sommario (16_1) - Sale della Comunità

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sommario (16_1) - Sale della Comunità
SOMMARIO
ITINERARI MEDIALI
ANNO II
GENNAIO/FEBBRAIO 2001
N.1
SAGGI
5
Spedizione in abb. postale
45% Art. 2 comma 20/b
Legge 662/96
Filiale di Torino
Registrazione Tribunale
di Roma
n. 567/99 del 1-12-1999
di Mariagrazia Fanchi
13
Editore:
Effatà Editrice
21
RUBRICHE
33
FILM ANALISI
Grazie per la cioccolata
di Matteo Columbo
Strada Saretto 9/1
10060 Cantalupa (To)
Tel. 0121 353452
Fax 0121 353839
[email protected]
www.effata.it
In the Mood for Love
di Raffaella Giancristofaro
Wonders Boys
di Giovanni Robertini
Fratello dove sei?
di Isabella Dothel
Billy Elliot
di Enrico Danesi
53
HOME VIDEO
Il gladiatore
Kirikù e la strega Karabà
Grafica: Guido Pegone
Man on the moon
Stampa:
Tipografia Stargrafica
Grugliasco (To)
Canone di abbonamento:
Una copia: L. 12.000
Annuo (6 numeri): L. 50.000
Versamento su c/c postale
n.33955105 intestato a:
Effatà Editrice
Str. Saretto 9/1
10060 Cantalupa (To)
L’immagine documentaria
tra storia e memoria
di Alberto Bourlot
di Gabriella Segarelli
Hanno collaborato:
Ezio Alberione, Maria Luisa Bionda,
Alberto Bourlot, Cristina Cano,
Matteo Columbo, Enrico Danesi,
Livio De Marie, Isabella Dothel, Luigi
Filippi, Mariagrazia Fanchi, Roberto
Fiori, Alessandro Franzini, Raffaella
Giancristofaro, Stefano Gorla, Enrica
Mancini, Leonardo Mello, Guido
Michelone, Andrea Negrini, Daniela
Perazzo, Giovanni Robertini, Giorgio
Simonelli, Aldo Maria Valli
La scatola dei ricordi
Appunti sulla memoria della tv
di Maria Luisa Bionda
Direttore responsabile:
Dario Edoardo Viganò
Direzione e redazione:
ACEC
Via Nomentana, 251
00161 Roma
Tel. 06 4402273
Fax 06 4402280
[email protected]
www.acec.it
Le memorie di consumo
Nuove consapevolezze e nuovi
approcci allo studio dei media
Rosetta
di Alessandro Franzini
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FUMETTO
Ridere con chi sta nei cieli
Dio e i suoi amici nei fumetti
di Stefano Gorla
61
TEATRO
Un anno di scene giubilari
di Leonardo Mello
Tadeusz Kantor
«Ottengo la grandezza con la realtà
del rango più basso»
di Daniela Perazzo
69
MUSICA
Il mito di Orfeo
e la funzione regolatrice di stati interiori
di Cristina Cano
La grande storia del jazz; Bellafronte,
Etnokult, Mondo, Racconti mediterranei
di Guido Michelone
74
TELEVISIONE
Religione in tv
di Aldo Maria Valli
Telegiornali italiani: Studio aperto
di Giorgio Simonelli
85
NEW MEDIA
Grande Fratello
di Ruggero Eugeni
Giochi in cd-rom e violenza
di Enrica Mancini
92
LIBRI
I Simpson
Una famiglia dalla A alla Z
di Andrea Negrini
Bad Boys
Dizionario critico del cinema della ribellione giovanile
di Luigi Filippi
94
AVVENIMENTI
18mo Torino Film Festival
di Roberto Fiori
E d itor iale
Tra memoria
e oblio
«Itinerari Mediali» dedica l’inizio del suo percorso nel nuovo millennio al tema
della memoria. Ma cosa intendiamo quando parliamo di memoria? Come funziona? E poi, parliamo di memoria personale, sociale, memoria di consumo...?
