contraffazione dei marchi: panoramica sul sistema

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contraffazione dei marchi: panoramica sul sistema
CONTRAFFAZIONE DEI MARCHI:
PANORAMICA SUL SISTEMA SANZIONATORIO
Sommario: 1. Contraffazione: analisi del fenomeno – 2. Contraffazione e “pirateria” intellettuale – 3. La
contraffazione come reato – 3.1. La tutela penale dei marchi e dei segni distintivi – 3.1.1.
Contraffazione e alterazione di segni distintivi e marchi – 3.1.2. L’introduzione nel territorio dello Stato
ed il commercio di prodotti con marchio contraffatto – 3.1.3. Il commercio di prodotti con segni
mendaci – 3.1.4. Le sanzioni a carico degli acquirenti di prodotti recanti marchi contraffatti.
1. CONTRAFFAZIONE: ANALISI DEL FENOMENO
Il concetto di contraffazione ha subito una profonda evoluzione nel corso degli ultimi vent’anni,
estendendosi dal suo senso originario, rilevabile dagli artt. 473 e 474 del c.p., ad un senso molto più
ampio, che ricomprende ogni uso non autorizzato degli elementi distintivi di un prodotto, compresi il
marchio e la sua forma esteriore, applicati in modo sistematico e su ampia scala, sia sotto il profilo
quantitativo che geografico.
Le condotte criminali di contraffazione hanno assunto le dimensioni di vere e proprie attività
imprenditoriali, in grado di abbracciare i più disparati settori merceologici, dai prodotti di lusso,
all’abbigliamento, alla pelletteria, agli accessori, ai profumi ed ultimamente anche ai prodotti alimentari,
cosmetici e farmaceutici.
Si tratta di un fenomeno criminale di portata estremamente rilevante e tale da incidere in modo
significativo non solo sull’immagine internazionale dell’Italia (in testa alle classifiche mondiali – in
competizione con le ex tigri asiatiche - nella produzione di merci contraffatte), ma anche sulla sua realtà
economica.
Con il termine “contraffazione” si ha riguardo alla violazione dei diritti di privativa vantati
dall’imprenditore sui segni distintivi dei propri prodotti; tale fenomeno si distingue, ad esempio, dalla
“pirateria” intellettuale, che si configura nelle ipotesi di illecita riproduzione di opere tutelate dal diritto
d’autore.
In questo settore, la criminalità organizzata ha sviluppato competenze trasversali, che le
permettono di curare direttamente tutte le fasi del ciclo produttivo, dalla creazione dei falsi fino alla
distribuzione dei prodotti contraffatti sul mercato. L’ultimo anello della catena distributiva è
rappresentato da una fitta rete di operatori commerciali abusivi, per lo più di origine extracomunitaria
che rappresentano la principale forza di penetrazione nel mercato dei prodotti contraffatti.
Gli effetti deleteri del fenomeno sono molteplici e incidono su differenti interessi pubblici o
privati; la contraffazione provoca, infatti:
- un rilevante danno per l’Erario nazionale, derivante da ingenti evasioni delle imposte, essendo
i prodotti illeciti immessi un circuito parallelo a quello convenzionale;
- un pregiudizio al mercato, per effetto della concorrenza sleale derivante dai minori costi
sostenuti dalle organizzazioni criminali per la produzione di beni apparentemente simili a quelli
originali; peraltro, gli illeciti profitti vengono successivamente reimmessi sul mercato per essere ripuliti,
con ulteriori effetti distorsivi per la concorrenza.
- un doppio effetto negativo per le imprese: il danno emergente derivante dalla perdita di
immagine e le rilevanti spese sostenute per la tutela dei diritti d’autore, nonché il lucro cessante
procurato dalle mancate vendite e dalla conseguente riduzione del fatturato.
Fino a vent’anni fa, il fenomeno della contraffazione riguardava soprattutto generi di lusso che
garantivano ai produttori e ai venditori di falsi la realizzazione di ingenti profitti, commercializzando
quantitativi esigui di merci a prezzi elevati; la riproduzione di tali beni richiedeva notevoli abilità
tecniche e artigianali, che consentivano di trasformare materiali scadenti in manufatti simili a prodotti di
pregio, capaci di ingannare anche acquirenti non sprovveduti.
