Untitled - Barz and Hippo

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Untitled - Barz and Hippo
Torna il grande piccolo vecchio, Woody Allen al suo 46° lungometraggio, con un film che rimescola ingredienti già
messi in scena in molti altri suoi lavori (gli anni Venti, il mistero versus la razionalità, la figura del prestigiatore,
illusionista ‘serio’ o mago truffaldino, la magia dell’amore) per confezionare un film minore’ tra i più leggeri, ma
come sempre ricco di spunti geniali e irriverenti nei confronti di tutto quanto non possa essere spiegato dalla
ragione … o quasi!
scheda tecnica
durata:
nazionalità:
anno:
regia:
sceneggiatura:
fotografia:
montaggio:
scenografia:
costumi:
distribuzione:
98 MINUTI
FRANCIA, USA
2014
WOODY ALLEN
WOODY ALLEN
DARIUS KHONDJI
ALISA LEPSELTER
ANNE SEIBEL
SONIA GRANDE
WARNER BROS
interpreti:
EMMA STONE (Sophie Baker), COLIN FIRTH (Stanley Crawford), MARCIA GAY
HARDEN (Signora Baker) JACKI WEAVER (Grace), HAMISH LINKLATER (Brice), EILEEN ATKINS (Zia Vanessa), ERICA
LEERHSEN (Caroline), SIMON MCBURNEY (Howard Burkan), CATHERINE MCCORMACK (Olivia).
Woody Allen
Considerato il più europeo dei registi americani, anche per via del successo da sempre incontrato nel vecchio
continente, Allan Stewart Konigsberg nasce il 1° dicembre 1935 a New York in una famiglia ebrea americana
originaria dell'Europa dell'Est. Una tranquilla adolescenza è accompagnata dai rapporti piuttosto litigiosi tra i
genitori e da una carriera scolastica non proprio esemplare: odia la scuola, mentre si distingue in vari sport e si fa
notare tra gli studenti per il suo straordinario talento nei giochi di carte e nei trucchi di magia. A quindici anni
comincia a scrivere gag per rubriche di alcuni quotidiani. Nel 1952 assume lo pseudonimo di Woody Allen, in
onore del celebre clarinettista jazz Woody Herman. Nel 1954, viene assunto dalla rete televisiva nazionale ABC,
della quale diventa l'autore di punta, scrivendo per noti programmi. Nel 1955 inizia a frequentare Harlene Rosen,
studentessa di filosofia; i due si incontrano casualmente per formare un trio jazz insieme all'amico di Allen Elliot
Mills. Nel 1955 passa alla rete televisiva NBC e si trasferisce a Hollywood. Nel 1956 Woody sposa Harlene, allora
diciassettenne, e insieme tornano a New York per andare a vivere a Manhattan. Dopo una breve parentesi di
studi universitari, inizia a lavorare anche per il teatro, come autore e regista, quindi prende la decisione di iniziare
una propria carriera come cabarettista e comico nei night club, dove riscuote grande successo.
Nel 1959, afflitto da attacchi di malinconia, decide di consultare uno psicoanalista. Da allora, e per più di
trent'anni, la terapia diventa un appuntamento fisso e la psicanalisi comincia a entrare nei suoi film.
Dopo un divorzio bellicoso da Harlene, Allen inizia a scrivere storie brevi per alcune riviste ed opere teatrali e a
lavorare per il cinema come sceneggiatore e attore di commedie (Ciao Pussycat, 1965). Nel 1966 sposa l'attrice
Louise Lasser. Louise presta la voce per il primo film di cui Woody dirige alcune scene, Che fai, rubi?(1966), e
interpreta un ruolo minore nel suo vero esordio alla regia, Prendi i soldi e scappa (1969); è poi co-protagonista in
Il dittatore dello stato libero di Bananas (1971) e Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso (ma non avete
mai osato chiedere) (1972), ma già nel 1969 i due divorziano. Lo stesso anno conosce Diane Keaton, scritturata
per il lavoro teatrale Provaci ancora, Sam, e successivamente per il film omonimo. Tra i due nasce presto una
relazione, ma è quella lavorativa che avrà più lunga durata, protraendosi per sette film fino a Misterioso omicidio
a Manhattan (1993).
