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Laboratorio Impresa
E' così evidente che vi sia lo spazio politico per un'offerta di sinistra, radicale, europeista,
contemporanea, che il dibattito in corso sul processo costituente è del tutto necessario.
Vi è la necessità di dedicare un po' di energia alla produzione di contenuti ed io vorrei concentrarmi
sul tema rimosso del ruolo che ha l'impresa nel nostro discorso, che proposte vogliamo fare agli
imprenditori ed alle imprenditrici, che sviluppo vogliamo progettare per essi.
Vi sono due modi di creare occupazione: o con l'impresa pubblica o con l'impresa privata.
Se vogliamo buona occupazione dobbiamo avere una politica economica che crei buona impresa,
-sia essa individuale, micro, piccola, cooperativa, di persone, di capitale, onlus- e che esiga
eccellenti comportamenti nella responsabilità sociale ed ambientale.
Il lavoro è cambiato, ovunque, anche in Italia. Osservate i vostri conoscenti, scoprirete che qualcuno
ha aperto un beer shop, un altro un laboratorio per giardini verticali, un altro fa analisi semantica,
un altro ancora un asilo nido, una cooperativa di servizi alla persona, un negozio di pasta fresca, un
b&b, un'agenzia di comunicazione, un'agenzia di consulenza finanziaria per migranti, un altro
ancora consegna la posta leggera in bici, un'altra organizza matrimoni, altri ancora hanno rimesso in
opera un'azienda agricola abbandonata da un paio di generazioni.
Non sto sostenendo che il divenire imprenditori è la strada maestra per cambiare il mondo, né tanto
meno che le imprese sia contenitori senza dialettica, ma che è evidente che la contrazione del
mercato del lavoro, soprattutto giovanile, ha generato le condizioni per una impressionante attività
di imprenditoria diffusa, che eccede la categoria di lavoro autonomo di nuova generazione.
Da vent'anni si è rilevato che il doppio movimento di precarizzazione e pauperizzazione delle
professioni all'interno di un ciclo macro-economico regressivo e di nuove filiere produttive flessibili
e mobili, favorite dalle leggi sul mercato del lavoro, ha creato lo spazio economico per il lavoro
autonomo, finto-indipendente, mono-committente e via degradando. E' assodato che le
caratteristiche di ricerca di indipendenza e di autonomia proprie di questo segmento del lavoro vivo
sociale hanno condotto ad una riflessione nuova e non scontata su cosa significhi “welfare”,
“conflitto”, “rappresentanza”, “sindacato”; in alcuni casi si è riuscito a coalizzare parte di questa
composizione del lavoro ed a far avanzare in maniera decisiva il dibattito1.
Il punto è che dentro la corrente Grande Crisi si è sviluppato, a mio parere, un ulteriore movimento
che ha caratteristiche di novità rispetto alle riflessioni finora maturate, ovvero la nascita di migliaia
di imprese che, al di là della forma giuridica che hanno – e sono molte-, esprimono la voglia di
creare e crearsi un impiego, spesso con molta creatività, originalità, passione.
La mia tesi è che sia avvenuto un mutamento sociale analogo a quello studiato dagli eredi
dell'operaismo italiano negli anni '80, quando venne letta la nascita dei distretti industriali all'interno
dei processi di outsourcing anche come spinta soggettiva di operai ed operaie che, espulsi dal ciclo
produttivo fordista di fabbrica, divennero artigiani, metalmezzadri, piccolo imprenditori2.
1 Si veda la Carta delle pretese e dei diritti dei lavoratori autonomi e dei freelance avanzata dalla Coalizione 27
Febbraio http://coalizione27f.info/blog/
2 “Tra tutti gli stati del capitalismo avanzato l’Italia è stata il paese che ha portato avanti la disgregazione della
grande fabbrica in maniera più radicale. L’Italia è stata all’avanguardia nel cosiddetto “decentramento produttivo”,
nella frammentazione dell’impresa in tante piccole e minuscole aziende artigiane. Nel giro di un decennio, dal 1980
al 1990, l’Italia diventa il paese dei “distretti industriali”, aree specializzate in determinate produzioni, soprattutto in
produzioni a basso valore aggiunto (tessile-abbigliamento, cuoio e calzature, arredo per la casa), caratterizzate dalla
presenza di piccole e medie imprese. Il sistema del decentramento produttivo comporta due vantaggi rispetto alla
fabbrica fordista: diminuisce i costi di produzione e riduce il rischio di conflitti industriali. Una parte delle
lavorazioni vengono date in outsourcing, spesso agli stessi operai che vengono trasformati in artigiani fornitori, il
numero dei dipendenti diminuisce drasticamente e si riduce la massa salariale e l’effetto di rivendicazioni sindacali.
