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Santinelli - 3 x 300 - wumingfoundation.com - Marzo 2009
Tre x 300
Tre postille a margine di Allegoria e guerra in “300” di Wu Ming 1
Anna Luisa Santinelli
sin dove è utile, salvo poi generare nel tessuto della trama, uno scarto,
uno iato, una spudorata assenza ogniqualvolta torni vantaggioso, accorgimenti questi, conformi a supportare la strumentale allegoria che soggiace
all’impianto del film: il parallelo, tutto ideologico, tra il sacrificio di
Sparta alle Termopili e l’impegno bellico statunitense contro Irak e “Stati
canaglia”. In parole povere, l’apologia della sconsiderata politica estera
(sfoga qui il tuo dissenso!) dell’era G.W.Bush.
... si cominciava, in direzione del nemico distante qualche centinaio di metri, una marcia ordinata che terminava spesso a passo di corsa: gli Spartani la compivano in un silenzio impressionante, al solo suono del flauto, mentre altri la punteggiavano di suoni
di trombe, di grida e di peana di attacco, in onore di Ares-Enialio.
(Y. Garlan, L’uomo e la guerra)
Fateci caso: nel film il sostantivo “Spartani!” è gridato in modo ossessivamente evocativo: “Spartani!” “Spartani!”, “Spartani!”. È un modo per creare immedesimazione.
Siete voi, audience americana, gli Spartani.
(Wu Ming 1)
* Una precisazione: nel fumetto ”300”, l’autore Frank Miller, consulente del regista
Zack Snyder per il film, cita come fonte principale per la sua graphic novel, il saggio di
Victor Davis Hanson, L’arte occidentale della guerra, Mondadori, Milano 1990.
In sintesi, ecco tre glosse per evidenziare altrettante mancanze più che
sospette:
Una serie di coincidenze fortuite racchiusa nello spazio di pochi giorni –
la lettura della poesia di C.Kavafis Termopili, una conversazione tra amici sugli eserciti del mondo antico e il casuale inciampo in una bizzarra
nota a firma KzJ (1) in calce a un intervento sul NIE – mi ha invogliato a
riascoltare la Lezione su “300” tenuta da Wu Ming 1 (Torino, primavera
2007) e indotto a ragionare nuovamente sulla pellicola.
Esito di tale operosità di sinapsi, la formulazione di tre postille volta a integrare l’analisi puntuale e articolata della conferenza torinese. Quello
che segue può essere così riassunto: sceneggiatura e regia del lungometraggio in questione, si avvalgono in modo rigoroso delle fonti storiche
1) La scomparsa del corsaletto/corazza degli opliti: l’istinto è quello di
esaurire la questione con un enunciato spiccio: la “nudità eroica” si addice più alla statuaria che ai campi di battaglia, specie se ci si trova ad affrontare una formazione irta di aste acuminate come una falange greca.
Tuttavia, è preferibile circostanziare e procedere con ordine.
Un intero capitolo del saggio di Victor Davis Hanson, il sesto, è dedicato
alla descrizione meticolosa del “fardello dell’oplite”, ovvero caratteristi1
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che, evoluzioni e modalità di utilizzo dell’equipaggiamento da guerra
greco.
Fin qui tutto bene. L’approccio alla documentazione storica della coppia
Miller/Snyder è irreprensibile: l’armamento offensivo-difensivo (picca da
urto, hoplon, elmo corinzio, schinieri) è raffigurato con minuzia sia nel
fumetto che nel film. Anzi, la cura di certi dettagli balza agli occhi, come
la riproduzione sugli scudi della lettera “lambda”, iniziale dell’antico
nome di Sparta. Ma un elemento della panoplia manca all’appello: la corazza che ricopre il busto dei soldati, di norma indossata su una corta tunica. Hanson dedica all’argomento quattro pagine, descrivendone le svariate tipologie, le problematiche dovute al surriscaldamento nei mesi estivi e al peso. Ecco un estratto del paragrafo:
2) La scomparsa della caccia agli Iloti: Krypteia. Wu Ming 1 ne parla.
