Crisi della Società e Strumenti di Risanamento nell`evoluzione
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Crisi della Società e Strumenti di Risanamento nell`evoluzione
Master in Consulente Legale d’Impresa Prospettive Nazionali e Internazionali Crisi della Società e Strumenti di Risanamento nell’evoluzione normativa a cura di: Avv. Alessandra Piseddu 1 Crisi della Società e Strumenti di Risanamento nell’evoluzione normativa Sommario: - 1. Introduzione: La crisi dell’impresa. 2. La disciplina previgente al D.L. 14 Marzo 2005 n. 35 (c.d. Decreto per la Competitività) 3. Le novità introdotte dalla Riforma Fallimentare attuata dal D.L. 14 Marzo 2005 n. 35 e dal D. Lgs. n. 5/2006: Gli strumenti di risanamento 4. Il Decreto correttivo: D.Lgs. 169/2007. 1. Introduzione: La crisi dell’impresa Il fenomeno della crisi dell’impresa sorge parallelamente alla nascita dell’impresa stessa, essendone una fase fisiologica del ciclo di vita1; ma è soltanto a partire dagli anni ’70 che la crisi dell’impresa diviene una caratteristica permanente del sistema industriale2. Del termine “crisi” si è cercato spesso di dare una definizione univoca. In senso strettamente finanziario, esso è considerato sinonimo di insolvenza, considerando in crisi, l’impresa che “non sia in grado di far fronte alle proprie obbligazioni, o meglio, quando vengano meno le condizioni di liquidità e di credito necessarie per adempiere regolarmente e con mezzi normali, alle obbligazioni contratte”3; secondo altra autorevole opinione, “la crisi si sostanzia nell’instabilità della redditività che porta a rovinose perdite economiche e di valore del capitale, con conseguenti dissesti nei flussi finanziari, perdita della capacità di ottenere finanziamenti 1 Cfr. G. MORANDINI Presidente della Piccola Industria di Confindustria, intervento al Convegno “ Dalla riforma della crisi alla crisi della riforma”, 11 maggio 2007, Milano. 2 Cfr. L. GUATRI, “Crisi e risanamento delle imprese”, Giuffré, Milano, 1986. 3 Cfr. M. ZITO, “Fisiologia e patologia delle crisi di impresa”, Giuffré, Milano, 1999. 2 creditizi per un crollo di fiducia da parte della comunità finanziaria, ma anche da parte dei clienti e fornitori, innescando così, un pericoloso circolo vizioso”4. La crisi d’impresa è, in buona sostanza, causa di un “allarme sociale”: numerosi sono gli interessi che ruotano intorno ad un’impresa e che vengono ad essere minacciati dalla crisi della stessa; crisi che, spesso, è il risultato di un particolare intreccio di condizioni esterne e di fattori interni5. In primo luogo, i creditori dell’imprenditore, i quali individuano nella crisi, l’impossibilità di ottenere quanto è loro dovuto. In secondo luogo, la crisi pregiudica altresì e inevitabilmente i lavoratori dell’impresa stessa. Ancora, più aumentano le dimensioni dell’impresa e le sue relazioni, più il problema può diventare di carattere sociale, andando a travolgere spesso altre imprese. In tal modo, a risentirne, è l’intero sistema economico di un determinato ambito di riferimento, in quanto la crisi di un’impresa può dar luogo a crisi aziendali a catena che pregiudicano la stabilità dell’intero ambito economico. Nell’ambito delle crisi di un’impresa6, è possibile distinguere principalmente tra Crisi da rigidità e Crisi da inefficienza7. 4 Cfr. L. GUATRI, “Turnaround: declino, crisi e ritorno al valore”, EGEA, Milano, 1995. Modalità di manifestazione. Gli indicatori fondamentali del declino di un’impresa sono sostanzialmente tre: a) Caduta della capacità reddituale: l’impresa non produce profitto, anche se aumenta il fatturato (ad es. vendita sottocosto). b) Squilibrio dei flussi finanziari. c) Perdita di vantaggio competitivo. 6 Tipizzazione delle crisi d’impresa. Si possono individuare cinque specie di crisi: 1. Crisi a localizzazione definita: sono dovute alla presenza di cause di degrado identificabili e rimuovibili con relativa facilità e rapidità. Gli interventi risolutivi possono essere rappresentati dalla chiusura di operazioni, o cicli di management, dalla cessione di partecipazioni in perdita, dall’abbandono di produzioni non economiche e interruzione di impianti obsoleti. 