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ISTITUTO VESCOVILE “G. MARCONI”
PROGETTO A SCUOLA DI GUGGENHEIM 2013/2014
ARTE E NATURA
Paesaggio naturale – paesaggio artificiale
“ALLA RICERCA DELL’ICONEMA”
CLASSE 3^ LICEO CLASSICO
a.s. 2013/2014
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INTESTAZIONE DEL PROGETTO
Titolo del progetto: “ALLA RICERCA DELL’ICONEMA”
Nome della scuola: Istituto Vescovile “G. Marconi” (Liceo classico), Portogruaro, Venezia
Nome dei docenti responsabili: Girotto Stefania
Nome di altri docenti partecipanti: Fontanella Federico, Drigo Marina
Numero di studenti coinvolti: 22
TESTO RIASSUNTIVO DI PRESENTAZIONE DEL PROGETTO
Premessa
E’ stato scelto lo sviluppo del percorso “Paesaggio naturale – paesaggio artificiale” a partire
dalla lettura di un saggio di Eugenio Turri e dalla definizione del concetto di “iconema” come
parte di un paesaggio particolarmente significativa tanto da costituirne l’emblema.
Il progetto
Gli allievi hanno costruito una scheda di analisi per alcune opere esposte alla Collezione Peggy
Guggenheim di Venezia individuando l’iconema caratterizzante; in seguito, in occasione del
viaggio di istruzione a Berlino, hanno avuto il compito di trovare un’opera d’arte (un edificio o
un contesto urbano) da comparare con quella già analizzata sulla base di iconema affine.
Metodologie
Lezioni frontali e dialogate, contatto diretto con l’opera d’arte, ricerca in azione, schedatura e
analisi comparata dell’opera d’arte, ricerca guidata in piccolo gruppo.
Nodi tematici
Il “paesaggio come teatro” ed il concetto di “iconema” (da Eugenio Turri, Il paesaggio come
teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Marsilio, Venezia 1998). Relazione tra
arte e natura: la rappresentazione di un iconema; la rappresentazione del paesaggio da naturale
ad artificiale. Le Avanguardie storiche: personalità, opere e contesti.
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DINAMISMO DI UN CAVALLO IN CORSA + CASE
di Umberto Boccioni
LA CASA DI RUEIL
di Édouard Manet
ALESSANDRO VENTURI E MICHELE VESCOVO
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“DINAMISMO DI UN CAVALLO IN CORSA + CASE”
ORIGINE E MATERIALI
Autore: Umberto Boccioni
Biografia. L’autore nasce il 19 ottobre 1882 a Reggio Calabria; successivamente la famiglia si
trasferisce a Forlì, dove Umberto trascorre l'infanzia. A Catania frequenta l'Istituto Tecnico fino ad
ottenere il diploma. Collabora con alcuni giornali locali e scrive il suo primo romanzo: Pene dell'anima.
Nel 1901 si trasferisce a Roma, dove frequenta lo studio di un cartellonista, apprendendo così i primi
rudimenti della pittura. In questo periodo conosce Gino Severini, col quale frequenta, a Porta Pinciana,
lo studio del pittore divisionista Giacomo Balla. All'inizio del 1903 Boccioni e Severini frequentano la
Scuola libera del Nudo, dove incontrano Mario Sironi, anch'egli allievo di Balla, col quale stringeranno
una duratura amicizia. In quell'anno Boccioni dipinge la sua prima opera, Campagna Romana o
Meriggio. Nell'aprile del 1907 si iscrive alla Scuola libera del Nudo del Regio Istituto di Belle Arti di
Venezia. Dopo alcuni viaggi all’estero, disegna e affronta le prime esperienze nel campo dell'incisione. A
Milano incontra i Divisionisti e Marinetti e collabora alla stesura del Manifesto dei pittori futuristi (1910),
cui seguì il Manifesto tecnico del movimento futurista (1910). Nel 1915 l'Italia entra in guerra. Boccioni,
interventista, si arruola volontario assieme ad un gruppo di artisti. Durante il suo impegno bellico deve
ricredersi riguardo alla teoria futurista enunciata da Marinetti, secondo la quale la guerra è «sola igiene
del mondo». Nel 1916 muore accidentalmente cadendo da cavallo.
Collocazione attuale: Venezia, Palazzo Venier dei Leoni, Collezione Peggy Guggenheim
Datazione: 1914-1915
Tecnica: legno, cartone e metallo (rame e ferro), con superfici dipinte a guazzo e olio.
Dimensioni: 112,9 x 115 cm
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DESCRIZIONE ICONOGRAFICA
Già il titolo dell’opera evoca nella mente dell’osservatore l’idea di dinamismo e velocità.
La scultura, che si regge su un piedistallo, intende rappresentare un cavallo in movimento e delle case
sullo sfondo. Non è semplice discernere l’immagine del cavallo e delle case: il motivo è che l’artista ha
voluto cogliere il cavallo durante la corsa e, per dare l’idea del dinamismo, si è fatto studio di
rappresentare i vari “flash” che via via si susseguono all’occhio di fronte a un oggetto in movimento.
Quel che ne risulta è un sovrapporsi di forme diverse, che rendono pertanto difficile un riconoscimento
immediato dell’oggetto rappresentato.
DESCRIZIONE STILISTICO-FORMALE
Come già detto, l’artista si serve dell’immagine del cavallo per dimostrare come possa risultare alterato
ai nostri occhi un corpo in movimento, e come quindi la qualità stessa della percezione visiva crei
l’illusione di una fusione di forme.
L’opera, però, non mira a far luce unicamente sull’alterazione delle forme dovuta al fatto che l’oggetto è
in movimento. L’artista, infatti, ragiona anche sulla distanza che separa il cavallo in corsa dalle case:
anche se nella realtà c’è evidentemente un certo spazio che separa il cavallo dalle case, esso però
risulta impercettibile agli occhi, sicché il cavallo e le case sembrano sommarsi in un’unica, mutevole
immagine. Questa e altre simili sculture intendono dunque rappresentare l’apparente compressione
dello spazio che si verifica quando un oggetto lo attraversa e la ridefinizione che l’oggetto stesso
subisce in questo spazio. E’ come se si scattasse una fotografia di un oggetto in movimento: analogo è
infatti l’effetto che si otterrebbe di compenetrazione tra primo piano (cavallo al galoppo) e sfondo (case).
Ci pare inoltre opportuna un’analisi più attenta del modo di rappresentare le zampe del cavallo, descritte
dalla linea curva che delimita la parte inferiore della scultura. Esse risultano sostanzialmente fuse
insieme: si tratta di un ulteriore espediente finalizzato a rendere in maniera plastica e tangibile il
movimento del cavallo. L’effetto visivo dato dalla dissoluzione delle zampe, nella scultura, viene
insomma tradotto concretamente.
INDIVIDUAZIONE DELL’ICONEMA
L’iconema è il caseggiato, che costituisce lo “sfondo” sul quale si descrive il movimento del cavallo in
corsa.
CONSIDERAZIONI SINTETICHE
La scelta del cavallo come soggetto ha un significato ben preciso. Si tenga presente che nell’Ottocento il
cavallo era il principale mezzo di trasporto. Nel primo Novecento si verifica però un cambiamento:
iniziano a circolare le prime automobili. Il paesaggio, che è “teatro” della vita umana (riprendendo la
definizione data da Eugenio Turri, che è anche il titolo di un suo celebre saggio, “Il paesaggio come
teatro”), da naturale tende a diventare artificiale, “urbano”. E cambiano di conseguenza anche gli odori,
cambiano i rumori che lo caratterizzano: si passa da rumori naturali (lo scalpitare del cavallo al galoppo)
a rumori meccanici (il rombo del neonato motore a scoppio). E’ dettata per l’appunto da questo
cambiamento l’esaltazione futurista della macchina e della velocità (si pensi a Il cavallo di R. DuchampVillon, con la fusione tra il corpo del cavallo e il motore meccanico, oppure si pensi al celebre film
Metropolis). Il tema del cavallo lo ritroviamo anche nella celebre opera “Novecento” di Maurizio Cattelan,
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un cavallo impagliato a testa bassa: il cavallo è stato destituito dal suo ruolo primario di mezzo di
trasporto. Anche nella scultura di Boccioni che qui consideriamo il corpo del cavallo è appena sagomato,
vagamente riconoscibile, e si fonde totalmente con le case sullo sfondo.
Quali soggetti della rappresentazione i Futuristi si proponevano dunque la città, le macchine, la caotica
realtà quotidiana. Nelle sue opere pittoriche, Boccioni riuscì a esprimere magistralmente il movimento
delle forme e la concretezza della materia, evitando le linee rette e adoperando colori complementari. In
quadri come Dinamismo di un ciclista, o Dinamismo di un giocatore di calcio, la raffigurazione di uno
stesso soggetto in stadi successivi nel tempo suggerisce efficacemente l'idea dello spostamento nello
spazio. Simile intento governa del resto anche le sue opere scultoree: ciò che gli premeva era illustrare
l'interazione di un oggetto in movimento con lo spazio circostante.
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“LA CASA DI RUEIL”
ORIGINE E MATERIALI
Autore: Édouard Manet (Parigi, 1832 – 1883)
Biografia: Édouard Manet nacque a Parigi nel 1832. Entrò molto giovane nell’École des Beaux-Arts,
quindi studiò arte presso l'atelier di Thomas Couture. Ma lo stile convenzionale e accademico di
quest'ultimo mal si adattava all'indole del giovane Manet, che, dopo sei anni, lasciò polemicamente il
maestro. Passato all'Académie, ebbe modo di seguire le lezioni del celebre Léon Bonnat, e di lì a poco
conobbe i suoi futuri compagni impressionisti. Iniziò allora a dedicarsi alla pittura en-plein-air, conosciuta
grazie a Corot. Viaggiò in Germania, Italia, Spagna e Olanda, dove conobbe le opere di Diego
Velázquez e Francisco Goya. Nel 1863 sposò Suzanne Leenhoff. Nel 1881, su suggerimento di Antonin
Proust, suo amico, il governo francese lo insignì della Legione d'onore. Manet contrasse la sifilide, che
ne segnò il destino, ma fu anche tormentato da penose forme reumatiche non curate, contratte a
quarant'anni. Negli ultimi anni di vita la malattia gli causò forti dolori e una parziale paralisi; nell’aprile del
1883 gli fu amputato il piede sinistro. La morte tuttavia lo colse pochi mesi dopo l’operazione, all’età di
soli 51 anni.
Collocazione attuale: Berlino, Altes Museum
Datazione: 1882 (restaurata da Karl Hagen nel 1906)
Tecnica: olio su tela
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DESCRIZIONE ICONOGRAFICA
L’opera rappresenta un chiaro paesaggio di sole. Il primo piano è interamente occupato da un prato di
colore verde costellato da fiori rossi, che a tratti tende a sfumare nel giallo. Quindi, in secondo piano,
sono presenti tre case, più o meno allineate; sulla sinistra è possibile scorgere una quarta casa, che
risulta però tagliata dal bordo del quadro. Alle case si alterna il verde della vegetazione: dietro si ergono
degli alberi di varia altezza, mentre, di fronte alle case, arbusti più modesti nascondono parti delle
facciate. Su queste, le porte e le finestre sono rese con semplici macchie di colore scuro e rettangolari,
che risaltano sulla pietra bianca splendente al sole. Sullo sfondo, oltre i tetti e i comignoli, oltre le cime
degli alberi più alti, si apre di fronte a noi un cielo azzurro, su cui si rincorrono nuvolette di forme varie,
che assumono un colore appena appena più scuro sul lato destro del quadro.
Dietro alle immagini concrete e materiali, si apre l’universo dell’interiorità. L’opera intende destare
nell’animo dell’osservatore un sentimento di pace e serenità, offrendogli un piccolo quadretto agreste:
uno scenario tranquillo che, malgrado la presenza delle case, evoca una solitudine quieta e fors’anche
malinconica; uno scenario che apre nel nostro animo una serena atmosfera campagnola, trascorsa d’un
piacevole silenzio che di quando in quando è interrotto dalla timida voce della natura, con il cinguettio
d’un passero o con il tremulo frondeggiare degli alberi.
DESCRIZIONE STILISTICO-FORMALE
L’opera ritrae un paesaggio naturale particolarmente caro agli Impressionisti, un paesaggio ove
s’incontrano il naturale e l’artificiale; ma non vi è nessun contrasto tra le case e gli alberi; ché anzi, il
naturale e l’artificiale, incontrandosi, si fondono in singolare armonia. Sono, essi, l’immagine di certe
memorie dell’artista, le quali si richiamano tutte insieme e si concretano nella visione d’un paesaggio; e
l’artista, cantore dell’attimo fuggente, osservando questo paesaggio, coglie e concreta in una immagine
sulla tela tutti i ricordi ch’esso rievoca in lui, tutte le impressioni ch’esso suscita entro il suo cuore.
