Alle origini del gesto grafico

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Alle origini del gesto grafico
A.E.D.
Alle origini del gesto grafico
Contributi sulla neurofisiologia dell’atto scrittorio
di Carla Valleggi
Indice
Introduzione
pag. 2
I
- Problema e ricerca
>>
3
II
- Origine e sviluppo del linguaggio scritto
>>
4
III - La componente psicologica del processo grafico
>>
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IV - Ruolo dell’analisi uditiva nel processo grafico
>>
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V
- Ruolo dell’articolazione nel processo grafico
>>
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VI
- L’organizzazione visiva del processo grafico
>>
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>>
18
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21
>>
23
>>
25
>>
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VII - Condizioni psicofisiologiche per la conservazione
della consequenzialità dei suoni nella scrittura
VIII - Conservazione del senso della parola e suoi fondamenti
psicofisiologici
IX - Scrittura a mano e scrittura a tastiera
X
- La disgrafia oggi
XI - Perché “rieducare” la propria scrittura
Riferimenti bibliografici
Introduzione
“Se continui a scrivere in questo modo, non ti correggerò più il compito: è
illeggibile!”
È questa la frase ricorrente che rivolgevo a Francesco, allievo della scuola
media.
La sua scrittura mi poneva problemi di vera e propria decifrazione, ma non
sapevo come intervenire. Ritenevo che il modo di scrivere, ormai acquisito,
non lasciasse più spazio a cambiamenti di rilievo.
Francesco era un ragazzo intelligente, brillante in matematica, pieno di
interessi.
L’ho incontrato un po’ di tempo dopo: era stato bocciato in prima liceo e
questo certamente deve aver minato la fiducia nelle sue possibilità.
Mi sono avvicinata alla rieducazione della scrittura forse per un debito che ho
nei confronti di Francesco e dei tanti allievi che hanno espresso nella loro
grafia, la “fatica di scrivere”: comprendere meglio i meccanismi che stanno
alla base dell’atto scrittorio potrà contribuire a porsi in modo diverso nei
confronti di quei ragazzi che esprimono nella scrittura il loro intimo disagio.
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I
Problema e ricerca
L’alunno, per poter imparare a scrivere, deve saper distinguere bene i suoni
del discorso, deve assimilare bene il modo in cui sono scritte le lettere, quindi
eseguire gli esercizi motori necessari per rappresentarle.
Nel processo di acquisizione grafica sono implicate numerose operazioni
psicologiche e l’insegnante deve prendere in considerazione il ruolo che in
questo processo esercitano l’analisi uditiva, l’articolazione (che assicura una
corretta pronunzia), la conservazione della forma visiva delle lettere e
l’esecuzione di precise pratiche motorie.
Non è però chiaro quale ruolo giochi nel processo grafico ciascuno di questi
fattori.
La ricerca di Lurija ha lo scopo di precisare i processi psicofisiologici implicati
nel processo grafico, studiando quali sistemi della corteccia cerebrale
partecipino a tale processo e come, in presenza di alterazione del normale
lavoro dei singoli settori della corteccia cerebrale, il processo grafico ne risulti
alterato.
L’analisi dell’alterazione del processo grafico sarà utile per capire meglio la
sua normale strutturazione psicofisiologica e consentirà di rispondere alle
domande che sorgono sulle difficoltà del linguaggio grafico.
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II
Origine e sviluppo del linguaggio scritto
Il processo grafico viene annoverato dalla psicologia tra le forme più
complesse e coscienti dell’attività linguistica.
Mentre il linguaggio parlato è assimilato in modo del tutto pratico per
adattamento al mondo degli adulti e la sua articolazione rimane a lungo
inconscia, la scrittura è invece fin dall’inizio un atto consapevole, che si
realizza intenzionalmente in un processo apprenditivo specifico e cosciente.
Il bambino che deve scrivere una parola ha sempre a che fare con i suoni che
compongono questa parola e con le lettere mediante le quali deve scriverla.
Di conseguenza, oggetto del suo apprendimento deve essere fin dall’inizio il
metodo, mediante il quale deve individuare la parola necessaria e la
sequenza dei suoni che distingue una determinata parola da un’altra simile.
All’inizio, il linguaggio scritto non è utilizzato dal bambino come mezzo di
comunicazione. Tutta la sua attenzione è dedicata alla scomposizione delle
parole in suoni e alla loro trascrizione in lettere.
Solo dopo un anno e mezzo, due anni di esercizio, la scrittura diventa
gradualmente mezzo di comunicazione e l’attività grafica incomincia a
trasformarsi in vero linguaggio scritto. Inoltre, l’apprendimento iniziale della
scrittura presuppone anche un importante progresso del linguaggio parlato.
Nelle fasi iniziali dell’attività grafica ogni singola operazione, come l’analisi
fonetica della scrittura, la ricerca di ogni singola lettera e la sua forma, si
presentano quali atti separati e appresi indipendentemente.
Da principio, persino la scrittura di ogni singola lettera si scompone in una
serie di atti isolati e come ha dimostrato nelle sue ricerche E.V. Gurjanov,
solo dalla combinazione di questi singoli atti coscienti, risulta la scrittura
dell’intera lettera.
