Primo Incontro – Lectio - Diocesi Campobasso Bojano

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Primo Incontro – Lectio - Diocesi Campobasso Bojano
Primo Incontro
NEGLI OCCHI DI GIUSEPPE:
La bellezza della mamma e la furbizia del papà.
I° - Perché è bello leggere queste pagine
La storia di Giuseppe affascina, perché è bella, raccontata con pennellate vivaci, colorite, con
immagini ricche di sapore agreste. Un gioiello di letteratura. Ma anche di storia vera. Tutta la realtà
vi è espressa, senza veli e senza falsi pudori. Così com’è, senza che l’autore si scandalizzi. I fatti
parlano da soli. Almeno sembra a prima lettura. Perché il linguaggio è certo comprensibile anche
per i piccoli, ma il messaggio non è rivolto ai bambini. E’ pensato per noi, adulti, per chi vuole
seguire le strade ardue e difficili della fraternità. Perché dietro vi troverete, fratelli e sorelle
carissimi, la mano abile di un regista attento ai particolari e acuto nello scegliere i momenti del suo
intervento.
Sappiate quindi apprezzare fino in fondo la bellezza dei racconti, av-vincenti e quasi romanzati.
Ma poi, ritornate indietro e scoprirete il «filo rosso»: un Dio che, piano piano, guida ogni cosa al
suo scopo, «giocando» con l’uomo le mosse più furbe. L’uomo furbo è così giocato da un Dio
ancora più furbo. Furbo, perché geloso d’amore, di una gelosia rimbalzata nel cuore umano.
L’occhio allora andrà al «Regista» e non ai singoli attori. In un coinvolgente intreccio tra trama
ed ordito, come i tappeti tessuti dalle nostre nonne, che non ti stanchi di ammirare per la loro
bellezza, ma che ti fanno subito dire, rivolgendoti alla tessitrice: «Ma perché ha scelto questi
colori? Come mai questo disegno? Cosa significa questo arazzo? Perché questo filo
intrecciato...?». È l’Alleanza, è un Dio che sa guidare i fatti, è un amore di Padre, geloso per te e
per me.
Sulle scale di casa.
Me lo immagino, un giorno, quel ragazzo di 17 anni, Giuseppe, che sale le scale di casa con
passi veloci. Lo ha chiamato suo padre, Giacobbe, che gli vuole un bene pazzo. Gli affida un
incarico difficile: andare a rintracciare i suoi 10 fratelli che stanno pascolando il gregge lungo le
montagne della Samaria, molto lontano da casa. Da diverse settimane non si hanno notizie di loro.
Ed il padre è un pò preoccupato.
Ed eccolo davanti al padre. Lui se lo guarda con occhi di predilezione.
Ma perché, direte, gli vuole un bene così grande? Perché lo ama così tanto? Perché non ha
mandato anche lui a pascolare, ma se l’è tenuto vicino, vestito di una tunica bellissima, «dalle
lunghe maniche», quasi un contabile ed un amministratore, lui che è il penultimo dei 12 fratelli?
Basta guardarlo, quel ragazzo. Nei suoi occhi, suo padre Giacobbe intravede due doni esclusivi,
che Giuseppe solo ha in modo così accentuato: tutta la bellezza della mamma, Rachele, la sposa
tanto amata e preferita ma che solo tardivamente ha avuto figlio e tutta la furbizia e l’intelligenza di
lui, il papà Giacobbe.
Ogni figlio è un pò così: si porta dentro due mondi. Un pezzetto della mamma e un pezzetto del
papà, composti in una unicità esclusiva, che avvolge e conquista. Ogni papà lo sa bene.
È come per san Francesco, un esempio su mille, che aveva dentro la passione per la poesia della
sua mamma Pica ed il senso della concretezza e della tenacia dei commercianti di Assisi, di cui suo
padre, Bernardone, era il più in vista. E Francesco sarà così: poeta e rivoluzionario, nello stesso
tempo, innamorato e ostinato, dolce e intrepido.