Nel 1975 Allen dirige Amore e guerra, mentre nel 1977 abbandona temporaneamente il registro della comicità
per un film più pensoso e disincantato, Io e Annie, che riceve quattro Oscar: miglior film, regia, sceneggiatura e
miglior attrice protagonista a Diane Keaton.
Negli anni Ottanta, dopo il successo di Manhattan (1979), considerato da molti il suo capolavoro, il flusso di
coscienza autobiografico di Stardust memories (1980), ispirato al cinema europeo ed in particolare a Fellini e
Bergman, e il mockumentary Zelig (1983) inizia ad affidare il ruolo di protagonista a diversi alter ego che
spalleggiano Mia Farrow, con la quale ora ha una relazione. Dopo Broadway Danny Rose(1984) e La rosa
purpurea del Cairo (1985) riceve il secondo Oscar per il campione d'incassi Hannah e le sue sorelle (1986), una
commedia seria, che mostra l'influenza di Bergman nell'attenzione per i temi della morte e della religione, che
tornano in vari film, benché con il filtro dell'ironia immancabile nei film di Allen. Nel 1987 dirige Radio Days, un
omaggio autobiografico al jazz.
Si volge quindi a film più spensierati, come Crimini e misfatti (1989), riflessione divertente ma non banale sulle
colpe che non vengono punite. Nel 1992 interrompe la relazione con Mia Farrow, dopo che quest'ultima scopre
in casa di Woody alcune foto della propria figlia Soon-Yi, adottata con il precedente marito André Previn (il
regista sposa Soon-Yi a Venezia nel 1997). Dopo l'espressionistico Ombre e nebbia (1992) Woody torna ad
atmosfere più serene con Mariti e mogli (1992), Misterioso omicidio a Manhattan (1993), per il quale richiama
Diane Keaton, e l'esilarante Pallottole su Broadway (1994), sulla perdita dell'ispirazione poetica.
Dopo La dea dell'amore (1995, per il quale Mira Sorvino vince l'Oscar), omaggio al teatro greco, il musical Tutti
dicono I love you (1996), Harry a pezzi (1997) e qualche altro film, Woody torna a buoni incassi con Criminali da
strapazzo (2000), che prende spunto da I soliti ignoti di Monicelli. Dopo La maledizione dello scorpione di Giada
(2001) che omaggia il cinema degli anni '40 e Hollywood Ending (2002), chiama Jason Biggs e Christina Ricci per
Anything Else, storia d'amore impossibile tra un aspirante scrittore e una giovane dallo spirito libertino e indecisa
su tutto. Con Melinda e Melinda (2004) torna ad affiancare tragedia e commedia. Una tragedia ispirata a Delitto
e castigo è Match Point, il film del quale va più orgoglioso, dove si confronta con la casualità della vita in una
visione amara dei rapporti sentimentali. Nel film recita Scarlett Johansson, richiamata per Scoop (2006),
commedia leggera e tinta di giallo, come il precedente girata a Londra e interpretata anche dallo stesso Allen nei
panni di un mago-prestigiatore. Sempre in cerca di nuovi set interessanti e più economici di New York, sbarca in
Spagna con Vicky Cristina Barcelona (2008), con la Johansson al fianco di Penelope Cruz e Javier Bardem, in un
gioco di gelosie. Nel 2007 torna al dramma con Sogni e delitti, thriller con Ewan McGregor e Colin Farrell, mentre
si rivolge nuovamente a un umorismo leggero ma colmo di ironia con il newyorkese Whatever Works - Basta che
funzioni (2009), interpretato da Larry David ed Evan Rachel Wood. Di nuovo in Gran Bretagna, gira Incontrerai
l'uomo dei tuoi sogni (2010), un'altra commedia sull'illusione d'amore. Nel 2011 gira Midnight in Paris a Parigi,
che riscuote il massimo incasso mai raggiunto da un suo film e poco dopo To Rome with Love, ambientato a
Roma, dove torna a recitare e dà una parte anche a Roberto Benigni. Dopo il grande successo del suo intenso e
drammatico Blue Jasmine, Allen torna per l’ennesima volta alla leggerezza scanzonata di un film ‘minore’.