Siamo a metà tra fordismo e postfordismo o, se vogliamo, siamo in presenza di un postfordismo “dall’alto”. I
vantaggi di questo sistema consentono la formazione anche di grandi imprese multinazionali, come Benetton e
Luxottica. I distretti industriali si diffondono in particolare nelle regioni a forte controllo sociale, nel Veneto
La nascita di migliaia di imprese è un tema, da conoscere e da analizzare, non intendo né farne
l'apologia, né descrizioni entusiastiche, ma solo invitare a ragionarci e fare politica.
Con queste premesse consideriamo l’imprenditore e il lavoratore autonomo come equiparabili: sono
entrambi soggetti impegnati in forme di lavoro che provvedono al proprio reddito in forma
indipendente.
I settori sono davvero i più vari, anche il settore primario è interessato da una dinamica nuovissima,
con movimenti di rimessa in opera di coltivazioni abbandonate, borghi decaduti e ripopolati,
tecnologie e processi organizzativi nuovi nel rapporto con il mercato e con stili di comunicazione a
volte sorprendenti. Analogo fermento lo riscontriamo nel mondo variegatissimo del cibo, della
salute e benessere della persona, del divertimento.
Spesso questi nuovi imprenditori ed imprenditrici3 sono ad alto o altissimo tasso di scolarizzazione:
si badi che sono i dottorati non stabilizzati nelle università ad essere consulenti associatisi in una
newco.
Dove il lavoro non c'era è stato creato, all'archetipo di lavoro maschile a tempo indeterminato per
un'unica impresa fino alla pensione si è sostituito un impiego flessibile, dinamico, spesso vissuto
con originalità e passione; alla disoccupazione si sono contrapposti l'impiego autonomo o l'impresa
indipendente.
Non confondiamo questo movimento con la semplificazione “ecco i nuovi ricchi”; gli imprenditori
di cui parliamo sono a carattere precario, non ancora e forse mai strutturato, sono del tutto proletari
dell'economia del debito.
I neo imprenditori italiani sono uomini al 74.2%, giovani under 35 al 45.5%, diplomati per il
48.9%, provenienti da ruoli di operaio/apprendista (26%), impiegato/quadro (18%) o
imprenditore/lavoratore autonomo (13%)4.
Il capitale utilizzato da questi imprenditori all’avvio delle loro imprese è per il 42% inferiore a
5mila euro e per il 30% al massimo 10mila, solo l’1.5% delle imprese avviato ha richiesto più di
100mila.
Il movimento del fare, del creare, dell'occupare nel suo insieme complesso ed articolato, può
riservare molta forza ad un progetto di trasformazione sociale. E moltissimi voti, of course.
cattolico e nell’Emilia Romagna comunista. Il Partito Comunista Italiano sposa l’ideologia del decentramento
produttivo come un “capitalismo dal volto umano” sostenibile perché privo di conflitti, il fine principale di una
comunità civile sembra quello, dopo il decennio di forti conflitti e scontri di classe, della pace sociale. Gli
intellettuali che provengono dall’esperienza operaista colgono immediatamente questa trasformazione, che viene
accentuata e resa più radicale anche dai movimenti di protesta del ’77, i quali rappresentano con le tematiche della
soggettività, dell’ambiente, del rifiuto del lavoro normato, disciplinato, irreggimentato, una specie di postfordismo
“dal basso”, un desiderio di liberazione che non teme di contrapporsi alla stessa classe operaia. Sin dalle prime
grandi ristrutturazioni di aziende dell’auto (Innocenti di Milano, anni 1974-75) con l’uso massiccio della Cassa
Integrazione, gli operaisti seguono da vicino queste trasformazioni, l’analisi del decentramento produttivo è uno dei
temi centrali sia di riviste come “Primo Maggio” che di gruppi universitari di ricerca, in particolare a Milano alla
Facoltà di Architettura dove insegna Alberto Magnaghi. Non sono gli unici, anzi molti laboratori universitari, nel
Veneto, in Emilia Romagna, in Toscana, nel Mezzogiorno, seguono con interesse la trasformazione del modello
fordista, la differenza sta che nell’analisi dei gruppi che mantengono il retaggio dell’operaismo il decentramento
produttivo viene visto come un attacco all’unità della classe operaia, come una rivincita del capitalismo dalle
sconfitte dell’”autunno caldo”, mentre gli altri gruppi di ricercatori vedono nel decentramento produttivo solo una
nuova frontiera del capitalismo, con molti risvolti positivi. (Sergio Bologna, http://www.euronomade.info/?p=3877)
3 Secondo una stima del Global Entrepreneurship Monitor nel 2011 hanno avviato impresa ben 338 milioni di persone
(indagine su 54 paesi riferiti a diverse aree geografiche e differenti livelli di sviluppo). In questo gruppo di neoimprenditori si rintracciano una buona percentuale di donne (42%) e giovani tra i 18 e i 45 anni (42.5%).