2. Crisi di tipo congiunturale: sono dovute agli effetti dei cicli economici. Durante la congiuntura avversa è necessario cercare di ridurre il volume di attività comprimendo i costi. 3. Crisi dovute a perdita di vitalità del sistema aziendale: sono causate dal logoramento del vantaggio competitivo e rendono necessario ripensare ad una nuova strategia d’impresa. 4. Crisi di tipo strutturale: sono dovute a generali difficoltà di settore determinate da circostanze diverse ( forte potere contrattuale degli acquirenti e dei fornitori, competizione esercitata da produttori di altri paesi, ecc.). 5. Crisi di tipo finanziario: difficoltà aziendali causate da errori nella sfera finanziaria. Per un’ampia panoramica in dottrina v. BRUGGER G., “Articolo 160. Condizioni per l’ammissione alla procedura. Profili aziendali, in JORIO A., “Il nuovo diritto fallimentare: commento al r.d. 16 marzo 1942 n. 267. Appendice al d.lgs. 169/2997, Bologna, 2006-2007; JORIO A., in “Corso di diritto commerciale II”, Facoltà di Giurisprudenza, Università Degli Studi di Torino, a.a. 2008/2009. 7 Cfr. PATTI, “Istruttoria prefallimentare e poteri di controllo sulla crisi dell’impresa”, in “Il Fallimento”, 1998. 5 3 La prima, si verifica allorquando il sistema aziendale incontra notevoli difficoltà con l’ambiente esterno e manifesta l’incapacità dell’impresa di reagire alle mutate condizioni8, poiché i costi non riescono ad adattarsi in tempi brevi alle diminuzioni della domanda. Le crisi da rigidità sono quindi connesse a cause esterne all’impresa, in quanto dipendono da fattori assolutamente estranei alla medesima e perciò definite cause congiunturali9, poiché risentono dell’ambiente esterno in cui le imprese si trovano a interagire (materie prime, energia, instabilità dei cambi monetari e dei tassi finanziari). La crisi da inefficienza riguarda, invece, l’ambito interno di un’azienda, e si manifesta quando “una o più aree della gestione operano con rendimenti che non sono in linea con le loro specifiche potenzialità”10. Si tratta dunque, di una crisi connessa a cause interne che dipendono dal patrimonio, dalla struttura e dalla gestione; cioè da tutti quegli elementi che caratterizzano le modalità di conduzione dell’impresa11. Sono perciò, cause strutturali di tipo finanziario quantitativo (eccessivo ricorso al capitale di credito), di tipo finanziario qualitativo (ricorso a forme di finanziamento eccessivamente onerose) e di carattere organizzativo e strutturale12. In realtà, per fini meramente esemplificativi, si potrebbe dire che una società, nel corso della sua vita, può attraversare momenti di crisi o momenti di insolvenza: la situazione di crisi è quella fase della vita dell’impresa che pone a rischio la prospettiva della continuazione dell’attività. Il risanamento, in tali ipotesi, è comunque ancora possibile. Lo stato di insolvenza è, invece, la situazione in cui si trova l’impresa che non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, in quanto il mercato gli ha revocato la fiducia e non gli concede più credito13. Con il termine “insolvenza”, alcuna dottrina, ritiene debba intendersi una delle forme in cui si può manifestare la crisi dell’impresa; con il termine “crisi”, invece, uno status 8 Cfr. SCIARELLI, “La crisi d’impresa: il percorso gestionale e il risanamento nelle piccole e medie imprese”, Padova, 1995. 9 Cfr. PATTI, op. cit. . 10 Cfr. AIROLDI, BRUNETTI, CODA, “Economia Aziendale”, Il Mulino, 1994. 11 Cfr. “L’analisi della crisi dell’impresa”, in La Rivista Online (Scuola superiore dell’economia e delle finanze), anno II, n. 2, febbraio 2005. 12 Cfr. GUATRI, “Crisi e risanamento delle imprese”, Milano 1986. 13 Cfr. FRANCIS LEFEBVRE, “Società commerciali”, IPSOA, 2010. 4 comprensivo di differenti situazioni che possono andare dall’insolvenza irreversibile ad una situazione di squilibrio economico e finanziario14. Acclarata l’esistenza di uno stato effettivo di difficoltà, il problema principale riguarda la scelta della soluzione da attuare come rimedio a quella che può essere definita una “situazione di squilibrio che compromette l’intero assetto economico, finanziario e patrimoniale dell’impresa”15. 