5 - 18 maggio 2013

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NUMERO 17/2013, 5 - 18
B l o Gl o b a l
MAGGIO
2013
We e k l y
RASSEGNA DI BLOGLOBAL
OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
BloGlobal Weekly N°17/2013 - Panorama
MONDO - Focus
BULGARIA - Lo scorso 12 maggio si sono tenute nel Paese balcanico le elezioni parlamentari anticipate a seguito delle dimissioni, lo scorso 20 febbraio, del Primo Ministro uscente, il conservatore Boyko Borisov. Voto anticipato a seguito delle grandi manifestazioni di protesta promosse in tutto il
Paese per le politiche economiche del governo, alimentate dall’aumento vertiginoso delle bollette
dell’elettricità, e per le accuse di corruzione e di un uso politico delle intercettazioni. In quest’ultimo
caso il polverone sollevato ha creato una grande eco visto che ad essere intercettati, in maniera non autorizzata e su ordine
dell’allora Ministro degli Interni Tzvetan Tzvetanov, erano il Presidente della Repubblica Rosen Plevneliev, i Ministri dello stesso
governo conservatore, personaggi politici importanti, uomini d’affari e giornalisti. Secondo i dati sull’affluenza diffusi dal Ministero
degli Interni, si è recato alle urne circa il 51% degli aventi diritto, il dato più basso degli ultimi vent’anni. Dai risultati è emerso un
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sostanziale pareggio tra le due principali forze in campo, il Partito conservatore “GERB-Cittadini per lo Sviluppo Europeo della
Bulgaria” del Premier uscente ed ex sindaco di Sofia Borisov (che ha ottenuto il 30,71%) e il Partito Socialista Bulgaro guidato da
Sergei Stanishev (che ha raccolto il 27,02% delle preferenze). All’occhio attento degli analisti internazionali non è sfuggito che il
risultato bulgaro ricorda molto da vicino quello dell’Italia. Infatti, lo stesso Borisov, incaricato di formare il nuovo esecutivo, non
pare avere i numeri per guidare un governo di coalizione poiché anche le altre due minoranze parlamentari tendenzialmente
di destra come il DPS-Movimento per i Diritti e la Libertà (con il 10,59%) – rappresentativo della comunità bulgaro-turca – e i nazionalisti e xenofobi di ATAKA (che hanno conquistato il 7,38%) non intendono allearsi con il GERB, ritenuto il principale responsabile della crisi politica ed economica nazionale. All’orizzonte sembra profilarsi unicamente la possibilità di un governo di coalizione con i socialisti i quali, però, ripudiano tale eventualità e lanciano accuse di compravendita di voti e brogli (infatti sarebbero
state sequestrate ben 350mila schede in una tipografia di proprietà di un fedelissimo di GERB). Permane, dunque, il rischio di
un’impasse politica in un Paese già gravemente colpito dalla crisi e in cui le tensioni sociali, alimentate dalla diffusione dell’autoimmolazione con il fuoco, potrebbero costituire un pericoloso detonatore nel cuore dei Balcani. La Bulgaria è il Paese più povero dell’Unione Europea, con una media salariale di circa 300 euro al mese e con un tasso di disoccupazione tra l’11% e il 12%
e, nonostante l’ingresso nell’UE insieme alla Romania nel 2007, non è riuscita a migliorare le condizioni di vita generale della popolazione.
