Stefano Portelli - Scheda Personale luglio 2016

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Stefano Portelli - Scheda Personale luglio 2016
SCHEDA PERSONALE - DOTTORATO IN INGEGNERIA
DELL’ARCHITETTURA E DELL’URBANISTICA
Cognome e nome:
Stefano Portelli
Data di nascita:
25/11/1976
Tel.:
333 7154900
E-mail:
[email protected]
Ciclo:
XXIX
Presa di servizio: Assegnazione tutor e controrelatore: Tutor: Controrelatore: Stage: Titolo della tesi
Italiano: Il pianto della scavatrice. Trasformazione spaziale e trauma collettivo
Inglese: The Ditchdigger's Tears. Spatial Transformation and Collective Trauma
1. Motivi del tema scelto (massimo 10 righe):
La mia formazione come antropologo culturale si è orientata sin dalla mia Tesi di
Laurea alla ricerca di un'applicazione pratica e pubblica del sapere prodotto dalla
ricerca etnografica; inoltre, da alcuni anni porto avanti questa vocazione svolgendo
l'attività professionale di consulente per lo sviluppo, utilizzando metodologie
etnografiche per la valutazione degli impatti sociali dei progetti. In seguito a un lungo
lavoro di campo in un quartiere della periferia di Barcellona, ho osservato come alcuni
processi di urban renewal o riconfigurazione spaziale – nonostante le intenzioni e le
retoriche che li legittimano – producono effetti profondamente negativi, sulle comunità
coinvolte, determinando una frammentazione sociale ed un aggravamento delle
condizioni psichiche della popolazione, in alcuni casi risultando addirittura traumatici.
Pur potendosi constatare etnograficamente sul terreno, i dati relativi a questo tipo di
dinamiche raramente vengono tenuti in conto dai pianificatori.
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2. Obiettivo della ricerca (massimo 10 righe):
Nel quadro dello spatial turn contemporaneo –la corrente di studi critici che mira a
ristabilire l'importanza dello spazio nelle scienze umane), i processi di urban renewal e
riconfigurazione dello spazio rappresentano dei laboratori di analisi privilegiati: se
osservati con la dovuta attenzione, essi permettono di comprendere empiricamente la
profondità del rapporto che le comunità umane stabiliscono, nel corso del tempo, con
la propria configurazione spaziale; studiando i momenti di rottura è possibile capire le
dimensioni simboliche e culturali dello spazio, e quindi contribuire alla definizione di
metodi di pianificazione più attenti ai valori e significati dei territori su cui si
interviene.
3. Metodo proposto (massimo 10 righe):
Il problema individuato si situa alla confluenza di tre ambiti di ricerca, sui quali ho
lavorato negli anni passati: scienze umane (antropologia e sociologia urbana, storia
della città), discipline dello spazio (scienze urbanistiche, geografia sociale), e discipline
“psi” (psicologia e psichiatria ambientale). Il saggio bibliografico sarà l'occasione per
delimitare l'intersezione di questi tre campi di ricerca, individuando autori chiave che
hanno saputo tenerli insieme, e comprenderne le potenzialità e i limiti del loro
approccio. Successivamente, la scelta di uno o più casi di studio permetterà di situare
queste prospettive alla prova del terreno, realizzando una ricerca etnografica che
contribuisca sia alla conoscenza del(dei) caso(i) specifici, che al miglioramento degli
strumenti teorici esistenti.
4. Stato della ricerca (massimo 3 cartelle):
Analizzando criticamente vari episodi di urban renewal (oltre a quelli che ho studiato
nelle mie precedenti ricerche) attraverso lo studio della letteratura corrispondente, in
alcuni casi anche con visite sul terreno, sto comprendendo che l’urbanistica
contemporanea riproduce un conflitto strutturale tra le forme urbane concepite dai
pianificatori, e le forme spaziali vissute dalla popolazione che abita il territorio. Questa
distanza, già messa in luce da Lefebvre, in alcuni casi particolarmente drammatici può
dar luogo a fenomeni di embodiment (incorporazione): gli abitanti coinvolti in un
processo di riconfigurazione spaziale vivono come un vero e proprio trauma psichico la
trasformazione del loro spazio vitale. L’idea di “fine del mondo” applicata da De
Martino alla perdita di referenti spaziali provocata dall’industrializzazione, o la
comparazione con la “spaesamento” provocato nei nativi dalla ripianificazione dei
territori colonizzati [e restituito da Lévi-Strauss o Jaulin] ci permettono di
interpretare le implicazioni dello urban renewal in forme più profonde, più legate alle
dimensioni simboliche e funzionali dello spazio abitato. Insistere, come spesso si fa,
sulla capacità di adattamento, o sulla resilienza dei gruppi umani, non consente di
vedere fino a che punto adattarsi significa perdere la leggibilità del territorio,
abbandonare forme sociali significative, o risorse collettive costruite storicamente.
