IL PROSIMETRUM IN NATURALES QUAESTIONES DI SENECA

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IL PROSIMETRUM IN NATURALES QUAESTIONES DI SENECA
IL PROSIMETRUM IN NATURALES QUAESTIONES DI SENECA
Dagmar Bartoňková
Lo studio del prosimetrum - stile misto - nella letteratura greca e latina ha
iniziato negli ultimi 15 anni ad attrarre l'attenzione degli studiosi in Europa ed
anche negli Stati Uniti. Accanto all'austrìaco H. Petersmann ed all'americano
J. C. Relihan, ci sono soprattutto gli italiani che hanno prestato attenzione a
questo fenomeno: vorrei menzionare l'opuscolo "Prosimetrum e spoudogeloion" pubblicato dall'Istituto di filologìa classica e medievale dell'Università
di Genova nel 1982. Si tratta di relazioni svoltesi alle "Decime Giornate Filologiche Genovesi" sul tema soprannominato. Alla problematica di analisi
delle modalità di citazione dei versi in testi di prosa è stato recentemente
dedicato il libro "Come dice i l poeta", Napoli 1992, uscito a cura di A. De
Vivo e L. Spina. Si tratta, in massima parte, di analisi testuali, dalle quali
emerge l'incidenza della parola dei poeti nella costruzione retorica di contesti
non-poetici.
Tra gli studiosi che si sono occupati del prosimetrum, devo nominare A .
Stramaglia e M . Fusillo. Però vorrei far notare che nel nostro paese il filologo
Jaroslav Ludvíkovský ha menzionato - sotto l'influenza di 0. Immisch - i l
prosimetrum nel suo libro "Řecký román dobrodružný" [Romanzo greco d'av­
ventura] già nel 1925 e mi orientò verso lo studio complessivo del prosimetrum negli anni sessanta.
Ho pubblicato su questo tema diversi articoli, tra cui negli anni 1977-78
uno, scritto in lingua ceca e dedicato all'analisi dello stile misto nelle opere di
Seneca "Divi Claudi Apocolocyntosi" ed "Epistole". Per completare lo studio
del prosimetrum nelle opere di Seneca, vorrei analizzare nel presente articolo
l'inserimento dei versi nel contesto prosaico dei "Naturalium quaestionum
libri VII", unica sua opera di carattere scientifico.
Come è noto, si tratta di studi dei fenomeni atmosferici e celesti, dai
temporali ai terremoti ed alle comete. Qui sarebbe necessario tener presente
che, per quanto riguarda il prosimetrum neh"Apocolocyntosi e nelle Epistole,
sono arrivata alle seguenti conclusioni: Neil'Apocolocyntosi i versi di tal
genere, in cui la narrazione non prosegue oltre e la parte esposta in versi ha la
funzione più o meno di un ampliamento stilistico, si trovano solo sporadicamente. In due luoghi nel cap. 2. Seneca informa il lettore sul periodo in cui
Claudio si è spento, non soltanto in prosa, ma anche in versi. Che anche
Seneca stesso intendesse questi luoghi solo come un certo tipo di inserimento
poetico, lo testimoniano le sue parole "puto magis intellegi, si dixero..." con
la seguente espressione di indicazione del tempo in prosa. A questo tipo del
prosimetrum sono vicini anche altri tipi di passaggi prosimetrici, dove i versi
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soltanto a modo poetico ampliano l'idea precedente espressa nelle frasi
prosaiche.
Ma i casi più significativi che illustrano il prosimetrum "di valore pieno"
sono naturalmente quelli in cui l'azione sta proseguendo: essi sono nel testo
assolutamente necessari, in quanto costituiscono il vero portatore dell'azione,
e senza i quali il contesto risulterebbe incomprensibile. Spesso in tali versi si
esprime un discorso diretto. In esso, Senecafrequentementeusa anche i versi
greci. Questi sono immediatamente inseriti nell'azione che ha una veloce rapidità, cui contribuisce anche i l fatto che si tratta solo di unico verso. (Nel
discorso indiretto si è servito di un verso greco nel cap. 4.)