La riflessione affonda la propria analisi a partire da Le memorie di consumo. In
questo saggio Mariagrazia Fanchi afferma: «La capacità degli apparati di comunicazione di massa nel loro complesso di fornire risorse utili alla realizzazione dei
progetti biografici tende a contrarsi nel tempo. Mettendo a confronto le storie di
vita e di consumo di soggetti nati alla fine degli anni quaranta con le storie di vita
e di consumo di ragazzi nati fra il 1975 e il 1980 emerge con chiarezza un netto
impoverimento delle potenzialità dei media».
Nel saggio La scatola dei ricordi, Maria Luisa Bionda mette in luce come «la
tv mette in salvo il proprio patrimonio storico e culturale celebrando se stessa
e offrendoci sempre più spesso modelli e scenari di natura autoriflessiva». Maria
Luisa Bionda prende in esame alcuni concreti esempi di programmi televisivi che
si basano appunto sulla rielaborazione del passato: Blob «primo e più semplice
esempio di una tv che elabora la propria storia», Matricole e Meteore «metaforicamente correlabili a quei frammenti sparsi di vita in cui rispolveriamo le vecchie
fotografie del passato e rimaniamo a contemplare con stupore come siamo cambiati», Machemù, Anima mia... Un panorama interessante di come la tv si relazioni alla memoria, personale e collettiva, del consumo. Nel saggio L’immagine
documentaria tra storia e memoria Bourlot indaga «da una parte l’immagine come
potenzialmente documentaria e quindi, letteralmente, come capace di provare
qualcosa, ma anche, d’altra parte, l’immagine come documento del desiderio,
che serve a dimostrare (innanzitutto a noi stessi) la coerenza e l’ineluttabilità di
ciò che non è stato come ci sarebbe piaciuto».
Memoria, setaccio tra ciò che è rilevante e ciò che è passato nell’oblio: un
curioso punto di vista per ricostruire e comprendere la storia degli incontri tra i
processi comunicativi, le storie personali e il contesto culturale.
Dario E. Viganò
Saggi
S ag g i
Le memorie di consumo
Nuove consapevolezze e nuovi approcci
allo studio dei media
L’
elemento che più d’ogni altro caratterizza gli studi sul consumo
dei media è la loro impostazione essenzialmente sincronica. A
vincolare al presente le ricerche sui processi di comunicazione
di massa è, da un lato, la stretta relazione con il sistema produttivo
e quindi l’impostazione operativa (o «amministrativa») di larga parte
della ricerca. In seconda battuta e, comunque, come conseguenza della
sua primigenia vocazione amministrativa, è poi la mancanza di strumenti ad impedire uno sguardo retrospettivo più ampio.
Se le analisi sul consumo e, in special modo, quelle sul consumo televisivo, possono vantare un parco strumenti estremamente ampio e variegato e un sistema
di metodiche dei più raffinati, esse restano comunque prive di sostegno quando
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si tratta di staccarsi dalle evidenze presenti e di analizzare il passato. Anche le
ricerche che hanno tentato un approccio diacronico ai fenomeni di consumo,
come gli studi sugli effetti sociali dei media svolti negli anni ’80, si sono quasi
sempre limitate ad un’analisi sul breve periodo o al più alla rilettura di dati di
consumo rilevati negli anni precedenti.
Questo tipo di opzione, che per molto tempo non ha posto alcun problema,
comincia ora a mostrare i suoi limiti.
Da un lato, la domanda sulla possibilità e sull’opportunità di estendere le analisi del consumo sul lungo periodo proviene dai segmenti più accademici della
ricerca. Da quando, in modo massiccio a partire dagli anni ’80, lo studio del
consumo ha cominciato ad assumere una valenza più teorica svincolandosi dall’area amministrativa (e dalla necessità di fornire risposte immediate a problemi
immediati) le domande sugli approcci e sui metodi si sono fatte più insistenti. Le
cosiddette teorie della ricezione, che nascono appunto dall’innesto delle ricerche
empiriche sul consumo su un sostrato teorico articolato e complesso (che incrocia istanze sociologiche, culturologiche e di studio dei testi), mettono sul tappeto
una serie di questioni fra cui anche la povertà di un approccio schiacciato sul
presente.
La riflessione su che cosa significa «consumo», su quali elementi entrano in
gioco nel processo di ricezione dei testi e quindi su quali fattori occorra centrare
l’attenzione per poter descrivere (e pronosticare) i processi di consumo porta in
primo piano la questione del tempo.