Pochi autori hanno analizzato l'impatto dei processi di riconfigurazione spaziale; quasi
tutti i contributi in questo senso provengono dall'ambito “psi”, e si sono concentrati
prevalentemente sull’ondata di trasformazioni urbane degli USA successive allo
Housing Act del 1954. Mark Fried, in “Grieving for a Lost Home” ha lavorato sulla
trasformazione del West End di Boston; Mindy Fullilove in “Root Shock” ha raccolto
testimonianze drammatiche della demolizione dei quartieri afroamericani di varie
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città; Peter Marris in “Loss and Change” ha incluso l'urban renewal e le demolizioni
degli slum tra gli eventi capaci di provocare un trauma paragonabile alla perdita di
una persona cara. I loro approcci, tuttavia, pur contribuendo a delimitare il mio campo
d’interesse, si sono concentrati essenzialmente sugli effetti “micro” di questi processi,
senza analizzarne la dimensione strutturale, cioè il tipo di razionalità e di rapporto con
il territorio implicito nella pianificazione territoriale stessa. Recenti lavori sulle
epistemologie soggiacenti al planning, come quelli di Libby Porter o quelli legati allo
spatial turn contemporaneo [Soja], permettono invece di osservare questi episodi
come le “conseguenze sulle persone” di processi di più ampio respiro (l’espressione è
di Bauman), e quindi di conferire una dimensione più concreta, quasi corporea, al
dibattito sul conflitto e sulla diseguaglianza spaziale.
La dicotomia tra spazio concepito e spazio vissuto è stata ripresa dall’antropologa
Amalia Signorelli in un famoso articolo del 1989, dal titolo “Spazio concreto e spazio
astratto”, in cui studiava il “divario culturale e [lo] squilibrio di potere tra pianificatori e
abitanti”. Per comprendere il “malessere sociale diffuso” che individuava negli abitanti
dei nuovi quartieri pianificati italiani, Signorelli ha studiato un processo di ricostruzione
post-catastrofe nel paese di Monterusciello (Pozzuoli), distrutto dal sisma del 1980. La
perdita dei luoghi, e l’impossibilità di adattarsi ad uno spazio di nuova pianificazione,
configurano un senso di spaesamento e mancanza di referenti, in cui confluiscono il
trauma legato al terremoto, e quello legato al conflitto sociale implicito nel tipo di
ricostruzione pianificata. Così, un processo di ricostruzione necessario e urgente,
legittimato da una catastrofe naturale, produce effetti non sostanzialmente diversi da
quelli dei progetti di urban renewal: un certo tipo di malessere e di trauma risultano
quindi legati intrinsecamente alla pianificazione urbana in sé, prodotti dell’approccio
top-down al territorio che non riesce a (o non si propone di) comprendere la
complessità del rapporto tra società e territorio abitato. Lo studio di casi di questo tipo
mi permette di connettermi alla tradizione antropologica, specificamente italiana, che
analizza il “senso dei luoghi” e il rapporto delle comunità con il proprio spazio [ad
esempio: Teti, La Cecla, Minicuci], ed allo stesso tempo di approfondire le
riflessioni di ampio respiro che antropologi come Margaret Mead e Gregory
Bateson avevano inaugurato già negli anni ’40, sul ruolo che devono avere la
pianificazione e le scienze sociali nel definire che tipo di società si desidera produrre.