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Con lo sviluppo dell’attività grafica, il ragazzo impara facilmente a scrivere
complessi di lettere, parole, frasi, fino alla stesura di una serie di pensieri.
Gli atti elementari della scrittura si unificano e si trasformano in una attività
più complessa: il linguaggio scritto.
Ciò che prima era il risultato di atti del tutto coscienti, diviene ora una serie di
operazioni automatiche, spesso quasi incoscienti.
Se consideriamo attentamente la grafia, eseguita con tensione, di un ragazzo
al primo anno di scuola, è facile osservare quanta parte abbiano l’attento
ascolto della parola, la ripetizione ad alta voce o sussurrata della sua
composizione fonetica e la trascrizione minuziosa della lettera.
Se confrontiamo tutto ciò con la grafia scorrevole di un adulto abituato a
scrivere, notiamo che l’attento ascolto dei suoni della parola non ha più un
ruolo essenziale.
Questa trasformazione di una serie di atti isolati eseguiti con precisione, in
una motricità armonica e scorrevole, è stata approfondita dalle ricerche del
noto psicologo E.V. Gurjanov.
Egli fece scrivere vari ragazzi, che presentavano un diverso sviluppo grafico,
su un foglio di carta inserito in un disco metallico, i cui movimenti venivano
trasmessi ad un dispositivo particolare; ogni pressione esercitata dall’alunno
era registrata in questo dispositivo mediante una curva verso l’alto. Notò che
per l’alunno, agli inizi dell’apprendimento grafico, la scrittura era composta da
singole pressioni isolate, invece negli alunni più grandi tali pressioni
cominciavano a unificarsi in gruppi più complessi, mentre nell’adulto esse si
compongono di interi e complessi gruppi motori, ciascuno dei quali
corrisponde alla trascrizione dell’intera parola.
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III
La componente psicologica del processo grafico
La grafia inizia sempre con un compito preciso che parte o viene proposto al
soggetto.
- La prima delle operazioni specifiche, che partecipano alla formazione
del processo grafico, è l’analisi della composizione fonetica della parola
da scrivere, cioè l’individuazione della sequenza dei suoni che
compongono la parola stessa.
- La seconda condizione, strettamente collegata alla precedente è la
precisazione dei suoni, cioè la trasformazione delle varianti fonetiche
ascoltate in un dato momento in suoni precisi e distinti o in fonemi.
L’analisi fonetica della parola, la distinzione dei singoli suoni e la
trasformazione delle varianti fonetiche in precisi fonemi, costituiscono il
primo anello necessario alla realizzazione del processo grafico.
- La terza ed ultima fase del processo grafico è la trasformazione dei
segni ottici della scrittura, cioè le lettere, nei corrispondenti tratti grafici.
Quest’ultima tappa della formazione del processo grafico non rimane
invariata, ma riflette chiaramente quella struttura non univoca che
caratterizza la grafia nelle diverse fasi del suo apprendimento.
Tutto ciò conferma che l’attività grafica non è un semplice atto “ideo-motorio”
e che nella sua composizione entrano a far parte numerosi processi psichici
che si situano al di fuori sia della sfera visiva (legate alla rappresentazione
delle lettere), che della sfera motoria, che gioca il suo ruolo solo
nell’attuazione immediata del processo grafico.
Le conoscenze attuali sul cervello e sulla sua attività hanno stabilito che
ciascuna regione della corteccia cerebrale ha una sua particolare struttura ed
esercita specifiche funzioni.
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L’emisfero sinistro è in ciascuno individuo dominante; gli apparati situati in
esso, collegati con la mano destra, consentono il normale svolgimento del
linguaggio e dei processi mentali.
L’emisfero destro invece riveste carattere secondario e non ha un rapporto
diretto con la regolazione del linguaggio.
Nei mancini le cose stanno diversamente: l’emisfero destro è il principale
quello sinistro è il secondario.
I vari settori della corteccia hanno perciò diverse funzioni.
Nel settore occipitale, è situato l’apparato centrale della vista.
Nel settore temporale dell’emisfero sinistro è presente invece l’apparato
centrale delle percezioni uditive e dell’analisi acustica.
Il settore parietale presenta l’apparato corticale che analizza le sensazioni
provenienti dalla superficie cutanea e dai muscoli (consente quindi di valutare
la posizione del corpo).
Tale settore riveste un’importanza primaria, in quanto consente la mobilità
fine e precisa, sicché questa può essere effettuata solo mediante il controllo
dei segnali circa la formazione degli organi del corpo nello spazio.
Infine dal settore anteriore della corteccia, dipende l’organizzazione del flusso
dei movimenti nel tempo, l’elaborazione e la conservazione delle attività
motorie e l’organizzazione delle complesse azioni finalizzate.
Per la normale attuazione di ogni processo psicologico complesso, tra cui
quello della scrittura, è necessaria dunque la cooperazione simultanea di tutti
questi settori della corteccia cerebrale.
Esaminando l’apporto delle singole zone corticali al processo grafico,
potremo chiarire il ruolo che in esso gioca ciascun settore:
settori della corteccia temporale (acustici), quelli post-centrali (cinestesici),
occipito-parietali (ottico-spaziali) e premotori (dinamici).
