Anteprima - Italus Hortus

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Anteprima - Italus Hortus
Review n. 6 – Italus Hortus 14 (4), 2007: 47-57
La propagazione del carciofo: vivaismo e innovazione tecnologica
Irene Morone-Fortunato*
Dipartimento Scienze Produzioni Vegetali, Università di Bari, via Amendola 165a, 70125 Bari
Ricevuto: 1 dicembre 2006; accettato: 16 agosto 2007
Artichoke propagation: nursery and
innovative technology
adopted in Italy, the up-to-date F1 hybrids studies are
shortly mentioned.
Abstract. Artichokes are characterised by a high
level of heterozygosis which is typical of the cultivars
that are cultivated at present. This high level of heterozygosis is visible in ”seeds” propagated strain
through a wide morphological and biological variability. For this reason, the vegetative propagation is used
and the implant is carried out using offshoots, ovoli
and crown segments taken from fields used for the
production of yield heads. This technique, widely used
by farmers, has several serious disadvantages such
as phytosanitary conditions, the uniformity of the artichokes and a limited knowledge of source material.
Moreover, traditional propagation does not allow for a
mechanization of artichoke planting. If carried out by
hand, the system costs are further increased by the
low index of survival by traditional propagation and by
an high degree of heterogeneity.
Seed propagation could be a useful alternative in
rationalizing growing techniques and improving the
phytosanitary condition of the plants. As a result,
studies to obtain hybrid seeds on a commercial level
have carried out. However, hybrid cultivars usually
yield in spring and recently also in autumn. Cultivated
for industry and for the fresh market, they are not particularly widespread as they are not considered suitable for Italian consumers. Consequently, today the
most commonly used propagation material comes
from vegetative propagation. The improvement and
rationalization of artichoke propagation systems must
be carried out through the use of appropriate nursery
production which defines the protocols used to produce plantlets for transplant.
The main results of the propagation field are presented in this note. At first, the results concerning the different ways of using the traditional – “ rooting offshoots and ovoli ” – and innovative – “micropropagation” and “soilless propagation” – technologies are
shown. Afterward, a remark about the value of
biotechnology to this plant propagation is given
together with its main role in nursery production.
Finally, after a brief evaluation of seed propagation
advantages and of the reasons why it isn’t wildely
Key words: seed, offshoots, ovoli, micropropagation, mychorrizal symbiosis.
*
[email protected]
Introduzione
Il carciofo (Cynara cardunculus L. var. scolymus
Fiori) è pianta tipicamente mediterranea. Secondo
alcuni autori era già conosciuta al tempo dei Romani.
Altri riportano la sua diffusione in Italia, come pianta
coltivata, nel XV secolo. Certo, la constatazione che i
termini utilizzati per indicare la pianta del carciofo
abbiano, in tutte le principali lingue europee, origine
etimologica nelle denominazioni volgari con cui essa
è solitamente chiamata nel nostro paese, sembra essere una dimostrazione indiretta che la diffusione di
questa specie in Europa sia partita dall’Italia. La ricchezza del suo germoplasma è stata oggetto di classificazioni accurate basate su caratteri morfologici e
produttivi (Dellacecca et al., 1976).
Le diverse varietà sono raggruppate, in base alle
loro caratteristiche (larghezza, peso e forma del capolino principale, precocità, periodo delle raccolte, lunghezza del peduncolo, spinescenza delle brattee e
delle foglie, forma dell’apice delle brattee e colore
della lamina inferiore della foglia), in 4 tipi varietali:
‘Spinosi’, ‘Violetti’, ‘Catanesi’, ‘Romaneschi’
(Porceddu et al., 1976); oppure sono classificate in
base alla sola epoca di raccolta: “precoci” o “rifiorenti”, con produzione tra l’autunno e la primavera, e
“tardivi” o “non rifiorenti”, con produzioni primaverili (Mauromicale e Ierna, 2000).
La moltiplicazione del carciofo si effettua abitualmente per via vegetativa in quanto le piante nate da
seme non mantengono le caratteristiche specifiche
della varietà, sono tardive e molto spesso non qualitativamente valide. Per questo motivo, si fa ricorso alla
propagazione vegetativa e l’impianto viene effettuato
tramite carducci, ovoli e parti di ceppaia, prelevati in
campi destinati alla produzione di capolini. Tale tecnica, ampiamente utilizzata dagli agricoltori, presenta
notevoli svantaggi di ordine fitosanitario e di unifor47
Morone-Fortunato
mità della coltura per la scarsa conoscenza del materiale di provenienza.
La propagazione tradizionale, inoltre, non consente
di meccanizzare le operazioni di impianto della carciofaia che è affidata di fatto alla mano dell’uomo.
Tutto ciò, insieme al basso indice di attecchimento
degli organi di moltiplicazione tradizionali ed alla eterogeneità nell’emergenza, fa lievitare i costi di
impianto (Mauromicale et al., 2003).
Allo stato attuale, quindi, il materiale di propagazione risulta proveniente da propagazione vegetativa e
la possibilità di miglioramento e razionalizzazione del
sistema di moltiplicazione del carciofo deve passare
attraverso un’idonea attività vivaistica con la messa a
punto di protocolli di produzione di piantine da trapianto, come ormai avviene per la gran parte delle
colture ortive da pieno campo.
