Sistemi di Logistica e Trasporto per il Settore Agroalimentare in Italia

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Sistemi di Logistica e Trasporto per il Settore Agroalimentare in Italia
CNR - CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE
IRAT - ISTITUTO DI RICERCHE SULLE ATTIVITÀ TERZIARIE
Fedele Iannone
Sistemi di Logistica e Trasporto
per il Settore Agroalimentare in Italia
Quaderni / 45
2009 © Enzo Albano Editore
Napoli - Via Enrico Fermi, 17
Tel. 081 667398
Fax 081 663222
[email protected]
ISBN 978-88-89677-45-2
L’Editore potrà concedere a pagamento l’autorizzazione a riprodurre una porzione non superiore
al 15% del presente volume.
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delle Opere dell’ingegno (AIDRO).
Corso di Porta Romana, 108 - 20122 Milano - [email protected]
INDICE
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 5
1. Evoluzione delle reti distributive per il traffico merci . . . . . p. 9
1.1.
1.2.
1.3.
1.4.
Aspetti spaziali, verticali e dinamici delle reti logistiche . . Classificazione dei nodi logistici terrestri . . . . . . . . . . . . . . Localizzazione dei nodi logistici e organizzazione dei
flussi secondo il modello hub-and-spoke . . . . . . . . . . . . . . Immobili per la logistica e caratteristiche del mercato
a livello europeo e nazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. La logistica agroalimentare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1.
2.2.
2.3.
2.4.
2.5.
La complessità logistica delle filiere agroalimentari . . . . . I mezzi di trasporto dei prodotti agroalimentari . . . . . . . . . La tecnologia della refrigerazione passiva . . . . . . . . . . . . . Le piattaforme per la logistica agroalimentare . . . . . . . . . . Caratteristiche tecniche dei magazzini a temperatura
controllata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p.
p.
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20
p. 28
p. 36
p. p. p. p. 36
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p.
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3. Le principali infrastrutture puntuali di primo livello
per la logistica agroalimentare in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . p. 59
3.1. Riepilogo sinottico dei nodi logistici analizzati . . . . . . . . . 3.2. Le infrastrutture portuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3. Le infrastrutture interportuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 59
p. 59
p. 77
Riferimenti bibliografici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 109
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INTRODUZIONE
Il sistema agroalimentare italiano necessita di un insieme di misure di
accompagnamento per migliorare la propria competitività a livello organizzativo ed infrastrutturale. La logistica rappresenta il principale ambito d’azione
per lo sviluppo, l’integrazione e la modernizzazione delle imprese e dei supply network coinvolti nell’industria agroalimentare. L’integrazione logistica è
oramai un fattore strategico di competitività a livello produttivo e distributivo. I principali vantaggi che ne derivano sono: la riduzione delle operazioni
di movimentazione e di trasporto, la riduzione dei volumi immagazzinati, la
riduzione dei costi d’investimento e di esercizio, l’aumento del livello di servizio.
Le produzioni del comparto agroalimentare presentano alcune specifiche
caratteristiche che contribuiscono ad innalzare il livello di complessità logistica rispetto ad altri settori, in particolare: elevate distanze tra aree produttive
e aree di consumo, basso valore aggiunto, deperibilità, necessità di garantire
il monitoraggio continuo della qualità e della rintracciabilità, stagionalità e
necessità di riduzione degli stock lungo il canale distributivo. Inoltre, il posizionamento competitivo a livello imprenditoriale e territoriale è in continua ridefinizione a seguito dell’evoluzione della domanda dei consumatori,
dell’internazionalizzazione dei mercati di fornitura e di vendita, e della riorganizzazione delle imprese di produzione e di distribuzione.
Attualmente, è possibile distinguere i seguenti principali driver del processo evolutivo del mercato dei prodotti agroalimentari:
- sviluppo della grande distribuzione organizzata (GDO);
- forte incremento dei convenience food a temperatura controllata (alimenti
parzialmente preparati, come insalate già lavate e tagliate, alimenti pronti
per la cottura);
- sviluppo della controstagionalità legata all’importazione di frutta e verdura dall’emisfero meridionale;
- nuovi prodotti ed evoluzione dei consumi;
- spinta alla containerizzazione refrigerata (“refeer”) per il trasporto marittimo dei prodotti agroalimentari e per evitare, dove possibile, rotture
di carico;
- progressiva diminuzione o abolizione di dazi e quote sui prodotti agroalimentari, con conseguente ridisegno delle catene logistiche;
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normative per la tracciabilità agroalimentare, nonché sulla documentazione in merito al mantenimento delle temperature adeguate e per il controllo della temperatura e delle performance delle attrezzature a differenti
livelli della catena del freddo.
Gli elementi decisivi per la valorizzazione e la competitività delle produzioni agroalimentari italiane sono: 1) la corretta pianificazione e gestione
della catena del freddo dalla produzione al consumo (per i prodotti freschi e
surgelati); 2) lo sviluppo di centri logistici dedicati e la loro integrazione con
poli logistici e intermodali di livello superiore; 3) il monitoraggio continuo
della qualità delle merci, la rintracciabilità e l’adozione delle nuove tecnologie
dell’informazione e della comunicazione, specie a supporto di filiere cosiddette “corte”.
I costi logistici rappresentano circa 1/4 del fatturato delle imprese agroalimentari italiane, con punte del 30-35% nel comparto ortofrutticolo. I costi
di trasporto, che per oltre il 90% avvengono su gomma, costituiscono a loro
volta circa i 2/3 degli oneri logistici, mentre i costi di magazzinaggio, picking,
confezionamento e condizionamento rappresentano la restante parte (ISMEA,
2006).
A livello più generale di filiera, il maggiore problema logistico in ambito
nazionale è rappresentato dalla forte polverizzazione della fase agricola, universalmente riconosciuta come la meno evoluta. Inoltre, la scarsa collaborazione ed aggregazione interaziendale non consentono lo sviluppo di adeguate
soluzioni logistiche di tipo infrastrutturale ed organizzativo gestite in proprio
dai produttori o per conto di questi ultimi e che consenta loro di essere competitivi sul mercato nazionale ed internazionale. Parallelamente, per quanto
riguarda il lato del dettaglio moderno, alcune realtà della grande distribuzione
organizzata (GDO) non hanno ancora competenze e dimensioni adeguate per
lo sviluppo di centri distributivi (Ce.Di.) efficienti. Inoltre, nel caso dei mercati all’ingrosso, le funzioni logistiche sono ancora considerate come accessorie
rispetto alle funzioni più tipicamente commerciali, con scarsa attenzione alle
utili e significative possibilità che la modernizzazione e l’integrazione logistica potrebbero garantire per il recupero di competitività di tali strutture.
La situazione è resa poi ulteriormente problematica dall’organizzazione
del sistema di fornitura dei prodotti, soprattutto quello della grande distribuzione, che è basato sul “just in time” e quindi su ordini giornalieri, spesso di
modesti volumi, che impongono ai produttori spedizioni personalizzate con
tempi e modalità di consegna sempre più stringenti. Di conseguenza, le forni-
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ture avvengono per la maggior parte su gomma e per di più a carico parziale
e con un gran numero di ritorni a vuoto, determinando notevoli livelli di congestione stradale e d’inquinamento. Del resto, in Italia, rispetto ad altri Paesi europei avanzati, si rilevano ancora diverse carenze a livello di dotazione
infrastrutturale e in termini di presenza di grandi operatori logistici integrati
in grado di supportare l’intero ciclo delle forniture (dal produttore al consumatore finale) con servizi ad elevato valore aggiunto e collegamenti “door-todoor”.
Per il sistema agroalimentare italiano, la razionalizzazione delle strutture
logistiche (piattaforme, centri di distribuzione) e la loro riorganizzazione intorno a nodi intermodali e poli logistici rappresentano un obiettivo da perseguire
nell’ottica della riorganizzazione dei circuiti di scambio e della diffusione di
nuove forme di connettività delle reti di trasporto. Risulta evidente la necessità
di individuare e promuovere nuovi sistemi logistici a supporto dell’industria
agroalimentare nazionale, ed in particolare nuove configurazioni di network
basati su collegamenti materiali ed immateriali tra piattaforme di concentrazione della produzione localizzate nelle aree di coltivazione, piattaforme di
transito e compattamento delle merci localizzate in nodi logistici intermedi
e piattaforme di redistribuzione della merce localizzate nelle principali aree
di consumo. Tali strutture, in qualità di luoghi di concentrazione dell’offerta, preparazione degli ordini, manipolazione e composizione dei carichi, dovrebbero prevedere il coinvolgimento di tutti o per lo meno di gran parte dei
principali attori coinvolti nella filiera distributiva agroalimentare (produttori,
distribuzione organizzata, mercati all’ingrosso, operatori logistici e di trasporto). In tal modo dovrebbe essere possibile il superamento di diverse criticità
logistiche della filiera, a partire dall’ottimizzazione dei trasporti e dall’uso più
generalizzato di soluzioni intermodali, con evidenti effetti in termini di economie di scala e di scopo, nonché di riduzione dell’impatto ambientale, fino al
mantenimento di adeguate condizioni qualitative e di sicurezza dei prodotti, a
beneficio di tutti i soggetti coinvolti: produttori, grossisti, rivenditori, operatori logistici e consumatori.
Alla luce di quanto sopra esposto, il presente lavoro mira a contribuire
all’ulteriore sviluppo delle conoscenze delle problematiche riguardanti la logistica agroalimentare, con particolare riferimento alla situazione in ambito
nazionale. Il primo capitolo affronta tematiche riguardanti l’evoluzione delle
moderne reti distributive per il traffico merci in generale. Sono in particolare
evidenziati gli aspetti spaziali, verticali e dinamici delle reti logistiche, con
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riferimento alle principali classificazioni e ai modelli localizzativi dei nodi,
ai modelli di organizzazione dei flussi di tipo “hub-and-spoke” e al settore
immobiliare logistico.
Il secondo capitolo è invece dedicato a tematiche riguardanti più strettamente la logistica agroalimentare. Sono innanzitutto evidenziate le determinanti della complessità logistica delle filiere agroalimentari, con particolare
riferimento a quelle riguardanti i prodotti a temperatura controllata. Successivamente, viene presentata una classificazione dei mezzi di trasporto dei
prodotti agroalimentari, soffermandosi inoltre sulla recente tecnologia della
refrigerazione passiva. Sono infine affrontate problematiche riguardanti le logiche che sono alla base dell’organizzazione delle piattaforme per la logistica
agroalimentare, approfondendo anche i principali aspetti tecnici relativi alla
progettazione e gestione dei moderni magazzini a temperatura controllata.
Nel terzo ed ultimo capitolo sono riportati informazioni e dati identificativi dei maggiori nodi logistici italiani di primo livello in cui sono svolte attività
legate alla manipolazione e alla distribuzione di prodotti agroalimentari. Si è
provveduto in particolare ad analizzare le principali caratteristiche tecniche e
di business di 9 nodi portuali e 17 nodi interportuali, nonché le iniziative di
sviluppo in corso e previste, con riferimento alla logistica agroalimentare.
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1. Evoluzione delle reti distributive per il traffico merci
1.1.Aspetti spaziali, verticali e dinamici delle reti logistiche
Al fine di individuare quale infrastruttura logistica sia la più idonea per
l’organizzazione e gestione dei flussi di merce che interessano un’impresa, una
supply chain, un distretto o un territorio è necessario individuare e valutare gli
elementi delle moderne reti logistiche. In particolare, come ad esempio già
evidenziato in uno studio del Ministero dei Trasporti (1999), le reti logistiche
sono costituite da “nodi” (corrispondenti ad impianti produttivi, distributivi e
trasportistici) ed “archi” (corrispondenti alle operazioni di trasporto svolte su
infrastrutture lineari di collegamento fra un nodo e l’altro) (fig. 1.1).
Figura 1.1 – Esempio generalizzabile di rete logistica
I nodi di una rete logistica possono essere distinti in nodi terminali (fornitori da un lato e clienti dall’altro) e nodi intermedi. Questi ultimi possono
essere a loro volta distinti in impianti di produzione ed in impianti di tipo logistico in senso stretto (ad es. interporti, centri distributivi, magazzini, transit
point, ecc.). In generale, è possibile distinguere:
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grandi nodi logistici ad accesso pubblico e d’interesse nazionale ed internazionale, quali i porti, gli aeroporti, gli interporti e i poli logistici di
maggior rilievo;
- nodi logistici ad accesso privato, ovvero impianti minori (centri d’interscambio con valenza locale) e strutture di singole imprese o consorzi di
imprese (piccole piattaforme logistiche e magazzini), che rappresentano
strutture secondarie del sistema dei trasporti e della logistica.
I centri logistici fungono da nodi di connessione tra diversi livelli di rete
a livello geografico (globale/nazionale e nazionale/locale), da luoghi di raccolta e smistamento delle merci e, in alcuni casi, da punti d’interscambio tra
diverse modalità di trasporto. In pratica, le strutture logistiche contengono le
merci mantenute a scorta e ne regolano i flussi, trasformando quelli in entrata
in flussi in uscita, secondo le necessità dettate dai piani di consegna e dalle
composizioni delle unità di carico richieste.
I collegamenti fra i nodi di una rete logistica possono presentare caratteristiche estremamente complesse e diversificate: collegamenti porto-interporto,
interscambi fra stabilimenti, spedizioni dirette da stabilimento a cliente, spedizioni dirette da magazzino centrale a cliente, ecc. I cicli di trasporto risultano
strettamente dipendenti dalla configurazione spaziale della rete.
L’inserimento di nodi intermedi all’interno di una rete logistica è motivato fondamentalmente da due ordini di ragioni: esigenze di livello di servizio (localizzare i prodotti il più vicino possibile al mercato) oppure esigenze
di riduzione dei costi logistici (raggruppare le spedizioni relative a diversi
prodotti in modo da ottenere significative economie di scala nei trasporti). Il
primo caso è tipico dei depositi periferici localizzati nelle aree di mercato; il
secondo caso, invece, è tipico dei centri distributivi che raccolgono le merci
provenienti da numerosi fornitori e riforniscono i clienti ottimizzando i carichi
mediante il raggruppamento di prodotti diversi. Il numero e la localizzazione dei magazzini sono quindi stabiliti in funzione dell’allocazione geografica
delle sedi produttive e dei mercati. In particolare è possibile distinguere tre
casi:
1) localizzazione orientata al mercato;
2) localizzazione orientata alla produzione;
3) localizzazione di tipo intermedio.
Da un punto di vista dinamico una rete logistica può essere vista come
un insieme di flussi di materiali in cascata, regolati dall’andamento della domanda commerciale, in cui i nodi di livello inferiore sono riforniti dai nodi di
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livello superiore. I flussi all’interno della rete e gli accumuli di scorte e/o unità
di carico localizzati negli impianti devono consentire l’integrazione dei diversi cicli operativi dalla fase di approvvigionamento alla vendita finale (cicli di
approvvigionamento, cicli di lavorazione, cicli di trasporto, cicli di consumo).
Gli accumuli di scorte nei nodi della rete sono resi necessari dall’impossibilità
di ottenere una perfetta sincronizzazione dei diversi cicli operativi, ciascuno
dei quali è subordinato a vincoli specifici, nonché dall’esigenza di garantire un
desiderato livello di servizio al mercato.
1.2.Classificazione dei nodi logistici terrestri
Il trasferimento dei prodotti dai luoghi di produzione a quelli di consumo
può seguire strade diverse, tracciate dal numero e dalla tipologia dei nodi realizzati sul territorio, nonché dai legami istituiti per connetterli (Luceri, 2002).
Il livello quantitativo e qualitativo di risorse distributive di cui un territorio
dispone può quindi incidere sul suo grado di dipendenza da servizi forniti da
infrastrutture ed operatori esterni, influendo sia sui costi e sulle modalità di
trasferimento delle merci in ambito nazionale ed internazionale, sia sulla configurazione delle correnti di traffico, sia sulla maggiore o minore dipendenza
da vincoli naturali.
I nodi logistici rappresentano sostanzialmente piattaforme specializzate
in attività di trasbordo, trattamento e redistribuzione delle merci. Tali infrastrutture possono essere considerate un risultato dell’evoluzione del settore
del trasporto merci, che ha richiesto di utilizzare luoghi in cui sia possibile beneficiare non solo dell’eventuale coordinamento di più modi di trasporto, ma
anche di consolidare/deconsolidare o lavorare merce di diversa provenienza e
di ridistribuirla ai clienti.
Alcuni lavori specificamente o per la gran parte dedicati al tema dei nodi
logistici sono, ad esempio, quelli di Associazione SRM (2007), Bargero e Ferlaino (2004), Bella e Marchetti (2003), Bologna (1998), Brugge (1993), Cabodi (2000), Dalla Chiara et al. (2002), Hannappe (1986), Iannone et al. (2009),
Libardo e Nocera (2006), Maggi (1998), Ministero dei Trasporti (1999, 2001),
Nuzzolo et al. (2006), Ottimo e Vona (2001), Uniontrasporti (2007), Vona
(2001). Da tali contributi emerge chiaramente che non esiste una definizione
unica di infrastruttura logistica.
Le infrastrutture per la logistica variano secondo le rispettive localizza-
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zioni, nonché delle attrezzature e dei servizi che offrono. Così, tra i vari nodi
logistici, è possibile distinguere ad esempio: gli interporti, i distripark, i city
logistics center o centri di distribuzione urbana, ecc. Sempre più spesso a
livello operativo alcuni di questi termini sono utilizzati in maniera sostitutiva tra loro, oppure in luogo di tali termini sono adoperati sinonimi, quali
“piattaforma logistica”, “polo logistico”, “parco logistico” o “centro logistico”. Si distinguono poi, anche, i cosiddetti “distretti logistici”, che sono aree
specializzate in cui, grazie all’alta concentrazione di servizi e infrastrutture
e alla loro posizione baricentrica rispetto ai flussi informativi, di approvvigionamento e distributivi, si genera una forte attrazione di attività logistiche,
come ad esempio di magazzini centrali per lo stoccaggio e la distribuzione di
prodotti su un’area continentale. Un esempio può essere il triangolo “Rotterdam-Amsterdam-Anversa”. Il termine “distretto logistico” è spesso utilizzato
anche per indicare un interporto o un distripark.
A livello nazionale ed europeo, i nodi logistici stanno assumendo una ben
definita caratterizzazione che si struttura principalmente su tre macrolivelli
specifici:
a) Infrastrutture standard localizzate lungo le maggiori direttrici di traffico
e/o più strategicamente in prossimità dei grandi agglomerati urbani. Sono
strutture di elevate dimensioni che gestiscono prodotti diversificati senza assumere una connotazione specialistica (“piattaforme generaliste”).
In particolare, queste sono potenzialmente in grado di integrare i cicli
produttivi a monte e a valle delle imprese, sebbene attualmente, in Italia,
sono nella maggior parte dei casi destinate alla logistica distributiva. Un
esempio sono gli interporti.
b) Infrastrutture localizzate in prossimità di distretti industriali o di aree ad
elevata industrializzazione o di domanda commerciale (“piattaforme dedicate”). Sono attivabili soprattutto mediante l’iniziativa privata e possono assumere una configurazione ad elevata specializzazione di servizi logistici a monte e a valle del ciclo delle imprese clienti cui si relazionano.
In questo caso, la piattaforma logistica svolge ruoli che in passato erano
specifici della produzione: assemblaggio, finissaggio, confezionamento,
controlli di qualità, oltre alla movimentazione e al trasporto delle merci.
Si tratta cioè di attività che sempre più sono esternalizzate a fornitori
specializzati, al fine di conseguire tempi e condizioni di consegna competitivi. Tali piattaforme possono essere inoltre dotate di raccordi ferroviari
e operare in sinergia con infrastrutture logistiche di livello superiore (ad
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esempio gli interporti).
c) Infrastrutture per il traffico stradale, comprendenti spazi per il magazzinaggio, la movimentazione delle merci ed i servizi per i conducenti
degli automezzi (autoporti, transit point e centri di distribuzione urbana).
Esempi di servizi logistici che possono essere offerti in tali strutture riguardano ad esempio: il “merge in transit”, che consiste nella fusione di
flussi indipendenti di prodotti in transito senza stoccarli; il “groupage” e
il “degroupage”, ovvero il consolidamento e il deconsolidamento dei carichi per conto di imprese di autotrasporto; il “cross docking”, che consiste nel coordinare arrivo e partenza di carichi già allocati presso i clienti;
il “rapid fulfillment depot”, che è un’operazione mediante cui la merce
viene solo stoccata (senza lavorazione o finitura) per un breve periodo.
Contrariamente alle operazioni di cross docking, i carichi movimentati
attraverso il rapid fulfillment depot non sono ancora allocati presso clienti
particolari.
Come già accennato, è possibile classificare i diversi nodi a seconda della
loro tipologia, delle loro caratteristiche, delle modalità di trasporto servite e di
particolari dettami normativi. Innanzitutto, le funzioni principali di un nodo
logistico possono essere:
a) quella di smistamento o transito, che si pone l’obiettivo di massimizzare
la velocità con cui le merci percorrono il canale logistico dalla produzione al consumo;
b) quella di stoccaggio, che è invece relativa alla conservazione delle merci
durante il periodo che intercorre nel passaggio da un polo di destinazione
ad un altro;
c) quella di transito e stoccaggio.
I magazzini di transito sono solitamente localizzati nell’immediata periferia delle aree di consegna a maggior assorbimento di domanda; in tali strutture, le attività di ingresso, smistamento (o ventilazione) e riconsolidamento
avvengono in rapida sequenza e la merce rimane in sosta per periodi molto
brevi. I magazzini di stoccaggio, invece, devono essere ben collegati ma più
decentrati, dovendo servire numerose destinazioni e in un raggio più ampio;
in tali strutture, le merci stazionano per un periodo di tempo determinato dalla
politica di rifornimento (giornaliera, settimanale, quindicinale, mensile, ecc.),
dalla frequenza di consegna, dalla stagionalità delle richieste e dalla dimensione media degli ordini (prelievo a pallet, a colli, per singoli pezzi, ecc.). In
genere, i tempi di permanenza sono dell’ordine di settimane o mesi, in quanto
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in questo caso il magazzino funge da punto di disaccoppiamento tra la produzione e la distribuzione (Dallari e Marchet, 2005).
Per quanto riguarda in particolare la funzione di transito si distinguono le
seguenti infrastrutture logistiche:
Autoporto, infrastruttura adatta solamente al trasporto su gomma, con
aree riservate ad operatori di autotrasporto in conto terzi ed attrezzate
per la presa e la consegna, il consolidamento e il deconsolidamento dei
carichi. L’attività maggiormente supportata è il trasporto su gomma di
collettame con le connesse funzioni di riordino e smistamento dei carichi,
più che di deposito e magazzinaggio. Gli autoporti possono erogare anche servizi a carattere generale, alle persone ed ai mezzi quali ristoranti,
banche, autofficine, nonché servizi doganali se sono localizzati nei pressi
di confini di Stato.
