Anteprima - Italus Hortus
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Review n. 6 – Italus Hortus 14 (4), 2007: 47-57 La propagazione del carciofo: vivaismo e innovazione tecnologica Irene Morone-Fortunato* Dipartimento Scienze Produzioni Vegetali, Università di Bari, via Amendola 165a, 70125 Bari Ricevuto: 1 dicembre 2006; accettato: 16 agosto 2007 Artichoke propagation: nursery and innovative technology adopted in Italy, the up-to-date F1 hybrids studies are shortly mentioned. Abstract. Artichokes are characterised by a high level of heterozygosis which is typical of the cultivars that are cultivated at present. This high level of heterozygosis is visible in ”seeds” propagated strain through a wide morphological and biological variability. For this reason, the vegetative propagation is used and the implant is carried out using offshoots, ovoli and crown segments taken from fields used for the production of yield heads. This technique, widely used by farmers, has several serious disadvantages such as phytosanitary conditions, the uniformity of the artichokes and a limited knowledge of source material. Moreover, traditional propagation does not allow for a mechanization of artichoke planting. If carried out by hand, the system costs are further increased by the low index of survival by traditional propagation and by an high degree of heterogeneity. Seed propagation could be a useful alternative in rationalizing growing techniques and improving the phytosanitary condition of the plants. As a result, studies to obtain hybrid seeds on a commercial level have carried out. However, hybrid cultivars usually yield in spring and recently also in autumn. Cultivated for industry and for the fresh market, they are not particularly widespread as they are not considered suitable for Italian consumers. Consequently, today the most commonly used propagation material comes from vegetative propagation. The improvement and rationalization of artichoke propagation systems must be carried out through the use of appropriate nursery production which defines the protocols used to produce plantlets for transplant. The main results of the propagation field are presented in this note. At first, the results concerning the different ways of using the traditional – “ rooting offshoots and ovoli ” – and innovative – “micropropagation” and “soilless propagation” – technologies are shown. Afterward, a remark about the value of biotechnology to this plant propagation is given together with its main role in nursery production. Finally, after a brief evaluation of seed propagation advantages and of the reasons why it isn’t wildely Key words: seed, offshoots, ovoli, micropropagation, mychorrizal symbiosis. * [email protected] Introduzione Il carciofo (Cynara cardunculus L. var. scolymus Fiori) è pianta tipicamente mediterranea. Secondo alcuni autori era già conosciuta al tempo dei Romani. Altri riportano la sua diffusione in Italia, come pianta coltivata, nel XV secolo. Certo, la constatazione che i termini utilizzati per indicare la pianta del carciofo abbiano, in tutte le principali lingue europee, origine etimologica nelle denominazioni volgari con cui essa è solitamente chiamata nel nostro paese, sembra essere una dimostrazione indiretta che la diffusione di questa specie in Europa sia partita dall’Italia. La ricchezza del suo germoplasma è stata oggetto di classificazioni accurate basate su caratteri morfologici e produttivi (Dellacecca et al., 1976). Le diverse varietà sono raggruppate, in base alle loro caratteristiche (larghezza, peso e forma del capolino principale, precocità, periodo delle raccolte, lunghezza del peduncolo, spinescenza delle brattee e delle foglie, forma dell’apice delle brattee e colore della lamina inferiore della foglia), in 4 tipi varietali: ‘Spinosi’, ‘Violetti’, ‘Catanesi’, ‘Romaneschi’ (Porceddu et al., 1976); oppure sono classificate in base alla sola epoca di raccolta: “precoci” o “rifiorenti”, con produzione tra l’autunno e la primavera, e “tardivi” o “non rifiorenti”, con produzioni primaverili (Mauromicale e Ierna, 2000). La moltiplicazione del carciofo si effettua abitualmente per via vegetativa in quanto le piante nate da seme non mantengono le caratteristiche specifiche della varietà, sono tardive e molto spesso non qualitativamente valide. Per questo motivo, si fa ricorso alla propagazione vegetativa e l’impianto viene effettuato tramite carducci, ovoli e parti di ceppaia, prelevati in campi destinati alla produzione di capolini. Tale tecnica, ampiamente utilizzata dagli agricoltori, presenta notevoli svantaggi di ordine fitosanitario e di unifor47 Morone-Fortunato mità della coltura per la scarsa conoscenza del materiale di provenienza. La propagazione tradizionale, inoltre, non consente di meccanizzare le operazioni di impianto della carciofaia che è affidata di fatto alla mano dell’uomo. Tutto ciò, insieme al basso indice di attecchimento degli organi di moltiplicazione tradizionali ed alla eterogeneità nell’emergenza, fa lievitare