Tra i vantaggi forniti dalla produzione commerciale
delle piantine vanno segnalati: la sicurezza della cultivar, la disponibilità del materiale nel periodo desiderato, l’uniformità di dimensione e, considerate le certificazioni sanitarie, il minor rischio di allestire la coltura
con piante infette (Gianquinto e Magnifico, 2003).
L’assenza, per il carciofo, di una vera attività
vivaistica ha comportato una serie di problemi di
natura tecnica e commerciale; questi problemi hanno
determinato una tendenza riduttiva dell’estensione
della coltura, in particolar modo nelle regioni meridionali. La rilevanza di tali tematiche è stata sottolineata dal Ministero delle Politiche Agrarie e Forestali
(MiPAF) attraverso il finanziamento del progetto
nazionale “Carciofo”, a partire dal 2002. In questa
nota si riportano risultati di ricerche prodotte in gran
parte con i finanziamenti del suddetto progetto, tese al
miglioramento del materiale di propagazione allo
scopo di una possibile attività vivaistica.
Riproduzione agamica
La propagazione vegetativa del carciofo utilizza
organi che, per la notevole varietà, costituiscono un
ostacolo ai fini di una corretta tecnica agronomica. Le
complesse relazioni che intercorrono tra clima, ciclo
colturale e varietà condizionano infatti l’epoca di differenziazione dei diversi organi. E’ presumibile che
gli organi di moltiplicazione, diversi per dimensioni e
numero di foglie, esercitino una diretta influenza sul
comportamento biologico e produttivo delle piante
alle quali danno origine (La Malfa e Foury, 1976). E’
nota la perdita di qualità del materiale di propagazione dovuta ai metodi tradizionali che impiegano carducci, ovuli o zampe prelevati in campi destinati alla
produzione di capolini.
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Appare, quindi, quanto mai opportuno un miglioramento ed una razionalizzazione del sistema di moltiplicazione del carciofo a propagazione vegetativa al
fine di una corretta attività vivaistica (Mauromicale et
al., 2004). Vari ricercatori hanno affrontato tematiche
diverse riguardanti le modalità di utilizzo sia di tecnologie tradizionali -quali la propagazione per carducci
e ovoli radicati in vivaio- che di tecnologie innovative
quali la micropropagazione e la moltiplicazione in
fuori suolo.
Carducci e ovoli radicati in vivaio
La definizione di carduccio recita: “germoglio
ascellare più o meno sviluppato, possibilmente con
una porzione di radice, staccato dalla pianta madre
durante il periodo di attività vegetativa. E’ sempre
provvisto di foglie, la cui parte distale viene tagliata
al momento dell’impianto”.
Gli ovoli sono germogli ascellari quiescenti che si
prelevano dalla pianta-madre in estate durante la fase
di riposo della carciofaia. Questo materiale di propagazione viene frequentemente utilizzato per l’impianto durante l’estate della carciofaia nelle zone irrigue
meridionali.
Le possibilità di utilizzo di questi materiali, a fini
vivaistici, sono essenzialmente riconducibili a problematiche legate a tre momenti della loro produzione:
• ottenimento di materiale omogeneo per età e
accrescimento;
• prontezza di emissione ed efficienza dell’apparato
radicale;
• contenitori e substrati.
L’uniformità fisiologica degli organi di moltiplicazione viene perseguita tramite l’asportazione della
frazione epigea della pianta madre. Le tecniche messe
a punto possono consentire di ottenere l’emissione di
germogli in qualsiasi periodo dell’anno, consentendo
così una produzione di piantine e/o ovoli a basso
costo svincolata dalla stagionalità, dunque una
miglior articolazione dei calendari di impianto delle
carciofaie (Mauromicale et al., 2003, 2004; Mallica et
al., 2004).
La capacità di assorbimento dell’apparato radicale
è essenzialmente legata alla morfologia radicale,
infatti le zone pilifere sono le uniche delegate all’assorbimento e, come noto, rappresentano solo una piccola percentuale dell’apparato radicale (zona di struttura primaria sovrastante gli apici radicali) per cui la
capacità di assorbimento radicale è fortemente condizionata dal numero di apici radicali. È noto come l’inoculo micorrizico possa incrementare lo sviluppo
dell’apparato radicale (Giovanetti, 2006). Conferme
positive sono state ottenute inoculando carducci di
La propagazione del carciofo
carciofo con Glomus viscosum ceppo A6. L’inoculo
micorrizico favorisce l’attecchimento dei carducci e
determina un più rapido sviluppo dell’apparato radicale (fig. 1 e tab.1) (Morone-Fortunato e Ancora, 2003;
Morone-Fortunato et al., 2004a).
Indispensabili per una produzione vivaistica su
scala industriale risultano le problematiche relative ai
contenitori e ai substrati. Nel vivaismo orticolo prevale la scelta dei vassoi di polistirolo espanso, che risultano adatti al trasporto ed alla manipolazione in
campo, ottimizzando così le esigenze economiche e
tecnico-colturali.
Importanti per la radicazione dei carducci risultano
le caratteristiche del substrato; esse devono assicurare
la giusta umidità, aerazione e contenuto di elementi
minerali al fine di un adeguato accrescimento dell’apparato radicale.
