Un foglio bianco, un progetto, una compagnia L

Transcript

Un foglio bianco, un progetto, una compagnia L
Anno XLVIII - n. 4 - Giugno 2013
PROTAGONISTI DELLA PROPRIA EDUCAZIONE
Associazione senza fini di lucro – Spedizione in Abbonamento Postale Poste Italiane S.p.A. - D.L. 353/2003 convertito in Legge 27/02/2004 n°46) art 1, comma 2, DCB Bassano del Grappa
MEZZO EDITORIALE, MEZZO DIARIO
Movimenti, ecco quello che
dovete fare. Firmato Francesco
Incontro, preghiera, testimonianza e un incessante riferimento a Cristo. Resoconto tra il serio e il faceto di una giornata in compagnia del
Papa, di amici e di altre svariate decine di migliaia di persone
L’amico prete che viene da lontano (una
piccola parrocchia della provincia di
Roma) era stato chiaro, in quella Messa dei
primi giorni di aprile. Al momento degli
avvisi il suo avvertimento era suonato tra
il semplice annuncio e l’ordine perentorio:
"Il 18 maggio c’è la Giornata dei Movimenti a Roma". Come a dire: mettete insieme
una delegazione che sia presente con il minimo indispensabile oltre all’entusiasmo,
cioè viveri, acqua e uno striscione.
Arrivato il giorno fatidico e partiamo per
Roma. Il viaggio di andata trascorre senza
infamia e senza lode. Arriviamo in anticipo, cosa già di per sé straordinaria, vista
la nostra tradizione. Ci uniamo agli amici
di Arcinazzo Romano e Bellegra guidati
da don Paolo (l’amico prete che viene da
lontano) alla chiesa del Quo Vadis per una
Messa di inizio giornata. Dopo il pranzo
frugale all’Istituto delle Suore di S. Sisto,
l’ordine di servizio trasmesso è il seguente: "Ci troviamo nella Sala del Capitolo per
il rosario, poi partenza verso S. Pietro". In
questa Sala dell’Istituto ci sono tre affreschi che raccontano di tre miracoli di S.
Domenico. Don Paolo chiede alla suora che
ci accompagna di descrivere brevemente le
tre risurrezioni illustrate negli affreschi.
La suora è talmente breve che a un certo
punto dobbiamo interromperla per poter
recitare almeno una decina, visto che ormai tempo del rosario è filato via; "il resto
lo reciteremo in bus".
All’arrivo in piazza S. Pietro, inizia la trafila per trovare posto a sedere per quaranta
persone. Ad un tratto ci avvisano che alcuni di noi si devono trasferire sul sagrato,
a pochi metri dal Papa. Dopo un’ora, sul
sagrato ci sono tutte le quaranta persone
della comitiva.
(A chi dovesse chiedere spiegazioni su
come abbiamo fatto, risponderemo che è
stato lo Spirito Santo, così nessuno avrà
nulla da ridire.)
Dal sagrato la piazza che brulica di persone
e le bandiere che sventolano in ogni dove
è un’esperienza che chissà quando si ripeterà in vita. A riportarci alla concretezza è,
all’improvviso, il richiamo di un gabbiano,
che planando deposita il suo souvenir sulla
spalla di uno di noi. Lapidario il commento
di don Paolo: "Tranquillo, non è lo Spirito
Santo che scende". In effetti, quello che era
sceso non aveva le sembianze di una lingua
di fuoco.
Arriva il Papa, e il suo è un intervento spettacolare sotto tutti i punti di vista. Il nostro
gruppo è composto da allenatori, animato-
ri, responsabili di attività a vario titolo, e
le parole di Francesco sono un’indicazione
chiara su ciò che degli educatori devono
fare, una bussola con indicati i punti cardinali.
Il Papa ricorda uno dei giorni per lui più
importanti, il 21 settembre 1953. "Era la
festa dello studente e sono passato dalla
mia parrocchia. Ho trovato un prete, che
non conoscevo, e ho sentito la necessità
di confessarmi. Questa
è stata per me un’esperienza di incontro: ho
trovato che qualcuno mi
aspettava. Ma non so
cosa sia successo, non
ricordo, non so proprio
perché fosse quel prete
là, perché avessi sentito
questa voglia di confessarmi, ma la verità è che
qualcuno m’aspettava".
Prima di tutto, quindi, c’è
l’importanza di suscitare
e di cercare un incontro. Poi le tre parole con
cui si comunica la fede:
Gesù, preghiera, testimonianza. "Se andiamo
avanti con l’organizzazione ma senza Gesù non
va bene", dice Francesco,
e Gesù si comunica "solo
testimoniando il Vangelo
attraverso la vita di tutti i giorni. La Chiesa ha bisogno non tanto di maestri, ma di
testimoni". Non servono tante parole, ma
l’esempio, "parlare con la vita", senza l’eccessiva preoccupazione di essere efficienti.