Magazzino/piattaforma di smistamento/transito (transit point), infrastruttura di rete che svolge prevalentemente il ruolo di trasformatore dei
flussi di prodotti finiti in ingresso in flussi in uscita, con particolare riferimento alla composizione dei carichi. La tecnica utilizzata, tipicamente
nella distribuzione dei prodotti alimentari deperibili si chiama di crossdocking. Essa permette di effettuare nella piattaforma di smistamento la
preparazione degli ordini (picking), senza la necessità di ricorrere ad un
magazzino. In altre parole, nella piattaforma si effettua il trasbordo della
merce direttamente in banchina, passando dagli automezzi a carico completo dei vari fornitori a quelli di piccole dimensioni che provvedono alle
consegne su base locale.
Gateway (o scalo di smistamento), infrastruttura ferroviaria posta su una
direttrice ferroviaria caratterizzata da grandi flussi di convogli merci e
in corrispondenza di una stazione. Consente di trasferire unità di carico
provenienti da altri convogli ferroviari e da altri mezzi di trasporto su un
treno a lunga percorrenza.
Centro intermodale (o terminal intermodale), infrastruttura solitamente
non dotata di magazzini, dove si effettua il trasferimento delle unità di
carico (container, casse mobili e semirimorchi) tra modi e mezzi di trasporto. I terminal container sono situati presso i porti; quelli posti presso
un terminal ferroviario terrestre, per il trasporto combinato strada-rotaia,
sono anche denominati inland terminal. Tali strutture possono essere gestite direttamente dall’ente ferroviario o da altre società pubbliche e private. Tipicamente, ma non esclusivamente, i terminali intermodali sono
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posti all’interno di un interporto.
Terminal cargo aeroportuale, infrastruttura dove opera un handler aeroportuale di merci.
Per quanto riguarda invece la funzione di movimentazione e stoccaggio si
distinguono le seguenti infrastrutture logistiche, di cui alcune svolgono anche
funzione di transito:
Piattaforma logistica (o polo logistico), infrastruttura dotata di un’ampia
superficie scoperta che ospita veicoli, unità di carico, eventuale centro
di trasferimento intermodale, nonché di un’ampia superficie coperta che
ospita diversi magazzini con impianti automatici o semiautomatici di
movimentazione, governati da sistemi informatici complessi, e in cui si
svolgono anche attività di lavorazione ad alto valore aggiunto sulle merci.
Le piattaforme logistiche sono infrastrutture, normalmente a gestione privata, che consentono di soddisfare le necessità delle aziende che offrono
servizi logistici, nonché delle aziende che producono o commercializzano
beni e che svolgono in proprio questi servizi. Tali nodi hanno funzione
di transito, stoccaggio e manipolazione delle merci1. Sono inoltre ubicate
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Per quanto riguarda in particolare i fattori di convenienza delle imprese interessate
ad insediarsi in un polo logistico, vanno distinti vari aspetti, e cioè: magazzini, trasporti e costi di gestione. Sinteticamente si può affermare che per l’utenza di un qualsiasi polo logistico i costi di acquisto/affitto sono tendenzialmente più alti, in quanto
i magazzini inseriti in un polo devono avere determinate caratteristiche e standard
qualitativi elevati, mentre i costi di trasporto e i costi di gestione sono tendenzialmente
più bassi. Il vantaggio dovrebbe essere quindi pressoché garantito.
Un polo logistico è infatti solitamente servito da vie di comunicazione adatte al transito di mezzi pesanti ed è ubicato in zone dove il traffico risulta essere non eccessivamente caotico, pur essendo rapidamente raggiungibile dalle grandi arterie di traffico.
È quindi lecito pensare che avere un magazzino in un polo logistico permetta di ridurre i costi di trasporto. Per quanto riguarda inoltre i costi di gestione, il polo logistico consente di ottenere, grazie alle sue dimensioni, economie di scala difficilmente
ottenibili da un singolo magazzino. La scelta delle imprese di localizzare o meno un
magazzino in un polo logistico dovrebbe comunque tener conto, oltre che dei costi,
anche della “qualità” del magazzino stesso. In particolare, i magazzini di un parco logistico possono essere utilizzati da aziende diverse per soddisfare differenti esigenze.
È quindi necessario che i magazzini realizzati siano flessibili, capaci cioè di adattarsi
alle differenti esigenze degli operatori.
Le modalità di utilizzo degli immobili da parte degli operatori possono essere le più
diverse. Già in sede progettuale andranno quindi studiate tutte le caratteristiche dei
singoli magazzini che formeranno il polo logistico per garantire la massima qualità e
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in bacini di utenza dove si concentra la domanda di servizi logistici e
risultano fortemente integrati con le reti di distribuzione locali. La mano
pubblica può intervenire solo negli oneri di urbanizzazione, ma la localizzazione e la dotazione tecnologica non possono che essere scelte da
un’impresa privata o da un accordo tra imprese coinvolte nel medesimo progetto e le amministrazione pubbliche. L’area attrezzata dovrebbe
disporre di almeno di 200.000 metri quadrati di superficie. Solamente
prevedendo dimensioni piuttosto elevate si riesce a ripartire in modo economico gli alti costi di gestione del polo stesso, come ad esempio per
quanto riguarda i costi d’illuminazione, di manutenzione, di pulizia dei
piazzali, di vigilanza, ecc.
Il concetto di piattaforma logistica è spesso utilizzato con significati profondamente diversi, da cui deriva un’ambiguità di interpretazione. Ad esempio, il termine piattaforma è utilizzato per indicare:
- un deposito centrale tale da costituire il punto nevralgico di una rete distributiva di un produttore;
- il transit point di un vettore.
Spesso il termine “piattaforma logistica” è utilizzato anche come sinonimo di interporto. L’ambiguità interpretativa che ne consegue deriva dalla concezione originaria francese delle plateformes logistiques, a cui corrispondono
gli interporti italiani. In tutta Europa, l’adozione di questo tipo d’infrastruttura
presenta caratteristiche diverse da Paese a Paese.
Centro merci, infrastruttura che, oltre alle funzioni di trasferimento svolte dal terminale intermodale, comprende funzioni minime di servizio ai
praticità d’uso. Alcuni importanti elementi da considerare sono ad esempio:
- l’ottimizzazione delle maglie strutturali, in modo da consentire l’utilizzo più razionale e flessibile dello spazio sia a chi ha maggiori necessità di movimentazione delle merci (passaggio dei muletti), sia a chi ha maggiori necessità di stoccaggio (dimensioni delle scaffalature che possiedono misure standard);
- la planarità del tetto, sempre più richiesta dagli enti di controllo per la certificazione assicurativa degli impianti antincendio (sprinkler);
- un’adeguata altezza minima sotto trave;
- un’adeguata larghezza delle strade interne;
- un’adeguata altezza del piano di ribalta rispetto al livello stradale;
- la possibilità di cross docking;
- un’adeguata profondità di attracco;
- la presenza di uffici nei mezzanini, eventualmente dotati di collegamento a fibre
ottiche;
- la produzione autonoma di energia elettrica e riscaldamento.
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mezzi ed alcuni servizi alle merci, con la presenza di edifici per la manipolazione ed il deposito delle merci. In pratica, sono infrastrutture gestite
da privati e che, in presenza di un centro intermodale al loro interno,
hanno funzioni analoghe a quelle degli interporti, ma inferiori a queste
per dimensioni.
Interporto, tipologia di infrastruttura logistica prevista in Italia dal Piano
Generale dei Trasporti del 1986 e dalla Legge 240/90 (“Intervento dello
Stato per la realizzazione di interporti finalizzati al trasporto merci e in favore dell’intermodalità”), collegata con diverse reti di trasporto, dotata di
un centro intermodale, una sede doganale e diversi magazzini. In pratica,
rappresenta un insieme organico di strutture e servizi integrati finalizzati
allo scambio di merci tra le diverse modalità di trasporto, comprendente
uno scalo ferroviario idoneo a formare e/o a ricevere treni intermodali e in
collegamento con porti, aeroporti e viabilità di grande comunicazione. Al
suo interno sono svolte tutte le attività relative ai trasporti (mono-modali
e combinati), alla logistica e alla distribuzione delle merci. Gli interporti,
sono strutture logistiche molto estese, con superfici di almeno qualche
centinaia di ettari (oltre i 600-700 mila mq), fino ad alcuni milioni di
mq.
Distripark, ovvero macro-piattaforma logistica avanzata in grado di operare sia come centro di stoccaggio, sia come cross-docking. È localizzata solitamente in una zona franca retroportuale o aeroportuale in cui è
possibile fornire valore aggiunto alle semplici operazioni di carico/scarico delle merci, rivestendo la funzione di punto di interscambio fra varie
modalità di trasporto e di congiunzione fra industria e servizi. Con tale
sistema, la “rottura di carico” diviene indispensabile al fine di consentire
l’effettuazione di servizi logistici avanzati quali, ad esempio, il controllo
qualità, l’assemblaggio, il confezionamento e l’etichettatura, a supporto
di attività globalizzate di produzione e scambio.
Centro di distribuzione urbana (CDU), infrastruttura realizzata in prossimità delle aree urbane e metropolitane in cui vengono raccolte, stoccate e
manipolate le merci trasportate dai veicoli pesanti per poi essere smistate
su mezzi di minore portata (e a basso impatto ambientale), secondo un
piano di consegne ottimizzato nei percorsi e negli orari. In tali strutture
si svolgono quindi principalmente operazioni complementari sulle merci
e quelle di consolidamento e deconsolidamento dei carichi. I centri di
distribuzione urbana rappresentano generalmente nodi logistici ad uso
17
esclusivo di un operatore o dei suoi partner (ad esempio produttori di beni
e/o altri operatori logistici) e destinati al trasporto monomodale stradale.
Nascono dalla necessità di agevolare l’accesso nei centri storici, ridurre
gli impatti ambientali del trasporto merci nelle aree urbane e metropolitane.
Magazzini/depositi, che rappresentano dei “polmoni”, ovvero dei luoghi
in cui la componente dei servizi alle merci o alle imprese è molto ridotta
e che assolvono quasi esclusivamente la funzione di stoccaggio e gestione
amministrativa di riserve di scorte utili ad affrontare le richieste provenienti dai diversi mercati. In una logica di produzione just-in-time si tende
a limitare il numero di queste strutture, poiché si riducono le rotture di
carico e di conseguenza i luoghi di stoccaggio. Dal punto di vista della
collocazione all’interno della supply chain i magazzini con funzione di
movimentazione e stoccaggio possono essere suddivisi in:
- Magazzini di fabbrica, utilizzati come polmone di disaccoppiamento
tra due fasi successive del processo produttivo. Possono essere suddivisi in:
- magazzini di materie prime;
- magazzini di semilavorati;
- magazzini interoperazionali.
Per quanto riguarda le prime due tipologie, trattasi solitamente di punti di consolidamento dei carichi provenienti da numerosi fornitori. Essi
possono essere posizionati in prossimità di un grande sito produttivo in
modo che il materiale possa essere rapidamente trasferito, anche su base
giornaliera, a seconda dei fabbisogni.
- Magazzini di rete: magazzini di prodotto finito interfacciati con il
mercato dei clienti. Possono a loro volta essere suddivisi, in relazione alla funzione svolta o alla loro collocazione all’interno della rete
distributiva, in:
- Magazzini centrali, spesso annessi agli stabilimenti di produzione.
Nel caso invece di aziende di distribuzione, sono generalmente connessi a una rete distributiva multilivello e hanno la funzione principale di centro di stoccaggio.
- Centri di distribuzione (Ce.Di.): si tratta di magazzini collocati in una
posizione intermedia all’interno della rete distributiva (con funzione
di copertura di una specifica area geografica), cui fanno capo i diversi
materiali provenienti da vari fornitori e/o stabilimenti di produzio-
18
ne. Tale concentrazione consente la formazione di carichi completi,
comprendenti il mix di prodotti desiderato, destinati ai diversi clienti
della zona servita (più raramente anche a depositi periferici). È la
tipica struttura utilizzata dai principali operatori della grande distribuzione per ricevere le merci da fornitori di beni di largo consumo e
servire i punti vendita al dettaglio (supermercati e ipermercati).
- Magazzini periferici, strutture tipiche nel settore dei beni di largo
consumo caratterizzate da una prevalenza della funzione di picking
(allestimento e preparazione ordini) e di smistamento. Sono dislocate nei diversi bacini di domanda per garantire un adeguato livello
servizio ai clienti in termini di tempo di consegna nonostante la dispersione geografica del mercato. L’economicità di tali strutture è
particolarmente elevata quando il valore della merce è relativamente
basso, i rifornimenti richiesti sono frequenti e i volumi alti ma non
sufficienti a comporre un carico completo. La localizzazione in prossimità dell’area di mercato permette di beneficiare delle economie di
scala realizzabili tramite il consolidamento delle spedizioni in arrivo
dalle fonti di approvvigionamento.
Magazzini generali, infrastrutture di pubblica utilità inseriti di norma
all’interno di nodi logistici di primaria importanza in cui è prevista la
presenza di un presidio doganale. Un tempo avevano funzioni prevalentemente di immagazzinamento e distribuzione di derrate alimentari. Successivamente, con la presenza al loro interno di un presidio doganale,
hanno costituito il punto di riferimento per gli operatori economici coinvolti in acquisti all’estero di grandi quantità di merce di diversa tipologia.
Oltre alla funzione prevalente di stoccaggio essi offrono servizi alle imprese di carattere fiscale e amministrativo (deposito IVA), servizi ai mezzi
e alle persone quali per esempio la sosta custodita dei veicoli e locali di
ristoro. La differenziazione dell’offerta della gamma di servizi è tuttavia
legata alla struttura logistica in cui il magazzino generale è collocato. I
magazzini generali possono:
- rilasciare un titolo di credito rappresentativo della merce così da consentire il trasferimento della proprietà mediante semplice girata sul
titolo;
- ottenere un finanziamento da istituti di credito dando la merce in
pegno attraverso il titolo di credito;
- rinviare il pagamento dei dazi e dei diritti doganali che saranno dovu-
19
ti solo al momento dell’uscita della merce dal magazzino doganale, o
non pagati affatto nel caso di merce destinata all’esportazione.
1.3.Localizzazione dei nodi logistici e organizzazione dei flussi secondo il
modello hub-and-spoke
Come ampiamente dimostrato dai moderni approcci alla pianificazione,
organizzazione e gestione di attività imprenditoriali nell’ambito dell’economia reale, le maggiori e più frequenti cause di discontinuità nell’ambito di un
sistema logistico sono solitamente:
- la dinamica dei volumi;
- i cambiamenti di gamma;
- le riallocazioni di capacità produttiva;
- la necessità di variabilizzare i costi o di ridurre gli immobilizzi;
- i cambiamenti dei flussi origine/destinazione.
È soprattutto in questi casi che si attivano progetti strategici di outsourcing/
insourcing, nonché di riconfigurazione della rete fisica e di processi importanti.
Con riferimento alla localizzazione dei nodi logistici e all’organizzazione
dei flussi, è possibile distinguere modelli di comportamento che variano sensibilmente in funzione della logica che sottende l’azione dell’attore economico
interessato o del rapporto di forza che esiste tra diversi attori economici in un
dato momento della storia di una modalità di trasporto e/o di un prodotto e del
mercato di riferimento (Cabodi, 2000).
Le principali logiche alla base della progettazione delle catene logistiche
e della localizzazione ed organizzazione del sistema di depositi e piattaforme
da parte di imprese di produzione, commerciali e di servizi logistici dipendono in misura sempre maggiore dalla tipologia di bene da trasportare e dalle
caratteristiche della domanda. In ogni caso, la tipologia, il numero e la localizzazione dei nodi logistici funzionali alle attività di gestione di una o più supply
chain dipendono generalmente da molteplici fattori, quali:
- il numero e la localizzazione di fornitori e/o clienti (a seconda del caso);
- il numero, la localizzazione e la capacità produttiva di impianti già esistenti;
- la tipologia, il ciclo di vita e la densità di valore dei beni;
- le quantità inoltrate;
20
i termini di resa;
il livello di servizio richiesto (ad es. in termini di frequenza delle spedizioni, tempi di consegna programmati, gestione dei resi/sostituzioni/
riparazioni, assistenza, ecc.);
- le richieste di personalizzazioni dei prodotti e/o di particolari imballaggi
per determinate aree geografiche e/o clienti;
- la regolarità della domanda;
- la morfologia, la dotazione infrastrutturale, la dotazione immobiliare, il
grado di accessibilità e la situazione economica, politica, legislativa e
fiscale del territorio, secondo le diverse scale geografiche di interesse.
La scelta del modello distributivo dipende fortemente dal trade-off esistente tra i costi di trasporto verso i clienti (trasporto secondario o outbound)
e i costi di trasporto dalle fonti di approvvigionamento ai magazzini (trasporto
primario o inbound), più i costi legati al magazzinaggio e al mantenimento
delle scorte (Maggi, 1998). Nel caso di prodotti ad alta densità di valore e/o
nel caso di basse frequenze di consegna si tende solitamente alla riduzione
di costi di mantenimento delle scorte, cercando di ridurre il più possibile il
numero di punti di stoccaggio. Nel caso invece di prodotti voluminosi e deperibili si tende alla riduzione dei costi di trasporto, frammentando la rete di
distribuzione. Anche nel caso di elevate quantità da distribuire e/o di bassa
irregolarità della domanda si tende solitamente ad utilizzare reti distributive
più decentrate (Dallari e Marchet, 2003). Come indicato nella figura 1.2, strutture caratterizzate da molti depositi periferici e piccole e frequenti consegne
emergeranno allorquando le imprese siano più orientate al livello di servizio
ed i costi di trasporto sono alti; al contrario, strutture caratterizzate da pochi
depositi centralizzati emergeranno quando le imprese hanno l’obiettivo di realizzare di economie di scala nel trasporto (Radstaak et al., 1998; Tavasszy et
al., 2003).
Le tendenze del mondo produttivo moderno sono caratterizzate da processi diffusi di terziarizzazione delle attività di magazzino e più in generale
logistiche e distributive da parte di imprese di produzione e commerciali ad
operatori altamente specializzati (Marasco, 2008). L’industria logistica moderna è caratterizzata dalla presenza di fornitori che mettono in atto logiche
localizzative e reti distributive particolarmente innovative, soprattutto in relazione agli effetti territoriali indotti. Le imprese dominanti tendono a localizzarsi in centri logistici con funzioni di poli di concentrazione, bilanciamento
e smistamento dei flussi di tutte le diverse modalità di trasporto operanti in
-
-
21
un certo mercato. Spesso si assiste anche alla realizzazione di piattaforme di
distribuzione gestite da società specifiche al servizio di reti di centri commerciali come risultato di alleanze tra integratori logistici e operatori della grande
distribuzione (Cabodi, 2000; Savy et al., 1995).
Figura 1.2 – Il trade-off tra scorte e trasporti
Fonte: Tavasszy et al., 2003
Per comprendere meglio i motivi che spingono le imprese a scegliere
alcune localizzazioni piuttosto che altre, per insediarvi le piattaforme logistiche, occorre considerare che le attività logistiche e di distribuzione sono
solite localizzarsi secondo una struttura a rete che collega nodi primari a nodi
secondari. Il livello di connettività delle reti logistiche è fortemente aumentato
negli ultimi tempi, in quanto da un modello a rete non ordinata si è passati ad
un modello a rete ordinata di tipo “hub-and-spoke”, che risponde a logiche di
radializzazione e massificazione dei flussi, riducendo i collegamenti necessari
all’interscambio, le rotture di carico e i costi di produzione dei servizi logistici
(fig. 1.3).
22
Figura 1.3 – Modello distributivo tradizionale e modello hub-and-spoke
Fonte: Rodrigue et al., 2006
Mentre il tradizionale sistema a rete prevede che i centri di raccolta e
distribuzione delle merci operino come soggetti indipendenti e quindi spesso
in sovrapposizione spaziale-merceologica, la logica hub-and-spoke richiede
la concentrazione dei traffici su pochi punti (hub) che sventagliano le merci
verso strutture periferiche (spoke) da cui hanno poi origine le consegne finali
su brevi itinerari terrestri. Il modello dei centri di smistamento centralizzati, largamente diffuso nel traffico marittimo, dove i cosiddetti hub portuali
di transhipment sono posizionati lungo le tratte servite dalle grandi navi che
effettuano servizi intercontinentali, si sta, anche se lentamente, diffondendo nella distribuzione terrestre. In campo marittimo tale soluzione risponde
sostanzialmente alla necessità degli armatori di massimizzare la saturazione
23
delle grandi navi; in campo terrestre, invece, la logica in oggetto prevede lo
sviluppo di varie strutture logistiche in qualità di hub primari e spesso anche
in concorrenza fra loro. Gli spoke, invece, sono rappresentati dai collegamenti
con gli hub di livello inferiore (piattaforme logistiche minori), che movimentano lotti di merce a scala progressivamente decrescente, posizionandosi nelle
immediate vicinanze della destinazione finale delle merci (Forte, 2005).
Le principali ragioni per cui molte imprese sono passate da configurazioni
più tradizionali della propria rete distributiva al modello hub-and-spoke sono,
da un parte, quella di aumentare la velocità e l’efficienza delle operazioni di
smistamento e distribuzione, e dall’altra, l’opportunità di sfruttare le economie di trasporto indotte dalla presenza di uno o più punti di transhipment in
cui si consolidano e si smistano i flussi provenienti dalle principali direttrici
di traffico. Concentrando, infatti, i principali flussi su un numero minore di
collegamenti, è possibile raggiungere una maggior saturazione dei mezzi di
trasporto (possibilmente in entrambe le direzioni) e garantire una frequenza
di consegna elevata (Dallari, 1999; Dallari et al., 1999; Dallari e Marchet,
2003).
L’adozione del modello hub-and-spoke come modalità di organizzazione
delle reti logistiche non solo ha consentito la razionalizzazione dei flussi di
merci e la conseguente contrazione del numero di strutture dedicate alla movimentazione delle stesse, ma è stata anche causa e conseguenza di un processo
di selezione tra gli operatori logistici, che tendono a ridursi nel numero e a
specializzarsi su determinati segmenti di domanda. L’organizzazione secondo
il modello hub-and-spoke diventa quindi il fulcro di una strategia messa in
atto dai principali operatori logistici per consolidare le proprie posizioni su
particolari aree, escludendone i concorrenti. L’adozione di un simile modello ha determinato, comportando notevoli investimenti, un innalzamento delle
barriere d’accesso al settore e quindi la conseguente selezione degli operatori
e il consolidarsi di una situazione di quasi oligopolio (Cabodi, 2000; Cescom
Bocconi e Sistema Impresa, 1998; Debernardi, 1996).
Lo sviluppo delle reti radializzate, inoltre, ha fatto emergere la necessità
per ogni paese di predisporre una rete logistica nazionale dotata di hub di primo e secondo livello, gerarchicamente coordinati fra loro e di movimentazioni
veloci e funzionali attraverso spoke efficienti (Bologna, 1998). La condizione
necessaria per un nodo con i requisiti geografici per poter fungere da hub è di
disporre di servizi di trasbordo di qualità a prezzi competitivi e di una rete di
infrastrutture in grado di permettere lo smistamento dei carichi per le desti-
24
nazioni finali (invio agli spoke), con tutte le modalità di trasporto disponibili,
necessarie e più convenienti da utilizzare, singolarmente o combinate.