La rilevazione di Eurobarometer (2010), sottolinea che in Europa il 12% dei cittadini è coinvolto in attività
imprenditoriali (4% nelle fase embrionale”, il 3% nelle fasi di avvio e il 6% in imprese avviate da tempo), ed il dato
per l’Italia è lievemente inferiore (11%) con circa l'11% delle imprese a guida under 35 e circa il 23% con leadership
femminile.
4 Dati di Unioncamere 2012
Imprese in Italia per numero di addetti
Classe di Addetti
0 addetti
1 addetto
2-5 addetti
6-9 addetti
10-15 addetti*
sotto i 15 addetti
16-19 addetti*
20-49 addetti
50-99 addetti
100-249 addetti
250-499 addetti
più di 500 addetti
sopra i 15 addetti
TOTALE
Attive
Inc. %
887.377 16,8%
2.479.549 47,0%
1.416.291 26,8%
241.440 4,6%
94.364 1,8%
5.119.021 97,0%
62.910
64.248
16.720
8.639
2.364
1.613
1,2%
1,2%
0,3%
0,2%
0,0%
0,0%
156.494
3,0%
5.275.515 100,0%
* La classe è stata stimata dividendo la classe complessiva 10-19 addetti
Elaborazione Ufficio Studi CGIA di Mestre su dati Infocamere - Movimprese
Quante sono le imprese in Italia? Eliminiamo le grandi e medie e concentriamoci su quelle che
impiegano meno di 10 dipendenti e che fatturano meno di due milioni di euro, rimangono oltre
4.100.000.
Secondo il Centro Studi Unioncamere in Italia nel 2011 sono presenti oltre 6 milioni di imprese
registrate (quasi un milione e mezzo sono imprese artigiane), con un tasso di crescita dello 0.82%
durante l’anno; la maggior parte delle imprese sono ditte individuali (55%), seguita dalle forme
giuridiche delle società di capitali (23%) e società di persone (19%).10%).
In Italia la dimensione egemone sono la micro e la mini e non vi è né la tendenza né l'ambizione
alla crescita, per condizioni economiche certamente, ma anche per scelta.
Francamente, al contrario di molti, non disprezzo il piccolo in ragione del grande, preferisco uno
sviluppo orizzontale e diffuso dell'imprenditorialità alla sua verticalizzazione dimensionale; di
norma la qualità democratica ed innovativa del lavoro d'imprenditore si esalta nel piccolo, nella
cooperazione, nel networking contro la strutturazione gerarchica della filiera.
Possiamo anche solo immaginare di ignorare 4 milioni di persone giuridiche attive? Di ritenerle
nemiche di classe e serve della reazione? Possiamo umiliarle chiamandole banditi fiscali? Una
borsa di studio in azienda è l'asservimento del libero sapere critico al Capitale? Davvero non si
assume il 16simo dipendente perchè si aborrisce l'articolo 18 ed il Sindacato in fabbrica? Pensiamo
che, al netto di truffatori e malavitosi, chi ha usato gli incentivi all'assunzione a tempo
indeterminato della Legge di stabilità lo abbia fatto per avere in tasca il diritto a licenziare senza
giusta causa dopo 36 mesi?
Io non lo credo. Cosi come credo che siano opportuni gli interventi di politica economica a sostegno
delle assunzioni, con la riduzione del costo lordo del lavoro senza vessazioni per i collaboratori,
così come sono del tutto corretti gli eventuali dispositivi per la detrazione delle attività formative.
