Inferenza 2 - IIS Cremona

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Inferenza 2 - IIS Cremona
V. LE TRE FORME DELL’INFERENZA
Di Logon Didonai
1. Qualche considerazione preliminare
Abbiamo imparato che, quando parliamo, lo facciamo perché vogliamo esprimere
delle emozioni, fornire o richiedere informazioni, prendere impegni, dare ordini, far
essere qualche cosa oppure persuadere qualcuno a fare o non fare qualcosa.
Possiamo spingere qualcuno a fare o non fare qualcosa attraverso le minacce,
attraverso il ricorso a un’autorità riconosciuta dal nostro interlocutore, attraverso le
emozioni che suscitiamo in chi ci ascolta oppure attraverso l’uso dell’argomentazione,
in cui ciò che sosteniamo è giustificato da una o più ragioni, che siamo in grado di
fornire.
Ragionare consiste nel trovare una connessione tra le ragioni (che chiamiamo
premesse) e la tesi che vogliamo sostenere e provare (la conclusione). Sappiamo
anche che, se vogliamo migliorare il modo in cui ragioniamo, dobbiamo essere in
grado di riconoscere le diverse funzioni del linguaggio e le premesse e le conclusioni
di un ragionamento, in particolar modo se sono solo implicite o sottintese. Una volta
esplicitate, le potremo mettere alla prova come tutte le altre premesse, cioè chiederci
se sono vere o false, probabili o improbabili.
Come però abbiamo iniziato a scoprire, se cerchiamo di ragionare, i nostri argomenti
devono essere formulati in base ad alcune regole fondamentali che generalmente non
poniamo in discussione: cosa potremmo dire a una persona che, posta di fronte
all’evidenza irrefutabile della falsità della sua opinione (o delle ragioni su cui tale
opinione si basa) dichiarasse, in modo irremovibile, di non potere comunque accettare
le nostre ragioni perché non siamo sposati (credenti, italiani, donne, alti e biondi
ecc.)? Tenteremo in seguito di dare una spiegazione e di fornire un’analisi di questo
strano ma diffuso atteggiamento. Per ora il nostro obiettivo è il seguente: imparare a
distinguere diversi modelli o schemi in base ai quali ragioniamo. In seguito li
studieremo più da vicino.
2. Deduzione, induzione, ipotesi.
Come abbiamo già accennato, possiamo usare “inferenza” come sinonimo di
“ragionamento”, anche se il primo termine è normalmente usato dagli addetti ai lavori
e fa riferimento allo stretto legame esistente tra premesse e conclusioni. Ora però ci
troviamo di fronte a tre altri termini che non conosciamo. Che cosa sono la
“deduzione”, l’“induzione” e l’“ipotesi”? Siamo talvolta “indotti in tentazione”,
costantemente “ipotizziamo” e spesso, dal comportamento di una persona “deduciamo
che”. Ma per chiarire il significato tecnico dei termini in questione è necessario fare
riferimento al seguente aneddoto.
• Immaginiamo di aver prenotato due posti per l’Arlecchino di Goldoni al
Piccolo Teatro di Milano, ma di non ricordare se la prenotazione è stata
effettuata per il 17 o il 18 di dicembre. Che fare? Potremmo chiamare la
biglietteria telefonica e spiegare la situazione a Chiara, un’amica che lavora
presso il Piccolo. Facciamolo. Immaginiamo che lei ci chieda se non
abbiamo per caso un “codice di prenotazione”. Sì, per puro caso troviamo
nel cestino della carta da riciclare il foglietto con indicato il codice che ci
avevano fornito all’epoca della prenotazione (tre mesi prima): V1712E24.
Veniamo invitati a leggerlo. Leggiamo: V17... ma dopo la prima lettera e i
primi due numeri Chiara ci ferma: il nostro biglietto è per venerdì 17
dicembre. Come ha fatto? Non ha guardato sulla lista cercando il nostro
nome. Ha semplicemente applicato una regola, che lei sola conosce.
