L Legnazzi LA TUTELA DEI MARCHI 2^ parte
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L Legnazzi LA TUTELA DEI MARCHI 2^ parte
3.1. La tutela penale dei marchi e dei segni distintivi L’individuazione delle imprese, che, operando sul mercato in regime di concorrenza, hanno la necessità di essere identificate dai consumatori, è garantita dall’utilizzo di segni distintivi in senso lato, i quali, a seconda dei casi, possono riguardare la stessa impresa od uno dei suoi prodotti. Nonostante l’evidente importanza dei segni distintivi, non esiste una loro tutela organica sul piano penalistico; si pensi, ad esempio, alla denominazione della ditta ed all’insegna, che non godono di una protezione diretta in ambito penale. [2] Diverse considerazioni valgono, invece, per i marchi, oggetto di numerose disposizioni di carattere penale, alcune contenute nel Codice Penale ed altre nelle Leggi speciali. Il legislatore ha utilizzato il modello tipico dei reati di falso, ravvisabile nelle ipotesi di falsità materiale, falsità ideologica ed uso dell’atto falso. Senza pretesa di esaustività, pertanto, si procede alla disamina delle singole fattispecie di reato, che il legislatore ha posto a tutela dei molteplici beni giuridici lesi da tali condotte criminali. 3.1.1. Contraffazione ed alterazione di segni distintivi o marchi L’art. 473, c. 1, del C.P. contempla le ipotesi di contraffazione, alterazione od uso di marchi o segni distintivi; in seno all’art. 473, pertanto, oltre alla tutela dei marchi il legislatore ha voluto garantire adeguata protezione anche ai “segni distintivi”, che consentono l’identificazione della provenienza, pur non avendo le caratteristiche di un marchio. L’incriminazione in esame, quindi, può riguardare anche i modelli ornamentali, quando siano indicativi della provenienza del prodotto dall’impresa, che li ha brevettati. [3] La Suprema Corte ha avuto modo di precisare che, ai fini della tutela penale, occorre che il marchio di fabbrica, nazionale od estero, sia riconosciuto dall’ordinamento italiano. [4] Passando alla sintetica disamina delle condotte punite, è stato chiarito che per “contraffazione” si intende la fabbricazione di prodotti da parte di chi non vi sia legalmente autorizzato, che risulti idonea ad ingannare i consumatori; l’”alterazione”, invece, si realizza attraverso la modificazione parziale di un segno genuino, ottenuta mediante l’eliminazione od aggiunta di elementi costitutivi marginali. [5] Peraltro è stato precisato che la mera contraffazione delle effigi di marchi risulta di per sé rilevante, a prescindere dal loro posizionamento sul prodotto industriale, che sono destinate a contrassegnare. Anche dal confronto con il successivo art. 474 del C.P. risulta, infatti, l’autonoma rilevanza penale riconosciuta dall’ordinamento all’attività di contraffazione del marchio in sé, indipendentemente dalla sua applicazione al prodotto. [6] La giurisprudenza ha precisato che il reato de quo sussiste anche quando un prodotto industriale viene presentato in una confezione diversa da quella originariamente indicata dal marchio depositato, ancorché non ne siano alterate l’originalità e le qualità intrinseche, conseguenti alla utilizzazione del medesimo metodo di fabbricazione. La confezione, infatti, rappresenta nella sua specificità il mezzo idoneo ad identificare il prodotto, per cui la sua tutela da alterazioni, contraffazioni od imitazioni serve ad assicurare protezione alla priv ativa nell’ambito della fede pubblica nel commercio. [7] 1 3.1.2. L’introduzione nel territorio dello Stato ed il commercio di prodotti con segni falsi L’art. 474 del C.P. attribuisce rilevanza penale alle ipotesi di importazione dei prodotti recanti marchi o segni distintivi contraffati od alterati ed alla loro commercializzazione; la citata norma penale, infatti, punisce, in