2. La disciplina previgente al D.L. 14 Marzo 2005 n. 35 (c.d. Decreto per la Competitività) La legge fallimentare del 194216 ha disciplinato, immutata, la materia delle procedure concorsuali per più di sessanta anni17. Quel Regio Decreto considerava la liquidazione del patrimonio e la conseguente dissoluzione dell’azienda, quale strumento ultimo di regolamentazione del fenomeno dell’insolvenza. L’impronta del Legislatore rispondeva ai principi economici e giuridici propri di quel tempo, fondati su una visione patrimonialista di favor creditoris18. A ciò si aggiungeva l’intento afflittivo con cui il Legislatore del ’42 considerava l’imprenditore insolvente, punito per la sua condotta giudicata riprovevole con l’istituto del fallimento che lo spossessava del suo patrimonio e gli imponeva limitazioni anche di tipo personale19. 14 Cfr. Commissione di Studio UNGDCEC Diritto Fallimentare, “Crisi d’azienda e terzietà del professionista”, Reggio Emilia, 2009. 15 Cfr. SCIARELLI, “La crisi d’impresa”, Padova, 1995. 16 Regio Decreto 16 marzo 1942 n° 267, Gazzetta Ufficiale n°81 Edizione Straordinaria del 6 aprile 1942. 17 La legge fallimentare è stata affiancata dalla Legge n° 95 del 3 aprile 1979 (Legge Prodi) per l’amministrazione delle grandi imprese commerciali in crisi. Una tra le motivazioni che hanno portato all’emanazione di tale Legge è stato il tentativo di risolvere i problemi che si verificavano nel momento in cui un’impresa di grandi dimensioni, per essere stata soggetta ad una procedura concorsuale, cessava l’attività, provocando gravi conseguenze per l’intero sistema economico e sociale. La Legge Prodi si connotava per la sua finalità conservativa delle attività aziendali, da attuarsi mediante la prosecuzione delle stesse. L’obiettivo primo era il salvataggio dal fallimento delle imprese ritenute di maggior interesse per l’economia nazionale. Tale procedura venne abrogata nel 1999 con l’approvazione del D.Lgs. n° 270, su sollecitazione europea per rispetto del principio concorrenziale di non assistenza statale alle imprese. 18 Cfr. M. M. PREDINOLA, “La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art. 182-bis L.F.”, Brescia, 2007. 19 Si trattava dell’obbligo di consegna al Curatore della corrispondenza, dell’obbligo di residenza, dell’iscrizione nel Pubblico Registro dei falliti e della perdita dell’elettorato attivo e passivo. 5 Questi principi rispondevano all’antica tradizione punitiva di repressione del reato anche economico. A tale impianto legislativo, rigido rispetto alle necessità delle imprese e del sistema, si era sommata nel tempo, la sempre più complessa organizzazione delle attività economiche, la quale, suggeriva la riconsiderazione delle procedure concorsuali, nonché la definizione di soluzioni alternative che consentissero la ristrutturazione e il salvataggio dell’impresa. Gli interventi giuridici di riforma dell’impianto normativo fallimentare, dunque, si resero col passare del tempo necessari, al fine di rendere più flessibile la gestione della crisi, introducendo strumenti di carattere prevalentemente negoziale finalizzati a consentire un più efficiente controllo della stessa. Il Legislatore, a partire dal D.L. n° 35 del 2005, poi convertito in Legge n° 80 del 200520, diede avvio alla tanto attesa riforma della disciplina fallimentare, apportando significative modifiche agli istituti della Revocatoria fallimentare e del Concordato preventivo e introducendo, altresì, nel nostro ordinamento la disciplina degli Accordi di ristrutturazione dei debiti con l’art. 182-bis L.F. . Lo scopo della riforma è stata la volontà di recuperare l’impresa, per cui fine della procedura, non è più la mera liquidazione dei beni e il conseguente soddisfacimento dei creditori, bensì la conservazione e il risanamento dell’impresa stessa. Accanto alle procedure liquidatorie sono state infatti introdotte o potenziate, procedure alternative di ristrutturazione o riorganizzazione, il cui obiettivo principale è il recupero dell’economicità aziendale. In particolare, la disciplina degli accordi stragiudiziali introdotta nell’ordinamento italiano dall’art. 182-bis L.F., ha risposto alla volontà di favorire le ipotesi di composizione contrattuale della crisi, affidando la gestione della stessa ai soggetti coinvolti dal dissesto21. Il D.L. n° 35 del 2005 ha, quindi, fortemente assecondato la necessità di predisporre una tutela normativa che prediligesse soluzioni privatistiche della crisi d’impresa. 