i costi di impianto (Mauromicale et al., 2003). Allo stato attuale, quindi, il materiale di propagazione risulta proveniente da propagazione vegetativa e la possibilità di miglioramento e razionalizzazione del sistema di moltiplicazione del carciofo deve passare attraverso un’idonea attività vivaistica con la messa a punto di protocolli di produzione di piantine da trapianto, come ormai avviene per la gran parte delle colture ortive da pieno campo. Tra i vantaggi forniti dalla produzione commerciale delle piantine vanno segnalati: la sicurezza della cultivar, la disponibilità del materiale nel periodo desiderato, l’uniformità di dimensione e, considerate le certificazioni sanitarie, il minor rischio di allestire la coltura con piante infette (Gianquinto e Magnifico, 2003). L’assenza, per il carciofo, di una vera attività vivaistica ha comportato una serie di problemi di natura tecnica e commerciale; questi problemi hanno determinato una tendenza riduttiva dell’estensione della coltura, in particolar modo nelle regioni meridionali. La rilevanza di tali tematiche è stata sottolineata dal Ministero delle Politiche Agrarie e Forestali (MiPAF) attraverso il finanziamento del progetto nazionale “Carciofo”, a partire dal 2002. In questa nota si riportano risultati di ricerche prodotte in gran parte con i finanziamenti del suddetto progetto, tese al miglioramento del materiale di propagazione allo scopo di una possibile attività vivaistica. Riproduzione agamica La propagazione vegetativa del carciofo utilizza organi che, per la notevole varietà, costituiscono un ostacolo ai fini di una corretta tecnica agronomica. Le complesse relazioni che intercorrono tra clima, ciclo colturale e varietà condizionano infatti l’epoca di differenziazione dei diversi organi. E’ presumibile che gli organi di moltiplicazione, diversi per dimensioni e numero di foglie, esercitino una diretta influenza sul comportamento biologico e produttivo delle piante alle quali danno origine (La Malfa e Foury, 1976). E’ nota la perdita di qualità del materiale di propagazione dovuta ai metodi tradizionali che impiegano carducci, ovuli o zampe prelevati in campi destinati alla produzione di capolini. 48 Appare, quindi, quanto mai opportuno un miglioramento ed una razionalizzazione del sistema di moltiplicazione del carciofo a propagazione vegetativa al fine di una corretta attività vivaistica (Mauromicale et al., 2004). Vari ricercatori hanno affrontato tematiche diverse riguardanti le modalità di utilizzo sia di tecnologie tradizionali -quali la propagazione per carducci e ovoli radicati in vivaio- che di tecnologie innovative quali la micropropagazione e la moltiplicazione in fuori suolo. Carducci e ovoli radicati in vivaio La definizione di carduccio recita: “germoglio ascellare più o meno sviluppato, possibilmente con una porzione di radice, staccato dalla pianta madre durante il periodo di attività vegetativa. E’ sempre provvisto di foglie, la cui parte distale viene tagliata al momento dell’impianto”. Gli ovoli sono germogli ascellari quiescenti che si prelevano dalla pianta-madre in estate durante la fase di riposo della carciofaia. Questo materiale di propagazione viene frequentemente utilizzato per l’impianto durante l’estate della carciofaia nelle zone irrigue meridionali. Le possibilità di utilizzo di questi materiali, a fini vivaistici, sono essenzialmente riconducibili a problematiche legate a tre momenti della loro produzione: • ottenimento di materiale omogeneo per età e accrescimento; • prontezza di emissione ed efficienza dell’apparato radicale; • contenitori e substrati. L’uniformità fisiologica degli organi di moltiplicazione viene perseguita tramite l’asportazione della frazione epigea della pianta madre. Le tecniche messe a punto possono consentire di ottenere l’emissione di germogli in qualsiasi periodo dell’anno, consentendo così una produzione di piantine e/o ovoli a basso costo svincolata dalla stagionalità, dunque una miglior articolazione dei calendari di impianto delle carciofaie (Mauromicale et al., 2003, 2004; Mallica et al., 2004). La capacità di assorbimento dell’apparato radicale è essenzialmente legata alla morfologia radicale, infatti le zone pilifere sono le uniche delegate all’assorbimento e, come noto, rappresentano solo una piccola percentuale dell’apparato radicale (zona di struttura primaria sovrastante gli apici radicali) per cui la capacità di assorbimento radicale è fortemente condizionata dal numero di apici radicali. È noto come l’inoculo micorrizico possa incrementare lo sviluppo dell’apparato radicale (Giovanetti, 2006). Conferme positive sono state ottenute inoculando carducci di La propagazione del carciofo carciofo con Glomus viscosum ceppo A6. L’inoculo micorrizico favorisce l’attecchimento dei carducci e determina un più rapido sviluppo dell’apparato radicale (fig. 1 e tab.1) (Morone-Fortunato e Ancora, 2003; Morone-Fortunato et al., 2004a). Indispensabili per una produzione vivaistica su scala industriale risultano le problematiche relative