CINA - Si sono svolti a Pechino, dal 5 al 10 maggio, una serie di incontri di alto livello con i rappresentanti di Israele e Autorità Nazionale Palestinese. Xi Jinping e il Premier Li Keqiang hanno incontrato prima Abu Mazen e poi Benjamin Netanyahu con i quali hanno discusso dei principali temi
dell’attualità mediorientale: Siria, Iran e, soprattutto, rilancio del processo di pace israelopalestinese sotto l’auspicio e le bandiere del Dragone. Pechino ha proposto un piano articolato in
quattro punti per cercare di risolvere una delle crisi più spinose e lunghe della storia contemporanea. Basandosi sulla risoluzione
ONU 242, la Cina ha chiesto in un colloquio separato il ritorno ai confini del 1967. Come sottolineato dal portavoce del Ministero
degli Esteri cinese, Hua Chunying, “si è voluto dimostrare l'atteggiamento costruttivo della Cina nel dedicarsi alla promozione della soluzione dei problemi focali del Medio Oriente quali quello palestinese e la realizzazione della pace e della stabilità nella regione”. Non sono mancati, tuttavia, alcuni momenti di tensione tra le parti, come quando Hua ha criticato e condannato i raid di
Israele nel territorio siriano. Il viaggio del Presidente dell’ANP è durato 3 giorni (dal 5 al 7 maggio), mentre quello del Premier
israeliano è stato più lungo e durato in tutto 4 giorni (dal 6 al 10 maggio). Se Mahmoud Abbas negli incontri con il Presidente Xi
ha firmato degli accordi di cooperazione culturale ed economica da sviluppare tra il 2013 e il 2016 e utili a dare fiato alle esanimi casse palestinesi – il cui debito ammonta a 1,4 miliardi di dollari –, anche Netanyahu ha sfruttato la visita per discutere e
rafforzare la già forte cooperazione commerciale ed economica con la Cina. In un incontro a Shanghai, i Paesi hanno firmato una
serie di memoranda di cooperazione economica del valore complessivo di 400 milioni di dollari e che espandono
i protocolli finanziari già esistenti tra i due Stati dal valore di oltre 2 miliardi di dollari. I rapporti bilaterali negli ultimi 20 anni sono
cresciuti in maniera esponenziale in tutti gli ambiti, da quello economico a quello militare: dal 1992 ad oggi, il volume del commercio sino-israeliano è incrementato di circa il 14.000%, passando dai 50 milioni di dollari agli attuali 8 miliardi. Ma
l’interesse di Pechino verso lo Stato Ebraico si è sostanziato in questi anni anche in una serie di investimenti strategici quali la
partecipazione alla costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità che collegherà Eilat a Tel Aviv e che diverrà pienamente
operativa nel 2017. La partecipazione della Cina al progetto “Red-Med” è il riflesso dei grandi interessi strategici cinesi nei
confronti delle riserve energetiche nel bacino del Levante e della conquista di uno sbocco per le proprie esportazioni nel Mediterraneo orientale. Infine l’interesse cinese verso Israele si sostanzia nel fatto che Tel Aviv disporrebbe delle tecnologie estrattive utili a rendere Pechino un produttore di energia. Infatti, pur essendo in teoria ricca di shale gas, la Cina è ancora molto indietro
sia nelle conoscenze tecnologiche per l'estrazione sia nello sviluppo delle aree da sfruttare che potrebbero invece far diminuire la
dipendenza cinese dal petrolio mediorientale e centroasiatico. Pertanto, se per Israele la Cina rappresenta indubbiamente una
grande opportunità dal punto di vista economico e militare, per Pechino Tel Aviv assomiglia ad una tessera di un puzzle strategico e geopolitico importantissimo visti i numerosi interessi con l’Iran. Infatti, è lecito supporre che la presenza di Pechino in
Medio Oriente sarà destinata a crescere di pari passo al progressivo disimpegno militare e politico di Washington in favore del
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cosiddetto “Pivot to Asia”.
PAKISTAN – Lo scorso 11 maggio si sono tenute nel Paese dell’Asia Meridionale le attese elezioni parlamentari per rinnovare l’Assemblea del Consiglio, la Camera bassa del Parlamento pakistano, che
comprende 272 seggi, dei quali 60 sono riservati alle donne e 10 ai rappresentanti delle minoranze
etniche e religiose. Elezioni attraversate da una lunga scia di attentati a sfondo etnico-religioso e che
hanno visto come bersaglio dei Taliban e degli islamisti radicali i partiti islamici e laici. Nonostante ciò,
l’affluenza alle urne è stata del 60%, la più alta dal 1977. Secondo le proiezioni, il Pakistan Muslim’s
League–Nawaz (PML-N) dell’ex Premier conservatore Nawaz Sharif avrebbe ottenuto tra i 110 e i 120 seggi, non bastanti tuttavia a raggiungere la fatidica soglia di 172 utile ad avere la maggioranza e a governare il Paese. Infatti, sarà necessario formare
un governo di coalizione insieme a membri indipendenti e a piccoli partiti islamici. Gli altri due principali competitor,
il Pakistan Tehreek-e-Insaf o Movimento per la Giustizia (PTI) guidato dall’ex campione di cricket Imran Khan e il Pakistan People
Party (PPP) di Bilawal Zardari Bhutto – figlio di Asif Alì Zardari e della defunta Benazir Bhutto – avrebbero ottenuto poco meno di
40 seggi (rispettivamente 36 e 35). Tale risultato è senza dubbio molto negativo per il PPP, che alle elezioni del 2008 aveva
ottenuto 124 scranni, mentre rappresenta un dato significativo per il PTI, che alle scorse consultazioni aveva ottenuto solamente