Nel contesto latino di Apocolocyntosi l'uso dei versi greci, sìa interi che
parziali, è sicuramente bizzarro ed ha una sua validità funzionale. Il fatto che
i versi greci appaiano sempre e soltanto uno per volta, mentre i versi latini con l'eccezione di due casi [cap. 3 e 11] - siano sempre raggruppati, si potrebbe spiegare con il fatto che Seneca non solo abbia voluto presentare i propri
versi latini, ma soprattutto che ai suoi tempi non poteva presumersi, tra tutti i
lettori cui questa opera satirica era destinata, una conoscenza abbastanza
profonda della lingua greca.
Dunque, per rendere l'opera maggiormente comprensibile e convincente,
l'autore ha deciso di limitarsi solo a versi assai noti, oppure sintatticamente
assai semplici per non stancare troppo i lettori. Aggiungiamo che, per esempio, Ercole usa esclusivamente un unico esametro greco, mentre nel suo
discorso più continuo di 14 versi (cap.7) parla latino.
Dall'opera di Luciano sappiamo che l'autore, tra l'altro, adoperava versi in
alcuni dialoghi per illustrare meglio i suoi personaggi. - Qualcosa di simile lo
troviamo in Seneca nel caso di Ercole.
Meditando sui motivi per i quali proprio in luoghi dove incontriamo Claudio, Seneca inseriva i versi nel contesto prosaico più spesso, non dobbiamo
dimenticare neanche l'aspetto emozionale della faccenda.
Da ciò che abbiamo detto sul modo di uso dei versi nel contesto prosaico
di Apocolocyntosi, risulta che i versi in prevalenza costituiscono tutto un
insieme organicamente inserito nel contesto prosaico circostante.
Per quanto riguarda l'inserimento sintattico nel contesto prosaico, i versi
rappresentano in maggior parte tutta la frase, oppure costituiscono un complesso indipendente ancora più grande. Ma più volte si trovano anche come
parte del periodo prosaico in cui sono organicamente inseriti.
I passaggi poetici nel contesto prosaico delle Epistole di Seneca sono
abbastanza eterogenei. Nello stesso tempo le citazioni in senso vero sono
solamente sporadiche, soprattutto quando servono all'autore come documentazione per la sua scelta linguistico-grammaticale - in altre parole, esse
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mostrano l'espressione, la locuzione, il modo di dire o il concetto usati in una
citazione poetica dall'autore più antico.
I documenti più rilevanti sono senza dubbio costituiti da quei passaggi di
versi che davvero portano vigorosamente nuova qualità all'argomento - non
soltanto a qualche circostanza secondaria. Tali versi non possono essere
omessi senza grave impoverimento del contesto, dato che risultano essere
assolutamente necessari e senza i quali il testorisulterebbeincomprensibile.
Nello stesso tempo tali versi sono immediatamente inseriti anche dal punto di
vista sintattico nel contesto prosaico circostante. Sono questi casi che
definiamo come prosimetrum di valore pieno.
Analizzando singoli tipi di passaggi dei versi inseriti nel contesto prosaico
delle Epistole di Seneca, notiamo che essi consistono per la maggior parte in
uno o pochi versi, mentre quelli più ampi appaiono meno spesso, nonostante
avessimo avuto l'occasione di incontrare in alcuni casi interessanti collaggi
fatti da diversi luoghi di un poeta, oppure anche di poeti diversi.
Per quanto riguarda i poeti dai quali attinge Seneca per le Epistole, la
fonte più importante è rappresentata da Virgilio, versi del quale adopera più
sovente. Soprattutto si tratta dell' Eneide, ma troviamo anche i versi dalle
Georgiche, mentre quelli dalle Bucoliche sono sporadici. Oltre a quelli di
Virgilio, troviamo anche i versi di altri poeti romani, principalmente di
Lucrezio, Ovidio, Ennio, Mecenate, Orazio, Publilio Siro e sporadicamente di
Nevio, Terenzio, Vairone Atacino, Giulio Montana ed una serie di versi
proviene da poeti anonimi, in special modo da autori romani comici.
Notevolmente meno appaiono nelle Epistole i versi da poeti greci, nonché
quelli che non ci sono mai presentati - a differenza di Apocolocyntosi - in
originale greco, ma soltanto nella traduzione latina.