ai contenitori e ai substrati. Nel vivaismo orticolo prevale la scelta dei vassoi di polistirolo espanso, che risultano adatti al trasporto ed alla manipolazione in campo, ottimizzando così le esigenze economiche e tecnico-colturali. Importanti per la radicazione dei carducci risultano le caratteristiche del substrato; esse devono assicurare la giusta umidità, aerazione e contenuto di elementi minerali al fine di un adeguato accrescimento dell’apparato radicale. La radicazione in contenitori alveolari risulta dipendente dalla dimensione del carduccio (2-3 cm) ed è positivamente influenzata da basse densità (240 piantine/m2, 40 alveoli) e dal tipo di substrato, che deve risultare capace di assicurare un’alta e costante riserva d’acqua (Tesi et al., 2004). Micropropagazione La proliferazione per gemme ascellari è il metodo attualmente più diffuso per la moltiplicazione vegetativa in vitro. Questo non è propriamente un fenomeno rigenerativo, poiché i meristemi organizzati delle gemme ascellari sono strutture già naturalmente predi- A B Fig. 1 - Radicazione in vivaio di carducci: a) controllo; b) simbiosi micorrizica. Fig. 1 - In nursery offshoots rooting: a) control; b) mycorrhizal symbiosis. Tab. 1 - Caratteri morfo-fisiologici di carducci di carciofo [Cynara cardunculus L. var. scolymus (L.) cv Catanese] sottoposti a trattamenti diversi. I valori rappresentano la media di cinque piante. Per ciascun parametro lettere diverse indicano valori statisticamente significativi per p≤0,05 (test di Duncan). Tab. 1 - Morpho-physiological characters of artichoke offshoots [Cynara cardunculus L. var. scolymus (L.) cv Catanese] subordinate to different treatments. Values represent the average of 5 plants. For each growth parameter different letters indicate statistically significant value at p≤0.05 (Duncan test). Trattamenti Radici (n) Radice* (cm) Gemme (n) Attecchimento (%) Controllo Mic+ IAA IBA NAA 10,0b 19,8a 13,6ab 15,0ab 8,4b 60,1b 193,0a 92,9b 108,8b 52,7b 1a 1,8a 1a 1a 1,4a 65 100 85 60 45 *Lunghezza totale sposte alla produzione di germogli (Fahn, 1974). La coltura in vitro, in pratica, non fa altro che sfruttare la presenza delle gemme, stimolandone il più possibile il germogliamento con opportuni dosaggi nutrizionali ed ormonali tendenti ad eliminare la dominanza apicale. Il comportamento in vitro è, in aggiunta, una caratteristica legata al genotipo, così che spesso cultivar della stessa specie presentano una diversa attitudine in vitro (Hartmann e Kester, 2002). Nel carciofo, il carattere precocità viene classificato fra i caratteri a genetica complessa (Porceddu et al., 1976) e ciò giustificherebbe il diverso comportamento in vitro delle due tipologie “tardivo” e “precoce”. La prima attività vivaistica per il carciofo nasce negli anni ’80. In quegli anni le biotecnologie, come la micropropagazione, venivano sempre più applicate alla propagazione su larga scala delle piante di interesse agrario. Esempio di interazione fra strutture di ricerca (ENEA) e territorio (Cerveteri, Ladispoli) (Cantale et al., 2004) è l’utilizzo di piantine micropropagate di carciofo (Ancora, 1986; Ancora e Saccardo, 1987), tutt’oggi una realtà che ha consentito la moltiplicazione e la distribuzione agli agricoltori di cloni di diverse cultivar tardive. Prova ne è la costituzione di cloni di carciofo ‘Romanesco’, il C3, ed altri di nuova costituzione come il Terom, il Tema 2000, il Grato 1 e 2. Tale tecnologia è restata, però, relegata alle sole cultivar tardive; più complesse si sono rivelate le problematiche relative alla micropropagazione di tipologie precoci di carciofo, sia in relazione alle fasi di radicazione e ambientamento sia per le difficoltà riscontrate nella coltivazione in pien’aria. 49 Morone-Fortunato Micropropagazione di tipologie precoci di carciofo mediterraneo È stato più volte ribadito che la radicazione in vitro e l’ambientamento in serra costituiscono stadi critici per il protocollo della coltura in vitro delle tipologie precoci di carciofo (Ancora et al., 1981; Bigot e Foury, 1984; Lauzer e Vieth, 1990; Rossi e De Paoli, 1992; Morone-Fortunato et al., 2005). La fase di radicazione è la fase conclusiva della micropropagazione con l’ottenimento di una piantina morfologicamente completa. Uno dei problemi è determinato dalla constatazione che solo un ridotto numero di germogli proliferati in vitro radica. Durante la fase di ambientamento, inoltre, si perde gran parte della produzione di piantine micropropagate per lo stress determinato dal trasferimento dalla coltura in vitro alla serra di ambientamento. Un’altra problematica è legata al comportamento in campo delle piantine; spesso, infatti, le piantine micropropagate ritardano la produzione nella coltivazione in pien’aria, evento accompagnato da variazione fenotipica e già menzionato da Pécaut e Martin (1993) su quattro varietà di carciofo precoce. Questi inconvenienti hanno determinato la perdita di efficienza del sistema e un disinteresse per l’applicazione della micropropagazione alle cultivar precoci