dei Motus. Un`identità fatta di innesti

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dei Motus. Un`identità fatta di innesti
"MDLSX" dei Motus. Un'identità fatta di innesti
Venerdì 22 Aprile 2016
Recensione di "MDLSX", spettacolo con Silvia Calderoni, regia di Enrico Casagrande e
Daniela Nicolò, tratto dal romanzo di Jeffrey Eugenides, andato in scena al Teatro degli Atti
di Rimini
Un momento di MDLSX (foto Diane)
C'è una scena, tra le più toccanti dello spettacolo dei Motus, che può offrire un buon punto di partenza per una riflessione
scritta. La Calliope, detta Callie, del romanzo Middlesex di Jeffrey Eugenides pubblicato nel 2002 – che successivamente
abdicherà a quel dolce suffisso da ragazzina, decidendo di chiamarsi Cal, e basta, un nome che non lascia spazio a
determinazioni – entra nella biblioteca pubblica di New York.
Durante una visita medica le è stata diagnosticata una forma di “ipospadia”; una parola sconosciuta alla ragazzina, calata
dall'alto di un sapere specialistico chiuso. Questa parola continua a rigirarle in testa, come spesso accade per il lessico
medico, ammaliante e ominoso allo stesso tempo: e dunque eccola recarsi in biblioteca, aprire il Webster's Dictionary e
consultare il lemma misterioso.
Partendo da “ipospadia” il dizionario irretisce Cal in un gioco di rimandi e di sinonimi: si veda alla voce “eunuco”; si veda alla
voce “ermafrodito”; si giunga infine a “mostro”. La società, attraverso il suo strumento di sapere e definizione per eccellenza,
ha finalmente emesso il suo verdetto. Cal rientrerà nella categoria del “mostro”.
“Questa cazzo di parola mi perseguita!”: l'urlo di Silvia Calderoni, da sola sul palco, si ripete in un delay e rimane sospeso a
mezz'aria prima di dissolversi del tutto. Chiave di volta dello spettacolo: Cal scappa, abbandona i suoi i genitori, abbandona
ogni ansia di catalogazione e decide di auto-definirsi. Da questo momento in poi la sua identità sessuale forzerà i limiti angusti
del naturalismo, scompaginerà le convezioni e si espanderà fino ai limiti del pansessualismo.
La nuova identità di Cal sarà interamente autodeterminata, poiché ha preso atto dell'artificiosità di qualsiasi definizione umana
Rimininotizie
e dell'ambiguità insita nel mondo naturale. Le orchidee che fioriscono e appassiscono in un batter d'occhio, nel bellissimo e
ronsardiano time-lapse proiettato sulle quinte, non sono forse ermafrodite?
Cal sarà ermafrodito assoluto, in-definito fino alla fine, anche attraverso la comica (forse involontariamente) traslazione del
paradigma giuridico in campo sessuale, tratta dal Manifesto contra-Sessuale di Preciado. Si capisce: in una società che usa
la forza per definire il soggetto, attraverso norme, istituzioni e punizioni (lo spettro di Foucault si aggira in queste lande), chi
vuole cambiare identità si deve prestare alle stesse regole, e stipulare davanti a tutti un contratto sessuale. Un Habeas corpus
davvero preso alla lettera.
Un mostro, dunque? Sì, ma nel senso arcaico: qualcosa di mirabile, da esporre. Più che una Wunderkammer, un
Wunderleib, un corpo delle meraviglie che fa spalancare la bocca a tutti. Non solo a noi, spettatori in platea, che seguiamo i
guizzi e le partiture somatiche del corpo danzante di Cal(deroni). Ma anche, nel gioco di rimandi narrativi fatto dai Motus, a
quei “normali” e insospettabili spettatori che assistono allo spettacolo di Cal (personaggio): una peculiare forma acquatica di
peep show, nonché geniale rilettura voyeuristica del mito greco di partenza.
Il corpo di Cal, in fuga dalle convenzioni, trova dunque una legittimazione diventando oggetto del desiderio per le pulsioni
recondite di un pubblico: i suoi sguardi sedotti hanno un effetto terapeutico su Cal, che finalmente accetta la propria vaghezza
sessuale.
Allo stesso modo, per un intelligente trovata registica (Enrico Casagrande), lo spettatore sarà in continuazione spronato a
decidere che corpo guardare, e dunque quale forma fissare nella convenzione fittizia: quello in carne e ossa, che si agita e
balla sul palco, che si tocca, di deforma, si espone? Oppure quello che Cal stessa decide di farci vedere, inquadrandolo con
una telecamera mobile e proiettandolo sulle quinte, autonomamente?
A questo punto è chiaro che il gioco di intrecci fra Eugenides, innesti teorici di biopolitica queer (Preciado, Butler) e biografia
della Calderoni, si assesta su un equilibrio perfetto e indistricabile. È grazie a questo equilibrio drammaturgico, firma di
Daniela Niccolò e della stessa Calderoni, che MDLSX riesce a stemperare i suoi momenti più speculativi attraverso
un'intelligente ironia; ed è grazie ai video, ai costumi e soprattutto alle musiche, che si riesce a ritmare benissimo una
narrazione nata fuori dal palco – pensiamo soprattutto alla scaletta musicale, usata per scandire i capitoli di questa biografia
“senza limiti”.
Insomma, MDLSX riesce a dribblare tutto il kitsch teorico che in questi anni si è sedimentato attorno al tema del corpo, della
“nuda vita”, della visceralità, in agguato soprattutto dietro a uno spettacolo come questo; e riesce nell'intento perché si affida
ad una sincerità totale (la scelta di proiettare i video famigliari privatissimi di Calderoni ed esporli al pubblico è coraggiosa e
commuovente) e ad una leggerezza teorica che non pretende di avere l'ultima parola.
MDLSX
con Silvia Calderoni
regia Enrico Casagrande & Daniela Nicolò
drammaturgia Daniela Nicolò & Silvia Calderoni
suoni Enrico Casagrande
in collaborazione con Paolo Panella e Damiano Bagli
luce e video Alessio Spirli
produzione Elisa Bartolucci & Valentina Zangari
distribuzione estera Lisa Gilardino tour manager Ilaria Mancia
produzione Motus 2015 in collaborazione con La Villette - Résidence d’artistes 2015 Parigi, Create to Connect (EU project)
Bunker/ Mladi Levi Festival Lubiana, Santarcangelo 2015 Festival Internazionale del Teatro in Piazza, L’arboreto - Teatro
Dimora di Mondaino, MARCHE TEATRO
Visto il 21 aprile 2016 al Teatro degli Atti, Rimini
Iacopo Gardelli
Cultura
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