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IV
Ruolo dell’analisi uditiva nel processo grafico
Consideriamo il ruolo che l’analisi uditiva svolge nella realizzazione della
scrittura, analisi che costituisce la funzione diretta della regione temporale
della corteccia.
Quando i difetti dell’analisi e della sintesi acustica compaiono nella prima
infanzia, lo sviluppo incompleto della capacità uditiva differenziale e del
linguaggio provoca nel ragazzo gravi difficoltà di apprendimento della
scrittura.
Non essendo in grado di individuare e distinguere nettamente i suoni, il
ragazzo perde una delle condizioni necessarie per una normale scrittura e
risulta difficile insegnargli a scrivere con la consueta rapidità.
R.E. Levina, nelle sue ricerche, ha rilevato come le lacune evidenziate in
alcuni campioni di scrittura difettosa, non dipendano dal ritardo mentale del
ragazzo (a parte i compiti legati all’analisi fonetica, questi bambini si
presentano sufficientemente sviluppati e svegli), ma si spiegano con il difetto
dell’analisi uditiva dei suoni del discorso; e quando con l’aiuto di speciali
metodologie educative si riesce a compensare tali difetti, la scrittura dei
ragazzi migliora.
Sorge tuttavia una domanda: l’analisi uditiva partecipa al processo grafico
solo nelle fasi iniziali dello sviluppo di questa attività (quando il ragazzo
ascolta attentamente e attivamente ciascuna parola dettata e ne analizza
consapevolmente il contenuto fonetico), o è necessaria anche in quegli stadi
di sviluppo dell’attività grafica, in cui la scrittura si è già sufficientemente
automatizzata e sembra esaurirsi nei movimenti abituali della mano che
trascrivono la parola necessaria?
Dagli studi condotti da Lurija su un campione di adulti con lesioni della
regione temporale e difetti dell’analisi acustica, emerse che i malati con tali
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alterazioni non manifestavano alcuna difficoltà nella scrittura di elementi
abituali. Così, ad esempio, scrivevano senza difficoltà il loro cognome;
evidentemente l’atto di scrivere la firma non richiede alcuna analisi fonetica e
viene effettuata come un “ideogramma motorio”.
Inoltre i malati potevano scrivere con facilità i numeri o indicare con essi una
quantità di elementi percepiti; anche quest’atto si effettua senza l’intervento
delle rappresentazioni uditive.
Ma ciò che è particolarmente interessante è il fatto che tali malati potevano
scrivere un testo copiandolo, dando quindi la falsa impressione di avere
conservato sufficientemente la capacità di scrivere.
Se però veniva proposto ad essi di scrivere sotto dettatura singole lettere,
sillabe e parole, essi confondevano i suoni (a-o / s-z), perché erano del tutto
dipendenti dalle immagini uditive.
Ugualmente la scrittura libera di un concetto personale non può fare a meno
dell’analisi fonetica e continua a richiedere processi uditivi differenziati.
Esaminando bambini con difficoltà nella produzione scritta per insufficienza
dell’analisi uditiva, benché intellettualmente normali negli altri processi
psicologici, Lurija verificò che attuando una speciale rieducazione dello
sviluppo dell’analisi uditiva, i difetti di questi bambini venivano eliminati.
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V
Ruolo dell’articolazione nel processo grafico
Cerchiamo di chiarire il ruolo che nel processo grafico gioca l’articolazione a
voce alta o quella interna.
Nelle fasi iniziali dell’apprendimento della scrittura, l’alunno non scrive in
silenzio, ma ripete ogni parola a voce alta.
All’inizio, la ripetizione delle parole che si devono scrivere è eseguita ad alta
voce poi a mezza voce, quindi si riduce a bisbiglio, infine sembra scomparire.
Tuttavia l’esperienza dimostra che quasi ogni parola viene accompagnata
ancora a lungo da una ripetizione interna inespressa; infatti la registrazione
dei minimi movimenti della laringe durante l’esecuzione grafica mostra che
tali movimenti persistono anche quando l’attività grafica è sviluppata.
Quale ruolo hanno questi movimenti articolatori nell’atto grafico? Sono
un”accompagnamento” sui generis che procede insieme alla scrittura oppure
svolgono un ruolo speciale, facilitando il processo dell’analisi fonetica della
parola, della ritenzione di ciò che si desidera scrivere?
Ricerche in proposito hanno dimostrato che è sufficiente proibire all’alunno di
ripetere ad alta voce la parola da scrivere, proponendogli ad esempio, di
aprire completamente la bocca (fatto che impedisce in maniera notevole
l’articolazione esterna), perché la sua grafia peggiori, si verifichino omissioni
di lettere e inesattezze delle parole.
In proposito, esperimenti condotti da L.K. Nazarova hanno dimostrato che
nella prima classe elementare il numero di errori nella scrittura aumenta di
quasi sette volte. Tuttavia, tale metodo dimostra solo che nelle prime fasi
dell’apprendimento grafico l’articolazione gioca un ruolo piuttosto rilevante,
ma non spiega ancora il ruolo di questi movimenti articolatori in una fase
successiva dello sviluppo grafico.