di carciofo. In conclusione, la messa a punto del protocollo di micropropagazione ha dovuto risolvere problemi differenti che si presentano nei tre ambienti di produzione: • in vitro: radicazione; • in serra di ambientamento: attecchimento; • in campo: precocità. In vitro. La rizogenesi viene stimolata in vitro dall’auxina (Harbaouy e Deberg, 1980; Draoui et al., 1993; Tavazza et al., 2004; Morone-Fortunato et al., 2005) o dall’acido gibberellico (Morzadec e Hourmant, 1997) ed agevolata da condizioni complementari come la percentuale di saccarosio (MoroneFortunato e Ruta 2003; Tavazza et al., 2004), l’aggiunta di carbone attivo (Bigot e Foury, 1984) o di ciclodextrine (Brutti et al., 2000; Cavallaro et al., 2004), il tipo della componente inerte e la dimensione della piantina (Morone-Fortunato e Ruta, 2003; Morone-Fortunato et al., 2005). Le gemme ascellari prodotte in fase di moltiplicazione, accresciute fino a una dimensione ≥ 7cm (fig. 2), sono state separate e trasferite su substrati che si sono differenziati per il tipo e la concentrazione delle auxine, per la percentuale di saccarosio e per la componente inerte (agar, perlite, lana di roccia e vermiculite). Gli autori concludono che la radicazione nel carciofo è agevolata da 50 Fig. 2 - Moltiplicazione in vitro. Fig. 2 - In vitro shoots multiplication. una maggiore concentrazione di saccarosio (30%), dall’utilizzo di agar come componente inerte e dalla presenza nel mezzo di acido indolacetico (IAA 10 mg l-1). L’effetto dell’IAA a concentrazioni elevate e il diverso comportamento rispetto ad altri tipi di auxine (acido naftalenacetico, NAA; acido indolbutirrico, IBA) è la conseguenza delle sue caratteristiche di foto-labilità e quindi della sua parziale inattivazione alla luce (Morone-Fortunato et al., 2005; Hartmann e Kester, 2002). Serra di ambientamento. La fase di ambientamento rappresenta un notevole trauma per la piantina micropropagata, anche se questa è completamente formata, cioè provvista di fusto, foglie e radici. Il carciofo precoce ha sempre presentato una particolare delicatezza nella fase di trapianto: infatti, a causa della scarsa sopravvivenza durante l’ambientamento, si può perdere anche il 60% della produzione ottenuta in vitro. Purtroppo sulla perdita delle piantine in ambientamento gravano praticamente tutti i costi di produzione con forte aggravio sul prezzo di vendita della piantina finita. Le cause di tale comportamento vanno ricercate nelle caratteristiche proprie delle piantine prodotte in vitro che, anche se morfologicamente ben formate, di fatto non hanno ancora un normale funzionamento. Infatti, queste piantine, a causa delle condizioni in cui si differenziano (bassa intensità luminosa, grande disponibilità di acqua, sali minerali e saccarosio, umidità di saturazione), sono poco efficienti e quando trasferite in serra di ambientamento devono attivare tutti quei meccanismi indispensabili per la sopravvivenza (traspirazione, fotosintesi, efficienza radicale). Durante l’ambientamento, quindi, oltre a limitare la traspirazione con impianti di nebulizzazione ed ombreggiamento, si dovrà intervenire per stimolare l’efficienza e l’accrescimento dell’apparato radicale. Le micorrize rivestono un La propagazione del carciofo importante ruolo per la funzionalità dell’apparato radicale delle piante, comprese quelle micropropagate. Il carciofo micropropagato risulta molto sensibile alla micorrizazione. È dimostrato come la micorrizazione effettuata nella fase di ambientamento in vivaio induca cambiamenti positivi nel modello di sviluppo delle piantine di carciofo precoce micropropagato (Morone-Fortunato et al., 2005; Ruta et al., 2005). Le piantine micorrizate fanno registrare percentuali di attecchimento molto più elevate (90-95 %) rispetto a quelle non micorrizate (30-35 %); inoltre, le piantine micorrizate si accrescono più velocemente e si presentano significativamente più rigogliose e robuste di quelle non micorrizate e con apparato radicale maggiormente sviluppato (fig. 3). In campo La perdita di precocità che si verifica al trapianto in campo è caratteristica presente anche in piante non micropropagate ed è già stata segnalata in letteratura (Iannaccone, 1969; Dellacecca e Bianco, 1969). Questi studi associano il comportamento in campo (precoce/tardivo) di carducci / ovoli alla posizione sulla ceppaia. Studi tesi a valutare tale ipotesi per le piantine micropropagate (Cadinu et al., 2003) hanno evidenziato l’instaurarsi di forme selvatiche indipendentemente dalla posizione della gemma sulla ceppaia. Queste osservazioni evidenziano l’instabilità del meristema apicale del germoglio di carciofo. È noto che i meristemi apicali di germoglio risultano più stabili in vitro se contengono oltre al meristema apicale (promeristema) anche la zona di meristemi le cui cellule sono chiaramente determinate verso un tipo di differenziamento (protoderma, procambio, meristema fondamentale). È quindi presumibile che il meristema apicale di germoglio del carciofo precoce A B sia poco stabile