Così ogni figlio. Così nel mio cuore di GianCarlo, così nel cammino di ogni bimbo. Mio papà,
Germano, ha voluto ad ogni costo rispettare la bella tradizione del nome del nonno. A ne toccava
Giovanni. Ma mia mamma, Albina, assolutamente ha voluto cambiare ed ha esigito che vi fosse il
nome di un suo zio amatissimo, Carlo, ucciso in guerra dai fascisti. Ed ecco, allora, dopo lunghe
discussioni, la scelta di chiamarmi GianCarlo: un pezzetto del cuore di papà ed un pezzetto del
cuore di mamma.
Per questo facciamo ora un passo indietro, in questa prima lectio, ripercorrendo le vicende della
famiglia di Giuseppe: «Ma chi era sua mamma? Com’era suo padre? Che tipo di famiglia era?
Come si chiamavano i suoi 11 fratelli? Quale itinerario ha avuto la sua famiglia?».
II° - Raccontiamo i capitoli 25 - 35 della Genesi
Non si può «leggere» un capitolo o un brano. Questa storia va letta nelle case, da ciascuno di noi.
Ora, nel Centro Familiare di Ascolto, è bello invece «raccontare» questa storia, come una lunga
parabola, che ammaestra.
La sua mamma.
Si chiamava Rachele, ed era bella. Ecco come la descrive il libro della Genesi: «Ora Làbano (il
suocero di Giacobbe) aveva due figlie: la maggiore si chiamava Lia e la più piccola Rachele. Lia
aveva gli occhi smorti, mentre Rachele era bella ed avvenente di aspetto, perciò Giacobbe amava
Rachele» (Gen. 29,16-17). Mica male.
Non per nulla, più avanti, la Bibbia dirà le stesse cose di Giuseppe: «Ora Giuseppe era bello di
forma ed avvenente di aspetto» (Gen. 39,6). Come sua madre!
Il padre, Giacobbe.
Seguiremo ora la storia interessantissima, quasi romanzata, di questo personaggio biblico. Io stesso,
che pur la conoscevo, nel rileggerla con attenzione, l’ho ritrovata «mia». Seguiamola con il metodo
sopra esposto: il fascino della storia e la grandezza del Regista.
•
Giacobbe lotta con il fratello gemello, Esaù, fin nel seno della madre Rebecca. È una lotta
anticipatrice, una lotta tra due popoli, tra due condizioni sociali: la pastorizia e la caccia. E il
cammino di Giacobbe sarà segnato continuamente da questo antagonismo iniziale, che avrà
il suo culmine nel momento in cui, con la complicità della ma-dre, «ruba» la primo-genitura
al fratello, strappando al vecchio padre Isacco, ingannato con astuzia e perfidia, la
benedizione fecondatrice (cfr. Gen. 27). È il gioco dei contrasti e delle gelosie,
perennemente presenti nel cammino biblico (Caino e Abele; Abramo e Lot; Sara ed Agar...).
•
La fuga. Giacobbe si vede così costretto a fuggire, per salvarsi dall’ira incombente del
fratello Esaù. Altrimenti non avrebbe scampo. Esaù è forte, lui è più debole e fragile (forse
anche per questo protetto dalla madre). Fugge «nudo», con il solo bastone. Nulla. È un
«errante», uno sbandato senza meta. Un richiedente asilo, come tanti, oggi, nelle nostre
città. Ha solo tanta paura. È il simbolo di tanta umanità, in fuga dalla propria terra e patria,
in fuga da «fratelli» in guerra. Ieri come oggi.
•
Il sogno di Giacobbe. Eppure, quella fuga si trasformerà in «cammino», cioè in un
itinerario di libertà. Dio infatti lo attende sulla strada, in una notte particolare. Giacobbe è
stanco, prende una pietra, si addormenta e sogna «una scala poggiata sulla terra, mentre la
sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco, gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa»,
cui si aggiunge una voce, la voce di Jahvè, che si presenta come «il Dio di Abramo e di
Isacco», con la promessa del dono di quella terra a lui e alla sua discendenza senza numero
e la sicurezza della sua «protezione divina».