La tecnica usata è quella ben nota degli artisti impressionisti: il colore è disposto a macchie, poiché chi
guarda il paesaggio reale vede non già gli oggetti distinti l’un dall’altro da nette linee di contorno, bensì
macchie di colore; e la mano maestra di Manet procede per pennellate brevi e rapide, quasi virgolettate.
INDIVIDUAZIONE DELL’ICONEMA
La nostra scelta è caduta su questo quadro di Manet appunto per la presenza del caseggiato, che
costituisce un “iconema” analogo a quello dell’opera scultorea di Boccioni che abbiamo già descritto,
Dinamismo di un cavallo in corsa + case. Anche se è presente un elemento comune alle due opere,
esso tuttavia risulta avere funzione ben diversa per i due autori. Manet, come detto, semplicemente
descrive un paesaggio campagnolo; il futurista, invece, impiega le case come mezzo per dar l’idea del
movimento del cavallo in corsa. E naturalmente, la diversa funzione che il medesimo iconema assume
nelle due opere si coglie perfettamente anche nei due modi diversi con cui esso è rappresentato: Manet
descrive un quadretto tranquillo e immobile, le cime degli alberi paiono ferme o appena lambite da una
brezza leggera, le case stesse dànno l’idea d’immobilità e di staticità; al contrario, in Boccioni il moto del
cavallo fa sì che le forme si sovrappongano tutte, oggetto e spazio circostante interagiscano e si
confondano, secondo il noto criterio dell’arte futurista (il cosiddetto “dinamismo plastico”).
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CONSIDERAZIONI SINTETICHE
L’opera descritta è significativa in quanto presenta gli stilemi più tipici dell’arte degli Impressionisti, e
nella fattispecie di Manet: la tipica maniera di dipingere per macchie di colore e l’uso di pennellate brevi
e tratteggiate.
In aggiunta a quanto sinora detto, rileviamo un ultimo dettaglio: come già osservato in precedenza, la
casa sulla sinistra è visibile solo parzialmente, poiché è tagliata dal bordo del quadro. Questa scelta
dell’artista corrisponde a un uso comune nell’arte di fine Ottocento, e costituisce un espediente
finalizzato a rendere le immagini con maggior realismo. Si tratta, infatti, di una diretta conseguenza
dell’invenzione della fotografia. Si pensi, per citare un esempio più celebre, all’Assenzio di Degas, dove
è una figura umana ad essere “tagliata fuori” dalla tela.
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AL VELODROMO
di Jean Metzinger
SNOW WHITE
di Victor Müller
ELENA VALDRIGHI E MARTINA PIGHETTI
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“AL VELODROMO”
ORIGINE E MATERIALI
Autore: Jean Metzinger (Nantes, 24 giugno 1883 – Parigi, 23 novembre 1956)
Biografia. Nella sua città natale, Metzinger ha avuto un’educazione approfondita ed ha frequentato
corsi di pittura con Hypolitte Touront, noto ritrattista, che gli ha insegnato a dipingere secondo i canoni
classici.
All’età di vent’anni, deciso a diventare pittore, si trasferisce a Parigi dove, attraverso lo scrittore Max
Jacob, viene introdotto nella cerchia che comprende Braque e Picasso e segue con interesse le
innovazioni del neo-impressionista. Quando Metzinger trova il coraggio per inviare i suoi primi dipinti ad
olio a Parigi, la risposta è totalmente positiva e viene invitato ad esporre tre opere in una presentazione
di artisti indipendenti. Lo stile di Jean Metzinger diventa sempre più geometrico, palesemente
influenzato dagli amici Braque, Gris e Picasso ed arriva ad un passo dallo stile denominato, in seguito,
Cubismo analitico.
Negli anni seguenti, prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, Metzinger continua a partecipare
alle maggiori esposizioni parigine. Dopo la chiamata alle armi, ritorna nel 1919 a Parigi, dove vivrà tutta
la sua vita, dipingendo ed insegnando.
Negli anni dopo il 1920, Metzinger abbandona poco a poco il Cubismo, riportando i suoi dipinti allo stile
della sua gioventù, vicino ai Puristi con inclinazioni alla Metafisica.
Collocazione attuale: Venezia, Palazzo Venier dei Leoni, Collezione Peggy Guggenheim
Datazione: 1912
Tecnica: olio e collage su tela
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Dimensioni: 130,4 x 97,1 cm
DESCRIZIONE ICONOGRAFICA
L’opera rappresenta gli ultimi metri della famosa corsa ciclistica di Parigi: in primo piano è raffigurato
Charles Crupelandt, il vincitore dell’edizione del 1912.
DESCRIZIONE STILISTICO - FORMALE
In quest’opera Metzinger vuole rappresentare la quarta dimensione, ovvero il tempo: infatti tra la folla vi
è la comparsa di una tabella con il numero “4” che vuole sottolineare proprio questo. Il quadro non è un
semplice olio su tela perché viene utilizzata la tecnica del collage, ovvero viene incollata della sabbia
vera e propria per rendere l’idea della pista dove si sta svolgendo la gara ciclistica.
INDIVIDUAZIONE DELL’ICONEMA
L’iconema è l’unità elementare della percezione e in quest’opera è possibile riscontrarla nella folla
assiepata sugli spalti che incita i ciclisti.
CONSIDERAZIONI SINTETICHE
Jean Metzinger, teorico del Cubismo, cerca di comunicare i principi del movimento attraverso i suoi
dipinti e i suoi scritti. Motivi cubisti sono la tecnica del collage, l’inserimento di una superficie granulosa e
la presenza di piani trasparenti per definire lo spazio. La scelta di un soggetto in movimento dà l’idea di
una pittura futurista.
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“SNOW WHITE”
ORIGINE E MATERIALI
Autore: Victor Müller (Francoforte sul Meno, 29 Marzo 1829 - Monaco di Baviera, 21 dicembre 1871)
Biografia: L’autore intraprese i suoi studi artistici sotto Steinle presso la Scuola d'Arte di Francoforte e li
continuò ad Anversa; nel 1849 si recò a Parigi, dove rimase per 11 anni. Nel 1858 tornò a Francoforte,
dove attirò l'attenzione con una serie di opere, completamente realistiche nella concezione e di grande
fascino coloristico, ma poco comprensibili per un pubblico abituato alla tendenza sentimentale della
Scuola di Düsseldorf di quel periodo.
La sua produzione artistica si distingue per un certo carattere letterario o poetico che fa appello alla
fantasia anche se la colorazione, a volte, è al limite della stravaganza.
Collocazione attuale: Berlino, Alte National Galerie
Datazione: 1862
Tecnica: olio su tela
DESCRIZIONE ICONOGRAFICA
L’opera rappresenta una scena tratta dalla celebre fiaba “Biancaneve” dei Fratelli Grimm: infatti vengono
rappresentati i sette nani insieme a Biancaneve mentre danzano in un prato assolato.
DESCRIZIONE STILISTICO – FORMALE
La struttura compositiva si sviluppa longitudinalmente; il verso di osservazione non è univoco in quanto
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la figura di Biancaneve suggerisce una lettura da sinistra verso destra, mentre i nani volgono lo sguardo
verso di lei. La profondità si può percepire alle spalle dei personaggi, dove si staglia una collina con
degli arbusti che si trova sullo sfondo. Solitamente le figure in primo piano sono caratterizzate da una
maggiore attenzione per i dettagli e le tonalità di colore, qui invece i contorni che delineano le figure non
appaiono nitidi, anzi sono sfumati. La luce proviene da destra come attestano le ombre proiettate dai
nani; il cielo appare nebbioso e fa presagire l'arrivo di una perturbazione.
INDIVIDUAZIONE DELL’ICONEMA
L’iconema è l’unità elementare della percezione e in quest’opera è possibile riscontrarla nel movimento
che creano i sette nani che stanno andando incontro a Biancaneve accennando ad una danza.
CONSIDERAZIONI SINTETICHE
Abbiamo scelto questo dipinto poiché, comparandolo con Al Velodromo di Metzinger, dà la stessa idea
del movimento: infatti anche in questo quadro vi è l’iconema della velocità, del movimento caratterizzato
dai sette nani che danzano verso Biancaneve. Anche l’utilizzo dei colori e delle forme non ben definite
rende l’idea.
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FINESTRE APERTE SIMULTANEAMENTE
di Robert Delaunay
PARIS
di Salvador Dalí
BEATRICE BISIGHINI E VIRGINIA CERCHIER
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“FINESTRE APERTE SIMULTANEAMENTE”
(1a parte, 3° motivo)
ORIGINE E MATERIALI
Autore: Robert Delaunay (Parigi, 12 aprile 1885 – Montpellier, 25 ottobre 1941)
Biografia. Personalità tra le maggiori dei movimenti del '900, abbracciò molti fenomeni dell'epoca, dal
Fauvismo all'Astrattismo e fu sicuramente tra le figure più aperte agli scambi e influssi con le
contemporanee esperienze europee.
Nacque a Parigi e cominciò a dipingere in giovane età; nutriva grande ammirazione nei confronti di
Gauguin, Seurat e dei Fauves e adottò inizialmente una tecnica post-impressionista. A partire dai primi
anni del '900, risentendo dell'influenza di Paul Cézanne e del Cubismo di Braque e Picasso, si accostò
al Ccubismo analitico, interpretandolo come moltiplicazione di spazi luminosi. Su invito di Kandinskij, nel
1911 Delaunay si avvicinò al gruppo del Blaue Reiter (“Il cavaliere azzurro”), cerchia di artisti
espressionisti astratti di Monaco di Baviera, partecipando alla prima esposizione; sotto l'influenza di
Klee, la sua arte si volse con sempre maggior decisione verso l'arte astratta.
Intorno al 1912, Delaunay si allontanò dall'ortodossia del Cubismo e quindi dalle opere caratterizzate da
una frattura plastica e da violente campiture cromatiche e creò, sempre all'interno del movimento
cubista, la corrente che fu definita in seguito “Orfismo”. Le opere si distinguono da quelle di Braque e
Picasso per due elementi essenzialmente, che finiranno per risultare antitetici rispetto alla poetica
cubista: il dinamismo e il colore. Le opere di questo periodo sembrano congiungere le principali tecniche
del tempo e si concentrano su forme geometriche (come in Forme circolari e Finestre).
Stabilitosi in Spagna e poi in Portogallo durante le Prima Guerra Mondiale, ritornò temporaneamente a
soluzioni figurative, accogliendo suggestioni dell'arte folkloristica di quei luoghi. Nell'immediato
dopoguerra, aderì al “Ritorno all'ordine”, con grandi composizioni dedicate soprattutto allo sport (I
corridori). Nell'ultimo decennio di vita tornò a formulazioni astratte, su un piano monumentale, con
ricerche di sempre nuove tecniche, influenzate dall'esperienza della Bauhaus: in particolare egli voleva
ottenere una sintesi tra il linguaggio architettonico e l’arte visiva.
Delaunay morì di cancro il 25 ottobre 1941 a Montpellier.
Nella sua vita fu decisivo l'influsso della moglie Sonia, pittrice francese di origine russa, insieme a cui
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fondò la corrente artistica dell'Orfismo. Ella nel 1963 donò tutti i lavori del marito al Musée National d'Art
Moderne di Parigi.
Collocazione attuale: Venezia, Palazzo Venier dei Leoni, Collezione Peggy Guggenheim
Datazione: 1912
Tecnica: olio su tela ovale
Dimensioni: 57 x 123 cm
DESCRIZIONE ICONOGRAFICA
Delaunay dipinse la sua prima Tour Eiffel nel 1909, ma incominciò la serie Finestre nella primavera del
1912, anno in cui dipinse questo quadro. Egli aveva ormai abbandonato l'arte figurativa, ma possiamo
comunque rintracciare la rappresentazione di oggetti reali in queste opere. Compose le Finestre
definendole "frasi colorate", animando la tela con masse di colore compenetrate, simultanee e
dinamiche. L'artista intende mostrare ciò che vede dalla finestra, si immagina, di un appartamento
attraverso il vetro e l'eventuale tenda, che si interpongono tra lui e la realtà esterna.
Al centro della tela è distinguibile la Tour Eiffel per la linea dell'arco che ne simula la forma, anche se ciò
non appare immediatamente chiaro come capita invece in altri dipinti della serie Finestre, dove sono
presenti i tralicci metallici della grande struttura parigina.
