Storia e tecnica della motoagricola

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Storia e tecnica della motoagricola
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D’EPOCA
Storia e tecnica
della motoagricola
di Franco Zampicinini
Le tipologie
Schematicamente, la motoagricola
è classificabile in varie tipologie,
ciascuna delle quali si presenta in
molteplici varianti.
Il primo tipo, a due elementi, nasce
semplicemente dall’abbinamento
di un motocoltivatore monoasse a
un rimorchio di modeste dimensioni, collegati rigidamente attraverso
un assale che può essere solo por-
Il primo modello
venne prodotto
in Inghilterra
nel 1946.
Il momento d’oro
per le vendite in Italia
fu a metà
degli anni 70
tante o anche motore (derivando il
moto dalla presa di potenza del
gruppo propulsore). La guida può
avvenire con le stegole oppure con
il volante.
Un’altra versione, di cui è stato
prodotto un limitato numero di
model l i, pera ltro tecnicamente
molto interessanti, è il motocarro a
tre ruote. Alcuni esemplari derivano meccanicamente da un comune motociclo, altri sono stati progettati espressamente per l’impiego agricolo.
Il transporter
Il tipo più evoluto di motoagricola è
quello a telaio portante su telaio
rettangolare, il cosiddetto transporter, a quattro ruote motrici solitamente isodiametriche, cabinato o
meno, con cassone di carico posteriore. Oltre che in agricoltura, questi mezzi trovano largo impiego anche in altri lavori, quali la manutenzione stradale, i lavori edili, la viabilità invernale, le attività forestali.
Rientrano nella categoria delle motoagricole anche i portattrezzi, muniti di pianale di carico anteriore,
con motore da 5 a 15 CV (3-11 kW)
di potenza, impiegabili in particolare per l’azionamento di pompe, irroratrici, seminatrici, falciatrici,
spandiconcime, ecc.
Le sagome, i pesi
e il Codice della strada
A creare non pochi grattacapi ai
costruttori di motoagricole è il Codice della strada del 1959, che esce
proprio quando questa macchina
Il motocarro Ercole della Moto Guzzi, costruito
per molti anni a partire dal 1946, era largamente
usato anche per i trasporti agricoli
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L
a motoagricola nasce, nel
secondo Dopoguerra, dalla
necessità di un mezzo di
trasporto tecnicamente idoneo ed economico, in grado di sostituire nelle aziende agricole il
traino animale. Il problema era particolarmente sentito nelle piccole
cascine di collina e montagna, dove gli agricoltori avevano bisogno
di un mezzo meno costoso di un
trattore e che, al tempo stesso, garantisse una maggiore maneggevolezza su stretti sentieri e terreni fortemente declivi.
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La Opperman
inizia nel 1946
la produzione
in serie
del Motocart,
con telaio a tre
ruote, di cui
quella anteriore
è motrice
L’Aeromere di Trento nel 1961 presenta
il motocarro agricolo TAI 15, con telaio
a due longheroni e motore Lombardini LDA90
4 tempi diesel. Oltre che nella versione
con cassone, può essere dotato di botte,
spandiliquame, spandiconcime, seminatrice
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Motoagricola Hofmann
Universal, ottenuta
dall’accoppiamento
di un motocoltivatore
con motore Fichtel & Sachs
da 6,5 CV a un rimorchio
a due assi, 1948
comincia ad assumere una propria
connotazione e non è più un semplice carretto attaccato a un piccolo motocoltivatore.
Prima dell’emanazione del nuovo
Codice e del relativo regolamento,
i mezzi agricoli erano considerati
degli abusivi della strada, seppur
tollerati. La nuova normativa stabilisce le caratteristiche delle macchine agricole, tra cui quelle specifiche della motoagricola, defi nita
come “veicolo destinato, oltre che
alla esecuzione dei lavori agricoli,
al trasporto per conto delle aziende agrarie di prodotti agricoli e sostanze di uso agrario, nonché di
macchine, attrezzature agricole e
accessori funzionali per le lavorazioni meccanico-agrarie”. Il problema maggiore, che condiziona i
costruttori, sono i limiti di sagoma
e di peso, che sono gli stessi dei
motoveicoli e cioè 4 m di lunghezza, 1,60 di larghezza, 2,50 di altezza e 25 q di peso complessivo.
Per rientrare in questi assurdi limiti vengono escogitati vari espedienti: ad esempio la svizzera Simar
trasforma il proprio motocoltivatore
da 12 CV (9 kW) in veicolo da trasporto con l’applicazione di un cassone e di una cabina con due ruote
direttrici; il gruppo propulsore, posizionato sotto il cassone, avanza
con la marcia indietro.