20 Per un’nalisi preliminare dei principi contenuti nella legge delega, vedi LO CASCIO G., “I principi della legge delega della riforma fallimentare, in Il Fall., 2009, pp. 985 ss. 21 Cfr. M. M. PREDINOLA, “La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art. 182-bis L.F.”, Brescia, 2007. 6 3. Le novità introdotte dalla Riforma Fallimentare attuata dal D.L. 14 Marzo 2005 n. 35 e dal D. Lgs. n. 5/2006: Gli strumenti di risanamento Alla luce dell’evoluzione normativa che ha interessato la disciplina fallimentare nel nostro ordinamento, possiamo affermare che la Legge fallimentare (R.D. 267/42) è stata oggetto di tre successivi interventi riformatori: - una prima Riforma, in vigore per le procedure aperte dal 17 marzo 2005, è contenuta nel c.d. Decreto per la competitività (D.L. n° 35/2005 conv. in Legge n° 80/2005). Essa ha modificato essenzialmente il Concordato preventivo ex art. 160 L.F. e la Revocatoria fallimentare ed ha introdotto gli Accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F. e il Piano attestato di risanamento ex art. 67, comma 3°, lettera d) L.F.; - un secondo intervento si è avuto con la Riforma del Fallimento contenuta nel D.Lgs. 5/2006, applicabile alle procedure aperte dal 16 luglio 2006, che ha rinnovato profondamente i presupposti e la procedura del Fallimento; - l’ultimo intervento normativo è dato dal c.d. decreto correttivo della Riforma , il D.Lgs. n° 169/2007, in vigore per le procedure aperte dal 1° gennaio 2008, il quale ha ulteriormente modificato la legge fallimentare e le norme introdotte dalla Riforma. Con la prima Riforma introdotta dal D.L. n°35/200522, il Legislatore ha offerto alle imprese in crisi, tre strumenti di riorganizzazione tra loro alternativi: (i) il (già noto) concordato preventivo ex art. 160 L.F., (ii) il piano attestato di risanamento ex art. 67 co. 3° lettera d) L.F., (iii) l’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis L.F. . (i) Il “ridisegnato” Concordato preventivo di cui all’art. 160 L.F., contempla e presuppone un accordo volto alla ristrutturazione dei debiti ed al correlato soddisfacimento dei crediti, con la possibilità per il proponente di operare una suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi omogenei, 22 Convertito in Legge n. 80 del 2005. 7 con trattamenti differenziati tra gli appartenenti alle stesse; esso si perfeziona con la sua definitiva omologazione, la quale lo rende efficace anche nei confronti di eventuali creditori dissenzienti23. Il concordato preventivo si sostanzia in un procedimento giudiziale che necessita di un accordo tra l’imprenditore e i suoi creditori, in forza del quale il primo, in stato di difficoltà economico-finanziaria, si obbliga a pagare i propri debiti, proponendo un piano che preveda il soddisfacimento dei crediti; l’imprenditore, in buona sostanza, chiede ai propri creditori di accettare una soddisfazione parziale dei crediti da questi vantati, al fine di scongiurare il fallimento e proseguire l’esercizio dell’impresa24. La società in stato di crisi che voglia evitare la dichiarazione di fallimento può prevenire l’istanza fallimentare dei creditori, proponendo loro un progetto di concordato preventivo che contenga una proposta di risanamento dell’impresa in crisi. Trattandosi tuttavia di un procedimento giudiziale, la proposta di concordato, deve essere sottoposta alla procedura di ammissione da parte del Tribunale del luogo in cui si trova la sede principale dell’impresa. Il Tribunale25, esaminata la domanda di ammissione proposta nella forma del ricorso e valutatane l’ammissibilità26, con decreto dichiara aperta la procedura27; la domanda di concordato ammessa dal tribunale deve essere, poi, approvata dai creditori della società (artt. 171-179 L.F.). Approvato il concordato, si procede alla sua successiva omologazione con decreto motivato entro 6 mesi dalla presentazione della proposta di concordato; avvenuta l’omologazione, si apre la fase esecutiva del concordato, che segue le modalità indicate nel decreto di omologazione28. La novità più rilevante della Riforma della disciplina fallimentare, tuttavia, consiste nell’introduzione all’interno del nostro ordinamento degli Accordi 23 Cfr. CAIAFA, “Nuovo diritto delle procedure concorsuali”, Padova, 2006. Così FRANCESCO COLAVITA, “Concordato preventivo e accordo di ristrutturazione dei debiti”, in http:/studiocolavita.it. 25 In camera di consiglio e alla presenza della società debitrice e del P.M., la cui mancata audizione, determina la nullità insanabile della decisione. 