Si tratta, da un lato, di avere presente, oltre alla disposizione del momento,
anche le esperienze di consumo pregresse di chi fruisce e da cui dipendono la
competenza e le attese verso i media e i loro prodotti; dall’altro di verificare
quale funzione, quale posizione e ruolo assume il consumo nella vita dei soggetti, come si intreccia con la loro storia personale, come e quanto viene implicato nella realizzazione dei loro percorsi di vita. In questo quadro il tema della
memoria diviene centrale. Ricostruire le storie di consumo, i ricordi degli eventi,
ripercorrere l’evoluzione del rapporto con un mezzo o con una tipologia di prodotti significa avere a disposizione uno strumento cognitivo straordinario sia per
inquadrare il presente, sia e soprattutto per immaginare il futuro.
Al problema della memoria approda però anche la ricerca amministrativa,
seguendo un suo percorso che la porta ad accostare il tema come possibile
oggetto di consumo. Per limitarsi al caso della televisione, le ultime stagioni sono
state all’insegna del revival, sia autoreferenziale (le molte trasmissioni sulla storia
della televisione e dei suoi protagonisti più o meno effimeri), sia sociale (il mas-
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RICORDA!
Saggi
siccio lavoro di recupero della storia e delle tradizioni del paese). L’intuizione che
sta alla base di questa operazione non è molto diversa da quella più formalizzata
delle teorie della ricezione: anche in questo caso è la scoperta della centralità
della memoria nella costruzione dell’esperienza sociale e mediale a motivare il
recupero del tema e il suo sistematico sfruttamento. Sotto la spinta di ragioni
diverse, il binomio memoria e consumo quindi si ricompone, aprendo un fronte
di ricerca assolutamente nuovo e di fronte al quale ci si sente sprovvisti non solo
di strumenti empirici, ma anche teorici. Che cos’è la memoria? Come funziona?
Esiste una sola memoria o più memorie? C’è sicuramente una memoria personale (la «mia memoria», il mio sistema di ricordi), ma esiste anche una memoria
condivisa, collettiva (la memoria della mia famiglia, la memoria del mio gruppo
di amici) e una memoria ancora più estesa, più ampia, trasversale (la memoria
sociale di un gruppo, la memoria di una nazione o di un’etnia). E in tutto questo
la memoria degli eventi mediali, la memoria di consumo, che ruolo può avere?
Entra in tangenza con queste altre tipologie di memoria e se sì secondo quali
modalità e generando quali sinergie o interferenze?
«Ricordati!». Sia a livello micro, delle relazioni quotidiane, sia a livello macro, del
funzionamento e della persistenza dei sistemi sociali, il ricordo è una condizione di
base. Non esiste società,
non esiste gruppo, né
possibilità di relazione,
persino non esiste individuo al di fuori della
memoria. La memoria è
una dimensione essenziale dell’esistenza. Un
soggetto costruisce la
propria identità nella
misura in cui ha memoria del suo passato ed
è in grado di leggerlo
in continuità con il
presente e in funzione
dei suoi obiettivi per
il futuro1. Un gruppo
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esiste nella misura in cui i suoi componenti partecipano di una memoria collettiva, di un deposito simbolico in cui sono conservati (e legittimati) i saperi
importanti per la comunità, le regole, i valori, i punti di vista sulla realtà2. Un
paese, una nazione nel senso più pieno del termine, si dà a condizione di avere
un «capitale culturale» alle spalle, una memoria sociale, «un insieme di conoscenze, di stili, di caratteristiche, disposizioni pratiche e comportamentali»3, che
agiscono da fattori stabilizzanti e che insieme sono il principale apporto energetico alla vita sociale. Sapere come nasce e da dove scaturisce la memoria è dunque
ben più di una questione teorica: è una domanda fondamentale su se stessi e
sull’ambiente sociale e relazionale in cui si è inseriti.
La memoria è anzitutto il portato di un lavoro di ricostruzione del passato,
un processo di «auto-riflessione» consapevole in cui i materiali mnestici, cioè i
ricordi, vengono organizzati in una sequenza di eventi ed entrano a far parte di
una storia. Frammenti di vissuto, sensazioni, odori, immagini sono ricomposti
dalla memoria in un quadro unitario, sono stretti nelle maglie di un racconto, da
cui traggono senso e valore. La memoria ha una struttura essenzialmente narrativa: c’è una trama, un’idea di fondo e ci sono una serie di contenuti, di eventi
scelti in modo da dare consistenza e, insieme, da rendere coinvolgente la storia.