un seggio. A suo modo, queste consultazioni sono state storiche per il Pakistan poiché per la prima volta dalla nascita del Paese
(nel 1947) un governo civile ha completato il proprio mandato accingendosi a consegnare i poteri nelle mani di un nuovo esecutivo eletto democraticamente. Tuttavia numerose rimangono le incognite sul futuro del Paese a cominciare dal ruolo dei militari, sempre molto influenti nella storia politica nazionale, fino a giungere alla necessità di pacificare un Paese attraversato da
ondate straordinarie di violenza contro minoranze etniche e religiose. Oltre che sul piano della sicurezza, le sfide per il neoPremier Sharif riguardano anche l’economia, vista la necessità di creare posti di lavoro e di porre rimedio alle cronica mancanza
di energia. Quanto alla politica estera, toccherà a Sharif gestire la stabilizzazione dell’Afghanistan post-ritiro USA, così come il
rapporto ambiguo con lo stesso alleato americano nella lotta al terrorismo qaedista e, infine, le relazioni sempre tese con il vicino
indiano.
SIRIA - La guerra civile siriana, che si trascina ormai da oltre due anni, sta assumendo negli ultimi mesi
un carattere sempre più internazionale a causa del coinvolgimento diretto dei principali attori regionali. Se da un lato si è assistito all’ingresso di Israele nella crisi attraverso i raid sui depositi militari di
Jamraya - sobborgo alla periferia nord di Damasco - così come sui convogli che presumibilmente trasportavano armi al movimento libanese di Hezbollah, dall’altro si sta profilando il rischio concreto di
esportare il conflitto fino in Turchia e Iraq. Infatti, l’attentato dello scorso 11 maggio a Reyhanli, cittadina turca di frontiera,
che è costato la vita ad oltre 50 persone e il ferimento di altre 100, nonché la lunga scia di sangue che sta colpendo le province irachene di al-Anbar e Nineveh, roccaforti sunnite di confine che da mesi vedono operare le formazioni qaediste di Jabhat alNusra e dell’Islamic State of Iraq, dimostrano come la spirale di violenza che si consuma in Siria rischia di coinvolgerli rendendoli
parti attive nel conflitto. Anche la Giordania, alle prese con l’arrivo sempre più consistente di profughi siriani, teme per la propria
stabilità a causa della possibilità di un’estensione della violenza dei gruppi salafiti ed estremisti verso il regime di Re Abdallah II.
Intanto sul fronte diplomatico si intensificano i contatti tra Stati Uniti e Russia per la definizione di una Conferenza internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite (così come proposto da Vladimir Putin a Ban Ki Moon in occasione di un incontro a Sochi,
sul Mar Nero, lo scorso 16 maggio) e che avrà come obiettivo la fuoriuscita di Assad dal futuro governo del Paese. Tale Vertice
dovrebbe tenersi entro giungo a Ginevra e dovrebbe vedere il pieno coinvolgimento della Coalizione Nazionale Siriana, che
entro quella data dovrebbe aver nominato il successore di Moaz al-Khatib alla guida dell’opposizione politica ad Assad. Permangono tuttavia incertezze sul progetto del Summit internazionale a causa dei veti incrociati delle potenze: la Francia, in particolare,
si è dichiarata contraria alla partecipazione dell’Iran, opzione, questa, caldeggiata dalla Russia. Intanto Barack Obama, che
preme affinché tutte le parti collaborino per il buon esito della Conferenza e che in occasione della visita del Premier turco Erdoğan a Washington ha assicurato alla Turchia il proprio supporto nella gestione della crisi affermando che la “diplomazia può essere l’unica soluzione”, ha dichiarato che gli USA non accetteranno di consegnare armi ai ribelli che combattono contro il re-
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gime di Assad per il timore che queste cadano in mano ai gruppi qaedisti. Lo stesso Presidente ha duramente criticato la Russia per la fornitura di armi al regime siriano, definendo la tempistica come “inopportuna”. Sebbene sia una delle due promotrici
della Conferenza, la Russia ha ammesso, per voce del suo Ministro degli Esteri Sergei Lavrov, che la vendita di una decina di
navi da guerra, di apparecchiature antiaree sofisticate e di missili da crociera antinave Yakhont alla Siria sarebbe avvenuta in
virtù di accordo siglato prima dell’inizio della guerra e che questi contratti “non alterano in alcun modo le forze presenti in questa
regione”. Come riportato dal New York Times, questa notizia è molto importante in quanto i Siriani grazie alle nuove forniture
russe potrebbero difendersi meglio da possibili interventi esterni della comunità internazionale nella forma di una no-fly zone alla libica, di un embargo navale o portando avanti raid aerei mirati (vedi Israele). La decisione russa dimostra in realtà quanto
Mosca non voglia assolutamente una soluzione militare esterna alla guerra civile interna alla Siria offrendo, inoltre, una sponda
anche al regime iraniano nel caso di dichiarazioni di guerra da parte israeliana. In attesa di ulteriori sviluppi, anche relativamente
agli accertamenti sull’utilizzo di armi chimiche da parte di gruppi di ribelli, a metà della prossima settimana si terrà ad Amman
una nuova riunione del gruppo “Amici della Siria” nella quale non dovrebbe prender parte l’opposizione siriana.