È l’iniziazione a cui sono sottoposti i giovani Spartani, gli ireni, per accedere alla condizione di combattenti adulti. Si realizza attraverso la segregazione temporanea (allontanamento dal gruppo di appartenenza) e, tipico dei riti di passaggio, l’inversione di segno: gli ireni agiscono di notte,
singolarmente, con vesti e armi ridotte al minimo. Per contro, gli opliti
combattono di giorno, collettivamente, protetti da una pesante panoplia.
I cripti, in questa fase, sono degli anti-opliti:
È singolare che questo tipo di armatura, [in bronzo, modello a campana] che copriva
tanto il torso quanto la schiena, non sia caduto in disuso in Grecia fino all’inizio del secolo V, quando fecero la loro comparsa i modelli più leggeri in bronzo e anche in cuoio
e tessuto, nonostante che non si dovessero temere attacchi alle spalle. Ma anche allora i
fanti consideravano necessaria una certa protezione al corpo, e l’ipotesi che alcuni opliti
alla fine del secolo V non avessero la corazza è probabilmente erronea. È invece sorprendente che gli opliti, per più generazioni, continuassero a sopportare il corsaletto in
piastre, un tipo di corazza che doveva stancare chi lo portava in pochi minuti, dati il
peso notevole e la rigidità. Possiamo farci un’idea di quanto fosse scomoda la corazza,
grazie ai frequenti riferimenti in tutta la letteratura greca... (Hanson, p. 88)
La pellicola ci mostra un Leonida adolescente impegnato in una pericolosa caccia al lupo. Il futuro re è solo, seminudo nonostante la neve. Fin qui
tutto bene. Snyder e Miller ci raccontano la durezza dell’allenamento a
cui l’iniziando è sottoposto e di nuovo l’impiego delle fonti appare ineccepibile, ma...
Nel mondo antico la morte è fattore di contaminazione per l’intera comunità; per renderla “accettabile”, non sacrilega, è necessario ritualizzarla,
inserirla in un contesto di legittimazione, regolamentarla, ad esempio tramite una dichiarazione di guerra ufficiale: ogni anno Sparta dichiara
guerra agli iloti. Scopo del “bellum iustum” è tenere sotto controllo l’entità numerica degli iloti affinché il rapporto non si sbilanci a sfavore degli
spartiati. A Sparta il problema demografico non è cosa di poco conto:
I cripti, cioè i “nascosti”, venivano inviati in pieno inverno nelle più remote regioni del
territorio, senza provviste e muniti di un semplice coltello, con la consegna di non farsi
vedere, di nutrirsi mediante piccoli furti e di darsi nottetempo alla caccia agli iloti a cui
gli efori avevano dichiarato guerra. (Y.Garlan, p. 74)
Nel film nessuna corazza riveste i combattenti. La fanteria pesante americ... oops... greca, sfoggia toraci intarsiati da muscoli tra “le armi in dotazione”.
Addomi cesellati, quale equipaggiamento migliore per suggerire un’immagine da “milizia testosteronica”, prontamente riutilizzata dalla propaganda destrorsa del Belpaese?
L’aspetto più gravoso della condizione degli iloti consisteva nell’oppressione che si manifestava, fra l’altro, nel fatto che ogni anno erano oggetto di una formale dichiarazione
di guerra e che ogni “elemento sospetto” poteva essere ucciso in modo arbitrario. La du-
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rezza di questo regime era dovuta al fatto che gli spartiati temevano la superiorità numerica degli iloti. (D.Lotze, p. 29)
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La sottomissione degli iloti passa attraverso l’eliminazione fisica delle
eccedenze. La krypteia, oltre a forgiare i nuovi opliti, serve indirettamente anche a questo. Nel film, come sottolineato da Wu Ming1, l’omicidio
degli iloti è assente. Tutto si riduce a una semplice caccia al lupo.
“Con lo scudo o sopra lo scudo”. L’aforisma è arcinoto. Nel film è la regina Gorgo a pronunciarlo. È il motto che le donne spartane rivolgono a
figli e mariti alla vigilia di ogni guerra. É un invito perentorio a ritornare
vincitori (con lo scudo) o in alternativa, morti di morte eroica (viste le dimensioni, l’hoplon può essere usato per il trasporto di un cadavere).