DESCRIZIONE STILISTICO - FORMALE
Il punto di partenza per Delaunay è la scomposizione dell'oggetto, presentato contemporaneamente da
più punti di vita secondo la proposta dei cubisti ma, contrariamente a questi, è attento alla lezione di
Cézanne, non elimina i colori dalla tavolozza anzi, come si può notare anche in questo quadro, ne fa un
largo uso. Scompone, però in un passo successivo, anche i colori, rifacendosi alla trattatistica scientifica
sulle leggi fisico-ottiche, in particolare al Principio di conservazione dei contrasti simultanei di Chevreul
(“ogni colore si rafforza o si smorza a seconda di quali colori lo attorniano”), secondo il quale se si
accostano due colori complementari le qualità di luminosità di ognuno vengono esaltate. Questo
principio non era sconosciuto agli impressionisti e in particolare, Seurat lo aveva tradotto in pratica
grazie alla sua tecnica del Puntinismo. Altra legge scientifica a cui si può far riferimento in rapporto a
questo quadro, è la ricomposizione ottica, automatismo mentale umano per cui il cervello cerca sempre
di ricondurre una forma indistinta a una realtà conosciuta. Solo attraverso questo processo è possibile
individuare la silhouette della Tour Eiffel tra le curve del quadro.
INDIVIDUAZIONE DELL'ICONEMA
Elementi distintivi di quest'opera sono sicuramente: la Tour Eiffel, la finestra, e la forma ovale del dipinto.
Abbiamo scelto come iconema per la nostra ricerca la Tour Eiffel.
CONSIDERAZIONI SINTETICHE
La Tour Eiffel fu costruita durante la seconda rivoluzione industriale (prima metà del XIX secolo). In
questo periodo, lo scopo che ogni artista si imponeva era di cogliere il nuovo corso che aveva preso la
vita, di far corrispondere ogni attività umana alla nuova sensibilità che i tempi avevano così rapidamente
trasformato. Per questo motivo anche nell’architettura avvennero modifiche essenziali: furono usati
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nuovi materiali da costruzione, come il ferro, il vetro e l’acciaio, affinché ogni edificio fosse più leggero,
dinamico e moderno. La Torre non fu immediatamente accettata da tutti i Francesi, anzi fu aspramente
criticata per la “bruttezza”, infatti per il periodo in cui fu costruita era assolutamente innovativa e
sembrava stridere in confronto agli altri edifici dell'epoca.
Delaunay sceglie questo soggetto per il suo significato simbolico: la Tour Eiffel, che già al suo tempo era
diventata emblema nazionale della Francia, diventa un termine di paragone per le opere degli artisti
delle Avanguardie. Egli era certo che sarebbero diventate importanti, oggetto di studio e di ammirazione
perché rappresentavano una rottura con il passato, sebbene i biasimi che avevano ricevuto.
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“PARIS”
ORIGINE E MATERIALI
Autore: Salvador Dalí (Figueres, 11 maggio 1904 – Figueres, 23 gennaio 1989)
Biografia. Dopo studi burrascosi all'Accademia di Madrid, si rivolse con interesse alla pittura metafisica,
futurista e infine pure cubista. La sua prima esposizione personale è del 1925, mostra in occasione della
quale Picasso e Miro’ iniziano ad interessarsi ai suoi lavori. Accolto nel gruppo surrealista di Breton dal
1929, venne escluso nel 1934 a causa delle sue simpatie per i regimi di destra: infatti, dopo la guerra
spagnola appoggiò il regime di Franco. Nel 1934 illustrò i Chants de Maldoror di Lautréamont e compì
un primo viaggio negli Stati Uniti. Nel 1937 un viaggio in Italia ridestò in lui l'interesse per la pittura del
Rinascimento maturo e del Seicento. Nel 1940 si stabilì negli Stati Uniti, dove continuò a passare gli
inverni anche dopo il suo ritorno in Spagna nel 1948. Successivamente, nel decennio 1950-60, affrontò
temi religiosi (Il Cristo di S. Giovanni della Croce, 1951, Glasgow, Art Gallery).
Dalí ha pubblicato numerosi saggi teorico-critici e autobiografici: La femme visible (1930); The secret life
of Salvador Dalì (1942); Manifeste mystique (1951); Le journal d'un génie (1964); Comment on devient
Dalí (1973). Con Buñuel ha realizzato nel 1929 il primo film surrealista, Le chien andalou, e, nel 1930,
L'âge d'or. Si è occupato di moda, di arredamento e ha anche disegnato gioielli. Dalì ha costituito anche
due musei proprî: quello di Cleveland (1971) e il teatro-Museo di Figueras (1974), dove è stato sepolto.
Collocazione attuale: collezione privata
Datazione: 1969
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Tecnica: Litografia e olio su tela
Dimensioni: 99 x 62 cm
DESCRIZIONE ICONOGRAFICA
Tema centrale di quest'opera è certamente Parigi: la Tour Eiffel si staglia incolume sulla sinistra mentre
un'esplosione di farfalle colorate è in atto nella parte destra. Sicuramente la farfalla ha un significato
particolare per Dalí: l'armonia, la leggiadria, la leggerezza ma anche, e soprattutto, la metamorfosi,
l'evoluzione, il cambiamento. Quindi, sebbene il progresso porti a grandi e innovative scoperte, che
hanno anche e purtroppo un risvolto storico negativo (l'esplosione del quadro ricorda molto il “fungo”
causato dalla bomba atomica), Dalí sente il bisogno di cogliere il lato positivo di tutto ciò e lo trasmette
attraverso la fermezza, l'impassibilità della Tour Eiffel.
Parigi è stata luogo di scontro per molti versi: non bisogna dimenticare che l'anno precedente alla
realizzazione dell'opera (nel '68), studenti e operai si erano battuti nella capitale contro il capitalismo,
l'imperialismo, il potere gollista allora dominante. Pertanto si scorgono nel fumo dell'esplosione volti di
persone partecipanti alle proteste.
DESCRIZIONE STILISTICO – FORMALE
Tipico di Dalì è mostrare i paesaggi come se fossero abitati da figure che sono proprie del mondo
onirico; la visione sembra quasi un'allucinazione. Alla ricerca di una realtà non visibile, tanto profonda e
oscurata dalla coscienza razionale, il Surrealismo, movimento d’avanguardia che vede i suoi natali in
Francia nel 1924, ricevette un sostanzioso impulso dalle teorie psicanalitiche di Freud. L’interpretazione
dei sogni, i lati bui dell’inconscio, gli automatismi legati ad esso furono i pilastri portanti del manifesto
surrealista edito da Breton. Nei quadri di Dalí, gli oggetti sembrano sempre essere accostati in maniera
insensata, assurda ma è sempre possibili scorgere un filo rosso che permette di intuire il significato del
quadro.
INDIVIDUAZIONE DELL'ICONEMA
La Tour Eiffel è l'iconema di questo quadro. Ci sono scelte stilistico-formali, ma anche di significato che
distinguono l'iconema del quadro di Dalí da quello del quadro di Delaunay. In primo luogo, la Tour Eiffel
è riconoscibile e si nota facilmente, mentre in Delaunay è scomposta e di difficile individuazione. Inoltre,
in Finestre aperte simultaneamente sembra più essere un buon pretesto pittorico, che avere un mero
ruolo di panorama turistico. Dalí le attribuisce i valori di incorruttibilità e fortezza poiché posizionata in
quel luogo come se dovesse assistere all'incendio, e quindi agli eventi storici, ma non farsene
coinvolgere.
CONSIDERAZIONI SINTETICHE
Questo poster fa parte di una serie di opere che furono commissionate a Dalí nel 1969 dalla SNCF
(Société Nationale des Chemins de fer français), la società ferroviaria statale nazionale francese, per
promuovere l'uso dei treni da parte dei cittadini. La SNCF gestisce i servizi ferroviari nazionali del paese,
tra cui il TGV, rete ferroviaria ad alta velocità della Francia. La collezione comprende altre sei opere che
rappresentano sei regioni francesi: “Alps”, “Alsace”, “Auvergne”, “Normandie”, “Paris” e“Roussillon”. Le
litografie furono stampate in francese, inglese e tedesco nei formati 37x60 cm e 62x99 cm.
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MARE = BALLERINA
di Gino Severini
DANTE SALE ALL’EMPIREO
di Salvador Dalí
LUCA BIASON E FEDERICO VIDALE
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“MARE = BALLERINA”
ORIGINE E MATERIALI
Autore: Gino Severini (Cortona, 7 aprile 1883 – Parigi, 26 febbraio 1966)
Biografia. Nato a Cortona, giunse diciottenne a Roma. Qui Giacomo Balla lo avviò alla pittura
divisionista che approfondì a Parigi a partire dal 1906 (Primavera a Montmartre, 1909). Fu tra i firmatari
nel 1910 del Manifesto del Futurismo, scritto da Filippo Tommaso Marinetti. A Parigi fu a contatto con
Pablo Picasso, Georges Braque, Juan Gris e Guillaume Apollinaire e partecipò al nascere e allo
svilupparsi del Cubismo. Nel 1913 sposò Jeanne, la figlia del poeta Paul Fort, da cui nasceranno tre
figli: Gina (1915), Romana (1937) e Jaques (1927-1933), morto prematuro.
Nello stesso anno si trasferì da Parigi a Pienza e successivamente a Roma; trascorse un periodo di
tempo al mare presso Anzio per motivi di salute. Fra l'ottobre 1917 e l'agosto 1918 pubblicò una serie di
articoli dal titolo La Peinture d'avant-garde nella rivista “De Stijl”. Theo van Doesburg ha definito lo stile
di Severini psychisch kubisme (in italiano: “cubismo psichico”).
Collocazione attuale: Venezia, Palazzo Venier dei Leoni, Collezione Peggy Guggenheim
Datazione: Gennaio 1994
Tecnica: olio su tela
Dimensioni: 105,3 x 85,9 cm
DESCRIZIONE ICONOGRAFICA
Quest’opera venne realizzata da Gino Severini nel 1913 presso Anzio, località in cui il pittore si era
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ritirato per motivi di salute. Nel dipinto la figura umana della ballerina e il mare sono assimilati, cioè
viene espresso il concetto di “analogia plastica”. Secondo Severini la figura umana non è che una parte,
per quanto inseparabile, di questa realtà metamorfica.
Anche se non è immediato, della ballerina possiamo individuare una gamba (in rosa, in basso verso
destra), il torace (un cilindro verde al centro del dipinto) e un braccio che va dal torace verso sinistra.
Inoltre è riconoscibile anche la veste che si fonde con le onde del mare, le quali a loro volta si incurvano
ritmicamente.
Come in molti altri dipinti futuristi, le immagini sconfinano nella cornice: le onde del mare ne lambiscono
i bordi, avanzando verso l’osservatore.
DESCRIZIONE STILISTICO – FORMALE
In questa come in altre tele, le cadenze e le volute della danza e del costume della ballerina sono
paragonate al movimento del mare. Con questa fusione Severini vuole dimostrare che il mare e la
ballerina sono parte della natura e di un’analoga realtà; il loro movimento può essere fuso in una visione
plastica, o meglio volumetrica.
I grandi piani incurvati sono punteggiati da tocchi staccati di colore brillante che creano vibranti effetti di
luce. Il gioco di piani e cilindri di questo dipinto ricorda il contemporaneo cubismo di Fernand Lèger, ma
l’impianto cromatico è più vicino alla gamma prismatica di Robert Delaunay. Tuttavia, l’assenza di
contorni e il dissolversi dei volumi sono aspetti tipici delle opere di Severini.
La tecnica conferisce fluidità ed energia a questo soggetto gioioso che vede la ballerina e il mare
fondersi (il costume della ballerina e il frangersi delle onde sono analoghi).
INDIVIDUAZIONE DELL’ICONEMA
L’iconema di quest’opera è il movimento che possiamo riscontare nella danza della ballerina.
CONSIDERAZIONI SINTETICHE
Severini rappresenta il mare poiché per problemi di salute si trovava a Anzio. Naturalmente il
paragonare il mare al ballo di una ballerina è una cosa molto soggettiva che si sposa molto bene con gli
ideali del Futurismo. Quest’opera è molto significativa dal punto di vista formale e della struttura
cromatica per l’accostamento e per l’utilizzo acceso dei colori.
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“DANTE SALE ALL’EMPIREO”
ORIGINE E MATERIALI
Autore: Salvador Dalí (Figueres, 11 maggio 1904 – Figueres, 23 gennaio 1989)
Biografia. Dalí fu un grande pittore, scultore, scrittore, cineasta, designer e sceneggiatore spagnolo.
Divenne molto celebre per le sue immagini suggestive e bizzarre e per le sue opere surrealiste. Fu un
personaggio dagli atteggiamenti stravaganti per attirare l’attenzione su di sé.
Morì il 23 gennaio del 1989 colto da un attacco cardiaco mentre ascoltava il suo disco preferito “Tristano
e Isotta” di Wagner.
Collocazione attuale: appartenente ad una collezione privata, durante il nostro viaggio di istruzione a
Berlino era collocato presso una esposizione temporanea a Potsdamer Plaz.
Datazione: 1957-1964
Tecnica: china e acquerello su carta
DESCRIZIONE ICONOGRAFICA
Il tema centrale dell’opera è la salita di Dante all’Empireo: la figura del protagonista non è ben definita
perché coinvolta nel dinamismo.