MONDO - Brevi
AFGHANISTAN/PAKISTAN, 6 maggio – Sono ripresi gli scontri lungo il confine afghano-pakistano, nella provincia orientale afghana
di Nagarhar - vicino Jalalabad, in corrispondenza della cosiddetta “linea Durand” -, che hanno causato la morte di 4 persone, tra
cui quella di una guardia afghana. Secondo quanto riferito dalle forze di sicurezza di Kabul, i Pakistani avrebbero cominciato a
ricostruire nel distretto di Goshta un avamposto che era stato distrutto in uno scontro avvenuto lo scorso 1 maggio, determinando
così la risposta dei militari afghani. Si tratta comunque dell’ultimo di una serie di episodi che affondano le radici nell’istituzione di
un confine arbitrario nel 1893 (quando il Pakistan era ancora India) da parte di Mortimer Durand, l’allora Ministro degli Esteri del
Raj britannico che negoziò l’accordo con l’Emiro afghano Abdur Rahman Khan, creando così una divisione artificiale tra la popolazione pashtun trovatasi ad abitare in due nazioni differenti. Da allora i pasthun afghani accampano diritti di sovranità sulle provincie pakistane del Nord-Ovest, fino alla città di Peshawar inclusa. Il timore di Kabul è dunque quello che, con l’avvicinarsi del
ritiro USA nel 2014, Islamabad possa approfittare della transizione per estendere la propria influenza nei territori meridionali
dell’Afghanistan. D’altra parte anche il Presidente afghano Karzai ha recentemente dichiarato di non riconoscere la linea Durand
e che tutto il popolo afghano deve dimostrare il proprio sostegno alla guardia uccisa. Nonostante ciò, questo aspetto è stato da
alcuni letto in chiave positiva, in vista di un possibile superamento delle divisioni tribali e di un consolidamento dell’identità nazionale afghana.
ARGENTINA, 17 maggio – È morto nel carcere di Marcos Paz (vicino Buenos Aires), all’età di 87 anni, Jorge Rafael Videla, ex comandante in capo delle forze armate che nel 1976 guidò il colpo di Stato militare (insieme con Leopoldo Galtieri ed Emilio Eduardo Massera) che depose Isabelita Perón e che negli anni della sua dittatura (fino al 1981 quando fu deposto dal golpe di Roberto
Viola) si rese colpevole di crimini contro l’umanità e violazioni dei diritti umani - di cui peraltro mai si pentì - che gli costarono la
condanna a due ergastoli e 50 anni di carcere. Fu sotto la sua dittatura che vennero sospese le libertà civili e sindacali oltre
all’espropriazione delle terre, che vennero compiuti i “furti di neonati” (i figli delle donne incinte arrestate venivano poi affidati in
adozione clandestina ai militari) e, soprattutto, che vennero commessi arresti arbitrari giustificati da motivi politici e che portarono
alla creazione del cosiddetto fenomeno dei “desaparecidos”: almeno 30.000 persone subirono in centri di detenzione clandestina
abusi, violenze e torture di ogni genere senza tuttavia far mai ritorno a casa. Proprio lo scorso 28 novembre si è aperto il maxiprocesso nei confronti di un gruppo di 68 ex piloti che negli anni del “Processo di riorganizzazione nazionale” si sono resi responsabili del lancio in mare di detenuti ancora vivi (i cosiddetti “voli della morte” denunciati solo nel corso degli anni Novanta da alcuni
ex capitani rei confessi).