La parola ai protagonisti
Intervista a Woody Allen
Come mai la magia torna così di frequente nel tuo cinema?
Mi sento come Blanche Dubois [la protagonista di Un Tram Chiamato Desiderio, ndr]: sogno sempre che nella vita
ci sia una certa dose di magia. Sfortunatamente non ce n'è mai abbastanza, e i piccoli frammenti di incantesimo
sono affossati nella durezza della realtà. Magia e giochi di prestigio mi hanno affascinato fin dall'infanzia. Sono
affini alla mia intima natura criminale, che avrebbe voluto che io diventassi un baro, un giocatore d'azzardo, o un
buon truffatore. Da bambono improvvisavo spettacoli a pagamento per i miei coetanei nel quartiere di Midwood
a Brooklyn. E poi l’amore, la passione, sospendono l’esistenza in una dimensione un po’ magica, tra la realtà e il
sogno.
Ti sei ispirato a qualche personaggio reale?
Stavolta sono partito dalle gesta di Houdini, famoso per aver smascherato falsi medium. Nell’America anni ‘20
erano molti: rubavano i soldi alla gente fingendo di comunicare con i morti, predire il futuro, possedere strani
poteri. ..
Nel tuo cinema esprimi spesso una posizione lontana da ogni elemento di iraazionalità, religione compresa.
La vita è tragica e senza significato, lo si capisce presto. Dio non esiste. Per sfuggire alla depressione, alla paura, si
cerca qualcosa che ci faccia sentire meglio. Non sono contro la fede individuale, non ho questo tipo di
sentimenti, ma li rispetto. Le organizzazioni religiose, però, sono terribili con i loro precetti, i capi eleganti che
sanno quel che Dio vuole fingendo di avere le risposte. ...Ero un bimbo quando ho scoperto che non c’era Babbo
Natale e non c’era Dio, nessun uomo con la barba che vegliava sul mondo e aveva creato le cose. È spaventoso
rendersi conto che non c’è nient’altro fuori da te. L’unica cosa che puoi decidere è vivere la tua vita in modo
etico, morale. Non perché hai paura di andare all’inferno o c’è qualcuno che veglia su di te, ma perché è buono in
sé e non per compiacere un’immaginaria figura paterna… La scienza ci procura le medicine, la tecnologia, lo
sciacquone del bagno, ci fa capire cos’è l’universo, da dove veniamo. E c’è un progresso costante di invenzioni e
scoperte che ci aiutano a vivere una vita migliore. Le risposte più giuste che può fornire la razza umana le ha
trovate la scienza. Ma, come ho detto, c’è l’amore. Fortunatamente, quando ti innamori, ti appassioni: incontri
qualcuno e una piccola magia ti attraversa.
Anche questo film, come altri tuoi, viene fuori da idee antiche, da vecchi appunti?
Sì, Dopo Blue Jasmine volevo fare un film più romantico e meno amaro. Era da un po’ che pensavo a una storia
con due maghi che ridimensionasse lo spiritualismo mettendo in luce la quantità di truffe fatte ai danni della
gente.
Il personaggio interpretato da Colin Firth però, con tutta la sua fredda razionalità, non se la passa tanto
serenamente...
Già, è questo il problema. Anni fa sono andato in tv con il cristiano evangelico Billy Graham e lui mi ha detto:
“Anche se tu avessi ragione e io torto, e dopo la morte non ci fosse nulla, io avrei comunque vissuto meglio” Ed è
proprio così.
Quindi nello scrivere questo personaggio hai esplorato questo paradosso?
Sì, somiglia a un personaggio di Ingmar Bergman film, che vorrebbe credere ma la sua razionalità glielo
impedisce. Nonn c’è nulla dopo, spariremo tutti, sparirà anche la terra, il sistema solare, alla fine non rimarrà
nulla, sparirà tutto l’universo!