"Fate attenzione al pericolo dell’efficientismo", ha detto il Papa prima di esortare
tutti ad aprirsi, perché "quando la Chiesa si
chiude, si ammala. Dobbiamo parlare con
persone che non la pensano come noi, che
credono ad altro. Tenendo bene presente
che anche loro sono figli di Dio, esattamente come noi".
Durante l’intervento del Papa le teste di
tanti di noi annuiscono e registrano il messaggio. Sentiamo che il Papa ci è vicino e
prega per noi, anche quando nella preghiera - lo ammette lui stesso - si "addormenta
un pochettino".
Rientriamo a Bassano. Sono passate giusto
24 ore dalla partenza e torniamo con qualcosa in più nello zaino, oltre alla comprensibile stanchezza. Sono gioia, gratitudine,
speranza. E c'è anche la bussola che ci ha
lasciato Papa Francesco.
Astr LAB
cdg work in progress
orienta la tua vita
Presentato il nuovo tema 2013 del Comune dei Giovani. Obiettivo puntato sulle scelte e sulla capacità di sapersi orientare nel mare della vita
Durante uno degli ultimi Festival
Giovane, il momento che riunisce
tutti i cittadini e i simpatizzanti del
Comune dei Giovani, oltre al punto delle attività della scorsa annata,
sono stati presentati alcuni dei principali avvenimenti che l’associazione
ha programmato quest’anno, come
il Bassano Rock Festival e la Giovaninfesta, appuntamento usuale
che si aprirà lunedì 3 giugno e proseguirà dal 6 al 9 giugno all’insegna
di musica, cultura e divertimento (il
programma completo in basso nella
pagina).
Ma non è stato solo questo. Infatti si
è anche concluso il tema che ha accompagnato il CdG negli ultimi due
anni, “Voglio fare di me un UNO”,
attraverso il quale i giovani hanno
capito che ciascuno dovrebbe desiderare di diventare protagonista della
propria vita, ispirandosi all’Uno per
eccellenza, Cristo.
Spazio, dunque, ad un nuovo tema. Per
affrontarlo, bisogna fare qualche passo indietro e porsi qualche domanda: come si
diventa degli “Uno”? Si può fare da soli?
Qual è il cammino da affrontare? Quali
scelte dobbiamo intraprendere?
Proprio le scelte sono il punto chiave:
come dobbiamo scegliere nella nostra vita
per poterci orientare al suo interno? È così
che nasce il nome del tema per il 2013:
AstroLAB, come l’astrolabio, lo strumento
che in antichità serviva per misurare l’altezza e la posizione delle stelle, per potersi
così orientare in mezzo al mare. Le scelte
che operiamo ogni giorno, anche le più
piccole, finiscono per influenzare il nostro
futuro. Basti pensare, per esempio, a come
un semplice incontro, un imprevisto o una
decisione presa fuori dagli schemi convenzionali possa del tutto sconvolgere tutto e
cambiarci la vita.
Essendo un tema molto ampio che com-
prende vari argomenti, nel nome risultano in maiuscolo le lettere LAB, segno che
ciascuno può dare il suo contributo per
approfondire e costruire tutti insieme questa tematica, per comprendere la scelta più
importante: voglio fare di me il protagonista della mia vita? Come posso farlo?
Le nostre decisioni hanno spesso a che
fare con temi che il Comune dei Giovani
ha trattato anche negli anni scorsi, come
la libertà, la ricerca della felicità, l’amore.
Non un amore come può essere quello tra
uomo e donna, ma quello che spinge ad
amare gli altri per condurli alla vera realizzazione della loro vita. È un viaggio lungo
e complicato, che nessuno può intraprendere da solo. Ognuno ha bisogno di avere
delle guide e di farsi a sua volta guida per
gli altri, ha bisogno di amici che vogliano il
suo bene e compagni che guardino al suo
stesso obiettivo.
Filippo Mariotto
Un foglio bianco, un progetto, una compagnia
Avere carta bianca davanti ad una proposta vuol dire poter lasciarsi ispirare dal
proprio entusiasmo, dalle proprie fantasie,
per creare qualcosa di grande.
Questo “grande” di cui si parla assume ancora più importanza se condizionerà il percorso educativo di molti giovani.
Tutto nelle tue mani. Qui. Ora.
I ragazzi del Comune dei Giovani sono abituati a questo tipo di richieste e, non si sa
come, riescono quasi sempre a prendere la
scelta giusta. Magari non al primo colpo,
magari non a quindici anni, ma quando
succede, è un gran successo.
Prendere la decisione corretta non sempre
è facile e le domande (via via più esasperate) sbocciano una dietro l’altra, predominate da un unico interrogativo: come?