Quale? E come l’ha trovata? Facciamo un’ipotesi: che le prime tre cifre del codice
corrispondano al giorno dello spettacolo. È quantomeno possibile, infatti V17 può
indicare venerdì 17. Possibile, ma fino a che punto è probabile? Abbiamo altri codici,
di spettacoli visti nei mesi precedenti? Sì. Allora è possibile vedere se l’ipotesi è
attendibile. Il 23 ottobre abbiamo visto uno spettacolo del festival del Mediterraneo.
Qual era il codice? G2310...? Allora l’ipotesi sembra essere attendibile. Verifichiamo
se anche il 19 settembre... sì, anche lunedì 19 settembre avevamo un codice che
iniziava con L19. Allora, attraverso un’inferenza induttiva basata su tre casi, abbiamo
ottenuto una regola generale che possiamo ritenere molto probabile. Se partiamo dalla
premessa che la regola sia proprio quella, allora dalla regola e dal codice V2201...
possiamo dedurre con assoluta certezza che il nostro spettacolo di gennaio avrà luogo
venerdì 22.
Arrivati a questo punto i termini che abbiamo utilizzato per indicare i tre modelli di
inferenza ci sono diventati meno oscuri. Prima di approfondire la questione
dedichiamo però qualche istante alla ripresa di quanto già sappiamo sulla
giustificazione di una tesi. Come sappiamo, quando proponiamo un argomento
cerchiamo di fornire una ragione per pensare che la conclusione sia vera: tale
ragione è contenuta nelle premesse dell’argomento; dalla verità delle premesse si
ricava allora la verità della conclusione (ecco perché per qualsiasi argomento è
importante prestare attenzione alle premesse e al modo in cui le abbiamo ottenute).
Se proponiamo un argomento, in realtà, avanziamo due pretese in modo implicito: (1)
che le premesse siano vere; (2) che la verità della conclusione possa essere ricavata
dalla verità delle premesse. Se le due pretese sono fondate allora l’argomento è un
buon argomento, ma le due pretese sono in realtà due questioni diverse e vengono
affrontate in modo diverso. La verità delle premesse di un argomento e la validità di
esso sono due elementi essenziali per la bontà di un argomento: verità o validità da
sole non bastano.
La verità delle premesse non è condizione necessaria della validità di un’inferenza
deduttiva, poiché, come vedremo, essa può essere valida anche se le premesse sono
false: per questo è infatti sufficiente che vengano rispettate le regole dell’inferenza.
Per quanto concerne la verità della conclusione, invece, se le regole di validità sono
rispettate, da premesse vere potrebbe derivare solo una conclusione vera, mentre da
premesse false potrebbe seguire qualunque cosa: se sostengo che il mio tavolo ha
cinque gambe (mentre invece ne ha quattro) dico il falso, ma se il tavolo ha cinque
gambe è vero che non ne ha tre. D’altro lato, «la verità delle premesse di un
argomento non è condizione sufficiente della sua validità» (Iacona 2005: 42), poiché
un argomento può avere premesse vere ma non essere valido. Un argomento dunque,
qualunque sia il soggetto o il tema, il contesto o l’area su cui verte, sembra essere
costruito per provare che la conclusione è vera. Può però fallire in due modi: o perché
assume una premessa falsa (e se le premesse non sono vere non si stabilisce alcuna
verità, né probabile né necessaria, nella conclusione), o perché le premesse non
implicano (necessariamente) la conclusione.
In generale, la pretesa che dalla verità di una proposizione derivi la verità di altre
proposizioni – la validità dell’inferenza – può essere avanzata in tre diversi modi: la
necessità, la probabilità, la possibilità.