La radicazione in contenitori alveolari risulta
dipendente dalla dimensione del carduccio (2-3 cm)
ed è positivamente influenzata da basse densità (240
piantine/m2, 40 alveoli) e dal tipo di substrato, che
deve risultare capace di assicurare un’alta e costante
riserva d’acqua (Tesi et al., 2004).
Micropropagazione
La proliferazione per gemme ascellari è il metodo
attualmente più diffuso per la moltiplicazione vegetativa in vitro. Questo non è propriamente un fenomeno
rigenerativo, poiché i meristemi organizzati delle
gemme ascellari sono strutture già naturalmente predi-
A
B
Fig. 1 - Radicazione in vivaio di carducci: a) controllo; b)
simbiosi micorrizica.
Fig. 1 - In nursery offshoots rooting: a) control; b) mycorrhizal
symbiosis.
Tab. 1 - Caratteri morfo-fisiologici di carducci di carciofo
[Cynara cardunculus L. var. scolymus (L.) cv Catanese] sottoposti
a trattamenti diversi. I valori rappresentano la media di cinque
piante. Per ciascun parametro lettere diverse indicano valori
statisticamente significativi per p≤0,05 (test di Duncan).
Tab. 1 - Morpho-physiological characters of artichoke offshoots
[Cynara cardunculus L. var. scolymus (L.) cv Catanese]
subordinate to different treatments. Values represent the average
of 5 plants. For each growth parameter different letters indicate
statistically significant value at p≤0.05 (Duncan test).
Trattamenti
Radici
(n)
Radice*
(cm)
Gemme
(n)
Attecchimento
(%)
Controllo
Mic+
IAA
IBA
NAA
10,0b
19,8a
13,6ab
15,0ab
8,4b
60,1b
193,0a
92,9b
108,8b
52,7b
1a
1,8a
1a
1a
1,4a
65
100
85
60
45
*Lunghezza totale
sposte alla produzione di germogli (Fahn, 1974). La
coltura in vitro, in pratica, non fa altro che sfruttare la
presenza delle gemme, stimolandone il più possibile il
germogliamento con opportuni dosaggi nutrizionali
ed ormonali tendenti ad eliminare la dominanza apicale. Il comportamento in vitro è, in aggiunta, una
caratteristica legata al genotipo, così che spesso cultivar della stessa specie presentano una diversa attitudine in vitro (Hartmann e Kester, 2002).
Nel carciofo, il carattere precocità viene classificato fra i caratteri a genetica complessa (Porceddu et al.,
1976) e ciò giustificherebbe il diverso comportamento
in vitro delle due tipologie “tardivo” e “precoce”.
La prima attività vivaistica per il carciofo nasce
negli anni ’80. In quegli anni le biotecnologie, come
la micropropagazione, venivano sempre più applicate
alla propagazione su larga scala delle piante di interesse agrario.
Esempio di interazione fra strutture di ricerca
(ENEA) e territorio (Cerveteri, Ladispoli) (Cantale et
al., 2004) è l’utilizzo di piantine micropropagate di
carciofo (Ancora, 1986; Ancora e Saccardo, 1987),
tutt’oggi una realtà che ha consentito la moltiplicazione e la distribuzione agli agricoltori di cloni di diverse
cultivar tardive. Prova ne è la costituzione di cloni di
carciofo ‘Romanesco’, il C3, ed altri di nuova costituzione come il Terom, il Tema 2000, il Grato 1 e 2.
Tale tecnologia è restata, però, relegata alle sole cultivar tardive; più complesse si sono rivelate le problematiche relative alla micropropagazione di tipologie
precoci di carciofo, sia in relazione alle fasi di radicazione e ambientamento sia per le difficoltà riscontrate
nella coltivazione in pien’aria.
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Morone-Fortunato
Micropropagazione di tipologie precoci di carciofo
mediterraneo
È stato più volte ribadito che la radicazione in
vitro e l’ambientamento in serra costituiscono stadi
critici per il protocollo della coltura in vitro delle tipologie precoci di carciofo (Ancora et al., 1981; Bigot e
Foury, 1984; Lauzer e Vieth, 1990; Rossi e De Paoli,
1992; Morone-Fortunato et al., 2005).
La fase di radicazione è la fase conclusiva della
micropropagazione con l’ottenimento di una piantina
morfologicamente completa. Uno dei problemi è
determinato dalla constatazione che solo un ridotto
numero di germogli proliferati in vitro radica. Durante
la fase di ambientamento, inoltre, si perde gran parte
della produzione di piantine micropropagate per lo
stress determinato dal trasferimento dalla coltura in
vitro alla serra di ambientamento. Un’altra problematica è legata al comportamento in campo delle piantine; spesso, infatti, le piantine micropropagate ritardano la produzione nella coltivazione in pien’aria, evento accompagnato da variazione fenotipica e già menzionato da Pécaut e Martin (1993) su quattro varietà
di carciofo precoce.
Questi inconvenienti hanno determinato la perdita
di efficienza del sistema e un disinteresse per l’applicazione della micropropagazione alle cultivar precoci
di carciofo.