26 Il Tribunale verifica l’esistenza dei presupposti relativi al piano e alla domanda di concordato (art. 162 co. 2 L.F.). Secondo la Giurisprudenza prevalente, il controllo deve estendersi al merito della proposta concordataria, e quindi alla fattibilità del piano concordatario (App. Bologna 1 giugno 2009, Trib. Udine 19 novembre 2008, Trib. Roma 16 aprile 2008). 27 In alternativa, il Tribunale può dichiarare inammissibile la proposta di concordato. Se ne ricorrono i presupposti, può altresì dichiarare con sentenza il fallimento della società, su istanza del creditore o su richiesta del PM. 28 Cfr. FRANCIS LEFEBVRE, “Società commerciali”, IPSOA, 2010. 24 8 stragiudiziali (c.d. Workouts), quali gli Accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis L.F.(soluzione stragiudiziale ibrida o Workout ibrido: essendovi un intervento del Tribunale, in quanto è prevista l’omologa) e i Piani attestati di risanamento ex art. 67 co. 3 lett. d) L.F. (soluzione stragiudiziale pura o Workout puro29: non essendoci alcun intervento da parte del Tribunale). (ii) Il Piano attestato di risanamento (art. 67 L.F.), si configura come il primo passo verso una gestione e soluzione della crisi societaria rimessa all’autonomia dell’imprenditore. L’art. 67 co. 3 lett. d) L.F., lo definisce come un “piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata ai sensi dell’art. 2501-bis co. 4 c.c.” Il piano di risanamento è dunque un fatto interno all’impresa, un atto dell’imprenditore a contenuto negoziale, basato sul raggiungimento dell’intesa tra debitore e creditori (e approvazione da parte di questi ultimi con le maggioranze prescritte dalla legge)30, in cui manca totalmente l’intervento o il coinvolgimento dell’autorità giudiziaria ( donde Workout puro). La società in crisi può, infatti, proporre ai creditori un piano di risanamento che consenta di uscire dalla situazione di crisi e ai creditori di recuperare in tutto o in parte il loro credito. I creditori sono liberi di aderirvi o meno. Il piano è inoltre svincolato da precisi obblighi pubblicitari. Il piano deve, tuttavia, essere oggetto di una attestazione esterna: un professionista deve, dunque, attestare la ragionevolezza e l’idoneità del medesimo a superare la situazione di crisi31. Il professionista deve essere iscritto nel registro dei revisori contabili e deve essere scelto, con competenza esclusiva, dalla società stessa. Essendo del tutto assente l’intervento del tribunale, il Piano produce i suoi effetti senza alcuna autorizzazione da parte della suddetta Autorità. 29 Così G. CIARAMELLA, in “Crisi della società”, ROMA, 2010. Cfr. M. M. PREDINOLA, “La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art. 182-bis L.F.”, Brescia, 2007. 31 Cfr. FRANCIS LEFEBVRE, “Società commerciali”, IPSOA, 2010. 30 9 Un notevole vantaggio dato dalla procedura in questione, deriva inoltre, dal fatto che, il Legislatore ha stabilito che gli atti e i pagamenti posti in essere in esecuzione del Piano, siano del tutto esenti da revocatoria fallimentare; in caso di successivo fallimento della società, dunque, la legge esonera espressamente da revocatoria qualsiasi atto, pagamento o garanzia concessa sui beni del debitore posti in essere in esecuzione del piano attestato. (iii) Il secondo tipo di accordo stragiudiziale introdotto dalla Riforma è l’Accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis L.F.32. Si tratta, in realtà, di un accordo caratterizzato da due fasi: una stragiudiziale, in cui l’imprenditore in crisi rinegozia con i propri creditori la situazione debitoria; ed una giudiziale, in cui il Legislatore, fa derivare l’effettiva produzione degli effetti legali dell’accordo, dall’intervento del Tribunale; per questo motivo possiamo parlare di workout “ibrido”. L’imprenditore in stato di crisi può domandare, depositando la documentazione di cui all’art. 161 L.F., l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il 60 % dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, co. 3° lett. d) sull’attuabilità dell’accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei33. L’accordo è pubblicato nel registro delle imprese e acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione34. 