primis, l’ipotesi di “introduzione” di prodotti con segni contraffatti od alterati, che si ravvisa laddove si facciano giungere gli st essi nel territorio dello Stato (comprensivo delle acque e dello spazio aereo territoriale) provenienti dallo Stato estero dove è avvenuta la contraffazione od alterazione. Affine a tale figura criminosa è il reato previsto dall’art. 514 del C.P. (Frodi contro le industrie nazionali); la norma, collocata fra i delitti contro l’economia pubblica, è rivolta ad affiancare il reato di cui all’art. 474 del C.P. per l’ipotesi che dal fatto sia derivato un danno all’economia nazionale. Il delitto in esame, in quanto reato contro la fede pubblica, si perfeziona anche attraverso il compimento di un atto isolato di vendita o di messa in vendita di un prodotto contraddistinto da marchi o da segni distintivi mendaci. Pertanto non si richiede una pluralità di condotte, né la titolarità in capo al soggetto passivo di una sia pur rudimentale organizzazione commerciale. La fattispecie prevista dall’art. 474 del C.P. configura un reato di pericolo, per la cui integrazione non è necessaria l’avvenuta realizzazione dell’inganno alla fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno od i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione. Ne consegue che non può parlarsi, con riguardo alla fattispecie in questione, di reato impossibile per il solo fatto che l’asserita grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti vengano tratti in inganno. [8] Per quanto riguarda l’elemento soggettiv o, il reato de quo è punibile a titolo di dolo generico, poiché il fine del soggetto attivo è indifferente per la nozione del delitto. Ai fini dell’integrazione dell’elemento psicologico sono richieste nell’agente soltanto la coscienza e la volontà a detenere le cose contraffatte destinate alla vendita e, quindi, la consapevolezza della contraffazione del marchio altrui. In passato è stato escluso che possano ravvisarsi gli estremi per la configurazione di tale fattispecie in ipotesi di utilizzo non autorizzato di marchi o segni distintivi autentici riconducibili a casi di sovrapproduzione o superamento dei limiti quantitativi di concessione nell’uso del marchio; pertanto tali ipotesi hanno unicamente rilevanza in ambito civile. Non è chiaro se, in presenza di una mera imitazione figurativa di prodotti industriali senza alcun marchio od altro segno distintivo della merce, che risulti abusivamente riprodotto o falsificato, si configuri il delitto de quo. Se, in talune occasioni, la Suprema Corte si è espressa in senso negativo, [9] talvolta ha comunque ribadito che non può dirsi estranea alla fattispecie de qua la condotta consistente nella produzione e messa in commercio di prodotti seriali riproducenti, ancorchè in modo imperfetto e senza indicazione della sua denominazione, un personaggio di fantasia protetto da registrazione. [10] Ai fini della distinzione fra le fattispecie di cui agli artt. 473 e 474 del C.P., occorre specificare che l’uso di marchi o segni distintivi punito dalla prima norma, essendo inteso a determinare un collegamento fra il marchio contraffatto ed un certo prodotto, precede l’immissione in circolazione dell’oggetto falsamente 2 contrassegnato e, comunque, se ne distingue. L’uso punito dall’art. 474 del C.P., invece, è direttamente connesso con l’immissione in circolazione del prodotto falsamente contrassegnato, in quanto presuppone già realizzato il collegamento fra contrassegno e prodotto, o, più specificamente, già apposto il contrassegno su un determinato oggetto. Nel primo reato la condotta ha per oggetto materiale il contrassegno, nel secondo il prodotto contrassegnato. [11] Infine, l’ipotesi criminosa di cui all’art. 474 del C.P. è potenzialmente idonea a concorrere con la ricettazione ex art. 648 