Ogni persona desidera essere felice, e chi
non l’ha capito! Il vero problema è: come?
Quando? Destra o sinistra? Alto o basso?
Sì o no? Le domande sono tante, ma a volte
la risposta è una sola.
Basta sapersi orientare.
Guarda caso, l’uomo solitario non troverà
mai ciò che cerca: concentrato com’è a dedicarsi a se stesso, potrebbe esserci passato
vicino senza accorgersene. Chi pone fiducia nell’altro e, soprattutto, in chi gli vuole
bene, sarà quantomeno avvantaggiato nel
cammino della vita.
Chi ama, non solo di un amore carnale, sa
quanto la felicità vada custodita e anche
donata.
Li chiamiamo maestri, coloro che vogliono
il nostro bene e che ci aiutano a raggiun-
gerlo.
Quando un ragazzo si trova a dover creare
da una “carta bianca” un grande progetto,
queste figure diventano fondamentali. Per
quanto possa essere emozionante partorire
un’idea completamente nuova, il salto nel
vuoto soli e bendati è per gli ingenui: con
una buona guida e le idee libere di evolversi, si può edificare il proprio sogno con solide fondamenta.
Il processo è stato lo stesso per l’ideazione
del nuovo tema del Comune dei Giovani:
una squadra ha lavorato assieme in simbiosi, diventando così uno maestro dell’altro, tracciando, insieme, un percorso tutto
da scoprire.
Beatrice Lorenzato
sport & EDUCAZIONE
con il patrocinio dell’assessorato alle politiche giovanili
del comune di bassano del grappa
L’importante non è solo partecipare. E’ anche educare
E L’ORGANIZZAZIONE DEL
COMUNE DEI GIOVANI
La pratica sportiva non è sol fatica, impegno e risultato. È anche tensione al bello e attenzione alla persona, al suo compimento e alla sua realizzazione. Serve uno sguardo diverso, su se stessi e sugli altri
Qual è la domanda educativa oggi? Quali
sono i più grandi problemi, nella società
e – di riflesso – anche nello sport? Una
prima analisi porterebbe a concludere che
non sappiamo più educare: gli adulti sono
deboli e poco chiari nel rispetto delle regole in famiglia e fuori, e si verificano situazioni distorte come nel caso dei “genitori
sindacalisti” citati da Antonio Polito nel
libro “Contro i papà”, che descrive proprio
questo fenomeno.
Ad affrontare il tema l’Associazione Sportiva S. Croce ha invitato in due diversi incontri rivolti ad allenatori e dirigenti Giancarlo Ronchi (foto a sinistra), membro della
Compagnia delle Opere Sport, e Antonello
Bolis (foto a destra), docente presso la Facoltà di Scienze della Formazione all’Università Cattolica di Milano e responsabile
dell’Area Pedagogica della Scuola Calcio
Milan.
Ronchi ha sottolineato che il primo obiet-
tivo dello sport è di essere un mezzo per
incrementare il valore della persona, della
sua umanità. Una cosa che accomuna tutti
i ragazzi è la passione per il bello che è il
grande motore della vita perché “non sarebbe possibile affrontare disinteressatamente le fatiche della vita sui monti se le
forze fisiche e muscolari, a ciò necessarie,
non fossero sostenute da una tenace volontà e da un’intelligente passione per il
bello”, ha detto Ronchi citando Giovanni
Paolo II. Sfide, fatiche, impegno e tenacia
sono solo alcune delle cose che servono per
ottenere risultati e soprattutto per crescere
il ragazzo più completo, perché un palleggio ben fatto o un tiro in porta ben riuscito
esprimono una bellezza la fatica fatta per
ottenerli. L’occhio di riguardo bisogna
averlo, quindi, non alla voglia di vincere e
di ottenere solo risultati ma alla voglia di
compimento di crescita e di realizzazione
del bambino o ragazzo che pratica un’atti-
vità sportiva.
Antonello Bolis ha invece rimarcato l’importanza, attraverso la pratica sportiva,
di educare al reale, di far prevalere l’esperienza sulla virtualità di cui è intrisa la
vita dei giovani. E questo per diversi motivi: “per imparare ad accettare il limite
come un dato e riuscire a trasformarlo in
opportunità”, per esaltare la dimensione
relazionale dello sport e per “riscoprire un
rapporto corretto con l’adulto”. Quest’ultimo è fondamentale perché è la guida attraverso cui il ragazzo riscopre il desiderio di
bene, di felicità che c’è in ogni persona. “Il
compito di voi allenatori – ha commentato
Ronchi – è di aver cura dei ragazzi tenendo
presente tutta la persona. Questo è molto
importante perché di solito, nello sport, i
ragazzi vengono trattati e considerati solo
per il particolare su cui sono coinvolti; invece da un particolare si incontra tutta la
persona”.