DESCRIZIONE STILISTICO –FORMALE
La figura di Dante è rappresentata in movimento mediante alcune pennellate di colore nero. Un aspetto
significativo dell’opera è anche l’accostamento dei colori: Dante viene rappresentato tramite il colore
nero mentre il paesaggio intorno a lui risplende di una luce paradisiaca ottenuta dall’accostamento di
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varie tonalità di giallo.
INDIVIDUAZIONE DELL’ICONEMA
L’iconema di quest’opera è il movimento che possiamo riscontare nella salita di Dante verso l’Empireo.
Nell’opera di Severini il movimento della ballerina viene reso tramite la stesura e la modulazione del
colore che in alcuni casi va oltre la tela e ricopre alcune parti della cornice; nell’opera di Dalí, invece, il
movimento è semplicemente reso della stesura del colore e dalla stilizzazione della figura di Dante.
CONSIDERAZIONI SINTETICHE
Quest’opera è una delle 100 illustrazioni che vennero commissionate a Dalí dal governo italiano basate
sul celebre poema di Dante Alighieri. Gli furono concessi 8 anni di tempo per concludere l’intera serie,
che doveva essere consegnata nel 1956 in occasione del 700esimo anniversario della nascita di Dante.
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PAESAGGIO CON MACCHIE ROSSE N.2
di Vasilij Kandinskij
FALCE E MARTELLO
di Andy Warhol
LISA ZANCO FRANCO E FRANCESCA ZULIAN
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“PAESAGGIO CON MACCHIE ROSSE N.2”
ORIGINE E MATERIALI
Autore: Vasilij Kandinskij (Mosca, 1886 - Neuilly-Sur-Seine, 1944)
Biografia. Il celebre pittore russo proviene da una famiglia borghese di Mosca e viene avviato agli studi
di Legge ottenendo la laurea in Giurisprudenza. Per dedicarsi alla pittura rifiuta una cattedra offertagli
all’Università. Nel 1896 si trasferisce a Monaco per intraprendere degli studi più approfonditi sulla pittura
e entra in contatto con il clima in cui si diffonderà più tardi l’Espressionismo. Nel 1909 fonda un gruppo
artistico chiamato “L’Associazione degli Artisti di Monaco” in cui emergono i tratti dell’Espressionismo,
ma man mano si allontana da questo tipo di pittura per abbracciare quella astratta. Il 1910 è un anno
importante per Kandinskij in quanto scrive la sua opera fondamentale ovvero Lo spirituale nell’arte in cui
descrive come la pittura debba essere sempre più simile alla musica e non rappresentare gli oggetti o
figure cosi da lasciare spazio alla spiritualità.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale ritorna in Russia partecipando alle varie Avanguardie che si
stavano formando in quel periodo. Successivamente torna in Germania dove insegna alla Bauhaus di
Weimar, una Scuola di Arti Applicate e forma con alcuni personaggi importanti il gruppo “Die Blaue Vier”.
Quando viene chiuso il Bauhaus, termina anche l’esperienza con il gruppo di artisti e si trasferisce in
Francia dove trascorre gli ultimi anni della sua vita.
Collocazione attuale: Venezia, Palazzo Venier dei Leoni, Collezione Peggy Guggenheim
Datazione: 1913
Tecnica: olio su tela
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Dimensione: 117 x 140 cm
DESCRIZIONE ICONOGRAFICA
Il paesaggio che Kandinskij rappresenta in questo quadro è quello alpino di Murnau, nell’Alta Baviera,
dove la compagna acquista una casa pochi anni prima. Il 1913 è il periodo in cui abbraccia la pittura
astratta, per cui a fatica si riescono a riconoscere gli oggetti della realtà, come in questo caso le
montagne e la chiesa al centro, con il campanile privato del suo tetto e della sua croce. Il colore perde
totalmente la sua funzione descrittiva.
DESCRIZIONE STILISTICO – FORMALE
Nel 1913 sono ormai pochi i connotati reali. Qui il campanile è trasformato in una forma misteriosa e
allungata che sembra oltrepassare la tela. Kandinskij non presenta il paesaggio come descrizione
oggettiva ma come visione emotiva e spirituale, anche nell’uso del colore, che utilizza per rivelarne tutta
la sua espressività latente. Marcato è l’utilizzo dei colori primari, in particolare il rosso, le cui macchie
ispirano il titolo stesso dell’opera: Kandinskij attribuisce al rosso una forza espansiva, che pulsa verso
l’osservatore, al contrario dei colori freddi che paiono ritrarsi verso il fondo.
INDIVIDUAZIONE DELL’ICONEMA
Il motivo del paesaggio con la chiesa ricorre di frequente nei dipinti di Kandinskij del periodo 1908-1913.
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FALCE E MARTELLO
ORIGINE E MATERIALI
Autore: Andy Warhol (Pittsburg, 1928 - New York, 1987)
Biografia. Nacque a Pittsburg, in Pennsylvania, il 6 agosto del 1928, figlio di immigrati rumeni originari
della Slovacchia nord-orientale. Warhol mostrò subito il suo talento artistico e studiò arte pubblicitaria al
Carnegie Institute of Technology di Pittsburgh. Dopo la laurea, ottenuta nel 1949, si trasferì a New York,
che gli offrì subito molteplici possibilità di affermarsi nel mondo della pubblicità, lavorando per riviste
come Vogue e Glamour.
Il 3 giugno 1968, una femminista radicale nonché artista frequentatrice della "Factory", Valerie Solanas,
sparò a Warhol e al suo compagno di allora, Mario Amaya. Entrambi sopravvissero all'accaduto, anche
se Warhol si salvò in extremis. Le apparizioni pubbliche di Warhol dopo questa vicenda diminuirono
drasticamente: l'artista si rifiutò di testimoniare contro la sua tentata carnefice e la vicenda passò in
second'ordine. Morì a New York il 22 febbraio 1987, in seguito a un intervento chirurgico alla cistifellea,
dopo aver realizzato Last Supper, ispirato all'Ultima Cena di Leonardo Da Vinci.
Collocazione attuale: Berlino, Hamburger Bahnhof Museum
Datazione: 1976
Tecnica: vernice e inchiostro su tela
Dimensioni: 1028 x 891
DESCRIZIONE ICONOGRAFICA
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I soggetti da Warhol rappresentati sono una falce e un martello. Questi, sovrapposti l'uno rispetto
all'altro, sono disegnati con l'impugnatura chiara e la parte in ferro nera. Le uniche chiazze colorate
sono quelle dell'ombra dei due oggetti, in rosso, che spiccano rispetto allo sfondo piatto, anch'esso
bianco. Warhol vuole mettere in evidenza la marca della falce incisa sul manico: "Champion n° 15 by
True Temper".
DESCRIZIONE STILISTICO - FORMALE
Quest'opera è definita dallo stesso autore "natura morta politica". Infatti la falce e il martello sono per
eccellenza il simbolo del Comunismo, ma, se all'immagine riprodotta sulla tela interviene con larghe e
irregolari pennellate di vernice rossa e grigia, diventa una sorta di natura morta, perde il significato
ideologico e innesca una riflessione sul rapporto tra ideologia e merce.
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LA PIOGGIA
di Marc Chagall
LOUVECIENNES, CON IL MONTE VALERIANO SULLO SFONDO
di Camille Pissarro
ANNA ODORICO E CARLOTTA CONDELLO
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“LA PIOGGIA”
ORIGINE E MATERIALI
Autore: Marc Chagall (Vitebsk, 7 luglio 1887 – Saint-Paul-de-Vence, 28 marzo 1985)
Biografia. Marc Chagall nacque in una famiglia di cultura e religione ebraica, a Vitebsk, allora facente
parte dell'Impero Russo, oggi in Bielorussia. Chagall fu il maggiore di nove fratelli; il padre, Khatskl
(Zakhar) Chagall, era mercante di aringhe, sposato con Feige-Ite. Nelle opere dell'artista ritorna spesso
il periodo dell'infanzia, felice nonostante le tristi condizioni in cui vivevano gli ebrei russi sotto il dominio
degli zar.
Iniziò a studiare pittura nel 1906 con il maestro Yehuda (Yudl) Pen, il solo pittore di Vitebsk, ma l'anno
successivo si trasferì a San Pietroburgo. Qui frequentò l'Accademia Russa di Belle Arti, con il maestro
Nikolaj Konstantinovič Roerich e conobbe artisti di ogni scuola e stile. Tra il 1908 e il 1910 studiò,
invece, alla scuola Zvantseva con Léon Bakst. Questo fu un periodo difficile per lui: gli ebrei potevano
infatti vivere a San Pietroburgo solo con un permesso apposito e, per un breve tempo, venne persino
imprigionato. Rimase nella città fino al 1910, anche se di tanto in tanto tornava nel paese natale dove,
nel 1909, incontrò la sua futura moglie, Bella Rosenfeld, figlia di ricchi orefici. Una volta divenuto noto
come artista, lasciò San Pietroburgo per stabilirsi a Parigi, per essere più vicino alla comunità artistica di
Montparnasse, dove entrò in amicizia con Guillaume Apollinaire, Robert Delaunay e Fernand Léger. Nel
1914 ritornò a Vitebsk e l'anno successivo si sposò con la fidanzata Bella.
La prima guerra mondiale scoppiò mentre Chagall era a Berlino. Nel 1916 il pittore ebbe la sua prima
figlia, Ida. Nel 1917 prese parte attiva alla rivoluzione russa: il ministro sovietico della cultura lo nominò
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“Commissario dell'arte” per la regione di Vitebsk, dove fondò una scuola d'arte e il Museo di Arte
Moderna di Vitebsk. Nel 1920 si trasferì con la moglie a Mosca e poi a Parigi nel 1923. In questo
periodo pubblicò le sue memorie in yiddish, scritte inizialmente in lingua russa e poi tradotte in lingua
francese dalla moglie Bella; scrisse anche articoli e poesie pubblicati in diverse riviste e, postumi, altri
scritti raccolti in forma di libro. Divenne cittadino francese nel 1937.
Durante l'occupazione nazista in Francia, nella Seconda guerra mondiale, con la deportazione degli
Ebrei e l'Olocausto, gli Chagall fuggirono da Parigi. Si nascosero presso Villa Air-Bel a Marsiglia e il
giornalista americano Varian Fry li aiutò nella fuga verso la Spagna ed il Portogallo. Nel 1941 la famiglia
Chagall si stabilì negli Stati Uniti, dove sbarcò il 22 giugno, giorno dell'invasione nazista della Russia.
Il 2 settembre 1944, Bella, compagna amatissima, soggetto frequente nei suoi dipinti e compagna di
vita, morì per una infezione virale. Due anni dopo, Chagall fece ritorno in Europa e nel 1949 si stabilì in
Provenza. Uscì dalla depressione causata dalla morte della moglie quando conobbe Virginia Haggard,
dalla quale ebbe un figlio. In questi anni intensi riscoprì colori liberi e brillanti: le sue opere sono dedicate
all'amore e alla gioia di vivere, con figure morbide e sinuose. Si cimentò anche con la scultura, la
ceramica e il vetro.
Chagall si risposò nel 1952 con Valentina Brodsky, anch'ella di origine russa ed ebrea. Nel 1957 si recò
in Israele, dove nel 1960 creò una vetrata per la sinagoga dell'ospedale Hadassah Ein Kerem e nel
1966 progettò un affresco per il nuovo Parlamento. Viaggiò anche in Russia dove fu accolto
trionfalmente, ma si rifiuterà di tornare nella natìa Vitebsk. Chagall morì a 97 anni, a Saint-Paul de
Vence, il 28 marzo 1985.
Collocazione attuale: Venezia, Palazzo Venier dei Leoni, Collezione Peggy Guggenheim
Datazione: 1911
Tecnica: pittura ad olio e carboncino su tela
Dimensioni: 86,6 cm x 108 cm
DESCRIZIONE ICONOGRAFICA
Chagall svolge le sue opere come una narrazione fiabesca di qualcosa che sta per accadere o è già
accaduto. In questo caso, l’autore vuole raccontarci di una tempesta in arrivo e delle conseguenze della
stessa: un uomo, uscendo da un negozio di cui si vede l’insegna, apre l’ombrello; un altro, nel correre al
riparo, è forse piegato dal vento o in procinto di scivolare; un pastore, sospeso nel cielo, richiama
l’ultima capra a rientrare nell’ovile; un contadino, sul lato sinistro dell’opera, appare in prossimità di una
porta, per serrarla od entrarvici.
Al centro dell’immagine vi è un albero dai toni caldi inarcato dal vento, davanti al quale si trova una
pozzanghera rilucente, che riflette la sagoma della capretta già al sicuro nell’ovile. Le costruzioni che
appaiono si rassomigliano tra loro: sono edifici in legno costruiti con la medesima tecnica ed isomorfi,
sovrastati da imponenti nubi che squarciano il cielo.