In conclusione, la messa a punto del protocollo di
micropropagazione ha dovuto risolvere problemi differenti che si presentano nei tre ambienti di produzione:
• in vitro: radicazione;
• in serra di ambientamento: attecchimento;
• in campo: precocità.
In vitro. La rizogenesi viene stimolata in vitro dall’auxina (Harbaouy e Deberg, 1980; Draoui et al.,
1993; Tavazza et al., 2004; Morone-Fortunato et al.,
2005) o dall’acido gibberellico (Morzadec e
Hourmant, 1997) ed agevolata da condizioni complementari come la percentuale di saccarosio (MoroneFortunato e Ruta 2003; Tavazza et al., 2004), l’aggiunta di carbone attivo (Bigot e Foury, 1984) o di
ciclodextrine (Brutti et al., 2000; Cavallaro et al.,
2004), il tipo della componente inerte e la dimensione
della piantina (Morone-Fortunato e Ruta, 2003;
Morone-Fortunato et al., 2005). Le gemme ascellari
prodotte in fase di moltiplicazione, accresciute fino a
una dimensione ≥ 7cm (fig. 2), sono state separate e
trasferite su substrati che si sono differenziati per il
tipo e la concentrazione delle auxine, per la percentuale di saccarosio e per la componente inerte (agar,
perlite, lana di roccia e vermiculite). Gli autori concludono che la radicazione nel carciofo è agevolata da
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Fig. 2 - Moltiplicazione in vitro.
Fig. 2 - In vitro shoots multiplication.
una maggiore concentrazione di saccarosio (30%),
dall’utilizzo di agar come componente inerte e dalla
presenza nel mezzo di acido indolacetico (IAA 10 mg
l-1). L’effetto dell’IAA a concentrazioni elevate e il
diverso comportamento rispetto ad altri tipi di auxine
(acido naftalenacetico, NAA; acido indolbutirrico,
IBA) è la conseguenza delle sue caratteristiche di
foto-labilità e quindi della sua parziale inattivazione
alla luce (Morone-Fortunato et al., 2005; Hartmann e
Kester, 2002).
Serra di ambientamento. La fase di ambientamento rappresenta un notevole trauma per la piantina
micropropagata, anche se questa è completamente
formata, cioè provvista di fusto, foglie e radici. Il carciofo precoce ha sempre presentato una particolare
delicatezza nella fase di trapianto: infatti, a causa
della scarsa sopravvivenza durante l’ambientamento,
si può perdere anche il 60% della produzione ottenuta
in vitro. Purtroppo sulla perdita delle piantine in
ambientamento gravano praticamente tutti i costi di
produzione con forte aggravio sul prezzo di vendita
della piantina finita. Le cause di tale comportamento
vanno ricercate nelle caratteristiche proprie delle
piantine prodotte in vitro che, anche se morfologicamente ben formate, di fatto non hanno ancora un normale funzionamento. Infatti, queste piantine, a causa
delle condizioni in cui si differenziano (bassa intensità luminosa, grande disponibilità di acqua, sali
minerali e saccarosio, umidità di saturazione), sono
poco efficienti e quando trasferite in serra di ambientamento devono attivare tutti quei meccanismi indispensabili per la sopravvivenza (traspirazione, fotosintesi, efficienza radicale). Durante l’ambientamento, quindi, oltre a limitare la traspirazione con impianti di nebulizzazione ed ombreggiamento, si dovrà
intervenire per stimolare l’efficienza e l’accrescimento dell’apparato radicale. Le micorrize rivestono un
La propagazione del carciofo
importante ruolo per la funzionalità dell’apparato
radicale delle piante, comprese quelle micropropagate. Il carciofo micropropagato risulta molto sensibile
alla micorrizazione. È dimostrato come la micorrizazione effettuata nella fase di ambientamento in vivaio
induca cambiamenti positivi nel modello di sviluppo
delle piantine di carciofo precoce micropropagato
(Morone-Fortunato et al., 2005; Ruta et al., 2005). Le
piantine micorrizate fanno registrare percentuali di
attecchimento molto più elevate (90-95 %) rispetto a
quelle non micorrizate (30-35 %); inoltre, le piantine
micorrizate si accrescono più velocemente e si presentano significativamente più rigogliose e robuste di
quelle non micorrizate e con apparato radicale maggiormente sviluppato (fig. 3).