CIPRO, 15 maggio – Il Fondo Monetario Internazionale ha approvato il piano di aiuti finanziari per Nicosia, dando il via libera al
versamento di una prima tranche di 86 milioni di euro. In totale l’organizzazione di Washington dovrà versare alla piccola isola
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mediterranea circa un miliardo di euro nei prossimi tre anni, mentre i partner europei attraverso il Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM) erogheranno fino a 9 miliardi di euro in cambio di un piano di riforme che il governo cipriota si è impegnato ad adottare.
Nello stesso giorno la Banca Centrale Europea ha stanziato i primi 2 miliardi di euro, mentre la seconda tranche dell’ESM di circa
1 miliardo è prevista entro il prossimo 30 giugno. Secondo la “troika” (FMI, BCE e Commissione europea) il periodo di recessione
per la piccola repubblica dovrebbe durare due anni, con una contrazione del PIL dell'8,7% nel 2013 e del 3,9% nel 2014 prima di
tornare a crescere dell'1,1% nel 2015. La disoccupazione, che dovrebbe toccare un massimo del 16,9% nel 2014, scenderà nel
2015 al 14,6%, il livello dell'inizio del 2013.
COREA DEL NORD, 17 maggio – Dopo un periodo di relativa stabilità della crisi coreana, sono tornati a scaldarsi gli animi in Estremo Oriente dopo che la Corea del Sud ha annunciato che il vicino nordcoreano disporrebbe di almeno 200 rampe mobili missilistiche, il doppio di quanto ipotizzato in precedenza: si tratterebbe, secondo quanto riportato dall'agenzia Yonhap (che si basa su
fonti del Kida, l'istituto di Stato coreano per le analisi nel campo della dDfesa, e del Pentagono) di circa 100 rampe di lancio per
missili Scud a corto raggio, 50 per missili Nodong a medio raggio e 50 a lungo raggio Musudan, a dispetto dei 94 lanciamissili
stimati all’inizio della crisi. Nelle stesse ore Pyongyang ha lanciato tre nuovi missili a corto raggio in direzione est, cadendo tuttavia in acque territoriali nordcoreane. Non è ancora chiaro se si sia trattato di esercitazioni o di provocazioni, ma l’episodio sembra
vanificare il tentativo del Giappone di portare il regime di Kim Jong-un sul tavolo delle trattative: lo scorso 15 maggio il consigliere
del Primo Ministro Abe, Isao Iijima, si era infatti recato in visita a Pyongyang, incontrando tuttavia il disappunto da parte di Seoul
(non preallertata da Tokyo) né dagli Stati Uniti impegnati a risolvere la crisi attraverso il comune impegno internazionale.
LIBIA, 6 maggio – Con 164 voti a favore e 4 contrari, e sotto la pressione di miliziani armati che hanno circondato le sedi di alcuni
Ministeri di Tripoli, il Congresso Generale Nazionale libico ha adottato un progetto di legge (la cosiddetta “Legge di isolamento
politico”) che esclude ex funzionari del regime di Muammar Gheddafi, nonché coloro i quali avevano avuto un ruolo economico ed
educativo di rilievo, dalla vita politica nazionale per i prossimi dieci anni. Nell'elenco delle persone che saranno radiate, e che
comprende circa 20 vertici dell'amministrazione civile e militare, potrebbero essere inseriti anche l'attuale Presidente del Congresso, Mohamed al-Magaryef, e il Primo Ministro Ali Zeidan, cosa che ha scatenato le polemiche sia da parte dell’attuale establishment sia dai fedeli all’ex regime, oltre che da alcune ONG che reputano questa legge troppo vaga e ingiusta. Da questo punto
di vista, tuttavia, non vi è ancora niente di certo, in quanto il comitato incaricato di applicare la legge non inizierà i lavori prima del
prossimo 5 giugno. Il perdurare dell’instabilità del Paese ha intanto indotto non solo il Regno Unito a ritirare parzialmente il proprio
personale diplomatico da Tripoli, ma anche gli Stati Uniti a spostare un numero imprecisato di marines (tra i 200 e i 500) dalla
Spagna a Sigonella per intervenire più rapidamente nel caso di attacchi nel Paese nordafricano, riaprendo così il dibattito in Italia
sull’utilizzo della base siciliana.