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Le caratteristiche di tali produzioni contraffatte risiedevano soprattutto nell’accuratezza delle
realizzazioni, nel numero ridotto di esemplari prodotti e nei prezzi di vendita dei singoli beni
relativamente elevati, tanto da garantire un margine di profitto adeguato e senza insospettire
l’acquirente, convinto di acquistare merce autentica ad un prezzo di mercato inferiore a quello praticato
ufficialmente.
Già a partire dall’inizio degli anni ottanta, però, le aree di produzione e commercio dei “falsi
manufatti” hanno subito profonde evoluzioni: il mercato della contraffazione si è orientato sulla
realizzazione e sulla vendita in massa di beni di largo consumo.
Tra i fattori che, combinandosi tra loro, hanno consentito lo sviluppo dell’ “industria del falso”,
si ravvisano:
- la disponibilità sul mercato di strumenti capaci di rendere agevole la duplicazione di prodotti
già esistenti e affermati.
- la semplificazione di molti processi produttivi utilizzati anche dalle imprese di medie e grandi
dimensioni operanti nei settori “emersi” dell’economia, al fine di ridurre costi, personale e tempi di
produzione;
- l’aumento della manodopera disponibile a fornire – in Italia e negli altri Paesi produttori di
merci contraffatte - prestazioni lavorative in modo clandestino, occasionale ad un prezzo irrisorio.
Già a partire dagli anni Ottanta, dunque, è apparsa sul mercato un’enorme quantità di prodotti
contraffatti, realizzati per essere inseriti nei canali commerciali dei beni di consumo quotidiano; accanto
a questi, si sono diffusi altri prodotti, appartenenti alle più svariate classi merceologiche, simili a quelli
commercializzati dalle imprese più note, ma con aspetto e caratteristiche tali da ingenerare confusione
nei consumatori: i “prodotti recanti segni mendaci”.
Attualmente, viene rilevata la presenza di prodotti contraffatti in quasi tutti i settori di mercato,
con la percentuale più elevata per il settore dei prodotti calzaturieri ed in pelle: la notorietà raggiunta da
alcune case di moda - italiane ed estere - nel panorama mondiale e l’enorme mercato che si è sviluppato
attorno ai loro prodotti, attraggono l’interesse dei contraffattori, stimolati dalla possibilità di realizzare
elevati profitti.
Come accennato, per quanto concerne il panorama internazionale, è possibile individuare alcune
aree geografiche dove l’attività dei contraffattori è particolarmente rilevante. Tra queste, la principale è
rappresentata dal Far East, ossia la Cina, la Corea del Sud, Taiwan, Singapore, l’Indonesia e Hong
Kong; tuttavia, non possono essere sottovalutate le organizzazioni criminali con base in centro e Sud
America, spesso favorite da normative inadeguate a tutelare i diritti di privativa industriale.
L’“industria del falso”, inoltre, ha mutuato dalle esperienze dell’imprenditoria lecita le più
moderne tecniche di segmentazione del processo produttivo e delocalizzazione delle varie fasi in aree
geografiche spesso lontane fra loro, massimizzando i vantaggi di una normativa internazionale non
armonizzata e sfruttando specifici know–how, uniti a minori costi produttivi (essenzialmente di
manodopera) garantiti da determinati Paesi )ad esempio, i giocattoli contraffatti provengono per lo più
dalla Cina, la componentistica elettronica dal Sud – Est asiatico, da cui proviene, del resto, anche
l’import lecito dei medesimi prodotti); per gli stessi motivi, in Italia, le aree maggiormente interessate
alla produzione di merci contraffatte sono concentrate in Campania, Lombardia, Lazio, Emilia
Romagna e Puglia.
Riguardo alla fase della distribuzione dei prodotti contraffatti, si può affermare che esistono due
canali attraverso i quali a vviene la loro commercializzazione:
- in primis, vengono coinvolti operatori commerciali che, attratti dal basso costo della merce in
questione, si prestano a venderla nel proprio esercizio parallelamente ai prodotti originali. Tale forma di
distribuzione accentua la pericolosità della contraffazione e la sua portata distorsiva a danno della
concorrenza: i consumatori sono attratti da prezzi leggermente inferiori a quelli di mercato ed
acquistano i prodotti contraffatti, inconsapevoli della falsità dei medesimi; le imprese leali perdono
quote di mercato, non essendo competitive rispetto alle concorrenti, capaci di vendere gli “stessi”
prodotti a prezzi più bassi;
- un altro canale risulta, invece, collegato all’impiego di cittadini extracomunitari, presenti su
tutto il territorio nazionale. La capillare rete di vendita, costituita da cittadini irregolari, per lo più entrati
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clandestinamente in Italia grazie anche all’aiuto di organizzazioni criminali, rende difficile
l’individuazione dei centri di produzione e di distribuzione; essi costituiscono il nerbo di una capillare
ed invidiabile rete di vendita, radicata su quasi tutto il territorio nazionale, con suddivisione rigorosa, a
volte, per zone e generi di merci. Sprovvisti di documenti, fornendo generalità false e cambiando spesso
dimora, detti cittadini extracomunitari diventano per le Autorità italiane dei veri e propri “fantasmi”,
difficili da perseguire adeguatamente.