Il messaggio è chiarissimo: Dio segue Giacobbe con mano provvidenziale, visita la terra, dona gli
angeli come compagni di cammino, getta un ponte tra cielo e terra. La fuga è finita. Inizia il
pellegrinaggio, dietro queste promesse, in un compiersi progressivo e fedele. È l’avventura della
fede. Inizialmente la fede di Giacobbe è una fede interessata: «Se mi farà quello che ha promesso,
se sarà bravo con me, allora Il Signore sarà il mio Dio» (Gen. 28,21). Poi sarà una fede maturata
nelle vicende difficili della sua vita. Un pò come la nostra, mescolata ad interessi, paure, incertezze,
slanci, devozionismi ... Dio non si scoraggia. Ma ci purifica, con i fatti della vita.
• Si forma una famiglia. - Giacobbe allora, più rassicurato, raggiunge lo zio Làbano, fratello
della mamma Rebecca. È anche lui un uomo astuto, furbastro. Si giocheranno
reciprocamente, come una partita a scacchi dalle mosse imprevedibili. Làbano ha due figlie:
Lia e Rachele (già incontrate sopra). Lui si innamora di Rachele e, per averla in dono dal
padre, lavora sette anni con il gregge: «Gli sembrarono pochi, tanto era il suo amore per
lei». Un tocco di grazia. Ma la sera delle nozze, approfittando del buio totale nella tenda e
del fatto che la donna era rivestita fino agli occhi da un abito lunghissimo, il suocero
introduce nel letto matrimoniale non Rachele ma Lia (preoccupato che restasse poi senza
marito!). Un tiro mancino, giocato però ad uno che aveva fatto altrettanto al fratello Esaù.
Giacobbe ha giocato Esaù. Ora è lui che si trova giocato. E così Giacobbe si ritrova nella
braccia Lia: «Quando fu mattina... ecco era Lia».
Ma non si perde d’animo. La legge di allora (non scandalizziamoci, era così!) gli permetteva
di avere più mogli. Ricomincia così la sua ricerca di Rachele. Altri sette anni di lavoro duro,
formativo, rassodante. Finalmente ha in sposa Rachele. E per essere ... completi, va detto
che ad ogni sua figlia, Làbano aggiunge una schiava: Zilpa con Lia e Bila per Rachele.
Insomma 4 donne gli stanno attorno. Ovvie le continue, ricorrenti gelosie femminili, che più
di una volta faranno disperare Giacobbe. Eppure, proprio qui Dio scrive la sua storia!
• Gli scherzi di Dio: i 12 figli di Giacobbe. Ma Dio rovescia le parti, come sempre ama fare
lui. Lui sceglie il secondo, sta dalla parte del disprezzato, mette al primo posto quello che gli
uomini mettono al secondo. Caino è il primo, ma Dio accetta i doni di Abele. Esaù è forte:
allora lui sceglie Giacobbe. Giacobbe ama Rachele, ed ecco che Dio la rende inizialmente
sterile. Cosicché Lia, disprezzata, diventa invece madre feconda. E gli partorisce, uno dopo
l’altro, ben quattro figli, tutti belli e saltellanti (Ruben, Simeone, Levi e Giuda). Ognuno con
un nome di battaglia, di netta contrapposizione nei confronti della sorella, bella ma
infeconda. Ve la immaginate la scena, quando Lia torna dall’ospedale, con un nuovo bimbo
in braccio e lo mostra a Rachele? Rachele muore dalla gelosia nel vedersi respinta da Dio
(Gen. 30,1). Offre allora la sua schiava, Bila, a Giacobbe: da questo amore, ecco altri due
figli: Dan e Neftali. Ingelosita a sua volta, Lia offre a Giacobbe la sua schiava, Zilpa, che
partorisce a Giacobbe altri due creature: Gad e Aser. E sono otto. Lia ritorna alla carica e
dona al marito altri due bimbi: Issacar e Zabulon, con una bimba meravigliosa, superprotetta
dai fratelli: Dina. A questo punto, al decimo figlio, dopo che è stata umiliata la bellezza
fisica, Dio «si ricordò anche di Rachele: Dio la esaudì e la rese feconda. Essa concepì e
partorì un figlio e disse: Dio ha tolto il mio disonore». E lo chiamò Giuseppe, dicendo: «Il
Signore mi aggiunga un altro figlio». (Gen. 30,24). Gli scherzi di Dio. Sempre così. È
sempre il secondo che avanza: «La sterile ha partorito sette volte e la ricca di figli è sfiorita,
il Signore rende povero ed arricchisce, abbassa ed esalta», come canta Anna, la donna
«sterile» cui è dato di generare Samuele (1Sam., 2,5-7). E lo stesso dirà Maria di Nazareth,
nel Magnificat. Ma è proprio attraverso questo racconto delle piccole e grandi gelosie tra
donne, dei dispetti e delle tensioni tra di loro che riusciremo a capire le gelosie e le invidie
dei 12 figli di Giacobbe. Sono cresciuti in questo contesto, sono «figli della gelosia», che si
scaricherà a sua volta proprio su Giuseppe, non appena questi è «segnato» da una vocazione
diversa, che lo rende «privilegiato».
