FIR2002-7(2) - Centro della Famiglia

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FIR2002-7(2) - Centro della Famiglia
Rappresentazione della morte e attitudine al suicidio nell’anziano
in rapporto alla dimensione familiare
Ines Testoni(1), Antonella Iasella(2), Lucia Ronconi(3)
Il suicidio nella terza e quarta età assume dimensioni sempre più preoccupanti e per questo problema è stato
inserito nelle politiche dell’OMS inerenti alla promozione della salute, nell’ambito della prevenzione. Focalizzando l’attenzione sulle variabili psicosociali relative all’ambiente di vita (vita in famiglia, nella propria casa,
o in una casa di riposo) e sulla relazione tra rappresentazione della morte e attitudine al suicidio, questa ricerca presenta i risultati di uno studio realizzato su 235 soggetti anziani della Lombardia. Il lavoro è stato realizzato utilizzando: (a) la scala di atteggiamento relativa al suicidio Reasons for Living Inventory [RFL] di Marsha Linehan (1983); (b) l’analisi del contenuto (ACL) per rilevare la rappresentazione della morte. I risultati
mostrano che la vita in famiglia o nella propria casa è un importante fattore di protezione rispetto all’idea
suicidaria.
Parole chiave: suicidio, persone anziane, relazioni familiari, rappresentazione della morte, Reasons for Living
Inventory.
Representation of death and attitude toward suicide in the elderly in connection with the family dimension.
Suicide in the elderly has become an important issue and is by now included in the WHO policies concerning
health promotion in the ambit of prevention. Focusing the investigation on the psychosocial variable related to
the living context (living in one’s own home [OH] or in a rest home [RH] ) and on the relationship between
representation of death and attitude to suicide in the elderly, this research presents the results of a study carried out in Lombardy on 235 subjects. Research was done through a) the Reasons for Living Inventory [RFL]
by Marsha Linehan (1983) as regards the issue of suicide; b) content analysis [ACL] by means of the SPAD-T
computerized system on answers obtained to two open questions on the representation of death. Results show
that living in the family is an important protection factor against suicidal ideas.
Key words: suicide, elderly, family relationships, death representation, Reasons for Living Inventory.
Prevenzione del suicidio e condizione dell’anziano
La prevenzione del suicidio, secondo De Leo (1991a, 1991b), avviene per lo più a livello
secondario e, in misura molto minore, terziario, mentre a livello primario, quello che garantisce la
(1)
Ines Testoni è ricercatrice e docente di Psicologia sociale presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Padova; si interessa di temi relativi al rapporto tra sofferenza psicologica e rappresentazioni
della morte (e-mail: [email protected]).
(2)
Lucia Ronconi è tecnica statistica laureata e lavora presso il dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova.
(3)
Antonella Iasella è psicologa e opera nel settore degli interventi territoriali, per progetti di Psicologia della
salute.
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maggiore efficacia, è ancora molto arretrata. Mäkinen e Wasserman (1997) hanno studiato il fenomeno tra il 1970 e il 1988, rapportato ad altre cause di morte e al suo incremento nei Paesi europei,
mostrandone una forte omogeneità e stabilità, che indicano una generale assenza di misure preventive adeguate. Inoltre, gli interventi, che hanno tentato di prevenirlo in specifiche manifestazioni
psicopatologiche e nei disturbi affettivi, hanno ottenuto risultati insoddisfacenti (Bertolote, 1995).
Per quanto sia impossibile ipotizzare di eliminarne l’accadere - afferma Pavan (1999) -, è comunque auspicabile considerare due evidenze sulle quali far preventivamente perno: a) la decisione di
togliersi la vita non è sempre certa ed è spesso accompagnata dal desiderio di vivere; b) la sofferenza che porta all’agito può essere superata anche solo parzialmente per permettere un discreto e nuovo adattamento (Pavan, 1999, p. 90). Le recenti iniziative di promozione della salute, volte ad offrire un ruolo importante anche alla prevenzione primaria, si sono dunque mosse seguendo l’esigenza
di integrare il modello bio-medico con quello ecologico, che offre importanza alle determinanti culturali e situazionali, le quali, messe in ampio rilievo dall’OMS, pongono l’accento sui fattori protettivi, ovvero inerenti alla qualità della vita che incrementano nel soggetto le capacità di coping ed
empowerment (Francescato, Tomai, 1999; WHO, 1986, 1989). Ma l’ottica psicosociale incontra
ulteriori problemi, in quanto ad essa manca l’evidenza dell’impatto; “ciò non toglie — rileva Bertolote (1995) — che seguendo questo orientamento siano definibili sostanzialmente due aree di base:
a) l’identificazione di gruppi vulnerabili; b) la limitazione dell’accesso a specifici metodi suicidari” (p. 16).