2. CONTRAFFAZIONE E “PIRATERIA” INTELLETTUALE
La “pirateria” intellettuale è un crimine in costante evoluzione, sia per quanto attiene le
tecnologie impiegate e i supporti veicolanti le opere tutelate dal diritto d’autore, sia per i modus operandi
adottati dalle organizzazioni criminali, che sono alla costante ricerca di nuove e più sicure forme di
distribuzione e commercializzazione.
Oltre al settore delle opere cinematografiche e musicali, la “pirateria” sta sempre più
interessando il mercato dei software e dei “video – games” nonché quello delle trasmissioni televisive ad
accesso condizionato, in relazione al quale si è diffuso - con una recente tendenza verso il basso, dovuta
alla nuova tecnologia adottata dalle società di gestione del prodotto televisivo - il fenomeno illecito
dell’abusiva riproduzione dei codici di decodifica dei segnali criptati. La commercializzazione di
videogiochi illecitamente duplicati, oltre ad utilizzare i tradizionali canali di distribuzione del materiale
“pirata” (mercati, venditori abusivi, laboratori di duplicazione illecita), avviene sempre con maggiore
frequenza a mezzo della rete internet.
I fattori che hanno favorito l’espansione dell’industria della “pirateria” intellettuale sono i
medesimi già esaminati a proposito della contraffazione, ai quali si aggiunge proprio la diffusione delle
reti telematiche; la nascita e la capillare diffusione di internet hanno definitivamente aperto nuovi canali
di distribuzione per i prodotti “pirata”, sia per uso personale che con fini di lucro. La rete delle reti ha
consentito anche una diversa metodologia operativa delle organizzazioni criminali, dedite alla
riproduzione illecita di opere coperte dal diritto di autore; in particolare, le grosse centrali di
riproduzione, più agevolmente individuabili sul territorio, vengono sostituite da una serie di piccoli
laboratori “domestici”, spesso assai lontani tra loro, collegati in rete e comunicanti a mezzo di segnali
criptati; ciò rende inevitabilmente più laboriose le attività investigative nel settore.
3. LA CONTRAFFAZIONE COME REATO
La contraffazione intesa come reato provoca una serie di conseguenze a cascata che incidono
negativamente sui singoli cittadini, anche nelle ipotesi in cui questi, attratti dalla convenienza del prezzo,
acquistano prodotti recanti marchi noti ma falsificati.
Pertanto, la dottrina ha definito al contraffazione come reato “plurioffensivo”, in quanto il
delitto de quo lede i beni giuridici di una pluralità di soggetti passivi. In primis, risultano violati i diritti
delle imprese detentrici dei beni immateriali - marchi, brevetti, diritti d'autore, modelli - oggetto di
contraffazione. Tale fenomeno comporta un doppio effetto: al lucro cessante derivante dalla mancata
vendita dei prodotti si somma il danno emergente conseguente dalla perdita di valore del marchio,
dovuto al riversamento di ingenti quantità di prodotti sul mercato, a prezzi irrisori.
Le ipotesi delittuose sono contenute nel Titolo VIII del Libro II del c.p., che raggruppa i “delitti
contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio”; in tale ambito, sono collocate molte delle
incriminazioni a tutela del mercato; gli interessi economici particolari, pertanto, vengono considerati
nella loro connessione con l’interesse collettivo, cui va riconosciuto il primato.
L’oggettività giuridica di alcuni reati, dei quali si accennerà tra breve, è tale da consentirne la
collocazione nell’ambito sia della repressione penale della concorrenza sleale, sia della tutela dei
consumatori; esiste, quindi, una contiguità e addirittura, in alcuni casi, una coincidenza di oggettività
giuridica tra i reati in materia di concorrenza sleale e di tutela dei consumatori.