Nella costruzione della memoria non agisce quindi essenzialmente un principio
mimetico, quanto piuttosto un sistema di regole di verosimiglianza (le stesse del
racconto) e un sistema di valori etici e estetici. La memoria dà continuità alla
storia di vita del soggetto, conferisce alla sequenza spesso casuale degli eventi la
parvenza di un rassicurante finalismo, e fissa l’oggetto di valore verso cui tende il
percorso di vita dell’individuo e l’orizzonte morale all’interno del quale si snoda.
La memoria quindi non è una ricostruzione oggettiva di quanto accaduto:
la memoria bluffa, ritocca, rimuove, abbellisce; per quanto artefatte (e anzi, si
potrebbe dire quanto più artefatte) le sue rappresentazioni sono comunque la
base di partenza dell’agire nel presente e il sistema di riferimento sul quale si
progetta il futuro.
È dunque chiaro che se si vuole usare la memoria come fonte di dati, se la si
vuole interrogare, bisogna anzitutto fare le domande giuste: non le si deve chiedere una ricostruzione fedele del passato, un resoconto oggettivo di quello che
è stato, ma il valore, il significato che gli eventi, certi eventi, hanno nel tempo
acquistato per la vita del soggetto e della comunità. La memoria è prima di tutto
la fonte a cui ricorrere per valutare il portato, misurare l’impatto sociale degli
eventi: la memoria è il setaccio che separa ciò che è rilevante, che ha determinato
un avanzamento nel percorso di vita (o al contrario, una sua regressione o svolta),
da ciò che è passato senza lasciare tracce.
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MEMORIE
DI CONSUMO, CORSI DI VITA E MEMORIA COLLETTIVA
La memoria mediale può entrare nella definizione dei corsi di vita in diverso
modo e con diversi gradi di efficacia. L’analisi di oltre 200 memorie di consumo, di persone appartenenti a differenti generazioni, ha permesso di individuare alcune direttrici che definiscono le forme e l’intensità di implicazione della
memoria mediale nei percorsi di vita individuali.
Anzitutto la capacità degli apparati di comunicazione di massa nel loro complesso di fornire risorse utili alla realizzazione dei progetti biografici tende a contrarsi nel tempo. Mettendo a confronto le storie di vita e di consumo di soggetti
nati alla fine degli anni Quaranta con le storie di vita e di consumo di ragazzi
nati fra il 1975 e il 1980 emerge con chiarezza un netto impoverimento delle
potenzialità dei media (soprattutto di quelli più tradizionali). Il caso del cinema
è in questo senso emblematico. Per le generazioni che sono giovani fra la fine
degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta il cinema rappresenta un’occasione
(sovente l’unica) per definire il proprio percorso biografico e per intervenire fattivamente sul sociale. Le esperienze dei cineforum e dei cineclub (che pure in
questo periodo attraversano una fase di crisi) entrano a pieno titolo e costituiscono una componente essenziale delle strategie identitarie, sia a livello intergenerazionale (si marca con nettezza la distanza dalla generazione precedente per
cui il cinema è semplice strumento di svago o di evasione), sia a livello intragenerazionale (la stessa opzione per il cineforum o per il cineclub, la visione
di certe filmografie evidenzia l’opzione per un certo raggruppamento politico o
ideologico). Il profilo funzionale del cinema e il suo raggio d’azione sui corsi di
vita individuali e sul sociale muta profondamente nelle memorie di consumo
dei giovani. Oltre alla contrazione dei momenti di fruizione (si va certamente
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In questo quadro, quello che si può legittimamente ricavare dall’analisi delle
memorie mediali non è una storia dell’industria culturale, in concorrenza a
quella tracciata a partire dall’evoluzione degli apparati e dalla trasformazione
degli oggetti, ma è piuttosto la storia di un incontro, la ricostruzione di un rapporto che è quello che si dipana fra i processi di comunicazione di massa, le
storie di vita personali e il contesto sociale. L’analisi delle memorie di consumo
consente cioè di scoprire la natura della relazione che si stringe fra esperienze di
consumo ed esperienze di vita, e di ponderare l’entità e la qualità delle risorse
che dai media passano agli individui e all’ambiente sociale. Quello che si ricava
dalla lettura delle storie di vita e di consumo è quindi un bilancio dei contributi
offerti dai media alla realizzazione dei corsi di vita individuali e, insieme, alla
costruzione di un corpo sociale.