Alcune ricerche dimostrano che l’aumento del rischio di suicidio aumenta in funzione dell’età (De Leo, Orinskerk, 1991). De Leo rileva altresì che in tutti i Paesi aderenti all’OMS il tasso di
suicidi tra gli ultrasettantacinquenni è particolarmente allarmante e che questo fenomeno produce
una grave sofferenza in tutti coloro che vengono coinvolti a tale doloroso evento (De Leo, 1997).
Nonostante ciò, rileva lo studioso (De Leo, 1991c), l’attenzione al problema non si è ancora tradotta
in una sistematica volontà di prevenzione.
L’importanza delle variabili psicosociali è stata indagata da Petzel e Riddle (1981), che individuano alcuni fattori intervenienti, alcuni predisponenti/facilitanti, altri al contrario di protezione,
rispetto al rischio di autosoppressione. Tali fattori giocano un ruolo trasversale in tutto il ciclo della
vita, ma nella popolazione degli anziani intervengono con una incidenza maggiore, insieme ad altre
variabili. La fascia di età oltre i 65 anni è infatti particolarmente vulnerabile a causa della forte incidenza di esperienze negative quali il deperimento psicofisico, i lutti, l’isolamento sociale, l’abbandono delle attività lavorative (De Leo e Diekstra, 1990; De Leo e Ormskerk, 1991). Ciò significa
riconsiderare le effettive condizioni degli ultrasessantacinquenni, ovvero quelle che generano profondi vissuti di angoscia, quali il ritiro dal mondo, la perdita del partner, la malattia, la dipendenza,
da cui può derivare come rimedio finale l’autosoppressione. Tra tutti i fattori di rischio/protezione
gode di una importanza specifica la dimensione socio-affettiva. Già l’analisi di Durkheim (1897)
rilevava che una buona integrazione nella vita familiare riduce l’impatto suicidario, idea confermata
in diversi studi su matrimonio e natalità, che hanno evidenziato come tali dimensioni esistenziali
riducano questo rischio (Lester, 1992, 1993) e come aumentino i tentativi suicidari quando la dimensione relazionale sia disgregata (Holding, Buglass, Duffy e Kreitman, 1977; Kreitman e Casey,
1988).