Questa differenza ci permette di formulare una prima definizione di deduzione, ipotesi
e induzione. Mentre infatti l’induzione rappresenta un’inferenza che giunge a
conclusioni (più o meno) probabili a partire dalle premesse date, la deduzione è
un’inferenza la cui conclusione deriva necessariamente dalle premesse date. L’ipotesi
è una possibile spiegazione, che ha bisogno di essere verificata induttivamente per
essere ritenuta più o meno attendibile.
Per chiarire in modo intuitivo questa differenza può essere utile riferirsi a un famoso
esempio di Bertrand Russell:
• Un pollo riceve la sua razione di cibo tutte le mattine alle nove in punto,
circostanza, questa, che lo porta a credere che anche il giorno di natale
avrebbe ricevuto la sua razione di cibo. Sfortunatamente per quel giorno
sbagliò la previsione: il contadino gli tirò il collo.
L’ipotesi del pollo è stata per così dire testata empiricamente (cioè induttivamente),
ma è valida solo fino a prova contraria. Gli argomenti di carattere induttivo (esempi
basati su uno o pochi casi, enumerazioni casuali o generalizzazioni causali basate su
elaborate tecniche statistiche) e le ipotesi che su di essi si basano possono dunque
essere più o meno attendibili, ma è sempre possibile che un giorno risultino falsi. La
logica induttiva vige per la maggior parte dei casi quotidiani, che non hanno a che
fare con la certezza, bensì con la probabilità. Naturalmente un controesempio o un
evento che negassero la regola da noi ricavata per induzione non la inficierebbero in
modo automatico e totale; potrebbero bensì indebolirne o limitarne la portata, e il
controesempio potrebbe pur sempre valere come eccezione o caso particolare della
regola (per esempio, è vero che l’acqua non bolle sempre a 100° C, ma al livello del
mare sì, quindi, una volta data questa regola e le sue eccezioni, sappiamo come
comportarci quando cuciniamo). La logica induttiva si interessa della “bontà” delle
inferenze compiute in casi in cui gli elementi di prova non sono conclusivi, anche se
hanno un’alta probabilità di essere veri. Per loro natura, tali inferenze non possono
mai essere universali e necessarie.
Se invece si inferisce una proposizione per via deduttiva si esclude la possibilità che
le proposizioni da cui è inferita siano vere e che allo stesso tempo la proposizione che
funge da conclusione sia falsa; se invece si presenta una proposizione come il
risultato di un’inferenza induttiva si avanza la pretesa che le proposizioni da cui essa
è inferita (le premesse) forniscano ragioni probabili, o perlomeno possibili, per
attestare la verità della conclusione. In questo secondo caso, non si può escludere la
possibilità che le proposizioni da cui la conclusione è inferita siano vere e ciò
nonostante la conclusione sia falsa: la verità della conclusione dovrà essere affermata
con maggiore o minore probabilità, ma mai con certezza assoluta (Iacona 2005: 435).
Possiamo dunque formulare la differenza come segue: un argomento è
deduttivamente valido se e solo se non è possibile che le premesse siano vere e la
conclusione sia falsa; un argomento è induttivamente valido se e solo se non è
probabile che le premesse siano vere e la conclusione sia falsa.
L’ipotesi (o abduzione), infine, è un’inferenza che prende in considerazione un fatto
soprendente e cerca di spiegarlo come caso di una regola. Dovrebbe rappresentare la
migliore spiegazione possibile (come vedremo, migliore non significa
necessariamente che sia la più semplice). Nel momento in cui ci si trova di fronte
all’indizio di un omicidio, al sintomo di una malattia, a un testo scritto in una lingua
sconosciuta ecc. tale regola, che ci permette di trovare una spiegazione non è ricavata
da una (per quanto controllata) semplice ripetizione di eventi (induzione), né è
semplicemente applicata (come nella deduzione), è invece scelta tra diverse possibili,
ovvero scoperta, inventata. Ma senza ulteriori controlli (per via induttiva) e tentativi
di falsificazione un’ipotesi è solo una scommessa, che si può vincere o perdere.