La localizzazione di un hub dipende quindi principalmente dalle aree da
servire, o meglio dalla possibilità di servire il proprio bacino entro tempi brevi
e con la massima affidabilità. Per questo motivo nelle scelte localizzative di
un hub hanno grande importanza le condizioni di accessibilità locali e quindi
il basso livello di congestione della rete infrastrutturale e la possibilità di raggiungere facilmente non solo i mercati da servire, ma anche i nodi delle reti
principali.
Il diffondersi di questo modello dovrebbe consentire maggiore libertà
nelle scelte localizzative e distributive, determinando, a scala europea, nuove
occasioni di sviluppo, attraverso l’inserimento in reti specifiche, per territori
tradizionalmente periferici. Fino ad oggi, gli integratori logistici, che detengono il controllo di tali reti, hanno privilegiato localizzazioni in corrispondenza
dei maggiori hub infrastrutturali e in particolare di quelli portuali e aeroportuali, di norma collocati in zone centrali. Le ragioni di queste scelte dipendono
principalmente dal fatto che la densità di popolazione e attività economiche,
la presenza di infrastrutture di trasporto più articolate, moderne ed efficienti,
l’esistenza di politiche volte a facilitare il transito delle merci rappresentano fattori decisivi nelle scelte localizzative. La localizzazione specifica di un
centro logistico riflette infatti il bisogno di ottimizzare la quantità e la qualità
del traffico locale e di quello a lunga distanza, ovvero il rapporto e le rotture
tra le due tipologie di traffico, così che i flussi possano essere efficientemente
consolidati/deconsolidati e smistati.
L’attuale congestione dei sistemi infrastrutturali e, in alcuni casi, l’alto
costo dei terreni e della manodopera iniziano però spesso a rappresentare altrettanti fattori che spingono le imprese a cercare localizzazioni alternative a
quelle centrali per i loro hub. Iniziano così ad emergere nuove zone per la loro
localizzazione. Tali aree emergenti, sebbene collocate in territori periferici o
al di fuori delle consolidate rotte di traffico, sono caratterizzate dalla presenza
di reti efficienti e poco congestionate, assicurando la possibilità di un servizio
affidabile, rapido ed economico. Inoltre, in queste aree, i costi di installazione, così come quelli di funzionamento, sono solitamente meno elevati. Per
questi territori, quindi, lo sviluppo e la diffusione del modello hub-and-spoke
potrebbe rappresentare una reale occasione di sviluppo. A scala europea, ciò
potrebbe rappresentare l’occasione per realizzare un assetto territoriale innovativo, più equilibrato ed “equo” (Molin, 1994). Condizione necessaria affin-
25
ché ciò avvenga è un ripensamento delle politiche infrastrutturali, soprattutto
per quanto riguarda l’accessibilità dei territori periferici.
Un fattore significativo nella ridefinizione delle strategie localizzative è
il ruolo assunto dalle reti transeuropee di trasporto (Trans-European NetworkTransport, TEN-T), indispensabili per assicurare la libera circolazione delle merci nell’Unione Europea. Gli orientamenti per lo sviluppo delle TENT definiscono le priorità dell’Unione Europea in materia di trasporto merci,
applicando l’etichetta di “rete” a determinati itinerari e concentrando così il
sostegno finanziario a favore di progetti con un valore aggiunto comunitario
più elevato. Con particolare riferimento ai nodi delle reti TEN, questi sono
costituiti dalle infrastrutture d’interconnessione che convertono le diverse
modalità di trasferimento e trasporto a grande scala nelle funzioni logistiche
metropolitane e in quelle di scambio delle risorse ambientali, sociali ed economiche a livello urbano. Le imprese si trovano così costrette a individuare aree
per l’approvvigionamento, lo stoccaggio e la distribuzione merci con diversi
raggi d’azione, dando luogo a diversi modelli distributivi (Baccelli ed altri,
2007).
Ad oggi, la maggior parte dei centri di distribuzione e degli hub europei si trova nella cosiddetta “Blue Banana”, una fascia curvilinea di territorio
che si estende da Manchester in Gran Bretagna, fino al Nord Italia, passando
per Olanda, Belgio, Germania e Svizzera. Questa zona rappresenta il cuore commerciale dell’Europa e garantisce un rapido accesso ai mercati chiave
dell’Unione Europea, anche grazie ad un network di trasporti ed infrastrutture
ben sviluppato. Tale fascia di territorio si sta inoltre sempre più estendendo
fino ad includere aree dell’Europa centrale ed orientale, nonché della Francia
e della Spagna (fig. 1.4).
Un’altra concentrazione di siti logistici è rappresentata dal cosiddetto
“Latin Arc”, che parte dalla penisola iberica (vicino Madrid), passa attraverso
la regione di Valencia e la Catalogna (Barcellona), la Francia (Montpellier, Tolosa, Marsiglia), raggiunge la pianura del Po e si estende fino all’Italia centromeridionale. Tra le localizzazioni attualmente più richieste per lo svolgimento
di attività logistiche, diversi studi immobiliari recenti rivelano una notevole
apertura nell’area del centro-sud Italia, dove la disponibilità di terreni è elevata ed a costi ancora competitivi. Si segnala, ad esempio, il forte interesse
per l’area sud di Roma e di alcune aree di Puglia e Campania. Tuttavia, la
carenza di infrastrutture continua a bloccare lo sviluppo di nuovi centri distributivi e il Nord del Paese resta ancora l’area più richiesta. Questo avviene
26
soprattutto a seguito dell’ingresso di numerosi operatori europei nel mercato
italiano, per i quali il Nord Italia è sicuramente più strategico e, in particolare,
la zona dell’estremo Triveneto, porta di transito verso gli sbocchi commerciali
ad Est.
Figura 1.4 – La Blue Banana e le sue estensioni
Fonte: Cushman & Wakefield, 2006
L’allargamento ad Est dei confini dell’Unione Europea e l’integrazione
economica dei nuovi Paesi membri stanno causando importanti cambiamenti
nei modelli distributivi e della supply chain delle imprese in ambito europeo.
I poli della logistica europea si stanno, infatti, spostando in misura maggiore
ad Est per far fronte alle crescenti richieste dei mercati emergenti.
Le logiche localizzative delle imprese non sono comunque le uniche da
27
tenere in considerazione. Infatti, da quando autorità e altri enti locali, come ad
esempio Province, Comuni e Camere di Commercio, hanno iniziato a cogliere
le possibilità offerte dalla logistica, si è innescato un circuito parallelo a quello
dei privati per la realizzazione di queste strutture. Le piattaforme pubbliche
sono promosse e finanziate con la finalità di fornire strutture fruibili da utenti
che non possono o non ritengono conveniente realizzarle in proprio. Esse rappresentano uno strumento importante per lo sviluppo locale, sebbene la loro
localizzazione spesso non nasce dalla considerazione delle esigenze espresse dalle imprese. Tali installazioni, infatti, tendono a essere allontanate dalle
zone economiche più attive, poiché consumatrici di grandi spazi e produttrici
di risorse fiscali meno interessanti che quelle prodotte da attività commerciali
o di alta tecnologia, mentre le aree in crisi entrano in competizione per attirarle, in quanto potenziali produttrici di nuova occupazione. Il risultato è la
proliferazione di progetti e interventi in luoghi dove non esiste la richiesta di
tali strutture, mentre spesso non ne esistono dove effettivamente potrebbero
essere utili, non solo come risposta ad esigenze industriali, ma anche come
strumenti per favorire un riequilibrio delle attività logistiche e di trasporto sul
territorio (Cabodi, 2000; Paché, 1992).
1.4.Immobili per la logistica e caratteristiche del mercato a livello europeo
e nazionale
Il settore immobiliare logistico rappresenta quella parte del più generale
comparto immobiliare che si occupa dell’analisi localizzativa, nonché della
realizzazione e della vendita di immobili con destinazione d’uso logistica,
vale a dire magazzini e centri logistici ove si concentrano le attività di stoccaggio e smistamento delle merci di uno o più operatori (Creazza, 2006). Il
mercato è attualmente caratterizzato da un trend di sviluppo abbastanza favorevole. Gli attori principali sono grandi operatori del trasporto e della logistica, sviluppatori logistici, enti pubblici territoriali (consorzi industriali, enti
locali), intermediari di diversa natura (agenzie di promozione, agenzie immobiliari, consulenti), gestori di piattaforme logistiche pubbliche e costruttori.
Inoltre, con l’ingresso sul mercato di società di sviluppo immobiliare come ad
esempio Pirelli RE, Gazelet, GSE e ProLogis, l’offerta di immobili specializzati ha raggiunto caratteristiche e prezzi industriali che permettono ad aziende
manifatturiere, commerciali e distributrici da una parte e dall’altra agli opera-
28
tori logistici di non presidiare questo aspetto della loro attività, utilizzando le
risorse finanziarie disponibili per impieghi legati all’attività caratteristica.
In ogni caso, il mercato immobiliare logistico può essere compreso a partire dall’analisi di tutte le sue componenti fondamentali: localizzazioni, immobili, attori e transazioni (Jones Lang La Salle, 2008a). È possibile quindi
innanzitutto distinguere tra “prime” e “secondary” location, dove le prime
rappresentano aree ubicate in corrispondenza di importanti infrastrutture di
trasporto, con uno stock di immobili logistici consolidato ed un mercato di
riferimento molto ampio. Sono altresì considerate primarie le aree in cui stanno emergendo sviluppi immobiliari logistici importanti, fatte salve le altre
caratteristiche sopra specificate. Sono definite invece secondarie le aree che
non soddisfano tutti od alcuni dei criteri utilizzati per classificare le prime
location.
Il magazzino rappresenta un elemento fondamentale per il sistema logistico, in quanto è il nodo centrale di interconnessione e coordinamento dei
flussi. Esso influenza le prestazioni di costo e di servizio dell’impresa e di
ampia parte della catena o delle catene produttive e/o distributive a cui questa
appartiene. I parametri ottimali di un immobile logistico sono in ordine di
importanza:
- una localizzazione strategica, sia dal punto di vista operativo che in termini di visibilità;
- una corretta gestione e conservazione delle merci;
- un numero adeguato di portoni sezionali, baie di carico e attrezzature
necessarie.
In generale, l’evoluzione della logistica segue una tendenza alla realizzazione di magazzini più grandi, più alti e con più porte. Secondo le caratteristiche tecniche e strutturali è possibile distinguere (Scenari Immobiliari, 2006):
- Classe A: immobile di almeno 10 o 12 metri di altezza, con una superficie
coperta maggiore di 5.000 metri quadrati, con rapporto di superficie tra
coperta e scoperta di uno a due, maglie ampie, cablato, con impianti antincendio e sprinkler, adatto alle funzioni logistiche.
- Classe B: immobile con altezza superiore agli 8 metri e inferiore ai 10
metri, superficie coperta superiore ai 2.000 metri quadrati, con rapporto
di superficie tra coperta e scoperta di uno a due, con livello medio di dotazioni di impianti, adatto alle funzioni logistiche.
- Classe C: immobile di altezza inferiore agli 8 metri, con superficie superiore o uguale a 1.000 metri quadrati, quasi sempre frutto di riconversio-
29
ne da altre funzioni, industriali o trasportistiche, adattabile alle funzioni
logistiche.
Attualmente, a livello internazionale gli immobili più richiesti per attività
di logistica moderna sono quelli appartenenti alla classe A. Dal punto di vista
dimensionale, la taglia media orientativa dei magazzini richiesti alle società immobiliari è di 12 mila metri quadrati. Il dimensionamento dipende da
molteplici fattori, ad esempio: se l’immobile logistico è mono-fronte la profondità non deve superare i 95-100 metri, mentre se l’immobile è bi-fronte la
profondità può arrivare a 130-140 metri. Inoltre, per quanto riguarda l’altezza
di impilamento della merce, questa deve garantire almeno 10,5 metri di luce
libera sotto trave. I singoli comparti dell’edificio non devono essere superiori
agli 8.500 metri quadrati e con un numero sufficiente di punti di collegamento
tra i diversi comparti, almeno due per i magazzini monofronte e tre per quelli
bifronte. La maglia strutturale minima dell’edificio deve essere di dodici metri
(al fine di evitare rigidità nella definizione del lay-out interno del magazzino)
e occorre poi anche una perfetta planarità e non discontinuità della pavimentazione, con una portata in grado di assicurare un carico uniforme di 5.000 Kg/
metro quadrato.
La densità delle ribalte deve essere di almeno una ogni 800/1.000 metri
quadrati (tale parametro dipende anche dal tipo di destinazione dell’immobile logistico, tendenzialmente superiore per centri distributivi ed inferiore per
centri di deposito e/o puro stoccaggio di prodotti). Infine, i piazzali devono
avere una profondità di almeno 35 metri per consentire una normale circolazione e sosta degli automezzi.
Per quanto riguarda il layout complessivo del magazzino, la tendenza
prevalente è quella di adottare una disposizione delle aree operative coerente
con il flusso dei materiali, in modo da minimizzare i costi di movimentazione.
La dimensione, le caratteristiche e l’importanza di ciascun’area operativa variano in relazione alla tipologia del magazzino e al tipo di prodotti trattati.
Da un punto di vista qualitativo si distinguono le seguenti tipologie di
magazzino:
- Magazzini per stoccaggio intensivo, generalmente di grandi dimensioni
(sopra i 10.000 mq) e localizzati nei pressi delle principali arterie autostradali. Le principali caratteristiche tecniche sono: maglia strutturale
ampia, altezza sottotrave di almeno 10 metri, doppio fronte di ribalte,
impianto sprinkler, ampie aree di manovra.
- Magazzini per corrieri espresso, generalmente di dimensioni medio pic-
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cole (1.500-2.000 mq) per lo smistamento e la distribuzione di colli nel
minor tempo possibile. Le principali caratteristiche tecniche sono: altezza
sottotrave di circa 8 metri; alto numero di baie di carico; doppio fronte di
carico e minor profondità rispetto allo standard. Sono generalmente localizzati nei pressi dei principali mercati finali di distribuzione.
- Magazzini specialistici (del freddo, automatici, ecc.), generalmente dotati
di elevate caratteristiche tecniche costruttive, funzionali al tipo di attività
logistiche da svolgere (conservazione di merci a temperatura controllata,
gestione automatizzata di colli, ecc.).
Tutti i magazzini di logistica - con poche eccezioni, ad esempio quelli per gli elettrodomestici bianchi - sono scaffalati (in senso longitudinale o
trasversale), in quanto la merce è pallettizzata ovvero suddivisa/confezionata
su “piattaforme di sostegno” – i pallet, appunto – generalmente in legno, utilizzate per le operazioni di movimentazione e stoccaggio. Tutte le dimensioni sono quindi rigidamente governate dal “modulo”, cioè dalla dimensione
standard del pallet. Si stanno inoltre diffondendo soluzioni eco-compatibili
per i magazzini logistici che prevedono lo sfruttamento delle energie pulite
(pannelli fotovoltaici e solari per il riscaldamento di aria e acqua, bruciatori ad
alto rendimento per il riscaldamento, ecc.), l’integrazione paesaggistica con la
vegetazione per la mitigazione dell’impatto visivo, l’installazione di sensori
di presenza per l’attivazione di riscaldamento e illuminazione, frangisole per
limitare il riscaldamento da irraggiamento, e così via (Creazza e Dallari, 2006;
Jones Lang LaSalle, 2008).
Gli attori principali del mercato immobiliare logistico sono gli utilizzatori, gli sviluppatori (o developer) e gli investitori istituzionali. Gli utilizzatori
sono ulteriormente raggruppabili in due categorie: i third party logistics provider e gli owner occupier. I primi sono naturalmente le imprese che offrono
servizi logistici in conto terzi, mentre i secondi rappresentano le imprese che
svolgono la propria funzione logistica in modo indipendente, autonomo e con
risorse interne. Gli sviluppatori sono invece società o singoli individui che
si assumono la responsabilità finanziaria e il rischio connesso alla realizzazione di progetti immobiliari. Si distinguono in sviluppatori “puri” e “finanziari”. I primi si fanno carico di tutto il processo urbanistico, autorizzativi e
costruttivo fino alla completa realizzazione dell’immobile, mentre i secondi
affidano la progettazione e costruzione dell’immobile ad un general contractor. Infine, gli investitori sono soggetti che vendono e comprano immobili a
reddito, oppure che finanziano sviluppi speculativi, ovvero la realizzazione di
31
immobili senza aver preventivamente individuato un locatario. Gli investitori
sono generalmente società nazionali o internazionali oppure singoli individui.
Le decisioni di investimento interessano generalmente immobili di dimensioni medio-grandi o interi parchi logistici. Tra gli investitori sono molto attivi
quelli “istituzionali” (società assicurative, fondi pensione, organismi di investimento collettivo), nonché le società di investimento immobiliare, le società
di gestione del risparmio, i fondi immobiliari, ecc. Gli immobili vengono fatti
generalmente confluire in fondi di investimento differenziati in funzione della
tipologia di rischio (rischio basso in caso di immobili con contratti di locazione di lunga durata, rischio alto in caso di immobili che richiedono alti investimenti di re-sviluppo). Le decisioni di investimento nel mercato della logistica
interessano generalmente immobili di dimensioni medio-grandi o interi poli
logistici, i quali offrono maggior sicurezza ed un’offerta di servizi più ampia
rispetto ad un singolo immobile.
Nel mercato dell’immobiliare logistico gli attori si muovono quindi attraverso delle relazioni di scambio che hanno ad oggetto il magazzino e/o il
parco logistico. Tali relazioni sono di due tipi: locazione e compravendita.
I principali elementi del contratto di locazione sono la durata, il canone, il
diritto di recesso e le garanzie. I third party logistics provider, ad esempio,
prediligono contratti brevi con possibilità di uscita a 3-6 anni, in modo da
potersi muovere con flessibilità sul territorio in funzione della localizzazione
dei propri clienti.
Gli investitori vendono e comprano immobili a reddito, oppure ricercano
redditività più alte acquistando sviluppi speculativi oppure partecipando allo
sviluppo di un immobile o di un polo logistico tramite joint-venture con gli
sviluppatori. I principali driver nella scelta dell’acquisto sono la localizzazione, la qualità dell’immobile, lo standing del cliente utilizzatore e la durata
del contratto di locazione. Infine, sta sempre più crescendo l’importanza delle
operazioni di cosiddetto “sale and lease back”, mediante cui un’azienda vende il proprio immobile ad un investitore, sottoscrivendo contemporaneamente
con quest’ultimo un contratto di locazione. L’operazione non prevede alcun
diritto di riscatto a favore della locataria al termine di tale contratto.
Il canone di locazione di un magazzino, normalmente, varia tra un’area
ed un’altra. Vi sono infatti alcuni fattori determinanti nel servizio offerto dalla piattaforma logistica che si ripercuotono sul prezzo. I fattori determinanti
per stabilire il prezzo sono tre: la posizione dell’immobile rispetto all’area di
utenza, la facilità di accesso all’immobile stesso e la sua vicinanza alle prin-
32
cipali arterie stradali e ferroviarie. In Italia, il costo di locazione annuo di un
magazzino varia dai 40 ai 70 euro al metro quadrato, a cui bisogna aggiungere i costi di gestione della piattaforma logistica, come le spese di vigilanza,
illuminazione, pulizia, manutenzione generale e del verde, che si attestano
generalmente sui 5-6 euro al metro quadrato.
In linea generale, i canoni di locazione variano da progetto a progetto in
base alle specifiche tecniche e rispecchiano sempre la regola del rapporto tra
domanda ed offerta. Tale considerazione di mercato aiuta a comprendere le
differenze di costo che si possono riscontrare in Italia nel raffronto con altri
Paesi europei. Ad esempio, in Francia, dove le piattaforme logistiche sono
molto più diffuse che in Italia, i canoni di locazione dei magazzini sono mediamente inferiori del 10%. In Germania, al contrario, il canone è superiore
del 5%, mentre in Paesi come Ungheria e Polonia, dove esiste una carenza di
immobili logistici, si può arrivare anche ad 80 euro al metro quadrato. Solitamente, la durata media del contratto di locazione è coerente con i termini
previsti dalla legge italiana, che prevede un contratto di locazione con la formula dei 6 + 6 anni. Alcuni operatori evidenziano, però, che un contratto di 9
anni sarebbe la soluzione ottimale per rispondere alle esigenze dell’industria
logistica, considerando che la committenza finale richiede contratti temporalmente inferiori ai 3 anni.
L’Italia mantiene attualmente una solida posizione di mercato nell’industria immobiliare logistica europea, attestandosi all’interno della top ten
globale dei mercati con le migliori location per spazi industriali e logistici
(Cushman & Wakefield, 2008). L’analisi dei dati di mercato effettuata in riferimento a diverse fonti presenta anche per il 2008 un trend complessivamente in crescita, nonostante la crisi finanziaria internazionale, confermando
la tesi che anche in Italia, se pur in ritardo rispetto ad altre realtà europee, si
sta prendendo coscienza del ruolo strategico del settore della logistica nella competizione globale. Secondo l’analisi riportata da Jones Lang La Salle
(2009), la domanda di spazi logistici sta confermando la sua spinta positiva,
chiudendo il 2008 con una crescita dell’assorbimento dell’8%. La sostanziale
tenuta della domanda in una situazione di crisi strutturale del sistema economico globale può spiegarsi nel continuo processo di cambiamento in atto delle
filiere merceologiche e di quelle logistiche che sta influenzando le strategie di
medio – lungo termine degli operatori nella riorganizzazione dei network e
nell’ottimizzazione dei flussi, traducendosi in una continua domanda di spazi
logistici nuovi e moderni. Sempre con riferimento all’anno 2008 si è rilevato
33
inoltre in Italia una certa stabilità dei canoni nelle localizzazioni primarie,
una riduzione degli investimenti del 13% rispetto all’anno precedente e un
aumento dei rendimenti2. Nelle figure 1.5 e 1.6 si riportano alcune mappe
riguardanti i principali mercati emergenti dell’immobiliare logistico in Italia.
Attualmente, le maggiori concentrazioni sono nel Nord Italia e rappresentano
hub territoriali primari le aree di Milano, Verona, Piacenza, Bologna e Novara.
Nel Centro-Sud Italia, invece, sono in espansione le aree di Roma, Napoli,
Bari e Catania.
Figura 1.5 – I mercati emergenti dell’immobiliare logistico nel Nord Italia
Fonte: Jones Lang La Salle, 2007
In ambito immobiliare, il rendimento rappresenta il rapporto percentuale tra il reddito lordo ricavabile dalla locazione di un immobile e il valore commerciale dell’immobile stesso.
2
34
Figura 1.6 – I mercati emergenti dell’immobiliare logistico nel Centro Sud
Italia
Fonte: Jones Lang La Salle, 2007
35
2. La logistica agroalimentare
2.1.La complessità logistica delle filiere agroalimentari3
La logistica agroalimentare si può suddividere nelle seguenti tipologie,
a seconda della tipologia di conservazione degli alimenti e della necessità di
rapidità nelle operazioni di distribuzione e consegna:
fresco;
freschissimo;
surgelato;
prodotti che non hanno bisogno di tecnologie del freddo.