Confrontando il prosimetrum nelle Epistole con quello di Apocolocyntosi, arriviamo alla conclusione che, mentre nell'Apocolocyntosi i versi
rappresentano quasi nella metà dei casi la creazione dell'autore stesso, nelle
Epistole Seneca non adopera versi propri, bensì prende tutti i passi da altri
autori.
Anche nell'opera Naturalium quaestionum libri VII, secondo la mia
opinione, si distinguono dalla serie di semplici citazioni quei versi, in cui
Seneca esplicitamente ricorre a poeti antichi nelle sue riflessioni e si serve
della loro citazione come fonte di autorità e supporto alle proprie deduzioni.
Come esempio può servirci 3,1, 1, dove Seneca ricorre alle autorità tre volte,
in rapida successione: per prima ricorre ad Ovidio, poi a Virgilio ed infine a
Lucilio stesso, cui si rivolge direttamente:
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Quàeramus ergo de terrestribus aquis et investigemus qua ratione fiant,
sive, ut ait Ovidius,
Fons erat illimis nitidis argenteus undis
[Metam. Ili 407],
sive, ut ait Vergilius,
Unde per ora novem vasto cum murmurc montis
It mare praeruptum et pelago premit arva sonanti
[Aen. I 245 s.],
sive, ut apud te, Iunior carissime, inveniam
Elius Siculis de fontibus exilit amnis.
In modo simile in 4A, 1,19 Senecaricorrea tre poeti, cita Virgilio et
Ovidio, nomina Menandro, però non menziona direttamente il suo verso:
Possum et ipse mine videri te aut captare aut experiri; utrumlibet crede
et omnes timere a me incipe. Vergilianum illud exaudi
nusquam tuta fides [Aen. IV 373],
aut Ovidianum
qua terra patet, fera regnat Erinys,
in facinus iurasse putes [Metam. 124 ls.],
aut illud Menandri - quis enim non in hoc magnitudinem ingenii sui
concitavit, detestatus consensum humani generis tendentis ad vitia -:
omnes ait malos vivere et in scaenam velut rusticus poeta prosiluit; non
senem excipit, non puerum, non feminam, non virum, et adicit non
singulos peccare nec paucos, sed iam scelus esse con textům.
Nel 4A, 2, 2 Seneca ricorre ad Ovidio, ma questa volta per errore, perchè
in realtà si tratta di un verso di Tibullo [17, 26]:
Quare non sum poeta meo iocor et illi Ovidium suum impingo, qui ait
nec Pluvio supplicai herba Iovi?
A Virgilio [Aen. Ili 77] l'autore ricorre in 6,26,2:
Sed movetur et Aegyptus et Delos, quam Vergilius stare iussit:
Immotamque coli dedit et contemnere ventos.
Il nome del poeta viene in tali casi spesso presentato direttamente
[Ovidius ait, ut ait Ovidius, ut ait Vergilius, Vergilianum illud exaudi,
Vergilius... iussit], oppure con l'indicazione generica come ut poeta ait, ut ait
ille poetarum ingeniosissimus egregie, poeticam istud licentiam decet, fons
reddit, ovvero Seneca preferisce usare il verbo dictum est, dixit, reduxisse,
profectum est - e ciò ci indica che non si tratta di un verso dell'autore stesso.
Di solito, l'indicazione del nome dell'autore dei versi ed anche se si usa solo
l'indicazione come poeta o l'indicazione con l'aiuto del verbo, viene introdotta
davanti ai versi come lo abbiamo visto nei casi soprannominati e come
ancora avremo occasione di osservarlo.
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In Nat. Quaest. - e lo stesso fenomeno potevamoriscontrarloanche nelle
Epistole - l'indicazione dell'autore dei versi, specialmente quando Seneca
adopera più parole, in un certo qual modo guasta la fluidità della narrazione,
mentre l'inserimento immediato del verso nel contesto prosaico senza la
precedente indicazione del nome del poeta crea dei passaggi prosimetrici
molto efficaci. Però con questo non vogliamo negare che anche in tali casi di
prosimetrum, dove nel testo prosaico viene indicato il nome del poeta che
serve solo come fonte di autorità, come elemento di supporto alle idee di
Seneca, hanno i versi inseriti una importantissima funzione stilistica rendendo
più vivace tutta la narrazione.