del C.P., in ragione della diversa obiettività giuridica delle due distinte figure di reato. La giurisprudenza, infatti, ha più volte ribadito che, a carico di coloro i quali, consapevoli della provenienza delittuosa della merce, acquistano o ricevono un quantitativo di prodotti con marchio contraffatto e li detengono per porli in vendita, sono configurabili entrambe le ipotesi penali, non essendo applicabile ad esse il principio di specialità. [12] 3.1.3. Il commercio di prodotti con segni mendaci L’art. 517 del C.P. punisce le ipotesi delittuose di commercio dei prodotti con segni mendaci. A tal proposito la Suprema Corte ha specificato che l’art. 473 del C.P. si propone di tutelare la fede pubblica contro gli specifici attacchi insiti nella contraffazione od alterazione del marchio o di alt ri segni distintivi, mentre l’art. 517 del C.P. tende ad assicurare l’onestà degli scambi commerciali contro il pericolo di frodi nella circolazione dei prodotti. La prima norma incriminatrice esige, dunque, la contraffazione o l’alterazione. Ai fini della configurazione del delitto di cui all’art. 517 del C.P., invece, si prescinde dalla falsità, essendo sufficiente la mera, artificiosa equivocità dei contrassegni, marchi ed indicazioni illegittimamente usati, tali da ingenerare la possibilità di confusione con prodotti similari da parte dei consumatori comuni. [13] Parimenti, confrontando il reato de quo con la fattispecie descritta dall’art. 474 del C.P., emerge che quest’ultimo punisce la riproduzione integrale, emblematica e letterale, del segno distint ivo o del marchio, ovvero la riproduzione parziale di essi, realizzata in modo tale da potersi confondere col marchio o col segno distintivo protetto. Ai fini del delitto di cui all’art. 517 del C.P., invece, è sufficiente che i nomi, marchi o segni distintivi, portati dai prodotti posti in vendita, risultino semplicemente ingannevoli per avere anche pochi tratti di somiglianza con quelli originali, della cui morfologia siano, comunque, solo imitativi e non compiutamente riproduttivi. 3.1.4. Le sanzioni a carico degli acquirenti di prodotti recanti marchi contraffatti Le recenti misure a tutela del “made in Italy”, contenute nell’art. 1, c. 7, del D.L. 14/3/2005, n°. 35, convertito, con modificazioni, dalla L. 14/5/2005, n°. 80, così come modificato dapprima dall’art. 2, c. 4-bis, del D.L. 30/9/2005, n°. 203, e per ultimo dall’art. 5-bis, del D.L. 30/12/2005, n°. 272, hanno previsto sanzioni severe a carico di acquista prodotti recanti marchi contraffatti. Con tale intervento legislativo si è presa coscienza del fatto che coloro i quali acquistano i prodotti contraffatti, sono talvolta “vittime consenzienti”, perché, con le loro scelte, ne incentivano la produzione ed il commercio. [14] Nelle nuove disposizioni a tutela della competitività del sistema industriale italiano il legislatore ha previsto norme sanzionatorie specifiche punendo “con la sanzione amministrativa pecuniaria da 500 euro fino a 10.000 euro l'acquisto o l'accettazione, senza averne prima accertata la legittima provenienza, a qualsiasi 3 titolo di cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà intellettuale. La sanzione di cui al presente comma si applica anche a coloro che si adoperano per fare acquistare o ricevere a qualsiasi titolo alcuna delle cose suindicate, senza averne prima accertata la legittima provenienza. In ogni caso si procede alla confisca amministrativa delle cose di cui al presente comma. Restano ferme le norme di cui al D.Lgs. 9/4/2003, n°. 70. Qualora l'acquisto sia effettuato da un operatore commerciale o importatore o da qualunque altro soggetto diverso dall'acquirente finale, la sanzione amministrativa pecuniaria è stabilita da un minimo di 20.000 euro fino ad un milione di euro. Le sanzioni sono applicate ai sensi della L. 24/11/1981, n°. 