DEDUZIONE, INDUZIONE, IPOTESI: LA DIFFERENZA IN SINTESI
• UN ARGOMENTO È DEDUTTIVAMENTE VALIDO SE E SOLO SE NON È POSSIBILE
CHE LE SUE PREMESSE SIANO VERE E LA SUA CONCLUSIONE SIA FALSA;
• UN ARGOMENTO È INDUTTIVAMENTE VALIDO SE E SOLO SE NON È PROBABILE
CHE LE PREMESSE SIANO VERE E LA CONCLUSIONE SIA FALSA.
• UN’IPOTESI È VALIDA SE IL RAPPORTO TRA PREMESSE E CONCLUSIONE, UNA
VOLTA MESSO ALLA PROVA DEDUTTIVAMENTE E INDUTTIVAMENTE, RISULTA
ESSERE LA MIGLIORE CONGETTURA POSSIBILE SUL FATTO SORPRENDENTE CHE
CI SI È PROPOSTI DI SPIEGARE.
3. L’inferenza come interpretazione di segni
È possibile descrivere le tre modalità inferenziali attraverso un modello che tenga in
considerazione il sistema di relazioni che si instaurano tra 1) un interpretante (che
può essere un singolo, una comunità scientifica, una particolare società), 2) un oggetto
da interpretare e 3) un segno che rimanda all’oggetto (Eco 1984: 40 segg.).
Quando decifriamo o interpretiamo un evento dobbiamo considerare che le
circostanze in cui interpretiamo (e gli stessi interpretanti) possono variare, facendo
con ciò variare in modo diversissimo l’interpretazione, tuttavia questo non significa
affatto che qualsiasi interpretazione sia consentita, semmai, piuttosto, illustrando
come funziona l’interpretazione, questo dato di fatto ci suggerisce che bisogna
conoscere quale punto di vista sia da tenere in particolare considerazione
nell’interpretare un segno.
Se, per esempio, in una poesia di Eugenio Montale troviamo l’espressione “le trombe
d’oro della solarità”, e se il titolo della poesia è I limoni, possiamo pensare che
l’espressione indichi proprio i limoni, ma sarebbe difficile trovare il termine in un
trattato scientifico, sappiamo infatti che in questo contesto il limone è un agrume, e
non è necessariamente giallo (solare).
Lo schema evidenzia che chi interpreta decifra un segno, che letteralmente è qualcosa
(un termine, un’immagine, anche un manufatto, persino un dito che indica qualcosa)
che sta al posto di (rimanda a, significa, indica, intende) qualcosa d’altro per
qualcuno.
Lo stesso discorso vale quando si traduce da una lingua a un’altra. Bisogna conoscere
(o, se non la si conosce, decifrare) la lingua nella quale il segno svolge la sua
funzione: per una persona che parla italiano, ma non per uno straniero che non
conosce la parola, il termine “tavolo” rimanda all’oggetto tavolo, oppure la parola
scritta “tavolo” rimanda al suono tavolo, mentre per chi traduce dall’italiano al
tedesco la parola “tavolo” significherà “Tisch”.
Se il segno è già noto (se si sa cioè che cosa significhi) l’inferenza sarà di tipo
deduttivo, consisterà cioè in una sostituzione di un segno con un altro sulla base di
una regola: Se la regola ci dice che “a” significa “b” e noi abbiamo appunto “a”;
avremo allora anche “b”. E se invece il segno non è noto?
Se non conosciamo il significato di un termine, possiamo arrivare a conoscerlo
attraverso un procedimento chiamato “ostensione” (dal latino ostendere, indicare). Per
chiarire il significato di “libro” indichiamo un libro, e pronunciamo la parola “libro”,
poi indichiamo un altro libro, e diciamo ancora ”libro”. La comprensione
(l’interpretazione del segno) sarebbe così in tal caso frutto di un’inferenza induttiva.
Tutto semplice?