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In uno studio di R.M. Boskis e R.L. Levina sui difetti grafici di bambini con
disturbi esterni dell’apparato articolatorio, possiamo notare come la pronuncia
inesatta e difficilmente comprensibile del bambino non solo ha reso difficile
l’analisi fonetica delle parole scritte, ma ha pure alterato gravemente
l’esattezza della scrittura.
Tutto questo perché il processo grafico in questi casi non gode del beneficio
dell’esatta pronuncia, che consente di precisare la composizione fonetica
della parola, di differenziare i suoni simili e rendere così la parola udita pronta
per essere scritta.
Questi dati dimostrano quindi che il processo di pronuncia ad alta voce
svolge un ruolo essenziale nella scrittura.
Affinché il movimento delle articolazioni abbia la necessaria organizzazione,
occorre che gli impulsi siano indirizzati ai corrispondenti gruppi muscolari.
Tale funzione è assolta dalla regione parietale post-centrale della corteccia,
che sintetizza le sensazioni cinetiche e forma i corrispondenti schemi motori
successivi.
M.S. Blinkov, in uno studio sui malati con lesioni nella regione parietale postcentrale, osservò come questi scrivessero molto meglio, se potevano
osservare
con
attenzione
come
venivano
pronunciate
le
parole
dell’interlocutore, come questi disponeva le labbra e la lingua nella pronuncia.
Tali dati ci consentono di rispondere, almeno in parte, alla domanda che ci
siamo posti, sul ruolo dell’articolazione nel processo grafico.
Ciascun processo grafico, soprattutto in un soggetto con pratica di scrittura
non ancora sufficientemente automatizzata, richiede la precisazione della
componente fonetica della parola scritta.
Tale precisazione può dunque essere effettuata mediante la ripetizione della
parola scritta, che si attua all’inizio esclusivamente a voce alta, poi in maniera
bisbigliata, e a misura dell’automazione dell’attività grafica, essa diviene
sempre più una ripetizione “interiore”.
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Questa “ripetizione” permette di precisare i suoni che si devono scrivere, di
distinguere quelli simili e di trasformare le sfumature fonetiche non
sufficientemente chiare in precisi fonemi.
Per questo, i bambini, nei primi mesi di scuola, uniscono sempre
l’articolazione al processo grafico, e basta escluderla perché nella loro
scrittura compaia una serie di errori.
La
ripetizione
della
“accompagnamento”
parola
scritta
concomitante
la
non
scrittura,
è
semplicemente
ma
una
un
componente
essenziale e costitutiva.
Anche la ripetizione interna, tipica dei soggetti adulti, pur essendo silenziosa,
non è del tutto priva di significato, ma continua ad esercitare nella scrittura un
ruolo essenziale.
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VI
L’organizzazione visiva del processo grafico
Il processo grafico non si esaurisce nell’analisi della composizione fonetica
della parola.
A questa fase segue la traduzione dei suoni da scrivere nelle corrispondenti
forme grafiche, cioè la trasformazione dei “fonemi” in “grafemi”.
Nonostante tale processo sia assimilato molto presto dai bambini, pure tale
traduzione può accompagnarsi ad una serie di difficoltà.
Durante l’insegnamento elementare, si possono incontrare, per quanto
riguarda la scrittura, due difetti di natura visiva: uno di questi è relativamente
raro e consiste nel fatto che i tratti di alcune lettere possono essere
dimenticati o confusi con altri; il secondo difetto consiste nella confusione dei
tratti di lettere visivamente simili e soprattutto, nella difficoltà di distinguere la
disposizione spaziale delle lettere.
La cosiddetta scrittura speculare rappresenta la forma più frequente di questi
difetti e consiste, nella maggior parte dei casi, nel fatto che il bambino
confonde le lettere simili nelle forme (b – d) e le rappresenta in forma
speculare.
Non di rado, la scrittura speculare si manifesta nei bambini con segni di
mancinismo, siano questi evidenti o no.
Quali regioni cerebrali sono legati all’organizzazione del processo grafico e
quali condizioni possono rendere difficile tale processo?
Lurija osservò che nei casi di malati con lesioni della parete occipito-parietale
dell’emisfero sinistro, la cui funzione è legata all’integrazione delle esperienze
visive e alla loro organizzazione spaziale, si verificavano alterazioni
nell’orientamento spaziale,fino a non riuscire a riprodurre correttamente il
gesto necessario, o a comporre tale movimento in direzione contraria.
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Tale difetto si rifletteva inevitabilmente anche nelle scrittura del malato, in
quanto la maggior parte delle lettere ha una scrittura simmetrica orientata
nello spazio in senso verticale o orizzontale.
L’esperienza ha dimostrato quindi che le formazioni cerebrali necessarie per
la corretta conformazione grafica delle lettere sono quelle su indicate della
regione parieto-occipitale della corteccia.
Se l’insegnamento della scrittura è precoce (già nel periodo della scuola
materna) errori di scrittura speculare o, comunque, di scrittura con
orientamento errato dei singoli elementi della lettera, si possono incontrare
assai più spesso che nella scuola elementare.