32 Gli accordi di ristrutturazione rappresentano, per contro, un istituto ampiamente conosciuto e diffuso nella prassi, in molte legislazioni straniere. Il principale punto di riferimento è dato dalla legislazione statunitense che, Chapter 11 del Bankruptcy Code, disciplina la Corporate Reorganization, procedura in cui occupano una posizione di rilievo gli accordi tra i debitori in stato di crisi ed i loro creditori. In tale procedura, si prevede che, se vi è almeno una classe di creditori a favore dell’accordo, essa si impone anche ai creditori il cui dissenso rispetto all’accordo non è giustificato. Nel sistema inglese, trova larga applicazione il c.d. London Approach, un sistema basato su regole non scritte dove le banche creditrici, con il coordinamento della Banca d’Inghilterra, si impegnano a fornire alle imprese in stato di crisi, nuova finanza che permetta loro di superare le contingenti difficoltà. In Francia, infine, vige un sistema che offre la possibilità di perfezionare un piano di ristrutturazione del debito sotto l’egida di un magistrato – conciliatore, al quale viene riconosciuta la facoltà di sostituire l’imprenditore nella gestione dell’impresa. 33 Il giudizio del professionista dovrà essere tale da offrire all’Autorità giudiziaria “parametri economici oggettivi e convincenti al fine di evitare il sindacato di merito da parte del Tribunale in fase di omologazione” , D. POSCA, “Concordato preventivo: così le nuove regole” in Leggi e Fisco, 2005, tratto dal sito www.denaro.it. 34 La pubblicazione, che permette a chiunque di prendere visione dell’accordo, ha una duplice finalità: 10 Dalla data di pubblicazione e per 60 giorni, i creditori per titolo e causa anteriori a tale data, non possono iniziare o proseguire azioni cautelari sul patrimonio del debitore. Entro 30 giorni dalla pubblicazione, i creditori possono proporre opposizione35; il Tribunale, decise le opposizioni, procede all’omologazione in camera di consiglio e con decreto motivato. Anche in questo caso, nell’ipotesi di successivo fallimento, per effetto dell’art. 67 co. 3, L.F., sono esenti da revocatoria fallimentare tutti gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo, purché lo stesso sia omologato. È controverso in dottrina, se il giudizio di omologazione debba riguardare anche la valutazione dell’idoneità del piano ad assicurare l’integrale e tempestivo pagamento dei creditori estranei, o se tale giudizio debba limitarsi ad un controllo riguardante l’assoluto rispetto dei criteri di legge posti a fondamento dell’accordo e della sua non contrarietà a norme imperative36. Nel silenzio della legge, deve ritenersi che, ove l’impresa non adempia agli obblighi assunti con l’accordo di ristrutturazione, i creditori aderenti possano domandare la risoluzione dello stesso secondo la disciplina generale prevista in materia contrattuale. I creditori estranei all’accordo non hanno invece interesse ad agire, in quanto non possono essere lesi dall’accordo37. Preme sottolineare, a questo punto, la differenza tra l’istituto in esame e quello del concordato preventivo. Ciò che differenzia principalmente i due istituti, infatti, sta nel fatto che l’accordo di ristrutturazione ha natura tipicamente contrattuale, esso non possiede infatti il connotato del procedimento giudiziale, che caratterizza, invece, il concordato preventivo; non è prevista, dunque, alcuna valutazione di ammissibilità da parte del a) Fissare il momento dal quale comincia a decorrere l’efficacia dell’accordo tra i soggetti che vi hanno preso parte; b) Fornire uno strumento di tutela ai creditori e ai terzi che si sentano danneggiati dall’accordo, dando loro la possibilità di fare opposizione. 