MALI, 15 maggio – Si è tenuta a Bruxelles la Conferenza internazionale dei donatori per il Mali, co-presieduta dal Presidente francese Hollande, dal Presidente ad interim del Mali, Dioncounda Traoré, e da quello della Commissione europea Barroso, a cui
hanno partecipato 108 rappresentanti di Paesi e istituzioni internazionali che hanno sottoscritto impegni per tre miliardi e 250 milioni di euro, il doppio di quanto inizialmente previsto. Questa cifra fortemente voluta dalla Francia - e che vedrà coinvolte Unione
Europea (maggior contribuente con 524 milioni di euro), Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Banca Islamica di Investimento e la stessa Parigi che verserà 280 milioni di euro -, impegna, come dichiarato da Hollande, i donatori, ma anche “il
popolo maliano a rispettare i propri impegni per la riconciliazione, la sicurezza, lo stato di diritto ed il buon governo. È un contratto
di solidarietà ed amicizia".
NIGERIA, 16 maggio – Nonostante le promesse di amnistia ventilate nel corso delle ultime settimane, il Presidente nigeriano Goodluck Jonathan ha lanciato un’offensiva nei territori settentrionali del Paese nei confronti delle milizie di Boko Haram, colpevoli
negli ultimi due anni di numerosi attentati terroristici nei confronti delle comunità cristiane e di strutture governative (l’ultimo risale
allo scorso 7 maggio a Bama, quando sono rimaste uccise 55 persone). Lo stesso Jonathan, che ha dichiarato lo stato di emergenza (tuttavia mai completamente abolito) nei tre Stati settentrionali di Yobe, Borno e Adamawa - dove sono stati dispiegati oltre
2000 soldati -, ha asserito che è in atto una guerra nel Paese contro la quale non può esserci altra risposta che quella armata.
Secondo quanto commentato dalle fonti governative, la decisione di Abuja sarebbe stata non solo presa in solitaria, ma anche
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contro la volontà del Forum dei Governatori della Nigeria. Se da un lato questa mossa potrebbe indebolire il fronte fondamentalista attualmente impegnato anche sul versante maliano, dall’altro potrebbe rinvigorire il gruppo che già nei giorni scorsi aveva annunciato una nuova campagna terroristica attraverso il rapimento di donne e bambini.
TURCHIA, 17 maggio – La Turchia è sempre più protagonista degli equilibri che si stanno delineando e che si potrebbero delineare
in Medio Oriente, non solo per via dell’impegno in una possibile svolta al conflitto siriano (nel quale è sempre più coinvolta a seguito dell’attentato a Reyhanli dell’11 maggio nel quale hanno perso la vita 51 persone) e della cooperazione in merito con gli
Stati Uniti (rafforzata nel corso della visita di Erdoğan a Washington gli scorsi 16 e 17 maggio, benché Obama abbia frenato
sull'invio di armi invocato da Ankara e dai Paesi del Golfo), ma anche per via del possibile ruolo all’interno della questione palestinese. Infatti, se da un lato il Paese anatolico, su spinta degli stessi USA, hanno negli ultimi tempi ripreso le relazioni con Tel Aviv,
dall’altro hanno ricominciato a giocare una delicata partita sul fronte palestinese: nonostante i tentativi di dissuasione da parte di
Kerry, il Primo Ministro turco ha annunciato nel corso della conferenza stampa con il Presidente americano che si recherà in visita
nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania già nel prossimo mese di giugno. L’obiettivo è quello di lavorare per alleggerire o anche
porre fine all'embargo e al blocco di Gaza imposto dalle autorità israeliane, blocco per cui nel maggio 2010 nove attivisti turchi
persero la vita in occasione dell’incidente della Mavi Marmara.