In campo La perdita di precocità che si verifica al
trapianto in campo è caratteristica presente anche in
piante non micropropagate ed è già stata segnalata in
letteratura (Iannaccone, 1969; Dellacecca e Bianco,
1969). Questi studi associano il comportamento in
campo (precoce/tardivo) di carducci / ovoli alla posizione sulla ceppaia. Studi tesi a valutare tale ipotesi
per le piantine micropropagate (Cadinu et al., 2003)
hanno evidenziato l’instaurarsi di forme selvatiche
indipendentemente dalla posizione della gemma sulla
ceppaia. Queste osservazioni evidenziano l’instabilità
del meristema apicale del germoglio di carciofo. È
noto che i meristemi apicali di germoglio risultano
più stabili in vitro se contengono oltre al meristema
apicale (promeristema) anche la zona di meristemi le
cui cellule sono chiaramente determinate verso un
tipo di differenziamento (protoderma, procambio,
meristema fondamentale). È quindi presumibile che il
meristema apicale di germoglio del carciofo precoce
A
B
sia poco stabile e che la sua stabilità possa aumentare
con la dimensione dell’espianto. Quindi, in piante
poco stabili, come il carciofo, la frequenza con cui si
presentano le forme mutate sarà direttamente dipendente dalle dimensioni dell’espianto e naturalmente
dal numero di subcolture (il tasso di moltiplicazione
all’aumentare delle subcolture segue l’andamento di
una funzione esponenziale). Pécaut e Martin (1991)
hanno osservato su diverse tipologie di carciofo precoce (Violetto di Provenza, Liscio sardo precocissimo, Niscemese, Tudela) che il metodo di micropropagazione induce una variazione stabile “tardiva” da
loro chiamata “pastel plants”. L’aumento della
dimensione dell’espianto (3mm) e la riduzione del
numero di subculture (3-4) riduce fortemente la percentuale di “pastel plants” (9%). È stato recentemente
provato che il clone di carciofo cv Catanese micropropagato, trasferito in pien’aria, mantiene le caratteristiche morfologiche e di precocità se gli espianti (5-6
mm) vengono sottoposti ad un basso numero di subculture (3-4) in fase di proliferazione (Ruta et al.,
2007). I risultati evidenziano che già nel primo anno,
in riferimento alla data d’impianto, il clone mostra
un’elevata potenzialità produttiva. Gli autori, dopo
aver valutato l’andamento del ciclo ontogenetico (fig.
4), concludono che il clone prodotto presenta uniformità fenotipica e comportamentale e conferma le
caratteristiche della cultivar originale (fig. 5; tabb. 2 e
3) sia per l’andamento del ciclo ontogenetico
(Morone-Fortunato et al., 1981a, b) sia per le caratteristiche produttive e morfologiche (Dellacecca et al.,
1976). I dati rilevati provano l’efficienza del materiale
di propagazione ottenuto in vitro e la possibilità di
adottare questa tecnica nelle tipologie di carciofo precoce. I dati, inoltre, confermano l’esistenza di cooperazione tra i due approcci biotecnologici (micropropagazione e micorrizazione), che si estrinseca nella produzione di un eccellente materiale di propagazione.
Moltiplicazione in fuori suolo e produzione di ovoli
Fig. 3 - Apparati radicali di carciofo micropropagato micorrizati
(b) e non (a) a 60 giorni dal trapianto in vivaio.
Fig. 3 - Not-inoculated (a) and inoculated (b) roots of
micropropagated artichoke at 60 days after transplant in nursery.
Nonostante i notevoli vantaggi che si possono trarre, la micropropagazione del carciofo presenta ancor
oggi degli inconvenienti a causa del ridotto numero di
subcolture. L’elevato costo delle piantine spesso scoraggia gli agricoltori nell’impiego delle stesse per la
costituzione di nuove carciofaie. Per ridurre i costi è
stata valutata la possibilità di abbinare i vantaggi della
coltura in vitro a quelli di tecniche tradizionali quali la
produzione di carducci o di ovoli. Le due tecniche
proposte utilizzano piante micropropagate come piante madri e sfruttano la capacità di produrre rispettivamente carducci o ovoli. Gli ambienti di produzione
51
Morone-Fortunato
*trans/diff: 50%apici in transizione/50% apici in differenziazione.
**matur.comm: maturazione commerciale 1° raccolta.
Fig. 4 - Stadi istologici del ciclo ontogenetico. Cynara cardunculus L.var. scolymus(L.) cv Catanese: piante micropropagate e inoculate in
ambientamento con Glomus viscosum (trattato); piante micropropagate (testimone).
Fig. 4 - Histological study of ontogenetic cycle. Cynara cardunculus L.var. scolymus(L.) cv Catanese: micropropagated plants inoculated
at acclimatisation with Glomus viscosum (treated); micropropagated plants (test).
sono rispettivamente il fuori suolo per la moltiplicazione in fuori suolo ed il pieno campo per la produzione di ovoli.
Cardarelli et al. (2005a) descrivono un sistema
innovativo per la produzione su larga scala di piantine
di carciofo tramite “moltiplicazione in fuori suolo”.
La tecnica consiste di quattro fasi:
• coltivazione in fuori suolo di piante madri micropropagate;
• trattamento periodico con 6-benzylamino purina
(BAP) e capitozzatura delle piante madri;
• raccolta periodica dei carducci e frigoconservazione;
Fig. 5 - Caratteristiche morfologiche del capolino di Cynara cardunculus L. var. scolymus (L.) cv Catanese. Piante micropropagate e
inoculate in ambientamento con Glomus viscosum.
Fig. 5 - Morphological characteristics of Cynara cardunculus L. var. scolymus (L.) cv Catanese head. Micropropagated plants inoculated
at acclimatisation with Glomus viscosum.
52
La propagazione del carciofo
Tab. 2 - Capolino: caratteristiche morfologiche. Cynara
cardunculus L. var. scolymus (L.) cv Catanese. I valori
rappresentano la media di cinquanta capolini.
Tab. 2 - Head: morphological characteristics. Cynara
cardunculus L. var. scolymus (L.) cv Catanese. Values represent
the average of 50 heads.
Valori
Media
Minimo
Massimo
Dev. Std.