DESCRIZIONE STILISTICO-FORMALE
Per quest’opera l’autore si ispira all’iconografia russa che riprende con un sentire nostalgico per la sua
terra natìa, in quanto la realizza a Parigi: infatti vi sono alcuni riferimenti all’arte francese espressionista
a lui contemporanea. Chagall inoltre, accenna al Cubismo dei paesaggi di Cézanne e Picasso nelle
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forme decise dei tetti e delle nubi. I colori sono a tratti utilizzati in maniera non realistica; vi è inoltre un
netto contrasto tra l’uso del carboncino e i più luminosi colori ad olio. La luce attira lo sguardo
dell’osservatore verso il centro dell’opera.
INDIVIDUAZIONE DELL’ICONEMA
Gli iconemi, simboli caratterizzanti il paesaggio, in quest’opera sono chiaramente le case di campagna e
l’ovile che qualificano lo scenario rurale. Questi ci inseriscono direttamente nel contesto della scena e
sono in grado di comunicarne l’essenza.
CONSIDERAZIONI SINTETICHE
Ne La Pioggia Marc Chagall descrive in maniera efficace la magia di un fenomeno naturale
apparentemente insignificante, nutrendolo della dimensione fiabesca che lo caratterizza. Sceglie pochi
elementi che definisce con precisione, in quanto il suo obbiettivo non è quello di rappresentare una
scena, ma di introdurre l’osservatore all’interno di un racconto.
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“LOUVECIENNES, CON IL MONTE VALERIANO SULLO SFONDO”
ORIGINE E MATERIALI
Autore: Camille Pissarro (Saint Tomas, 10 luglio 1830 – Parigi, 13 novembre 1903)
Biografia. Camille Pissarro, di padre francese con origini ebraico-portoghesi e madre nativa dell’isola,
nacque nelle Indie Occidentali, dove i suoi genitori avevano un emporio ben avviato.
La sua inclinazione per il disegno fu stimolata da alcuni insegnanti della scuola di Passy, il sobborgo
parigino dove il padre lo mandò a studiare. Dapprima lavorò come merciaio per gli affari di famiglia, ma
deciso a dedicarsi all’arte nel 1852 si recò a Caracas, al seguito del pittore danese Fritz Melbye e, nel
1855, lasciò definitivamente il Sudamerica e si traferì a Parigi. Dal 1855 fu, quindi, a Parigi:
all'esposizione universale lo colpirono le opere di Courbet e, in particolare, quelle di Corot, che prese a
frequentare e di cui si dichiarò allievo. Dal 1859 iniziò ad andare all’Académie Suisse dove incontrò
Monet e poi Cézanne.
Le sue opere furono spesso accettate ai Salons, ma nel 1863 figurò nel Salon des Refusés. Come molti
altri pittori fu assiduo cliente del Café Guerbois, il locale di Batignolles dove si tenevano accese
discussioni d’arte. Ebbe, poi, otto figli dalla relazione sentimentale con Julie Vellay.
Nel 1870 i Tedeschi saccheggiarono il suo studio di Louveciennes e da ciò dipende la rarità delle sue
opere anteriori a quell'epoca. Tra i principali esponenti dell'Impressionismo ebbe un ruolo primario
nell'organizzazione della prima mostra del movimento tenutasi nel 1874 a Parigi, partecipando poi a
tutte le successive. Poeta della campagna, egli rese con dolcezza i campi a primavera e in inverno, gli
orti, la terra lavorata, la neve, la bonomia rustica.
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Nessuno ha sentito più di Pissarro nelle sue ultime opere la poesia agitata delle città: le sue Vues de
Paris della collezione Durand-Ruel, le sue vedute di Londra, di Rouen, di Dieppe sono ampie e delicate.
Dipinse alcuni ritratti e molti acquerelli, eseguì anche acqueforti e litografie. Per il suo carattere aperto e
conciliante, il suo aspetto simile ad un profeta con la lunga barba bianca e gli incoraggiamenti che
sapeva infondere nei giovani artisti (fu lui, infatti, a scoprire il genio di Van Gogh), venne visto da tutti gli
Impressionisti come l'anima che seppe mantenere unito il gruppo per tanti anni. Morì, infine, a Parigi il
13 novembre del 1903.
Collocazione attuale: Berlino, Alte National-Galerie
Datazione: 1870
Tecnica: olio su tela
Dimensioni: 32,3 x 47,5 cm
DESCRIZIONE ICONOGRAFICA
Pissarro ambienta la sua opera a Louveciennes, un paese francese a lui molto caro che ritrarrà più
volte. Là, infatti, aveva il suo studio e si lasciava ispirare all’arte dalla natura.
L’ambientazione del quadro è molto fresca e semplice, nel suo titolo Pissarro sceglie di nominare il
monte Valeriano che si trova sullo sfondo, come per invitare l’osservatore a soffermarsi maggiormente
su ogni singolo particolare che incontra e ad ampliare il suo sguardo su tutta l’opera.
In primo piano, su un vasto prato verde dai colori vivaci, s’incontrano tre figure, due maschili ed una
femminile; l’ultima siede a terra ed è messa in risalto da una larga veste bianca e s’immagina stia
parlando con l’uomo dai rossi pantaloni che le volge lo sguardo. Fra loro s’interpone in prospettiva un
lungo e fine tronco che si dirama verso il cielo e poco più distante da questi si trova un uomo col
bastone che si dirige verso il grande casale che si trova sulla sinistra del dipinto. In secondo piano,
dietro a qualche poco rigogliosa vegetazione, s’incontra la cittadina di Louveciennes, che lascia spazio
alle sue spalle ad un vasto orizzonte in cui s’intravede il monte Valeriano. Il cielo azzurro occupa una
buona parte del dipinto ed è attraversato da qualche lieve nuvola che contribuisce a rendere più
verosimile la pacata situazione ritratta con la tipica delicatezza dell’artista.
DESCRIZIONE STILISTICO-FORMALE
Nell’arte di Pissarro assume un ruolo fondamentale l’ispirazione che il pittore trae dai paesaggi
campestri, lavorando en plein air. La sua pittura è caratterizzata da colori freschi e molto vivi, concreti e
squillanti e da un grande effetto di solidità, con grande attenzione alla costruzione di volumi e spazi ben
precisi. Pissarro concentra la sua arte sul paesaggio e sulla natura, in cui vuole scoprire la fonte di una
diretta ispirazione pittorica, osservando umilmente il paesaggio circostante ed esprimendo in pittura
l’impressione profonda in lui suscitata. L’attimo percepito viene eternizzato dall’emozione che lo
spettacolo della natura suscita nell’animo dell’artista e restituito attraverso l’uso dei colori e della luce.
Una luce che modella ed evidenzia le forme con dolcezza e vivacità, che contribuisce a concentrare
l’attenzione dell’osservatore su ogni particolare. Pissarro imposta i suoi quadri privilegiando uno
sviluppo orizzontale, per creare un effetto “panoramico”, mentre con vivaci colpi di pennello distribuisce
armonicamente i toni ed equilibra tra loro gli elementi compositivi, scegliendo con abilità determinati
accostamenti cromatici in modo da esaltarne la luce. Egli ha potenziato attraverso i colori la suggestione
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che la contemplazione della natura ha in lui suscitato, senza in alcun modo sconvolgere l'immagine,
bensì mantenendo la sua purezza ed autenticità.
Il suo intimo e amorevole rapporto con la natura viene reso ancora più forte e sentito dalla scelta del
pittore di contemplare e dipingere luoghi comuni, modesti, privi dell'usuale definizione di "bellezza".
INDIVIDUAZIONE DELL’ICONEMA
Gli iconemi, simboli caratterizzanti il paesaggio, in quest’opera non sono altro che le case della raccolta
cittadina che si lascia cercare dal casolare posto sul lato sinistro del dipinto.
Questi inseriscono l’osservatore nel contesto del quadro e gli permettono d’immergersi nella scena
dell’opera e quindi in quello del piccolo e calmo paesaggio.
CONSIDERAZIONI SINTETICHE
“Louveciennes, con il monte Valeriano sullo sfondo” ci regala un piccolo sprazzo di quiete, una libera
indagine sul potere comunicativo della natura attraverso gli occhi dell’artista e ci fa riposare in un ridente
luogo senza tempo.
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LA FORESTA
di Max Ernst
STRADE DI UNA SAGGEZZA SECOLARE: LA BATTAGLIA DI ARMINIO
di Anselm Kiefer
DAVIDE MACUGLIA E ALESSANDRO MAGAROTTO
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“LA FORESTA”
ORIGINE E MATERIALI
Autore: Max Ernst (Brühl, 2 aprile 1891 – Parigi, 1 aprile 1976)
Biografia. L'autore nasce a Brühl (Renania Settentrionale) il 2 aprile 1891. Nel 1909 si iscrive
all'Università di Bonn per studiare Filosofia, ma abbandona presto questo indirizzo per dedicarsi al
mondo dell'arte. Nel 1912 fonda, assieme ad August Macke, il gruppo Das Junge Rheinland, esponendo
per la prima volta a Colonia alcune sue opere alla Galerie Feldman.
Nonostante il servizio militare nella Prima Guerra Mondiale, Ernst riesce a dedicarsi alla pittura,
esponendo alla galleria Der Sturm che lo indurrà a pubblicare un articolo Sull'evoluzione del colore.
Nel suo viaggio a Parigi del 1920 ha modo di farsi apprezzare dai critici della capitale, riuscendo ad
esporre alcune sue creazioni presso la Galerie au Sans Pareil. Importante è il suo incontro con alcuni
esponenti del Surrealismo, come Andrè Breton e Paul Eluard. È il periodo in cui, forse ispirato da un
suggestivo viaggio in Oriente, elabora una nuova tecnica pittorica, il frottage. I contrasti con Breton
inducono Ernst ad abbandonare il gruppo surrealista nel 1938 e a trasferirsi, assieme alla pittrice
Leonora Carrington, nei pressi di Avignone.
Nel 1941 il pittore raggiunge gli Stati Uniti, dove rimane fino al 1953. Durante questo periodo, trascorso
in Arizona, Ernst lavora instancabilmente, sperimentando nuove forme espressive, come il dripping.
Negli Stati Uniti si sposa per ben due volte: la prima con Peggy Guggenheim, nel 1941, la seconda con
Dorothea Tanning, cinque anni più tardi.
A partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta si susseguono numerose sue retrospettive, a Berna,
Parigi, New York, Londra e Venezia. Muore a Parigi il primo aprile del 1976.
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Collocazione attuale: Venezia, Palazzo Venier dei Leoni, Collezione Peggy Guggenheim
Datazione: 1927-1928
Tecnica: olio su tela
Dimensioni: 96,3 x 129,5 cm
DESCRIZIONE ICONOGRAFICA
Ernst rappresenta in chiave surreale una foresta buia e inquietante. I tronchi si susseguono esili e
slanciati formando una foresta fitta e impenetrabile. Centralmente si scorge un disco solare che ricorda
la forma di un ingranaggio, ma non emana luce: essa proviene dal fondo del dipinto, dietro al disco.
Il soggetto della foresta ricorre spesso nell'opera di Ernst tra la fine degli anni '20 e l'inizio degli anni '30.
Queste tele, di cui La foresta silenziosa è un altro esempio, contengono generalmente una parete di
alberi, un disco solare e l'apparizione di un uccello che volteggia tra il fogliame. L'atteggiamento di Ernst
nei confronti della foresta come sublime incarnazione sia dell'incantesimo che del terrore risale alle sue
esperienze infantili nella foresta germanica.
DESCRIZIONE STILISTICO-FORMALE
Max Ernst utilizza per questa tela la tecnica del frottage o sfregamento: egli dispone sotto alla tela alcuni
oggetti (fili di ferro, paglia da sedia, foglie, bottoni o pezzi di spago) e, facendoli emergere, ne raschiava
i contorni con il colore. L'automatismo psichico della mente umana di associare a segni casuali una o
più figure riconoscibili fa sì che i solchi degli oggetti usati, rimasti impressi sulla tela, producano
nell'autore un’immagine a lui familiare. Questa immagine viene poi riprodotta in maniera più completa
dall'artista, esplicitando l'idea che egli si è fatto nella propria mente.
In questo dipinto i segni lasciati dagli oggetti ricordano al pittore una foresta intricata e selvaggia, i colori
sono spenti, angosciosi e tetri: il rosso dà l’idea che i tronchi siano ricoperti da ruggine, il giallo tende al
verde scuro e il verde è più un grigio d'acciaio, come gli oggetti raschiati dal pittore.
INDIVIDUAZIONE DELL'ICONEMA
Chiaramente il tema principale e iconema dell'opera è la foresta: una foresta tenebrosa, fitta,
angosciosa, che suscita quasi un certo malessere nell'osservatore. Una foresta tipica della cultura
germanico-nordica e della letteratura gotica o fantasy.
