Quando l`acqua manca

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Quando l`acqua manca
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Foto: Archivio VIS
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Foto: R. Siciliani
Una
donna anziana e
curva camminava lentamente sotto il
sole cocente di mezzogiorno. Era uscita dalla sua capanna, una ciotola in mano,
e dolcemente, con un sorriso largo che scopriva la sua
bocca sdentata mi disse:
«bevi straniero, è tutto quello che mi resta. Non piove
da più di un anno. Tutto
muore qui intorno a noi.
Quando anche l’ultima goccia d’acqua sarà consumata, noi insieme alle nostre
bestie e alle nostre piante
aspetteremo la morte. Per
questo bevi straniero e vattene lontano da questa terra maledetta. Vai dove c’è
l’acqua e racconti di noi».
Come dimenticare l’incontro con questa donna senza
età incontrata nelle steppe
aride dell’Etiopia durante
una delle tante siccità che
ciclicamente colpiscono l’Africa orientale e quella al di
sotto del Sahara.
In tanti muoiono per mancanza d’acqua nell’Africa
della galoppante desertificazione e delle catastrofiche carestie causate.
È in azione la natura ostile
ma anche l’incuria dell’uomo incapace di prevenire
l’avanzata del deserto e di
pianificare un’azione effica-
Quando
l’acqua manca
Jean Léonard Touadi
ce di contrasto. E le popola- non dicono niente alla
zioni abbandonate al loro maggioranza dei nostri lettori: sono località
triste destino
Quando
torna
duramente colpite
pregano il dio
dalla siccità negli
della pioggia a sgorgare
anni scorsi e contiche, per ades- l’acqua, bisogna
nuano a lottare
so, riesce solo farsi di corsa
per il diritto all’aca fare piovere una doccia e
qua e alla vita.
polvere secca
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Ma si muore ansu uomini e
bidoni perché
che per l’avvelebestie.
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no nomi che avvolge di nuovo del Niger.
i nostri rubinetti.
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Acqua
Foto: R. Siciliani
Per i bambini del villaggio
di Tibiri in Niger, la banale
azione di bere si è trasformata in una trappola mortale.
Tra il 1985 e il 2000, denuncia la Federazione internazionale dei diritti dell’uomo, 4000 bambini hanno bevuto acqua avvelena-
Ma si muore
anche per
l’avvelenamento
delle acque nei
rubinetti del
Niger. Per i
bambini del
villaggio di
Tibiri la banale
azione di bere
si è trasformata
in una trappola
mortale...
ta della “Societé Nationale
des Eaux”, impresa pubblica
ora privatizzata che non ha
saputo o potuto evitare l’utilizzo di sostanze tossiche nelle lavorazioni
delle acque. Il governo ha
riconosciuto “l’errore” e lo
stabilimento ha precipitosamente chiuso.
Ma intanto i bambini sono morti e
molti ancora lottano con patologie legate alle
malformazioni ossee.
Gli abitanti d’Algeri, la modernissima capitale dell’ex colonia francese del Maghreb, aspettano nel cuore della notte il
ritorno dell’acqua. Si lamenta Djamel, un giovane
quadro di una banca locale:
«l’acqua viene erogata un
giorno su tre. Nessuno sa
quando i rubinetti torneranno a vivere. Sono costretto a restare sveglio con
i rubinetti aperti. Quando
torna a sgorgare l’acqua, bisogna farsi di corsa una
doccia e riempire i bidoni
perché nel giro di tre ore il
silenzio avvolge di nuovo i
nostri rubinetti». Gli algerini hanno sperimentato tutto nel 2002: prima le inondazioni e poi la siccità. Sotto accusa il governo incapace di gestire l’approvvigionamento dell’acqua nella
capitale. L’unica diga che
alimenta Algeri di acqua
potabile accusa un deficit di
circa il 40% e non riesce a
soddisfare i bisogni di
600.000 m3 al dì degli abi-
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tanti costretti ad ascoltare il
silenzio dei rubinetti nel
cuore della notte.