Il pensiero della morte, molto presente nell’anziano, può essere estremamente angosciante
(Cesa Bianchi, 1998; Tacchi, 1995). La gestione del terrore collegata a tale idea è stata ampiamente
analizzata nel campo degli studi della “Terror Management Theory” [TMT], fondata sull’insegnamento dell’antropologo Becker (1973), il quale riconosce come l’uomo si distingua dal mondo animale in quanto, pur condividendo con esso una basilare volontà di vivere, egli è consapevole di dover morire (Goldenberg et al., 2001; Strachan, Pyszczynky, Greeberg e Solomon, 2001) e perciò
organizza la propria esistenza in senso sociale e culturale, al fine di poter gestire questo terrore fondamentale (Pyszczynsky, Greenberg e Solomon, 2000). In siffatto ambito di ricerche è stato considerato come determinati fattori psicosociali possano aumentare la paura della morte e l’incapacità
di gestirla. Tra questi ricordiamo le difficoltà all’interno delle relazioni affettive (Florian, Mikulin-
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cer, Hirschberer, 2002) e delle relazioni sociali (Solomon, Greenberg, Pyszczynsky, 2000). Testoni
(1997, 2001) e Testoni e Zamperini (1998) ritengono che esista un rapporto tra rappresentazioni
della morte e tendenza al suicidio o comunque tendenze autodistruttive. L’idea è stata considerata
da Petzel e Riddle (1981), i quali hanno evidenziato, oltre al ruolo giocato da fattori psicosociali,
l’importanza della “cognizione della morte”, e da Kastenbaum (2000) che ha discusso la questione
all’interno della TMT, indicando come il suicidio possa essere l’esito di un’angoscia talmente dolorosa da rendere la vita insostenibile. Questo ambito appartiene alla dimensione psicosociale e culturale, che, come indicato da Lester, interviene nella costituzione dei rapporto tra qualità della vita e
valore attribuito al vivere (Lester, 1988a, 1988b). Scocco, Meneghel, Caon e De Leo (2001) rilevano come l’argomento del rapporto tra disaffezione alla vita e il pensiero della morte o del suicidio
siano molto studiati rispetto all’adolescenza e raramente rispetto alla vecchiaia, età in cui tali temi
risultano invece estremamente significativi. In questa sede puntiamo dunque l’attenzione su tale
fase del ciclo di vita, ritenendo che si tratti di un nodo importante per indagare il territorio di senso
su cui costruire la prevenzione del suicidio nell’anziano, tesa ad aumentare le capacità di coping di
tali soggetti rispetto all’angoscia mossa dal pensiero della morte. In tal senso accogliamo l’ipotesi
offerta dalla TMT, secondo cui le dinamiche socio-affettive giocano un ruolo di primo piano nella
gestione del terrore, in quanto tale teoria si accorda sostanzialmente con le indicazioni operative
indicate dall’OMS rispetto al rafforzamento dei fattori protettivi implicati nei programmi di promozione della salute e prevenzione dei comportamenti autodistruttivi. In questo ambito la famiglia si
presenta come un fattore di prevenzione altamente riconosciuto.
La ricerca
Obiettivi
Il presente studio analizza una parte specifica di una più vasta ricerca, esposta in Testoni, Iasella, Ronconi (in corso di stampa). Poiché per l’anziano il tema della morte assume una importanza
cruciale, nel piano generale della ricerca si è inteso indagare: a) il rapporto tra forme di rappresentazione della morte e atteggiamenti verso il suicidio; b) il rapporto tra forme di vita dell’anziano, in
famiglia o in casa di riposo, e la rappresentazione della morte rispetto al suicidio. L’ipotesi che ha
guidato l’intera indagine accoglie l’indicazione della TMT secondo cui una buona integrazione sociale attutisce l’angoscia di morte e quindi le sue rappresentazioni, aumentando le ragioni per vivere
(valore dell’esistenza). In questa sede particolare si vuole rilevare se esistano differenze importanti
tra i due gruppi di soggetti rispetto al fattore protettivo relativo alla “famiglia” e alle relative modalità di pensare alla morte.
I soggetti e gli strumenti di indagine
La ricerca è stata realizzata su due gruppi di soggetti ultrasessantacinquenni, residenti in Lombardia: a) un gruppo formato da 115 anziani che vivono in casa di riposo [CR]; b) un gruppo di 120
anziani che vivono in casa propria e sono inseriti in una rete di sostegno sociale attivo (centri di aggregazione per la terza età) [CP]. Poiché il tema trattato è molto delicato e la popolazione interessata
è considerata a rischio, nella scelta dei soggetti si è altresì deciso di rispettare una istanza etica, escludendo coloro che avessero in passato tentato il suicidio, fossero ammalati, soffrissero di depressione,
avessero recentemente subito gravi lutti. Il questionario è stato somministrato individualmente garantendo l’anonimato.
Lo strumento utilizzato è composto di due sezioni:
- La prima parte presenta la domanda aperta: “Quando pensa alla morte, che cosa le viene in mente?”.