Questo effetto diventa ancora più forte allorquando Seneca usa versi
conosciuti nei luoghi dove i versi non sono aspettati. Cf. 3, 20, 3 oppure 3,
26, 6.
In 3, 28, 2 Seneca indica l'origine dei versi solo con "profectum est", il
che provoca nel lettore un effetto simile alle parole "poeta ait" etc. Cf. anche
I, 27, 5 dove si parla solo di una "fonte" [fons cuique perlucidus aut leve
saxum imaginem reddit:] oppure 2,44,1 [Poeticam istud licentiam decet].
L'espressione "dictum est" cosi come è adoperata in 6, 2, 2 non turba
l'effetto del verso virgiliano [Aen. II 354] inserito che rappresenta la frase
indipendente, importante per la comprensione del passaggio. Proprio a questo
luogo A. De Vivo ha dedicato un articolo nel quale ha sottolineato che "la
citazione virgiliana ha una funzione evidentemente morale" [122] e che i
versi determinano una dichiarata relazione intertestuale. Mentre Virgilio
presenta il dramma dei Troiani che non sono più in grado di difendere ne se
stessi, ne la città, in Seneca troviamo una simile situazione senza scampo,
cioè quella del terremoto.
Cf. 6,2,2:
Hoc itaque generi mimano dictum puta quod illis subita captivitate inter
ignes et hostem stupentibus dictum est:
una salus victis nullam sperare salutem.
In 1, 11,2 Seneca con l'aiuto dei versi da Virgilio, Georg. II 95s., precisa
quanto già detto nella frase prosaica precedente; nello stesso tempo i versi
formano lafraseindipendente inserita nel contesto prosaico: la frase prosaica
successiva viene collegata ai versi con "ergo":
An facio quod Vergilius, qui dubitavit de nomine, deinde id de quo dubitaverat posuit?
Et quo te nomine dicam,
Rhaetica? Nec cellis ideo contende Falemis.
Nihil ergo prohibet illas parhelia vocari.
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Abbiamo visto come Seneca si serviva dei versi per supportare le sue
argomentazioni ed insieme arricchire l'espressione stilistica, indicando in
modi diversi l'autore dei versi. Però in alcuni casi simili, i versi inseriti nel
contesto concernono argomenti di Seneca cui egli stesso siricolleganel testo
prosaico successivo, ed in tali casi omettere il verso significherebbe guastare
l'effetto stilistico, seppure nella maggior parte dei casi non impedirebbe
completamente la chiarezza del passaggio prosimetrico. Cf. 3, Pr. 3:
...Quicquid amissum est, id diligenti usu praesentis vitae recolliget;
fidelissimus est ad honesta ex paenitentia transitus. Libet igitur mini
exclamare illum poetae incliti") versum:
Tollimus ingentes animos et maxima parvo
Tempore molimur?
Hoc dicerem, si puer iuvenisque molirer, - nullum enim non tam
magnis rebus tempus angustimi est -.
Altro esempio simile lo troviamo in 4, pars post. 3, 4. In questo luogo,
vengono prima citati due versi da Ars Amandi di Ovidio [I 475] molto
importanti per tutto il contesto, senza l'indicazione dell'autore
Seneca
evidentemente considerava essi abbastanza noti. A questi versi ovidiani è
collegata in prosa la congiunzione "aut" con l'indicazione generica ad altro
poeta "ut alius poeta ait" e dopo viene citato il verso da Lucrezio [1314] cui è
collegata la frase prosaica seguente:
Quid magis est saxo durum? Quid mollius unda?
Dura tamen molli saxa cavantur aqua;
aut, ut alius poeta ait:
Stilicidi casus lapidem cavat;
haec ipsa excavatio rotunda fit. Ex quo apparet...
Sintatticamente viene inserito nel periodo prosaico il verso in I, 5, 6,
dove è prima presentato in prosa l'autore dei versi, quindi prosegue il verso
cui è subito collegata, dopo la congiunzione "et", l'altra parte del periodo:
Alioquin, ut ait Nero Caesar disertissime,
Colla Cytheriacae splendent agitata columbae
et variis coloribus pavonum cervix, quotiens aliquo deflectitur, nitet.
