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UNA GRANDE MOSTRA A TORINO ROBERT MAPPLETHORPE – L’ARTE COME PROVOCAZIONE – LA PROVOCAZIONE DELL’ARTE E’ possibile rappresentare un corpo nudo (o una parte, ad esempio un pene) come fosse un fiore? E’ possibile rappresentare un fiore suggerendo non idee di grazia e purezza ma inquietudine e morbosità? Robert Mapplethorpe, fotografo americano, nato nel 1946 e morto di AIDS nel 1989, realizzava due tipi di immagini: ritratti e nature morte. Ciò che più lo differenziava dalla maggior parte dei colleghi, a partire dai grandi maestri americani, non era certamente la tecnica, altrettanto prodigiosa, quanto il rapporto radicalmente diverso con l’oggetto della rappresentazione. Se la fotografia, per sua natura, fa un passo avanti rispetto a pittura e scultura nel rapporto tra l’autore e ciò che rappresenta, rendendolo più oggettivo, eliminando la mediazione per la quale tra oggetto e opera ci sono le mani dell’autore, il suo pensiero, il suo percorso tecnico e stilistico, perché il fotografo rappresenta direttamente la realtà, Mapplethorpe fa un passo ulteriore: si cala personalmente nella rappresentazione, si identifica con i suoi soggetti. Dalle sue fotografie, dietro la perfezione formale, trasuda il suo amore per i corpi che ritrae, e l’idea che eros è la forza che permea il mondo e l’artista non è l’occhio distante che osserva e narra, ma è esso stesso protagonista della narrazione. Con quella dote di magia grazie alla quale le sue immagini acquistano, per qualità estetica, per forza della composizione plastica, per dirompente carica erotica, lo status di opere d’arte tout court. Mapplethorpe ama la bellezza del corpo umano, ama il sesso e la pornografia. Si cala nell’universo sado-maso non fingendo uno sguardo altro, da osservatore curioso ma distante, non esprimendo giudizi morali, ma facendone esperienza personale e rappresentando quelle persone e quelle pratiche come mai nessuno aveva fatto, riscattandole nella perfezione formale delle sue immagini. Foto 1 come eros quindi, esaltazione del corpo nella sua bellezza e nella sua “non” purezza, nel suo essere fonte di desiderio e di piacere. Dice: “La mia vita è riprendere immagini quanto farne esperienza”. La mostra di Torino ha carattere antologico, partendo dai primi lavori degli anni settanta sulle immagini tratte da riviste pornografiche dozzinali, poi passando alle polaroid in bianco e nero, mettendo in scena egli stesso le immagini delle riviste, iniziando un percorso di attenzione alla forma, alla composizione, all’uso delle luci che lo porta a dire che non esiste differenza tra ritrarre un pene o un fiore. Il passo successivo è l’acquisto di una macchina professionale (Hassenblad) e, quindi, la definitiva trasformazione in fotografo. All’epoca Mapplethorpe viveva con la cantante e poetessa Patty Smith, l’unica donna che gli fece mettere in discussione la sua inclinazione omosessuale, e con lei si trasferì a New York, al famoso Chelsea Hotel, dove entrò in contatto con tutto il mondo intellettuale che lì fermentava e dove la creatività si mescolava a tutte le forme possibili di trasgressione. Da allora il suo percorso di artista non si è più arrestato, mescolando il carattere a volte scandaloso dei soggetti con una ricerca formale sempre più esasperata. E’ chiaro che Mapplethorpe era persona colta, conosceva l’arte del passato, guardava e collezionava i grandi maestri della fotografia. La mostra di Torino, in modo secondo me un po’ approssimativo, vuole mostrare questo rapporto presentando alcuni quadri e sculture che