Le prime motoagricole
Una delle prime e più ingegnose
motoagricole è il Motocart, prodotto in Inghilterra dalla Opperman a
partire dal 1946, che elabora un
prototipo proposto da un agricoltore del luogo. Il modello, con telaio a
triciclo, presenta una ruota anteriore motrice e due ruote posteriori di
minor diametro e con freni a tamburo.
Il motore monocilindrico di 8 CV
(6 kW), raffreddato ad aria, è applicato a fianco della ruota motrice; il
cambio è a 4 marce, la velocità mas-
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Il primo transporter prodotto dalla svizzera
Aebi nel 1963. La fabbrica di Burgdorf,
fondata nel 1883, produrrà nell’arco
di vent’anni oltre 10.000 di questi mezzi
sima sfiora i 18 km/ora, la capacità
di carico è di 15 q.
In quegli anni in Germania alcuni
produttori di motocoltivatori (Hofmann, Holder, Winkelsträter, Bungartz, ecc.) offrono fra i vari optional per i motocoltivatori anche il rimorchio a uno o due assi.
La produzione italiana
In Italia la Moto Guzzi mette sul mercato nel 1946 il suo famoso motocarro Ercole con motore a un cilindro
orizzontale di 500 cm³ della potenza
di 18 CV (13 kW) a 4.300 giri/min,
anche in allestimento agricolo, con
carico massimo di 15 q.
Motocoltivatore Simar trasformato in veicolo da trasporto
con l’applicazione del cassone e della cabina con due ruote direttrici.
Per rimanere entro i limiti di sagoma imposti dal Codice della strada,
il motocoltivatore è posizionato sotto il mezzo e avanza con la marcia
indietro (1960)
Motocoltivatore Bungartz L 5 con rimorchio a due assi (1955)
n i idrau l ici; i l tela io in accia io
stampato, con longheroni e traverse, è ricoperto con un pianale di
carico in legno.
Negli stessi anni un’altra officina
torinese, la Obert, produce il portattrezzi Trebo, con pianale di carico anteriore, a due ruote motrici,
con motore da 12 o 18 CV (9-13 kW);
tra gli accessori disponibili, la barra falciante laterale.
Di una certa originalità è la motoagricola AU della vicentina Zompero, a tre ruote; il motore Acme
SA 550 della potenza di 8 CV (6 kW)
è installato a sbalzo davanti all’unica ruota anteriore motrice.
Un successo crescente
Alla fi ne del 1963 risultano iscritte
all’Uma (Utenti macchine agricole) 7.639 motoagricole, per una potenza complessiva di 81.497 CV, di
130 modelli diversi, prodotti da 46
marche. Oltre la metà delle motoagricole si trova concentrata in otto
province con in testa Trento (999),
seguita da Cuneo, Lecce, Bolzano,
Viterbo, Siracusa, Sondrio e Taranto.
Negli anni successivi la vendita di
queste macchine cresce esponenzialmente: nel 1965 vengono immatricolate 3.209 nuove motoagricole,
numero che nella prima metà degli
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Pubblicizzata con lo slogan “prodigiosa macchina che trasporta e che
si adatta alle più varie lavorazioni
meccanico-agricole” è la motoagricola a tre ruote TAI 15, prodotta
dalla Aeromere di Trento a partire
dal 1961. Dotata di motore Lombardini LDA90, 4 tempi diesel di 572 cm³
e potenza di 12 CV (9 kW) oppure di
un Condor a petrolio, ha due prese di
potenza e cambio a 6 velocità; è in
grado di superare pendenze del 38%.
La motoagricola può essere dotata
di cassone ribaltabile, botte con
pompa, spandiliquame, seminatrice, voltafieno.
Dal semplice abbinamento di un
carrello al motocoltivatore, nei primi anni Sessanta la motoagricola
diventa un mezzo progettato appositamente per i trasporti agricoli. In questo settore si cimentano
con successo numerosi costruttori
italiani, che in molti casi vantano
già esperienza nel campo dei motocoltivatori e delle motofalciatrici,
come Ferrari, Pgs, Bertolini, Camisa, Valpadana, Goldoni, Pasquali,
Barbieri, Caron, A rdea, Bodini,
Ocrim, Nibbi, Mpm Sicilia (Brumi),
Polentes.
I motori provengono per la massima
parte da ditte specializzate, come
Lombardini, Slanzi, Sachs.