Però l’allenatore non può avere uno sguardo sugli altri se non ha lo stesso sguardo
su di sé, se non vive quello sguardo su se
stesso.
Come nel caso di Will, protagonista del
cortometraggio “Il Circo della Farfalla”.
Nato senza arti e impiegato come fenomeno da baraccone in un circo, Will un giorno
incontra Mèndez, capo del Circo della Farfalla, che vedendolo esclama stupito “Tu
sei meraviglioso!” e gli fa capire di avere un
valore irriducibile, nonostante il suo essere
senza gambe né braccia. Inizia così un percorso di crescita e di educazione che porta
il protagonista al suo compimento, a dare
un senso a una vita che prima era piena di
tristezza a causa della sua situazione. Tutto
grazie a quell’iniziale sguardo di Mèndez,
grazie a quel “Tu sei meraviglioso!”.
Giulia Fietta
Lun. 3 giugno
20:45
Incontro culturale
Sammy Basso
Ven. 7 giugno
18:30Happy hour con
aperitivo colorato
19:00 Incontro culturale
Marco Verzè
Promotore di iniziative per
aiutare la ricerca sulla sua
malattia, la Progeria
Architetto e scrittore,
Presso sala Martinovich
autore di "Il senso ultimo
delle cose"
20:00
18:30Happy hour con
aperitivo colorato
19:00 Incontro culturale
Rock
22:00
Giov. 6 giugno
Marydolls
Riccardo Tinozzi
Tutor psicologo nella
Juventus, Settore Giovanile
20:00
Good for one day
Alternative / Rock
22:00
Down to ground
Pop-rock
Plan de fuga
Rock
Sab. 8 giugno
Dom. 9 giugno
dalle 8:00 alle 20:00
18:30Happy hour con
aperitivo colorato
Torneo di calcio a 5 di 12 ore 19:00 Incontro culturale
da mezzogiorno
Gif Soccer
Gif Volley
Torneo di green volley 4x4
misto
17:00 Happy hour con
aperitivo colorato
dalle 17:00
Gif Deejay
Dj contest con premio al
migliore
20:30
Premio Pubblico
Sceglierà il pubblico tra
le band del Bassano Rock
Festival, quella da portare
sul palco
22:00
Vanilla Sky
Alternative punk rock
Gabriele Falconi
Centro Aiuto alla Vita
20:00
The Shimmer
British new wave
22:00
Phinx
Electronic / Psychedelic
L’INTERVISTA
LA STANZA DI SHERLOCK HOLMES
Cristiani, un massacro continuo
Un grosso affare
(seconda parte)
Parla Massimo Introvigne, invitato a Bassano per una conferenza sulle persecuzioni religiose. Sono decine di migliaia nel mondo i cristiani che perdono la vita per la fede, e sui
colpevoli spesso cala il silenzio
Abituati a vivere in ambienti lontani da
certi argomenti, la parte della persecuzione e della discriminazione della nostra
fede scivola in secondo piano, anche se in
realtà si rivela molto vicina a noi. Quando
si comincia a parlare di cristianofobia ed
emergono certe cifre si apre una grande,
attualissima questione.
Una visione realistica e molto analitica dei
fatti ce l’ha offerta Massimo Introvigne,
uno dei maggiori conoscitori di questo argomento.
Personalmente anche io, quando ho letto
nel volantino che si sarebbe parlato di “Libertà religiosa, cristianofobia e persecuzione”, mi sono trovato un po’ spiazzato. Con
ancora il dubbio che mi gira in testa, non
mi resta altro che chiedere un’introduzione
direttamente a Introvigne.
Cominciamo. Potrebbe chiarire con
qualche cifra cosa intende per persecuzione dei cristiani nel mondo?
La prima, e forse la più sconcertante, è 105
mila. Sono i cristiani che ogni anno muoiono. Se volessimo fare alcuni conti più dettagliati, equivarrebbe ad un decesso ogni
cinque minuti. E questo basta per far capire le dimensioni del problema. Facendo
un conteggio storico, dai tempi delle persecuzioni dei primi discepoli di Cristo ad
oggi le vittime ammontano a 70 milioni.
Ma il dato più sconcertante è che di questi settanta milioni, 45 si collocano solo
nel ventesimo secolo. Attualmente, dopo la
fine del conflitto in Sud Sudan sono molto
diminuiti.
È sicuramente difficile però trovare governi esplicitamente contro la
libertà religiosa o che attualmente
compiono stragi di credenti. O almeno è quello che la società ricca e
avanzata non ci fa vedere. Chi li uccide? Chi o che cosa si può identificare
come responsabile di tali cifre?