Esempio ugualmente interessante si trova anche in 1, 8, 8:
Ut ait Vergilius noster,
et bibit ingens arcus [Georg. I 380]
cum adventat imber. Sed non easdem,...
Come abbiamo anche costatato analizzando il prosimetrum nelle
Epistole, qualche volta è abbastanza difficile stabilire i limiti tra i casi che
') Nerone [Cf. 1, 5, 6], Agellio / Vagello [Cf. 6, 2, 7] o Lucilio stesso.
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rappresentano soltanto l'ampliamento della narrazione senecana e quelli che
rappresentano una nuova qualità contestuale. In 4, pars post. 4, 2, anche se il
verso virgiliano preso da Georg. 1313 è preceduto dall'indicazione dell'autore
del verso, esso, sintatticamente inserito nel periodo prosaico, è
importante per la comprensione del contesto e se fosse omesso, sicuramente
tutto il passaggio verrebbe violato:
Ideo, ut ait Vergilius noster,
cum ruit imbriferum ver,
vehementior mutatio est aeris undique patefacti et solventis se ipso
tempore adiuvante.
Più ad un prosimetrum di valore pieno che ai casi in cui Seneca ricorre
soltanto all'autorità di poeti antichi, appartiene il passo in 1, Pr. 10:
Cum te illa vere magna sustuleris, quotiens videbis exercitus subrectis
ire vexillis et, quasi magnum aliquid agatur, equitem modo ulteriora
explorantem, modo a lateribus affusum, libebit dicere:
it nigrům campis agmen [Verg. Aen. IV 404].
Così come nelle Epistole, anche in Nat. Quaest, soltanto raramente
Seneca indica l'autore dei versi dopo il passo poetico. Cf. in 3, 27, 13:
Ergo insularum modo eminent
montes et sparsas Cycladas augent
[Ovid. Metám. II264]
ut ait ille poetarum ingeniosissimus egregie.
Possiamo osservare che l'inserimento immediato del verso ed il suo collegamento alla frase precedente prosaica senza il rinvio ad Ovidio, rende tutto
il passo stilisticamente efficace ed abbastanza vicino al prosimetrum di valore
pieno, tanto più che Seneca subito dopo amplia la sua idea con altri tre passi
dalle Metamorfosis. Si tratta di una contaminazione molto rara in tutta l'opera
analizzata, ma nello stesso tempo ci ricorda l'uso di un prosimetrum abbastanza equivoco nelle Epistole 86, 15-16. Confrontiamo tutti e due luoghi:
Nat. Quaest. 3, 27, 13:
Ergo insularum modo eminent
montes et sparsas Cycladas augent
[Ovid. Metám. II264],
ut ait ille poetarum ingeniosissimus egregie. Sicut illud pro magnitudine
rei dixit
Omnis pontus erat, deerant quoque litora ponto
[Metám. 1292],
ni tantum impetum ingenii et materiae ad pueriles ineptias reduxisset:
Nat lupus inter oves, fulvos vehit unda leones
[Metám. 1304].
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Epist. 86, 15-16:
Te quoque proteget illa, quae
Tarda venit seris factura nepotibus umbram
[Verg. Georg. II 58],
ut ait Vergilius noster, qui non quid verissime, sed quid decentisssime
diceretur aspexit nec agriolas docere voluit, sed legentes delectare.
Nam, ut alia omni transeam, hoc quod mihi hodie necesse fuit
deprehendere, adscribam:
Vere fabis satio est: tunc te quoque, medica, putres
Accipiunt sulci, et milio venit annua cura
[Verg. Georg. 1215s.].
Una categoria speciale rappresentano i passi dei versi in cui uno o più
versi insieme formano la frase o il periodo indipendente, dal punto di vista
sintattico non inserito nel contesto prosaico circostante, ed immesso nel
contesto senza indicazione o rinvio all'autore dei versi: sotto l'aspetto contestuale, tali versi generalmente rappresentano solo certo sviluppo del testo
prosaico precedente e spesso li troviamo nelle parti dove si descrive la circostanza concomitante della narrazione. Naturalmente anche qui ci sono certe
differenze. Per esempio in 5, 16, 1 in sei versi da Metám. I 61-66 si sviluppa
la spiegazione prosaica sui venti in modo tale, che essi vengono elencati. A
questi sei versi immediatamente vienerimandatoil testo prosaico seguente, in
cui si espone che quanto era detto lungamente in sei versi si può esprimere in
poche parole; in effetti segue un verso intero da Virg. Aen. I 85 e solo una
parte del verso 86, però questi non rappresentano più la frase indipendente
perchè vengono subito inseriti nella frase prosaica, come dimostreremo
parlando di prosimetrum di valore pieno.