Credo che se la stragrande maggioranza degli imprenditori italiani non si è affidata ai forconi
fascisti o leghisti è perché attende una credibile proposta politica trasformativa delle ingiustizie del
presente, perché una direttrice del conflitto sociale è anche tra piccolo e grande, tra nuovo e
vecchio.
La CGIA fa notare che dall’inizio della crisi del 2008 al primo semestre del 2015 gli autonomi (i
piccoli imprenditori, gli artigiani, i commercianti, i liberi professionisti, i coadiuvanti familiari, etc.)
sono diminuiti di quasi 260 mila unità. Per essi non c'è paracadute, reddito, sindacato e neppure
ristrutturazioni del debito -il “diritto a non pagare i debiti” vale per i grandi, non per i piccoli
imprenditori.
La crisi dell'impresa è innanzitutto la crisi della persona fisica dell'imprenditore, non
dimentichiamolo, perché in questi milioni di imprese non si può separare impresa da imprenditore,
vi è una fisicità del lavoro e quando i libri si chiudono in rosso, saltano per aria famiglie intere,
spesso in modo tragico5.
Sulle piccole imprese continua ad accanirsi un fisco fra i più iniqui d’Europa. Il carico fiscale
complessivo in Italia è pari al 64,8% dei ricavi (la media mondiale è del 40,8%) ed è il più alto
d’Europa; gli adempimenti fiscali a carico delle imprese italiane sono in media 14 l’anno contro gli
11,5 in Europa ed un’impresa impiega mediamente 269 ore all’anno per tali adempimenti, contro
una media europea di 173 ore.
Sommando Irap, addizionali Irpef, Imu e Tasi ogni piccola impresa paga in media 11.164 euro di
tasse locali all’anno, ovvero 2.233 euro per addetto; complessivamente circa 70 miliardi l’anno di
tasse e tenete in conto che il calo del 2015 va interamente intestato all’abolizione della componente
lavoro dell’Irap il cui beneficio viene dimezzato dal maggior prelievo dell’Irpef e dei contributi
previdenziali degli imprenditori.
Le strategie competitive basate sull'“elusione fiscale” sono il terreno di competizione del grande,
non del piccolo che non ha neppure accesso ai servizi di consulenza adeguati perché le banche
profilano i clienti sulla base della ricchezza patrimoniale.
E' non rinviabile una discussione pubblica sul rapporto tra assistenza sociale, previdenziale,
sanitaria e fisco che eviti l'alternativa binaria “tasse sì/ tasse no”, e che metta a tema l'equità, la
sostenibilità, il diritto al futuro e la protezione in caso di default.
Ci domandiamo mai perché lo Stato difenda il capitale morto (ad esempio i depositi bancari) e non
tuteli gli imprenditori (persone fisiche e giuridiche)? E' più di sinistra accollare alla fiscalità
generale i debiti di una bad bank e l'assicurazione di un'obbligazione strutturata -come accaduto
nella discussione sul Decreto “salva banche”- o finanziare un'impresa in difficoltà a cui sono
imposti i rientri d'urgenza dei fidi?
Nel rapporto Doing business 2014 la Banca mondiale ha messo il nostro Paese al 90esimo posto su
189 per la facilità con cui si avvia un’attività (dopo il Rwanda, l’Armenia, il Botswana, due
posizioni prima del Ghana); nonostante questo “start up” è ricercatissimo nei motori di ricerca.
Fare impresa in Italia è ampiamente desiderato da chi non eredita, non nasce ricco, ma ha buone
idee e voglia di lavorare, ma è difficile. Immaginate di fare una email ad una Banca con allegato un
business plan e scommettete su quale scenario vi aspetta:
Caso 1: email in cartella spam, nessuna risposta
Caso 2: vi risponde una centralista sudafricana, la linea cade
Caso 3: vi viene chiesto di garantire con beni famigliari e firme personali -che azzerano il
vantaggio di una società a responsabilità limitata- e con costi folli un credito non sufficiente
a coprire il vostro lavoro fino a ben oltre il punto di pareggio. Spesso si perde tempo a
negoziare lo spread sull'Euribor e non ci si accorge che per accedere al mutuo per l'impresa
si deve sottoscrivere una polizza sulla morte del richiedente -a carico del richiedente-, una
fidejussione sul 50% dell'importo da parte di un Consorzio fidi, una spesa di istruttoria
superiore agli interessi passivi del primo anno
Questa è una cosa da cambiare. Non c'è alcun buon motivo per accettare questo processo nemico
della creatività e tutelante la rendita di posizione dei soliti noti.