e che la sua stabilità possa aumentare con la dimensione dell’espianto. Quindi, in piante poco stabili, come il carciofo, la frequenza con cui si presentano le forme mutate sarà direttamente dipendente dalle dimensioni dell’espianto e naturalmente dal numero di subcolture (il tasso di moltiplicazione all’aumentare delle subcolture segue l’andamento di una funzione esponenziale). Pécaut e Martin (1991) hanno osservato su diverse tipologie di carciofo precoce (Violetto di Provenza, Liscio sardo precocissimo, Niscemese, Tudela) che il metodo di micropropagazione induce una variazione stabile “tardiva” da loro chiamata “pastel plants”. L’aumento della dimensione dell’espianto (3mm) e la riduzione del numero di subculture (3-4) riduce fortemente la percentuale di “pastel plants” (9%). È stato recentemente provato che il clone di carciofo cv Catanese micropropagato, trasferito in pien’aria, mantiene le caratteristiche morfologiche e di precocità se gli espianti (5-6 mm) vengono sottoposti ad un basso numero di subculture (3-4) in fase di proliferazione (Ruta et al., 2007). I risultati evidenziano che già nel primo anno, in riferimento alla data d’impianto, il clone mostra un’elevata potenzialità produttiva. Gli autori, dopo aver valutato l’andamento del ciclo ontogenetico (fig. 4), concludono che il clone prodotto presenta uniformità fenotipica e comportamentale e conferma le caratteristiche della cultivar originale (fig. 5; tabb. 2 e 3) sia per l’andamento del ciclo ontogenetico (Morone-Fortunato et al., 1981a, b) sia per le caratteristiche produttive e morfologiche (Dellacecca et al., 1976). I dati rilevati provano l’efficienza del materiale di propagazione ottenuto in vitro e la possibilità di adottare questa tecnica nelle tipologie di carciofo precoce. I dati, inoltre, confermano l’esistenza di cooperazione tra i due approcci biotecnologici (micropropagazione e micorrizazione), che si estrinseca nella produzione di un eccellente materiale di propagazione. Moltiplicazione in fuori suolo e produzione di ovoli Fig. 3 - Apparati radicali di carciofo micropropagato micorrizati (b) e non (a) a 60 giorni dal trapianto in vivaio. Fig. 3 - Not-inoculated (a) and inoculated (b) roots of micropropagated artichoke at 60 days after transplant in nursery. Nonostante i notevoli vantaggi che si possono trarre, la micropropagazione del carciofo presenta ancor oggi degli inconvenienti a causa del ridotto numero di subcolture. L’elevato costo delle piantine spesso scoraggia gli agricoltori nell’impiego delle stesse per la costituzione di nuove carciofaie. Per ridurre i costi è stata valutata la possibilità di abbinare i vantaggi della coltura in vitro a quelli di tecniche tradizionali quali la produzione di carducci o di ovoli. Le due tecniche proposte utilizzano piante micropropagate come piante madri e sfruttano la capacità di produrre rispettivamente carducci o ovoli. Gli ambienti di produzione 51 Morone-Fortunato *trans/diff: 50%apici in transizione/50% apici in differenziazione. **matur.comm: maturazione commerciale 1° raccolta. Fig. 4 - Stadi istologici del ciclo ontogenetico. Cynara cardunculus L.var. scolymus(L.) cv Catanese: piante micropropagate e inoculate in ambientamento con Glomus viscosum (trattato); piante micropropagate (testimone). Fig. 4 - Histological study of ontogenetic cycle. Cynara cardunculus L.var. scolymus(L.) cv Catanese: micropropagated plants inoculated at acclimatisation with Glomus viscosum (treated); micropropagated plants (test). sono rispettivamente il fuori suolo per la moltiplicazione in fuori suolo ed il pieno campo per la produzione di ovoli. Cardarelli et al. (2005a) descrivono un sistema innovativo per la produzione su larga scala di piantine di carciofo tramite “moltiplicazione in fuori suolo”. La tecnica consiste di quattro fasi: • coltivazione in fuori suolo di piante madri micropropagate; • trattamento periodico con 6-benzylamino purina (BAP) e capitozzatura delle piante madri; • raccolta periodica dei carducci e frigoconservazione; Fig. 5 - Caratteristiche morfologiche del capolino di Cynara cardunculus L. var. scolymus (L.) cv Catanese. Piante micropropagate e inoculate in ambientamento con Glomus viscosum. Fig. 5 - Morphological characteristics of Cynara cardunculus L. var. scolymus (L.) cv Catanese head. Micropropagated plants inoculated at acclimatisation with Glomus viscosum. 