689. Fermo restando quanto previsto in ordine ai poteri di accertamento degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria dall'articolo 13 della citata L. n°. 689 del 1981, all'accertamento delle violazioni provvedono, d'ufficio o su denunzia, gli organi di polizia amministrativa”. Essendo, in tali ipotesi, disposta la confisca amministrativa, ai sensi, appunto del medesimo art. 1, c. 7, si applicherà l’art. 13 della L. 24/11/1981, n°. 689, laddove è prevista la possibilità di procedere al sequestro cautelare delle cose, che possono formare oggetto di confisca, nei modi e con i limiti con cui il Codice di Procedura Penale consente il sequestro alla Polizia Giudiziaria. Le disposizioni de quibus non si applicano laddove la condotta del soggetto attivo configuri una fattispecie penalmente rilevante; si pensi, a titolo di esempio, a quanto previsto dall’art. 712 del C.P., che, nel sanzionare l’incauto acquisto, punisce con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda non inferiore ad € 10,00 chiunque, senza averne prima accertata la legittima provenienza, acquista o riceve a qualsiasi titolo cose, che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, si abbia motivo di sospettare che provengano da reato. [1] Per un approfondimento in materia cfr.: G. Fiandaca – E. Musco, Diritto Penale, Parte Speciale, Volume 1, Zanichelli, 2001, pagg. 545 e seguenti. [2] Si rammenta che la L. 24/12/1975, n°. 706, a sua volta abrogata dall’art. 42 della L. 24/11/1981, n°. 689, aveva già, di fatto, depenalizzato l’indebita utilizzazione dell’altrui ditta o dell’altrui insegna, che in passato costituiva reato in forza del combinato disposto dagli artt. 14 e 67 del R.D. 21/6/1942, n°. 929, a sua volta abrogato dall’art. 246 del D.Lgs. 10/2/2005, n°. 30. [3] La Cassazione, con Sentenza della Sez. V, n°. 8758 dell’8/7/1999 (cc. del 22/6/1999), Rossi (rv 214652), ha specificato che il reato di falso punito dall’art. 473 del C.P. è applicabile anche alla contraffazione dei cosiddetti modelli ornamentali, disciplinati dall’art. 2593 del C.C. – recentemente sostituito dall’art. 21 del D.Lgs. 2/2/2001, n°. 95 – che son o indicativi della provenienza del prodotto dall’impresa, che l’ha brevettato. In tal caso la contraffazione consiste nel dare al prodotto quella forma e quei colori particolari, che possono indurre il pubblico ad identificarlo come proveniente da una cert a impresa, anche contro le eventuali indicazioni dei marchi con i quali venga contrassegnato. Ed invero, quando il modello contraffatto sia legittimamente contrassegnato anche da un marchio di 4 provenienza, per la consumazione del reato è necessario che sia integralmente riprodotta per imitazione una forte capacità identificativa del modello, pur riconoscendosi autonoma rilevanza penale alla contraffazione del modello a norma dell’art. 473, c. 2, del C.P.. [4] In questa direzione cfr. Cass., Sez. V, Sent. n°. 7467 del 6/7/1995 (cc. dell’8/5/1995), Rubino (rv 202265). [5] Per un approfondimento in materia cfr.: G. Fiandaca – E. Musco, ibidem, pagg. 545 e seguenti. [6] La Suprema Corte ha specificato che l’uso commerciale di marchi contraffatti, riprodotti su adesivi e pezzi di stoffa (“paches”), che non siano stati applicati al prodotto da contrassegnare, integra il reato di cui all’art. 473 del C.P.. In applicazione di questo principio la Corte ha ritenuto correttamente integrata la fattispecie di cui all’art. 473 del C.P. nell’uso di marchi contraffatti, riprodotti in diverse migliaia di distintivi di squadre professionistiche di calcio, di Serie A e B, nonché di squadre professionistiche di pallacanestro americane e di marche automobilistiche o motociclistiche, destinati ad essere applicati su determinati prodotti. Per un approfondimento, Cass., Sez. V, Sent. n°. 