Nominare chi sono gli assassini è pericoloso. Spesso sono coloro che ci comprano
i buoni del tesoro, quelli che ci vendono il
petrolio. È molto più sottile di quanto si
creda, questa persecuzione, almeno quella
attuale. Diciamo che si tenderebbe a intenerirsi sul morto ma a non voler prendere
in esame chi è l’assassino. I responsabili
si possono identificare in ideologie, prima
tra tutte l’ultrafondamentalismo islamico:
questo pensiero è radicato in alcuni stati,
che si manifesta attraverso il contagio delle leggi, come possono essere quelle contro
l’apostasia, la blasfemia o il delitto d’ono-
re. Esclusi questi casi, non si può neanche
dire che non esistano altri governi esplicitamente contro la religione cristiana.
Come secondi grandi responsabili infatti
possiamo identificare i regimi comunisti,
dei quali sopravvivono i regimi asiatici,
come la Corea del Nord, che secondo alcune stime in dieci anni è stata responsabile
della morte di 300 mila cristiani, e la Cina,
nazione priva dei diritti umani che talvolta
nomina vescovi nemmeno credenti. Come
terzo e ultimo grande responsabile vi sono
le forme di nazionalismo religioso, come
l’induismo e il buddismo, una mezza via
tra nazione unita a religione.
Insisto ancora sulle ideologie, cioè
su tutte quelle forme di comportamento molto meno evidenti rispetto
ai precedenti casi. Come si comportano questi colpevoli silenziosi?
È il quarto aspetto della cristianofobia,
diverso dai precedenti. Si tratta della discriminazione e dell’intolleranza, slegate
dai sistemi giuridici di una nazione e da
situazioni apertamente ostili, ma intesi
come fenomeno esclusivamente culturale.
Probabilmente è l’aspetto più vicino alla
nostra vita, rispetto all’ultrafondamentalismo islamico e ai regimi estremisti, che
possono sembrare estranei alla nostra società. Il cattolicesimo è come il fumo: non
si può abolire, ma è meglio evitarlo. Questo
sentimento negativo si sta lentamente infilando in Occidente. L’anticattolicesimo è
l’ultimo degli aspetti fastidiosi, ma dall’intolleranza si passa poi alla legge, come già
accade fuori dall’Europa.
Allora quali sono i motivi che porta-
no all’intolleranza? Probabilmente
questo aspetto è molto più recente,
in quanto non si tratta apertamente di una lotta o di un contrasto. Per
quale motivo sarebbe meglio “evitare” il cattolicesimo?
I cristiani non fanno proselitismo e non
sono una religione militante, e questo li
rende vulnerabili. Allo stesso tempo però il
Cristianesimo contesta le ideologie in ambito civile. Infastidisce.
Concludiamo. Dopo queste osservazioni, quali sono le considerazioni
da fare e che cosa si può fare?
Spesso la silenziosa diplomazia può salvare molte vite umane. Ci sono metodi
alternativi alla televisione e ai giornali: il
più grande social network sono le parrocchie. Bisogna mobilitarle e renderle attive.
Attualmente manca clero, e prima di dichiarare grandi nemici esterni sarebbe il
caso di volgere uno sguardo a quelli interni, ai cattolici che si vergognano di esserlo
e a quelli ultraconservatori. È necessario
stabilire un dialogo con le altre religioni,
specie con l’Islam. Questo già lo sostenne
l’emerito Benedetto XVI. Sono un miliardo
e mezzo, è necessario dialogare! Bisogna
trovare degli interlocutori con cui discutere su almeno tre punti comuni: la rinuncia
al terrorismo, la difesa dei diritti umani secondo criteri di ragione e l’uguaglianza tra
uomo e donna.
Jacopo Bertoncello
INCONTRI / 1
“Sembrano una grande famiglia”
Nelle ultime settimane il CdG ha ricevuto visite di amici vogliosi di andare a fondo su questa originale esperienza educativa
Ciò che ci muove è il desiderio di incontro,
di scambio, di testimonianza, la voglia di
creare delle nuove e vere amicizie.
Questo ha spinto una classe di catechismo
della parrocchia del Duomo di Mestre (VE)
a venire a Bassano per conoscere l’esperienza del Comune dei Giovani e la vita di
don Didimo Mantiero.
Su iniziativa del loro cappellano don Lorenzo, che aveva letto la biografia del sacerdote vicentino, tredici ragazzi accompagnati da tre animatori e da Francesca, la
catechista, hanno incontrato alcuni ministri e cittadini del CdG che li hanno accompagnati nel percorso della mostra su don
Didimo presentata allo scorso Meeting,
percorso che si snoda tra i tre fondamenti
della realtà bassanese: preghiera, formazione e responsabilità. Bastano le parole di
questi giovani alla ricerca, raccolte “a caldo” nel treno del ritorno, per raccontare la
bellezza di questa esperienza.