E che dire degli abitanti di
Makoua, una cittadina a
circa 750 km da Brazzaville,
la capitale del Congo, a cavallo sull’equatore dove si
registra una pluviometria
altissima. Eppure a Makoua
si muore per la cattiva qualità dell’acqua laddove per
un investimento minimo in
impianti di purificazione e
d’erogazione si potrebbero
evitare alle popolazioni le
malattie legate all’insalubrità delle acque. Un paradosso insostenibile in una delle
zone più ricche d’acqua di
tutta l’Africa. E che dire ancora della straordinaria siccità che ha colpito il Nord
Italia quest’estate. Il fiume
più importante, il Po, che ha
raggiunto il suo livello più
basso costringendo le autorità a misure d’urgenza. Una
siccità settentrionale che si
aggiunge all’annosa penuria idrica del meridione dove da decenni l’agricoltura
e le popolazioni sono vittime del razionamento dell’acqua. Un’emergenza nazionale che dovrebbe ricordarci, se mai ce ne fosse bisogno, che l’accesso all’acqua è un problema che riguarda tutti, ricchi e poveri.
Foto: Severino Marcato/Periodici San Paolo
OTRI D’ACQUA NEL DESERTO DEL MALI SOPRA TIMBOUCTOU
Il paradosso dell’acqua e del diamante
ACQUA QUANTO CI COSTI?
Alcune considerazioni economiche
Roberto Sias
A
Roma il costo di un metro cubo di acqua potabile che sgorga dal
rubinetto di casa è di circa 0,11 euro per la fascia di consumo
agevolata e di 2,30 euro per la massima eccedenza. In pratica
viene applicata una tariffa a blocchi, la prima fascia di consumo costa
poco e con l’aumentare dell’uso aumenta anche il prezzo. È un sistema
equo. In molti villaggi della Somalia un metro cubo di acqua trasportata con carretti e di dubbia provenienza costa circa 8 euro, prezzo fisso!
Simile situazione tra i profughi eritrei che ritornano in patria e stazionano nei campi lungo il confine con il Sudan. Qualcuno si potrebbe chiedere come è possibile tanta disparità, specialmente se si considera il reddito annuale di una famiglia italiana con una africana. Oltre ad una
inammissibile ingiustizia planetaria, la spiegazione a tale domanda può
essere fornita da semplici concetti economici. In teoria, in una economia
di libero mercato i prezzi dovrebbero essere definiti dall’equilibrio tra
domanda e offerta. L’acqua però, anche in questo caso, non è propriamente regolare e si comporta in modo anomalo rispetto ad altri beni,
semplicemente perché non ha sostituti. Ad un uomo assetato nel deserto, il primo litro d’acqua può essere venduto a qualsiasi cifra perché ne
rappresenta la vita. Tanto più ne beve tanto meno è l’utilità che ne ottiene e il prezzo che è disposto a pagare per ogni litro aggiuntivo decresce
di conseguenza. In termini tecnici si chiama utilità marginale; per l’acqua questa utilità marginale è molto bassa. Al contrario del diamante
che pur non essendo un bene vitale ha dei costi elevatissimi sia che se
ne acquisti uno o cento, in quanto per ognuno c’è un’alta utilità marginale. È il paradosso dell’acqua e del diamante. L’acqua che è necessaria
per la vita ha un costo relativamente basso, mentre i diamanti hanno
costi esorbitanti nonostante non siano del tutto utili. È proprio qui che
risiede il rischio che si corre con la scarsità di acqua e la privatizzazione
dei servizi di approvvigionamento. Anzi il rischio è doppio. Da una parte
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ACQUA QUANTO CI COSTI?
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ci può essere la tendenza da parte del settore privato, il quale è ben
noto mira a fare i propri interessi finanziari, di mantenere bassa la disponibilità di acqua così da alzare l’utilità marginale e quindi i prezzi.
È quello che avviene in molti piccoli paesi africani dove, nonostante la
di-sponibilità di acqua nel sottosuolo, la produzione è controllata e mantenuta in quantità limitate. D’altra parte, il rischio può essere opposto.