52 La propagazione del carciofo Tab. 2 - Capolino: caratteristiche morfologiche. Cynara cardunculus L. var. scolymus (L.) cv Catanese. I valori rappresentano la media di cinquanta capolini. Tab. 2 - Head: morphological characteristics. Cynara cardunculus L. var. scolymus (L.) cv Catanese. Values represent the average of 50 heads. Valori Media Minimo Massimo Dev. Std. Altezza (cm) Diametro (cm) Brattee h (cm) Brattee l (cm) 12,87 10,5 15,5 1,42 6,56 5,3 7,8 0,68 6,12 5,62 6,56 0,35 3,8 2,84 4,56 0,56 Alla coltivazione ordinaria vengono destinati gli ovoli generati dalle piante micropropagate, contenendo così i costi di impianto. Inoltre, sottoponendo gli ovoli al pre-germogliamento, è possibile selezionare il materiale prima della messa a dimora. Si ottengono così carciofaie più produttive (+31 %) e con bassa incidenza di fenotipi selvatici (Frau et al., 2004). Limiti e caratteristiche delle tecnologie di propagazione • radicazione e produzione di piantine a radice protetta. I risultati evidenziano come l’applicazione fogliare di citochinine (6-BAP nella concentrazione di 200 mg l-1) incrementi quadraticamente il numero dei carducci. La percentuale di talee radicate aumenta con l’aumentare della classe di peso (30-45 g) e della concentrazione del trattamento basale con acido naftalenacetico (NAA 2.000 mg l-1), mentre decresce fra 60 e 150 giorni dalla conservazione a 2 °C. Prove di confronto tra il materiale di propagazione così prodotto e i normali carducci utilizzati dagli agricoltori hanno evidenziato come il ciclo di moltiplicazione fuori suolo non alteri le caratteristiche delle piantine (Cardarelli et al., 2005b). Le piantine così prodotte risultano qualitativamente superiori a quelle ottenute con la tecnica tradizionale. Utilizzando questa tecnica si mantengono tutte le caratteristiche qualitative delle piantine provenienti da coltura in vitro: assenza di parassiti (insetti, acari nematodi) patogeni (funghi, batteri), di virus, se le piante madri micropropagate sono virus-esenti (Barba et al., 2003; Gallitelli et al., 2006). Tutti aspetti fondamentali per la certificazione del materiale vivaistico. Inoltre, una preliminare analisi economica ha evidenziato la convenienza della tecnica proposta rispetto alla sola micropropagazione (Cardarelli et al., 2005b; Albani et al., 2006). Parallelamente, per la produzione di ovoli, piante micropropagate di cloni selezionati vengono mantenute in allevamento esclusivamente come piante madri. Il protocollo di produzione per carducci e ovoli radicati risulta quello più vicino a quello tradizionale e porta alla produzione di piantine radicate. La possibilità di ottenere l’emissione di germogli in qualsiasi periodo dell’anno potrà consentire di svincolare la produzione di piantine dalla stagionalità, consentendo una maggiore articolazione nei calendari di impianto della carciofaia (Mauromicale et al., 2004). Numerosi sono i vantaggi, dalla economicità degli impianti, alla semplicità di conduzione ed ai costi contenuti delle piantine; tuttavia le piantine, pur migliorate da un punto di vista sanitario, restano sempre soggette alle caratteristiche dell’ambiente di produzione. Il protocollo di micropropagazione è caratterizzato dalla produzione diretta di piantine da trapianto. La tecnica, migliorata con l’utilizzo della micorrizazione, presenta i vantaggi tipici della propagazione in vitro: risanamento da infezioni patogene provocate da batteri o funghi; miniaturizzazione dei germogli, che permette di occupare spazi molto ridotti; produzione svincolata dall’andamento stagionale in quanto eseguita in ambiente completamente condizionato; uniformità delle piantine riprodotte, più rispondenti alle esigenze dei vivaisti e, alla fine, dei coltivatori. Questi vantaggi restano limitati dai tassi di moltiplicazione, assimilabili all’andamento di una funzione esponenziale del tipo f=zn, in cui: z = numero potenziale di germogli da una gemma per subcoltura; n = numero di subculture. Il protocollo di produzione per la moltiplicazione Tab. 3 - Capolini: caratteristiche produttive. Cynara cardunculus L. var. scolymus (L.) cv Catanese. Media di cinquanta capolini. Tab. 3 - Heads: productive characteristics. Cynara cardunculus L. var. scolymus (L.) cv Catanese. Average of 50 heads. Valori Media Minimo Massimo Dev. Std. Capolini / pianta (n) Peso fresco (g) Peso secco (g) 7,53 5,01 11,01 1,62 145,17 92,68 215,69 32,26 6,12 5,62 6,56 0,35 Spessore ricettacolo Peso fresco edule (cm) (g) 1,13 0,8 2,01 0,18 62,22 38,44 96,53 13,51 Peso secco edule (g) 10,38 5,69 18,73 3,02 53 Morone-Fortunato fuori suolo permette di contenere i costi riunendo i vantaggi delle piantine micropropagate con quelli della produzione di carducci. In questa tecnica il micropropagato viene utilizzato come materiale di partenza che, opportunamente mantenuto in fuori suolo tramite periodici trattamenti chimici e meccanici, promuove l’emissione di carducci. Questi ultimi, previa frigoconservazione e/o radicazione, vengono utilizzati per una produzione programmata di piantine a radice protetta. Importanza delle biotecnologie per la propagazione del carciofo Sembra opportuno evidenziare essenzialmente alcuni dei risultati delle ricerche esposte. In primo luogo la micorrizazione è molto importante nell’accrescimento degli apparati radicali del carciofo. Infatti, sia le piantine micropropagate sia i carducci risultano sensibili all’inoculo. I valori dei principali parametri di accrescimento sono risultati sempre superiori nelle piante inoculate, quindi, alla fine della fase di allevamento in vivaio, i requisiti bio-agronomici delle piante micorrizate sono sicuramente superiori e tali da considerare le stesse di