Infatti i sistemi parietali della corteccia cerebrale maturano definitivamente più
tardi degli altri sistemi, perciò l’analisi spaziale, che nell’adulto procede
spontanea e senza difficoltà, nel bambino ha bisogno di particolare sostegno
e aiuto.
La tendenza poi alla scrittura speculare si può osservare in modo
particolarmente chiaro
nei casi in cui i bambini mostrano segni di
mancinismo appena evidente: tale mancinismo consiste nel fatto che la mano
sinistra gioca in questi bambini un ruolo molto più attivo che non in quelli che
usano la destra; in tal caso il corretto orientamento spaziale diventa assai
difficile.
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VII
Condizioni psicofisiologiche per la conservazione
della consequenzialità dei suoni nella scrittura
Abbiamo osservato quali meccanismi cerebrali prendono parte alla
formazione degli elementi primari della scrittura sia nell’individuazione del
suono, che nella rappresentazione letterale. Tuttavia, il processo grafico non
si esaurisce in questi elementi.
L’”unità” della scrittura è costituita non dall’individuazione del suono o della
lettera, ma dalla individuazione dei suoni consecutivi, che compongono la
sillaba, e delle sillabe che compongono tutta la parola.
Occorre quindi individuare quei processi che portano all’integrazione delle
parti costitutive più complesse della scrittura.
È noto che proprio l’osservanza della necessaria successione dei suoni nella
scrittura della parola rappresenta una delle maggiori difficoltà durante
l’apprendimento grafico.
Il bambino, che distingue relativamente bene i suoni del discorso vivo e che
ricorda facilmente la grafica di singole lettere, trova ancora per un certo
tempo difficoltà nell’analisi e nella memorizzazione della giusta successione
dei suoni (e di conseguenza delle lettere) nella parola scritta.
Ecco perché nella scrittura degli alunni delle prime classi si incontrano ancora
molto spesso omissioni di lettere o di intere sillabe, spostamenti di lettere,
etcJ
Quali fattori psicologici assicurano questa importante condizione dello
sviluppo della capacità grafica?
Nell’attività della corteccia cerebrale si possono individuare particolari sistemi
che hanno la funzione di integrare le sequenze di eccitazioni, di unificare i
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singoli impulsi in scorrevoli “melodie cinetiche” usando un’espressione di
Lurija.
Tali funzioni sono legate all’attività dei settori anteriori della corteccia
cerebrale; tali settori consentono di trasformare i movimenti in attività motorie
organizzate e sequenziali.
Un posto centrale nell’integrazione delle attività motrici organizzate
serialmente è occupato dalla zona premotoria della corteccia cerebrale.
È chiaro come queste formazioni dei sistemi premotori partecipino
strettamente alla realizzazione del processo grafico.
L’attività grafica matura costituisce una “melodia cinetica complessa”, sempre
secondo Lurija, in cui ogni elemento è disposto secondo un ordine definito e,
una volta utilizzato, viene frenato per cedere il posto al successivo.
Se, come abbiamo detto, la scrittura del bambino solo raramente nei primi
anni di scuola può fare a meno della pronuncia ad alta voce o bisbigliata delle
parole da scrivere, ciò avviene non solo perché tale pronuncia permette di
precisare il suono da scrivere, ma anche perché essa dà la possibilità di
conservare l’ordine dei suoni da scrivere, in un periodo in cui la forma interna
della parola non è sufficientemente cosciente. Questa seconda funzione della
pronuncia della parola da scrivere ha un’importanza enorme e proprio essa ci
consente di capire perché l’eliminazione della pronuncia delle parole, nelle
prime fasi dell’apprendimento può portare ad una alterazione della regolarità
della scrittura.
L.K. Nazarova, in una delle sue ricerche, ha proposto a bambini del secondo
semestre della prima classe elementare di scrivere sotto dettatura alcune
parole: prima senza che essi le pronunciassero (facendo tenere la bocca
aperta) e poi consentendo di pronunciarle liberamente.
Come si può vedere dagli esempi riportati (fig.31b) l’esclusione della
pronuncia ha reso assai più difficile la scrittura.
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In essa sono comparsi chiari segni della mancata analisi fonetica, omissione
di intere sillabe, ripetizione della stessa sillaba, omissioni di lettere e tutta una
serie di errori.
Ciò dimostra come il bambino, privato del sostegno dell’articolazione, non
riesce a conservare la necessaria precisione della composizione fonetica
della parola da scrivere.
È evidente quindi l’importanza del ruolo della pronuncia ad alta voce nelle
prime fasi dell’apprendimento grafico. Agli insegnanti il compito di
organizzare adeguatamente la didattica, onde sostituire progressivamente la
pronuncia ad alta voce con l’analisi interna della parola, per aiutare gli alunni
ad abbandonare a poco a poco tale pronuncia, necessaria nelle prime fasi
dell’apprendimento, ma in seguito di ostacolo per lo sviluppo di una scrittura
scorrevole.