Anche altri costruttori si cimentano occasionalmente nel settore
delle motoagricole. È il caso della
torinese Meroni, produttrice dei
trattori Eron, che alla Fiera di Verona del 1961 presenta il TR 25, derivato dal trattore a quattro ruote
isodiametriche D 25, di cui mantiene il motore diesel raffreddato
ad aria, il cambio a 6 marce e i fre-
Motoagricola Goldoni tipo Davide con motore diesel 12 CV, cambio
a 4 velocità, due prese di potenza, portata 17 q (1961)
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Prototipo di motoagricola a due ruote
motrici del Consorzio agrario di Reggio
Emilia, provvista di cassone, botte, pompa
centrifuga e pompa irrorante, circa 1965
Motocoltivatore della tedesca Agria tipo 2700 trasformato in motoagricola,
circa 1965. Disponibile con motori a benzina o diesel da 7 a 21 CV di potenza
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Le Industrie metallurgiche Meroni
di Torino presentano nel 1961
la motoagricola Eron TR 25,
realizzata sulla meccanica
del trattore
D 25, di cui
mantiene
le caratteristiche
fondamentali
La Pgs di Cadeo (Piacenza) all’inizio
degli anni Sessanta produce il transporter
Giungla con cassone a ribaltamento
trilaterale idraulico o fisso. La macchina
può essere dotata di svariate attrezzature
per sgombero neve, pulizia strade, lavori
forestali. Può montare tre diversi motori
diesel con potenza da 35, 52 e 72 CV
anni Settanta si attesta su
5-6.000 macchine all’anno
e sale nel lustro successivo a
va lor i che superano le 1011.000 unità annue (nel 2008 le
motoagricole immatricolate in Italia sono state 2.123; n.d.r.).
La quota delle macchine di produzione estera risulta irrisoria: dal 5%
del 1965 scende al di sotto dell’1%
negli anni successivi. Nel 1985 nel-
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Motoagricola
Nibbi, circa 1965
l a Pen i sol a r i s u lt a no pre sent i
157.000 motoagricole. Solo il 15%
monta un motore a ciclo otto, mentre la prevalenza adotta motori diesel con potenza in genere compresa
tra 8 e 15 CV (9-11 kW).
All’inizio degli anni Sessanta sono
ancora un’assoluta minoranza le
motoagricole a telaio unico.
Questo settore si sviluppa fortemente a partire dalla fi ne degli anni Sessanta, con la realizzazione di transporter sempre più evoluti, pensati, in
particolare per la meccanizzazione
dell’agricoltura di montagna, ma
che troveranno valido impiego anche in ambito non agricolo.
È un fenomeno che coinvolge soprattutto i costruttori italiani e alcune marche svizzere, come Aebi,
Reform, Schilter. Questi mezzi montano motori con potenza che dagli
iniziali 10-15 CV (7-11 kW) sale progressivamente sino a 30-60 CV (2244 kW), aumentandone la polivalenza e la possibilità di impiego in
terreni a elevata pendenza.
Collezionismo
Analogamente a quanto avvenuto
per i motocoltivatori, fi nora le motoagricole sono state pressoché
ignorate dagli appassionati di casa
nostra, con la sola eccezione della
Moto Guzzi Ercole (grazie agli appassionati di moto d’epoca) e della
portattrezzi Obert Trebo, che attira
per la sua originalità. In Gran Bretagna il pionieristico Opperman Motocart è un pezzo piuttosto ambito e
ai raduni se ne possono incontrare
esemplari perfettamente restaurati.
Nelle zone di collina e di montagna,
con un po’ di fortuna si riescono ancora a rinvenire esemplari di motoagricole degli anni Sessanta che
meritano, anche in prospettiva futura, di essere salvati. I prezzi sono
più che abbordabili e non mancano
i mezzi che per il limitato uso sono
ancora in buono stato.
Anche sui siti di vendite all’asta on
line (il più frequentato è eBay) ne
vengono proposti con una certa fre-
Motoagricola Bertolini
BM 12, 1970. Seppure
non consentito
dal Codice
della strada,
le motoagricole
erano frequentemente
impiegate anche
per il trasporto
di persone
quenza. Prima dell’acquisto conviene verificare le condizioni della
meccanica e la completezza del
mezzo.
Il restauro non è in genere particolarmente complesso, tenuto anche
conto che per i motori delle marche
più diffuse non è difficile procurarsi i ricambi.