Tertium non datur.
Perché tornare vivi ma senza scudo non è concesso? È presto detto:
3) La scomparsa dell’omosessualità: in questo caso l’omissione è sfacciata. A dispetto della boutade di KzJ, di sodomia intesa in senso lato, se
ne vede assai poca. Ogni riferimento alla pederastia difatti sparisce intenzionalmente. Un passaggio esplicito di V.D.Hanson può servire a svelare
inequivocabili intenti:
Lo scudo concorre a proteggere, oltre a colui che lo porta, anche il compagno alla sua
sinistra. L’arma diviene un simbolo: mentre l’eroe epico può sbarazzarsi di essa per girarsi, sottrarsi alla pressione del nemico o mettersi in salvo, l’oplita non può farlo senza
lasciare i ranghi, senza compromettere la coesione della falange, senza, in una parola,
abbandonare i compagni. (G.Brizzi, p. 68)
[...] alcune testimonianze indicano come in tutta la Grecia le amicizie omosessuali fossero un fattore che contribuiva al morale della singola falange; a Sparta, per esempio, la
separazione tra i sessi in tenera età, insieme con taluni atteggiamenti propri anche di altri Greci circa il ruolo delle donne, determinava relazioni palesemente omosessuali che
ruotavano intorno alla vita militare. Non v’è dubbio che questi solidi legami avessero
modo di esplicarsi anche sul campo di battaglia e contribuiscono a spiegare l’eroismo
degli Spartani, in particolare nelle sconfitte gloriose, dalle Termopili (480 a.C.) a Leuttra (371 a.C.) in cui quegli uomini preferirono l’annientamento all’onta della fuga.
(Hanson, pp. 138-139)
In poche parole, il rapporto omoerotico è tatticamente funzionale al combattimento oplitico: i fanti combattono letteralmente spalla contro spalla,
lo scudo copre il fianco sinistro del soldato che lo imbraccia e nel contempo il destro di chi sta accanto. Ancora V.D. Hanson:
In primo luogo l’armamento e la tattica della falange antica si addicevano perfettamente
all’ideale della lealtà e dell’amicizia; il combattimento in colonne anziché schierati in linea portava tutti gli uomini a stretto contatto tra loro: un atto di coraggio o di viltà di
uno era colto da tutti coloro che combattevano nei ranghi dietro, davanti e di fianco a lui
[...]
Tucidide rilevava che il tipo di equipaggiamento dell’oplite – lo scudo in particolare –
faceva sì che la protezione del fianco destro di ciascun soldato dipendesse dall’uomo
che si trovava alla sua destra. I soldati non soltanto dovevano raccogliersi in ranghi
compatti prima della battaglia, ma dovevano mantenere quella formazione anche dopo
che era iniziato il combattimento [...] l’oplite non cercava tanto di vedere o udire gli
amici che aveva a fianco, quanto di “sentirli”. (Hanson, p. 133)
Torniamo per un attimo al film. Assodata l’equazione “lacedemoni =
esercito statunitense”, la circostanza risulta imbarazzante, considerata
l’ottica sottintesa dal regista. E se proprio di omosessualità si deve parlare, allora la si attribuisce, ovviamente, al nemico, ma nelle forme di una
effeminatezza sgradevole - le movenze, le allusioni, la voce di Serse - per
suggerire mollezza e decadenza di costumi, attributi sempre riconducibili
allo schieramento di parte avversa, i Persiani
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il perimetro del Politecnico difeso con coraggio e le parole di Leonida
gridate all’unisono dagli studenti, diventano istanze di libertà da reclamare contro i soprusi della dittatura. Battaglia per il ripristino di una democrazia vera e non esportata in modo coercitivo. Simbolo di una lotta impari spazzata via dall’arroganza dei cingolati, che sembra quasi inverare
la toccante poesia di C. Kavafis con cui mi congedo.