5. Risultati attesi (massimo 10 righe):
Il saggio bibliografico si propone di far dialogare il materiale esistente sull'impatto
traumatico della riconfigurazione dello spazio, appartenente ai diversi ambiti
disciplinari individuati, alla luce della letteratura contemporanea sull’urban renewal e
sulle epistemologie della pianificazione. Anche approcci sulla carta più rispettosi degli
aspetti simbolici e culturali dello spazio, che usano espressioni come “pianificazione
partecipativa” o che si dichiarano interessati a preservare l’”identità” delle comunità
coinvolte, possono rivelare invece impliciti sostanzialmente in linea con la
pianificazione top-down e dirigista del passato. La ricerca sul terreno esplorerà la
possibilità di completare tale studio con l'analisi di uno o più contesti specifici,
attraverso uno studio etnografico che sappia tenere insieme gli aspetti psicologici,
urbanistici e politici degli eventi, in una lettura di tipo “sistemico” che renda conto
della complessità della ricostruzione e delle dinamiche di appropriazione dello spazio.
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6. Casi studio proposti (massimo 5 righe):
Pur sorgendo da osservazioni legate ai processi di urban renewal, la mia proposta di
ricerca mira a identificare un caso paradigmatico, in cui il conflitto tra spazio vissuto e
spazio concepito venga portato alle estreme conseguenze. In linea con l’approccio di
Amalia Signorelli, la scelta di un caso di ricostruzione post-catastrofe mi
permetterebbe di osservare in forma più concentrata nel tempo e nello spazio gli
effetti della riconfigurazione spaziale, e l’impatto sociale e psicologico della
trasformazione dello spazio abitato. Un’etnografia della ricostruzione della città di
L’Aquila – eventualmente comparata con la ricostruzione di zone colpite dal sisma di
Campania e Basilicata del 1980 – potrebbe essere uno strumento efficace per studiare
gli impliciti della pianificazione e i suoi impatti sulle comunità e gli individui coinvolti, e
così contribuire anche al dibattito sull’urban renewal.
7. Bibliografia di riferimento (massimo dieci testi):
1. George Simmel, Le metropoli e la vita dello spirito, Roma: Armando Editore, 1996 (1903).
2. Setha Low, Denise Lawrence-Zuniga (eds.),Anthropology of Space and Place: Locating
Culture. Wiley-Blackwell, 2003.
3. Amalia Signorelli, “Spazio concreto e spazio astratto: divario culturale e squilibrio di potere
tra pianificatori e abitanti dei quartieri di edilizia popolare”, La ricerca folklorica, n.20, pp.
13-21, 1989.
4. Mindy Fullilove, Root Shock: How Tearing Up City Neighborhoods Hurts Americans, and
What We Can Do About It, New York: Random House, 2009.
5. Mark Fried, “Grieving for a Lost Home: Psychological Costs of Relocation”, in James Q.
Wilson, ed., Urban Renewal: the Record and the Controversy, MIT Press, 1996.
6. Peter Marris, Loss and Change, New York: Doubleday, 1975.
7. Chester Hartman, David Robinson, “Evictions: the Hidden Housing Problem”, Housing
Policy Debate, vol.14, issue 4, 2003.
8. Gregory Bateson “La pianificazione sociale e il concetto di deutero-apprendimento”, in
Verso un'ecologia della mente, Adelphi, pp. 199-217, 2000 (1942).
9. Edward Soja, The Spatial Turn: The Reassertion of Space in Critical Social Theory. New
York: Verso, 1989.
10. Tom Slater, “The resilience of neoliberal urbanism”, in Opensecurity, 28/1/2014,
<http://www.opendemocracy.net/opensecurity/tom-slater/resilience-of-neoliberal-
urbanism>
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SCHEDA PERSONALE DI VALUTAZIONE
I° ANNO:
Data: - Osservazioni del tutor (massimo 5 righe):
- Osservazioni del controrelatore (massimo 5 righe):
- Osservazioni del collegio (massimo 10 righe):
- Partecipazione ai seminari del dottorato: alta
Approvazione passaggio d’anno: SI
; NO
; media
; bassa
; Proroga
II° ANNO:
Data: - Osservazioni del tutor (massimo 5 righe):
- Osservazioni del controrelatore (massimo 5 righe):
- Osservazioni del collegio (massimo 10 righe):
- Partecipazione ai seminari del dottorato: alta
Approvazione passaggio d’anno: SI
; NO
; media
; bassa
; Proroga
III° ANNO:
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Data: - Relazione finale del tutor (massimo 3 cartelle):
- Relazione del controrelatore (massimo 1 pagina):
- Integrazioni e suggerimenti del collegio alla relazione del tutor
(massimo 10 righe):
Nullaosta all’esame finale
; proposta di proroga
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