La complessità logistica è naturalmente elevata per le prime tre tipologie
(Ahumada e Villalobos, 2009; Gustafsson et al., 2009). Per esse si può in particolare parlare di “logistica a temperatura controllata” e “catena del freddo”.
In via generale, il concetto di complessità logistica può essere considerato
come risultante delle caratteristiche di complessità a livello di (Rao e Young,
1994):
network, inteso come insieme di attori coinvolti nel ciclo di approvvigionamento, produzione e distribuzione di un dato prodotto;
processo logistico, che include l’insieme delle attività necessarie alla gestione dei flussi fisici e delle relative informazioni dall’acquisizione delle
materie prime e componenti alla distribuzione del prodotto finito agli utilizzatori finali;
prodotto, inclusi i componenti e le materie prime necessarie per la realizzazione del prodotto finale destinato al consumatore.
Le produzioni del comparto agroalimentare presentano alcune specifiche
caratteristiche che contribuiscono ad innalzare il livello di complessità logistica rispetto ad altri settori, in particolare: elevate distanze tra aree produttive
e aree di consumo, basso valore aggiunto, deperibilità, necessità di garantire
il monitoraggio continuo della qualità e della rintracciabilità, stagionalità e
necessità di riduzione degli stock lungo il canale distributivo.
La complessità a livello di network è determinata essenzialmente dalla
dispersione geografica degli attori coinvolti e dal numero delle transazioni tra
essi. La distanza fra le aree produttive e quelle di consumo ha un notevole imSi ringraziano la dott.ssa Alessandra Marasco e la dott.ssa Marcella De Martino per
i chiarimenti forniti in merito al concetto di “complessità logistica” e per la collaborazione alla individuazione delle sue determinanti.
3
36
patto sulla complessità logistica delle filiere di alcuni prodotti agroalimentari,
ed in particolare di quelli deperibili.
Relativamente al processo logistico, la complessità deriva dai tempi e dalle modalità delle operazioni di approvvigionamento, produzione e distribuzione. Così, ad esempio, la necessità di garantire lead time produttivi e/o distributivi brevi rende sicuramente più complessa la gestione delle attività logistiche
così come la necessità di mantenere basso il livello di stock lungo la catena.
Rispetto a tale aspetto occorre tenere soprattutto in considerazione l’influenza
esercitata dalle esigenze di razionalizzazione dei flussi espresse dalla Grande
Distribuzione, che tende a imporre alle imprese produttive tempi e modalità di
consegna dei prodotti spesso molto vincolanti, come il just in time, frequenti
consegne (spesso di modesti volumi), carichi pallettizzati, codici a barre per il
tracking & tracing della merce. A ciò si aggiunge la tendenza, comune ormai,
a diversi settori manifatturieri, a ridurre drasticamente gli spazi per l’immagazzinaggio delle merci (ISMEA, 2006). Occorre poi anche considerare le
esigenze specifiche in ordine alle operazioni di approvvigionamento, produzione e distribuzione determinate dall’applicazione di normative in tema di
sicurezza alle quali sono sottoposti molti dei prodotti dell’agroalimentare.
A ben vedere, la complessità logistica a livello di processo è strettamente collegata ed influenzata dagli aspetti di complessità a livello di prodotto,
primo fra tutti la deperibilità. In particolare, il grado di deperibilità di un prodotto agroalimentare determina la sua “vita commerciale”, comunemente nota
come “shelf life”, che può variare da 24-48 ore – nel caso dei cosiddetti prodotti “freschissimi” – ad alcune settimane per i prodotti “freschi”. Il grado di
deperibilità costituisce in pratica il principale parametro da considerare per
determinare i lead time massimi per la distribuzione dei prodotti agroalimentari ed influenza considerevolmente le modalità di trasporto, conservazione e
condizionamento dei prodotti stessi, determinando quindi anche la necessità
di un attento monitoraggio della loro integrità e qualità (Michalewicz et al.,
2006; Regione Emilia Romagna, 2006).
La salvaguardia degli standard qualitativi richiesti ad un prodotto agroalimentare durante le fasi di trasporto e di stoccaggio viene assicurata effettuando un controllo costante sui seguenti elementi:
- temperatura;
- umidità;
- atmosfera;
- attività di handling;
- packaging.
37
Temperatura
La conservazione dei prodotti surgelati implica l’utilizzo di una temperatura solitamente compresa fra i -7°C ed i -25°C (cosiddetto “freddo negativo”). Le tipologie merceologiche considerate sono molteplici, dalla carne ai
prodotti ittici, ai gelati e ai piatti già preparati.
Per quanto riguarda invece i prodotti freschi e freschissimi, la loro temperatura di conservazione si attesta solitamente fra 0°C e 4°C (“freddo positivo”), sebbene sussistano delle differenze a seconda della diversa tipologia di
alimenti cui ci si riferisce. Le due filiere si distinguono non tanto per la temperatura che devono mantenere i prodotti, ma per il diverso grado di urgenza
con il quale questi devono essere distribuiti al consumatore finale. Esistono,
infatti, prodotti che si alterano più o meno rapidamente, ovvero modificano
le proprie caratteristiche organolettiche (odore, sapore, colore e consistenza)
mediante la formazione di nuove sostanze che talvolta sono anche nocive
all’organismo. Per questi motivi i prodotti freschissimi devono arrivare sulle
tavole dei consumatori pochissimo tempo dopo la loro produzione. In questa
categoria merceologica si possono sicuramente annoverare il latte (crudo o
pastorizzato), alcune tipologie di formaggi particolarmente deperibili (come
la mozzarella di bufala), ma anche i prodotti ittici freschi. Per quanto riguarda
il fresco, invece, si possono citare la frutta e la verdura, il burro, le uova e molti formaggi duri o semiduri. Anche le carni (pollame, carni rosse e selvaggina)
devono sottostare a livelli di temperatura controllata.
Come evidenziato nel lavoro di Blackburn e Scudder (2008), i prodotti
deperibili raggiungono il loro massimo valore al momento della raccolta. Successivamente, tali prodotti iniziano a deteriorarsi e a perdere valore a tassi che
sono fortemente dipendenti dai livelli di temperatura (oltre che di umidità) a
cui sono sottoposti. I prodotti deperibili risultano infatti interessati da un processo chimico denominato “respirazione”, che non solo genera anidride carbonica (CO2) e calore, ma converte anche lo zucchero in amido, determinando
in definitiva la perdita di dolcezza e qualità degli stessi prodotti.
La figura 2.1 mostra i risultati di misurazioni di laboratorio relative al tasso di respirazione (misurato in Mg Co2/Kg/ora) di alcuni prodotti deperibili,
così come riportate nel data-base contenuto nel lavoro di Gross et al. (2004).
Emerge, in particolare, che l’indice di respirazione (e la perdita di zucchero)
aumenta significativamente in funzione del livello di temperatura (misurato in
°C) a cui sono sottoposti i prodotti.
In generale, la shelf life dei beni deperibili varia inversamente alla veloci-
38
tà di respirazione; inoltre, i prodotti con i più elevati tassi di respirazione tendono ad avere una vita commerciale più breve rispetto ai prodotti caratterizzati da tassi di respirazioni inferiori. Ecco perché la shelf life di prodotti quali il
crescione, il mais dolce, l’ocra e la pera di giardino, è inferiore a quella di altri
prodotti come la scarola, la lattuga in foglie, il porro, il mirtillo, il cavolfiore,
la lattuga, il ravanello in fascio, il melone, il cavolo e l’uva americana.
Figura 2.1 – Effetto del livello di temperatura sul tasso di respirazione
di alcuni prodotti deperibili
Fonte: nostra elaborazione su dati Gross et al. (2004)
Appleman e Arthur (1919) hanno approfondito la problematica riguardante
l’effetto del processo di respirazione sulla qualità e il valore del mais dolce, mostrando in particolare che la perdita di saccarosio in tale prodotto deperibile nel
tempo avviene secondo una funzione di decadimento esponenziale il cui tasso
di decadimento aumenta fortemente al crescere della temperatura (fig. 2.2).
39
Figura 2.2 – Respirazione nel tempo del mais dolce a diverse temperature
Fonte: Appleman e Arthur, 1919
Dato che i prodotti deperibili possono avere una temperatura interna che
raggiungere i 30-35 °C, la rimozione rapida del calore del campo risulta critica per preservare la loro qualità e massimizzare la loro vita commerciale. Pertanto, è fondamentale trasferire rapidamente tali prodotti dal campo stesso ad
impianti di refrigerazione e garantire il mantenimento della catena del freddo
dal periodo di post-raccolta fino al momento dell’acquisto da parte dei consumatori finali. In tal modo il processo di deterioramento avverà a tassi molto
più bassi (Hartz et al., 1996; Jobling, 2002; Perosio et al., 2001).
La figura 2.3 mostra schematicamente come un tipico prodotto fresco
perda valore nel tempo lungo la supply chain. In particolare, durante il periodo
critico compreso tra la raccolta e la refrigerazione (che va da t0 a t1) il prodotto
perde valore molto rapidamente ed esponenzialmente. In tale fase, la supply
chain deve quindi essere di tipo “responsive”, ovvero le operazioni devono
avvenire in maniera veloce. Nell’intervallo temporale post-raccolta (da t1 a t2),
invece, il valore del prodotto si riduce ad un tasso molto più lento e la supply
chain può in questo caso essere pianificata in base a criteri di efficienza (“cost
efficiency”) (Blackburn e Scudder, 2008).
In definitiva, il controllo della temperatura rappresenta uno strumento
fondamentale per la conservazione degli alimenti, in quanto ne impedisce la
perdita di valore dovuta al deperimento e al conseguente proliferare di batteri
dannosi alla salute umana. Il mantenimento della giusta temperatura lungo
40
la supply chain è garantito grazie al controllo costante di termometri ed altri
dispositivi di monitoraggio collocati sia sui mezzi di trasporto adeguatamente
coibentati, sia presso i depositi e i punti vendita.
Figura 2.3 – Riduzione nel tempo del valore di un tipico prodotto fresco
Fonte: Blackburn e Scudder, 2008
Lo sviluppo delle produzioni agroalimentari a temperatura controllata ha
fatto inoltre emergere la necessità di una regolamentazione da parte delle autorità pubbliche, al fine di proteggere il consumatore finale da rischi alla salute. In particolare, l’Europa e tutte le altre nazioni sviluppate hanno istituito un
insieme di regole per il controllo della temperatura e delle performance delle
attrezzature a differenti livelli della catena del freddo, fornendo al consumatore garanzie sul piano igienico, nutrizionale e qualitativo, nonché informazioni
sul trasporto, la conservazione ed il corretto uso di alimenti surgelati.
Molti paesi hanno stabilito regolamenti sulla sicurezza del cibo che riguardano soprattutto:
- la regolazione della temperatura del prodotto lungo tutta la supply chain;
- la registrazione automatica della temperatura dell’aria e del prodotto nelle
celle di produzione, nei veicoli refrigerati e nei luoghi di carico e scarico;
- attrezzature standardizzate certificate da attestati.
41
La regolazione differisce da nazione a nazione ma i regolamenti e le direttive UE sono state armonizzate con delle temperature definite riguardo a
varie tipologie di prodotti in tutte le fasi della catena di produzione e di distribuzione (in accordo con il Regolamento 178/2002), tenendo conto anche della
documentazione specifica (in accordo con il Regolamento 852/2004). Recentemente è stato introdotto il concetto di tracciabilità del freddo, che richiede
alcuni strumenti ed attrezzature quali termostati, registratori ed indicatori di
temperatura per il controllo della qualità di diversi beni deperibili, come pollame o altre carni, pesce, frutta e verdura, pasticceria, gelati ed altri prodotti
caseari, che sono trasportati sotto differenti cooling requirement.
Esistono delle tabelle, realizzate a seguito di un accordo detto “ATP” (Accord Transport Perissable), abbreviazione di “Accordi sui trasporti internazionali delle derrate deteriorabili e dei mezzi speciali da utilizzare per questi
trasporti”, che prescrivono i tipi di alimenti deperibili da trasportare in regime
di temperatura controllata e le temperature alle quali devono essere effettuati
i trasporti frigoriferi e refrigerati. Queste tabelle si occupano di fissare anche
una temperatura massima tollerata durante il periodo della distribuzione frazionata, in cui spesso sono necessarie numerose operazioni di apertura delle
unità di carico per lo scarico della merce.
L’ATP è la regolamentazione per i trasporti frigoriferi refrigerati a temperatura controllata di alimenti deperibili destinati all’alimentazione umana.
La normativa ATP è il risultato di un accordo europeo sottoscritto nel 1970,
da alcuni Stati, tra cui l’Italia, che impone determinate regole nella costruzione degli allestimenti isotermici per i trasporti frigoriferi refrigerati destinati al trasporto di alimenti deperibili a temperatura controllata, e determinate
prescrizioni per gli utilizzatori. Assume carattere legislativo nel 1977 e, dal
settembre 1984 viene assegnata la competenza al Ministero dei Trasporti, il
quale provvede alle verifiche tecniche di collaudo tramite gli Uffici Provinciali MCTC. L’aspetto igienico sanitario è invece di esclusiva competenza
del Ministero della Sanità, tramite le ASL. Di seguito sono presentate alcune
tabelle ATP che forniscono un’elencazione delle sostanze deperibili destinate
all’alimentazione umana da trasportare in regime di temperatura controllata,
definendo anche i range di temperatura (min-max) a cui devono viaggiare le
diverse categorie merceologiche (tabb. 2.1-2.2).
42
Tabella 2.1 – Condizioni di temperatura controllata che debbono essere rispettate durante il trasporto di determinate sostanze alimentari fresche
(*) Ferme restando le temperature sopra indicate, sono tollerati questi limiti
massimi durante il periodo della distribuzione frazionata, dovuto alle numerose operazioni di apertura per lo scarico della merce.
Fonte: http:/www.trasportiatp.it
43
Tabella 2.2 – Condizioni di temperatura controllata che debbono essere rispettate durante il trasporto di determinate sostanze alimentari congelate o
surgelate
(*) Ferme restando le temperature sopra descritte, sono tollerati questi limiti
massimi durante il periodo della distribuzione frazionata, dovuto alle numerose operazioni di apertura per lo scarico della merce.
Fonte: http:/www.trasportiatp.it
Per completezza rispetto a quanto sopra riportato in materia di regolamentazione per la salvaguardia della sicurezza alimentare, occorre infine anche
ricordare che, in Italia, per poter trasportare e stoccare i prodotti alimentari è
necessaria un’autorizzazione sanitaria prevista dall’art. 44 del D.P.R. 327/80.
Tale normativa prevede che siano soggetti ad autorizzazione sanitaria:
- le cisterne ed altri contenitori adibiti al trasporto di sostanze alimentari
sfuse;
- i veicoli adibiti al trasporto di alimenti surgelati per la distribuzione al
dettaglio;
- i veicoli adibiti al trasporto di carni fresche e congelate e prodotti della
pesca freschi e congelati.
L’autorizzazione sanitaria ha validità di due anni dalla data del rilascio.
Inoltre ci devono essere dei sistemi di autocontrollo relativi all’igiene dei prodotti alimentari (direttiva comunitaria 43/93/CEE14). Tali sistemi sono detti
“HACCP” (Hazard Analysis Critical Control Points) e puntano a identificare
ed analizzare i possibili danni associati ai differenti stadi del processo produttivo di una derrata alimentare, a definire i mezzi necessari per neutralizzarli e
ad assicurare che questi mezzi siano messi in atto in maniera efficace. L’HAC-
44
CP è elaborato per un prodotto specifico, dalla produzione ai rischi che esso
può comportare per il consumatore, al fine di elevare o migliorare la garanzia
di qualità microbiologica, fisica e chimica delle derrate alimentari.
Umidità
Quasi tutti i prodotti freschi risentono del grado di umidità dell’aria. In
alcuni alimenti, quali carne, frutta e verdura, un’umidità elevata favorisce lo
sviluppo di muffe e batteri. Al contrario, un’aria troppo secca tende a disidratarli.
Durante il trasporto e lo stoccaggio, il grado di umidità che impedisce
il deperimento dei prodotti viene assicurato da un flusso d’aria circolante la
cui entità dipende, da un lato, dal tipo di contenitori utilizzati per proteggere
l’alimento (sacchetti di rete, cassette, ecc.) e, dall’altro, dal modo in cui questi
contenitori vengono assemblati tra loro.
Atmosfera
Non sempre il controllo della temperatura e dell’umidità sono sufficienti
a garantire al prodotto gli standard qualitativi voluti e per questo viene affiancato ad essi anche il controllo sull’atmosfera. La possibilità di conservare certi
alimenti, anche per lunghi intervalli di tempo, tra la fase di raccolta e quella
di distribuzione viene garantita da particolari tecniche di controllo dell’atmosfera che si basano, in pratica, sul concetto di “vuoto d’aria”: nelle strutture di
stoccaggio l’aria normalmente presente viene eliminata e sostituita con un’atmosfera povera d’ossigeno (condizionamento gassoso) e ricca di azoto e anidride carbonica. Questa miscela contribuisce ad impedire una contaminazione
batteriologica degli alimenti durante il trasporto.
Attività di handling
Anche le attività di manipolazione effettuate sui prodotti deperibili durante lo stoccaggio ed il trasporto contribuiscono, in modo rilevante, a garantirne
la qualità e la sicurezza.
Gli addetti alle operazioni di handling devono quindi preoccuparsi non
solo di proteggere l’integrità delle confezioni, ma anche di evitare che i diversi alimenti vengano a contatto con odori, polvere, insetti e altri fattori che ne
possono ridurre la qualità fino a renderli dannosi per la salute umana.
45
Packaging
Un ulteriore elemento che consente di mantenere elevata la qualità di un
prodotto deperibile è il packaging, che comprende sia il confezionamento che
l’imballaggio. Il confezionamento riguarda l’unità di vendita e quest’ultima è
influenzata in modo rilevante, oltre che dalla necessità di preservare la qualità del prodotto, da aspetti propri del marketing. Al contrario, l’imballaggio
riguarda la modalità secondo cui le diverse confezioni di vendita vengono
assemblate tra loro per facilitare le operazioni di handling, trasporto e stoccaggio: l’attenzione in questo caso è rivolta al mantenimento della qualità del
prodotto e alla sicurezza delle confezioni. Occorre inoltre tener presente che
l’imballaggio varia anche a seconda della modalità di trasporto utilizzata: così
il ricorso ad un trasporto ferroviario o marittimo richiede un imballaggio più
accurato rispetto ad un trasporto stradale o aereo.
2.2. I mezzi di trasporto dei prodotti agroalimentari
Il trasferimento dei prodotti agroalimentari è effettuato con mezzi coibentati ventilati o refrigerati che si differenziano a seconda della modalità di
trasporto (tab. 2.3).
Tabella 2.3 – I mezzi di trasporto dei prodotti deperibili
Modalità di trasporto
Stradale
Ferroviario
Marittimo
Aereo
Combinato
Fonte: Conti (2004)
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Mezzi di trasporto
- mezzi a furgonatura coibentata-ventilata
- mezzi a furgonatura coibentata-frigorifera
- carri merci convenzionali, coperti o ventilati
- carri merci isotermici
- carri merci refrigerati
- carri merci frigoriferi
- navi da trasporto in stiva
- navi portacontainer
- stive pressurizzate
- casse mobili
- container marittimi (20’, 40’)
Trasporto stradale
Nel trasporto stradale è possibile effettuare delle distinzioni in funzione
del grado di deperibilità del prodotto e della distanza da percorrere. Pertanto:
- alcuni veicoli, dotati di furgonatura coibentata-ventilata, sono adatti al
trasferimento di prodotti poco deperibili, su brevi e medie distanze in
clima temperato;
- altri veicoli, dotati di furgonatura coibentata-frigorifera, sono adatti al
trasferimento di alimenti freschi e di prodotti congelati o surgelati. Tali
mezzi sono dotati di un compressore per la refrigerazione che viene alimentato grazie all’energia prodotta autonomamente durante il trasporto;
nei tempi di sosta, invece, la temperatura all’interno della stiva può essere
mantenuta solo se si dispone di una rete elettrica grazie alla quale il compressore può continuare ad essere alimentato.
Secondo quanto riportato sul sito dell’Albo Autotrasportatori (www.alboautotrasporto.it), l’espansione del mercato degli alimentari freschi e surgelati
– ma anche l’evolversi delle normative igieniche e l’esigenza di tenere sotto
controllo la temperatura dei prodotti lungo tutta la catena logistica – ha fatto
espandere sensibilmente il mercato degli allestimenti per trasporti in regime
di temperatura controllata, regolato dalle normative internazionali ATP. Dal
punto di vista commerciale, i veicoli per il trasporto a temperatura controllata
possono essere suddivisi in diverse categorie. Per i veicoli leggeri (ed anche
per i commerciali derivati da autovettura) la più diffusa è quella delle coibentazioni isotermiche o frigorifere, realizzate inserendo un guscio plastico opportunamente isolato all’interno della struttura del furgone originale. A partire
dai veicoli leggeri e fino ai grandi semirimorchi sono disponibili le furgonature, anch’esse isotermiche o frigorifere (fig. 2.4). Nel caso degli autocarri e dei
rimorchi queste sono realizzate con allestimenti su normali telai; per i semirimorchi si utilizzano normalmente telai specifici sensibilmente alleggeriti e, in
alcuni casi, celle autoportanti. Una variante che si sta molto diffondendo negli
ultimi anni è la furgonatura multitemperatura, suddivisa in più scomparti in
cui è possibile mantenere temperature differenti (fig. 2.5). Diffusa soprattutto
sui semirimorchi e specie in alcuni paesi europei fra cui la Spagna è invece la
centinatura isotermica, costituita dalla normale struttura di un centinato il cui
telone ha, grazie ai suoi strati interni di materiale isolante, capacità di mantenere temperature molto basse. Appartengono alla categoria ATP, infine, anche
i veicoli riscaldati, utilizzati soprattutto dall’industria alimentare e da quella
chimica.
47
Figura 2.4 – Un semirimorchio isotermico
Trasporto ferroviario
Relativamente alla modalità ferroviaria, i carri utilizzati per il trasporto
degli alimenti possono essere classificati in:
- Carri merci convenzionali, coperti o ventilati, per il trasferimento di prodotti poco deperibili.
- Carri merci a temperatura controllata specifici per beni altamente deperibili. Questi carri, a loro volta, possono essere distinti in isotermici e
refrigerati. I primi sono caratterizzati da un isolamento termico maggiore
rispetto ai convenzionali e perciò adatti al trasporto di derrate sensibili
al caldo e al freddo; i secondi, invece, sono dotati di casse per conservare il ghiaccio e di impianti di elettroventilazione. Questi ultimi hanno il
compito di spingere l’aria fra le ghiacciaie, dove viene raffreddata, e il
carico.
- Carri merci frigoriferi, dotati di gruppi frigoriferi autonomi con motori
diesel e dispositivo di riscaldamento per i servizi invernali (da +20°C a
-25°C).