“Mi hanno colpito le idee di don Didimo:
sia quella dei dieci giusti che quella dei
tre pilastri: formazione integrale, fede, responsabilità”.
“E’ stato bello perché abbiamo avuto un
confronto, loro hanno un modo diverso:
fanno molte cose e ci mettono tutte le loro
forze”.
incontri / 2
“Ci torniamo? Mi è piaciuto molto che il
lunedì non ci sia nulla perché tutti fanno
formazione, non mi è piaciuto che ci sia la
divisione tra maschi e femmine fino ai 18
anni”.
“Mi ha colpito l’impegno, quanto ci credono, la loro passione. Ad un amico direi di
venire qui per l’esempio di accoglienza, al
di là di quel che dicono”.
“Mi porto dentro la loro serietà e dedizione. Penso che non si capisca bene il Comune dei Giovani se non si va a vederlo,
perché sono stati chiari e diretti. Sono stati
veri”.
“Sembrano una grande famiglia”.
Galeotto fu il sito
Come nella storia di Marco e Lucia, protagonisti del recital sulla vita e le opere di
don Didimo Mantiero, anche il novello sacerdote don Andrea Mattuzzi e alcuni degli
animatori della sua parrocchia di Domegliara (Verona) hanno conosciuto attraverso il sito internet www.comunedeigiovani.
it l’esperienza del Comune dei Giovani e
hanno deciso di recarsi ai piedi del Grappa
per incontrare una parte del Consiglio dei
ministri e alcuni collaboratori.
Domenica 14 aprile una delegazione di
giovani veronesi ha raggiunto Bassano e,
attraverso la mostra allestita appositamente e il racconto dei ragazzi di Bassano, ha
avuto modo di capire come si svolgono le
attività e quali sono i principi fondanti del
CdG, della Dieci e della Scuola di Cultura
Cattolica.
Poi, siccome è davanti ad una tavola apparecchiata che si condividono le cose migliori, un succulento pranzo e via ai racconti
della vita e delle esperienze reciproche.
L’emozione è stata grande da entrambe le
parti: per gli uni perché hanno potuto conoscere un’esperienza diversa dalle solite,
concreta, vissuta e attenta al bisogno dei
più giovani come dei più adulti; per gli altri
perché essere testimoni di questi incontri
e di questi scambi spinge a mettersi in gioco con maggiore forza, a migliorarsi continuamente e rendersi conto della fortuna
che ha rappresentato l'incontro con don
Didimo.
Direttore responsabile: Andrea Mariotto
Ministro del giornale: Jacopo Bertoncello
Redazione: Antonio Artuso, Claudio Battaglia, Giovanni Battaglia, Martina Battaglia,
Nicolò Bertoncello, Marina Bizzotto, Matteo Bozzetto, Enrico Fietta, Giulia Fietta,
Beatrice Lorenzato, Paolo Mariotto, Michela Meneghetti, Andrea Menegon, Laura
Peruzzo, Alberto Scalco, Luca Torresan, Francesco Zugno
Impaginazione: Giovanni Battaglia
Direzione e amministrazione: Bassano del Grappa (VI), casella postale n. 220,
Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana.
Autorizzazione: Tribunale di Bassano del Grappa, 7 Agosto 1964, n. 2.
Pubblicità inferiore al 45%
Scriveteci all’indirizzo: c.p. 220, 36061 Bassano del Grappa (VI), oppure a [email protected]
www.comunedeigiovani.it
facebook.com/comunedeigiovani
twitter.com/cdgbassano
MB
“Bello il fatto che non siano soli in questa
impresa, che siano sostenuti, che riescano
a proporre tantissime iniziative e che venga data importanza ai giovani, perché loro
hanno delle responsabilità! Mi è piaciuto
molto il loro simbolo, il fatto che siano uniti (con gli adulti, ndr)”.
“Sono ragazzi normali, non santerellini, e
immagino che sia difficile vivere insieme,
che litighino, ma hanno dato l’idea di essere un bel gruppo. Perché questa cosa duri
da cinquant’anni deve esserci Qualcosa di
più grande che li muove. Questa esperienza ti fa capire quanto sia importante per un
giovane avere delle responsabilità, a volte
siamo sottovalutati, invece questa è una
prima esperienza per affrontare la maturità”.
“Sembra che se la tirino un po’, ma è stato
bello perché si vede che sono seri, che ci
tengono e fondano tutto su Dio. Mi riferisco all’esperienza della Dieci”.
“Mi sono divertita molto perché non è stata
un’uscita tanto per fare, c’era un senso. E
poi c’è un legame tra di noi, anche se non ci
conosciamo ancora bene”.
“Mi piacerebbe che anche nella nostra città
ci fosse un’esperienza del genere, che fossimo più uniti, che ci trovassimo più spesso.
Invece ci sono poche attività, poche presenze, poca voglia”.