Non rimpiangi mai di avere una posizione così amara?
Certo, è una cosa triste. Vorrei esere cresciuto con una diversa personalità, ma sono cresciuto così. Mia madre
diceva che fino a cinque anni ero un bambino allegro, poi sono cambiato. Ma non era successo nulla, non ho
avuto nessun trauma. L’unica cosa è che ho scoperto che Babbo Natale non esiste.
Quand’è morto Robin Williams si è parlato come al solito delle lacrime dei clown, del fatto che la commedia è
una via di sfogo per la tristezza più profonda. Pensi che siano solo cliché?
Beh, penso che sia un’ironica verità. Tutti sentono quel dolore e solitudine esistenziale e la paura. Quando vedi
questi aspetti in un comico tendi a pensare che è qualcosa di speciale perché questa persona è così divertente e
sembra l’antitesi della depressione: che ironia, quindi, che questa persona sia così triste! Ma non è più triste del
ragazzo che guida il taxi. È solo in una posizione esistenziale più ironica perché si guadagna da vivere facendo
ridere gli altri.
Sei apparso in molti tuoi film. È sbagliato dire che sono autobiografici?
È vero nel senso che sono vicino a quel che io sono. È falso nel senso che gli eventi sono inventati. Sono
autobiografici in senso lato: non farò mai un film nel quale interpreto un fascista. I sentimenti che ci sono nel film
sono sempre il riflesso dei miei sentimenti. E poi, quando recito, indosso i miei vestiti di tutti i giorni.
Ti manca New York come set per i tuoi film?
Mi mancano la mia casa, la mia roba, la mia musica, la mia cucina, la mia doccia...è tutto lì e io sono affezionato
ai rituali.
Recensioni
Marzia Gandolfi. Mymovies.it
Berlino, 1928. Wei Ling Soo è un celebre prestigiatore cinese in grado di fare sparire un elefante o di
teletrasportarsi sotto gli occhi meravigliati di un pubblico acclamante. Ma dietro la maschera e dentro il suo
camerino, Wei Ling Soo rivela Stanley Crawford, un gentiluomo inglese sentenzioso e insopportabile che accetta
la proposta di un vecchio amico: smascherare una presunta medium, impegnata a circuire una ricchissima
famiglia americana in vacanza sulla riviera francese. (…) Un temporale e il ricovero della zia adorata, faranno
crollare il razionalismo e le resistenze di Stanley: il soprannaturale esiste eccome e si chiama amore.
Non va mai preso alla leggera un film di Woody Allen, anche se si presenta fresco ed estivo come una promenade
lungo la Costa Azzurra. Perché il gusto che avvertiamo dopo averne goduto è sempre più complesso di quello
inizialmente percepito. Nel suo cinema sono sempre i dettagli o le presenze marginali ad aprire gli spiragli che
fanno intravedere la profondità di senso. Dietro alle coppe di champagne e alle maniere sofisticate, dentro i
vestiti bianchi e le automobili decappottabili, sotto i cappellini a cloche, i temporali estivi e la comédie au
champagne, quella dove lui e lei si conoscono, si detestano e poi finiscono col capitolare l'uno nelle braccia
dell'altro, si prepara in fondo il crepuscolo della Jazz Age fitzgeraldiana e il collasso della Germania sotto i colpi
della crisi e del nazismo. E Magic in the Moonlight apre proprio sul 'palcoscenico' di Berlino e davanti a un
pubblico che a breve non vedrà più l'elefante nella stanza perché sceglierà di ignorarlo, ignorando col
pachiderma una tragedia evidente. Nemmeno la magia può volatilizzare un elefante e una verità, la sparizione è
soltanto un'illusione prodotta da un prestigio, una rimozione dal campo visivo che prima o poi ricompare, proprio
come la madre di Sheldon-Woody nell'Edipo derelitto. Lo sa bene il mago very british di Colin Firth, che come il
film possiede tutta la malinconia e l'esotismo di una cartolina postale.