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Figura 2.5 – Semirimorchio refrigerato multitemperatura
Fonte: Colicchia et al., 2008
Trasporto marittimo
Per quanto riguarda la modalità marittima, le navi utilizzate per il trasporto dei prodotti deperibili sono classificabili in:
- navi convenzionali dotate di stive frigorifere;
- navi portacontainer, dotate di un sistema di controllo centralizzato per il
monitoraggio del funzionamento dei gruppi frigoriferi dei container.
Con l’entrata in servizio di numerose nuove navi portacontainer “Postpanamax” con capacità refeer fino ad un migliaio di TEU, le navi refrigerate
tradizionali stanno perdendo quote di mercato (fig. 2.6), con molte unità oramai avviate alla demolizione. Attualmente, secondo quanto riportato in Mark
Up (2009), i container refrigerati rappresentano oltre l’80% della “refeer capacity” a livello mondiale, con una previsione di raggiungere l’86% entro il
2010.
L’utilizzo di container refrigerati è ad esempio conveniente nel trasporto di prodotti ortofrutticoli particolarmente deperibili o compresi nella fascia
delle primizie o tardizie caratterizzati da (CNEL, 2003):
- quantitativi relativamente limitati o comunque tali da non riempire con
vantaggio economico la stiva di una nave tradizionale refrigerata;
49
temperature e modalità di conservazione differenti;
necessità di non subire rotture di carico o manipolazioni aggiuntive mantenendo per tutto il ciclo del trasporto/distribuzione l’integrità della catena del freddo;
- consegne differenziate su mercati diversi ed in quantità più limitate, che
risultano meglio gestibili da unità intermodali con capacità di carico equivalenti a quelle dei normali semirimorchi frigoriferi stradali.
In figura 2.7 è riportato uno schema sullo sviluppo dei traffici marittimi
refeer lungo le principali rotte mondiali. Gli scambi maggiori riguardano la
rotta intra-asiatica, la rotta unidirezionale America-Latina-Europa e la rotta
uni-direzionale Far East-Europa.
Secondo i dati di RQ Containerisation International riportati in C.I.S.Co.
(2009), mentre la produzione dei contenitori per carichi secchi a livello mondiale si è completamente fermata dall’ottobre 2008 (a causa della recessione
economica), la costruzione di contenitori e motori refrigeranti è invece andata
avanti. La prova di tale tendenza può essere costituita dalle attività di vettori
marittimi quali MSC e CMA-CGM, che continuano ad ampliare il proprio
equipaggiamento refrigerato e ad offrire un numero maggiore dei propri servizi ai caricatori di prodotti deperibili.
-
-
Figura 2.6 – Scambi di prodotti deperibili via mare a livello mondiale
Fonte: Mark Up, 2008
50
Figura 2.7 – Lo sviluppo delle principali linee marittime refeer a livello
mondiale
Fonte: Mark Up, 2008
Trasporto aereo
Il trasporto aereo, invece, risulta adeguato per il trasferimento su lunghe
distanze di beni di alto valore quali le primizie oppure di prodotti deperibili a
forte domanda di consumo. I mezzi utilizzati dispongono di stive pressurizzate che sono in grado di mantenere la temperatura tra i 4°C e i 12°C.
Trasporto combinato
Per quanto riguarda infine il trasporto combinato, le unità di carico utilizzate per le spedizioni dei prodotti freschi e freschissimi sono le casse mobili e
i container (da 20 e 40 piedi), dotati entrambi di gruppi frigoriferi in grado di
controllare la temperatura fra i +12°C e -25°C.
51
2.3.La tecnologia della refrigerazione passiva
Sulla base di dati ed informazioni contenute in diverse riviste professionali e siti di settore, è possibile identificare il cosiddetto “Passive Refrigeration System (PRS)” come un sistema innovativo di refrigerazione sviluppato
di recente e che consente in modo completamente autonomo, ovvero senza
l’ausilio dell’energia elettrica, il trasferimento dei prodotti deperibili in condizioni ottimali di temperatura e di umidità.
Il principio di funzionamento del Sistema di Refrigerazione Passiva si
basa sul preraffreddamento di accumulatori termici mediante la circolazione
interna di un fluido frigorigeno. Una volta raggiunta la temperatura ideale, il
sistema ha un’elevata autonomia e successivamente non necessita di operazioni di deumidificazione dell’aria, né di operazioni di sbrinamento. In particolare, l’autonomia termica ha una durata di almeno 5 giorni, fino ad un massimo
di 30 giorni, a fronte di un tempo di carica degli accumulatori che va da 2 fino
a 14 ore. La tecnologia PRS è inoltre estremamente affidabile in quanto non
dipende dal funzionamento di parti meccaniche.
Assicurando un’autonomia termica anche per diverse settimane, tale tecnologia consente agli operatori logistici di allentare i ritmi tesi tipici della
distribuzione di alcune produzioni agroalimentari, dal momento della raccolta
in campo fino alla distribuzione finale presso il punto vendita. In tal modo, è
inoltre possibile garantire una qualità di conservazione dei beni decisamente
superiore alle tecnologie di refrigerazione tradizionali, oltre che una riduzione
dei costi logistici totali ed un minore impatto ambientale.
Il Sistema di Refrigerazione Passiva può essere applicato a qualsiasi unità
di carico e di trasporto, ed in particolare:
- alle casse mobili (fig. 2.8);
- ai container marittimi;
- alle furgonature;
- ai thermopallet, che sono unità di carico indipendenti con le stesse dimensioni standard dei pallet ISO o Euro;
- ai thermobox, che sono particolari tipi di thermopallet realizzabili su specifica richiesta.
Attraverso una serie di indagini condotte nell’ambito del Progetto di ricerca “Agrologis” finanziato dal MIUR, si è potuto verificare che, nel caso del
trasporto dei prodotti agroalimentari deperibili, il Sistema di Refrigerazione
Passiva può rendere più conveniente il combinato strada-rotaia rispetto al tut-
52
to-strada. Trenitalia, in particolare, ha effettuato una serie di sperimentazioni
di successo con treni programmati da Catania a Ravenna. Altre sperimentazioni ben riuscite hanno infine riguardato anche altri vettori sull’asse europeo
Svizzera-Ungheria.
Figura 2.8 – Cassa mobile a refrigerazione passiva
2.4.Le piattaforme per la logistica agroalimentare
La gestione della logistica nel settore agroalimentare in generale e in
quello dei prodotti a temperatura controllata in particolare (prodotti freschi,
freschissimi e surgelati) presenta profili delicati e complessi sia per i produttori, sia per i distributori, che necessitano sempre più, in una fase di grande
competitività, di aree e magazzini modernamente strutturati. Alle esigenze di
un mercato in rapida evoluzione, le strutture per la gestione della supply chain
(magazzini, centri di distribuzione e transit point) devono rispondere a criteri
tecnologici adeguati alle richieste di flessibilità, affidabilità, sicurezza ed ecocompatibilità.
Per rispondere a queste esigenze è possibile distinguere attualmente tre
tipologie di impianti logistici corrispondenti a tre diversi livelli di temperatura
(ISMEA, 2006):
53
1. impianti dedicati a prodotti che non hanno bisogno di tecnologie del freddo (conserve, bevande, biscotti, ecc.);
2. impianti dedicati ai prodotti surgelati (freddo negativo);
3. impianti per i prodotti deperibili (freddo positivo).
Nei casi in cui la refrigerazione è necessaria, le piattaforme sono suddivise in celle specifiche (fig. 2.9) per ciascun prodotto, in quanto il mantenimento
delle temperature richieste e le incompatibilità chimico-biologiche sono fattori fortemente condizionanti il valore della merce.
Lo sviluppo di centri logistici secondo la logica della temperatura permette di utilizzare nuove logiche di raggruppamento dei prodotti basate più sulla
condizione termica che sulle diverse filiere, e che permettono, tra l’altro, il
ricorso a consegne in camion multiprodotto. Più in generale, i centri logistici
rivestono oggi un ruolo chiave nell’aggiustamento delle strategie di produzione e di commercializzazione delle imprese del settore agroalimentare. La diffusione del passaggio attraverso tali impianti risponde simultaneamente alla
ricerca di maggiori economie di scala ed ai bisogni di continuità dei flussi, di
flessibilità e di qualità.
Figura 2.9 – Anticelle e celle in magazzini a temperatura controllata
Fonte: Colicchia et al., 2008
54
Per quanto riguarda in particolare la catena del freddo, se fino a qualche
tempo fa gli investimenti nel settore erano tipici dei produttori, ora si sono
aggiunti operatori logistici specializzati e, da ultima, la grande distribuzione.
Diversi sono i motivi che spingono tali soggetti ad investire nella catena del
freddo:
Il produttore è fondamentalmente interessato alla qualità del prodotto che
deve preservarsi fino alla tavola del consumatore. In questo modo il produttore controlla tutta la catena distributiva.
Gli operatori logistici sono interessati ai vantaggi di costo che possono
ottenere grazie ai grandi volumi movimentati. A causa degli elevati investimenti è fondamentale movimentare una massa critica consistente di
merce per poter ripartire adeguatamente i costi del servizio fornito. La
terziarizzazione permette al produttore o al distributore di non effettuare
investimenti in impianti o attrezzature particolarmente costosi.
La grande distribuzione organizzata si sta inserendo sempre più nella catena del freddo in virtù dei consistenti volumi di merce movimentata,
oltre che per motivi strategici e competitivi. Questo permette di gestire
gli assortimenti in modo svincolato dalla singola industria fornitrice e di
rispondere con maggiore flessibilità alle esigenze dei consumatori.
Il peso dei prodotti a temperatura controllata sul totale del retail sta aumentando sempre più.
Secondo gli ultimi dati della ECSLA, European Cold Storage and Logistics Association, sul mercato italiano vengono offerti 3 milioni di metri cubi
di freddo negativo da operatori terzi, a cui vanno aggiunti più di 500 mila metri cubi di celle a temperatura positiva. Ben poco rispetto ad altri paesi europei: l’Olanda dispone di oltre 12 milioni di metri cubi, la Germania di almeno
10 milioni, la Francia e la Gran Bretagna di 5 milioni ciascuno. In Italia, si
riscontra quindi una evidente mancanza di infrastrutture adeguate, ma in certi
casi ci si trova di fronte anche all’incapacità di sfruttare meglio le piattaforme
esistenti. Il settore perciò presenta ancora notevoli margini di crescita.
Quasi tutte le catene della GDO negli ultimi anni hanno cercato di centralizzare la distribuzione dei prodotti agroalimentari, ed in particolare di quelli a
temperatura controllata, attrezzando dei centri di distribuzione per lo stoccaggio e la preparazione degli ordini per i punti vendita. Tale strategia persegue
sostanzialmente tre obiettivi principali: 1) combinare la gestione e la consegna
di prodotti di più fornitori, riducendo il contatto diretto tra industria e punto
55
vendita4; 2) assorbire (ottenendo condizioni di acquisto vantaggiose) produzioni di fornitori minori; 3) ottenere economie di scala.
La gestione dei flussi attraverso il passaggio dai centri logistici permette
significativi guadagni di efficacia e di efficienza, in particolare:
- l’utilizzo generalizzato dei pallet, in modo da ridurre sia i costi unitari
della gestione delle rotture di carico, sia il numero delle operazioni di
carico e scarico necessarie a tutti i livelli della catena di attività;
- lo sviluppo di strategie che permettono di ritardare il più possibile la differenziazione di un prodotto, sia in termini di condizionamento e temperatura, sia di marcatura, confezionamento ed etichettatura.
La soluzione del futuro sarà quella della piattaforma mista di redistribuzione, utilizzata dai diversi fornitori e dai distributori in accordo con i primi
(fig. 2.10).
Figura 2.10 – Integrazione logistica tramite l’utilizzo di piattaforme miste di
redistribuzione
Inoltre, è in forte crescita da parte della distribuzione moderna, la domanda di prodotti “normalizzati”, classificati secondo le diverse caratteristiche
qualitative: varietà, colore, taglia, grado di maturazione, grado zuccherino,
consistenza e poi, origine, tipo di lavorazione, metodo di coltivazione e/o di
raccolta, rispetto dei particolari capitolati (Doc, Igp, marchi collettivi, ecc.) e
contratti di fornitura. Gli impianti logistici prossimi ai luoghi di raccolta sono
quindi il luogo privilegiato dove è possibile sviluppare questa attività di selezione dei prodotti ai fini di una classificazione qualitativa e commerciale, con
l’obiettivo di predisporre lotti omogenei (ISMEA, 2006).
Questo permette di gestire gli assortimenti in modo svincolato dalla singola industria
fornitrice e di rispondere con maggiore flessibilità alle esigenze dei consumatori.
4
56
2.5.Caratteristiche tecniche dei magazzini a temperatura controllata
La logistica a temperatura controllata (o logistica del freddo) può essere
suddivisa in due macrosettori:
la logistica a temperatura controllata per prodotti agroalimentari;
la logistica a temperatura controllata per prodotti non agroalimentari,
come farmaci, cosmetici, componentistica elettronica e fiori recisi.
Questi due macrosettori, sebbene abbiano in comune la necessità del
mantenimento della catena del freddo, presentano notevoli diversità insite
nelle diverse caratteristiche dei prodotti (grado di deperibilità, valore unitario,
urgenza nella consegna, volumi movimentati).
Per quanto riguarda più specificamente i moderni magazzini a temperatura controllata, questi sono solitamente progettati in modo da ridurre i costi energetici, con un completo isolamento sia per quanto riguarda i divisori
dall’esterno (pareti esterni, pavimenti e soffitti), sia per quanto riguarda le pareti divisorie degli spazi interni, che devono essere progettate in modo da affiancare le celle frigorifere con temperature similari (in sequenza decrescente
con le celle frigorifere a temperature più basse ad una maggior distanza dalle
baie di carico). Lo sviluppo in altezza contribuisce a ridurre i costi di mantenimento della temperatura rispetto all’estensione orizzontale a parità di volumi.
Anche le scelte in merito al colore (chiaro) e al tipo di isolamento per il tetto,
oltrechè in merito al sistema di illuminazione interno, possono contribuire a
ridurre i costi operativi relativi all’energia. È inoltre necessario porre attenzione ad aspetti quali l’orientamento dell’edificio, che deve tener conto dei venti
prevalenti. Infatti, le porte delle baie di carico non devono essere esposte ai
venti prevalenti in quanto ciò potrebbe rapidamente modificare la temperatura
interna sia al momento dell’apertura, sia nel caso di possibili infiltrazioni.
Nei flussi di merce in entrata e in uscita risulta importante l’impiego di
banchine mobili avviluppanti, attraverso un’adiacente precella ed una successiva anticella, per realizzare un “continuum” con le celle frigorifere vere
e proprie, creando le condizioni ideali per il mantenimento della temperatura
del prodotto, assicurando la continuità della catena del freddo. Inoltre, è importante che gli impianti frigoriferi, i cui circuiti ad espansione diretta di ammoniaca hanno temperature di aspirazione differenziate per l’ottimizzazione
dei consumi energetici, siano alimentati da compressori in grado di sviluppare
una capacità frigorifera media (espressa in frigorie/ora) differenziata. Gli impianti devono poi essere dotati di dispositivi per la parzializzazione della ca-
57
pacità frigorifera che consente di erogare la potenza in base ai reali fabbisogni
dell’utenza senza spreco energetico.
Altro aspetto di cui tener conto nella progettazione riguarda la sicurezza
nel suo complesso, sia per eventuali protezioni da possibili attacchi di tipo
dimostrativo (animalisti, ad esempio), sia da possibili forme di bio-terorrismo,
oltrechè per garantire i prodotti dal punto di vista fitosanitario per l’intero
processo logistico. A questo scopo la realizzazione di siti con adeguati sistemi
di recinzione, sistemi di videocontrollo e sistemi di accesso differenziato sono
ormai la norma.
Gli standard tecnici dei magazzini a temperatura controllata sono oggetto
di recente evoluzione, sia per la necessità di dover gestire quantitativi maggiori di merce containerizzata (pertanto risulta necessario che le baie di carico
siano dotate di prese elettriche e protezioni telescopiche), sia per il grado di
sofisticazione dei controlli anche da remoto delle temperature e dei gas, grazie
all’utilizzo di sofisticati manning gas detector. Inoltre, i magazzini a temperatura controllata necessitano di opportune autorizzazioni sanitarie e certificazioni di qualità.
Un magazzino costruito per non essere refrigerato si adatta difficilmente
alla temperatura controllata. Potrebbe infatti risultare possibile adattarlo al
fresco, mentre è difficilmente attuabile una riconversione al congelato e surgelato. I magazzini a temperatura controllata sono spesso costruiti “su misura”, in base cioè alle specifiche tecniche prescritte dagli utilizzatori finali. Tali
infrastrutture sono raramente considerate come semplici luoghi di deposito, in
quanto rappresentano strutture portanti della catena del freddo che dal produttore arriva al rivenditore finale (Jones Lang La Salle e Gruppo Clas, 2007).
58
3. Le principali infrastrutture puntuali di primo livello per la logistica
agroalimentare in Italia
3.1.Riepilogo sinottico dei nodi logistici analizzati
Sono riportati di seguito informazioni e dati identificativi dei maggiori
nodi logistici italiani di primo livello in cui sono svolte attività legate alla
manipolazione e alla distribuzione di prodotti agroalimentari. Sulla base dei
materiali disponibili, sono state analizzate le principali caratteristiche tecniche
e di business di 9 nodi portuali e 17 nodi interportuali, nonché le iniziative di
sviluppo in corso e previste, con particolare riferimento alla logistica agroalimentare. Le principali fonti ufficiali utilizzate sono: Censis e UIR (2009)
CNEL (2003), Regione Emilia Romagna (2006), Ship2Shore (2008), siti internet delle Autorità portuali e di operatori. Un riepilogo sinottico in merito
alle infrastrutture analizzate è riportato nelle tabelle 3.1 e 3.2.
3.2.Le infrastrutture portuali
Il porto di Genova
I prodotti agroalimentari movimentati nel porto di Genova riguardano
l’ortofrutta e gli alimentari congelati e surgelati. Presso il Ponte Somalia del
porto (fig. 3.1) opera Terminal Frutta Genova (TFG) in qualità di impresa
terminalistica responsabile dal 1989 per la gestione dei carichi a temperatura
controllata e di altre merci varie ad alto valore aggiunto. I servizi offerti da
TFG sono i seguenti
- imbarco/sbarco;
- stoccaggio a temperatura controllata;
- controlli fitosanitari;
- pratiche doganali;
- controlli qualità;
- recupero pallet;
- svuotamento/riempimento container;
- distribuzione.
59
Tabella 3.1 – Le principali infrastrutture portuali italiane per il traffico di
prodotti agroalimentari
Fonte: nostra elaborazione su fonti varie
60
Tabella 3.2 – Le principali infrastrutture interportuali italiane per il traffico
di prodotti agroalimentari
Fonte: nostra elaborazione su fonti varie
61
Figura 3.1 – Il Terminal Frutta di Genova
Fonte: Autorità Portuale di Genova, 2009
TFG è stata fino ad oggi una società controllata dalla Clerici Logistics Group S.p.A., operatore logistico specializzato a cui fanno capo anche il
Terminal Frutta di Salerno, oltre ad una serie di società di servizi in grado
di fornire servizi di trasporto, movimentazione, deposito e distribuzione. A
breve, TFG dovrebbe essere però ceduta da Clerici al Gruppo Gavio dietro un
corrispettivo di 6 milioni di euro e previa autorizzazione dell’Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato. Il Gruppo Clerici ha maturato tale decisione
a seguito della interruzione del rapporto pluriennale con Chiquita.
Nel 2008, TFG ha ottenuto la certificazione di qualità ISO 9001:2000
come “Terminal operator specializzato in prodotti deperibili”. Tale certificazione risponde ad una serie di norme e linee guida in accordo all’etica
aziendale e ai migliori standard internazionali conosciuti, che propongono un
modello di assicurazione della qualità (per prodotti e/o servizi) finalizzato a
tenere sotto controllo i processi aziendali, indirizzandoli alla soddisfazione
del cliente.
In generale, il terminal di Genova è diventato un nodo logistico primario
per la frutta e i metalli non ferrosi, sia per il mercato interno che per l’Europa
centrale ed orientale. Le direttrici principali di traffico sono le seguenti:
- Europa nord-occidentale;
62
- Europa orientale;
- Mediterraneo meridionale/Nord Africa;
- Medioriente;
- Estremo Oriente;
- Nuova Zelanda;
- Nord America;
- Sud America.
Gli ultimi dati di traffico disponibili sono riportati in figura 3.2. Le tipologie principali di merci deperibili trattate sono i legumi freschi e congelati
e la frutta fresca (banane in particolare). Genova è anche il principale porto
italiano per la ricezione di carni congelate.
Figura 3.2 – Dati di traffico del Terminal Frutta di Genova
Fonte: Autorità Portuale di Genova, 2009; Ship2Shore, 2009
La superficie su cui è ubicato il terminal è di 70.000 mq., con una capacità
frigorifera di 13.400 pallet in un’area coperta refrigerata di 14.000 mq. Nelle
tabelle 3.3 e 3.4 si riportano i dati sulle caratteristiche tecniche del terminal e
sulla capacità media di sbarco.
Alcune criticità, già rilevate da uno studio del CNEL (2003), sono le seguenti:
• Procedure e tempi lunghi per i controlli ai varchi doganali: varco doganale non dedicato, ma in comune con le altre tipologie merceologiche
con il risultato di scontare oltre ad inevitabili perdite di tempo anche una
scarsa attenzione alle problematiche del prodotto deperibile da parte degli
addetti alla dogana.
63
Mancanza di coordinamento e dialogo tra le autorità preposte ai controlli
e conseguente dilatazione dei tempi.
• Scarsa accessibilità alle infrastrutture retroportuali ed in particolare a
quella ferroviaria: il tempo medio per far uscire un carro refrigerato dal
porto è di ben 4 ore.
• Utilizzazione obbligatoria del trasporto su gomma per le consegne: infatti
il vettore ferroviario non dispone dell’equipment necessario per la logistica del servizio in regime di freddo ad iniziare dall’alimentazione dei
gruppi frigoriferi dei refeer container durante il trasporto su ferro fino alla
mancanza di garanzie sul rispetto dei tempi di consegna.
A livello infrastrutturale, il piano di espansione previsto dall’Autorità
portuale riguarda la realizzazione di una nuova struttura frigorifera, nonché
la ristrutturazione del terminal al fine di ampliare le operazioni Ro/Ro e la
movimentazione container. Il nuovo impianto previsto consentirà al porto di
Genova di essere il primo porto del Mediterraneo in cui sarà possibile la maturazione delle banane sbarcate, che potranno così essere consegnate direttamente ai clienti finali.
•
Tabella 3.3 – Caratteristiche tecniche del Terminal Frutta di Genova
Pescaggio
Lunghezza banchine
Numero accosti
Area coperta
Area coperta refrigerata
Area scoperta
Area totale
Celle frigorifere
Capacità stoccaggio frigorifero (-2°C ÷ +14°C)
Volume complessivo refrigerato
Prese di corrente per contenitori refeer
Raccordo ferroviario
Postazioni ricarico camion
Gru di portata utile 6 tonn.