Il produttore privato può essere tentato dall’innalzare quanto più possibile la quantità di acqua da vendere, in quanto il costo unitario di produzione si abbasserebbe e i guadagni aumenterebbero. Verrebbe così
incentivato l’uso, l’abuso e lo spreco. Questo però andrebbe a discapito
del bilancio idrico, in definitiva non si consumerebbe la stessa quantità
di acqua con cui le condizioni climatiche ricaricano le falde, con il conseguente impoverimento ambientale. Questo pericolo si presenta più
spesso nei Paesi avanzati e ricchi. Comunque sia, con la privatizzazione
dell’acqua ci sono grossi rischi etici e ambientali che rispecchiano le leggi
di mercato, il quale lascia spazio allo sfruttamento sconsiderato delle
risorse pubbliche, dell’ambiente e all’impoverimento delle fasce sociali
o popolazioni più deboli. Lasciare un bene pubblico nelle mani di chi
mercifica qualunque bene pur di fare soldi è cosa assai pericolosa.
A tal proposito è bene ricordare che a detta di eminenti storici dell’argomento, la mafia siciliana ha cominciato ad acquisire potere e svilupparsi proprio con il controllo dei pozzi e ancor oggi gran parte del mercato d’acqua in Sicilia è nelle loro mani. Se non si vuole parlare di mafia,
allora si può ricordare cosa succede a Riardo, un paese della Campania.
Da quando la sorgente del posto è stata data in concessione ad una
famosa casa produttrice di acqua minerale, la gente ne subisce il razionamento. Due milioni di litri prodotti e 2500 persone a secco, un tipico
caso di penuria causata dallo sfruttamento commerciale di una risorsa
collettiva, ricorda Marco Manunta nel sul libro “Fuori i Mercati
dall’Acqua”. È vero, sono solo esempi forse un po’ estremi, ma ciò non
toglie che l’entità dei possibili profitti di cui è fatta oggetto l’acqua siano
evidenti e appetibili. Specialmente per le grandi multinazionali americane, inglesi e soprattutto francesi che investono oggi per ottenere guadagni spropositati in futuro, nel momento in cui la risorsa scarseggerà.
Il prezzo dell’acqua salirà in modo impensabile e chi ne farà le spese
saranno i nostri figli o nipoti. Una alternativa strategica alle grandi compagnie private potrebbe essere la gestione delle risorse idriche e degli
acquedotti da parte delle organizzazioni senza fini di lucro supervisionate da organi di controllo rappresentanti i diversi gruppi di interesse e
a tutela degli utenti e dell’ambiente. Solo così si può sperare che l’acqua
rimanga fuori da vergognose speculazioni. E pensare che una volta un
bicchiere d’acqua non lo si negava a nessuno!
ggi, tecnici di una società privata installano in fretta dei contatori tra le casupole in lamiera di una delle periferie
più povere del mondo.
«Soffriamo molto, dice Ivy
Nuvuno, vogliono farci pagare l’acqua ma non abbiamo soldi. Dovrò condividere
un rubinetto con altre cento famiglie e recarmi ai bagni pubblici per fare la doccia. L’acqua è la nostra vita e
con quello che guadagno
non posso permettermela.
Come farò a sopravvivere?».
Una domanda che angoscia
milioni di persone e di famiglie alle prese con la tendenza mondiale alla privatizzazione della “filiera idrica”. Il mercato mondiale dell’acqua sta diventando uno
degli affari più appetibili del
secolo. Le prospettive d’investimento in questo settore
sono valutate in forte crescita, si parla di centinaia di miliardi di dollari. Un business
che alimenterà sempre più
tensioni sociali e lotte interstatali. L’orientamento verso
la considerazione dell’acqua
come bisogno e non come
diritto. Un rapporto di Paul
Lewis del 1997. “UN report
warns of problems over
dwindling water supplies”
indicava che «occorre un approccio orientato verso il
mercato per gestire l’ap-
O