Non è certo la prima volta che Allen ricorre alla magia, che ha giocato d'altra parte un ruolo rilevante nella sua
filmografia. Magia (...) e divinazione (...) si impongono in primo piano e dentro le sue commedie, sublimando la
dimensione comica e rivelando uno dei temi principali della poetica alleniana: la scelta. Il cinema di Allen arriva
sempre al vicolo cieco dell'alternativa tra "orribile o miserrimo" (Io e Annie) o come per Magic in the Moonlight
tra la vita vera e la sua illusione. Come ogni altro personaggio alleniano nemmeno Stanley Crawford troverà una
risposta perché per il regista è più importante continuare a porsi nuove domande. Il protagonista di Colin Firth,
un'implosione raffinata di cinismo e arroganza, sceglie allora lo slancio vitale, l'impulso irrazionale di agire e
reagire dentro l'universo, "un luogo assolutamente freddo". Come l'arroseur arrosè dei Lumière, il prestigiatore
finisce annaffiato dal suo stesso annaffiatoio e da un'avventuriera americana che sembra barare meglio di lui,
provando che la magia non si trova sempre dove noi pensiamo. Così il suo razionalismo implacabile capitolerà
sotto la luce brillante di Darius Khondji e lo charme preveggente di Emma Stone che, come il mago cinese di
Alice, lo stana dalla codardia e lo porta a consapevolezza. Se i pessimisti sostengono che il nostro passaggio sulla
terra è un disastro, l'avvenire non può essere che funesto e "l'eternità troppo lunga, specialmente verso la fine",
esibendo soltanto la loro insofferenza e il loro malessere scoraggiante e lamentoso, gli ottimisti da par loro sono
dei cretini assoluti, totalmente irragionevoli e privi di logica e di buon senso, proprio come la vecchia coppia sulla
panchina di Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni. Così non resta che gettare la maschera cartesiana e ammettere di
essere proprio come Sophie, non un essere candido magari ma nemmeno infame, che esercita la suggestione per
ingannare e proteggere, la magia per rendere più piacevole la vita degli altri, il potere mistificatorio per
richiamare i morti in vita, non quelli seppelliti ma quelli che vivono temporaneamente fuori dalla partita. Non
datevi pensiero perciò se vedrete l'impostore rivelato pregare e implorare addirittura la misericordia divina in un
momento di sconforto, è solo una boutade. Woody Allen non accetta mai il soccorso della religione ma non
smette mai di trovarlo nell'illusione. L'illusione delle immagini, dei vecchi giochi di prestigio, di una bolla di
champagne e di qualche nota jazz sul nero.
Cristina Battocletti. Il Sole 24 Ore
Con la solita vocetta malferma e sarcastica Woody Allen nel finale di Io e Annie (1977) raccontava una barzelletta:
«Dottore, mio fratello è pazzo, crede di essere una gallina. Perché non lo interna? E poi le uova chi le fa?». E alla
fine chiosava: «Credo che corrisponda molto a quello che penso io dei rapporti uomo donna, cioè che sono
assolutamente irrazionali e pazzi e assurdi, ma credo che continuino perché la maggior parte di noi ha bisogno di
uova».
Nei suoi rivoli sornioni, sicuramente psicanalitici, a volte messalinici, spesso criminosi l'amore non manca (quasi)
mai nei film di Allen. In Magic in the moonlight – presentato al Torino Film Festival e nelle sale dal 4 dicembre –
torna a unirsi ad alcune ossessioni con cui gli piace giocare sui set: la magia e il desiderio di abbandonarsi a essa
per sopravvivere. Indovini, spiriti, guaritori, maghi si sono arrampicati con successo nella sua filmografia. Woody
stesso è stato Il Grande Splendini in Scoop (2006), improvvisato detective, imbeccato da una rivelazione
dall'aldilà. (...). In Magic in the moonlight l'incontro a doppio binario, magia e spiritismo, è tra il raffinato
prestigiatore orientaleggiante Stanley Crawford (Colin Firth), in arte Wei Ling Soo, e la medium Sophie Baker
(Emma Stone). (…)
Allen racconta di essersi ispirato per la figura di Crawford a Harry Houdini, il più grande illusionista degli anni
Venti, famoso sbugiardatore di chiaroveggenze ciarlatanesce, ma nel cui fondo albergava sempre la speranza che
qualcuno lo sorprendesse dimostrandogli l'esistenza di un aldilà. Ed è proprio nell'epoca di Houdini che Allen
ambienta Magic in the moonlight. Un periodo storico, quello degli inizi del Novecento che il regista di Match
point ama particolarmente, dalla Bella Époque di Midnight in Paris (2011) alla Mittel Europa degli anni 20 di
Ombre e nebbia (1991) alla Grande Depressione di La rosa purpurea del Cairo (1985), al proibizionismo di
Pallottole su Broadway (1994) fino al jazz anni Trenta di Django Reinhardt in Accordi e Disaccordi.