Tornando ai versi che formano lafraseindipendente, dobbiamo indicare 6,
30, 1, dove in sei versi - questa volta da Virg. Aen. Ili 414-419 -, continua la
spiegazione di quello che era accennato nel periodo prosaico all'inizio del
cap. 30, che precede il passo dei versi soprannominato. Ed un proseguimento
simile della spiegazione prosaica la rileviamo anche in quattro versi da
Ovidio Metám. X V 273-6 in 3, 26, 4, mentre in 4, pars post. 3, 4 viene
presentata in due versi da Ovid. Ars Amandi I, 475-6 una riflessione filosofica su quanto detto in prosa e subito dopo, con rinvio ad "altro poeta", prosegue il verso da Lucr. I 314 in cui si descrive un concreto fenomeno fisico però dell'inserimento di tale verso abbiamo già parlato.
I casi più interessanti di prosimetrum invece sono quelli in cui si tratta di
prosimetrum in senso stretto, definiti da noi come prosimetrum "di valore
pieno", cioè quando figurano passaggi in versi nel contesto prosaico che
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risultano essere nel testo assolutamente necessari, in quanto rappresentano il
vero portatore dell'azione, e senza i quali il contesto risulterebbe incomprensibile e l'autore si vedrebbe costretto ad esprimere la sua idea in altro modo,
sia pure prosaico: potrebbe trattarsi così difrasio periodi pressoché interi o di
parti di frasi che, dal punto di vista grammaticale, verrebbero organicamente
inserite nel contesto prosaico circostante.
Il prosimetrum di tale tipo spesso inizia in modo tale che lafraseprosaica
trapassa all'improvviso nel verso ed esso completa il resto della frase, e nello
stesso tempo l'autore del verso non è indicato, cosicché niente disturba lo
scorrevole trapasso della prosa in verso che sembra essere il proseguimento
naturale della narrazione prosaica. Così succede in 7, 10, 1, dove Seneca
adopera il verso ovidiano da Metám. II71 :
Habet enim suam locus ille vertiginem, quae rapit caelum
sideraque alta trahit celerique volumine torquet.
Ed anche in 1, 3, 5 [qui si tratta di un verso da Virg. Aen. V 528]; in
entrambi i casi, la narrazione prosegue in versi nella forma di periodo
copulativo:
At cum levius collisus et, ut ita dicam, frictus est, minora lumina excutiuntur,
crinemque volantia sidera ducunt.
In 1, 3, 4 seguono, dopo l'avverbio "nunc", tre versi da Ovidio Metam. VI
65-67, in cui viene espresso il merito dell'enunciato:
Poterai enim verum videri, si arcus duos tantam haberet colores, si ex
lumine umbraque constaret. Nunc
diversi niteant cum mille colores,
Transitus ipse tamen spectantia lumina fallit:
Usque adeo quod tangit idem est, tamen ultima distant.
Videmus in eo aliquid flammei, aliquid lutei, aliquid caerulei et alia in
picturae modum subtilibus lineis ducta. Ut ait poeta, an dissimiles colores sint, scire non possis, nisi cum primis extrema contuleris.
Le parole "ut ait poeta" essendo lontane dai versi, assolutamente non
disturbano i l passaggio prosimetrico e servono come rinvio al contesto
prosaico seguente.
Il merito dell'enunciato è espresso in verso da Georg, di Virg. I 367 in 1,
14,2 - questa volta si tratta di una costruzione infinitivale:
Videmus ergo
Flammarum longos a tergo albescere tractus.