• Giacobbe di nuovo «solo». - Il ritorno di Giacobbe avviene non ap-pena questi ha messo
insieme, con una serie di trucchi furbeschi, da pastore esperto, un gregge numerosissimo.
Ormai è ricco e forte. Ma nel cuore ha un vuoto: sente la nostalgia della casa, del fratello,
delle promesse che Dio gli ha fatto. Con astuzia si separa dal suocero Làbano e si mette
sulla via del ritorno. Ma ha una tremenda paura del fratello Esaù, che gli viene incontro con
quattrocento uomini. Teme la sua vendetta. L’ombra del fratello gli mette addosso una paura
paralizzante. Gli sembra che a nulla siano serviti quegli anni di fatica. Che i suoi 11 figli non
contino niente per lui … Si sente di nuovo solo e vuoto. Ha l’impressione di aver fallito. In
questa solitudine, matura dentro di lui un duplice atteggiamento: un urgente bisogno di
ritrovare il volto vero di Dio (già intravisto a Betel) e di rivedere il volto riconciliato del
fratello. Un forte bisogno di Dio e del fratello. Senza di questo, a nulla servono i soldi. Lo
lasciano terribilmente «solo». Giacobbe diventa così l’immagine delle nostre nostalgie più
grandi.
• La lotta con Dio (Gen. 32,23-32). Giacobbe prepara bene il suo pros-simo incontro con
Esaù, nei minimi particolari. Prima di tutto, si fa precedere da una lunga processione di
ricchi doni, per impressionarlo e conquistarne il cuore. Poi alle mogli e ai figli fa passare il
guado di Iabbok, sul fiume Giordano. Lui resta solo, di nuovo: «solo e un uomo lottò con lui
fino allo spuntare dell’aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì
all’articolazione del femore, che si slogò». È una lotta che lascia il segno, perché Dio è più
forte e più grande. Ma Giacobbe si aggrappa a questo misterioso personaggio e gli strappa la
benedizione. Ricalca quella strappata al padre Isacco (è sempre un furbacchione!) e
riattualizza il sogno di Betel. Nella carne gli resta impresso un segno: zoppica mentre si alza
il sole. Ora potrà essere veramente «patriarca», cioè «padre nella fede», come lo fu Abramo.
Segno di questo cambio di vita è il nuovo nome: Israele, cioè colui che ha lottato e vinto
con Dio. È l’uomo che cerca Dio. Il mistico che si innamora dell’Assoluto. La vocazione
premiata. La vita che forgia e premia. I segni che Dio pone nella tua carne. Il mistero di un
passaggio che segna, perché Dio lascia sempre il suo «sigillo» nel cuore e spesso anche nella
carne. Da sempre, è un brano che conquista. Anticipa l’itinerario del figlio, Giuseppe,
anch’egli segnato nella carne da una storia di dolore, in una logica più grande. Vince chi ha
fede, fino in fondo.