Non proprio. Questo gesto presuppone infatti che già si sappia come funziona il
linguaggio, e che si conosca il metodo ostensivo della chiarificazione dei termini: io
chiarisco un termine indicandoti l’oggetto. Tale metodo (a meno che non sia innato) si
apprende durante i primi due anni di vita, ma nel caso di termini che indicano non un
oggetto bensì un’azione si possono presentare delle difficoltà. Ci potrebbero essere dei
malintesi: quando indico la mia camicia blu intendo la camicia o il colore blu?
Un segno ostensivo, allora, «non chiarisce per mera induzione il significato del
termine, se non c’è un quadro di riferimento» (Eco 1984: 41). Questo quadro è la
regola (che deve essere almeno implicitamente presente) concernente il modo in cui si
deve intendere il gesto che indica l’oggetto. Se una persona ha la febbre, il
raffreddore, si sente stanca ecc., probabilmente avrà l’influenza, in quanto mostra i
segni (“sintomi”) di una malattia ben nota. In questo caso avremmo a che fare con
un’ipotesi: così funzionano le diagnosi mediche, che si basano su un preciso quadro di
riferimento (acquisito attraverso l’esperienza e lo studio). Se però non si possiede tale
quadro di riferimento, allora non resterà che inventarlo. Allo stesso modo, «se
qualcuno mi grida “Cane!” come va intesa questa parola? Forse, se parla latino, mi sta
ordinando di cantare, ma supponendo che sia in italiano, allora sembrerebbe ovvio che
mi stia insultando, o no? No, perché potrebbe anche avvertirmi di stare attento al
cane» (Eco 1984: 42). Il quadro di riferimento è quindi sicuramente una lingua, ma
occorre tenere in considerazione anche eventuali indizi circostanziali e contestuali,
che possano indirizzarci verso una delle possibili interpretazioni, dicendoci quale
regola applicare per dare un senso alla parola.
Un’ulteriore complicazione deriva dal fatto che, sebbene la regola rappresenti una
generalizzazione induttiva sulla base di un semplice esempio o di una serie di casi, in
realtà, quando noi individuiamo una connessione tra due elementi di cui supponiamo
che uno sia la causa e l’altro l’effetto, tale connessione non è detto che sia necessaria.
Potrebbe essere una coincidenza. Se noi invece la riteniamo una connessione non
casuale bensì causale stiamo facendo un’ipotesi che andrà messa alla prova.
Se dunque la deduzione è un processo di sostituzione sulla base di una regola
(sappiamo che la parola tedesca “Tisch” significa “tavolo”, quindi quando la
incontreremo la tradurremo così), quando invece non conosciamo il significato di un
segno dovremo ricostruirlo attraverso esperienze ripetute (dobbiamo imparare che
“Tisch” significa “tavolo”). Siccome però occorre sapere che quando indico un
oggetto e pronuncio una parola intendo che la parola indica l’oggetto (e non significa,
per esempio, guarda l’oggetto o dammi l’oggetto), io allora, almeno implicitamente,
ho fatto un’ipotesi, quindi l’inferenza sarà di tipo abduttivo.
Questo lato problematico dell’inferenza induttiva era già stato evidenziato, ma è
chiaro che questo è anche il lato problematico della inferenza deduttiva, infatti: come
faccio a conoscere le regole (le premesse) in base alle quali sostituisco un termine a
un altro (deduco)? Evidentemente l’inferenza decisiva è quella che porta alla
determinazione di una regola, ma essa non pare essere meramente induttiva. Il
processo abduttivo, lungi dall’essere una mera applicazione di una regola, è invece
l’individuazione di una regola tra le tante disponibili (o invenzione di una regola
nuova) che possa spiegare il risultato (il fatto sorprendente) come un caso di una
regola ben precisa.