Dice Francesca: “Gli animatori sono stati
entusiasti di aver vissuto questa esperienza, e sono rimasti colpiti dall’ospitalità e
dalla ‘classe’ dell’accoglienza, dall’intima
unione di una realtà puntata sull’azione
con la dimensione del flusso continuo di
preghiera generato dalla Dieci. Il protagonismo dei giovani, totalmente liberi e
responsabili di un’organizzazione molto
complessa, ha lasciato il suo segno, come
anche la priorità data alla formazione nella
gestione delle attività. Il tutto ha lasciato
trasparire la gioia di una fede vissuta comunitariamente ed è stato testimonianza
vera. La nostra gratitudine a tutti coloro
che ci hanno seguito ed al Signore che ci ha
guidato fin da loro”.
L’operato del CdG ha senso solo se ci sono
ragazzi come loro, ragazzi che vogliono
andare alla ricerca della verità e che sono
disposti a mettersi in gioco per diventare
degli Uni, unici e irripetibili. Perciò alla
fine siamo noi che dobbiamo ringraziare
per l’opportunità che ci hanno dato.
Marina Bizzotto
Quando Giovanni Roaro si ammalò seriamente, don Luigi Tassoni, che di quell’anima era diventato il segugio, aveva tentato
inutilmente di entrare nella camera di Roaro e tramite la sorella Teresa di cominciare a parlare di vita eterna, di resurrezione
dai morti, di vita beata. Ma il malato era
irremovibile. Sottomettersi ai preti e per
di più di campagna era una umiliazione
insopportabile. Il malato cominciò a vaneggiare e a perdere lucidità. Tra le altre
cose non aveva neanche fatto testamento.
Erano quelli i tempi in cui il diritto di famiglia era ancora al di là da venire. Come
tutti i mediatori di bestiame, confessarsi e
fare testamento costituiva un momento di
debolezza. I familiari erano ancora fiduciosi sul testamento. Infatti avevano allertato il notaio Ziliotto, dichiaratosi sempre
disponibile anche di notte per raccogliere
le ultime volontà del morituro. Quanto alle
questioni di anima, i familiari non potevano far niente. La signora Teresa si era
affidata a don Luigi, il quale stremato dai
continui tentativi si era arreso e ne aveva
parlato con seria preoccupazione durante
il pranzo al parroco don Didimo.
Don Didimo era il prete meno indicato a
parlare con Giovanni Roaro. Tra i due correva una antipatia reciproca. Uno “ruspio”
e l’altro anticlericale.
Don Didimo ebbe una fulminazione mentale e ne parlò a don Luigi. Il primo avrebbe giocato le sue carte con il Signore del tabernacolo, cosa che aveva fatto ancora per
il passato, e l’altro si sarebbe immolato a
precipitarsi in casa Roaro, se vi fosse stata
una ben che minima possibilità. E intanto
Giovanni Roaro si era ulteriormente aggravato. Anima persa, sospirarono i due sacerdoti. Si cominciò pure a parlare di come
sarebbe stato il funerale.
Purtuttavia don Didimo si recò in chiesa.
Ed ebbe la sua sparata. “Signore – pregò –
se la Dieci ti è gradita nella mia parrocchia
dammi un segno: fa che Giovanni si confessi e muoia nella tua pace”.
Sapeva di averla detta grossa. Primo perché gli sembrava di covare ancora il dispiacere di quando il Vescovo Zinato gli aveva
ordinato di distruggere gli elenchi degli
iscritti alla Dieci in tutta Italia e gli aveva
consentito di riprenderla solo nella sua
parrocchia di Santa Croce. E poi perché
alla sua età di quarantasettenne parroco gli
pareva ardito tentare il Signore come aveva fatto da giovane cappellano trentenne
per avere un segno.
Mons. Carlo Zinato, veneziano purosangue, era stato nominato vescovo di Vicenza nel settembre dell’anno 1943, dopo la
morte del suo insigne predecessore mons.
Ferdinando Rodolfi. Quest’ultimo era stato
il vescovo che aveva consacrato sacerdote
don Didimo Mantiero nella cattedrale di
Vicenza il 22 maggio 1927.
Di questo insigne vescovo don Didimo
ebbe sempre una ammirazione incondizionata e ne aveva più di un motivo. Mons.
Ferdinando Rodolfi era stato nominato
vescovo di Vicenza nell’anno 1911 da Papa
Pio X, che lo aveva anticipato ad un sacerdote della Diocesi, prima ancora della
nomina, come “un vescovo che si muove
e vi farà muovere”. Era stato un vero condottiero per la Diocesi, provata dalla prima guerra mondiale e dal periodo del fascismo, contro il quale il vescovo si scagliò
con coraggio unanimemente riconosciuto.