qualità più elevata. Le alte percentuali di attecchimento del materiale micorrizato (piantine micropropagate e/o carducci) rispetto a quello non micorrizato evidenziano l’efficienza della simbiosi in carciofo (Morone Fortunato et al., 2004a, b). Numerose ricerche riportano variazioni sul grado di ramificazione e sulle dimensioni delle radici micorrizate. Poichè le modificazioni morfologiche e fisiologiche indotte dal fungo sulle piante di carciofo hanno determinato un più elevato rapporto radici/germoglio, tale fattore è probabilmente responsabile dell’incremento del potenziale di accrescimento della pianta. E’ possibile ipotizzare che l’utilizzo della tecnica di micorrizazione possa favorire un migliore assorbimento di acqua e nutrienti da utilizzare per l’accrescimento della pianta (Morone Fortunato et al., 2004c). Le micorrize assumono il carattere di vere e proprie simbiosi mutualistiche da cui entrambi i partner (uno autotrofo per il carbonio, la pianta, e l’altro eterotrofo, il fungo) traggono ampi benefici che si concretizzano macroscopicamente in un più rigoglioso sviluppo della pianta nel suo complesso. Inoltre la valenza ecologica dei due simbionti risulta di gran lunga aumentata, in particolare nei terreni poveri di elementi minerali. I microrganismi biofertilizzanti più importanti sono rappresentati dai funghi micorrizici arbuscolari 54 (MA). I funghi MA sono considerati elementi fondamentali per la nutrizione delle piante, poiché le loro ife sono capaci di estendersi per molti metri nel terreno e di assorbire e traslocare alle radici sia i macro sia i micronutrienti presenti nel suolo. Le piantine di carciofo inoculate in vivaio e trasferite in campo portano con sé i simbionti che, oltre agli effetti positivi sulle piante, determinano un maggiore accrescimento ed una maggiore tolleranza verso attacchi fungini, anche devastanti quali la verticilliosi (Ciccarese et al., 2006). In cooperazione con altri microrganismi del suolo, inoltre, il micelio micorrizico esterno forma degli aggregati resistenti all’acqua che sono necessari per una buona qualità dello strato di suolo coltivabile. Le piantine così ottenute risultano perciò idonee anche per protocolli colturali ecosostenibili a basso impatto ambientale. In secondo luogo, bisogna tener conto che l’attività vivaistica, in ottemperanza alle disposizioni vigenti (D.M. 14.4. 1997, pubblicato sul S.O. n. 112 G.U. n. 126 del 2.6.97), impone la commercializzazione di materiale di moltiplicazione vegetale esente dai patogeni riportati nell’allegato I dello stesso decreto. D’altra parte l’attuale stato sanitario del germoplasma del carciofo è seriamente compromesso, soprattutto da alcune infezioni virali quali quella indotta dal virus latente del carciofo (ArLV), dal virus latente Italiano del carciofo (AILV) e dal virus dell’avvizzimento maculato del pomodoro (TSWV), virus non ugualmente diffusi in tutte le aree cinaricole, ma assai dannosi, e tutti elencati nel decreto (Gallitelli et al., 2006). La produzione di giovani piantine di questa specie rispondenti alle attuali norme fitosanitarie, quindi idonee per sviluppare una possibile attività vivaistica, impone necessariamente il risanamento del germoplasma di carciofo. Con questo presupposto assumono grande importanza per il carciofo quelle tecniche che possono garantire il mantenimento delle caratteristiche sanitarie. La micropropagazione, fra le varie tecniche propagative, è l’unica in grado di garantire il mantenimento di tutte le caratteristiche sanitarie e, in particolare, la virus-esenza. Di fatto, le piantine risanate virus-esenti ottenute tramite termoterapia e/o coltura di meristemi possono essere incrementate quantitativamente in perfetta sicurezza tramite la micropropagazione. L’acquisizione di un protocollo di micropropagazione anche per le cultivar precoci risulta di notevole importanza allo scopo di una efficiente attività vivaisica. L’uso di piantine a radice protetta, così prodotte, rappresenta una valida alternativa per il miglioramen- La propagazione del carciofo to qualitativo delle carciofaie e l’utilizzo di funghi micorrizici può rappresentare una valida strategia per incrementare la tolleranza agli stress biotici e abiotici oltre che a migliorare le capacità di assorbimento dei sali minerali, rendendo il materiale utilizzabile in sistemi a basso impatto ambientale per una agricoltura ecosostenibile. Riproduzione gamica Il carciofo è una pianta diploide a 34 cromosomi (2n=2x=34), allogama a causa di una spiccata proterandria. La specie presenta un’elevata eterozigosi che caratterizza le cultivar attualmente coltivate (popolazioni costituite da mescolanze di cloni) e che si manifesta nelle discendenze propagate per seme con una grande variabilità morfologica e fisiologica. Il sistema riproduttivo per seme, applicato in Francia, Israele e USA attraverso lo sviluppo di nuove cultivar, può consentire: • la meccanizzazione delle operazioni di semina; • il miglioramento dello stato sanitario delle piante; • la costituzione di