Lo stesso verso - però un po'cambiato - si trova anche in 7, 20, 1 ; la costruzione infinitivale prosegue in verso in rapporto copulativo - tutto insieme
si tratta di tre costruzioni infinitivali, in verso viene espressa quella centrale:
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Videmus enim in sublimi varia ignium concipi genera et modo caelum
ardere, modo
Longos a tergo flammarum albescere tractus,
modo faces cum igne vasto rapi.
Il nome di fiume in funzione di soggetto e la sua caratteristica, sono
espressi in tre versi da Metám. X V 329 - 331 in 3,20, 6:
Hoc habet mali
Lynceius amnis,
Quem quicumque parum moderato gutture traxit,
Haud aliter titubat quam si mera vina bibisset.
Due versi di Aen. I 53-54 in 6, 18, 4 sono inseriti nella costruzione
iniziata in prosa con le parole "nihil erit quod":
Spiritus vero invicta res est; nihil erit quod
Luctantes ventos tempestatesque sonoras
Imperio premat ac vinclis et carcere frenet.
Più rari sono i casi di prosimetrum di valore pieno, in cui il passaggio
prosimetrico inizia in verso e finisce in prosa. Cosi accade in 7, 20, 3, dove
viene espressa in versi da Aen. IX 20s. la frase principale che rappresenta la
risposta alla domanda prosaica. La frase prosaica inserita immediatamente
dopo è relativa:
Exclamare posset: "Quid hoc est?
medium video discendere caelum
Palantesque polo stellas",
quae aliquando non exspectata nocte fulserunt et per medium eruperunt
diem.
In 5, 26, 2 si parla in versi da Aen. I 85-86 di tre venti ed in prosa del
quarto vento - questa parte prosaica è introdotta con la congiunzione
copulativa:
Vel, si brevius illos complecti mavis, in unam tempestatem, quod fieri
nullo modo potest, congregentur:
Una eurusque notusque ruunt creberque procellis
Africus
et, qui locum in illa rixa non habuit, aquilo.
Gli esempi più interessanti si trovano nei passaggi del prosimetrum di
valore pieno allorché la frase inizia in prosa, poi trapassa in verso e senza
essere conclusa di nuovo continua in prosa. É ovvio che in questi casi il verso
viene inserito nel contesto non solo dal punto di vista contestuale, ma anche
da quello sintattico in modo tale che non può essere omesso senza la violazione della frase o del periodo.
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Un esempio dell'inserimento immediato del verso dentro il periodo
prosaico è rappresentato dall'uso di un verso ovidiano da Metám. I 55 in 2, 1,
2, dove è in verso caratterizzato uno dei fenomeni della natura:
Hic sunt nubila, imbres, nives, venti, terrae motus, fulgura
et humanas motura tonitrua mentes;
quaecumque aer facit patiturve, haec sublimia dicimus, quia editiora
imis sunt.
In 5, 14, 1 vi sono due espressioni inerenti al soggetto terra ed espressi
una volta in prosa ed una volta in verso [Metám. I 388]:
Non tota solido contextu terra in imum usque fundatur, sed multis
partibus cava et
caecis suspensa latebris,
aliubi aquis plena, aliubi habet inania sine umore.
Un esempio molto istruttivo si trova in 6, 18, 2: Qui viene inserito nella
frase principale del periodo subordinato, dopo l'avverbio "tunc", un passo in
versi [un verso e mezzo] che sbocca di nuovo in testo prosaico nel verbo
"fremit":
... ubi erepta discedendi facultas est et undique obsistitur, tunc
magno cum murmure montis [Aen. 155s.]
Circum claustra
fremit, quae diu pulsata convellit ac iactat eo acrior quo cum mora
valentiore luctatus est.
Ultimi tre esempi di prosimetrum di valore pieno provengono dallo stesso
libro VII, in cui si tratta "De cometis". In 7, 20, 1, dopo il passaggio prosaico
introdotto con il verbo "videmus", proseguono tre costruzioni accus. ed inf.
introdotte con l'espressione modo ... modo ... modo
però la costruzione
centrale viene presentata nel verso preso da Georg., mentre la prima e la terza
costruzione sono espresse in prosa, cf. p. 14.