Altezza
(cm)
Diametro
(cm)
Brattee h
(cm)
Brattee l
(cm)
12,87
10,5
15,5
1,42
6,56
5,3
7,8
0,68
6,12
5,62
6,56
0,35
3,8
2,84
4,56
0,56
Alla coltivazione ordinaria vengono destinati gli ovoli
generati dalle piante micropropagate, contenendo così
i costi di impianto. Inoltre, sottoponendo gli ovoli al
pre-germogliamento, è possibile selezionare il materiale prima della messa a dimora. Si ottengono così
carciofaie più produttive (+31 %) e con bassa incidenza di fenotipi selvatici (Frau et al., 2004).
Limiti e caratteristiche delle tecnologie di propagazione
• radicazione e produzione di piantine a radice protetta.
I risultati evidenziano come l’applicazione fogliare
di citochinine (6-BAP nella concentrazione di 200 mg
l-1) incrementi quadraticamente il numero dei carducci. La percentuale di talee radicate aumenta con l’aumentare della classe di peso (30-45 g) e della concentrazione del trattamento basale con acido naftalenacetico (NAA 2.000 mg l-1), mentre decresce fra 60 e 150
giorni dalla conservazione a 2 °C. Prove di confronto
tra il materiale di propagazione così prodotto e i normali carducci utilizzati dagli agricoltori hanno evidenziato come il ciclo di moltiplicazione fuori suolo non
alteri le caratteristiche delle piantine (Cardarelli et al.,
2005b).
Le piantine così prodotte risultano qualitativamente superiori a quelle ottenute con la tecnica tradizionale. Utilizzando questa tecnica si mantengono tutte le
caratteristiche qualitative delle piantine provenienti da
coltura in vitro: assenza di parassiti (insetti, acari
nematodi) patogeni (funghi, batteri), di virus, se le
piante madri micropropagate sono virus-esenti (Barba
et al., 2003; Gallitelli et al., 2006). Tutti aspetti fondamentali per la certificazione del materiale vivaistico. Inoltre, una preliminare analisi economica ha evidenziato la convenienza della tecnica proposta rispetto alla sola micropropagazione (Cardarelli et al.,
2005b; Albani et al., 2006).
Parallelamente, per la produzione di ovoli, piante
micropropagate di cloni selezionati vengono mantenute in allevamento esclusivamente come piante madri.
Il protocollo di produzione per carducci e ovoli
radicati risulta quello più vicino a quello tradizionale
e porta alla produzione di piantine radicate. La possibilità di ottenere l’emissione di germogli in qualsiasi
periodo dell’anno potrà consentire di svincolare la
produzione di piantine dalla stagionalità, consentendo
una maggiore articolazione nei calendari di impianto
della carciofaia (Mauromicale et al., 2004). Numerosi
sono i vantaggi, dalla economicità degli impianti, alla
semplicità di conduzione ed ai costi contenuti delle
piantine; tuttavia le piantine, pur migliorate da un
punto di vista sanitario, restano sempre soggette alle
caratteristiche dell’ambiente di produzione.
Il protocollo di micropropagazione è caratterizzato dalla produzione diretta di piantine da trapianto.
La tecnica, migliorata con l’utilizzo della micorrizazione, presenta i vantaggi tipici della propagazione
in vitro: risanamento da infezioni patogene provocate da batteri o funghi; miniaturizzazione dei germogli, che permette di occupare spazi molto ridotti;
produzione svincolata dall’andamento stagionale in
quanto eseguita in ambiente completamente condizionato; uniformità delle piantine riprodotte, più
rispondenti alle esigenze dei vivaisti e, alla fine, dei
coltivatori.
Questi vantaggi restano limitati dai tassi di moltiplicazione, assimilabili all’andamento di una funzione
esponenziale del tipo f=zn, in cui:
z = numero potenziale di germogli da una gemma per
subcoltura;
n = numero di subculture.
Il protocollo di produzione per la moltiplicazione
Tab. 3 - Capolini: caratteristiche produttive. Cynara cardunculus L. var. scolymus (L.) cv Catanese. Media di cinquanta capolini.
Tab. 3 - Heads: productive characteristics. Cynara cardunculus L. var. scolymus (L.) cv Catanese. Average of 50 heads.
Valori
Media
Minimo
Massimo
Dev. Std.
Capolini / pianta
(n)
Peso fresco
(g)
Peso secco
(g)
7,53
5,01
11,01
1,62
145,17
92,68
215,69
32,26
6,12
5,62
6,56
0,35
Spessore ricettacolo Peso fresco edule
(cm)
(g)
1,13
0,8
2,01
0,18
62,22
38,44
96,53
13,51
Peso secco edule
(g)
10,38
5,69
18,73
3,02
53
Morone-Fortunato
fuori suolo permette di contenere i costi riunendo i
vantaggi delle piantine micropropagate con quelli
della produzione di carducci. In questa tecnica il
micropropagato viene utilizzato come materiale di
partenza che, opportunamente mantenuto in fuori
suolo tramite periodici trattamenti chimici e meccanici, promuove l’emissione di carducci. Questi ultimi,
previa frigoconservazione e/o radicazione, vengono
utilizzati per una produzione programmata di piantine
a radice protetta.