carciofaie omogenee (Morison et al., 2000); • la possibilità della carciofaia di esprimere il potenziale produttivo già al primo anno di impianto, rendendo in tal modo possibile la sua durata annuale, l’avvicendamento con altre colture e la riduzione dell’uso di prodotti agrochimici (Basnizki e Zohary, 1994). Utilizzando gli effetti positivi dell’eterosi è possibile, inoltre, incrementare le rese unitarie associandole ad un minor costo di produzione (Stamigna et al., 2004). Gli ibridi commerciali, caratterizzati da epoca di maturazione primaverile e recentemente anche autunnale, destinati all’industria di trasformazione ed al mercato fresco, non si sono tuttavia diffusi in quanto poco idonei alle richieste del consumatore italiano (Graifenberg e Giustiniani, 1997; Mauromicale e Ierna, 2000). Questa mancata diffusione ha determinato uno scarso interesse per tecniche vivaistiche atte alla produzione di semenzali. Risultano interessanti i primi contributi sui vari fattori che possono influenzare i tempi di produzione e le caratteristiche delle piantine da trapianto (Basnizki e Mayer, 1985; Damato e Calabrese, 1991; Chaux e Foury, 1994; Elia e Santamaria, 1994; Mauromicale e Licandro, 2002). Affinché in Italia possa affermarsi il sistema produttivo da seme è necessaria la costituzione di ibridi commerciali con tipologie di capolini che incontrino le richieste del consumatore. Di conseguenza, le ricer- che in questo campo risultano orientate o verso programmi di miglioramento genetico, miranti alla produzione di ibridi F1, o verso programmi più strettamente agronomici, per razionalizzare le tecniche colturali e la valutazione quanti-qualitativa di nuove cultivar. Nei programmi di miglioramento genetico mirati alla produzione di seme ibrido molto importante è risultata l’individuazione di piante maschiosterili (Pècaut e Foury, 1992). Nasce di qui un filone di ricerche sulla realizzazione di ibridi F1 di carciofo attraverso l’individuazione e la caratterizzazione di cloni maschiosterili, l’impiego della maschiosterilità in programmi di ibridazione, o la valutazione dei parentali maschiosterili e maschiofertili in grado di dare stabilità agli ibridi e tipologie di capolini interessanti per il mercato (Stamigna et al., 2004; Calabrese et al., 2006). Lo sviluppo di un’idonea metodologia di produzione di aploidi, soprattutto in specie a riproduzione vegetativa quali il carciofo, potrebbe consentire di costituire parentali di ibridi F1 in tempi brevi rispetto a quelli richiesti dai programmi convenzionali di miglioramento genetico. I tentativi basati sulla coltura di antere e ovari non hanno dato risultati incoraggianti (Motzo e Deidda, 1993; Babes, 1997; Fouilland, 1998; Lejeune, 1999), a differenza, invece, di quanto recentemente ottenuto con la coltura di microspore (Stamigna et al., 2004). Solo dopo l’individuazione di ibridi idonei al nostro ambiente sarà possibile un’ attività vivaistica per la produzione di piantine da trapianto a radice protetta, come avviene per la maggior parte delle colture ortive. Riassunto Vengono presentati i principali risultati nel campo della propagazione del carciofo (Cynara cardunculus L. var. scolymus Fiori). Dopo una breve analisi delle motivazioni che hanno determinato il differente interesse dei ricercatori verso le due tipologie di propagazione (gamica e agamica), si passa alla valutazione delle varie tecniche di propagazione. Nella prima parte vengono presentati i risultati sulle tematiche riguardanti le modalità di utilizzo sia di tecnologie tradizionali, quali la propagazione per “carducci e ovoli radicati in vivaio”, sia di tecnologie innovative, quali “la micropropagazione” e “la moltiplicazione in fuori suolo”. A completamento, una riflessione sull’importanza delle biotecnologie per la propagazione di questa pianta e l’indispensabile ruolo che esse assumono per l’attività vivaistica anche alla luce delle 55 Morone-Fortunato disposizioni vigenti (D.M. 14.4. 1997, pubblicato sul S.O. n. 112 G.U. n. 126 del 2.6.97). In ultimo, dopo aver valutato brevemente i vantaggi di una riproduzione via “seme” e le cause che a tutt’oggi, in Italia, non hanno permesso la diffusione di questo tipo di propagazione, viene presentato un cenno a recenti ricerche sulla realizzazione di ibridi F1. Parole chiave: seme, carducci, ovoli, micropropagazione, micorrizazione. Bibliografia ALBANI M., ATZORI A., SACCARDO F., MICOZZI F., TEMPERINI O., CARDARELLI M., BARBA M., DI LERNIA G., 2006. Applicazione in vivaio di una nuova tecnica di propagazione in vivo del carciofo. Convegno conclusivo Progetto MiPAF “Carciofo”, Roma: 58-60. ANCORA G., 1986. Globe Artichoke (Cynara scolymus L.). In: Y. P. S. Bajai ed., Biotechnology in Agriculture and Forestry, Vol.2 Crops 1, Springer-Veriag Berlin Heideberg, 471-484. ANCORA G., BELLI-DOMINI M.L., CUOZZO L., 1981. Globe artichoke plants obtained from shoot apices through rapid in vitro micropropagation. Sci. Hort., 14: 207-213. ANCORA G., SACCARDO F., 1987. 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