In Magic in the moonlight ci sono tutti gli elementi per una buona commedia. C'è il gonzo, Brice, che si esercita
con l'ukulele per le serenate, c'è la credulona, Grace, c'è il traditore, Howard, il superbo, Stanley e la bella,
povera, incolta, ma intelligente e ambiziosa, Sophie. Ma soprattutto c'è l'eccezionale performance dei due attori.
Firth, credibile nei panni dello scettico, bisbetico, corrosivo, altezzoso, presuntuoso, ma infine fragile e umano. E
Stone, seducente creatura ingenua, svenevole e calcolatrice. Allen si aiuta con scenari di eccezionale bellezza,
oggi la Côte d'Azur, nel passato più immediato Roma, Parigi, ma è in grado di contenere il troppo facile "effetto
cartolina", spegnendolo col cinismo delle sue battute velenose. Magic in the moonlight non avrà la corrosività e
la sorpresa dei suoi primi film, ma Allen riesce ancora a far uscire dalla sala gli spettatori con un pensiero non
banale e l'ombra di una risata, anche quando ci insegna che l'amore è una magia al curaro. E ci riesce quasi ogni
anno con un sorriso aperto o amaro. Chapeau.
Federico Pontiggia. Cinematografo.it
(…) E’ tornato Woody Allen, ed è in un discreto stato di forma: Magic in the Moonlight è fresco, romantico,
delizioso. Innanzitutto, le battute vanno a segno con una certa facilità, per esempio questo scambio tra Stanley e
Sophie è da ricordare: “Non ti posso perdonare, solo Dio può” – “Ma hai appena detto che Dio non esiste” –
“Appunto”. I costumi, firmati da Sonia Grande, sono stupendi: complice la naturale eleganza, Firth è il gentiluomo
(misantropo, ma quello è un altro discorso) per antonomasia, e le mise della Stone non sono da meno.
Dopo la performance da Oscar in Birdman, un’altra prova di bravura per l’attrice americana, vezzosa come lo
scenario richiede. Insomma, quasi tutto bene, a parte il palese imbarazzo di Firth nelle scene più affettuose:
l’attore inglese ha 54 anni, la Stone 26, forse i 28 anni di differenza pesano, e non ci riferiamo solo alla
“credibilità” poetica. Eppure, Woody Allen non se ne cura, e non ci sorprende: tra lui e la moglie Soon Yi corrono
34 primavere. Ma son dettagli, c’è davvero qualcosa di magico sotto la luna: si chiama amore, effetto vintage.