Gru per container
Stacker per container
Transpallet elettrici
Carrelli elettrici da 16/25 q
Carrelli elettrici con pinza
Carrelli a doppia forca
Fonte: Gruppo Clerici, 2009
64
11 m
700 m
3+1
24.000 m²
13.700 m²
46.000 m²
70.000 m²
14
13.400 pallet
89.000 m³
90
1
25
5
1
1
24
18
1
10
Tabella 3.4 – Rese di sbarco del Terminal Frutta di Genova
Merce pallettizzata
Resa media di sbarco (tonn./squadra/turno)
500/600
Container
Resa media di sbarco
20 pezzi/h
Fonte: Gruppo Clerici, 2009
Il porto di Savona-Vado
I prodotti agroalimentari movimentati nel complesso portuale di SavonaVado riguardano la frutta, il caffè e i cereali. Nel porto di Vado Ligure opera
dal 1982 Refeer Terminal. Grazie a diversi investimenti per l’espansione delle
strutture e degli impianti, Refeer Terminal è attualmente il più importante nodo
di sbarco nel Mediterraneo per i traffici di ortofrutta (oltre 500.000 tonnellate
annue), sia in stiva che in contenitore, e che da Vado viene distribuita a tutto
il Sud Europa (fig. 3.3). Nelle tabelle 3.5 e 3.6 si riportano le caratteristiche
tecniche del terminal e i dati sulla capacità media di sbarco.
Reefer Terminal è controllato dal Gruppo Orsero parte del Gruppo GF di
Albenga, la più grande impresa del Sud Europa nel settore dell’importazione e
distribuzione di frutta fresca e ortaggi, core business del Gruppo, che è anche
impegnato direttamente nell’attività di produzione in Costa Rica, Camerun,
Spagna e Sud America (pere, mele e agrumi). I prodotti movimentati da Refeer Terminal riguardano per il 50% banane e ananas e per la restante parte agrumi e altra frutta in contro stagione proveniente dall’emisfero sud (Sud Africa,
Venezuela, Costa Rica, Repubblica Dominicana, Sud America e Mediterraneo
Orientale). I programmi di sviluppo del terminal riguardano l’effettuazione di
lavori di dragaggio (per portare i pescaggi sino a 14 m), l’acquisizione di nuove banchine e spazi retrostanti, l’acquisizione di una nuova gru di banchina ed
altri mezzi di movimentazione.
65
Figura 3.3 – Il Refeer Terminal di Vado Ligure
Fonte: Autorità Portuale di Savona, 2009
Tabella 3.5 – Caratteristiche tecniche del Refeer Terminal di Vado Ligure
Pescaggio massimo
Lunghezza banchine
Numero accosti
Area coperta
Celle frigorifere
Capacità stoccaggio frigorifero (-1°C ÷ +13°C)
Prese di corrente per contenitori refeer
Gru da banchina RMG
Gru semoventi
Gru da piazzale RMG
Reach stacker
Fork-lift e transpallet
Carrelli flatbed, trattori, trailer
Fonte: Autorità Portuale di Savona, 2009
66
12,5 m
885 m
3
27.000 m²
15
13.500 pallet
510
2
2
2
9
9
dato n.d.
Tabella 3.6 – Rese di sbarco del Refeer Terminal di Vado Ligure
Merce pallettizzata
Resa media di sbarco (pallet/turno)
500
Resa media di sbarco (pallet/giorno)
3.000/4.000
Container
Resa media di sbarco
20 TEU/h
Fonte: CNEL, 2003
Di recente, l’Agenzia delle Dogane ha autorizzato la possibilità di procedure di pre-clearing nel porto di Savona-Vado. Questa modalità operativa, la
cui rilevante novità consiste nell’anticipare il momento dell’acquisizione telematica dei documenti di sdoganamento delle merci prima dell’attracco della
nave in banchina in maniera da dare tempi certi e rapidi all’uscita delle stesse dai porti, è già passata dalla fase di sperimentazione alla fase realizzativa
in particolare nel porto commerciale di Vado, e precisamente proprio presso
il Terminal Reefer. Consentirà, inoltre, agli operatori economici savonesi di
conoscere prima dello sbarco il canale di controllo selezionato dal sistema
informativo doganale e al contempo di poter garantire una gestione più razionale degli spazi di stoccaggio. In definitiva, l’ottimizzazione dei tempi di
espletamento delle formalità doganali avrà riflessi molto positivi sulla rapidità
del ciclo logistico delle merci, oltre che sulla viabilità urbana e portuale.
Reefer Terminal gestisce anche il terminal container di Vado, arrivato in
pochi anni a movimentare 251.000 TEU nel 2008 (fig. 3.4). La banchina container ha una lunghezza di 465 metri ed un pescaggio di 12,5 metri, mentre
l’area di stoccaggio è di 173.000 mq con una capacità di movimentazione annua potenziale di 400.000 TEU. Il terminal è dotato anche di un’area riservata
per le merci pericolose, un CFS (container freight station) in grado di offrire
servizi a ogni tipo di merce in transito ed un’officina per la riparazione dei
contenitori.
67
Figura 3.4 – Il terminal contenitori di Vado Ligure
Fonte: Autorità Portuale di Savona, 2009
Nel complesso portuale di Savona-Vado sono presenti inoltre anche altri
operatori che movimentano prodotti della filiera agroalimentare, quali:
- Monfer (rinfuse alimentari);
- Vio (caffè);
- Terminal Rinfuse Italia (cereali);
- Multiterminal (caffè).
Il porto di Livorno
Nel porto di Livorno si movimentano frutta fresca, prodotti congelati e
pesce. Quest’ultima tipologia di beni alimentano i processi produttivi di Panapesca, il maggior importatore italiano di pescato.
I terminal di prodotti deperibili sono 2: il Terminal Dole e il Terminal
Giolfo & Calcagno. Il Terminal Dole (fig. 3.5) è specializzato nella movimentazione, stoccaggio, containerizzazione e distribuzione di frutta esotica. Le
dotazioni tecniche sono: 68
-
-
-
magazzini a temperatura controllata con capacità di 35.000 mc;
3 grandi celle frigorifere per lo stoccaggio dei vari tipi di frutta, per una
capacità fino a 200.000 tonn/anno;
100 prese elettriche per contenitori frigorifero.
Fig. 3.5 – Il Terminal Dole di Livorno
Fonte: Autorità Portuale di Livorno, 2009
Il Terminal Giolfo & Calcagno è invece specializzato nel traffico di prodotti congelati. Dispone di una banchina di 80 m, di una superficie totale di
23.812 mq, di cui 13.359 coperti e di celle frigorifere per una capacità totale
di 4.700 mc.
Tra gli interventi futuri previsti dall’Autorità portuale di Livorno è possibile evidenziare in particolare quelli riguardanti lo spostamento del Terminal
Dole in un’altra area e la realizzazione di un nuovo polo del freddo.
Il porto di Ancona
Nel porto di Savona si movimentano cereali, zucchero, olio, farine, legumi e prodotti surgelati. Riguardo quest’ultima tipologia di prodotti alimentari, il porto di Ancona segue quelli di Livorno e Genova per quantitativi di
imbarchi e sbarchi. Ancona si avvale inoltre del mercato ittico più moderno
d’Europa e di una efficiente rete di servizi a terra: grandi depositi e magazzini,
officine di riparazione, fabbriche del ghiaccio, forniture di provviste e attrezzature di bordo.
69
I porti di Trieste e Monfalcone
Nel porto di Trieste si movimentano cereali, caffè, prodotti congelati ed
ortofrutta. Il Molo V dispone di un terminal frutta dedicato di 55.000 mq, di
cui circa la metà di superficie coperta, oltre ad altre aree di stoccaggio, un silos
per rinfuse liquide ed un piazzale per deposito e movimentazione container.
Le principali aree di scambio per i prodotti ortofrutticoli sono l’Egitto e il
Nord Europa.
Qualche anno fa, il terminal frutta è stato ceduto dal Gruppo Clerici al
Gruppo Gavio, con l’inaugurazione di nuovi impianti refrigerati. In generale, il Gruppo Gavio ha programmato d’investire quasi 60 milioni di euro: 50
milioni per la ristrutturazione dell’intero Molo V e la rimanente parte per un
impianto di maturazione e pallettizzazione di cartoni sciolti. Il Gruppo prevede di movimentare nel Molo diverse decine di migliaia di tonnellate l’anno di
frutta. Nel 2008 i traffici complessivi sono stati pari a 130mila tonnellate tra
frutta e merci varie, mentre nei primi sei mesi del 2009 il traffico complessivo
è ammontato a 100 mila tonnellate. Tale infrastruttura ambisce a diventare un
hub per l’ortofrutta destinata all’Europa centro-orientale. L’obiettivo è quello
di attirare traffici dal Nord Africa, dal Sud America e dal Mediterraneo Orientale.
Anche per i prodotti congelati esiste un terminal dedicato, il quale è gestito da Frigomar. Tale azienda, facente capo al Gruppo Artoni, ha allestito
un magazzino costiero refrigerato che opera mediante un sistema di stoccaggio a scaffalature semi-automatiche a compattazione. Tale struttura è capace
di raggiungere temperature fino a -25°C, con tasso di umidità costantemente
controllato.
Il magazzino è strutturato su due celle con una capacità di 20.000 mc
cadauna, per un totale di 4.500 mq di superficie. Le celle sono suddivise in un
totale di 4.100 slot per pallet e big-bag con un peso unitario fino a 1.000 kg.
In totale, Frigomar dispone di una superficie di 17.000 mq adibita a piazzali per la movimentazione ed il deposito delle merci. Oltre allo stoccaggio in
magazzino, sono offerti anche servizi collaterali come:
- movimentazione e selezione;
- marcatura;
- etichettatura;
- controllo peso;
- cargo inspection;
- sampling;
70
- consolidamento;
- smistamento.
Frigomar è anche gestore di Deposito Doganale Pubblico autorizzato dall’Autorità Doganale e sottoposto al suo controllo. In questo deposito
l’azienda immagazzina merci estere, rispondendo alle esigenze degli operatori
economici che intendono evitare i dazi all’importazione. Frigomar è inoltre
gestore di Deposito IVA. L’immissione delle merci in tale deposito permette
l’assolvimento dell’imposta solo al momento della loro estrazione dal deposito per l’immissione in consumo nello Stato.
Infine, nel porto di Trieste vi è anche un terminal cerali dotato di silos di
capacità pari a 46.000 tonn, mulino per la lavorazione del prodotto finito, aspiratore pneumatico della capacità di 600 tonn/ora, impianto per la caricazione
automatizzata con una potenzialità di 2.000 tonn/ora. Tale infrastruttura è gestita da Trieste Terminal Cereali. Nel terminal dedicato alla movimentazione
di merci varie, coloniali e prodotti tessili operano invece Tergestea, Romani &
Co. e S.G.S. Italia.
Per quanto riguarda invece il porto di Monfalcone, si segnala la presenza
di un importante impianto cerealicolo gestito da De Franceschi SpA. L’attuale
impianto occupa un area di 80.000 mq antistanti il golfo di Monfalcone. La
configurazione del sito è il frutto di una graduale e continua realizzazione di
ampliamenti e adeguamenti. Le attuali infrastutture disponibili sono:
- una banchina per l’attracco navi della portata di circa 30.000 tonn., attrezzata con impianto pneumatico per l’imbarco e lo sbarco di cereali,
farine e semole;
- un impianto di essiccazione cereali con capacità di 1500 tonnellate/giorno;
- silos verticali per una capacità complessiva di circa 40.000 tonn.,
- silos orizzontali per una capacità complessiva di circa 25.000 tonn. collegati con la rete ferroviaria nazionale.
Per quanto riguarda il processo produttivo sono disponibili:
- due linee di decorticazione dei cereali;
- un impianto per la tostatura e fioccatura dei cereali da 250 tonn/giorno;
- una linea di estrusione ed una di pellettatura delle farine di granoturco per
una capacità complessiva di 240 tonn/giorno;
- un impianto molitorio con sezioni diversificate;
- una sezione di macinazione granoturco con degerminazione ad umido
per la produzione di semole e farine destinate ad utilizzi industriali quali
71
produzione di snack estrusi e semole per birra con capacità di circa 500
tonn/giorno;
- una sezione con degerminazione a secco per la produzione di farine e
semole destinate al consumo diretto e a produzioni speciali con capacità
di circa 300 tonn/giorno;
- una sezione di macinazione granoturco bianco per la produzione di farine
bianche per il consumo diretto con capacità di circa 50 tonn/giorno;
- varie sezioni per la raffinazione dei prodotti e per la macinazione di prodotti speciali.
Tutte le linee sono dotate a monte di macchine per la pulitura dei cereali
che assicurano la lavorazione di materie prime selezionate ed esenti da impurità. La presenza di magneti e vagli assicura l’assenza di corpi estranei nei
prodotti finiti. Il controllo è completamente automatizzato e supervisionato da
operatori qualificati e aggiornati circa le nuove tecnologie e le normative di
igiene e sicurezza.
I prodotti ottenuti sono automaticamente avviati ai silos di stoccaggio e
alle relative linee di confezionamento automatizzate diverse per i differenti
formati. Dal pacchetto per il consumo diretto alle confezioni più grandi destinate all’industria. Tutte le fasi della lavorazione, produzione e confezionamento sono monitorate e controllate dagli addetti al controllo qualità.
La favorevole posizione logistica, crocevia tra l’Europa danubio-balcanica, il bacino del Mediterraneo e i paesi del nord Europa, e le infrastrutture
presenti garantiscono la possibilità ricevere e di spedire i prodotti confezionati
o alla rinfusa via mare, gomma, rotaia.
Il porto di Venezia
Nel porto di Venezia si segnala la presenza di Terminal Rinfuse Italia
(TRI), che tratta principalmente prodotti agroalimentari e rinfuse nere (carbone, ferroleghe e ghisa). Svolge anche operazioni di RO-RO, nonché di Grandi
Molini Italiani, che svolge operazioni portuali che riguardano in prevalenza
rinfuse cerealicole connesse alla autonoma attività produttiva, imbarcando farine e prodotti della macinazione in sacchi risultanti dalla lavorazione.
Di recente sono emerse nuove prospettive per il porto legate allo sviluppo
dei traffici con i porti egiziani, soprattutto con Alessandria, con l’obiettivo
di incrementare e razionalizzare la cooperazione nel settore agroalimentare
tra Italia ed Egitto ed in particolare di diffondere in Europa, attraverso i porti
italiani, i prodotti ortofrutticoli egiziani.
72
Le iniziative attualmente in corso nel porto di Venezia sono volte al perseguimento del duplice obiettivo di alimentare o essere alimentato con servizi
feeder nuovi o già esistenti che, sfruttando i porti di transhipment egiziani
(Port Said, Damietta e Alessandria), riducano il tempo di transito dall’Estremo
Oriente e dall’Africa verso l’Italia settentrionale, la Germania meridionale,
l’Austria e l’Europa centro-orientale, facendo di Venezia il punto di arrivo del
“Green Corridor” Italia-Egitto per le merci dirette in Europa.
L’Autorità Portuale sarebbe infine interessata a coordinare la partecipazione di operatori legati a Venezia alla gara per la realizzazione del polo del
freddo ortofrutticolo nel porto di Alessandria, e a sperimentare - assieme a
tale porto egiziano – l’applicazione dell’art. 4 dell’accordo marittimo italoegiziano del 3 dicembre 2008 teso ad accelerare le operazioni portuali sia in
Egitto che in Italia, in particolare, sotto il profilo doganale e sanitario.
Il porto di Ravenna
Nel porto di Ravenna si movimentano prodotti agricoli e derrate alimentari. È disponibile un terminal frigorifero gestito da Frigoterminal, che è parte
del Gruppo Sapir. Nel porto di Ravenna, il Gruppo Sapir gestisce anche il
terminal container assieme a Contship Italia, controllata del Gruppo EurokaiEurogate di Amburgo.
Nel terminal deperibili sono offerti servizi di imbarco/sbarco e stoccaggio
di agrumi, ortofrutta fresca e legumi. Il terminal ha una capacità ricettiva di
circa 3.000 pallet in 7 celle di stoccaggio in grado di mantenere i prodotti a
temperatura controllata da -30°C a 16°C. La banchina del terminal è equipaggiata con gru per la movimentazione dei pallet e con nastri trasportatori per
scatole e cartoni sfusi di frutta (fig. 3.6), collegando direttamente la stiva delle
navi alle celle.
Le principali aree di scambio del terminal deperibili sono il Mediterraneo, il centro-nord Europa, l’Europa dell’est, l’America settentrionale e meridionale, l’Estremo Oriente.
Nel porto di Ravenna esiste anche un terminal cereali gestito da Docks
Cereali e che si estende su un’area di 253.000 mq. Il terminal svolge attività
di:
- imbarco/sbarco di cereali, sfarinati, fertilizzanti, inerti, rinfuse in genere,
sacchi, big-bag, sling;
- carico e scarico di carri ferroviari e autotreni;
- macinazione e miscelazione di materie prime per la produzione di man-
73
gimi;
- insaccaggio;
- movimentazione di tutte le merci, compreso i sacchi.
In porto opera inoltre Magazzini Generali, specializzata nello stoccaggio,
insacco, imbarco/sbarco di riso, farina, cereali, zucchero, sale e materie plastiche e ferrose, confezionate o sfuse, con magazzini per 15.000 mq e piazzali
per 10.000 mq. Dispone di 3 serbatoi certificati per stoccaggio di prodotti
alimentari liquidi ed infiammabili, per un totale di 4.300 mc.
Figura 3.6 – Operazioni terminalistiche di prodotti deperibili nel porto di
Ravenna
Fonte: Gruppo Sapir, 2009
74
Il porto di Salerno
L’ortofrutta (prodotti freschi e trasformati) rappresenta una delle categorie merceologiche più significative dei traffici containerizzati del porto di
Salerno. Dal porto di Salerno partono prevalentemente prodotti conservieri in
container, mentre arrivano prodotti ortofrutticoli freschi provenienti da Egitto,
Turchia, Tunisia ed Israele sia con navi portacontainer in modalità “refeer”,
che su autotreni e semirimorchi caricati sulle navi Ro-Ro delle linee di autostrada del mare del Gruppo Grimaldi di Napoli. Un’ulteriore quota dei volumi
di frutta fresca movimentata nel porto, quasi esclusivamente banane, viene
importata da Terminal Frutta Salerno (TFS) in pallet trasportati in stiva della
nave (2/3) o in container frigoriferi (da 20 pallet cadauno) provenienti da diversi paesi del Sud America (Costa Rica, Colombia, Panama, Ecuador).
TFS è società appartenente al Gruppo Clerici che gestisce una struttura
logistica interamente dedicata alla conservazione, allo stoccaggio e alla movimentazione in conto terzi di prodotti deperibili (fig. 3.7). I prodotti trattati
sono destinati per un 30-40% alla Campania; per il resto, il bacino servito è
comunque l’intero centro e sud-Italia, mentre al nord si spedisce solo un 10%
della merce sbarcata a Salerno. La struttura terminalistica ed i magazzini del
Gruppo Clerici garantiscono attraverso un sistema di relazioni con operatori
logistici, vettori specializzati ed altri terminal deperibili in Italia ed Europa,
una piena razionalizzazione dei collegamenti nazionali ed extra-nazionali. I
principali servizi logistici offerti da TFS sono:
- sbarchi/imbarchi;
- stoccaggio a temperatura controllata;
- controlli fitosanitari;
- pratiche doganali;
- controllo qualità;
- recupero pallet;
- distribuzione;
- svuotamento/riempimento container.
75
Figura 3.7 – Il Terminal Frutta Salerno
Fonte: Gruppo Clerici
Nella tabelle 3.7 e 3.8 si riportano alcune caratteristiche infrastrutturali
del TFS, nonché i dati sulla capacità media di sbarco.
Negli ultimi tempi, il Gruppo Clerici ha avviato dei lavori (effettuando un
investimento di oltre 3 milioni di euro) finalizzati alla realizzazione di una
nuova cella frigorifera da circa 1.000 posti pallet e alla ristrutturazione di 3
celle dismesse fronte mare, portando la capacità complessiva del terminal a
lavori ultimati a circa 5.000 posti pallet. La realizzazione di ulteriori celle frigorifere permetterà di differenziare ulteriormente i servizi offerti garantendo
temperature diverse a tipologie di prodotti diversi.
Tabella 3.7 – Caratteristiche tecniche del Terminal Frutta Salerno
Pescaggio
Lunghezza banchine
Numero accosti
Area coperta
Area coperta refrigerata
Area scoperta
Area totale
Celle frigorifere
Capacità stoccaggio frigorifero (-2°C ÷ +14°C)
Volume complessivo refrigerato
Prese di corrente per contenitori refeer
Postazioni ricarico camion
Gru di portata utile 12 tonn.
Gru per container
Stacker per container
Transpallet elettrici
Carrelli elettrici da 16/25 q
Carrelli elettrici con pinza
Carrelli a doppia forca
Fonte: Gruppo Clerici, 2009
76
10 m
300 m
1+1
5.500 m²
3.300 m²
10.500 m²
16.000 m²
7
3.000 pallet
23.000 m³
130
12
3
1
1
11
16
1
6
Tabella 3.8 – Rese di sbarco del Terminal Frutta Salerno
Merce pallettizzata
Resa media di sbarco (tonn/squadra/turno)
400/500
Container
Resa media di sbarco
20 TEU/h
Fonte: Gruppo Clerici, 2009
All’interno del porto di Salerno opera anche Med Reefer, altra impresa
del Gruppo Clerici specializzata nella logistica delle merci deperibili e che
gestisce il servizio di feederaggio nel bacino del Mediterraneo (CNEL, 2003).
Infine, nel porto si movimentano anche prodotti coloniali.
3.3.Le infrastrutture interportuali
L’interporto di Torino
L’interporto di Torino (figg. 3.8-3.9), gestito da S.I.TO. - Società Interporto di Torino-Orbassano SpA, è una macro-piattaforma logistica e intermodale
operativa sin dai primi anni ’90 in località Orbassano, a sud Ovest di Torino,
nel Nord-Ovest italiano.
L’area interportuale copre una superficie totale di 2.800.000 mq ed è interconnessa allo scalo FS di Orbassano, che è uno dei maggiori centri di smistamento ferroviario in Europa. La dotazione ferroviaria può inoltre contare
anche sullo scalo privato di S.I.TO. dotato di binari propri utilizzati per il
trasbordo delle merci e per le operazioni di presa e consegna diretta a diversi
magazzini raccordati.
La posizione dell’interporto consente rapide connessioni con la A32 verso
la Francia, con il sistema ferroviario che attraversa il Frejus e con la A5 verso
la Svizzera. In particolare, l’interporto si configura come infrastruttura utile ad
incentivare l’intermodalità da e verso le Alpi, sulla direttrice del Corridoio V,
verso Lione. Va inoltre consolidandosi il servizio di autostrada viaggiante che
consente il trasporto su ferro di veicoli completi o semirimorchi, con quattro
collegamenti giornalieri via ferro A/R con la Francia.
