 2001 Così anche gli atti e gli oggetti della vita domestica dall’apparente semplicità esteriore assumono connotazioni indiziarie, e gli indizi sono naturalmente indizi di morte: piccole distrazioni che potrebbero essere calcolate manovre diaboliche, un thermos per la cioccolata che assomiglia a un proiettile e potrebbe contenere del sonnifero, una macchia di cioccolata che sembra già una pozza di sangue, un lavoro a maglia che assume la forma minacciosa di una ragnatela... LA STRATEGIA DEL RAGNO «Nessuno mi ha fatta». Nelle prime sequenze così si presenta la moglie di Polonski, Marie-Claire Muller (che, lo scopriremo più avanti, non ha mai conosciuto i suoi genitori naturali), vero e proprio centro motore di questo Itinerari Mediali Gennaio-Febbraio 2001 Film Analisi Isabelle Huppert film, ennesima carnefice/vittima del cinema di Chabrol nonché ennesimo capolavoro d’interpretazione di Isabelle Huppert, che aggiunge questo personaggio alla galleria di figure femminili in nero già incarnate con perfetta alchimia in molte recenti opere del maestro francese. «Lei è diabolica» non manca di rimarcare il marito pianista alla cerimonia del loro secondo matrimonio sulla quale si apre il film (e primo dei numerosi «ritorni» che lo attraversano), cogliendo quasi per scherzo quel misto di seduzione e distruzione che i modi composti e lo sguardo algido e penetrante della consorte esprimono e dissimulano al contempo. Proprietaria di una rinomata ditta produttrice di cioccolato, Mika (così si fa chiamare Marie-Claire, condensando il suo nome doppio) è divisa fra impegno professionale e cura della famiglia: impeccabile donna manager e premurosa padrona di casa, dichiara (a proposito delle strategie di marketing, ma in perfetta assonanza col suo credo esistenziale) che «salvare l’immagine è tutto». Proprio la superficie impenetrabile (l’immagine, appunto) che pare rivestire questo personaggio, ora di colori pastello ora completamente di nero, gli dona una complessità inattesa e mai completamente decifrabile. Distratta o calcolatrice, gelida o passionale, altruista o diabolica, sofferente o insensibile? Difficile, se non impossibile, ridurre questo 35 personaggio ipnotico («Sai addormenCome in uno specchio (non a caso tare tutti!») a un’identità netta, ricon- una figura chiave di questo film, attradurre il suo agire a un movente definito verso la quale sono filtrate tutte le e a uno scopo definitivo. «Non voglio testimonianze visive degli indizi del criche la gente soffra» dice Mika moti- mine), il passato torna identico: stessa vando il suo sostegno ai centri anti- casa, stessa ora, stesso piede (il sinidolore, ma dichiara anche: «Invece di stro) «accidentalmente» ferito, stessa amare, io dico ti amo e mi si crede... ho cura maniacale nel lavare subito i bicun grande potere nella mia vita: calcolo chieri cancellando ogni possibile tractutto». cia. Come un rituale prescritto (la La distinzione tra cioccolata calda, tutti fare del bene e fare i giorni – e «la cioccodel male diventa labilata è compito mio», le, il confine pressoammonisce Mika), il ché impercettibile, ma delitto non può che l’amoralità del persoripetersi identico ed naggio non è tanto nel è la ripetizione stessa progettare, immaginache smaschera l’assasre (o forse solo assesino e che costruisce condare) l’esecuzione nello stesso tempo l’irdi un piano delittuoriducibilità a una spieIsabelle Huppert so, ma nel non potergazione dell’assassinio. ne fare a meno, nel Una spiegazione che, non riuscire cioè a non ri-fare ciò che nonostante le parole, rimane celata nel ha saputo compiere una prima volta, lunghissimo primo piano gelido e pascome prigioniera di una perversa e qua- sionale di Isabelle Huppert che accomsi annoiata coazione a ripetere. «Passo pagna i titoli di coda. L’inquadratura il tempo a rompere e sostituire» dice infine si allarga mostrando la tela del Mika, suggerendo che nella sua reite- ragno e la protagonista, artefice e prirata distrazione almeno tanto quanto gioniera di questo geometrico e ancenel suo diabolico calcolo è racchiuso strale progetto di morte che si raccoglie il segreto della sua natura (come lo in posizione fetale quasi a ritornare a scorpione del Welles di Rapporto con- (dunque ripetere) quel momento origifidenziale, probabilmente anche Mika nario destinato a rimanere (a lei come potrebbe provare a spiegare la sua logi- a noi) ignoto: «Nessuno mi ha fatta». ca soltanto con la frase «non ne posso fare a meno: è la mia natura»). Matteo Columbo 36 Itinerari Mediali Gennaio-Febbraio 2001