ANALISI E COMMENTI
EUROPA E MEDITERRANEO: UN PARTENARIATO IMPOSSIBILE?
di Giuseppe Dentice – 7 maggio 2013
Il Mediterraneo o Mare Nostrum è stato per secoli un crogiolo di differenti razze, religioni, etnie, lingue
e popoli, tutti uniti dall’unicità di uno spazio geografico definito, che bagna 25 Paesi e costituisce una
risorsa eccezionale e uno spazio vitale per tre continenti. Per decenni i rapporti tra i Paesi del Mediterraneo sono stati rivolti quasi unicamente allo sviluppo di forti interconnessioni economiche ed
energetiche tralasciando, invece, la possibilità di creare uno spazio unico comune di sicurezza e di
stabilità politica. Il sopraggiungere della crisi economico-finanziaria prima e della Primavera Araba poi, ha mostrato tutti i limiti di
un’Unione Europea che solo poco tempo prima, con il Trattato di Lisbona (2009), sembrava essersi dotata di più efficaci strumenti
di gestione delle relazioni esterne (tra le novità in ambito PESC l’istituzione della figura di Alto rappresentante dell’Unione per gli
Affari Esteri e la Politica di Sicurezza e la creazione del Servizio Europeo per l’Azione Esterna) anche per ovviare a quei problemi di preparazione già messi in luce in occasione delle crisi nei Balcani negli anni Novanta e, non da ultimo, della guerra in
Iraq nel 2003. A fronte di una rinnovata impossibilità di procedere con un’unica voce sugli avvenimenti che si sono susseguiti nei
Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, Bruxelles ha provato a rafforzare i propri legami con i Paesi della regione in questione
quanto meno dal punto di vista economico e sul piano della cooperazione bilaterale: [continua a leggere sul sito]
L’IMPORTANZA DELLA COOPERAZIONE ITALIANA IN CONGO: INTERVISTA ALL’AMBASCIATORE S.E. ALBERT TSHISELEKA FELHA
di Martina Vacca – 9 maggio 2013
Un Paese ricchissimo di materie prime, famoso per i numerosi giacimenti di diamanti e, probabilmente
soprattutto per questo, ancora senza pace. Una natura rigogliosa, fatta di grandi spazi ed immense
distese di verde, in cui flora e fauna potrebbero convivere armoniose come nel giardino dell’Eden. Una
popolazione di donne, uomini e bambini numerosa, fiera e tenace che lotta ogni giorno contro le gravi
e irrisolte ingiustizie sociali, le malattie, la malnutrizione e le guerre, le lotte intestine e fratricide. Una cultura caratterizzata da 700 lingue e dialetti locali diversi e 300 tribù. Questo e molto altro
ancora è la Repubblica Democratica del Congo, nota anche come Congo-Kinshasa o come ex Congo-Belga, Congo Leopoldville
o Zaire. Una nazione immensa di 2.344.840 Kmq, che, dopo l’incarico a Ministro all’Integrazione, nel neo governo Letta, della italo
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congolese Cécile Kashetu Kyenge, è divenuta ancora più vicina. La Repubblica Democratica del Congo, pur non rientrando tra i
Paesi prioritari nelle linee guida programmatiche per il triennio 2011/2013 della Cooperazione Italiana allo Sviluppo del
Ministero degli Affari Esteri, é comunque beneficiaria dal 1982 di interventi che riguardano soprattutto i settori della sanità,
dell’agricoltura, dei trasporti, dell’approvvigionamento idrico. Ma l’Italia, anche attraverso questo Organismo, ha conquistato il
primo posto tra i Paesi donatori per la fornitura di aiuti umanitari. E’ peraltro legittimo ritenere che la cooperazione sia uno dei tanti
motivi di speranza per il Congo e per il suo futuro sociale ed economico. Ed è soprattutto di cooperazione che abbiamo parlato
con l’Ambasciatore della Repubblica Democratica del Congo in Italia, dal 2006, S.E. Albert Tshiseleka Felha. [continua a leggere sul sito]
L’EUROPA E L’IMMIGRAZIONE: NORME, POLITICHE E PROSPETTIVE FUTURE
di Salvatore Denaro – 10 maggio 2013
Per svolgere un’analisi sulle azioni svolte in ambito comunitario sul tema dell’immigrazione, occorre
partire da alcune valutazioni sul piano storico, strettamente collegate a necessità demografiche, cambiamenti delle origini geografiche dei flussi e delle caratteristiche socio-economiche dei migranti. Seguendo questo schema, è possibile fare una suddivisione in tre grandi fasi delle migrazioni in Europa nell’ultimo secolo. La prima fase riguarda il periodo immediatamente successivo alla seconda
guerra mondiale. Erano gli anni in cui l’immigrazione veniva intesa come un’opportunità di rilancio
demografico, necessaria per la ricostruzione e per la crescita dopo le devastazioni della guerra. Questo periodo fu altresì caratterizzato dalle migrazioni dai Paesi decolonizzati e da quelli devastati dalle sanguinose guerre di indipendenza come Uganda,
Tanzania e Kenya, ma anche dall’India e dal Pakistan. Le ondate migratorie, pertanto, sfuggivano dal controllo delle autorità politiche e venivano affrontate attraverso politiche del tipo laissez-faire. La seconda fase si apre con l’inizio degli anni ‘70, ovvero
quando la crisi economica e sociale ha evidenziato l’impossibilità di far fronte ad ondate migratorie su larga scala. Ecco che
le grandi migrazioni avvenute nella fase precedente subirono un brusco stop e le forti implicazioni sociali causate dagli altissimi
livelli di disoccupazione portarono a misure drastiche nel contenimento del fenomeno migratorio. La recessione economica conseguente alla crisi petrolifera produsse una forte contrazione della domanda di manodopera determinando l’adozione di misure
restrittive, soprattutto da parte dei Paesi dell’Europa centro-settentrionale. Infatti, l’emigrazione si spostò verso i Paesi europei
meridionali come Italia, Spagna e Grecia dove si diressero flussi provenienti soprattutto da Nord Africa e Mediterraneo Orientale.