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molto meno al cinema di
quanto non si facesse negli
anni Cinquanta e Sessanta)
si riduce il portato dell’esperienza di consumo che torna
ad essere (come già lo era
stata negli anni Cinquanta
e negli anni Trenta) un
momento di sospensione,
di stacco dalla realtà quotidiana, da viversi all’insegna della pura affabulazione.
L’esperienza cinematografica
(ma lo stesso si può dire
anche degli altri consumi
mediali) da agire strategico,
radicato sul sociale e finalizzato al sociale, assume una
valenza puramente intrattenitiva.
Troppo, tanto da perdere la propria valenza distintiva; e, troppo vicino al
quotidiano tanto da diventare trasparente, scontato, il consumo dei media offre
sempre meno risorse alla costruzione dei percorsi biografici.
Questo naturalmente non significa che il rapporto fra l’esperienza di consumo
e l’esperienza sociale sia bloccato. Esso ha solo assunto forme diverse, si direbbe
più superficiali, più smaccate ed evidenti e in linea con le connotazioni e le
valenze dell’esperienza mediale. Il caso della televisione aiuta a capire.
A differenza del cinema e della musica (e mettendo in scacco la sua più intima
vocazione pedagogica oltre che le convinzioni più radicate sugli effetti sociali
del mezzo) la televisione non entra mai significativamente nei processi di costruzione dell’identità: è una risorsa debole che raramente aiuta a definire meglio
(a rilanciare o a rivitalizzare) il proprio corso di vita. Il consumo televisivo è
un riflesso della progettualità biografica più che un fattore che concorre a realizzarla. Sono molte le ragioni del deprezzamento della proposta televisiva, in larga
misura legate all’immagine del mezzo, prima come strumento istituzionale, portavoce della cultura ufficiale e ratificata del paese, poi come mezzo invischiato
nel quotidiano, così a portata di mano, così vicino da diventare invisibile. La
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SCENARI
Saggi
marginalità del consumo televisivo nel racconto di vita e di consumo del pubblico non deve però essere scambiata per totale assenza di legami. La televisione
sembra piuttosto farsi portatrice di una diversa strategia di intervento sul sociale,
che soprattutto oggi pare l’unica possibile. Più che cercare di riempire di nuovi
contenuti la memoria collettiva, di trasferire nel sociale i propri discorsi, la televisione si sforza di rendere visibile e partecipabile il patrimonio simbolico già
sedimentato, di trasformare cioè la memoria sociale, quell’insieme di eventi, di
modi di pensare, di valori in cui è sedimentata la storia di un gruppo, in memoria
collettiva, cioè in un background vivo e riconosciuto sul quale rinnovare il senso
di appartenenza al corpo sociale4. La televisione si trasforma in questo modo in
una vera e propria «istituzione memoriale», luogo di formazione, conservazione
ed espressione dei ricordi di un gruppo5, un archivio virtuale capace di contenere
e rendere universalmente disponibili le memorie sociali6, una sorta di deposito
a cui attingere per ridefinire o rafforzare la propria identità collettiva. In questo
senso la televisione è anche, e nella forma più forte, uno strumento di democratizzazione: attraverso la mediazione della tv chiunque può acquisire i saperi, le
competenze e quindi il diritto (non giuridico, ma morale) di essere parte integrante della società. È forse inutile sottolineare quanto questa funzione possa
diventare essenziale in un’epoca di globalizzazione e di multiculturalismo. D’altra parte l’assunzione da parte del mezzo televisivo della funzione di conservare
e di rendere disponibile la memoria collettiva comporta anche dei rischi. Una
delega totale al medium della responsabilità di trasmettere il patrimonio simbolico del gruppo conduce infatti inevitabilmente all’esteriorizzazione della memoria: il ricordo viene oggettivato, svuotato, trasformato da esperienza vissuta in
dato da esibire, scambiare, accumulare e i soggetti perdono la possibilità (e con
il passare del tempo la capacità) di fare esperienza, di operare la sintesi tra vissuti
personali e memorie sociali, e quindi di costruire la propria identità, personale e
collettiva.