77
Figura 3.8 – Foto aerea dell’area di localizzazione dell’interporto di Torino
e del suo terminal ferroviario
Fonte: S.I.TO., 2009
Figura 3.9 – Planimetria dell’interporto di Torino
Fonte: S.I.TO., 2009
78
L’interporto è suddiviso in due zone, una a nord ed una a sud della tangenziale sud di Torino: la zona sud è stata la prima ad essere edificata ed
è attualmente interamente occupata, mentre la zona nord, relativamente più
recente, è occupata solo in minima parte ed è in fase di sviluppo. Tra gli operatori insediati nell’area nord si citano il C.A.A.T. - Centro Agro Alimentare di
Torino (fig. 3.10), ex Mercati Generali, ed il Terminal intermodale di S.I.TO.
Logistica ScpA.
Figura 3.10 – Le aree e le strutture del Centro Agrolimentare localizzato
nell’interporto di Torino
Fonte: C.A.A.T ., 2009
In generale, l’interporto mette a disposizione degli operatori circa 750.000
mq di piazzali, circa 350.000 mq di magazzini e circa 70.000 mq dedicati ad
uffici. Ad oggi l’interporto si può definire completato circa per il 70%, ed infatti nuovi magazzini sono in via di realizzazione o in fase di progettazione. È
inoltre previsto un ulteriore ampliamento della superficie interportuale con i
terreni confinanti la zona Nord.
Attualmente, l’interporto movimenta un volume complessivo di merci
pari a circa 3 milioni di merci, di cui il 30% rappresenta traffico intermodale e il 20% rappresenta invece traffico ferroviario tradizionale. Le principali
tipologie di merci movimentate sono le seguenti: derrate alimentari (frutta
79
secca, frutta fresca, agrumi, ortaggi, carne, cibi in scatola, ecc.), componentistica meccanica (automotive in generale), abbigliamento, carta, elettronica,
legname, prodotti metallurgici e altre merci. In quest’ultima tipologia sono
ad esempio compresi i pacchetti postali di utenza privata che si avvalgono di
spedizionieri diversi dalle Poste Italiane, le lettere tramite corriere espresso, i
prodotti farmaceutici e chimici.
Le derrate alimentari coprono da sole più della metà dei prodotti in esame, con un 34% per i prodotti cosiddetti “fuori frigo” ed un 30% di prodotti a
temperatura controllata. Il solo Centro Agro Alimentare torinese movimenta
il 31% del totale delle merci in entrata e in uscita dall’interporto. A seguire,
il settore dell’automotive con il 21%, il metallurgico con il 9% e la categoria
“altre merci” con il 6%. Nelle tabelle 3.9 e 3.10 si riportano i dati sulla movimentazione merci del Centro Agro Alimentare e il peso delle singole tipologie
di merci sul totale movimentato nel periodo 2001-2006.
Tabella 3.9 – Derrate alimentari introdotte in mercato dal C.A.A.T.
(dati in quintali)
Anno
2001
2002
2003
2004
2005
2006
Frutta fresca
1.234.876
1.782.894
1.823.591
1.765.407
1.709.869
1.620.407
Frutta secca
15.817
32.293
13.878
61.347
59.417
56.308
Agrumi
483.396
717.326
765.465
1.035.057
1.002.495
950.044
Ortaggi
1.925.529
2.941.190
3.062.962
3.406.599
3.299.432
3.126.801
Totale
3.659.618
5.473.703
5.665.896
6.268.410
6.071.213
5.753.560
Fonte: S.I.TO., 2009
Tabella 3.10 – Incidenza delle diverse tipologie di prodotti sul totale delle
derrate agroalimentari introdotte in mercato dal C.A.A.T.
Anno
2001
2002
2003
2004
2005
2006
Frutta fresca
33,7%
32,6%
32,2%
28,2%
28,2%
28,2%
Frutta secca
0,4%
0,6%
0,2%
1,0%
1,0%
1,0%
Fonte: nostra elaborazione su dati S.I.TO., 2009
80
Agrumi
13,2%
13,1%
13,5%
16,5%
16,5%
16,5%
Ortaggi
52,6%
53,7%
54,1%
54,3%
54,3%
54,3%
Totale
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
100,0%
L’interporto di Rivalta Scrivia
L’interporto di Rivalta Scrivia (figg. 3.11-3.12), gestito Interporto di Rivalta Scrivia SpA, è una macro-piattaforma logistica e intermodale operativa
sin dal 1966 in provincia di Alessandria, nel Nord-Ovest italiano. Rappresenta
la prima infrastruttura interportuale realizzata in Italia ed ha una posizione
favorevole rispetto alle direttrici di scambio commerciale tra sud e nord Europa, ed in particolare tra Mar Mediterraneo e fascia transalpina. La vicinanza
al casello di Tortona consente una facile accessibilità agli assi autostradali A7
e A21, ma soprattutto la vicinanza al porto di Genova, ha sempre fatto considerare la struttura di Rivalta Scrivia come il naturale retroporto di Genova
Voltri.
Attualmente, l’interporto comprende superfici coperte per 400.000 mq
(oltre a 25.000 mq di ampliamenti in corso), 300.000 mq di terminal intermodale, 250.000 mq di piazzali per autoveicoli 100.000 mc di magazzini frigoriferi (depositi a temperatura controllata e depositi per prodotti freschi e
congelati) e 10.000 mq di uffici. I magazzini frigoriferi, in particolare, sono
suddivisi in tre banchine di carico/scarico (circa 26.000 mc) e celle frigorifere
(circa 74.000 mc). Le celle presenti sono 9 ed offrono una capacità complessiva di circa 15.500 posti pallet con diverse tipologie di stivaggio. I volumi
delle celle variano da 2.500 mc a 13.700 mc. Sei celle sono costantemente ad
una temperatura di -30°C e sono atte ad accogliere prodotti surgelati finiti o
materie prime per la trasformazione. Vi sono altresì due celle a temperatura
oscillante tra 0°C e +10°C ed una cella a temperatura compresa tra 0°C e
+6°C. La presenza di 14 punti di carico/scarico garantisce un movimento in/
out di circa 1.000/1.500 pallet al giorno.
Rivalta Scrivia è specializzata nella movimentazioni di autovetture, nonché nella lavorazione di prodotti alimentari (refrigerati e beni coloniali) e
nell’imballaggio e raggruppamento di merci destinate a centri commerciali
della grande distribuzione organizzata. Le merci movimentate nel 2007 hanno
superato 1.700.000 tonnellate, il 25% delle quali ha subito lavorazioni all’interno dell’interporto. Il 20% dei traffici transita su ferrovia, mentre il restante
80% su gomma.
Attualmente, l’interporto sta realizzando un nuovo terminal al fine di accogliere convogli di 650 metri, fino ad arrivare ad una lunghezza massima di
1.000 metri. Gli obiettivi di medio periodo consistono in un ulteriore radicamento dell’interporto nel territorio di riferimento, fungendo da piattaforma al
servizio delle imprese locali e da struttura di smistamento terrestre dei traffici
che si attestano sui sistemi portuali dell’alto Tirreno.
81
Figura 3.11 – L’interporto di Rivalta Scrivia
Fonte: Interporto di Rivalta Scrivia, 2009
Figura 3.12 – Planimetria dell’interporto di Rivalta Scrivia
Fonte: Interporto di Rivalta Scrivia, 2009
82
L’interporto di Vado Ligure
L’interporto di Vado Ligure si estende su un’area di 145.000 mq alle spalle del porto di Vado Ligure, cui è collegata mediante una viabilità dedicata.
Tale infrastruttura comprende 2.000 mq di uffici e 54.000 mq di magazzini,
di cui 18.000 mq destinati a servizi di lavorazione e conservazione di prodotti
alimentari e 3.000 mq a celle frigorifere.
Le principali specializzazioni produttive riguardano l’elettronica, gli elettrodomestici e l’agroalimentare, anche con riferimento a prodotti freschi o
surgelati. Il caffè verde, in particolare, è il vero core business dell’interporto,
dove vengono eseguite, ad esempio, operazioni di carico e scarico, pulitura,
crivellatura ottica, spietratura, separazione, stoccaggio e movimentazione. A
tal fine è utilizzata una batteria di silos costituita da 42 celle da 110 tonnellate.
L’interporto di Vado Ligure movimenta circa 130.000 tonnellate di merci
annue. Grazie alla realizzazione di nuovi magazzini e al potenziamento del sistema di collegamenti ferroviari, si prevede che nei prossimi anni raggiungerà
una capacità tra le 250.000 e le 300.000 tonnellate, così da poter adeguatamente rispondere alle prospettive di crescita dei traffici portuali. Attualmente,
solo il 10% delle merci è movimentato via ferro.
L’interporto di Verona
L’Interporto Quadrante Europa di Verona (figg. 3.13-3.14) è una delle
maggiori infrastrutture logistiche terrestri di primo livello attualmente esistenti in Italia. Fu sviluppato a partire dal 1968 e definitivamente realizzato dal
Consorzio per la Zona Agricolo Industriale (ZAI) di Verona, un consorzio di
sviluppo industriale istituito in base ad una legge speciale e costituito tra la
Provincia, il Comune e la Camera di Commercio della città scaligera.
Dal punto di vista geografico, l’interporto è localizzato all’incrocio tra i
due Corridoi transnazionali I e V. Oltre ad essere attraversato dalla tangenziale
Nord cittadina, sorge infatti nei pressi del punto di intersezione tra l’autostrada
A4 Milano-Venezia e la A22 Modena-Brennero, nonché tra le linee ferroviarie
Milano-Venezia e Bologna-Brennero, con cui il terminal intermodale dell’interporto è collegato direttamente attraverso una stazione interna.
L’interporto di Verona si estende su una superficie di 2.500.000 mq. La
zona ferroviaria si estende su una superficie di 310.000 mq, di cui si prevede
un’espansione per ulteriori 490.000 mq che consentiranno l’ampliamento del
terminal intermodale (che si sviluppa attualmente su una superficie di circa
83
136.000 mq) ed il trasferimento nell’area interportuale dello scalo merci ferroviario. Il contiguo raccordo ferroviario consente a 30.000 convogli ferroviari
di essere movimentati annualmente verso le diverse strutture. L’area interportuale comprende inoltre le seguenti componenti:
- area doganale di 65.000 mq;
- magazzini per spedizionieri, per un totale di 70.000 mq di superficie coperta;
- terminal dell’operatore Hangartner, che si estende su un’area di 385.000
mq, con 58.000 mq di magazzini coperti e un magazzino frigorifero da
65.000 mc;
- centro logistico di Volkswagen Italia, per un totale di 150.000 mq di superficie;
- centro assistenza ai mezzi, per un totale di 14.000 mq di superficie;
- parcheggio TIR, per un totale di 30.000 mq di superficie;
- centro direzionale, presso cui sono localizzati uffici, attività di servizio
alle persone e il laboratorio chimico della dogana.
Figura 3.13 – Foto aerea dell’area di localizzazione dell’interporto di Verona e dell’adiacente polo agroalimentare
Fonte: Wikipedia, 2009
84
Figura 3.14 – Planimetria dell’interporto di Verona
Fonte: Consorzio ZAI, 2009
Adiacente all’interporto si trova inoltre il Centro Agroalimentare, che si
estende su un’area di 550.000 mq e rappresenta la maggiore piattaforma logistica italiana per la raccolta, la distribuzione e la commercializzazione all’ingrosso di prodotti agroalimentari.
Nel 2007 sono transitate nell’interporto 7,2 milioni di tonnellate di merci
su ferrovia ed oltre 20 milioni di tonnellate su gomma. In generale, nell’interporto di Verona si realizza circa il 30% di tutto il traffico combinato nazionale
italiano ed oltre il 50% del traffico combinato internazionale italiano. Tra le
varie tipologie merceologiche trattate, risaltano in particolare due specializzazioni: quella dei prodotti refrigerati alimentari e quelle delle autovetture.
Il piano di espansione dell’interporto prevede un ampliamento del perimetro
dell’interporto da 2,5 milioni di mq a 4,2 milioni di mq. Il Consorzio ZAI sta
ad esempio avviando una nuova iniziativa nella cosiddetta “Area dell’innovazione”, che si estende su una superficie di 1.300.000 mq, nella zona comunemente denominata “Marangona”, che è uno dei comprensori istituzionali ri-
85
servati alla giurisdizione del Consorzio. Si tratta di un insediamento destinato
aziende del settore high-tech. In futuro l’interporto sarà anche collegato con
il canale fluvio-marittimo Milano-Cremona-Mantova-Legnago-Rovigo-Pò di
Levante.
L’interporto di Padova
L’interporto di Padova (figg. 3.15-3.16), gestito da Interporto di Padova
SpA., è una macro-piattaforma logistica e intermodale situata nel cuore del
Nord-Est d’Italia ed è collegata alle reti ferroviarie nazionali ed internazionali.
In particolare, il raccordo con la rete ferroviaria è assicurato da una dorsale
di 4 Km che collega il terminal intermodale dell’interporto con l’asse TriesteVenezia-Milano-Torino e con l’asse Padova-Bologna-Roma.
Figura 3.15 – Foto aerea dell’area di localizzazione dell’interporto di Padova
Fonte: Interporto di Padova SpA, 2009
Il collegamento alla rete autostradale avviene invece tramite il casello di
Padova Est (lungo la A4 Venezia-Verona-Milano-Torino) e tramite quello di
Padova Interporto (lungo la A13 Padova-Bologna).
86
Figura 3.16 – Planimetria dell’interporto di Padova
Fonte: Censis-UIR, 2009
La superficie complessiva dell’interporto è pari a circa 2 milioni di mq, su
cui sono disponibili:
- Due terminal intermodali, rispettivamente di 70.000 mq e di 100.000 mq,
uno di proprietà di FS e l’altro della società di gestione dell’interporto.
Il terminal FS è composto da due fasci di tre binari ciascuno, mentre
altri 8 binari sono disponibili presso il secondo terminal. La gestione di
entrambi è affidata a Nord Est Terminal SpA, la prima società in Italia a
partecipazione mista ferrovie-interporti per i terminali intermodali.
- Una stazione merci ed un terminal per il trasporto combinato, che interessano un’area complessiva di 153.000 mq formata da un fascio di smistamento di 21 binari di presa e consegna, e un ulteriore fascio di 7 binari,
dove FS svolge le operazioni di carrellamento stradale dei carri merci,
nonché le altre operazioni inerenti la presa e consegna delle merci private
su vagoni normali.
- Magazzini coperti, per un totale di 250.000 mq suddivisi tra:
- fabbricati per spedizionieri, raccordati ai terminal intermodali o alla stazione merci;
87
-
-
-
-
fabbricati per corrieri;
due magazzini a pronti, raccordati alla rete ferroviaria e destinati a servizi
di logistica distributiva;
una cittadella della logistica, di cui sono state recentemente realizzate le
prime due parti per oltre 61.000 mq di impianti, mentre la terza (6.700
mq) è in fase di completamento;
un distripark, della superficie di 47.500 mq, strutturato in due corpi di
fabbrica, uno dei quali raccordato alla rete ferroviaria. All’interno del
distripark è possibile svolgere il ciclo completo della gestione logistica
delle merci (logistica d’ingresso, warehousing, logistica d’uscita e packaging), beneficiando di facilitazioni doganali.
Oltre a dogana, uffici, negozi e servizi ausiliari, altre strutture presenti
nell’area interportuale sono il Mercato Agroalimentare di Padova che, includendo un’area coperta di più di 86.000 mq ed i 100.000 mq dei Magazzini
generali, occupa una superficie totale di oltre 250.000 mq e su cui sono anche
disponibili 55.000 mc di magazzini frigoriferi con celle polivalenti a temperatura controllata (+15°C / -25°C) riconosciuti con bollo CEE per carne e
pesce.
Di recente, l’Ente Autonomo Magazzini Generali si è trasformato in società di capitali. Inoltre, i consigli di amministrazione di Interporto di Padova
e Magazzini Generali hanno approvato la fusione tra i due soggetti, istituendo
così la nuova società Interporto di Padova - Magazzini Generali SpA, che
opererà su più di 1 milione di metri quadri di superficie, di cui 22.000 mq
refrigerati.
Complessivamente, l’interporto di Padova movimenta circa 8 milioni di
tonnellate di merce annua, di cui circa il 40% tramite ferrovia e più del 30%
mediante soluzioni intermodali.
L’interporto di Venezia
L’interporto di Venezia (fig. 3.17), gestito da Interporto di Venezia SpA,
è localizzato nel centro della zona industriale di Marghera e risulta ben collegato alle principali arterie stradali ed autostradali, nonché alla stazione ferroviaria di Venezia Mestre e all’aeroporto Marco Polo di Venezia Tessera. Il
raccordo ferroviario ha una lunghezza complessiva pari a 3 km ed è collegato
sia alla stazione di Venezia Mestre che al Porto Commerciale di Marghera.
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Figura 3.17 – L’interporto di Venezia
Fonte: Interporto di Venezia SpA, 2009
L’interporto di Venezia si estende su una superficie complessiva pari a
circa 240.000 mq. Di questi 47.400 mq sono coperti. L’area ad uso servizi
ha una superficie di 5.400 mq circa e comprende uffici, mensa e spogliatoi. I
magazzini coprono invece complessivamente 41.000 mq e sono utilizzati per
lo stoccaggio di rinfuse e prodotti siderurgici. Sono inoltre disponibili 6.000
mq di celle frigorifere (la “Cittadella del Freddo”) dedicate a prodotti ittici,
carni e alimentari congelati in genere. L’interporto dispone anche di 5 silos di
stoccaggio ecologici per le rinfuse solide, di cui 4 con una capacità di 36.000
tonnellate ed uno più piccolo da 6.500 tonnellate. L’area scoperta ha invece
una estensione di 134.000 mq, di cui 110.000 riservati ai piazzali per lo stoccaggio delle merci (rinfuse e prodotti siderurgici), 2.400 per la sosta notturna
dei camion e 7.800 adibiti ad area doganale. Ulteriori 26.000 mq sono infine
occupati da depositi fiscali ai fini I.V.A.
La banchina, situata nel Canale Industriale Ovest di Porto Marghera, ha
invece una lunghezza complessiva pari a 500 metri, mentre il canale grazie ai
nuovi lavori raggiunge profondità pari a 32 piedi. Lungo la banchina si trovano tre gru portuali con capacità rispettivamente di 70, 80 e 104 tonnellate.
Fra le altre strutture disponibili, si segnala un carro ponte portuale con una
capacità di 52 tonnellate.
L’interporto di Venezia mette a disposizione degli operatori servizi in
grado di combinare le tre modalità di trasporto: nave, gomma e rotaia. Possono così essere effettuate operazioni di ricarico della merce direttamente da
navi a camion o vagoni, oltre che da piazzale su camion e vagone. Attraverso
l’impiego di moderne attrezzature è possibile inoltre effettuare operazioni di
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carico delle merci da silos a camion. Accanto ai servizi più propriamente logistici, all’interno dell’interporto si effettuano lavorazioni di vario tipo delle
merci, quali miscelazione, macinazione, deferrizzazione, confezionamento e
vagliatura. Grazie ad attrezzature e macchinari moderni, l’interporto svolge
diversi servizi ausiliari alle operazioni di imbarco e sbarco fra cui ricordiamo
l’insacco e la palettizzazione delle merci alla rinfusa.
Complessivamente, l’interporto di Venezia riesce a movimentare circa 2
milioni di tonnellate annue di merce e, sul fronte strada, a sdoganare 30 mila
camion. Inoltre, il 10% del totale del traffico è movimentato su ferro. Infine,
almeno 350 sono le navi che ogni anno attraccano in banchina.
L’interporto di Rovigo
L’interporto di Rovigo, gestito da Interporto di Rovigo SpA, è posizionato a sud-est del centro abitato di Rovigo, nei pressi della zona industriale, ed in
prossimità dell’idrovia Fissero-Tartaro-Canalbianco-Pò di Levante, uno degli
assi su cui si regge il sistema idroviario padano-veneto. Per quanto riguarda i
collegamenti con la rete stradale, l’interporto dista 6 km dall’autostrada A13
(Padova-Bologna) e circa 3 km dalla SS434 Transpolesana. I collegamenti
ferroviari tra l’interporto e la linea Venezia-Bologna sono assicurati dalla stazione ferroviaria di Rovigo. Grazie all’idrovia Fissero-Tartaro-CanalbiancoPò di Levante l’interporto è collegato, inoltre, con il sistema idroviario padano-veneto, nonché con i principali porti posti lungo le sponde dell’Adriatico
e del Mediterraneo. L’interporto copre una superficie di 1,9 milioni di mq e
dispone di:
- banchina di accosto fluviale di 800 m;
- terminal ferroviario di 18.000 mq;
- piazzali di movimentazione delle merci con una superficie complessiva
di 35.000 mq;
- magazzini e uffici spedizionieri dotati di ribalta, per un totale di 44.000
mq;
- palazzina riservata agli uffici della Dogana;
- palazzina riservata agli uffici di Interporto di Rovigo SpA., del COVNI e
dell’Ispettorato di Porto;
- pesa pubblica abilitata al trasporto pesante;
- darsena per natanti da diporto.
Attualmente, l’interporto di Rovigo movimenta circa 1 milione di tonnellate di merce annua, legate in prevalenza alla filiera agro-industriale (soprattutto soia e girasoli).
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L’interporto di Lugo
L’interporto di Lugo (figg. 3.18-3.19), gestito da Lugo Terminal SpA,
è localizzato al centro della Romagna, con accesso sia alle maggiori linee
autostradali, sia alle linee ferroviarie tradizionali ed alternative, mediante cui
è in grado di servire tutto il basso Veneto, la parte nord della Toscana e delle
Marche, oltre che ovviamente il bacino romagnolo fino alle porte dell’Emilia.
In quest’ottica, Lugo Terminal ha sviluppato un network logistico realizzando nuovi centri intermodali e consentendo collegamenti con le piattaforme
pugliesi di Apricena (FG), Giovinazzo (BA) e Surbo (LE). I traffici ferroviari
verso Apricena riguardano anche mosti e vino in container cisterna, mentre
quelli con Giovinazzo riguardano, tra gli altri, il grano diretto a vari produttori
di farina e pasta e dei sottoprodotti (crusca e sfarinati) per mangimi localizzati
sulla direttrice sud-nord. Altri traffici che si attestano su Lugo riguardano anche prodotti agroalimentari refrigerati e zucchero.
Lugo Terminal SpA sorge su un’area di 110.000 mq, di cui 35.000 edificabili a magazzini coperti. Ad oggi sono stati realizzati 12.500 mq di magazzini coperti, 4 km di binari in grado di ricevere contemporaneamente 4 treni
blocco, 60.000 mq di piazzali asfaltati ed un’area di parcheggio per container
refrigeranti con 32 prese di corrente idonee a garantire il mantenimento della
temperatura controllata. Il terminal è inoltre attrezzato con 2 reachstacker da
45 tonn. di portata (per la movimentazione di container, casse mobili e semirimorchi), carrelli elevatori da 3, 7 e 16 tonn. di portata (con forche e pinze idonee a svuotare container, a scaricare coil, bobine di carta e merce pallettizzata
di ogni genere).