- La seconda sezione è una scala di 48 item di tipo Likert “Reasons for Living Inventory-48” [RFL],
ideata e utilizzata da Marsha Linehan (Linehan, 1983; Linehan, Goldstein, Chiles e Nielson 1983)
per valutare gli atteggiamenti verso il suicidio. A differenza di altri strumenti, molto più ansiogeni
(cfr. Testoni, 1997), questo, anziché puntare su aspetti negativi, è totalmente indirizzato a definire le
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ragioni positive per le quali, qualora si presenti il desiderio di autosoppressione, il soggetto scelga di
vivere (egli deve rispondere alle domande presentate sotto questa forma: “Quali sono le ragioni per
le quali, quando ti capita di pensare al suicidio, decidi di vivere?”). Rispetto a questa scala, pur presentando tutti i fattori emersi, centreremo l’analisi relativa alla dimensione “famiglia”.
Analisi dei dati e risultati
Sui dati rilevati con RFL sono state calcolate le frequenze e le percentuali; le medie dei gruppi
sono state comparate con t di Student. Si è quindi proceduto con analisi fattoriale esplorativa
(rotazione Varimax), grazie alla quale sono state costruite 5 scale, il cui livello di correlazione interna
è stato quantificato attraverso l’α di Cronbach. I punteggi fattoriali delle scale sono stati ricodificati
in variabili differenti, cui sono stati attribuiti quattro gradi di intensità (basso, medio-basso, medioalto, alto). Sulle nuove scale e i relativi gradi di intensità sono stati confrontati i punteggi medi dei
due gruppi con t di Student in rapporto alla variabile gruppo, e sono state costruite tavole di contingenza per le variabili socio-anagrafiche, calcolando su di esse la statistica χ2. Sulle risposte alle tre
domande aperte è stata effettuata un’Analisi delle Corrispondenze Lessicali [ACL], una forma di Analisi del Contenuto [AC] semantico-quantitativa di tipo fattoriale (Lasswell, Leites, 1949; Ricolfi,
1997), pensata per variabili categoriali, che utilizza la parola come unità di classificazione, permettendo di ottenere una rappresentazione sintetica e geometrica dell’informazione con la metrica del χ2
(Amaturo, 1989; Losito, 1996; Ricolfi, 1997). Le unità di analisi sono state sottoposte al processo di
lemmatizzazione, per la disambiguazione dei termini (Amaturo, 1989; Belielli, 1989; Bolasco, 1998).
L’elaborazione dell’ACL è stata effettuata secondo procedura informatizzata con il programma Sisteme Portable pour l’Analise des Donnees Textuelles [SPAD-T]. Tramite procedura CORTE, sono stati
eliminati alcuni termini, ritenuti non rilevanti ai fini dell’analisi, sono state rese equivalenti parole
con significato simile, si sono fissate le soglie di frequenza 3 e di lunghezza 4 per la selezione dei
termini da analizzare. Tramite procedura ASPAR sono stati incrociati individui per parole e sugli assi
della tabella ottenuta sono state proiettate le variabili illustrative.
Analisi delle frequenze e analisi fattoriale sul RFL
Dall’analisi delle frequenze emerge che in tutti gli item CP ottengono un risultato significativamente maggiore (p <.05) rispetto a CR; se consideriamo lo strumento come un indicatore dei fattori
di protezione rispetto al rischio di suicidio, il gruppo CR dimostra di goderne in misura minore. É
importante notare che non si sono presentate contraddizioni all’interno dei gruppi e neppure tendenze
bipolari; in tal senso è possibile considerare queste valutazioni come rappresentative dei due gruppi
che risultano chiaramente distinti.
Il gruppo di item che ottiene differenze significative riguarda il tema della famiglia, che sembra giocare un ruolo essenziale nel differenziare CP da CR. Infatti, su questo insieme di variabili - ed
è l’unico caso, poiché sugli altri item i risultati, pur significativamente differenti, presentano frequenze che si orientano nello stesso modo - i due gruppi hanno assunto posizioni opposte: per i CP la faTabella n 1. “Valore della famiglia tra CP e CR”
CP %
CP
CR %
CR
“Importante” Media “Insignificante” Media
84.2
4.97
76.6
2.17
ITEM
1. “Ho una responsabilità verso la famiglia”
p
<.05
9. “La mia famiglia dipende da me e ha bisogno di me”
67.0
4.2
89.5
1.56
<.05
11. “Voglio veder crescere i miei figli”
65.0
3.76
80.0
1.80
<.05
16. “Amo troppo i miei famigliari che mi danno soddisfazione e non potrei
lasciarli”
85.9
4.72
50.8
2.99
<.05
21. “Non sarebbe giusto lasciar che gli altri si prendessero cura dei miei figli”
51.6
3.19
95.7
1.22
<.05
48. “Non vorrei che la mia famiglia pensasse che sono egoista e vigliacco”
54.2
3.37
79.0
1.96
<.05
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miglia è una dimensione che offre buone ragioni per vivere, mentre invece per i CR essa risulta sostanzialmente insignificante, come mostra la Tabella 1.