E PISTE DI RICERCA
La riflessione sulla memoria e l’individuazione di una prima serie di linee guida,
lungo le quali interagiscono la memoria di consumo e la memoria sociale,
offrono qualche strumento in più per affrontare il tema della storia della ricezione e della memoria di consumo. Pur illuminando solo un breve tratto del
percorso di esplorazione, esse indicano almeno la direzione verso la quale è più
opportuno muoversi, almeno per questa prima parte della ricerca. Da un lato
si tratta certamente di proseguire nella rilevazione delle memorie di consumo,
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di estendere i regesti e di ampliare la documentazione: non solo racconti di consumo, ma, per esempio, diari, album dedicati ai propri divi del cuore, lettere
scritte ai giornali, insomma tutto ciò che può servire a ricostruire i termini dell’esperienza di fruizione. L’obiettivo è di portare più a fondo l’analisi del rapporto
fra esperienza di consumo e esperienza sociale, di comprovarne le modalità e di
dettagliarne le forme.
Dall’altro lato si tratta però anche di riprendere l’analisi del contributo dato
dagli apparati di comunicazione di massa alla visualizzazione e quindi alla condivisione della memoria sociale, esaminando più attentamente le modalità attraverso cui oggi alcuni media (e primo fra tutti la televisione) intervengono nei
processi simbolici da cui dipende la costruzione della memoria collettiva e del
corpo sociale.
Mariagrazia Fanchi
Ricercatore al DAMS di Brescia. Svolge inoltre attività professionale presso diversi istituti
di ricerche di mercato.
NOTE
Il ruolo della memoria nella costruzione dell’esperienza del sé è esemplarmente spiegato da Paolo Jedlowski in Memoria, esperienza e modernità,
Franco Angeli, Milano 1989 e in Il sapere dell’esperienza, Il Saggiatore,
Milano 1994.
2
Il contributo dato dalla memoria alla formazione dell’identità collettiva
è analizzato e ricostruito tramite una serie di case studies dallo storico
Ian Assman in La memoria culturale. Scrittura, ricordo e identità politica
nelle grandi civiltà antiche, Einaudi, Torino 1997.
3
La definizione è di Pierre Bourdieu in What Makes a Social Class, in
«Berkeley Journal of Sociology», 32 (1987), pp. 1-17.
4
Sulla distinzione fra memoria collettiva e memoria sociale si veda il classico studio di M. HALBWACHS, La mémoire collective, PUF, Paris 1968
(trad. it. La memoria collettiva, Unicopli, Milano 1987).
5
LANGE, Memoria storica e memoria collettiva: proposte critiche sulla sociologia della memoria di M. Halbwachs, Vita e Pensiero, Milano 1984.
6
G. NAMER, Mémoire et Société, Klincksieck, Paris 1987, p. 224.
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F ilm A n alis i
Isabelle Huppert e Jacques Dutronc
«N
on sembra una marcia
funebre», commenta la
giovane allieva. «Un po’
sì... ma in modo sottile» risponde il
pianista, mentre prova a insegnarle
i segreti per eseguire un pezzo di
Liszt. Questo scambio di battute fra
maestro e apprendista (ma potrebbe
essere fra padre e figlia) descrive
bene anche la tonalità emotiva e
il rigore stilistico, nonché il nucleo
tematico, dell’ultimo film di Claude
Chabrol, cinquantaduesimo lungometraggio del regista francese.