Importanza delle biotecnologie per la propagazione del carciofo
Sembra opportuno evidenziare essenzialmente
alcuni dei risultati delle ricerche esposte. In primo
luogo la micorrizazione è molto importante nell’accrescimento degli apparati radicali del carciofo.
Infatti, sia le piantine micropropagate sia i carducci
risultano sensibili all’inoculo. I valori dei principali
parametri di accrescimento sono risultati sempre
superiori nelle piante inoculate, quindi, alla fine della
fase di allevamento in vivaio, i requisiti bio-agronomici delle piante micorrizate sono sicuramente superiori e tali da considerare le stesse di qualità più elevata.
Le alte percentuali di attecchimento del materiale
micorrizato (piantine micropropagate e/o carducci)
rispetto a quello non micorrizato evidenziano l’efficienza della simbiosi in carciofo (Morone Fortunato et
al., 2004a, b). Numerose ricerche riportano variazioni
sul grado di ramificazione e sulle dimensioni delle
radici micorrizate.
Poichè le modificazioni morfologiche e fisiologiche indotte dal fungo sulle piante di carciofo hanno
determinato un più elevato rapporto radici/germoglio,
tale fattore è probabilmente responsabile dell’incremento del potenziale di accrescimento della pianta. E’
possibile ipotizzare che l’utilizzo della tecnica di
micorrizazione possa favorire un migliore assorbimento di acqua e nutrienti da utilizzare per l’accrescimento della pianta (Morone Fortunato et al., 2004c).
Le micorrize assumono il carattere di vere e proprie simbiosi mutualistiche da cui entrambi i partner
(uno autotrofo per il carbonio, la pianta, e l’altro eterotrofo, il fungo) traggono ampi benefici che si concretizzano macroscopicamente in un più rigoglioso
sviluppo della pianta nel suo complesso. Inoltre la
valenza ecologica dei due simbionti risulta di gran
lunga aumentata, in particolare nei terreni poveri di
elementi minerali.
I microrganismi biofertilizzanti più importanti
sono rappresentati dai funghi micorrizici arbuscolari
54
(MA). I funghi MA sono considerati elementi fondamentali per la nutrizione delle piante, poiché le loro
ife sono capaci di estendersi per molti metri nel terreno e di assorbire e traslocare alle radici sia i macro sia
i micronutrienti presenti nel suolo.
Le piantine di carciofo inoculate in vivaio e trasferite in campo portano con sé i simbionti che, oltre agli
effetti positivi sulle piante, determinano un maggiore
accrescimento ed una maggiore tolleranza verso attacchi fungini, anche devastanti quali la verticilliosi
(Ciccarese et al., 2006). In cooperazione con altri
microrganismi del suolo, inoltre, il micelio micorrizico esterno forma degli aggregati resistenti all’acqua
che sono necessari per una buona qualità dello strato
di suolo coltivabile. Le piantine così ottenute risultano perciò idonee anche per protocolli colturali ecosostenibili a basso impatto ambientale.
In secondo luogo, bisogna tener conto che l’attività vivaistica, in ottemperanza alle disposizioni
vigenti (D.M. 14.4. 1997, pubblicato sul S.O. n. 112
G.U. n. 126 del 2.6.97), impone la commercializzazione di materiale di moltiplicazione vegetale esente
dai patogeni riportati nell’allegato I dello stesso
decreto. D’altra parte l’attuale stato sanitario del germoplasma del carciofo è seriamente compromesso,
soprattutto da alcune infezioni virali quali quella
indotta dal virus latente del carciofo (ArLV), dal virus
latente Italiano del carciofo (AILV) e dal virus dell’avvizzimento maculato del pomodoro (TSWV),
virus non ugualmente diffusi in tutte le aree cinaricole, ma assai dannosi, e tutti elencati nel decreto
(Gallitelli et al., 2006).
La produzione di giovani piantine di questa specie
rispondenti alle attuali norme fitosanitarie, quindi idonee per sviluppare una possibile attività vivaistica,
impone necessariamente il risanamento del germoplasma di carciofo. Con questo presupposto assumono
grande importanza per il carciofo quelle tecniche che
possono garantire il mantenimento delle caratteristiche sanitarie.
La micropropagazione, fra le varie tecniche propagative, è l’unica in grado di garantire il mantenimento
di tutte le caratteristiche sanitarie e, in particolare, la
virus-esenza. Di fatto, le piantine risanate virus-esenti
ottenute tramite termoterapia e/o coltura di meristemi
possono essere incrementate quantitativamente in perfetta sicurezza tramite la micropropagazione.
L’acquisizione di un protocollo di micropropagazione
anche per le cultivar precoci risulta di notevole
importanza allo scopo di una efficiente attività vivaisica.
L’uso di piantine a radice protetta, così prodotte,
rappresenta una valida alternativa per il miglioramen-
La propagazione del carciofo
to qualitativo delle carciofaie e l’utilizzo di funghi
micorrizici può rappresentare una valida strategia per
incrementare la tolleranza agli stress biotici e abiotici
oltre che a migliorare le capacità di assorbimento dei
sali minerali, rendendo il materiale utilizzabile in
sistemi a basso impatto ambientale per una agricoltura
ecosostenibile.