• Il volto del fratello. Solo ora, dopo che ha incontrato il volto vero di Dio, ora che è stato
purificato, può incontrare il volto di Esaù. Sarà un incontro sereno. Esaù appare forte, ma
anche leale e generoso. Ringrazia dei doni, che non si attendeva. Si stupisce dei risultati
raggiunti dal fratello. Insieme gioiscono della benedizione, che Dio ha donato ad entrambi,
pur se in modo diverso. E si abbracciano, finalmente fratelli. Nessuna vendetta da parte di
Esaù, ma riconciliazione e perdono. Un esempio mirabile. Le loro strade si separeranno di
nuovo, ma non più conflittuali. Saranno due strade distinte e complementari. Giacobbe
sceglierà Betel (cfr. la cartina geografica), dove già aveva sperimentato la provvidenziale
presenza di Dio. Esaù ritornerà verso Seir, nei luoghi deserti. A Betel, una nuova grande
scelta: Giacobbe chiede a tutti di abbandonare gli idoli. Vengono consegnati a lui che li
sotterra. Riceve una nuova benedizione. Nasce un popolo nuovo. E qui nasce Beniamino,
«il figlio del dolore», perché la bella Rachele nel darlo alla luce, perde la sua vita. Una
dolore che si fa fecondo. Una madre in pienezza. Un seminare nelle lacrime per raccogliere
nella gioia.
E ritorniamo su quelle scale, dove avevamo visto salire in fretta quel ragazzo, Giuseppe, di 17 anni,
sveglio ed intelligente come il padre, bello e vivo come la madre. Un memoriale vivente di un
passato di gioie e di dolori, per Giacobbe, che intravedeva in lui, in modo diretto, tutta la sua storia,
quella storia intessuta con Dio. Ecco perché lo «privilegiava», rivestendolo di ricordi, di cui la
tunica dalle lunghe maniche era un magnifico simbolo.
III° - Riflettiamo insieme sul racconto
La storia di Giacobbe conquista. Ci sentiamo anche noi «raccontati» con lui, interpretati dalle
sue vicende. Un pò come tutta la Bibbia, che va sempre più «raccontata» («lectio») nella vivacità
della sua storia di ieri (per scoprirla sempre più affascinante!) e poi incarnata nel vivo della nostra
storia, di oggi, perché anche la nostra storia risplenda di bellezza.
Prima raccontare. Ora incarnare. È quanto cercheremo di fare, nella «meditatio», cioè la
riflessione che attualizza ed incarna nel nostro tempo la storia di «quel» tempo.
•
Passiamo ora dagli attori della storia al «Regista» della storia. Torniamo indietro,
ricuperando «il filo rosso» che intravediamo negli avvenimenti. Prima di tutto, emerge lo
stile di Dio, che si visualizza in una parola, bella ed immensa: ALLEANZA. Dio fa alleanza
con il suo popolo, iniziando da Noè, poi Abramo ed ora Giacobbe.
DIO è Alleato: cioè vicino, amico fedele, che sa difendere ed intervenire al momento giusto.
Sembra lontano, ma al momento giusto te lo trovi accanto. Ha cura di Giacobbe, non lo
lascia da solo, gli appare, lo conduce piano piano, lo purifica con le prove e il dolore. Lo
guida.
•
Dio è così il grande pedagogo, cioè il grande Maestro, l’Educatore per eccellenza, che sa
parlare con fatti e parole intimamente connessi. Non lo trovi nell’intimismo né
nell’emozionale né nelle apparizioni o solo nei sogni. Lo ritrovi nella storia, nei fatti nudi e
crudi, nelle gelosie tra fratelli, nella furbizia e scaltrezza. Insomma, Dio non si ritira
nemmeno di fronte al nostro peccato.
•
Ma Giacobbe si lascia educare ed accompagnare dalla mano alleata di Dio. Da
imbroglione si fa retto; da interessato si fa credente; da fuggiasco si fa itinerante. Cambia, si
converte. Perché ha creduto alla mano di Dio che accompagna e purifica. Culmine di questo
cammino sarà l’incontro di riconciliazione con il fratello, dopo che ha incontrato il volto
vero di Dio.
Riassumendo, si possono trarre queste tre conclusioni:
* Dio è paziente, ma non assente;
* L’uomo fugge, ma è inseguito da Dio;
* Il vero volto di Dio è nel fratello riconciliato, ma non si può trovare il volto del fratello
senza prima aver incontrato il volto vero di Dio.
Infatti:
1. - Dio è paziente, ma non assente.
Lui sa i tempi, lui conosce i nodi del nostro cuore, lui sa quando è il momento giusto di intervenire.