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VIII
Conservazione del senso della parola e suoi
fondamenti psicofisiologici
Sovente, a causa di una deviazione dell’attenzione per distrazione o
affaticamento, si possono osservare nella scrittura dei bambini difetti che
consistono non tanto nell’alterazione nella tecnica grafica, quanto piuttosto
nella ripetizione di parole già scritte in precedenza o nell’introduzione di
elementi casuali. In questi casi l’idea da cui il bambino parte risulta instabile,
si perde con facilità; egli inizia a incontrare serie difficoltà di scrittura, non
perché questa o quella condizione tecnica risulti alterata, ma per il fatto che
l’obiettivo che si era proposto non è più conservato, per cui non esercita il suo
influsso.
Questi casi sono abbastanza rari e si manifestano solo in presenza di una
forte deviazione dell’attenzione.
Da quanto abbiamo precedentemente esposto, si evince che il processo
grafico si presenta come un’attività complessa, che implica una serie di
componenti psicofisiologiche.
La scrittura è una forma di attività linguistica cosciente. Nella sua costituzione
psicologica entra l’analisi fonetica della parola, oggetto della scrittura e la
conservazione dell’ordine dei suoni che la costituiscono, cioè della loro
sequenza temporale.
In questo processo giocano un ruolo importante sia i meccanismi dell’analisi
acustica, legata alla funzione dei sistemi temporali, sia le articolazioni
inespresse che precisano la composizione fonetica della parola e che
permettono di conservare la consequenzialità degli elementi verbali; tale
consequenzialità è legata innanzitutto al lavoro dei settori “gnosici” afferenti
della corteccia nonché a zone specializzate della regione motoria.
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Il processo grafico quindi, implica necessariamente la traduzione della
struttura fonetica della parola in un sistema di segni grafici, la prolungata
memorizzazione di questi simboli grafici (grafemi) e la loro esatta
organizzazione spaziale.
In tutto ciò esercitano la loro importanza i meccanismi dell’analisi visiva
legata alle formazioni della regione pareto-occipitale della corteccia.
Infine, condizione essenziale della scrittura come di ogni azione, è la
conservazione della finalità dell’azione stessa.
Da quanto sopra esposto si rileva che le varie forme di scrittura sono del tutto
eterogenee circa la composizione dei meccanismi psicofisiologici su cui esse
si fondano. Se l’atto della semplice copiatura si fonda necessariamente sui
meccanismi dell’analisi ottica e può effettuarsi senza la partecipazione attiva
dei sistemi acustici (temporali) e cinetici (post-centrali) la scrittura sotto
dettatura invece, e ancor più, la scrittura libera su tema assegnato dipendono
dalla partecipazione di più complessi meccanismi e, in genere, non possono
effettuarsi con successo in presenza di un’alterazione dei meccanismi uditivi
e dell’analisi acustica, fondata sui settori corrispondenti della corteccia.
È interessante notare che alla base della scrittura delle diverse lingue
possono trovarsi meccanismi psicofisiologici tutt’altro che univoci.
Se la scrittura fonetica (caratteristica ad esempio della lingua russa) si attua
decisamente attraverso la partecipazione degli apparati centrali dell’analisi
acustica (legate all’attività della regione temporale della corteccia), la scrittura
di altre lingue, in cui giocano un ruolo assai maggiore gli elementi di
trascrizione convenzionale, non fonetica, (ad esempio nell’italiano, nel
francese) si realizza con una partecipazione assai maggiore degli altri sistemi
(in particolare di quelli parieto-temporali).
Se l’analisi dei meccanismi corticali della scrittura ha un’importanza
essenziale per la pratica clinica, si può con ragione ritenere che tale analisi
potrà risultare utile per una migliore comprensione della struttura psicologica
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e psicofisiologica del processo grafico normale e del suo sviluppo.
L’apprendimento della scrittura, come di qualsiasi altra attività, incontra nel
suo cammino una serie di difficoltà. Queste non sono affatto univoche, ma è
necessaria un’attenta analisi della struttura psicologica del processo grafico e
delle sue condizioni fisiologiche, per vedere in quali aspetti di questo
processo si nascondono esattamente le difficoltà.
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IX
Scrittura a mano e scrittura a tastiera
Di fronte al rapido sviluppo dei mezzi tecnologici di comunicazione, come l’email, l’sms, la chat, e il cambiamento del modo di scrivere grazie ai nuovi
strumenti di scrittura e alle loro peculiarità, come la correzione automatica e il
copia-incolla, c’è da chiedersi quale valore abbia la scrittura manuale e
soprattutto quale futuro nel tempo.
È evidente che il computer, Internet sono entrati nella nostra vita quotidiana e
ci stimolano ad una comunicazione interattiva in cui l’informazione viene
rapidamente utilizzata, non sempre acquisita, in quanto manca lo spazio di
elaborazione personale. Viene quindi da chiedersi quali modifiche a livello
cerebrale comporti la scrittura a tastiera e quanto queste incidano sulla
modalità di apprendimento delle lettere.
In altre parole, ci possiamo chiedere quanto la riduzione dell’attività manuale
possa limitare le nostre rappresentazioni spaziali.
È un dato ormai consolidato che il movimento abbia un ruolo importante nella
conoscenza, nella strutturazione e nella interpretazione di ciò che
percepiamo.
È il movimento che permette di orientare i nostri organi di senso verso
l’origine dello stimolo.