Figura 3.18 – L’interporto di Lugo
Fonte: Lugo Terminal SpA, 2009
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Figura 3.19 – Lay-out dell’interporto di Lugo
Fonte:Lugo Terminal SpA, 2009
L’interporto di Bologna
L’interporto di Bologna (figg. 3.20-3.21), gestito da Interporto Bologna
SpA, è un complesso integrato di infrastrutture logistiche, ferroviarie e stradali per il trasporto delle merci collegato direttamente alla rete ferroviaria e autostradale nazionale. In particolare, è localizzato a 15 Km a nord della città di
Bologna, in un’area extraurbana, non congestionata, collegata all’intera rete
ferroviaria nazionale attraverso la Bologna-Venezia, una linea in grado di sostenere l’immissione di ingenti quote di traffico. È inoltre collegato all’intera
rete autostradale attraverso l’A13 Bologna-Padova a cui si accede per mezzo
dell’apposito casello “Bologna- Interporto”.
Si estende su una superficie di 2.000.000 di mq, di cui 650.000 mq destinati agli impianti di Trenitalia. Sono inoltre previsti ampliamenti per un’area
complessiva di altri 2.200.000 mq circa.
Uno degli aspetti distintivi dell’Interporto è caratterizzato dalle infrastrutture ferroviarie che si estendono su un’area complessiva di 585.000 mq e comprendono 3 terminal ferroviari con 19 binari operativi, di cui uno di 53.000
mq dedicato alle rinfuse, uno di 130.000 mq dedicato al traffico intermodale
e l’altro di 147.000 mq dedicato al traffico combinato. Lo scalo ferroviario
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è posizionato nella parte occidentale della struttura interportuale ed è dotato
di un fascio base di 4 binari. Sono anche disponibili magazzini direttamente
raccordati dove è possibile effettuare direttamente il trasbordo della merce dal
treno. Inoltre, un’area dedicata allo stoccaggio di autoveicoli è servita da 3
binari. Attualmente, l’interporto conta circa 400.000 mq di magazzini coperti,
con possibilità di realizzare altri 150.000 mq entro il 2012. Più specificamente, le superfici coperte dell’interporto comprendono:
- ribalte gomma-gomma,;
- ribalte ferro-gomma;
- magazzini generali;
- magazzini per la logistica.
Figura 3.20 – Alcune strutture logistiche dell’interporto di Bologna
Fonte: Techne ScpA, 2009
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Figura 3.21 – Planimetria dell’interporto di Bologna
Fonte: Interporto Bologna SpA, 2009
All’interno dell’interporto è inoltre presente un centro doganale che ospita la Circoscrizione doganale, la Dogana di Bologna, la delegazione della Camera di Commercio di Bologna, imprese di spedizione e trasporto, spedizionieri doganali.
Nel corso del 2008 l’interporto di Bologna ha movimentato circa 4.575.000
tonnellate di merci con una flessione di 5,5 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Le ragioni della diminuzione del traffico sono da ricondursi
alla crisi internazionale che ha causato una contrazione delle spedizioni dovuta al calo dei consumi e della produzione con la conseguente ricaduta sul
traffico merci dell’interporto. Nel 2008 sono stati caricati e scaricati 125.000
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UTI tra container e casse mobili, con una riduzione di 11,8% rispetto all’anno precedente. Le specializzazioni merceologiche dell’interporto riguardano
la meccanica, le autovetture e i prodotti plastici. Con riferimento alla filiera
agroalimentare, nell’interporto di Bologna si movimentano prodotti alimentari secchi.
L’interporto di Parma
L’interporto di Parma (figg. 3.22-3.23) è ufficialmente operativo dal 1974
ed è stato realizzato da Centro Padano Interscambio Merci (Ce.P.I.M.) SpA.
Attualmente Ce.P.I.M. mantiene la funzione di coordinamento dello sviluppo
dell’area dell’interporto ed agisce individualmente come operatore con l’offerta di servizi logistici e la disponibilità di terreni urbanizzati.
Figura 3.22 – L’interporto di Parma
Fonte: Ce.P.I.M. SpA, 2009
L’interporto è collegato alla rete autostradale nazionale (autostrada A1/
A15) attraverso la Via Emilia ed è inoltre collegato alla rete ferroviaria nazionale attraverso la linea Milano-Bologna. La superficie complessiva dell’interporto è pari ad oltre 2.390.000 mq, di cui 500.000 mq coperti e 65.000 mq
di terminal intermodale. Un posto di rilievo meritano i depositi a temperatura
controllata, per un totale di 120.000 mq e con possibilità di refrigerazione fino
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a -28°C. Le specializzazioni produttive dell’interporto riguardano la catena
del freddo, le autovetture e la carta, cellulosa e derivati.
L’infrastruttura ha movimentato nel 2007 5,3 milioni di tonnellate di
merci, con un incremento rispetto agli anni precedenti. La quota di traffico
movimentata mediante soluzioni intermodali è il 25%, che si punta ad incrementare attraverso il potenziamento ed il miglioramento soprattutto della
tratta ferroviaria Parma-La Spezia e al consistente ampliamento del terminal
intermodale. Quotidianamente, transitano sui 15 km di linea ferroviaria interna dell’interporto 8 convogli merci, per un totale di circa 2.000 treni e 45.000
carri ferroviari annui.
Figura 3.23 – Lay-out dell’interporto di Parma
Fonte: Consorzio dei Servizi dell’Interporto di Parma, 2009
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L’interporto di Prato
L’interporto di Prato (fig. 3.24), gestito da Interporto della Toscana Centrale SpA, si trova nel cuore dell’Italia centrale e dell’area più industrializzata della Toscana. Si situa esattamente fra le direttrici che uniscono il nord
dell’Italia con il sud e le due coste, adriatica e tirrenica.
Rispetto alle grandi vie di comunicazione, l’interporto è situato tra l’Autostrada del Sole e l’A11, ed è quindi in grado di intercettare i numerosi flussi
di mezzi su gomma che percorrono l’A1 per unire gli Appennini con Roma,
facilitando lo scambio delle merci da nord a sud. Ha la linea dei treni collegata
alla rete nazionale grazie a binari appositamente dedicati, mentre a pochissimi chilometri di distanza beneficia dell’aeroporto di Firenze e soprattutto del
porto di Livorno, raggiungibile grazie al raccordo autostradale denominato
“FI-PI-LI” cui presto si collegherà direttamente con una apposita bretella. Ha
inoltre accesso diretto dalla Mezzana-Perfetti-Ricasoli che collega il casello
autostradale Prato Est con il casello Prato-Calenzano sull’A1. E’ contiguo e
raccordato con la linea Milano-Napoli sulla Direttissima ed è collegato, attraverso questa, con l’Alta velocità.
Figura 3.24 – Layout dell’interporto di Prato
Fonte: Interporto della Toscana Centrale SpA, 2009
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L’interporto di Prato è in grado di offrire servizi all’uomo, alle imprese
e alle merci. Si estende su un’area di oltre 700.000 mq, con 60.000 mq di
magazzini, 6.000 mq di uffici direzionali e un terminale intermodale, in via di
ampliamento, con due binari di 650 metri lineari.
A breve dovrebbero aumentare gli insediamenti destinati a magazzini,
anche con l’attivazione di spazi destinati ai Magazzini Generali. A questo si
aggiungerà la realizzazione di una piattaforma ferroviaria con un ulteriore fascio di binari in grado di fornire servizi ferroviari completi, integrando alla
funzione intermodale quella del trasporto a carro e dei magazzini raccordati
di cui è prevista la realizzazione. Per il medio periodo è già impostata l’estensione dell’area interportuale in Comune di Campi Bisenzio, per un totale di
circa 260.000 mq. di superficie destinata dallo strumento urbanistico approvato. Sarà quindi possibile incrementare di circa 40.000 mq la dotazione di
magazzini con ulteriori opere di urbanizzazione e servizi per uomini, mezzi e
imprese.
Attualmente, nell’interporto sono disponibili il controllo accessi telematico, i servizi doganali, un’officina riparazioni container, un’autofficina, varie
aree di parcheggio anche attrezzate per la catena del freddo, servizi di handling, manovra ferroviaria e sosta delle unità di carico all’interno del terminal.
Nel 2006 l’interporto di Prato ha movimentato 840.000 tonnellate di merci, di cui il 15% mediante soluzioni intermodali. Le attuali specializzazioni
produttive dell’interporto riguardano il tessile/abbigliamento, la distribuzione
urbana delle merci e i prodotti refrigerati. Sono inoltre insediate presso l’interporto diverse aziende leader dell’air cargo. Tra l’altro, la Toscana ha una
forte vocazione a spedire i propri prodotti per via aerea e l’interporto ha una
posizione baricentrica fra i due hub principali Malpensa e Fiumicino.
L’interporto di Livorno
L’interporto di Livorno (fig. 3.25), gestito da Interporto Toscano Amerigo
Vespucci SpA, è situato nell’area di Guasticce, nel comune di Collesalvetti, a
quattro chilometri da Livorno e dal suo porto e a breve distanza dall’autoparco
“Il Faldo”.
L’interporto è posto nei pressi di importanti vie di comunicazione, quali:
- la ferrovia Pisa-Livorno-Roma, a cui è raccordato mediante parte del tracciato della vecchia Ferrovia Maremmana Livorno-Stagno-Collesalvetti;
- Strada di grande comunicazione Firenze-Pisa-Livorno, che serve l’area
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dell’interporto con due uscite;
Autostrada A12;
Variante Aurelia;
via Aurelia.
Figura 3.25 – Lay-out dell’interporto di Livorno
Fonte: Censis-UIR, 2009
In futuro si prevede di rendere navigabile anche lo Scolmatore dell’Arno, così da creare un collegamento immediato per il trasporto delle merci dal
porto di Livorno; inoltre è previsto il prolungamento del tratto ferroviario che
giunge da Livorno e che serve l’interporto: esso verrà collegato con la tratta
Pisa-Collesalvetti-Vada (la cosiddetta “Ferrovia Maremmana”) all’altezza di
Vicarello.
La superficie interportuale attuale è pari a 2,5 milioni di metri quadri,
solo in parte utilizzati. A regime l’interporto avrà ampi spazi per il parcheggio
degli autoveicoli (dagli attuali 80.000 metri quadri si potrà arrivare a 150.000
metri quadri), per i magazzini (dagli attuali 60.000 metri quadri si potrà arrivare a 340.000 metri quadri) e per gli uffici (dagli attuali 1.500 metri quadri
a 4.600 metri quadri). Gli spazi destinati al terminal intermodale sono pari a
130.000 metri quadri.
Le merci attualmente movimentate afferiscono al comparto delle auto,
dei prodotti alimentari, del legname, della cellulosa e dei prodotti chimici sfusi, segnale evidente della capacità dell’interporto di sostenere i processi di
sviluppo delle filiere produttive locali.
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L’interporto di Civitavecchia
L’interporto di Civitavecchia (fig. 3.26), gestito da Interporto di Roma
Piattaforma Logistica Civitavecchia – ICPL SpA, è una delle infrastrutture
interportuali nazionali non inserita nella rete degli interporti di primo livello.
Costituisce comunque un importante cardine nell’assetto economico e produttivo per il Centro Italia ed in particolare per il Lazio, in cui trovano spazio
funzioni e attività d’interesse internazionale legate al trasporto e alla logistica.
Ne rappresentano un esempio gli investimenti da parte di Mediterranean Shipping Company (MSC), che è la seconda compagnia di navigazione a livello
mondiale nel segmento container, particolarmente attiva sulle rotte di traffico
tra l’Asia e l’Europa, e leader nel Mediterraneo anche per quanto riguarda i
traffici crocieristici.
Figura 3.26 – L’interporto di Civitavecchia
Fonte: Interporto di Roma Piattaforma Logistica Civitavecchia – ICPL SpA, 2009
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L’interporto è in diretto contatto:
con il porto omonimo, che si sta ponendo come nodo catalizzatore nella
rete dei trasporti del Mediterraneo;
con la rete infrastrutturale su gomma e in particolare con il Corridoio
Tirrenico, per il quale si prevede il completamento verso Livorno e la
connessione trasversale con l’A1.
con il sistema ferroviario, ovvero con la linea internazionale Napoli-Genova-Ventimiglia, per la quale si prevede un potenziamento con incremento di traffici internazionali;
- con l’aeroporto intercontinentale di Fiumicino, tramite l’autostrada A12,
legame rafforzato dalla sottoscrizione nell’aprile 2004 di un importante
protocollo d’intesa con Aeroporti di Roma.
Complessivamente, l’area interportuale è pari a circa 500.000 mq, di cui
242.602 mq di aree verdi, 45.017 mq coperti, 112.000 mq di piazzali, 3 binari
e 30.744 mq di aree di sosta. Sono inoltre disponibili magazzini e colonnine
frigo, officina riparazione, pulizia e disinfezione container, vari spazi doganali
vincolati, depositi IVA, depositi fiscali e depositi per particolari tipologie di
merci extra-comunitarie.
L’interporto dispone di un complesso di celle frigorifere a diverse temperature. La principale, per complessivi 60.000 mc, consente lo stoccaggio di
5.000 posti pallet a temperature fino a -25°C con moderni ed efficienti metodi
di movimentazione, tra cui l’utilizzo di rulliere motorizzate. Dispone inoltre,
di una cella a multi temperatura (+4°C e -25°C) con una capacità complessiva
di 600 pallet. Le celle dispongono di sistemi di allarme e di registrazione della
temperatura al fine di assicurare e certificare le condizioni di stoccaggio.
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L’interporto di Valpescara
L’interporto Val Pescara (fig. 3.27), gestito da Interporto Valpescara SpA,
è localizzato all’uscita Scafa-Alanno della A25, tra i comuni pescaresi di Rosciano e Manoppello, su una superficie totale di 959.000 mq.
Figura 3.27 – Alcune strutture operative dell’interporto di Valpescara
Fonte: Interporto Valpescara SpA
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L’infrastruttura, attualmente inserita nel sistema logistico regionale con
il Centro Smistamento Merci della Marsica ed i porti di Ortona e Vasto, è in
fase di completamento. È attualmente collegata con la A 25 Torano-Pescara,
la SS 5 Tiburtina, la linea FS Pescara-Roma, il raccordo autostradale ChietiPescara. Tra i servizi offerti rientra la raccolta e distribuzione delle merci nelle
zone locali produttive e di consumo, tramite lo scalo merci situato all’interno
dell’interporto stesso.
L’interporto di Val Pescara si sviluppa su 110 ettari, di cui circa 20.000 mq
di magazzini, più altre aree destinate a piazzali, uffici e servizi vari. A regime,
l’area destinata ai magazzini dovrebbe raggiungere un’estensione di 80.000
mq, mentre quella destinata ai piazzali dovrebbe raggiungere un’estensione di
95.000 mq. Le specializzazioni attuali dell’interporti riguardano i prodotti da
semola di grano duro e i prodotti per la casa. Nel 2007 sono state movimentate
150.120 tonnellate di merce.
L’interporto di Nola
L’interporto di Nola (figg. 3.28–3.29), gestito da Interporto Campano
SpA, si trova sul corridoio intermodale tirrenico Nord Europa-Gioa Tauro ed
in posizione baricentrica rispetto al corridoio trasversale dal Centro-Sud Italia
verso la Puglia. È direttamente collegato alle autostrade A16 Napoli-Bari, A30
Caserta-Salerno, A1 e A2 Napoli-Roma e Roma-Milano, A3 Salerno-Reggio
Calabria. L’interporto vanta inoltre al proprio interno una stazione RFI completamente elettrificata e che è la stazione di testa di una breve linea che si
distacca, con un bivio, dalla Cancello-Salerno.
L’area interportuale si estende per 3.000.000 di mq e, di cui circa 300.000
mq di magazzini coperti sono destinati alla manipolazione e allo stoccaggio
delle merci, anche a temperatura controllata; sono inoltre presenti un terminal
intermodale di circa 225.000 mq (in grado di movimentare circa due milioni
di tonnellate/anno di merci in entrata ed uscita), il CIS, il più grande Centro all’Ingrosso d’Europa, ed un Centro Servizi multifunzionale denominato
“Vulcano Buono”.
I 236.000 mq di piazzali permettono la sosta contemporanea di circa
3.000 TIR. Per le merci in import od export extra UE, nell’interporto è stata
istituita un’area doganale di circa 20.000 mq, di cui 4.000 mq sono rappresentati da piazzali destinati alla sosta degli automezzi, abilitata a diverse funzioni,
compresa la temporanea custodia. Si evidenzia infine la presenza all’interno
dell’interporto di un “polo del freddo” (Refeer terminal, figg. 3.30-3.31) con
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un’offerta di spazio refrigerato pari a 354.000 mc di magazzini ad atmosfera e
temperatura controllata capaci di ospitare fino a 12.000 euro-pallet. I magazzini sono suddivisi in celle di diversa cubatura e il cui punto di forza è rappresentato dalla possibilità di temperature da 0°C a -30°C, così da coprire l’intero
ciclo della catena del freddo. La parte posteriore della struttura è direttamente
collegata ad una banchina di carico per vagoni ferroviari, servita da un raccordo al fascio stazione di circa 900 metri lineari. L’impianto, la cui gestione
è affidata a Nola Reefer Terminal, una partecipata di Interporto Campano,
si candida a diventare un punto di riferimento per produttori e distributori
di merci altamente deperibili, dal settore alimentare a quello farmaceutico.
La struttura ha le potenzialità di piattaforma distributiva regionale primaria
al servizio della DO e GDO per la conservazione e distribuzione di prodotti
surgelati, freschi e congelati. La catena del freddo è assicurata anche da una
banchina ferroviaria posteriore alla struttura, servita da un raccordo al fascio
stazione di circa 900 metri lineari, che consente l’accosto diretto dei vagoni
frigoriferi ai magazzini.
Figura 3.28 – Il distretto logistico, intermodale e commerciale di Nola
Fonte: Interporto Campano SpA, 2009
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Figura 3.29 – Ortofoto satellitare dell’interporto di Nola.
Focus sugli impianti ferroviari e intermodali
Fonte: nostra elaborazione
Figura 3.30 – Il polo del freddo dell’Interporto di Nola
Fonte: Interporto Campano SpA, 2005
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Figura 3.31– Camion in attesa e in transito presso il polo del freddo
dell’interporto di Nola
Fonte: Interporto Campano SpA, 2005
Alcuni operatori dell’interporto sono attualmente interessati a capire se
ci sarebbero le condizioni per sviluppare treni verso la Puglia, ad esempio per
il trasporto di semola, farinacei e surgelati. Alcuni traffici che attualmente si
attestano sul terminal intermodale riguardano pomodori, succhi di frutta e pasta. Inoltre, Mediterranean Shipping Company (MSC), importante operatore
marittimo del settore crocieristico e di quello container, ha di recente siglato
un accordo di partnership con Interporto Campano per i propri spazi refrigerati (fig. 3.32). Tale accordo prevede l’insediamento di Italcatering, la società
che si occupa della logistica “food & beverage” della compagnia croceristica,
in due unità operative (lotti) del polo del freddo, per un totale di capacità complessiva degli spazi pari 40.000 mc e 4 mila pallet su scaffale. Il magazzino
rifornirà tutte le navi da crociera di MSC che fanno scalo nei principali porti
del Sud Italia. A pieno regime, dalla piattaforma si muoveranno 25 camion e
altrettanti container al giorno. In particolare è prevista una movimentazione
annua di 150 mila tonnellate di prodotti food & beverage, pari a 30 milioni di
euro, con una stima di crescita di almeno il 20% annuo. Tra i piani di sviluppo
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futuri di Interporto Campano per quanto riguarda il Polo del freddo vi è quello di riservare una parte delle celle disponibili alle operazioni doganali delle
merci refrigerate che arrivano da paesi extra-comunitari.
Figura 3.32 - Operazioni logistiche presso la piattaforma di MSC Crociere
nell’interporto di Nola
Fonte: Interporto Campano SpA, 2009
Gli interporti di Bari e Cerignola
La Puglia rappresenta uno dei principali territori di interportualità nascente dell’Italia meridionale. L’interporto di Bari, gestito da Interporto Regionale
della Puglia SpA, rappresenta la principale realtà attualmente operativa. Dista
meno di 5 Km dal più vicino svincolo autostradale, dal porto e dal nuovo aeroporto internazionale di Bari Palese. L’interporto è direttamente raggiungibile
dalla tangenziale di Bari (svincolo n°5 Bari Q.re San Paolo/Interporto) ed è
collegato con la stazione centrale dalla fermata “Tesoro” della nuova linea
metropolitana di superficie Bari-Q.re San Paolo e da una fermata del servizio
autobus metropolitano. Esso è inoltre adiacente allo scalo RFI di Ferruccio.
L’interporto di Bari si estende su una superficie di circa 500.000 mq, di
cui 90.000 mq destinati ad edifici direzionali e magazzini sia per attività nonfood, sia per la logistica del freddo. Per questi ultimi possono essere allestite
all’interno di ogni modulo celle frigorifere con temperature di esercizio da
-25°C a +4°C. I magazzini (sia di tipologia gomma-gomma che ferro-gomma)
di superficie variabile si caratterizzano per un altezza sottotrave di 10,50 m e
per dotazioni impiantistiche avanzate.
Gli operatori attualmente presenti nell’interporto movimentano prodot-
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ti alimentari (ittici surgelati, yogurt, ecc.), sigarette, abbigliamento, ricambi
auto. Le merci provengono per la gran parte dal territorio nazionale e sono
prevalentemente ridistribuite sul territorio pugliese e lucano.
Attualmente, il terminal intermodale dell’interporto è in fase di ultimazione. Si prevede che in futuro tale infrastruttura si estenderà su una superficie
di 50.000 mq e sarà dotata di 4 binari operativi. Offrirà inoltre, tra gli altri, i
seguenti servizi:
- treni shuttle giornalieri portacontainer da e per Milano, Napoli, Rotterdam, Verona e Padova;
- servizi di handling con ausilio di reachstaker e trainstainer per le operazioni di carico/scarico container;
- deposito, manutenzione, fumigazione per container vuoti.
Il sistema intermodale della Puglia può attualmente contare anche sull’interporto realizzato attraverso il Consorzio Ofanto Sviluppo dalle amministrazioni comunali di Cerignola e San Ferdinando di Puglia. La superficie totale
di quest’ultima infrastruttura è pari a 450.000 mq. Una volta ultimato, l’interporto disporrà di 52.000 mq di magazzini, di cui 13.000 mq già realizzati, e di
un terminal da 75.000 mq.
La struttura si colloca in un territorio adiacente all’Agglomerato di Cerignola-San Ferdinando, importante polo agroalimentare che si estende su una
superficie di 2.220.000 mq su cui operano circa 6.000 aziende. Attualmente,
l’interporto di Cerignola è un centro di carico e scambio di produzioni ortofrutticole costituite principalmente da grano, frutta e particolari ed importanti
qualità di ortaggi. Oltre ai traffici legati a tale comparto, l’interporto si propone di intercettare anche parte dei flussi di merce che transitano attraverso la
provincia di Foggia.
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Finito di Stampare
Mese di Dicembre 2009
da Tip. Enzo Albano soc. coop. a r.l.
Via Enrico Fermi, 17 - Napoli
nel