Gettare lo scudo (così pesante da essere subito abbandonato in caso di
fuga) significa palesare codardia e sguarnire il fianco del proprio vicino:
situazione impensabile se il commilitone è... un amante!
Facile allora credere che l’omosessualità non sia ostacolata, quanto semmai incoraggiata. Principio perfettamente riassunto in un altro passaggio
di Hanson:
Termopili
[...] lo scrittore militare del secolo I d.C. Onasandro, nel rievocare la guerra greca, concludeva che gli uomini del passato combattevano meglio quando “il fratello si trova nella fila a fianco del fratello, l’amico a fianco dell’amico, l’amante a fianco dell’amante”
(Hanson, p.138)
Onore a quanti nella loro vita
decisero difese di Termopili.
Mai dal loro dovere essi recedono;
in ogni azione equilibrati e giusti,
con dolore, peraltro e compassione,
se ricchi, generosi; anche nel poco
generosi se poveri; solerti
a soccorrere gli altri più che possono,
capaci solo della verità,
senza neppure odiare i mentitori.
Nel film tra i compagni d’armi schierati fianco a fianco, l’amicizia virile
non si spinge mai oltre un vigoroso cameratismo e i legami più stretti
sono di natura parentale (padre/figlio). La pederastia, anche solo in forma
di accenno, non è contemplata.
Gli “Spartani statunitensi” non sono mai amanti.
E di più grande onore sono degni
se prevedono (e molti lo prevedono)
che spunterà da ultimo un Efialte
e i Persiani, alla fine, passeranno.
Al termine di questo excursus tra storia, politica e fiction, mi piace ricordare una rivisitazione dell’episodio delle Termopili dissimile rispetto a
quella analizzata. Mi riferisco al romanzo L’oracolo, datato 1990, scritto
da un V.M. Manfredi all’epoca semisconosciuto. Il racconto ambientato
in Grecia durante la Dittatura dei colonnelli, si apre con un episodio noto,
l’occupazione pacifica del Politecnico di Atene (1973) come forma di
protesta contro la giunta golpista. All’ingiunzione di resa da parte della
polizia militare, gli universitari rispondono in coro “Molòn Lavè!”(2),
parole simili a quelle indirizzate da Leonida ai Persiani, a seguito dell’ordine di consegna delle armi: ”Vieni, e prendile!”
In quel contesto la leggenda delle Termopili si rinnova. Il luogo geografico protetto da trecento opliti, coincide nell’immaginario romanzesco con
Costantino Kavafis
(1) In margine a un testo esplicito di KzJ (Jadel Andreetto)
Alla nota n. 54 si legge:
Su “300”, il graphic novel, ma anche la pellicola (tolta la storia d’amore, i mostri e le
bombe a mano, che nel fumetto non ci sono), la penso in modo diverso da Wm1. Certo
a prima vista un’opera del genere potrebbe tranquillamente venir letta, più o meno ironi4
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camente, sotto l’egida del motto Sport, Fascismo e Sodomia, ma consentitemi la boutade, non è che Nuovo, Epico e Italiano suoni poi così meno “marziale”…
BIBLIOGRAFIA:
Brizzi, G., Le grandi battaglie nell’antichità, Archeo, annoVII, n. 6, Giugno 1992.
Garlan, Y., L’uomo e la guerra, in AA.VV. L’uomo greco, a cura di J.P.Vernant, Laterza, Bari 1991
Hanson, V.D., L’arte occidentale della guerra, Mondadori, Milano 1990.
Lotze, D., Storia greca, Il Mulino, Bologna 1998
Manfredi, V.M., L’oracolo (romanzo), Mondadori, Milano 1990.
Kavafis, C., Poesie, a cura di Pontani F.M., Mondadori, Milano 1991.
Wu Ming 1, Allegoria e guerra in “300”, La valle dell’Eden, anno IX, n.18. È la versione cartacea, più approfondita, della lezione tenuta a Torino. Si trova qui
(2) Non è da escludere che l’episodio suggerito da Manfredi sia vero e non un semplice
espediente narrativo inventato dal romanziere. Purtroppo non sono riuscita a trovare notizie certe su questo particolare dettaglio.
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