La tecnica innovativa della Risonanza Magnetica Funzionale (R.M.F.) ha
permesso di ottenere immagini delle aree cerebrali e di misurarne le attività:
ebbene si è dimostrato che quando osserviamo dei movimenti di un altro
essere umano, entrano in azione, oltre alle aree visive, anche neuroni di aree
motorie che servono ad eseguire i movimenti in questione come se il cervello,
per riconoscere il movimento che vede, lo dovesse eseguire mentalmente.
Questi neuroni, chiamati “specchio” si attivano però solo dinanzi a movimenti
conosciuti e aventi uno scopo definito (mangiare, afferrare, eccJ).
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Nel suo studio molto interessante, Marieke Longcamp dell’Università di
Tolosa, ha cercato di indagare se nel riconoscimento delle lettere nelle parola
noi ci riferiamo ai movimenti che eseguiamo per tracciare le medesime
lettere.
Ha sottoposto alcuni soggetti adulti a degli stimoli visivi, alcuni costituiti da
lettere dell’alfabeto, altri da pseudo lettere, cioè da segni grafici che per forma
e dimensione erano molto simili alle lettere. Con la R.M.F., ha dimostrato che
le aree deputate alla scrittura entravano in azione, oltre a quelle visive,
quando venivano presentate delle lettere, mentre quelle stesse aree non si
attivavano quando era proposta una pseudo-lettera.
La Longcamp ha eseguito anche un test comportamentale su due gruppi di
38 bambini delle scuole materne (età 3-5 anni). Ad un gruppo ha proposto
l’insegnamento tradizionale di letto scrittura di alcune lettere, all’altro un
apprendimento delle stesse tramite tastiera. Il primo gruppo doveva ricopiare
a mano 15 lettere proposte. Il secondo gruppo doveva scrivere le lettere del
modello ricercandole su una speciale tastiera con 15 tasti. Dopo tre settimane
di insegnamento, furono eseguiti test di riconoscimento e di memorizzazione
delle lettere apprese, per confrontare le capacità acquisite dai due gruppi.
I risultati mostrarono che i bambini di 4-5 anni, che avevano imparato
attivamente le lettere, mediante la scrittura, le distinguevano molto meglio e
anche la memorizzazione durava più a lungo. Nei bambini più piccoli, invece,
non vi era differenza tra i due gruppi, in quanto l’immaturità del sistema
nervoso non permetteva lo svilupparsi di certe competenze. La Longcamp fa
notare che la scrittura manoscritta arricchisce la rappresentazione di caratteri
e facilita il loro riconoscimento nella maggior parte dei ragazzi, ma potrebbe
produrre effetti contrari nei bambini che per motivi diversi hanno difficoltà nei
movimenti fini della mano.
In questo caso l’uso della tastiera potrebbe essere propedeutico per la
scrittura manoscritta.
22
X
La disgrafia oggi
Il fenomeno della disgrafia è in costante aumento nella scuola italiana e
spesso non si presenta accompagnato da altri disturbi di apprendimento
come la dislessia e la discalculia: i programmi didattici attualmente in vigore
nella scuola primaria non danno indicazioni specifiche sull’insegnamento del
gesto grafico, nel timore di frenare la spontaneità espressiva degli allievi.
Nella convinzione che ciò che si scrive sia più importante di come lo si scrive.
Il bambino di per sé non può sapere quale sia la postura più funzionale per
scrivere, come impugnare lo strumento grafico, in che direzione andare,
come collegare le lettere.
Per questo i bambini sviluppano oggi problemi di disgrafia, maggiormente che
nel passato e avvertono sentimenti di sconfitta, di inadeguatezza rispetto ai
compagni che scrivono in modo leggibile. Di fronte a queste difficoltà spesso
gli insegnanti consigliano l’uso del computer almeno nei compiti in classe, ma
questo li fa sentire “diversi dai compagni”.
Molti di questi ragazzi disgrafici non hanno bisogno di ricorrere a figure
specifiche, come il logopedista o il neuropsichiatra infantile, per risolvere i
loro problemi. Essi vanno ascoltati, compresi nel loro disagio, aiutati a
superare quegli automatismi scorretti che rendono la loro scrittura illeggibile o
estremamente faticosa.
Si apre qui lo spazio per l’intervento del grafologo che è in grado di
focalizzare i problemi presenti in una scrittura disgrafica, cogliendo la
situazione emotiva che sta alla base di un disagio che si esprime
graficamente; tuttavia è fondamentale che il grafologo conosca la
neurofisiologia del gesto grafico per poter attuare quelle tecniche
psicomotorie ideate dallo psichiatra De Ajuriaguerra e seguite dalla sua
equipe per il trattamento delle disgrafie.
23
“Una cattiva scrittura” scrive Olivaux, “può rappresentare un’inconscia
richiesta d’aiuto: macchie e annerimenti esprimono la paura e l’aggressività
dello scrivente e costituiscono messaggi che devono essere capiti dagli
adulti. Se invece le prime patologie non saranno comprese, il bambino
continuerà a produrre una scrittura involuta, sofferta o maldestra, sintomo
della costruzione disarmonica o comunque difficile della sua personalità.”