35 L’opposizione non sospende l’efficacia dell’accordo, che comincia comunque ad esplicare i suoi effetti dal giorno in cui viene pubblicato nel registro delle imprese. 36 In questo senso, COPPOLA,“L’accordo per la ristrutturazione dei debiti”, in PACCHI, “Il nuovo concordato preventivo. Dallo stato di crisi agli accordi di ristrutturazione”, Milano, 2005. In senso contrario, AMBROSINI, “Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella nuova legge fallimentare: prime riflessioni”, in “Il fall.”, 2005. In giurisprudenza, nel senso che il controllo debba riguardare anche il merito dell’accordo, si è espresso anche il Tribunale di Milano in data 23 Gennaio 2007. Nello stesso senso anche il Tribunale di Bari 21 novembre 2005. 37 Così FRANCIS LEFEBVRE, “Società commerciali”, IPSOA, 2010. 11 Tribunale; l’accordo di ristrutturazione è un contratto di diritto privato concluso in forma scritta dal debitore con uno o più creditori (che rappresentino almeno il 60% dei crediti) e il requisito affinché si perfezioni l’accordo, e quindi avvenga l’omologazione, è il raggiungimento della suddetta percentuale di crediti. Elemento che accomuna l’Accordo di ristrutturazione con il Concordato preventivo è dato, tuttavia, dalla previsione dell’omologazione da parte del Tribunale; caratteristica che manca, invece, totalmente nel Piano di risanamento ex art. 67 co. 3, lett. d) L.F. . Mettendo perciò a confronto, anche l’istituto dell’Accordo di ristrutturazione con quello del Piano di risanamento, risulta evidente come la differenza tra le due fattispecie, consista nel fatto che il secondo, a differenza del primo, non passi attraverso il vaglio giudiziale dell’omologazione, essendosi il Legislatore limitato a prevederne la sola attestazione della ragionevolezza ai sensi dell’art. 2501 – bis c.c. . Il 16 gennaio 2006 è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il D. Lgs. n. 5/2006. Il provvedimento è intervenuto in maniera significativa sulla disciplina concorsuale, a completamento dei primi interventi apportati dal D.L. n. 35/2005. Le novità più significative riguardano la disciplina del Fallimento. Se infatti l’originaria formulazione della legge fallimentare, disegnava il fallimento come una procedura concorsuale liquidatoria e sanzionatoria, tesa ad espellere l’imprenditore insolvente dal mercato e a liquidarne il patrimonio, con la riforma del 2006, il fallimento può anche consentire la conservazione dell’attività d’impresa, attraverso il trasferimento o l’affitto dell’azienda. Dalle ultime riforme, infatti, è percepibile un assottigliamento dei poteri dell’autorità giudiziaria, attribuendo al Giudice Delegato funzioni di controllo e di vigilanza e focalizzando l’attenzione sui poteri del Curatore fallimentare, sotto la vigilanza del comitato dei creditori. Dall’entrata in vigore del D. Lgs. n. 5/2006, Il Giudice Delegato perde, dunque, il suo carattere di centralità nella procedura fallimentare, passando dal compito di dirigere le operazioni a vigilare e controllare sulla regolarità della procedura38. 38 I suoi compiti sono: • Riferire al Tribunale su ogni affare per il quale è richiesto un intervento del collegio; 12 Tra le innovazioni più importanti introdotte con la Riforma del 2006, vi è quella (art.15) con cui il Legislatore italiano introduce il principio dell’audizione obbligatoria del debitore, che nella precedente norma prefallimentare era prevista solo come facoltativa. In tal modo il Legislatore assicura un accertamento a cognizione piena nel contraddittorio tra le parti. Ancora, grazie alla riforma, il Curatore non può disporre dei documenti, cartacei ed elettronici, relativi all’attività passata del fallito, ma ha altresì l’opportunità di seguire l’evoluzione e il mutamento del patrimonio del fallito e dell’impresa dal giorno della dichiarazione di fallimento in poi. A differenza della norma antecedente alla riforma, la corrispondenza non viene più consegnata al Curatore che poi a sua volta consegnava le comunicazioni non attinenti al fallimento al fallito, ma è il fallito che, mantenendo il diritto alla corrispondenza, alla sua