Talvolta sembra un silenzio che si fa assenza. Ma non è così, per chi crede e vuol capire. Perché al
momento giusto, ecco la sua mano, forte e talvolta anche severa: «La sapienza di Dio si estende da
un confine all’altro con forza, governa con bontà eccellente ogni cosa» (Sap. 8,1). Guai a
scambiare la «pazienza» di Dio come sua assenza, guai a pen-sare che non ci sia, perché dà spazi
grandissimi alla nostra libertà. Dio c’è ed è forte, ma rispettoso, attento, educante, perché crede
nella libertà. Ci ha fatti così, liberi di scegliere, capaci di amare (cfr. Lettera pastorale, n.38, pp. 4748).
Di conseguenza, ogni educatore possa ritmare il suo intervento con lo stesso stile di Dio. Così i
genitori, in un difficile ma decisivo rapporto tra libertà e verità, tra pazienza e presenza, «fortiter et
suaviter», con fermezza e dolcezza, in un intreccio difficilissimo, ma liberante. Così sia il rapporto
del Vescovo con i suoi preti, del prete con i suoi fedeli, dei genitori con i figli, dei maestri con gli
allievi.
Ci sono di esempio i grandi santi educatori, che la chiesa venera con gioia: san Giovanni Bosco,
sant’Angela Merici, san Giuseppe …(cfr. Le lectio degli anni scorsi).
2. - L’uomo fugge, ma è inseguito da Dio:
Proprio perché Dio è paziente ma non assente, anche l’uomo può fuggire, con libertà incredibile,
varcare oceani, sondare pianeti, ma dentro resta sempre un nostalgico. E Dio, al momento
opportuno, gli pone dei «sensi unici» nel caos della vita. Oppure, per ricuperare l’immagine felice
della lettera Pastorale (Uscire dal labirinto col filo della fraternità!, n.11) ci aiuta lentamente ad
uscire dal labirinto, con il filo della fraternità, ponendo dei puntini di riferimento, con dei numeri
precisi e chiari, anche se difficili da cogliere sul momento. Un pò come è avvenuto a Giacobbe: in
fuga davanti al fratello, ecco la visione in sogno degli angeli sulla scala. E la promessa di una
protezione divina. Giacobbe non crede se non vede. Ma parte ed intreccia la sua vita, si costruisce
una famiglia, mette insieme un patri-monio. Ma sente la nostalgia di casa. La paura dell’ira di Esaù
è il «senso vietato» che Dio gli pone innanzi. Lo spoglia dei suoi beni, lo rende «solo». Nella lotta,
lo forgia, lo stringe, lo fa suo, gli cambia il nome.
La mia notte di luce.
Così è per la storia di ognuno di noi. Soprattutto nella storia di ogni consacrato, di ogni prete. Anche nella
mia. Permettete che ve ne racconti un pezzetto decisivo per me, quasi fossi anch’io presente tra di voi nel
vivo del Cenacolo del Vangelo! Mi rivedo, giovane liceale, sessantottino in lotta con la vita, desideroso di
avere in mano la soluzione della mia vita. Al termine degli esami di maturità mi reco a Spello, per incontrare
un uomo di Dio, fratel Carlo Carretto, in una settimana di preghiera e di silenzio. Devo decidere che cosa
fare: se restare in seminario o uscire e frequentare l’università.
Mi affascinava la chimica, scoprire il segreto delle cose ed mistero della vita. E qui, al primo incontro,
fratel Carlo mi legge negli occhi l’inquietudine tipica di quei momenti e mi dice con tono rassicurante: «Qui
non troverai la soluzione tecnica immediata, ma imparerai il metodo per sciogliere i tuoi nodi». E mi invita
alla preghiera adorante, lungo tutto il pomeriggio, mentre il mattino era lasciato per il lavoro nei campi, con i
contadini dell’Umbria. Mi attirava un suo libro, dal titolo incisivo: «Al di là delle cose». Semplice, efficace.
Che consiglio anche oggi ai giovani in ricerca. Mi ha riportato il cuore in pace. Ma soprattutto mi ha
preparato all’incontro più decisivo della mia vita.