Di qui l’importanza di prevenire il fenomeno disgrafico attuando quelle
strategie psicologiche e professionali che ogni insegnante dovrebbe avere.
“Tutti i terapeuti”, afferma Olivaux “dovrebbero sottoporsi ad un esame
personale e a una formazione psicologica. Ad esempio, gli psicanalisti
possono intraprendere la loro professione solo se si sottopongono ad una
lunga psicoanalisi personale e a severi controlli.
Il grafoterapeuta, prima di essere riconosciuto come professionista, non
dovrebbe sottoporsi ad una analisi grafologica approfondita e anche ad un
esame che valuti la sua grafomotricità? [J]
La grafoterapia è un discorso complicato, serio, difficile, perché non è
questione di riparare, rettificare la scrittura, riportarla entro quelli che alcuni
considerano i suoi canoni. La grafoterapia può aiutare la scrittura a diventare,
ad essere l’immagine di colui che l’ha tracciata. Non è tutto, ma è
l’essenziale. Va da sé che il grafo terapeuta deve conoscere la psicologia
profonda dell’uomo, senza però dimenticare la sua psicomotricità e le
possibilità di crescere che potrebbe avere. Spesso una disgrafia appare
come il primo segnale, discreto, di difficoltà psicologica e di sofferenza;
questo segnale deve essere ascoltato, mai dimenticato.
L’esame rivelerà, forse, carenze nell’apprendimento, utilizzazione difettosa
dello strumento, problemi nella posizione, nella tenuta, nel modo di scrivere.
Qualche volta sarà il segno rivelatore di un problema motorio o affettivo che
prevede un esame più approfondito”. 1
1
R. Olivaux: “Disgrafia e rieducazione della scrittura” AGI Ancona 2005
24
XI
Perché “rieducare” la propria scrittura
La motivazione alla rieducazione è fondamentale in alcuni casi, quando ci si
trova davanti a soggetti irritabili e rifiutanti (generalmente adolescenti) già nel
corso del primo colloquio; è bene dare loro il tempo e la possibilità di decidere
loro stessi se e quando vogliono iniziare il lavoro di rieducazione della
scrittura.
Il momento più importante è quello in cui essi riconoscono le loro effettive
difficoltà di scrittura, ma vengono rassicurati che tali difficoltà potranno essere
superate, grazie al lavoro che svolgeranno col rieducatore.
Per quanto riguarda i bambini, è necessario impostare correttamente il
rapporto anche con i genitori, per i quali è spesso importante un sostegno
psicologico affinché riescano a contenere le loro ansie senza imporsi sui
bambini, affidandoli alla rieducazione e dando loro il tempo di maturare.
Lo scopo della rieducazione è il recupero della funzionalità della scrittura, ma
se il trattamento è ben condotto, rispettando le progressioni, le pause e le
regressioni che caratterizzano qualsiasi lavoro educativo, ne possono
derivare benefiche conseguenze dal punto di vista psicologico: minor
nervosismo, maggiore autonomia che potrà aiutare il ragazzo a costruire la
sua vita futura.
“Il bambino disgrafico”, scriveva H. De Gobineau, “è sempre cosciente delle
sue difficoltà. [J] È dunque necessario che lo sforzo non sia concentrato
sulla scrittura medesima, il che comporta il rischio di accentuare la sua
sfiducia, ma sulle attività molto vicine alla scrittura, che lo guidano ad una
maggiore facilità di esecuzione delle lettere J
Ma la cosa più importante può essere che il bambino si attacca al
rieducatore, e le lezioni diventano un piacere.
25
Occorre che egli abbia l’impressione di regalare all’educatore una pagina ben
riuscita2.”
2
Inedit 1958 in J. De Ajuriaguerra – M. Auzias – A. Denner: “Ecriture de l’enfant” vol. 2° Delachaux & Nestlè
26
Riferimenti bibliografici
I. Arcolini – G. Zardini: “I disturbi di apprendimento della lettura e della
scrittura” Franco Angeli Milano 2002
C. Basagni: “Disgrafia e rieducazione della scrittura” “Stilus, percorsi di
comunicazione scritta” giugno 2007
P. Cristofanelli – S. Lena: (a cura di) “Disgrafia: esame, prevenzione;
rieducazione” Libreria G. Moretti Urbino
J. De Ajuriaguerra – M. Auzias – A. Denner: “L’ecriture de l’enfant” volume II
Delachaux & Nestlè
M. Longcamp: “Apprendre à écrire les lettres pour mieux les reconnaître” in
“Acta Psicologica 119 2005
M. Longcamp: “The imprint of action: Motor cortex involvement of hand
written letters in visual perception” in Journal of Cognitive Neuroscience 2008
A. R. Lurija: “La comunicazione verbale. Problemi fondamentali di
Neurolinguistica” Armando Editore Roma 1997
A. Lurija: “Neuropsicologia del linguaggio grafico” Edizioni Messaggero
Padova 1998
R. Olivaux: “Disgrafia e rieducazione della scrittura” AGI Ancona 2005
L. Tonucci: “Rieducatore della scrittura, ragazzo disgrafico e insegnanti” in
Cristofanelli – Lena cit.
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