L’analisi fattoriale è stata calcolata sui due gruppi e ha fatto emergere cinque dimensioni.
Accenniamo inizialmente ai quattro fattori che accompagnano quello relativo alla famiglia (secondo
fattore), (Tabella 2) rispetto al quale ci soffermiamo con un’analisi più dettagliata:
Tabella 2 — Fattori ottenuti con RFL: α di coesione interna e Medie CP e Cr
Fattori ottenuti:
Media CP
Media CR
p
1. Ottimismo: amore per la vita e strategie di sopravvivenza
α
.95
3.09
1.95
<.05
2. Responsabilità verso la famiglia
.91
2.98
1.98
<.05
3. Paura del suicidio
.71
2.70
2.28
<.05
4. Religione
.71
2.49
2.50
n.s.
5. Paura del giudizio altrui
.70
2.56
2.43
n.s.
Il primo fattore “Ottimismo: amore per la vita e strategie di sopravvivenza” (α = .95) raccoglie tutte le ragioni che permettono di affrontare la vita (abilità di coping). Sui quattro gradi di intensità le medie dei due gruppi si collocano diversamente: CP (3.09) rientra nella fascia “medioalta”, mentre CR (1.95) cade in quella medio-bassa. Il terzo fattore “Paura del suicidio” riguarda le
variabili inerenti all’atto di auto-soppressione. Su questa dimensione ottenere una media di punteggi bassi significa pensare all’atto suicidario senza eccessiva paura; sono i CR a distinguersi in tal
senso ottenendo una media significativamente minore. Il quarto fattore “Religione” chiama in causa la dimensione socio-culturale in senso stretto, ovvero riguardante il rimedio religioso. Su questa
dimensione non si sono date differenze tra i punteggi medi dei due gruppi. Il quinto fattore “Paura
del giudizio altrui” mette in gioco un aspetto psicosociale importante delle relazioni umane, quello
che interessa la volontà di essere considerati positivamente dagli altri. Per entrambi i gruppi questa
non è una ragione abbastanza importante per non togliersi la vita (medio-basso).
Il secondo fattore “Responsabilità verso la famiglia” raccoglie le variabili relative ai rapporti
socio affettivi dell’ordine familiare. Similmente a quanto manifestato nell’analisi delle frequenze,
in cui i due gruppi hanno assunto posizioni addirittura antitetiche, in questa scala le medie differiscono significativamente, a svantaggio di CR (vedi Tabella 2). Viene dunque in luce come, per coloro che vivono in casa di riposo, l’allentamento dei legami affettivi indebolisca la potenza di questa realtà rispetto alla protezione dall’idea suicidaria. Relativamente alle differenze socioTabella 3 — Item saturati nel fattore 3: “Responsabilità verso la famiglia”
Numero Item:
Valore
1
Ho una responsabilità verso la famiglia
.60
9
La mia famiglia dipende da me e ha bisogno di me
.61
11
Voglio veder crescere i miei figli
.75
16
Amo troppo i miei familiari che mi danno soddisfazione e non potrei lasciarli
.71
21
Non sarebbe giusto lasciar che gli altri si prendessero cura dei miei figli
.62
28
L’effetto sui miei figli potrebbe essere nocivo
.81
30
Ferirei troppo i miei familiari e non vorrei che soffrissero
.80
47
Non vorrei che la mia famiglia si sentisse colpevole dopo
.67
48
Non vorrei che la mia famiglia pensasse che sono egoista e vigliacco
.52
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anagrafiche, una variabile importante è l’avere figli (che si colloca nella media dei punteggi a livello alto e medio-alto), rispetto al non averne (livello medio-basso).