36292 del 14/9/2004 (ud. del 25/6/2004 – cv 230635). [7] Rif. Sez. V, Sent. n°. 2128 del 17/3/1986 (cc. del 14/1/1986), Citelli (rv 172152). [8] In tal senso vedasi Cass., Sent. n°. 13031 del 14/12/2000 (ud. dell’11/10/2000), Ndong (rv 217506). In senso parzialmente difforme vedasi Cass., Sez. V, Sent. n°. 2119 del 23/2/2000 (ud. del 17/6/1999), Marvulli (rv 215473); in questa sede è stato precisato che un marchio contraffatto può trarre in inganno un compratore, così da integrare, in caso di vendita della merce, il reato ex art. 474 del C.P., solo se la provenienza prestigiosa del prodotto costituisce l’unico elemento qualificatore o comunque quello prevalente per determinare nell’acquirente di media esperienza la volontà di acquistare il prodotto medesimo. Qualora, viceversa, altri elementi del prodotto, quali l’evidente scarsità qualitativa dello stesso od il suo prezzo eccessivamente basso rispetto al prezzo comune di mercato, siano rivelatori agli occhi di un acquirente di media esperienza del fatto che il prodotto non può provenire dalla ditta di cui reca il marchio, la contraffazione di quest’ultimo cessa di rappresentare un fattore sviante della libera determinazione del compratore. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto che la grossolanità della contraffazione era evidente per la diversità del colore dei marchi, i loro contorni, la loro collocazione sul prodotto, le cuciture, la grafica stessa, il materiale usato – cartone, anziché pelle). Sull’asserita rilevanza della grossolana falsificazione cfr. altresì, Cass., Sez. V. Sent. n°. 3336 del 16/3/2000 (ud. del 26/1/2000), Dame (rv 215583) in cui è stato ribadito che il reato è configurabile qualora la falsificazione, anche imperfetta e parziale, sia idonea a trarre in inganno i terzi, ingenerando errore circa l’origine e la provenienza del prodotto e, quindi, la confusione fra contrassegno e prodotto originali e quelli non autentici. La contraffazi one grossolana non punibile è soltanto quella, che risulta riconoscibile ictu oculi, senza necessità di particolari indagini e che si ravvisa in un’imitazione così ostentata e macroscopica per il grado di incompiutezza da non poter ingannare nessuno. [9] Vds. Cass., Sez. III, Sent. n°. 26754 del 2/7/2001 (cc. del 26/4/2001), Andolfo (rv 219215). In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto che non configura il reato di cui all’art. 474 del C.P. l’introduzione nel territorio dello Stato, al fine della vendita, di pupazzi riproducenti i personaggi della serie Pokemon, Sansone, 5 Scubidu e Winnie The Pooh privi di qualsiasi marchio riferibile ai licenziatari autorizzati alla produzione e distribuzione. [10] Tale opposto orientamento è emerso nella sentenza della Sez. V, n°. 27032 del 16/6/2004 (ud. del 25/5/2004 – rv 229121). [11] Cfr. Cass., Sez. VI, Sent. n°. 4305 del 24/4/1996 (cc. del 2/4/1996), Vollero (rv 204837). [12] In tal senso Cass., Sez. II, Sent. n°. 7505 del 30/6/1988 (cc. del 30/3/1988), Ribolla (rv 178739). La Cassazione – nella Sentenza n°. 2307 del 15/2/1989 (cc. del 17/11/1988), Nesti (rv 180501) – ha avuto modo di specificare, altresì, che solo se l’acquisto o la ricezione siano avvenuti in buona fede e la conoscenza della contraffazione dei segni distintivi dei prodotti sia avvenuta in un momento successivo all’acquisto od alla ricezione, escluso uno degli elem enti costitutivi del reato di ricettazione, sarà configurabile unicamente l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 474 del C.P., se, ciò nonostante, si farà commercio di tali prodotti. [13] Cass., Sez. V, Sent. n°. 7720 del 7/8/1996 (cc. del 26/6/1996), Pagano (rv 205552). [14] La tematica era già stata affrontata da A. Laudati, Sostituto Procuratore della Direzione Nazionale Antimafia, in un memorabile contributo su “Panorama” dell’1/4/2004. 6