Per le quotazioni non ci sono punti
di riferimento: in genere poche centinaia di euro sono sufficienti per
accaparrarsi una motoagricola di
cinquant’anni fa in buono stato,
seppure da restaurare.
Franco Zampicinini
[email protected]
“Fiat trattori
dal 1919 a oggi”
di William Dozza
e Massimo MisleyGiorgio Nada
Editore, 2008,
pagine 215,
prezzo 39,00 euro,
per i nostri abbonati 35,10 euro
Tra i grandi che si contendono oggi il mercato
mondiale delle macchine agricole, Fiat è storicamente il primo a costruire trattori a partire dal
1918 ininterrottamente sino ad oggi. John Deere cominciò nel 1924, Massey Ferguson (allora Massey Harris) nel 1930. International, Case,
Ford e molti altri iniziarono a costruire prima di
Fiat, ma hanno cessato l’attività da molto tempo
e se alcuni marchi sopravvivono ancora è perché fanno parte di un gruppo come Case che
appartiene a Fiat, o McCormick ad Argo.
Nonostante questa sua “nobiltà”, di Fiat non è
mai stata scritta una storia organica che ne illustrasse in particolare le origini e gli sviluppi che le hanno consentito di assurgere a dimensioni mondiali. Per colmare questa lacuna
si sono impegnati due noti autori: William Dozza e Massimo Misley. Il primo è lo storico che
negli ultimi dieci anni ha abbondantemente illustrato la produzione italiana dei trattori agricoli. Massimo Misley ha lavorato per trent’anni alla sede centrale di Fiat trattori a Modena,
ricoprendo vari incarichi sino alla direzione del
marketing.
Gli autori si sono valsi della collaborazione del
Centro storico Fiat che ha messo a disposizione
l’archivio fotografico e la documentazione necessari per condensare in poco più di 200 pagine una storia così vasta e complessa rendendola comprensibile ai collezionisti, ma soprattutto a coloro che non immaginerebbero neppure i risvolti economici, politici, industriali, tecnici, finanziari, sociali e umani che stanno dietro a un’impresa con tanti anni e tanti cambiamenti alle spalle.
Gli autori, esaminando
le oltre 1.200 pagine
dei verbali del consiglio di amministrazione
dal 1915 al 1930, hanno trovato la decisione
di Fiat di acquistare la
società Moto Meccanica dell’ingegner Pavesi, che costruiva a Milano il primo trattore italiano a 4 ruote motrici. Correva l’anno 1919, lontano dalla vittoria del P4
al concorso che l’Esercito italiano indisse per la
fornitura di un cospicuo numero di traini artiglieria. L’acquisizione non andò a buon fine, ma dimostra la determinazione di Agnelli a entrare nel
settore agricolo in modo deciso, e non trascinato solo dalla riconversione bellica, come Romeo
e Ansaldo fecero senza fortuna.
Rocambolesca è poi l’avventura, meticolosamente ricostruita dagli autori, della nascita del
modello 50, primo trattore Fiat del Dopoguerra.
Nel 1944, l’officina di Modena, per mancanza di
materie prime, ridusse drasticamente la produzione di trattori e venne requisita dai tedeschi per
la revisione del loro parco macchine, che comprendeva automezzi di una ventina di marche
provenienti da cinque Paesi. Si trattava di un lavoro complesso, impegnativo e faticoso per tutti, salvo per l’ufficio progetti, che non aveva proprio nulla da progettare se non rimediare qualcosa di rotto e pensare a cosa fare una volta passata la buriana. Fu così che l’ingegner Edmondo Tascheri cominciò a disegnare un cingolato per sostituire il 700 e il Boghetto oramai giunti al capolinea. I disegni passarono di soppiatto alla fonderia e all’officina sino a quando fu possibile assemblare un carro che venne completato
da un motore recuperato
da un camion OM Supertaurus. Per sottrarlo ai tedeschi, venne portato nel campo di un contadino amico, e qui “sepolto” sino all’arrivo degli
Alleati, quando fu recuperato e subito attrezzato
per la costruzione che cominciò nel 1946.
Il volume illustra, con foto e caratteristiche
fondamentali, tutta la produzione del marchio
Fiat, poi New Holland, dal prototipo del 702
del 1918 sino agli speciali T 4000 F, T 4000 N,
T 4000 V e TK 4000 presentati all’Eima 2008.
In questi novant’anni la casa torinese ha prodotto più di 540 modelli per alcuni milioni di
esemplari complessivi distribuiti in tutti i conL.D.R.
tinenti.
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90 ANNI DI TRATTORI FIAT
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