ricezione e alla sua disponibilità, ha il compito di consegnare tutto il materiale attinente al fallimento, al Curatore. La Riforma del 2006 ha apportato un alleggerimento anche della posizione del fallito per quanto concerne l’obbligo di dimora: infatti il precedente art. 49 L.F., prevedeva per il fallito l’obbligo di dimora e di doversi presentare sempre personalmente davanti al Curatore ogni qualvolta fosse convocato; con l’attuale riforma, sono venuti meno tali obblighi in quanto considerati in contrasto con la Costituzione39. La nuova disciplina fallimentare prevede che il fallito sia tenuto a comunicare al Curatore ogni cambiamento della propria residenza o del proprio domicilio. • Emettere provvedimenti diretti alla conservazione del patrimonio; • Convocare il Curatore e il Comitato dei creditori; • Liquidare i compensi; • Provvedere ai reclami contro gli atti del Curatore; • Autorizzare il Curatore a stare in giudizio; • Revocare, su richiesta del Curatore, gli avvocati del giudizio e liquidarne i compensi; • Nominare gli arbitri su proposta del Curatore; • Accertare i crediti e i diritti reali vantati da terzi; • Approvare il programma di liquidazione; • Provvedere in caso di inerzia o in operatività del comitato dei creditori. Tutti i provvedimenti sono pronunciati con Decreto motivato. 39 Articolo 13 Costituzione (La libertà personale è inviolabile….), articolo 16 (Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale….). 13 4. Il Decreto correttivo: D. Lgs. 169/2007 Il Governo, in data 15 Giugno 2007, ha approvato uno schema di decreto legislativo che modifica ulteriormente le riforme del 2005 e del 2006. Acquisiti i pareri delle Commissioni della Camera dei Deputati e del Senato, rispettivamente il 25 luglio e il 1° agosto, è stato infatti emanato il D.Lgs. n. 169/2007. Le linee guida della riforma del 2005 appaiono salvaguardate, mentre le novità di maggior rilievo riguardano tre profili specifici. Il primo, concerne il presupposto soggettivo della dichiarazione di fallimento, contenuto nell’art. 1 L.F. ; i parametri di riferimento per determinare i soggetti che sono esclusi dal fallimento non sono più due ma tre40 e devono essere tutti presenti, affinché l’imprenditore sia sottratto alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo41. Va segnalata, altresì, un’altra importante modifica dell’art. 15 comma 9 ove si prevede che, in ogni caso, non possa dichiararsi il fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati, risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare, risulti complessivamente inferiore a 30 mila euro42. Il secondo profilo innovativo, concerne la disciplina del Concordato preventivo; si prevede infatti che, la proposta di concordato preventivo possa disporre che i creditori privilegiati non vengano integralmente soddisfatti, applicandosi così la medesima regola dettata in tema di concordato fallimentare. Il terzo riguarda infine, gli Accordi di ristrutturazione dei debiti, prevedendo all’art. 182 bis L.F. un terzo comma, che prevede che il debitore possa chiedere la protezione 40 Ossia: 1) attivo patrimoniale annuo che, nei tre esercizi precedenti la presentazione dell’istanza, non dovrà essere superiore a 300 mila euro; 2) ricavi lordi annui che, nei tre esercizi precedenti la presentazione dell’istanza, non dovranno superare i 200 mila euro; 3) ammontare dei debiti inferiore ai 500 mila euro, compresi i debiti non scaduti. Si è rovesciato il sistema dell’onere probatorio, talché grava sul debitore il dovere di dimostrare di non aver superato alcuno dei tre parametri. 41 Cfr. . M. M. PREDINOLA, “La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art. 182-bis L.F.”, Brescia, 2007. 42 Tale limite era di 25 mila euro nel D.L. n. 35/2005. 14 del proprio patrimonio da iniziative cautelari e azioni esecutive di terzi estranei all’accordo. Il tribunale potrà infatti stabilire, per un massimo di 60 giorni, la sospensione degli atti esecutivi o cautelari già intrapresi, nonché l’inibizione di azioni esecutive o cautelari da intraprendere43. 43 Cfr. . M. M. PREDINOLA, “La ristrutturazione del debito dell’impresa secondo la novella dell’art. 182-bis L.F.”, Brescia, 2007. 15