In tal caso l’induzione rappresenta un metodo (sperimentale) per controllare la nostra
congettura. Qualora la prova sperimentale non dia i risultati previsti, l’abduzione non
viene convalidata. Tale risultato potrebbe spingere a scegliere un’ipotesi alternativa o
almeno parzialmente diversa.
Gli elementi che entrano in gioco in un’inferenza sono tre: un caso, una regola e un
risultato. Il caso è un’occorrenza a cui viene applicata una regola generale. La regola
è l’elemento di mediazione che collega caso e risultato tramite un rapporto di
implicazione (se p, allora q). Il risultato è la conseguenza prevedibile
dell’applicazione della regola a quel caso. Due di questi elementi svolgeranno il ruolo
di premessa, il terzo quello di conclusione. Se, di fronte al mal di pancia di un
bambino avanziamo l’ipotesi seguente: «Poiché questo bambino ha il mal di pancia,
allora potrebbe aver mangiato pesce avariato. Nella mensa della scuola oggi c’era il
pesce, e il bambino ha mangiato lì. Potrebbe essere questa la causa del suo mal di
pancia», l’induzione può servirci per confermare o falsificare l’ipotesi. Ricapitoliamo
le differenze tra i tre tipi di inferenza tramite lo schema seguente (tratto da Pisanty &
Pellerey 2004: 82-83).
I TRE TIPI DI INFERENZA – UN CONFRONTO
ABDUZIONE
RISULTATO
Questo bambino ha il
mal di pancia.
REGOLA
Il pesce avariato
provoca mal di pancia.
CASO
Quindi, forse questo
bambino ha mangiato
pesce avariato.
DEDUZIONE
REGOLA
Il pesce della mensa
scolastica provoca il
mal di pancia.
CASO
Questo bambino ha
mangiato il pesce della
mensa scolastica.
RISULTATO
Quindi, sicuramente
questo bambino ha mal
di pancia.
INDUZIONE
CASO
Questo bambino ha mangiato
il pesce della mensa
scolastica.
RISULTATO
Questo bambino ha mal di
pancia.
REGOLA
Quindi, probabilmente tutti i
bambini che hanno mangiato
il pesce della mensa scolastica
hanno mal di pancia.
LA PALESTRA DELLA MENTE – LE FORME DELL’INFERENZA
Analizza le inferenze seguenti, evidenziando eventuali premesse sottointese. Indica se si tratta di
deduzione, induzione o ipotesi. Motiva la tua risposta anche basandoti sulla distinzione tra necessità e
probabilità e sull’invenzione della regola.
1.* Ho conosciuto un cinese che si è rivelato molto gentile. Anche mio fratello conosce dei cinesi
che sono sempre stati gentili con lui. I cinesi sono persone gentili.
2. Molti italiani emigrati negli Stati Uniti erano mafiosi, socialisti o anarchici, quindi gli italiani
sono mafiosi, socialisti o anarchici.
3. Molti studenti italiani hanno avuto pessimi risultati nell’ambito del progetto di valutazione
internazionale comparata (PISA) in scienze, lettura e matematica, quindi gli studenti italiani non sono
preparati.
4. Sono stati arrestati due albanesi: erano tutti e due dei criminali, quindi gli albanesi sono criminali.
5. Sul campanile della mia chiesa ci sono dei corvi; sono neri. Sulle torri del castello ci sono tanti
corvi: sono neri. Nei cieli d’Italia ci sono corvi: sono neri. Tutti i corvi sono neri.
6.* Tutti gli uomini possono sbagliare; Giovanni è un uomo; dunque Giovanni può sbagliare.
7. Nessun eroe ha paura di morire; alcuni soldati hanno paura di morire; alcuni soldati, dunque, non
sono eroi.
8. Se fossi fuoco brucerei le armi, ma dato che fuoco non sono le armi non le posso bruciare.
9.* Il 33% degli italiani non paga le tasse, quindi gli italiani sono degli evasori fiscali.
10. In Italia si mangiano gli spaghetti. A pranzo abbiamo mangiato gli spaghetti, infatti eravamo in
Italia.