MUSICA
DI MORTE
Sapiente architettura noir sui generis,
immersa nella luce fredda di una
Losanna che si specchia nelle superfici
asettiche di una serenità inquietante,
Grazie per la cioccolata, presentato fuori
concorso all’ultima Mostra del cinema
(MERCI POUR LE CHOCOLAT,
FRANCIA/SVIZZERA, 2000)
REGIA: Claude Chabrol
INTERPRETI: Isabelle Huppert,
Jacques Dutronc, Anna
Mouglalis, Rodolphe Pauly,
Brigitte Catillon, Michel
Robin, Mathieu Simonet
SOGGETTO: dal romanzo The
Chocolate Cobweb di
Charlotte Armstrong
SCENEGGIATURA: Claude Chabrol, Caroline Eliacheff
FOTOGRAFIA: Renato Berta
MUSICA: Matthieu Chabrol
SCENOGRAFIA: Yvan Niclass
COSTUMI: Elisabeth Tavernier
PRODUZIONE: Marin Karmitz,
per MK2 Productions/Cab
Productions/France 2
Cinéma/Tsr/L’Ofce
Fédéral de la Culture/Le
Studio Canal+/Suisse
Succès Cinéma/Téléclub/
Ymc Productions
DURATA: 1h e 40’
Film Analisi
Grazie
per la
cioccolata
di Venezia (e da molti ritenuto il
miglior film del festival), racconta con
spietata asciuttezza e geometrica essenzialità l’atmosfera di un delitto, ancor
prima del delitto vero e proprio. Quell’aria sottile e viziata che penetra impercettibilmente la tranquillità domestica,
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Isabelle Huppert
quel sospetto che da sempre attraversa
la quotidianità borghese dei personaggi
del cinema di Chabrol, pare condensarsi nelle immagini taglienti e nei raffinati interni rarefatti di questo film
attraverso uno sguardo sintetico, preciso ed elegante, che privilegia l’ellissi
all’effetto, l’allusione alla sottolineatura esplicita e possiede la semplicità
e la forza inattuali, e forse perciò perfino più incisive, del classico (in questo
senso la lezione hitchcockiana appare
ormai completamente metabolizzata da
Chabrol e i riferimenti a Lang e a
Renoir sono pienamente motivati e
non semplici vezzi cinéphile).
Nel proverbiale quanto apparente
candore del paesaggio svizzero («Non
crederai che in Svizzera ci sono i ladri?»
dice scherzosamente un personaggio)
regna un’immagine seducente ma illu-
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Itinerari Mediali
soria di pace. E se la vita appare in
superficie un lungo fiume tranquillo,
il mal-essere, ovvero il manifestarsi del
Male, non tarda a rivelarsi in tutta la
sua perversa e insondabile crudeltà.
La morte (il delitto?), sempre e assolutamente fuori campo (Dietro la porta
chiusa, si potrebbe dire usando il titolo
langhiano non a caso citato nel film),
emerge dapprima nei dettagli, nelle
battute dette quasi per caso. «Anche
la domenica lavori con i morti?» dice
la pianista in erba Jeanne alla madre,
direttrice di un istituto di criminologia, che le ha nascosto molte cose sulle
sue origini. «Quest’anno ha la passione
per le lingue morte» le fa eco, un po’ di
scene più tardi, il pianista di successo
Polonski a proposito del figlio che non
ha ereditato il suo talento e che, per
uno scambio in culla, potrebbe essere
stato sostituito alla dotata Jeanne.
Ma, se è vero come viene detto che
«le situazioni più inverosimili sono a
volte reali», ogni personaggio del film
potrebbe essere qualcun altro e l’abilità di Chabrol è proprio quella di lavorare sull’identità ambigua e l’origine
ignota degli attori e delle azioni di
questa commedia umana, tanto che si
potrebbe parlare di personaggi-«alibi»,
sempre e comunque portatori di un
«altrove» mai completamente chiaro e
definito, e di relazioni che conservano
preziose tracce d’incertezza e di oscurità, rivelando in filigrana sempre molteplici e spesso contrastanti tensioni.
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Così anche gli atti e gli oggetti della
vita domestica dall’apparente semplicità esteriore assumono connotazioni
indiziarie, e gli indizi sono naturalmente indizi di morte: piccole distrazioni che potrebbero essere calcolate
manovre diaboliche, un thermos per la
cioccolata che assomiglia a un proiettile e potrebbe contenere del sonnifero,
una macchia di cioccolata che sembra
già una pozza di sangue, un lavoro a
maglia che assume la forma minacciosa
di una ragnatela...