Passo l’ultima notte, in un eremo sperduto tra i boschi del monte Subasio, sopra Assisi. Nel cuore della
notte mi sveglio, esco e vedo davanti una luna immensa, che mi avvolge nel silenzio infinito. E sento dentro
una voce che si fa domanda: «Ma Dio dov’è?». Con un’altra nel mio cuore che risponde: «È al di là delle
cose». «E la felicità dov’è?» - «È al di là delle cose..» ... Così in un mirabile intreccio fra domanda e
risposta, sciolgo la mia tensione interna, mi scopro in lacrime dolcissime e sento, in modo nettissimo, mai
come allora, che Dio c’è. Che Dio esiste. «E allora - mi dissi - se Dio c’è, io mi faccio prete!».
E’ stata una notte simile a quella di Giacobbe in lotta con l’angelo. Ed ogni volta che leggo quel
brano, ripenso a quella notte di fine luglio 1969. Tanti anni fa, segnati da un Memoriale che si è fatto storia
crescente di fedeltà nella mia vita. In fuga, ma raggiunto da Dio.
E’ quello che auguro a tutti voi, fratelli e sorelle carissimi. Abbiate anche voi una notte di lotta con
Dio. O meglio, sappiate coglierla, perché Dio la offre a tutti, prima o dopo. Magari in ospedale o in carcere o
sulla riva del mare o davanti al Santissimo in chiesa o...
3. - Il vero volto di Dio è nel fratello riconciliato, ma per ritrovare il volto del fratello
occorre ritrovare prima il volto vero di Dio.
È un intreccio inscindibile. Mai l’uno senza l’altro. Mai Dio senza l’uomo. Né l’uomo senza Dio.
Proprio perché Giacobbe ha lottato con Dio, ha avuto nella sua carne il segno di questo
combattimento, ha ricevuto un nome nuovo ... proprio per questa forte esperienza egli ora può
andare incontro al fratello, affrontando la sua tremenda ira di uomo ferito ed offeso.
Giacobbe ritrova così il vero Padre, con cui si è fatto Alleato. E questa paternità lavora anche nel
cuore di Esaù, che miracolosamente si lascia conquistare sia dalla furbizia del fratello (e ne ha da
vendere!) che dal suo volto luminoso e pacificato. Giacobbe non viene per rivendicare, ma per
donare. Non per aver ragione, ma per abbracciare. Non per spartire, ma per offrire. Ed è fatta.
La pace scende allora come benedizione, dalle mani tremanti di Isacco, scende su entrambi. Non
sono più in lotta. Ma abbracciati e riconciliati.
IV ° - In dialogo fraterno
1. - Hai compiuto una scelta radicale di Dio? Hai fatto di Lui una forte, decisiva, concreta
esperienza? C’è stato un memoriale di cui sei certo, che fa da fondamento al tuo credere? Hai
saputo lottare con Dio?
4. Nel caso di un torto fatto ad un fratello, come ti presenti a lui? Riconosci i tuoi difetti? Sai
conquistare il cuore di colui che tu hai offeso? Sai praticare la correzione fraterna, come
suggerito nella Lettera Pastorale (n.25).
5. E se invece il torto lo hai ricevuto, sai accettare piccoli segni di una crescente offerta di pace,
come è avvenuto nel cuore di Esaù?
6. E per entrambi, si può far pace, senza prima aver fatto pace con Dio? Sapete pregare prima di
tentare la pace? Affidate ad una notte di preghiera questo ponte da ricostruire, questo
abbraccio da fare?
V° - Preghiamo
Noi ti lodiamo e ti benediciamo, o Padre,
dal quale proviene ogni paternità in cielo e in terra.
Fà che mediante il tuo Figlio Gesù Cristo,
nato da donna per opera dello Spirito Santo,
ogni famiglia diventi un vero santuario della vita
e dell’amore per le generazioni che sempre si rinnovano.
Fà che il tuo Figlio orienti i pensieri
e le opere dei coniugi al bene della loro famiglia
e di tutte le famiglie del mondo.
Fà che i figli trovino nella comunità domestica
un forte sostegno per la loro crescita umana e cristiana.
Fà che l’amore, consacrato dal vincolo del matrimonio,
si dimostri più forte di ogni debolezza e di ogni crisi.
Concedi alla tua Chiesa di compiere la sua missione
per la famiglia e con la famiglia
in tutte le nazioni della terra.