11.* La porta è aperta. Devono esserci stati i ladri: io sono sicuro di averla chiusa e mia moglie non
torna prima delle 10 di sera.
12. Mia moglie è a letto con un altro uomo, ma questo è impossibile, perché mi ha detto che non
sarebbe tornata prima di sera. Deve essere stata un’allucinazione.
13.* Se cuoci troppo a lungo il minestrone lo rendi addirittura nocivo. Questo minestrone è rimasto
sul fuoco più di un’ora. Quindi è nocivo.
14. Se gli spinaci cuociono troppo a lungo o vengono riscaldati producono nitrati, che sono velenosi.
Questi spinaci sono stati riscaldati otto volte. Mio nonno è stato perciò ricoverato all’ospedale a causa
degli spinaci, visto che il referto medico parla di avvelenamento.
15. Hai la febbre alta e mal di pancia. Sembrano i sintomi di un’influenza.
16.* Una bambina tedesca di due anni (Julchen), la quale si trovi a Bellagio, con Pietro (un italiano
che non parla tedesco), e che voglia essere da questi lanciata per aria, fatta cadere e risollevata (si
diverte da matti), come potrà farglielo capire, visto che né lei si esprime perfettamente in tedesco né lui
capirebbe il tedesco né lei capisce l’italiano? Julchen potrebbe desiderare di essere sollevata, e lo
segnala alzando le braccia e gridando, tutta eccitata: “Noch mal!”, che significa, in tedesco: “Ancora!”.
Pietro, che non capisce cosa il suono significhi, potrebbe chiedere: “Come?”. Al che Julchen potrebbe
replicare: “Ja! Come! Ja!”, che, per lei, significa: “Sì, sollevami ancora verso l’alto, fammi cadere e
risollevami”. Alla fine, con l’intervento di due mediatori interculturali, che forniscono la chiave per
decifrare i segni, il problema potrebbe venire risolto, e allora vedremmo Julchen (la sua gioia sarebbe
la prova che l’interpretazione è corretta) salire e scendere tra le braccia di Pietro, che si troverebbe a
dover fare esercizi di sollevamento pesi per tutta la mattina.
Se vuoi svagarti un po’ esercitando la tua arguzia, confrontati subito con gli enigmi contenuti negli
esercizi seguenti.
17.* Ci troviamo a Schwerin, capitale del Land Mecklenburg-Vorpommern, in Germania. Andiamo
a teatro per assistere a uno spettacolo dal titolo misterioso: “F hoch 9”. Ci troviamo di fronte a otto
persone che fanno di tutto: urlano, cantano, corrono, mangiano carta, citano frammenti sulla libertà, si
impiccano, vengono ghigliottinati, si avvolgono con fogli di alluminio per alimenti, si pizzicano con le
mollette del bucato. Sullo sfondo, il quinto movimento della Nona di Beethoven. Ne usciamo sconvolti
e perplessi, anche se non chiediamo la restituzione del maltolto (il prezzo del biglietto), come invece
chiede uno spettatore anziano accanto a noi. Con i dati a nostra disposizione è possibile tuttavia
formulare un’ipotesi sul significato del titolo dello spettacolo. Qual è la tua risposta?
18. Il commissario Pancione passa il capodanno a Carona, paesino di montagna vicino alla località
sciistica Valcarisole. A un certo punto delle voci concitate presso la parrocchia attirano la sua
attenzione. Il parroco esclama: “Commissario, qualcuno ha rubato il sacco con i regali di beneficenza!