Analisi del contenuto [ACL] relativa alla rappresentazione della morte
Le risposte ottenute alla domanda sulla morte è stata sottoposta ad ACL con SPAD-T e sono
stati analizzati due fattori, incrociandoli rispettivamente per ottenere piani fattoriali da cui estrarre
aree di prevalenza semantica. Le variabili illustrative utilizzate per i piani fattoriali sono: sesso, età,
stato civile, titolo di studio, religione/ateismo, figli, gruppo CP/CR, posizione sulle dimensioni RFL.
Ecco il bilancio delle risposte di tutti i soggetti: 235 è il numero totale delle risposte ottenute; 1665 il
numero delle parole; 550 le parole distinte (33%). Attraverso la procedura CORTE si è proceduto con
il riconoscimento delle sinonimie, con la cancellazione dei termini insignificanti (preposizioni, congiunzioni, ecc.), la riduzione di soglia di frequenza a 3 (la più utilizzata in questo tipo di analisi), il
coagulo di parole per non perdere il valore semantico delle diverse espressioni linguistiche (cfr. Testoni, 2000).
L’analisi fattoriale ha dato luogo a quattro fattori (inerzia 20.27%), dei quali vengono considerati i primi due (inerzia spiegata: 10.43%).
Il primo fattore: “Non esser di peso alla famiglia e ritrovare i familiari” mette in evidenza una
Tabella 4 — Costrutti del primo fattore: “Non esser di peso alla famiglia e ritrovare i familiari”
Semiasse -
Coord.
Ca%
Cq
Semiasse +
Coord.
Ca%
Cq
Miei-Morti
- 1.12
8.9
.11
Prego-Dio
1.85
4
.08
SperaAldilà
- 1.48
7.7
.011
Punto-di-morte
0.86
1.85
.03
Morte=Serenità
- 1.38
4.5
.06
Cosa-ci-sarà
- 1.61
4.1
.07
VicinoDio
- 1.52
2.7
.05
VoglioMorire
- 0.44
2.1
.03
Famiglia
- 0.66
1.9
.03
Fine-della-vita
- 0.69
1.1
.01
Paura-essere-peso
- 0.61
0.9
.01
Sono-stanco
- 0.39
0.3
.01
Buona-morte
- 0.17
0.2
.00
Morte-veloce
- 0.28
0.1
.00
contrapposizione metafisica importante tra desiderio di morire e pensare di affidarsi a Dio sul punto
della morte (Tabella 4).
Infatti sul semiasse negativo si collocano le ragioni affettive per cui la morte viene pensata
come voluta e tra queste emerge l’importanza dei legami familiari, per un verso riguardante il desiderio di ricongiungersi ai cari estinti, per l’altro la paura di essere di peso ai familiari in vita; a questa importante polarità che spinge verso il morire si accompagnano la stanchezza e la speranza che
oltre la vita ci sia un’eternità divina ad attendere chi muore. Sul semiasse positivo invece il pensare
alla morte riguarda l’immaginarsi morente e quindi scompaiono tutte le figure dell’esistenza terrena,
per produrre un’astrazione totalmente inscritta nella preghiera a Dio.
Il secondo fattore: “Incontrerò la/il congiunta/o, ma ora voglio vivere”, pur mettendo ancora
in evidenza il valore del rapporto di coppia che viene immaginato protrarsi oltre la morte, individua,
al contrario del precedente fattore, la volontà di vivere, che si manifesta secondo due polarità. Nel
semiasse negativo essa si esprime come il mettersi nelle mani di Dio e come speranza che la salute
allontani il momento di ricongiungimento al coniuge (Tabella 5). Nel semiasse positivo invece essa
è messa in luce dalla volontà di vivere e dal considerare la morte “brutta”, poiché significa abbando-
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Tabella 5 — Costrutti del secondo fattore:”Incontrerò la/il congiunto ma ora voglio vivere”
Semiasse -
Coord.