In 7, 25, 3 nella frase subordinata temporale introdotta con la congiunzione "ex quo", il soggetto "Graecia" è ancora in prosa, mentre la parte predicativa viene espressa in verso da Georg. I 137. La frase principale poi continua
in prosa:
Nondum sunt anni mille quingenti ex quo Graecia
stellis numeros et nomina fecit,
multaeque hodie sunt gentes quae facie tantum noverunt caelum, quae
nondum sciunt cur luna deficiat,
quare obumbretur.
Forse un documento migliore si trova in 7, 28, 1, dove, nel vasto periodo,
sono inseriti dei versi in due luoghi - per il primo si tratta di verso da Georg. I
392, nel secondo caso di nuovo di Georg. I 362s. Il primo verso contiene,
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appropriatamente inserita, una costruzione infinitivale presa da Virgilio,
mentre il secondo passo del verso svolge una funzione molto abile di frase
ipotetica ["si" che non si trova nel testo virgiliano]:
Non enim sic hoc tempestatis signum est quomodo futurae pluviae
Scintillare oleum et putres concrescere fungos,
aut quomodo indicium est saevituri maris, si
marinae
In sicco ludunt fulicae notasque paludes
Deserit autem altam supra volat ardea nubem,
sed sic quomodo aequinoctium in calorem frigusque flectentis anni,
quomodo illa quae Chaldaei canunt, quid stella nascentibus triste
laetumue constituat.
Concludendo questo articolo, possiamo riassumere che i l prosimetrum
nell'opera Naturales Quaestiones è di tipo simile a quello delle Epistole, non
soltanto perchè Seneca non adopera versi propri come ha fatto in Apocolocyntosi ricorrendo a versi da autori antichi, ma soprattutto per il modo di
inserire dei versi nel contesto prosaico. Anche in Naturales Quaestiones
Seneca si è servito di versi per supportare le sue argomentazioni ed arricchire
l'espressione stilistica, però abbiamo dimostrato che, come nelle Epistole, ci
sono efficaci documenti di prosimetrum di valore pieno, in quanto i versi qui
rappresentano il vero portatore dell'azione, e senza di questi il contesto risulterebbe incomprensibile.
Dal punto di vista sintattico, abbiamo trovato accanto ai versi che formano la frase o i l periodo indipendente, dei versi immediatamente inseriti nel
contesto prosaico circostante.
Per quanto riguarda gli autori antichi, i cui versi erano adoperati, dobbiamo constatare che, mentre nelle Epistole Seneca usava insieme a versi virgiliani ed ovidiani anche quelli di altri poeti (cf. p. 7) nelle Naturales Quaestiones usa prevalentemente i versi di Virgilio ed Ovidio, invece da altri poeti
troviamo solo un verso di Tibullo (ma da Seneca stesso scambiato per errore
come verso di Ovidio), Lucrezio, Lucilio e un poeta "noto", però da Seneca
stesso non nominato.
BIBLIOGRAFIA:
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PETERSMANN, H. 1986: Petrons Satyrica. In Die ròmische Satire, Darmstadt 1986,383-426.
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STRAMAGLIA, A. 1991: Prosimetria narrativa e romanzo perduto ... ZPE
1991, 121ss.
Prosimetrum v Senekově spise Naturale» Quaestiones
Autorka poukazuje na vzrůstající zájem o problematiku prosimetra, smíše­
ného stylu, v antické literatuře a připomíná, že u nás na závažnost této témati­
ky upozornil J. Ludvikovský již v r. 1925. V předkládané studii završuje svou
analýzu prosimetra u Seneky rozborem smíšeného stylu v díle Naturalium
Quastionum libri VII a navazuje tak na své práce o prosimetru v Senekových
spisech Apocolocyntosis a Epistulae. Ukazuje, že i v Nat. Quest. se setkává­
me se širokou škálou prosimetra, od případů, kdy Seneka ve verších pouze
dokumentuje či rozvíjí svá tvrzení vyjádřená v próze, až po instruktivní
příklady plnohodnotného prosimetra. Způsob zapojování veršů do prozaické­
ho kontextu tu do značné míry připomíná prosimetrum v díle Epistulae.
V obou spisech také autor užívá výhradně veršů starších básníků - nikoliv
svých vlastních veršů, jako tomu bylo v Apocolocyntose, v díle Epistulae je
však básnický rejstřík širší.
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