30 chili di regali! I miei volontari stavano allestendo la sala della festa, quando ci siamo accorti del
furto”. “Qualcuno del suo gruppo si è allontanato?” chiede il commissario. “Ci sono tutti, tranne Enzo,
Sergio e Vito. A quanto pare se ne sono andati poco fa. Mi spiace dirlo ma è stato uno di loro: oggi il
centro è chiuso e dentro c’eravamo solo noi” è la risposta. “Enzo è quello che ha problemi alla schiena,
non è vero?” chiede il commissario. E il parroco risponde: “Già, a causa di un grave incidente, un anno
fa... Li avevo visti arrivare stamattina. Enzo aveva uno zainetto, così come Vito, mentre Sergio aveva
uno zaino e un paio di borse strapiene. Anche le loro cose non ci sono più”. Il commissario ha capito
chi è il colpevole, ma ritiene che si tratti di una ragazzata. E tu? Hai capito chi è stato?
19.* Due vecchi amici si incontrano dopo tanti anni in cui si erano persi di vista. Nessuno dei due,
sorprendentemente, rivolge la parola all’altro. Sai spiegarti il perché? Attenzione: si sono riconosciuti,
non hanno litigato, non sono sordomuti.
20.* Due sorelle, Eveline e Ruth, si trasferiscono da Cambridge a Londra. A Cambridge è sempre
stata Eveline a guidare l’automobile, mentre Ruth non l’ha mai guidata. A Londra, invece, è sempre
Ruth a guidare, ed eveline non lo farà più. Perché?
21.* Gustavo e Goffredo, due pregiudicati, si introducono di notte nell’appartamento di Giorgino e,
dopo averne scassinata la cassaforte, rubano banconote per 32.000 €. La polizia li ferma ma, dopo un
paio d’ore, li rilascia e arresta Giorgino. Sai spiegarti il perché, sapendo che il denaro non verrà
restituito a Giorgino?
22.* Antonio viene accompagnato a scuola da suo padre e suo nonno. Il padre, Amilcare, ha 54 anni.
Il nonno, Marcantonio, 52. Com’è possibile? A proposito: Amilcare non è il patrigno o il padre
adottivo di Antonio e Marcantonio non è il patrigno o il padre adottivo di Amilcare, padre di Antonio.
23.* Nella Turchia laica di Atatürk una legge vietava agli uomini di portare una barba, ma allo
stesso tempo, nel paese turco di Glabro, una legge locale vietava di radersi da soli e obbligava gli
uomini a rivolgersi a un barbiere autorizzato. Entrambe le leggi erano rispettate, anche dal barbiere. Ma
chi rade il barbiere?
Infine, valuta l’attendibilità delle ipotesi che dovrebbero spiegare un fatto sorprendente.
24. È lunedì mattina e devi andare al lavoro. La macchina, però, non vuole saperne di partire. Quali
possono esserne le cause?
a) Il motorino d’avviamento non funziona, infatti ti ricordi che già due mesi prima c’era stato un
problema simile e quando giravi la chiave sentivi lo stesso rumore provenire dal cruscotto. b) C’è un
campo magnetico che avvolge la terra e la tua auto, come tutte le altre, è rimasta bloccata. c) C’è un
complotto contro i possessori delle FIAT Seicento (e tu ne possiedi una). d) L’auto è vecchia. È ora di
cambiarla. e) Sono stati gli UFO. f) Tuo zio, che abita a 500 km da te, è venuto durante la notte apposta
per farti un dispetto. g) È tutta colpa del governo Berlusconi (o di quello di Prodi).
25. Ti accade di avere forti pruriti e orticarie o arrossamenti: a) quando bevi il vino
rosso e mangi il formaggio; b) quando mangi pomodori e formaggio stagionato;
quando bevi vino bianco e mangi formaggio stagionato. Non hai pruriti e non hai
orticaria o arrossamenti quando bevi vino bianco e mangi formaggio fresco. Qual è la
probabile causa? a) il vino bianco; b) il vino rosso; c) il formaggio fresco; d) il
formaggio stagionato; d) il formaggio stagionato o il vino bianco; e) il formaggio
stagionato o il vino rosso; f) il formaggio fresco o il vino bianco; g) il formaggio
fresco o il vino rosso.