Ca%
Cq
Volontà-di-Dio
- 5.26
33.1
.04
Spera-Salute
- 3.68
16.2
Incontrare-Moglie/Marito
- 1.92
4.4
Semiasse +
Coord.
Ca%
Cq
Penso-alla-vita
0.68
0.9
.02
.23
Evento-naturale
0.83
5.2
.07
.05
Adattarsi
0.73
4.4
.06
Lasciare tutto
0.2
0.2
.00
Non–ci-penso
0.72
9
.13
Funerale
1.19
2.2
.02
Morte=brutta
0.21
0.1
.00
Non-lo-so
0.49
0.5
.01
Voglio-vivere
0.58
0.5
.01
Buona-morte
0.18
0.2
.00
nare tutto, e dallo sperare che almeno, in quanto evento inevitabile (“naturale”) cui adattarsi, non
faccia soffrire.
Figura 1. Rappresentazione dell’incrocio del fattore: “Non essere di peso alla famiglia
e ritrovare il familiare” e del fattore: Incontrerò la/il coniuge, ma ora voglio vivere”
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I piani fattoriali
Incrociando i due fattori è stato ottenuto un piano fattoriale da cui emergono 3 aree di prevalenza semantica (Figura 1).
Area I. In questa area (in cui si collocano perlopiù i soggetti del gruppo CP, maschi, con una scolarizzazione fino alla scuola elementare, coloro che appartengono alla fascia medio-alta rispetto alla
responsabilità nei confronti della famiglia [2a scala RFL], coloro che danno grande importanza al
giudizio degli altri [5a scale RFL]) la morte, per quanto sia considerata come qualcosa di imponderabile (“non lo so”), è rappresentata come naturale, brutta, da temere e l’unica speranza è quella che
quando essa arriverà almeno non porti sofferenza (“buona morte”); la volontà più importante è quella
di vivere e di non pensare né a lei né al funerale, fino a quando non si raggiunga il punto di morte;
Area 2: Questa seconda area (in cui si collocano: i vedovi, le donne, coloro che hanno figli e dunque
ottengono un punteggio alto sulla 2a scala della famiglia in RFL, ma anche un punteggio medio-alto
rispetto al giudizio altrui [5a scala RFL]) è contraddistinta da una maggiore depressione, determinata
dalla paura di essere di peso ai familiari in vita, dalla stanchezza, dalla volontà di morire, dalla speranza in una morte veloce che porti serenità nell’aldilà, ove sia possibile appagare il desiderio di ricongiungersi con i cari estinti e al coniuge. Se compariamo queste due prime aree dunque notiamo la
diversa distribuzione tra uomini e donne, ove i primi sembrano più ottimisti e le seconde molto più
pessimiste. In tal senso rileviamo che la differenza di genere è una variabile importante, in quanto
attraversa CP e CR dimostrando che per la donna la vecchiaia è più difficile da gestire che non per
l’uomo.
Area 3: In questo territorio semantico (cui appartengono i soggetti CR, gli analfabeti, i nubili/celibi,
che ottengono un punteggio medio-basso rispetto alle abilità di coping [Ia scala RFL] e basso rispetto
al valore della famiglia [2a scala RFL]) la morte è considerata come manifestazione della volontà di
Dio, al quale dedicare la preghiera, nella speranza di mantenersi in buona salute. In questo territorio
appare chiara la mancanza di qualsiasi appiglio alle reti relazionali affettive e l’unica speranza riguarda la sola condizione somatica. Possiamo in tal senso considerare questa condizione come un stremo
abbandono rispetto alla vita, ove l’unica azione compiuta si estingue nella preghiera.
Conclusioni
Da questa indagine emerge che, se le relazioni affettive sono un fattore rilevante di protezione
rispetto al rischio di depressione e suicidio, è importante che gli anziani non vengano abbandonati
nel momento più difficile della vita. Coloro che vivono in casa di riposo dimostrano di avere a disposizione pochi strumenti per dare senso alla propria esistenza. Ma, accanto a questa condizione, si
evidenzia un ulteriore problema inerente alla condizione della donna-madre, la quale sembra vivere
la vecchiaia molto peggio dell’uomo. Si tratta di quella figura che nelle generazioni passate è stata
considerata centrale nella vita della famiglia e che ora probabilmente si trova a non saper più come
ridisegnare il proprio ruolo, una volta che figli e nipoti le fanno capire di non aver più bisogno di lei.