CONSIDERAZIONI SINTETICHE
Grazie alla tecnica del frottage, ogni volta che l’autore si pone di fronte alla tela, non conosce quello che
sarà il prodotto finale. La disposizione casuale degli oggetti e quindi dei segni rimasti impressi sulla tela
può potenzialmente produrre una serie infinita di soggetti rappresentabili, eppure molto spesso l'autore
interpreta i solchi come contorni di cupi alberi e spenti dischi solari meccanici, riflesso delle paure e delle
inquietudini insite nell'autore stesso.
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“STRADE DI UNA SAGGEZZA SECOLARE: LA BATTAGLIA DI ARMINIO”
ORIGINE E MATERIALI
Autore: Anselm Kiefer (Donaueschingen, 8 marzo 1945)
Biografia. Anselm Kiefer è un pittore e scultore tedesco. Vive a Friburgo dai tempi dell'Università e
frequenta lo studio di Peter Dreher; successivamente si trasferisce a Karlsruhe dove avvicina il pittore
Horst Antes, che considera un grande pittore e un altrettanto grande maestro. Nel 1973, dopo aver
sposato Julia, sua amica ai tempi dell'Università, apre successivamente uno studio modesto a Ornbach
e inizia una serie di grandi opere pittoriche titolate Deutschlands Geisteshelden. Sebbene nel 1977 gli
viene proposto di esporre a Documenta di Kassel, preferisce iniziare all'estero, dove la sua arte viene
più apprezzata sia per la grande capacità tecnica, che Kiefer continua a rinnovare in ogni suo quadro,
sia per i soggetti rappresentati. Nei suoi quadri, che si presentano per la maggior parte a grande
formato, comincia ad applicare sue xilografie e a incollare suoi disegni, che poi mescola assieme, col
resto del rappresentato, ricorrendo a vari elementi materici di estrazione povera. Nel 1980 la Biennale di
Venezia gli dedica una mostra personale titolata "Verbrennen-Verholzen-Versenken-Versanden”.
Ottenendo una grande e prestigiosa fama, gli viene proposto per la seconda volta di tenere una mostra
a Documenta di Kassel, scatenando, ancora, le critiche negative di molti intellettuali tedeschi: infatti
sappiamo quanto sia difficile presentare nelle proprie opere situazioni cosi crude ma allo stesso tempo
così reali. Kiefer infatti non riporta mai eventi fittizi, ma sempre fatti realmente accaduti nel corso della
storia con particolare riguardo al Nazismo. Nei suoi quadri inoltre non appaiono quasi mai figure umane:
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egli, infatti, predilige dipingere i luoghi, i paesaggi, gli ambienti dove le tragedie della storia si sono
consumate. Gli esseri umani paiono essere oscurati dal vortice del male che hanno fatto a se stessi e al
loro prossimo, come nel quadro Strade di una saggezza secolare: la battaglia di Arminio. Sempre alla
fine degli anni Ottanta comincia una seconda e vasta tournée di mostre ed esposizioni negli USA: a
Chicago, a Filadelfia, a Los Angeles e a New York.
Collocazione attuale: Berlino, Hamburger Bahnhof Museum
Datazione: 1980
Tecnica: incisione su legno, emulsione, olio e collage di carta su tela
DESCRIZIONE ICONOGRAFICA
In Strade di una saggezza secolare: la Battaglia di Arminio, Anselm Kiefer esamina il popolare, nonché
variamente strumentalizzato, mito di Arminio, eroe popolare tedesco che guidò le tribù germaniche alla
vittoria contro l'esercito romano nella battaglia di Teutoburgo nell'anno 9 d.C.
Sparsi all'interno dell'opera, sono presenti i volti dei personaggi più famosi della storia del pensiero
tedesco, come Jakob Bohme, Immanuel Kant, Martin Heidegger e Alfred Krupp. Le linee curve che
collegano i ritratti tra di loro e terminano all'interno della foresta sono le fiamme dell'Inferno. La foresta
teutonica che brucia rievoca, infatti, l'episodio più drammatico della storia tedesca: l'Olocausto. Gli alberi
non consumati dalle fiamme riportano alla mente l'episodio biblico del roveto ardente in cui Dio si rivelò
a Mosè ordinandogli di guidare il popolo d'Israele verso la libertà. Il fuoco è allo stesso tempo simbolo di
distruzione, promessa di emancipazione e rinascita.
DESCRIZIONE STILISTICO – FORMALE
La superficie della tela, particolarmente caotica alla vista a causa del pesante uso del colore nero, è
organizzata in modo da avere sul lato basso e sui lati sinistro e destro i ritratti degli eminenti personaggi
della storia tedesca e al centro la raffigurazione della fitta foresta. Sulla destra l'origine delle fiamme si
propaga verso i margini del dipinto raccogliendosi in un vortice, il cui centro coincide con il centro della
tela: i volti raffigurati.
L'intaglio su legno, di cui l'opera è parzialmente composta, è una tecnica tradizionale tedesca, utilizzata
fin dal Rinascimento. Kiefer utilizza questa tecnica in un gran numero di lavori con soggetto simile tra cui
ricordiamo quello presente alla Galleria d'arte contemporanea Peggy Guggenheim di Bilbao, in Spagna.
INDIVIDUAZIONE DELL’ICONEMA
La foresta, insieme al fuoco, è l'elemento chiave dell'opera, simbolo della Germania e del popolo
tedesco. L'intrico di rami e il denso colore nero usato rimandano inevitabilmente alla Foresta Nera,
polmone verde situato nel cuore dell'Europa. Strumento chiave dell'imboscata delle tribù germaniche
alle truppe romane, la foresta ha anche ispirato le celebri favole dei fratelli Grimm, diventando parte
della stessa essenza tedesca.
CONSIDERAZIONI SINTETICHE
La grandezza della civiltà germanica, rappresentata qui dalla vittoria di Arminio sulle legioni romane e
dai volti dei personaggi più eminenti della filosofia e dell'arte nazionale, è messa in rapporto al capitolo
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più terribile della sua storia, ovvero l'Olocausto. La vergogna per un atto tanto scellerato carbonizza la
storia e il genio tedesco, ma questo stesso fuoco darà vita al sentimento nazionale israeliano, che da
quell'evento ricaverà una nuova unione e darà vita allo Stato di Israele.
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PALAZZO PROMONTORIO
di Yves Tanguy
L’ISOLA DEI MORTI
di Arnold Böcklin
VIOLETTA BATTIGELLI E LISA PERISSINOTTO
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“PALAZZO PROMONTORIO”
ORIGINE E MATERIALI
Autore: Yves Tanguy, (Parigi, 5 gennaio 1900 – Woodbury, 15 gennaio)
Biografia. Raymond Georges Yves Tanguy nacque a Parigi il 5 gennaio 1900. Durante gli studi regolari
compiuti a Parigi, incontrò e strinse un’amicizia che si rivelerà duratura con Pierre Matisse.
Nel 1918 entra nella Marina Mercantile e compie numerosi viaggi in Africa, America del Sud e
Inghilterra. Presta servizio militare a Lunéville dove conosce il poeta Jacques Prévert del quale diverrà
grande amico. Decide di partire come volontario per la Tunisia nel 1922.
Ritornato a Parigi, scopre la sua passione per la pittura iniziando a disegnare scene di vita al caffè. Nel
1923 ha modo di vedere i quadri di Giorgio de Chirico e decide di diventare pittore. Nel 1924 va a vivere
insieme a Prévert e Marcel Duhamel al 54 di Rue del Château a Montparnasse in un appartamento che
diventerà presto luogo d'incontro dei Surrealisti e nel 1925 viene introdotto da André Breton tra i membri
del gruppo. Nel 1927 tenne la sua prima personale alla Galerie Surréaliste a Parigi. Nel 1928 espone i
suoi dipinti alla Galerie au Sacre du Printemps dove è allestita una mostra dei Surrealisti. Da quel
momento Tanguy terrà numerose personali e parteciperà con assiduità a tutte le rassegne surrealiste di
gruppo a New York, Bruxelles, Parigi e Londra.
Nel 1939 Tanguy compie un viaggio negli Stati Uniti con la pittrice Kay Sage che aveva conosciuto a
Parigi e nel 1940 la sposa e va ad abitare nel Connecticut a Woodbury. Nel 1942 l'artista partecipa alla
mostra Artists in Exile alla Pierre Matisse Gallery a New York presso la quale espone frequentemente
fino al 1950.Nel 1947 si tiene alla Galerie Maeght di San-Paul de Vence la mostra dei Surrealisti
organizzata da Breton e Marcel Duchamp alla quale egli partecipa con i suoi lavori. Nel 1948 decide di
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assumere la cittadinanza americana. Nel 1953 espone con la moglie Sage al Wadsworth Atheneum di
Hartford e compare nel film di Hans Richter 8x8.
Muore il 15 gennaio 1955 e otto mesi dopo verrà allestita al Museum of Modern Art di New York una
retrospettiva dell'artista.
Collocazione attuale: Venezia, Palazzo Venier dei Leoni, Collezione Peggy Guggenheim
Datazione: 1931
Tecnica: olio su tela
Dimensioni: 73 x 60 cm
DESCRIZIONE ICONOGRAFICA
Il paesaggio rappresentato da Tanguy, influenzato dal suggestivo paesaggio africano di cui ebbe
esperienza nel 1930 a Tunisi, appare fantastico. Difficile è infatti rilevare le diverse parti del paesaggio
che appare quasi come una colata di tutti gli elementi che lo formano. Il promontorio viene scandito da
tre grandi gradoni; sullo sfondo un cappello a cilindro appare e scompare tra le linee dell’orizzonte.
Fatto di fortificazioni increspate, torrette di guardia, terrapieni, di una meridiana e filamenti, appare
ambigua la collocazione del paesaggio. Elemento destabilizzante è la striscia azzurrina che si apre in
secondo piano, in netta contrapposizione con il tono candido che prevale: potrebbe essere interpretata
come cielo o come superficie d’acqua, permettendo così una più accurata contestualizzazione del
paesaggio, terreno o subacqueo.
DESCRIZIONE STILISTICO - FORMALE
Tutti i corpi rilevabili nell’opera sono scanditi da forme fluide a ricordare le dune del deserto tunisino. Il
colore prevalente è il bianco, con l’inserimento solo in due punti di due diversi toni di azzurro. Per
rendere la fluidità delle forme si alternano zone d’ombra più o meno marcata a linee di contorno spesse
o quasi inesistenti.
Il paesaggio appare assai luminoso per la scelta della tecnica ad olio e per la prevalenza del colore
bianco, tanto che si avvicina ad un paesaggio lunare.
INDIVIDUAZIONE DELL’ICONEMA
Il paesaggio di Tanguy è chiaramente ispirato al deserto tunisino, caratterizzato da dune di sabbia fluide
e sinuose. Proprio la scelta dell’autore di riprendere questa fluidità delle forme desertiche è l’iconema di
Palazzo Promontorio.
CONSIDERAZIONI SINTETICHE
I movimenti fluidi del paesaggio di Tanguy suggeriscono sensazioni di instabilità e incertezza che
ricordano la sensazione di abbandonarsi ad un incubo. La nostra mente viene trascinata come fosse un
flusso incontrollabile: il conscio lascia le redini all’inconscio, e questa libertà offertagli ci porta a
rappresentare mentalmente immagini dai toni fantastici. Nell’opera di Tanguy questa realtà viene
rappresentata proprio dagli unici elementi identificabili: le fortificazioni, le torrette difensive e i terrapieni.
Tutti elementi posti alla difesa del palazzo, quasi come se nell’incubo si inserissero elementi reali a
richiamarci al risveglio.
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Questo richiamo ad un incubo è elemento conforme all’interesse dei Surrealisti per l’attività irrazionale
del subconscio espressa nei sogni.
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“L'ISOLA DEI MORTI”
ORIGINE E MATERIALI
Autore: Arnold Böcklin (Basilea,16 ottobre 1827 - San Domenico di Fiesole, 16 gennaio 1901)
Biografia: Figlio di un mercante, Arnold Böcklin nasce a Basilea nel 1827 dove frequenta il ginnasio e
inizia a disegnare. Terminati gli studi all'Accademia di Belle Arti di Düsseldorf, nel 1847-1848 compie
viaggi a Bruxelles, Anversa e Parigi dove ammira Corot e Couture al realismo dei quali Böcklin darà
un'intonazione evocativa e tragica. Stabilitosi a Roma nel 1850, conosce il pittore Anselm von
Feuerbach e rimane influenzato dall'arte degli antichi. Dopo la nascita della prima figlia, nel 1855, fa
ritorno a Basilea e nel 1858 decora, per intervento di Feuerbach, la sala da pranzo di casa Wedekind ad
Hannover. Nel 1859 si stabilisce a Monaco e l'anno dopo diventa professore all'Accademia di Weimar.