hanno per oggetto proprio la rappresentazione del corpo, a volte sensuale e trionfante (Canova) a volte sofferente (nelle immagini dell’iconografia cristiana), a volte studiando appassionatamente le sue forme (i bellissimi disegni di Michelangelo). Sono poi presentate immagini di fotografi precedenti, dagli studi sul movimento dei corpi nudi di Muybridge a Imogen Cunnigham a, soprattutto, Man Ray, personaggio diversissimo da Mapplethorpe, ironico, leggero, geniale sperimentatore. Anche Man Ray si cimentò con immagini pornografiche e realizzò una gran quantità di 2 nudi (sempre femminili) e di ritratti di grande qualità. La differenza tra i due consiste, credo, nel non coinvolgimento di Man Ray con la sua opera, con una ricerca che andava più verso la strada di nuove sperimentazioni e nuove tecniche che non all’esasperazione del contenuto formale. Sono presentati anche spezzoni di film che hanno a che fare col corpo, spesso mostrato nudo e sofferente (“Salò Sade”, “Sebastiane”, la scena iniziatica di “Un uomo chiamato cavallo”). Negli ultimi anni di vita Mapplethorpe, consapevole della malattia, inserisce un elemento malinconico in molte foto. Si rifà all’arte barocca e all’intreccio, in questa fortissimo, tra bellezza e morte. Fotografa statue, corpi bellissimi e non destinati alla corruzione. I suoi autoritratti non mostrano più un uomo bello, giovane e impertinente, che sfida chi lo guarda rappresentandosi con le corna da diavolo o con un mitra e alle spalle il simbolo delle brigate rosse, ma una persona sofferente, avviata a quella sconfitta definitiva che è per lui la morte corporale. Compaiono, alla fine, anche fotografie a colori di fiori, belle ma a mio avviso inferiori a quelle in bianco e nero che ha scattato lungo tutta la sua vita. Ci sono anche due suoi cortometraggi, uno su Patty Smith e l’altro su Lisa Lyon, la donna che, vestita, mostrava un aspetto minuto, un volto molto fine e dolce, e nuda un corpo possente da body builder. Non è un caso che l’androgina Patty Smith e Lisa Lyon dal fisico maschile abbiano attratto, con la loro ambiguità, una persona come Mapplethorpe. Un’ultima notazione su un’altra idea importante di Mapplethorpe: la fotografia come scultura. Anni fa alla biennale di Venezia, furono premiati due fotografi tedeschi di edifici di archeologia industriale con il Leone d’oro per la scultura. Il fatto suscitò un certo scandalo. In realtà esistono delle fotografie che hanno moltissimo a che fare con la scultura, direi che sono scultura. I corpi nudi di uomini di colore ripresi da Mapplethorpe sono sicuramente scultura, anche nella loro bidimensionalità sono statue, ne hanno la bellezza assoluta, la perfezione, 3 una energia ed una forza plastica che sfondano la superficie. Mapplethorpe diceva che preferiva fotografare uomini di colore perché la loro pelle ricordava il bronzo ed il bronzo è più tridimensionale del marmo, più scultoreo. Aveva perfettamente ragione, le sue foto lo dimostrano. Le foto di Mapplethorpe sono arte. L’arte non ha morale. L’arte fa male. “Tutta l’arte è ad un tempo superficie e simbolo, chi penetra al di sotto della superficie lo fa a proprio rischio e pericolo. Chi interpreta il simbolo lo fa a proprio rischio e pericolo” (Oscar Wilde). A CURA DI SAURO SASSI : [email protected]. ROBERT MAPPLETHORPE : TRA ANTICO E MODERNO. UN’ANTOLOGIA PALAZZINA DELLA SOCIETA’ PROMOTRICE DELLE BELLE ARTI – VIALE BALSAMO CRIVELLI 11 – PARCO DEL VALENTINO – TORINO ORARI : TUTTI I GIORNI : 10/19. GIOVEDI’ : 10/23. DOMENICA : 10/20 INFORMAZIONI : 011.6599657 – 011.6599742 WWW.MAPPLETHORPETORINO.IT 4