[continua a leggere sul sito]
POLITICHE DI DIFESA ED ESTERA IN ITALIA, DUE DESTINI INCROCIATI
di Matteo Guillot – 14 maggio 2013
Nei mesi precedenti e nel corso della campagna elettorale per le elezioni Politiche 2013 tra i diversi temi economici che hanno
tenuto banco le spese militari sono state investite da una assai accesa polemica sviluppatasi
intorno al programma JSF (Joint Strike Fighter, altrimenti noto come F-35). Purtroppo, come sovente
accade, tanto il panorama politico quanto quello dei mass media hanno finito per assumere da ambo i
lati posizioni faziose al limite del tifo calcistico, mancando così l’occasione di aprire sull’argomento un
dibattito serio e di tracciare al tempo stesso un quadro di riferimento chiaro. Piuttosto che arroccarsi su
una posizione e cercare strenuamente di difenderla, sarebbe forse più utile contestualizzare oggettivamente in termini di cifre,
programmi ed obiettivi l’intero piano di sviluppo ed investimenti del comparto Difesa. Inquadrando l’argomento nell’ambito del
bilancio dello Stato, la Nota aggiuntiva allo stato di previsione della Difesa indica per il 2013 una spesa per la funzione
Difesa di 14,6 miliardi di Euro, in crescita del 7,58% rispetto all’anno precedente. In rapporto al PIL stimato per l’anno in corso,
equivale a circa lo 0,93% dello stesso. Alla funzione Difesa sopra riportata fanno riferimento la totalità delle risorse necessarie per
l’assolvimento dei compiti dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica, a cui si sommano quelli derivanti da attività interforze e
legati al funzionamento della struttura tecnico industriale ed amministrativa del Ministero della Difesa. [continua a leggere sul
sito]
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“PAKISTAN ZINDABAR!”: WILL THE OLD AND THE NEW SHAPE THE FUTURE OF THE COUNTRY?
di Redazione di BloGlobal – 16 aprile 2013
Few days after the May 11th election, which constitute a landmark achievement in the history of the
Pakistani Democracy, the uncertainty seems taken over the pre-electoral enthusiasm. Even if still
unofficially, Newaz Sharif appears to have acquired the majority to form the new government.
While many are asking for recounting the votes and denounce irregularities – especially in Karachi,
Pakistan’s most populous city -, the western countries (particularly US) are wondering about how Sharif will shape the future of
the country. The election saw an unprecedented participation: 60% of Pakistani casted their vote on Saturday, in the first democratic transition from an elected government to another. Although the campaign was marked by violence – with more than 100
deaths and 5 kidnappings only in the last 2 months – the security measures undertaken by the government have minimized the
attacks – with only one major episode in the Sindhi city of Karachi and one in Quetta (Baluchistan). The Tehrik-i-Taliban Pakistan
(Students’ Movement of Pakistan – TTP) was not capable to spread terror and to force the population to stay home. Women in
row were pictured outside female-only ballot stations, although in many rural areas they were banned from voting. [continua a
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LE VIGNETTE DI BLOGLOBAL
di Luigi Porceddu
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