Riproduzione gamica
Il carciofo è una pianta diploide a 34 cromosomi
(2n=2x=34), allogama a causa di una spiccata proterandria. La specie presenta un’elevata eterozigosi che
caratterizza le cultivar attualmente coltivate (popolazioni costituite da mescolanze di cloni) e che si manifesta nelle discendenze propagate per seme con una
grande variabilità morfologica e fisiologica.
Il sistema riproduttivo per seme, applicato in
Francia, Israele e USA attraverso lo sviluppo di nuove
cultivar, può consentire:
• la meccanizzazione delle operazioni di semina;
• il miglioramento dello stato sanitario delle piante;
• la costituzione di carciofaie omogenee (Morison et
al., 2000);
• la possibilità della carciofaia di esprimere il potenziale produttivo già al primo anno di impianto,
rendendo in tal modo possibile la sua durata
annuale, l’avvicendamento con altre colture e la
riduzione dell’uso di prodotti agrochimici
(Basnizki e Zohary, 1994).
Utilizzando gli effetti positivi dell’eterosi è possibile, inoltre, incrementare le rese unitarie associandole ad un minor costo di produzione (Stamigna et al.,
2004).
Gli ibridi commerciali, caratterizzati da epoca di
maturazione primaverile e recentemente anche autunnale, destinati all’industria di trasformazione ed al
mercato fresco, non si sono tuttavia diffusi in quanto
poco idonei alle richieste del consumatore italiano
(Graifenberg e Giustiniani, 1997; Mauromicale e
Ierna, 2000). Questa mancata diffusione ha determinato uno scarso interesse per tecniche vivaistiche atte
alla produzione di semenzali.
Risultano interessanti i primi contributi sui vari
fattori che possono influenzare i tempi di produzione
e le caratteristiche delle piantine da trapianto
(Basnizki e Mayer, 1985; Damato e Calabrese, 1991;
Chaux e Foury, 1994; Elia e Santamaria, 1994;
Mauromicale e Licandro, 2002).
Affinché in Italia possa affermarsi il sistema produttivo da seme è necessaria la costituzione di ibridi
commerciali con tipologie di capolini che incontrino
le richieste del consumatore. Di conseguenza, le ricer-
che in questo campo risultano orientate o verso programmi di miglioramento genetico, miranti alla produzione di ibridi F1, o verso programmi più strettamente agronomici, per razionalizzare le tecniche colturali e la valutazione quanti-qualitativa di nuove cultivar.
Nei programmi di miglioramento genetico mirati
alla produzione di seme ibrido molto importante è
risultata l’individuazione di piante maschiosterili
(Pècaut e Foury, 1992). Nasce di qui un filone di
ricerche sulla realizzazione di ibridi F1 di carciofo
attraverso l’individuazione e la caratterizzazione di
cloni maschiosterili, l’impiego della maschiosterilità
in programmi di ibridazione, o la valutazione dei
parentali maschiosterili e maschiofertili in grado di
dare stabilità agli ibridi e tipologie di capolini interessanti per il mercato (Stamigna et al., 2004; Calabrese
et al., 2006).
Lo sviluppo di un’idonea metodologia di produzione di aploidi, soprattutto in specie a riproduzione
vegetativa quali il carciofo, potrebbe consentire di
costituire parentali di ibridi F1 in tempi brevi rispetto
a quelli richiesti dai programmi convenzionali di
miglioramento genetico. I tentativi basati sulla coltura
di antere e ovari non hanno dato risultati incoraggianti
(Motzo e Deidda, 1993; Babes, 1997; Fouilland,
1998; Lejeune, 1999), a differenza, invece, di quanto
recentemente ottenuto con la coltura di microspore
(Stamigna et al., 2004).
Solo dopo l’individuazione di ibridi idonei al
nostro ambiente sarà possibile un’ attività vivaistica
per la produzione di piantine da trapianto a radice
protetta, come avviene per la maggior parte delle colture ortive.
Riassunto
Vengono presentati i principali risultati nel campo
della propagazione del carciofo (Cynara cardunculus
L. var. scolymus Fiori). Dopo una breve analisi delle
motivazioni che hanno determinato il differente interesse dei ricercatori verso le due tipologie di propagazione (gamica e agamica), si passa alla valutazione
delle varie tecniche di propagazione. Nella prima
parte vengono presentati i risultati sulle tematiche
riguardanti le modalità di utilizzo sia di tecnologie
tradizionali, quali la propagazione per “carducci e
ovoli radicati in vivaio”, sia di tecnologie innovative,
quali “la micropropagazione” e “la moltiplicazione in
fuori suolo”. A completamento, una riflessione sull’importanza delle biotecnologie per la propagazione
di questa pianta e l’indispensabile ruolo che esse assumono per l’attività vivaistica anche alla luce delle
55
Morone-Fortunato
disposizioni vigenti (D.M. 14.4. 1997, pubblicato sul
S.O. n. 112 G.U. n. 126 del 2.6.97). In ultimo, dopo
aver valutato brevemente i vantaggi di una riproduzione via “seme” e le cause che a tutt’oggi, in Italia, non
hanno permesso la diffusione di questo tipo di propagazione, viene presentato un cenno a recenti ricerche
sulla realizzazione di ibridi F1.
Parole chiave: seme, carducci, ovoli, micropropagazione, micorrizazione.
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