Nel 1862, dopo una visita a Napoli e agli affreschi di Pompei che saranno decisivi per la sua arte,
l'artista raggiunge Roma ammirandovi gli affreschi di Raffaello in Vaticano e dipingendovi le prime due
versioni di Villa sul mare. Nel 1866 rientra a Basilea dove, dal 1868 al 1870, affresca lo scalone del
Museo. Dal 1874 al 1884 vive a Firenze circondato da una schiera di allievi e realizza opere come il
perduto Tritone e Nereide e Odisseo e Calipso. Nel 1878-1880 dipinge I Campi Elisi, prima
commissione ufficiale dalla Germania e realizza la prima versione de L'isola dei morti. Trasferitosi a
Zurigo nel 1885, viene colpito da un attacco di paralisi ristabilitosi dal quale rientra a Firenze (1893)
dove esegue un autoritratto per gli Uffizi e acquista una villa presso Fiesole che diverrà un importante
circolo culturale.
Collocazione attuale: Berlino, Alte Nationalgalerie
Datazione: 1883
Tecnica: olio su tela
Dimensioni: 80 x 150 cm
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DESCRIZIONE ICONOGRAFICA
L’Isola dei morti, il più conosciuto dipinto del pittore basilese Arnold Böcklin, rappresenta una piccola
isola rocciosa in un luogo sconosciuto. A prua ci sono una figura vestita interamente di bianco, icona di
un morto, ed una bara bianca ornata di festoni, simbolo della morte. L'isolotto è dominato da un bosco
fitto di cipressi, indice di un cimitero e simboli del lutto, circondato da rupi scoscese, metafora
dell'inaccessibilità per i vivi del regno dei morti.
DESCRIZIONE STILISTICO-FORMALE
In questo quadro sono presenti elementi essenziali che vengono utilizzati dal pittore per alludere a
qualche altra cosa. Vi sono il mare, le rocce, i cipressi, la barca: questi sono elementi reali, ma Böcklin
con essi intende farci sentire il silenzio, l'immobilità della Morte e anche, forse a suo modo, la sua
bellezza.
Caratteristica principale dell'opera è il contrasto tra realtà e dimensione onirica, tra immagini letterarie e
mitologiche e universo interiore. L'atmosfera dal cielo minaccioso e l'altezza dei cipressi, smisurata
rispetto agli uomini presenti sulla scena, denotano una rappresentazione della natura molto vicina allo
spirito dei paesaggi romantici di Caspar David Friedrich. Più che verso la porta dell'aldilà, Böcklin
sembra volerci condurre alla soglia della nostra interiorità, nel luogo in cui affiorano le visioni e i sogni.
INDIVIDUAZIONE DELL'ICONEMA
Böcklin non ha fornito alcuna spiegazione pubblica circa il significato del suo dipinto, anche se l'ha
descritto come "un'immagine onirica: essa deve produrre un tale silenzio che il bussare alla porta
dovrebbe fare paura".
Si tratta dell'icona di un isolotto roccioso, allegoria del regno dei morti, sopra una distesa di acqua scura,
metafora del dolore per la separazione.
CONSIDERAZIONI SINTETICHE
Tra il 1880 e il 1886 Böcklin eseguì ben cinque versioni del dipinto. Queste oggi si trovano nel
Kunstmuseum di Basilea, presso il Metropolitan Museum of Art di New York, alla Alte Nationalgalerie di
Berlino e al Museum der bildenden Künste di Lipsia. Il dipinto mancante, la quarta versione dipinta nel
1884, fu distrutta a Berlino durante la Seconda guerra mondiale. Di tutte le versioni il tema comune è un
rematore e una figura vestita di bianco in una piccola barca che scivola verso quest’isola misteriosa.
Adolf Hitler, appassionato di occultismo, acquistò nel 1936 ad un’asta la versione oggi presente all' Alte
Nationalgalerie.
L'Isola dei Morti è un quadro in cui l'immagine evoca il mito, ed è al tempo stesso reale in quanto la sua
realtà appartiene al mondo dei sogni e degli incubi. E' un dipinto per sognare, come lo definì lo stesso
autore. La scena è notturna, anche se illuminata da una luce che dà il senso della spiritualità, dalle
acque calmissime, piatte, si ergono faraglioni rocciosi a strapiombo sull'acqua. Il mistero che avvolge il
dipinto, e il suo forte senso onirico, affascinarono gli psicanalisti del secolo, compresi Sigmund Freud e
artisti come Salvador Dalì e Gabriele d'Annunzio.
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L’IMPERO DELLA LUCE
di René Magritte
LUCI AL NEON DEL MUSEO HAMBURGER BAHNHOF (BERLINO)
di Dan Flavin
MARTINA ANTONIALI E GIORGIA GIUSTO
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“L’IMPERO DELLA LUCE”
ORIGINE E MATERIALI
Autore: René Magritte (Lessines, 1898 – Bruxelles, 1967)
Biografia. Magritte nacque a Lessines, in Belgio, nel 1898 da una famiglia della piccola borghesia della
provincia: il padre era commerciante, la madre modista. Nel 1899 la famiglia si trasferì a Gilly, dove
nacquero i due fratelli del pittore. Una notte di febbraio nel 1912 la madre, Régina Bertinchamps,
sparisce senza lasciare traccia: diciassette giorni dopo venne trovata morta in un’ansa della Sambre,
affogata in seguito a suicidio. Questo evento condizionò molto la vita e la pittura di Magritte (vedi Gli
amanti).
Nel 1913 si trasferì a Charleroi dove conobbe una bambina di nome Georgette-Marie-Florence Berger,
sua futura moglie. Nel 1916 s’iscrisse alla Académie des Beaux-Arts di Bruxelles. Al 1920 risale il
fidanzamento con Georgette, l’abbandono dell’Accademie e l’amicizia con E.L.T. Mesens, critico e
musicista. In questi anni entrò in contatto con il Manifesto del Surrealismo redatto da Breton nel 1924,
rimanendone profondamente affascinato e convinto ad aderire alla corrente, ma nel 1927, alla Galerie
Le Centaure di Bruxelles, le sue opere neo-surrealiste vennero accolte con freddezza: in seguito a
questa delusione, si traferì a Parigi con la moglie. Entrato nell’ambiente del Surrealismo francese,
Magritte in breve tempo acquistò popolarità non solo in Europa, ma anche negli Stati Uniti.
Il 15 agosto 1967 Magritte muore a Bruxelles, nella sua ultima casa in Rue des Mimosas. Il più grande
insegnamento lasciato dell’artista è che un’immagine non va letta, spiegata o compresa: ma va, con
grande naturalezza, osservata.
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Collocazione attuale: Venezia, Palazzo Venier dei Leoni, Collezione Peggy Guggenheim
Datazione: 1953-54
Tecnica: olio su tela
Dimensioni: 195,4 x 131,2 cm
DESCRIZIONE ICONOGRAFICA
È rappresentata in primo piano una strada buia, illuminata debolmente da un lampione che proietta la
sua luce contro il muro di un’abitazione con una finestra illuminata. In secondo piano, un cielo azzurro
cosparso di magrittiane nuvole vaporose incornicia la scena. Il peso visivo dell’opera è sicuramente il
grande albero che sta per metà nella parte oscura del paesaggio e per metà nel cielo azzurro.
Per molto tempo Magritte si è arrovellato attorno al problema di rappresentare contemporaneamente
nello stesso quadro la notte e il giorno, senza l’uso di simbolismi convenzionali: il risultato cui giunse è
molto semplice, e l’opposizione tra un cielo diurno e un paesaggio notturno, illuminato artificialmente, è
sbalorditiva. L’autore stesso affermò: “Questa evocazione della notte e del giorno mi pare dotata del
potere di sorprenderci e di incantarci. Chiamo questo potere: poesia.”
DESCRIZIONE STILISTICO-FORMALE
La pittura di Magritte è precisa, molto minuziosa e realistica. In questo quadro, ogni dettaglio è reso con
grande perspicacia, senza lasciare nulla al caso.
Il dipinto si compone di due blocchi: quello sottostante richiama il buio e l’oscurità della notte, perciò i
colori sono cupi e le ombre impercettibili; solo il bagliore del lampione e la luce della finestra spezzano
l’abisso oscuro della notte. Il blocco soprastante è quello della porzione di cielo azzurro con le nuvolette
bianche che, da più piccole verso la strada, si fanno più grandi verso l’esterno; qui i colori sono molto
più accesi e brillanti lasciando l’osservatore sgomento e a disagio per il paradosso racchiuso
nell’immagine.
La linea e i contorni sono ben definiti, per un risultato quasi fotografico. La prospettiva e il chiaroscuro
sono per lo più assenti.
INDIVIDUAZIONE DELL’ICONEMA
Il paesaggio rappresentato si divide in paesaggio naturale e paesaggio artificiale. Per la parte naturale,
abbiamo il cielo azzurro, il giardinetto e il grande albero come iconemi; mentre per la parte artificiale
abbiamo la strada, l’abitazione e il lampione.
CONSIDERAZIONI SINTETICHE
Magritte riproduce molte volte lo stesso paradosso, perché affascinato dall’idea di rappresentare la falsa
naturalezza del giorno e della notte insieme: gli altri due Impero della luce prodotti sono conservati uno
al Museum of Modern Art di New York (immagine 1) e uno al Musées Royaux des Beaux-Arts in Belgio
(immagine 2). L’artista Breton disse: “C’è voluta tutta la sua audacia per affrontare questo problema:
estrarre contemporaneamente ciò che è chiarezza dall’ombra e ciò che è ombra dalla chiarezza… La
violazione delle idee, dei luoghi comuni e delle convenzioni, che sono legate alle fonti di luce, è tale che,
me l’ha detto René, la maggior parte di quelli che procedono in fretta credono di aver visto le stelle nel
cielo diurno.”
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LUCI AL NEON DEL MUSEO HAMBURGER BAHNHOF (BERLINO)
Autore: Dan Flavin (New York, 1° aprile 1933 – New York, 29 novembre 1996)
Biografia: Flavin nacque nel quartiere Jamaica di New York nel 1933. Per un breve periodo studiò in
Seminario per poi abbandonarlo e arruolarsi nella United State Air Force. Durante il servizio militare
studiò arte in Corea grazie al progetto University of Maryland Extension. Tornato a New York, seguì vari
corsi di pittura, in particolare presso la Columbia University dove si avvicinò alla tecnica del collage oltre
che all’Espressionismo astratto. Nel 1961 presentò la prima collezione personale di collages e acquerelli
alla Galleria Judson, la quale ebbe un discreto successo. In questo periodo compose anche le sue
prime icons, ovvero sculture che inglobavano delle luci elettriche di varie intensità e colore. Negli anni
’70 e ’80, Flavin installa le sue illuminarie non più sulle tele o sulle sculture ma direttamente all’interno
delle stanze delle gallerie in cui veniva ospitato: famosi di questo periodo sono i “corridoi sbarrati”,
installazioni di neon fluorescenti lungo gli angoli delle stanze. Dal 1990 gli vengono assegnate stanze
sempre più ampie e la sua arte cominciò la scalata del successo. Nel 1992 riempì con tubi multicolor le
sale del Solomon R. Guggenheim Museum, nel 1996 la facciata e le sale interne dell’Hamburger
Bahnhof di Berlino e la chiesa di Santa Maria Annunziata in Chiesa Rossa di Milano. Morì nel 1996 a
Riverhead.
Collocazione attuale: Berlino, Hamburger Bahnhof Museum
Datazione: 1996
Tecnica: installazione di luci al neon
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DESCRIZIONE ICONOGRAFICA
Originariamente, l’Hamburger Bahnhof Museum era una stazione ferroviaria che collegava Berlino ad
Amburgo; in seguito ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, il Senato di Berlino Ovest ne
ordinò la ricostruzione per ospitare l’Arte contemporanea. Nel 1996, nella data della riapertura, fu
incaricato Dan Flavin di decorare la facciata neoclassica e le principali stanze interne. L’installazione
della facciata consiste nel posizionamento di sette tubi al neon di colore verde e blu lungo i pilastrini che
sostengono gli archi delle aperture; quando la sera vengono accesi, l’effetto è davvero particolare: la
luce si riflette sulla pietra bianca creando ombre surreali. Anche all’interno troviamo i tubi al neon posti
verticalmente tra le metope dei finestroni che occupano le sale principali.
DESCRIZIONE STILISTICO-FORMALE
L’uso del neon nell’arte contemporanea ha inizio con gli anni ’60 e tuttora rimane un materiale molto
amato dagli artisti, come per Dan Flavin o per l’italiano Maurizio Nannucci che l’hanno reso il loro
esclusivo mezzo d’espressione. La scelta di questo materiale è sicuramente relazionata all’attenzione
Pop per la cultura urbana e popolare, poiché è un perfetto materiale per costruire e lanciare messaggi
concisi, ma anche per il fascino misterioso della luce soffusa. Per l’essenziale geometria delle sue
installazioni, Flavin è inserito nel Minimalismo statunitense.