LA
STRATEGIA DEL RAGNO
«Nessuno mi ha fatta». Nelle prime
sequenze così si presenta la moglie di
Polonski, Marie-Claire Muller (che, lo
scopriremo più avanti, non ha mai
conosciuto i suoi genitori naturali),
vero e proprio centro motore di questo
Itinerari Mediali
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Film Analisi
Isabelle Huppert
film, ennesima carnefice/vittima del
cinema di Chabrol nonché ennesimo
capolavoro d’interpretazione di Isabelle
Huppert, che aggiunge questo personaggio alla galleria di figure femminili
in nero già incarnate con perfetta alchimia in molte recenti opere del maestro
francese.
«Lei è diabolica» non manca di
rimarcare il marito pianista alla cerimonia del loro secondo matrimonio
sulla quale si apre il film (e primo
dei numerosi «ritorni» che lo attraversano), cogliendo quasi per scherzo quel
misto di seduzione e distruzione che
i modi composti e lo sguardo algido
e penetrante della consorte esprimono
e dissimulano al contempo. Proprietaria di una rinomata ditta produttrice
di cioccolato, Mika (così si fa chiamare
Marie-Claire, condensando il suo nome
doppio) è divisa fra impegno professionale e cura della famiglia: impeccabile
donna manager e premurosa padrona
di casa, dichiara (a proposito delle strategie di marketing, ma in perfetta assonanza col suo credo esistenziale) che
«salvare l’immagine è tutto». Proprio la
superficie impenetrabile (l’immagine,
appunto) che pare rivestire questo personaggio, ora di colori pastello ora
completamente di nero, gli dona una
complessità inattesa e mai completamente decifrabile. Distratta o calcolatrice, gelida o passionale, altruista o
diabolica, sofferente o insensibile? Difficile, se non impossibile, ridurre questo
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personaggio ipnotico («Sai addormenCome in uno specchio (non a caso
tare tutti!») a un’identità netta, ricon- una figura chiave di questo film, attradurre il suo agire a un movente definito verso la quale sono filtrate tutte le
e a uno scopo definitivo. «Non voglio testimonianze visive degli indizi del criche la gente soffra» dice Mika moti- mine), il passato torna identico: stessa
vando il suo sostegno ai centri anti- casa, stessa ora, stesso piede (il sinidolore, ma dichiara anche: «Invece di stro) «accidentalmente» ferito, stessa
amare, io dico ti amo e mi si crede... ho cura maniacale nel lavare subito i bicun grande potere nella mia vita: calcolo chieri cancellando ogni possibile tractutto».
cia. Come un rituale prescritto (la
La distinzione tra
cioccolata calda, tutti
fare del bene e fare
i giorni – e «la cioccodel male diventa labilata è compito mio»,
le, il confine pressoammonisce Mika), il
ché impercettibile, ma
delitto non può che
l’amoralità del persoripetersi identico ed
naggio non è tanto nel
è la ripetizione stessa
progettare, immaginache smaschera l’assasre (o forse solo assesino e che costruisce
condare) l’esecuzione
nello stesso tempo l’irdi un piano delittuoriducibilità a una spieIsabelle Huppert
so, ma nel non potergazione dell’assassinio.
ne fare a meno, nel
Una spiegazione che,
non riuscire cioè a non ri-fare ciò che nonostante le parole, rimane celata nel
ha saputo compiere una prima volta, lunghissimo primo piano gelido e pascome prigioniera di una perversa e qua- sionale di Isabelle Huppert che accomsi annoiata coazione a ripetere. «Passo pagna i titoli di coda. L’inquadratura
il tempo a rompere e sostituire» dice infine si allarga mostrando la tela del
Mika, suggerendo che nella sua reite- ragno e la protagonista, artefice e prirata distrazione almeno tanto quanto gioniera di questo geometrico e ancenel suo diabolico calcolo è racchiuso strale progetto di morte che si raccoglie
il segreto della sua natura (come lo in posizione fetale quasi a ritornare a
scorpione del Welles di Rapporto con- (dunque ripetere) quel momento origifidenziale, probabilmente anche Mika nario destinato a rimanere (a lei come
potrebbe provare a spiegare la sua logi- a noi) ignoto: «Nessuno mi ha fatta».
ca soltanto con la frase «non ne posso
fare a meno: è la mia natura»).
Matteo Columbo
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Itinerari Mediali
Gennaio-Febbraio 2001