Poiché dunque donne e uomini ricoverati in casa di riposo dimostrano di potersi avvalere di pochi
fattori di protezione rispetto al pensiero del suicidio e, come indicato dalla TMT, la morte può essere
addirittura desiderata perché viene immaginata come opportunità per ritrovare persone care scomparse, riteniamo che a queste persone debba essere rivolta una particolare attenzione nei programmi
di prevenzione dal suicidio. Sebbene negli ultimi decenni siano state messe in essere strategie di sostegno sociale che cercano di mantenere l’anziano in ambienti a lui conosciuti e cari, per limitare il
fenomeno dell’alta mortalità conseguente al primo periodo di ricovero in strutture protette (Predazzi
e Macchi, 1992; Tacchi, 1995), la prima risorsa che rimane centrale e che deve essere mobilitata a
livello sociale, attraverso opportuni interventi di sensibilizzazione, non può che essere la famiglia.
Poiché quando si è giovani non si pensa a che cosa significhi essere “soli” dinanzi ad un futuro che
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prospetta come unico traguardo la morte, e inoltre poiché la popolazione anziana è destinata ad aumentare in misura considerevole (Berbardini, 1990; Golini e Lori, 1991) trasformandosi ormai in un
autentico problema sociale (Zocchi Del Trecco, 1993), accanto alla prospettiva di un impegno globale che coinvolga tutti i settori dell’organizzazione sociale (Capuani e Piana, 1991), indichiamo
l’opportunità che si realizzino programmi di “educazione affettiva”, simili a quelli già messi in essere per il matrimonio o per la nascita dei figli, affinché le famiglie siano sensibilizzate a considerare
che cosa significhi diventare vecchi; va tenuto conto inoltre che il raggiungimento di una età ragguardevole è nelle speranze di tutti rispetto al futuro di ognuno.
La famiglia può altresì essere, oltre che un essenziale fattore protettivo, l’agente che promuove ulteriori benefici. Se consideriamo gli indicatori relativi alla capacità di empowerment segnalati
da Francescato e Tomai (1999), comparandoli con i risultati ottenuti dai due gruppi, si rende evidente quanto il sottogruppo CR (che ha ottenuto valori significativamente più bassi nella scala RFL)
abbia bisogno di un intervento che migliori le capacità di coping nei confronti della vita. In tal senso
i familiari possono: a) aumentare negli anziani il grado di empowerment individuale con il miglioramento del grado di fiducia verso il futuro, offrendo loro la consapevolezza di poter influenzare gli
eventi oltre che esserne influenzati; b) migliorare la loro capacità di cogliere le opportunità offerte
dall’ambiente; c) sviluppare la loro capacità di valutare se stessi permettendo di sentirsi integrati
nella comunità di appartenenza; d) offrire occasioni di crescita e utilità; e) individuare opportunità
concrete per migliorare la loro qualità della vita (cfr. Francescato e Tomai, 1999).
Il secondo ed essenziale problema che deve essere considerato è che all’interno della famiglia
coloro che si fanno carico degli anziani sono perlopiù le donne (problema della “tripla presenza”,
per cui alla donna oggi è richiesto di: a) curare familiari e casa; b) essere inserita nel mondo del lavoro; c) curare gli anziani della famiglia (cfr. Valentini, 1997). In tal senso il processo di educazione
affettiva - parallelo agli ineludibili e percettibili aiuti da parte della realtà territoriale, alla quale è
richiesto di implementare e ottimizzare l’incontro tra famiglia e servizi (cfr. Cigoli, 1992) - deve
trovare strategie di responsabilizzazione dell’uomo, affinché appunto il livello di richiesta alla donna
non sia per un verso eccessivo e per l’altro produca in vecchiaia la condizione di sofferenza che abbiamo indicato in questo studio.
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