FilmTv.it
La magia ricorre spesso nel pensiero di Woody Allen, come si deduce da molti dei suoi film, ma questa volta è
dichiarata nel titolo (...),della sua ultima opera puntualmente annuale. Allora il razionale Woody crede nella
magia? Non ciecamente o non decisamente, ma ama giocarci e creare situazioni in cui la presenza di essa
avvertita o evocata può essere positiva o disastrosa: dipende dal punto di vista. Wei Ling Soo, illusionista
famosissimo dal nome e il trucco cinese, è in realtà un signore inglese, Stanley Crawford, iperrazionale, finissimo
osservatore, chiamato spesso per smascherare sensitivi che fanno da medium o veggenti: dopo un suo
spettacolo a Berlino nel 1928, viene cooptato da un suo amico e rivale impari per una missione del genere sulla
Costa azzurra. (…) Complice il paesaggio, fra squarci di natura fiorita ed acquazzoni ad hoc, il cielo trapunto di
stelle visto da un osservatorio astronomico che aveva fatto da rifugio, gli ambienti eleganti e festaioli di una certa
società, tutto sempre ravvivato dalla musica Jazz tanto amata da Allen, il negativista e prosaico "uomo d'affari"
finisce imbrigliato nelle rete della ragazza semplice, ma astuta e a suo dire innamorata, al punto da dichiarare in
una conferenza stampa che le sue doti sono autentiche. Quanto a lui, imbarazzato e goffo nel sentirsi innamorato
e portato a pregare Dio per le sorti della sua vecchia e amatissima zia, sottoposta ad un intervento chirurgico, lui
ateo, che crea le illusioni ma non ci crede, tantomeno all'amore romantico, si ribella a questa nuova prospettiva
di vita, dove troverebbe la gioia nei sogni, sempre fuggiti, ma piacevoli da vivere e magici nell'alleggerire il peso
della vita, colorando i grigi e neri dei momenti tristi e difficili e allontanando la paura della morte, sempre
incombente. Questo è il senso del discorso che con enfasi gli fa Sophie quando lo vede indietreggiare, questo è
quanto Wody Allen ci fa arrivare al bivio di una scelta in cui il dubbio dell'autenticità resta sovrano. Ma questo
suo cinema, che chiamerei routinario più che minore, ci ha intrattenuto piacevolmente, ci ha riempito gli occhi di
bellezza ed eleganza, di splendida musica e ci ha fatto pensare. Memorabile la ripetizione di un suo trucco di
scena in cui, scomparso, ricompare in una poltrona non visto per poi girarsi, dopo avere ascoltato il vero perchè
dell'invito da parte dell'amico che ne parla con la zia.
Gabriele Capolino. Cineblog.it
Il Woody Allen più romantico che si sia mai visto? Probabile. Dopo il suo film più riuscito e feroce degli ultimi
anni, Blue Jasmine, il regista torna in Francia a qualche anno di distanza dal suo fortunatissimo Midnight in Paris.
Solo che questa volta si sposta più a sud, tra Costa Azzurra e Provenza.
Un nuovo tassello del nuovo percorso "europeo" della sua filmografia, che annovera anche Londra (Match Point,
Scoop, Sogni e delitti e Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni), Barcellona (Vicky Cristina Barcelona) e Roma (To Rome
with Love, il suo film peggiore). È da un po' che Allen azzecca un ottimo film ogni due o tre come minimo
discutibili: dopo Blue Jasmine, Magic in the Moonlight farà eccezione?
(…) Girato come una classicissima commedia romantica americana anni 30, con un gusto raffinatissimo anche per
le cesure temporali, Magic in the Moonlight è per davvero il film più romantico di Allen, un lungo corteggiamento
tra due persone agli opposti. Tanto Sophie (Emma Stone, deliziosa) è convinta delle sue capacità di poter
comunicare con l'Altro Mondo, tanto Stanley (Colin Firth, con irresistibile accento british) è l'uomo razionale che
si fida sempre del suo buon senso e non si perde dietro nulla che ritenga futile.
Stanley è, come si autodefinisce, "un uomo razionale in un mondo razionale": però Sophie ci mette pochissimo a
capire che è lui Wei Ling Soo. Come reagire poi al fatto che la ragazza sa tutto della zia Vanessa, persino quel
piccolo grande segreto amoroso che in pochi conoscono? "E se fosse vero?", dice titubando. Si tratta solo
dell'inizio di un percorso che porterà l'uomo forse a provare quello che è il sentimento più irrazionale: l'amore.
"Il mondo forse non ha scopo, ma non è del tutto privo di magia", dice zia Vanessa. Così noi potremmo definire
Magic in the Moonlight, che pure un suo scopo ce l'ha oltre al semplice divertissement della forma. Ribadiamo:
in una carriera quarantennale, chi ha mai visto un film così romantico di Allen, in cui il suo ateismo, la sua
razionalità e i suoi unici perni filosofici sembrano quasi venire meno?