5 Nell’anno 2014 sono state complessivamente 201 le persone che si sono tolte la vita per motivazioni economiche,
rispetto ai 149 casi registrati nel 2013 e agli 89 del 2012, 45% gli imprenditori, 42% i disoccupati.
C'è un'alternativa? Certo. Ad esempio invece di ipotecare il bilancio pubblico sull'altare dell’IMU
sulla prima casa si deve operare per generare più investimenti, per rendere più concreta la creatività
di molte centinaia di migliaia di italiani ed italiane; ad esempio azzerare le spese parassitarie nella
concessione del credito; ad esempio eliminando le mostruosità finanziarie che si covano negli
“oneri di gestione”, nelle “commissioni”, negli passività degli anticipi fattura; ad esempio
eliminando gli spesso inutili oneri notarili; ad esempio riservando adeguati fondi a copertura e
garanzia degli investimenti produttivi e finalizzati a nuova occupazione o investimenti o
formazione.
Il tema è come svecchiare il mercato dei capitali, come snellire l’ingessato sistema bancario
italiano, come sforbiciare i costi delle operazioni notarili, come rivedere il Regime dei minimi per le
partite IVA e gli studi di settore, come dare soldi veri -e non gettoni premio- alle neo-imprese.
La cinghia del rinnovamento sociale e l'iniezione di molta mobilità sociale passa anche per queste
cose, semplici e concrete.
Possiamo pensare che i Consigli di Amministrazione degli Istituti bancari siano obbligati a
concedere credito sulla base del merito delle idee e non dei patrimoni personali? Possono essere
cancellate le spese di istruttoria ed ogni balzello che appesantisce il TAEG? Possiamo avere un
giubileo del debito per chi ha provato a creare impresa e vuole ricominciare senza avere l'intera vita
ipotecata? Si può limitare il ruolo delle centrali rischi? Possiamo risolvere l'intermittenza
dell'accesso al reddito con la garanzia di averlo e la paura (il terrore) della malattia con il diritto a
curarsi?
Bramiamo un'organica trasformazione della Previdenza sociale, il cui finanziamento sia dato dalla
lotta all'elusione fiscale delle grandi banche, assicurazioni e multinazionali che sono abilissimi nello
sfruttare la deficienza politica dell'Unione Europea, un parco giochi fiscale in cui consolidare il
bilancio di esercizio nello stato che fa il dumpig fiscale più competitivo (in caso si tratta, come nella
vicenda che ha riguardato Apple, di certo non arriva la cartella Equitalia).
Una volta scoperchiato Il vaso di Pandora del nuovo lavoro vivo e produttivo del Terzo Millennio ci
fornisce le coordinate per un discorso comune sull'Impresa; in esso sono in maiuscolo il diritto al
credito, il diritto a sbagliare, il diritto a intraprendere senza paura, il diritto ad un fisco equo sulle
attività produttive e severo sulla rendita mobiliare ed immobiliare e sull'eredità, il diritto ad una
Pubblica Amministrazione onesta e efficace, il diritto al welfare per l'imprenditore.
La teologia delle start-up è parte di quell'economia della promessa che affascina, ma che non regge
alla prova della realtà; non è vero che il lavoro è meno faticoso, non è vero che è sufficiente parlare
digitale per arricchirsi, non è vero che nel nostro Paese vi è un'offerta di capitali pronta ad
incontrare una domanda di capitale di rischio.
La realtà, come dimostrano i dati, è che si accende un'impresa per accedere al reddito, per
creare(rsi) un lavoro, per forzare la mano ad un mercato del lavoro che in ingresso è povero di
opportunità, demansionante, poco gratificante per le aspettative di qualità del lavoro e di mobilità
sociale; nel fare questo le difficoltà sono gigantesche e, per certi versi, lo scontro di classe vi è tutto
e si articola sugli assi cartesiani piccolo vs grande, giovane vs vecchio, povero vs ricco.
La disuguaglianza è la mediana che separa l'amico dal nemico, chi lavora da chi non ne ha bisogno,
il 99% dall'1%. Lungo quella mediana noi ci riconosciamo come movimento di diversi contro la
disuguaglianza costruita sulla rendita.
C'è molto spazio per una Nuova sinistra quando si parla di impresa.
GMDP , Bologna, 03/02/2016