Rodolfi, professore di matematica e fisica,
teologo, filosofo, era un organizzatore formidabile. Fra le attività sue predilette c’era
l’insegnamento della dottrina cristiana ai
fanciulli, che in diocesi di Vicenza organizzò capillarmente e con buona preparazione dei catechisti. Scrisse nel 1942 poco
prima di morire: «Conchiudo, reverendissimi sacerdoti, raccomandandovi che
senza trascurare alcuno degli altri doveri,
tutti importanti, del vostro ministero, abbiate a tenere in somma considerazione
la istruzione catechistica, come quella che
consolida le basi delle fede e forma il carattere cristiano delle generazioni future».
Da tale esempio don Didimo trasse il suo
progetto di catechismo fino al servizio militare di cui fu intrepido, quanto inascoltato,
propugnatore. Mons. Rodolfi santamente
morì consumato da un tumore il 12 gennaio 1943.
Della Dieci, sorta nel 1941 a Santorso, don
Didimo non aveva potuto parlare approfonditamente con Mons. Rodolfi, già minato nella salute.
Con mons. Zinato don Didimo affrontò il
problema a più riprese, ma il Vescovo, da
buon veneziano, navigò al largo. Non disse mai che l’associazione non gli andava a
genio. Ma neppure aveva il coraggio di eliminarla (“Guai ad eliminare una luce che
nasce nella Diocesi”) considerandola una
stravaganza del giovane don Didimo.
Una volta nominato parroco a Santa Croce
nel 1953, don Mantiero chiese devotamente al Vescovo se poteva riprendere la Dieci nella sua parrocchia. Il Vescovo Zinato
glielo consentì. Ma tra lui e don Mantiero
vi fu sempre una scarsa simpatia, aggravata anche da un episodio clamoroso che don
Didimo raccontava ai suoi stretti collaboratori. Durante la prima visita, don Didimo
parroco, per l’amministrazione della cresima nel periodo caldo dell’anno, dopo la cerimonia il Vescovo incontrò il gruppo dei
fabbriceri parrocchiali. Nella sala da pranzo la perpetua Edvige aveva preparato un
vassoio con una bottiglia di vino e una di
grappa fatta in casa. Al momento del brindisi il Vescovo declinò l’invito a sorseggiare
il vino e vista la bottiglia bianca se ne versò
mezzo bicchiere e lo tracannò tutto d’un
fiato, visto che aveva molta sete, pensandola acqua. Fece un salto all’indietro e sputò
per terra quel rinomato prodotto bassanese esclamando: “mi volete avvelenare!”.
Sgomento e panico tra i presenti, tra cui il
parroco, che si prosternò in scuse e riverenze. Ma ormai la frittata era stata fatta.
Alla luce della scarsa simpatia con il Vescovo, don Didimo nutriva qualche dubbio
anche sulla Dieci.
Naturale che di fronte all’aggravarsi della
malattia di Giovanni Roaro don Didimo,
come Abramo, fosse colto dal desiderio di
tentare il Signore.
Pregò, dunque, ed attese.
Era la fine dell’anno 1959. Roaro cominciò
a perdere ogni tanto la lucidità. Di fare testamento neanche la più lontana idea. Di
confessarsi men che meno. Aveva solo 60
anni. Era fuori luogo pensare alla morte.
Don Luigi Tassoni passava quotidianamente chiedendo alla signora Teresa notizie del
malato e se vi era stato qualche segnale di
avvicinamento ai sacramenti. Risposta inesorabilmente negativa. E durante un notte
burrascosa il Giovanni entrò in coma. Don
Luigi e don Didimo persero le speranze di
salvare quell’anima per la quale avevano
impegnato tante attenzioni. Ma al mattino
verso il mezzogiorno don Didimo ricevette
una telefonata in canonica. Il moribondo si
era risvegliato dal coma e pareva disposto
a confessarsi. I parenti avevano inoltrato la
stessa comunicazione al notaio.
Don Luigi Tassoni si precipitò con il suo
Galletto Guzzi in contrada Merlo. Entrò
nella casa del Roaro e ne uscì dopo oltre
due ore, tutto sudato. Giovanni Raoaro si
era finalmente confessato. Entrò pure il
notaio per il testamento, ma il Giovanni rientrò nel coma e dopo poco morì.
Era il 31 dicembre 1959. Don Didimo considerò quell’episodio come un segno del Signore, che per le intercessioni di tante preghiere aveva concesso a Giovanni Raoaro
il tempo per confessarsi ma non per fare
testamento.
E Giovanni Roaro, da buon mediatore, se
ne andò in pace con Dio e perdonato dai
contadini. Finalmente aveva fatto un grosso affare, con la mediazione non sua ma di
altre sconosciute anime oranti, come insegna la sana dottrina cattolica.
FINE
Sherlock