CONSIDERAZIONI SINTETICHE
Come ne L’impero della luce (1953-54) di René Magritte, è possibile individuare la centralità della luce
artificiale: nell’opera surrealista è rappresentata dal lampione che illumina la notte, nell’istallazione di
Flavin dal neon stesso. Inoltre, l’arte magrittiana è stata l’apripista alle riflessioni artistiche riguardo al
rapporto tra le strategie pubblicitarie e le arti visive, riflessione alla base dell’arte al neon; artisti come
Bruce Nauman e Maurizio Cattelan utilizzano infatti i tubi al neon per comporre slogan pubblicitari o
messaggi politici.
Sala interna dell’Hamburger Bahnhof illuminata da Dan Flavin
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LA VOCE DELL’ARIA
di René Magritte
FERNSEHTURM
di Hermann Henselmann
RICCARDO TUNIZ E ALESSANDRO LOCATELLI
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“LA VOCE DELL’ARIA”
ORIGINE E MATERIALI
Autore: René Magritte (Lessines, 1898 - Bruxelles, 1967)
Biografia. Nato nel 1898 a Lessines, in Belgio, si trasferì poi a Chatelet (Francia) per gli affari del padre,
mercante attivo in Francia; sua madre, Adeline, vi morì annegata nel 1912, lasciando un segno
indelebile sull’anima del piccolo René. Nel 1916 si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Bruxelles, dove
la famiglia si trasferirà due anni più tardi. Sposatosi nel 1922 con Georgette Berger, si avvicina alle
Avanguardie cubiste e futuriste, per poi far proprio l’ideale surrealista, ispirato dal dipinto Canto d’Amore
di Giorgio de Chirico, tanto da aderire al gruppo dei pittori surrealisti di Bruxelles. Scoppiata la seconda
guerra mondiale, per timore dell’occupazione nazista si trasferisce con la moglie a Carcassone (Francia
del sud) dove sperimenta un nuovo stile pittorico chiamato “alla Renoir”. Muore nel 1967 a Bruxelles per
un cancro al pancreas.
Collocazione attuale: Venezia, Palazzo Venier dei Leoni, Collezione Peggy Guggenheim
Datazione: 1931
Tecnica: olio su tela
Dimensioni: 73 x 54 cm
DESCRIZIONE ICONOGRAFICA
In primo piano vi sono tre enormi sonagli sferici sospesi nell’aria, fluttuanti in modo irrazionale, che
disturbano la quiete del paesaggio. Sullo sfondo vi è infatti un cielo azzurro intenso, che sfuma poi verso
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il basso in foschia ed incontra il blu scuro del mare, rappresentato come una sola striscia di colore. La
terra ferma è verdeggiante ed ondulata, vi sono siepi e rocce, sulle quali si riflette il grigio dei sonagli; vi
è inoltre un sentiero sterrato, che pare portare al mare.
DESCRIZIONE STILISTICO - FORMALE
Le sfere in primo piano sovrastano la scena, facendo appello alla parte irrazionale del nostro cervello,
poiché tre oggetti così evidentemente pesanti non potrebbero fluttuare nell’aria. Tuttavia Magritte vuole
unire la parte illogica dell’osservatore con la parte razionale, rappresentata dal realismo con cui è dipinto
lo sfondo, creando un’armonia dell’essere che in un primo momento non si coglie, ma che poi si diffonde
dal quadro all’osservatore.
La luce proviene da destra e si riflette in modo deciso sui sonagli, che, come si può notare facilmente,
sono fortemente adombrati su quello sinistro.
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“FERNSEHTURM”
Autore: Hermann Henselmann (1905, Roßla – 1995, Berlino)
Collocazione: Berlino, Alexanderplatz
Datazione: 1965-1969
Altezza: 368 m
Si tratta della torre che ospita le antenne televisive di Berlino ed un ristorante. La forma sferica del
complesso ricorda il quadro sopracitato di Magritte, poiché l’enorme globo grigio pare sospeso nel cielo,
seppur sia collegato a terra da un lunghissimo pilastro di cemento. Visitando la terrazza panoramica,
all’interno della sfera, è possibile sentire il suono del vento che colpisce le vetrate, rendendo così
concreta la “voce dell’aria” e rendendo verosimile il concetto dell’autore belga. L’architettura è tipica
degli anni Sessanta, influenzata fortemente dalla tecnologia dell’epoca: infatti la struttura riprende il
profilo di un razzo spaziale.
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UOMINI IN CITTÀ
di Fernand Léger
POTSDAMER PLATZ
di Ernst Ludwig Kirchner
MARINA PERISSINOTTO E JESSICA TREVISAN
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“UOMINI IN CITTA'”
ORIGINE E MATERIALI
Autore: Fernand Léger (Argentan, 4 febbraio 1881 – Gif-sur-Yvette, 17 settembre 1955)
Biografia: Jules Fernand Henri Léger nasce il 4 febbraio 1881 ad Argentan, in Normandia. Dal 1897 al
1899 è allievo di un architetto a Caen e nel 1900 si trasferisce a Parigi, dove si guadagna da vivere
lavorando come disegnatore di architettura. Benché gli fosse negata l'ammissione all'Ecole des BeauxArts, ne frequenta ugualmente le lezioni. Studia inoltre all'Académie Julian e dipinge secondo moduli di
chiara influenza impressionista. I primi lavori di questo genere di Léger sono del 1905.
Nel 1910 Léger espone per la prima volta al Salon des Endependances opere di ispirazione cubista e
nel 1912 tiene la sua prima mostra personale. Dopo la parentesi della guerra, che lo avvicina al mondo
meccanico per un verso e a quello umano e proletario dall’altro, Fernand Léger si immerge in una
assidua ricerca pittorica per poter sviluppare queste tematiche. Si dedica alla composizione di murali,
arazzi, mosaici, sculture; lavora per il cinema, il teatro e anche per il balletto. Nel 1955 espone al Museo
di Lione e vince il Gran Premio della Biennale di San Paolo, ma nell'agosto dello stesso anno muore
nella sua casa di Gif-sur-Yvette, in Francia. Nel 1959 viene fondato a Biot il Musée National Fernand
Léger.
Datazione: 1919
Tecnica: olio su tela
Dimensioni: 145,7 x 113,5 cm
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DESCRIZIONE ICONOGRAFICA
L'autore vuole rappresentare degli uomini inseriti in un contesto cittadino. La città sullo sfondo appare
irriconoscibile, smembrata e ridotta alle forme e ai solidi geometrici di base. Anche la figura degli uomini
è assimilata a quella di una macchina, di un robot, in perfetta linea con il pensiero futurista, che andava
diffondendosi nel primo dopoguerra.
I colori usati evidenziano le singole forme e sono accostati in modo da far risaltare le varie figure.
DESCRIZIONE STILISTICO FORMALE
L'uomo, in questo dipinto, viene raffigurato e rappresentato in maniera del tutto differente dalla
tradizione: il corpo dell'uomo, in questo caso, viene sottoposto ad una trasformazione in quanto, come si
può notare, esso diventa un corpo robotico, diventa quasi un automa. Nell'osservare quest'opera si può
addirittura parlare di tubismo: infatti, se si presta attenzione, si nota come le figure umane vengano
delineate attraverso l'assemblamento di figure identificabili in tubi, i quali, addirittura, alla luce, riflettono
la loro lucentezza. Così l'artista meccanizza e stilizza l'uomo attraverso l'uso di sfere, coni, cilindri e,
come detto precedentemente, tubi.
Nelle opere di questo periodo che hanno per tema la città, la figura umana appare dunque
spersonalizzata e meccanizzata, a somiglianza dell’ambiente che la circonda. Il contesto urbano,
invece, rappresenta la città contemporanea che viene descritta sottolineando i particolari che ne
definiscono il carattere di metropoli tecnologica (per esempio le insegne delle città, le facciate delle
case, un ponte sono scomposti e ricomposti in un incastro ritmico). Linee rette, spezzate e curve
esprimono l'impatto emotivo della città: queste si intersecano tra loro per innalzare la struttura portante
sulla quale, come un edificio in costruzione, si delinea la superficie colorata la cui funzione consiste nel
raggiungere una propria dimensione autonoma, e non più quella di rappresentare la realtà.
I colori utilizzati sono puri, le superfici piatte, manca il chiaro-scuro e la profondità. Tuttavia l'autore
riesce a esprimere quel senso di vita frenetica e dinamica della nuova società: per questo i colori
assumono tutti la stessa importanza, nessuno predomina.
INDIVIDUAZIONE DELL'ICONEMA
L' opera ha come soggetti della figure umane robotizzate. Con l'avvento e la fine della prima guerra
mondiale l’uomo aveva perso fiducia nel prossimo, si sentiva estraniato dalla sua stessa vita e dalla sua
stessa città. L' immagine del robot rappresenta proprio questo atteggiamento di disperazione e di
allontanamento dalla vita consueta, che una guerra devastante aveva spazzato via.
CONSIDERAZIONI SINTETICHE
In questo periodo gli artisti (i Futuristi in Italia), esaltano la macchina, in quanto essa porta ad un
progresso, porta ad uno sviluppo, porta ad una maggiore velocità anche se in alcuni casi la macchina
distruggerà l'indipendenza dell'uomo, modificherà quindi la condizione dell'uomo che diventerà
necessariamente un automa. Quindi quel realismo tipico della tradizione comincia il suo percorso verso
l'astrazione. Léger, attraverso l'accostamento di figure geometriche statiche e perfette, raggiunge questa
astrazione e rappresenta l’ideale di un uomo meccanizzato che vive in funzione di una città in via di
sviluppo.
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“POTSDAMER PLATZ”
ORIGINE E MATERIALI
Autore: Ernst Ludwig Kirchner (6 Maggio 1880 – 15 Giugno 1938)
Biografia. Dal 1901 al 1905 studiò architettura a Dresda, dove divenne amico di altri tre studenti di
architettura, Heckel, Schmidtt-Rotluff e Bleyil, con i quali nel 1905 fondò il gruppo Die Brücke ("Il ponte",
in tedesco), uno dei primi nuclei dell' Espressionismo tedesco. Nel 1911 si trasferì a Berlino, dove entrò
in contatto con i pittori del Blaue Reiter. Successivamente si spostò a Monaco: sarà questo il periodo più
caratteristico della sua produzione con scene di strada e di cabaret, ritratti dalla pennellata nervosa e
sommaria e dalla caratterizzazione decisa e marcata. In questa evoluzione è rintracciabile il contatto con
Cubismo e Art Noveau. Nei suoi dipinti cerca di riprodurre il contrasto tra la campagna e la grande città,
la cui frenetica vitalità lo avvicinò ad interessi psicologici, a temi sessuali e alla polemica sociale. Al
termine della Grande Guerra si trasferì a Davos, in Svizzera. Dopo la presa del potere di Hitler, le sue
opere furono sequestrate e rimosse dai musei; molte di queste furono dapprima mostrate
nell’esposizione diffamatoria dell’ "arte degenerata" del 1937 e poi distrutte. Kirchner si suicidò il 15
giugno 1938 a Davos.
Datazione: 1914
Tecnica: olio su tela
Dimensioni: 200 x 150 cm
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DESCRIZIONE ICONOGRAFICA
La composizione è dominata da due figure femminili, due eleganti prostitute che occupano tutta la parte
sinistra della tela, vestite di nero e di blu, con cappello piumato, veletta e scarpe dal tacco alto, con
lunghi abiti che accennano appena la femminilità delle forme. Una figura è colta di profilo, l'altra di
fronte; i tratti sono duri, le due figure si sovrappongono ma non si toccano, sembrano estranee l'una
all'altra. Sullo sfondo, Potsdamer Platz, animata di luci e di passanti.
DESCRIZIONE STILISTICO FORMALE
Allungate in verticale, tutte le linee del dipinto sono rigide, spigolose e taglienti. I tratti del volto delle due
donne, il pennacchio di piume nere e biancastre che adorna i cappelli, i colori acidi e antinaturalistici dei
volti giallastri e delle strade verdi, la sproporzione dimensionale tra i palazzi, ridotti a miniature di sfondo,
e le figure danno un senso di irrealtà.
L'icona femminile che Kirchner ci propone non è diversa da quella di tanti altri suoi dipinti (per esempio il
celebre "Cinque donne nella strada", del 1913): una donna fredda ed ambigua di una bellezza scostante
che ha perso ogni suo valore consolatorio e lascia intravedere, oltre le piacevoli apparenze, l'aridità dei
sentimenti e la durezza della vita.
INDIVIDUAZIONE DELL'ICONEMA
La spigolosità delle linee con cui sono dipinte le donne dimostrano l'angoscia e il malessere vissuti
dall’uomo contemporaneo: sono immagine di un uomo che è solo, pur stando nel bel mezzo della
frenesia cittadina. Si sente nell’aria un clima di tensione e orrore: la Prima Guerra Mondiale è alle porte,
tutti i legami tra le persone saranno spezzati.
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