Però non si può far finta di nulla di fronte ad una pellicola che ha una parte centrale, non a caso racchiusa tra due
"segmenti" ben più narrativi, decisamente stanchissima. Sembra quasi inutile e stupido stare qui a fare la conta
col bilancino del minutaggio che non serve o che è peggiore rispetto al resto: ma davvero Magic in the Moonlight
è pericolosamente noioso per buona parte della sua durata.
Ci sono scene molto divertenti e trovate inaspettate, come la candela che improvvisamente si alza durante la
prima seduta spiritica. Ci sono delle battute che non possono non far ridere ("Tutto è falso, persino il Vaticano!").
C'è un lavoro di produzione, costumi e dettagli visivi che appagano la vista. C'è la colonna sonora che ti aspetti.
Insomma: Woody c'è, anche quando fa un film che cade nella categoria dei suoi film meno riusciti..
Alessandra Levantesi Kezich. La Stampa
Se si guarda a Magic in the Moonlight come a un’ulteriore commedia romantica di Woody Allen, resta difficile
non catalogarla opera minore; per carità, firmata, godibile, lussuosamente ambientata nella cornice di
un’incantata Costa Azzurra Anni ’20 e interpretata da un‘ottima coppia di attori, il carismatico Colin Firth e la
deliziosa Emma Stone. Ma alcuni personaggi secondari sono disegnati con inconsueta sciatteria e, a dispetto del
loro essere sempre in scena, si direbbe che all’autore del rapporto sentimentale fra il prestigiatore Stanley e la
sedicente medium Sophie importi poco: il che vanifica il magico del chiaro di luna. Tuttavia, il giudizio cambia se
proviamo a considerare il film come qualcos’altro: un’opera che finge di ripercorrere i cliché del genere al solo
scopo di andare dritto al cuore delle cose, ovvero la visione che ne è alla base. Una poetica che Allen ha espresso
in ogni suo titolo, ma sublimandola in una macchina autonoma, distribuendola in maniera calibrata su figure e
situazioni divertenti/amare; mentre qui acquista un carattere di urgenza che la impone al di sopra della forma.
(...). Magia (per il «mago» Woody, quella dello spettacolo) significa gioco truccato, gli spiriti non esistono, l’aldilà
è pura invenzione e la vita un soffio effimero, ma come negarsi al naufragar dolce nel mare dell’illusione e
dell’amore? Mai Allen si è calato in modo più totale dentro un personaggio: facendo di Stanley un emblematico
portavoce e di Sophie il suo simbolico contraltare di sogno e desiderio, ha parzialmente tradito l’artista che è in
sé, ma molto ha rivelato dell’uomo che vi si cela dietro.
Anna Maria Pasetti. Il Fatto Quotidiano
C’è poca magia nell’ultimo Woody Allen. Ma basta un dialogo geniale nel prefinale del film a capire che, tutto
sommato, il vecchio Woody ha ancora qualcosa da raccontare. Questa l’impressione della visione di Magic in the
Moonlight al 32 Torino Film Festival, che ha ospitato la pellicola in anteprima nazionale, precedendo l’uscita in
sala prevista per il 4 dicembre. (...) Atmosfere tra il Charleston e l’adorato Jazz, paillettes e tazzine da tè in
lussureggianti ville sulla Costa Azzurra, con escursione temporalesca nell’osservatorio che – aprendosi – dà il
senso al “moonlight” del titolo. Il tutto per rimarcare la nota passione di Allen per quell’epoca, la Francia e lo
humour inglese. Solo un dialogo, si diceva, si salva a pieni voti, ed è quello tra Firth e “zia Vanessa”, ovvero la
magnifica attrice inglese Eileen Atkins: il meglio della lingua di Shakespeare, che affronta “la questione
dell’Amore” con argute parafrasi e mirabile understatement. Inutile e dannoso alla visione degli spettatori
sarebbe entrare nei dettagli del film, che presto sarà in metà sale del Belpaese, con la speranza di non poche
proiezioni in lingua originale (la pellicola in versione doppiata perderebbe ancor più vivacità..).