La norma fondamentale, in tema di contraffazione, è rappresentata dall'ar. 473 c.p., secondo il
quale è punito “chiunque contraffà o altera i marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, delle opere
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dell'ingegno o dei prodotti industriali, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione,
fa uso di tali marchi o segni distintivi contraffatti o alterati”.
Il legislatore ha voluto attribuire rilevanza penale a due tipologie di condotta: la vera e propria
contraffazione di marchi o altri segni distintivi ed il loro utilizzo, fuori dai casi di concorso. A tal
proposito, sembra opportuno specificare che la “contraffazione” consiste nella fabbricazione di
prodotti da parte di chi non vi sia legalmente autorizzato, che risulti idonea ad ingannare i consumatori;
l’“alterazione”, invece, si realizza attraverso la modificazione parziale di un segno genuino, ottenuta
mediante l'eliminazione o aggiunta di elementi costitutivi marginali.1
3.1. LA TUTELA PENALE DEI MARCHI E DEI SEGNI DISTINTIVI
L’individuazione delle imprese che, operando sul mercato in regime di concorrenza, hanno la
necessità di essere identificate dai consumatori, è garantita dall’utilizzo di segni distintivi in senso lato i
quali, a seconda dei casi, possono riguardare la medesima impresa o uno dei suoi prodotti.
Nonostante l’evidente importanza dei segni distintivi, non esiste una loro tutela organica sul
piano penalistico; si pensi, ad esempio alla denominazione della ditta ed all’insegna, che non godono di
una protezione diretta in ambito penale.2
Diverse considerazioni valgono, invece, per i marchi, oggetto di numerose disposizioni di
carattere penale, alcune contenute nel codice e altre nelle leggi speciali.
Il legislatore ha utilizzato il modello tipico dei reati di falso, ravvisabile nelle ipotesi di falsità
materiale, falsità ideologica e uso dell’atto falso. Senza pretesa di esaustività, pertanto, si procede alla
disamina delle singole fattispecie di reato che il legislatore ha posto a tutela dei molteplici beni giuridici
lesi da tali condotte criminali.
3.1.1. C ONTRAFFAZIONE E ALTERAZIONE DI SEGNI DISTINTIVI E MARCHI
L’art. 473, comma 1 c.p. contempla le ipotesi di contraffazione, l’alterazione o uso di marchi e
disegni distintivi; in seno all’art. 473, pertanto, oltre alla tutela dei marchi, il legislatore ha voluto
garantire adeguata protezione anche ai “segni distintivi”, che consentono l’identificazione della
provenienza, pur non avendo le caratteristiche di un marchio. L’incriminazione in esame, quindi, può
riguardare anche i modelli ornamentali, quando siano indicativi della provenienza del prodotto
dall’impresa che li ha brevettati.3
La Suprema Corte ha avuto modo di precisare che, ai fini della tutela penale, occorre che il
marchio di fabbrica, nazionale od estero sia riconosciuto dall'ordinamento italiano.4
Passando alla sintetica disamina delle condotte punite, è stato chirarito che per “contraffazione”
si intende la fabbricazione di prodotti da parte di chi non vi sia legalmente autorizzato, che risulti
idonea ad ingannare i consumatori; l’“alterazione”, invece, si realizza attraverso la modificazione
parziale di un segno genuino, ottenuta mediante l'eliminazione o aggiunta di elementi costitutivi
marginali.5
Per un approfondimento in materia, cfr.: G. Fiandaca – E. Musco, Diritto penale, parte speciale, Volume 1, Zanichelli, 2001,
pp. 545 e ss..
2 Si rammenta che la L. n. 706 del 1975 ha, di fatto, depenalizzato l’indebita utilizzazione dell’altrui ditta o dell’altrui insegna,
che in passato costituiva reato in forza del combinato disposto dagli artt. 14 e 67 del R.D. n. 929 del 1942.
3 La Cassazione, con sentenza della Sez. V, n. 8758 dell’ 8 luglio 1999 (cc. del 22 giugno 1999), Rossi (rv 214652), ha
specificato che il reato di falso punito dall'articolo 473 c.p. è applicabile anche alla contraffazione dei cosiddetti modelli
ornamentali, disciplinati dall'art. 2593 c.c. – recentemente sostituito dall'art. 21 del D.lgs. 2 febbraio 2001, n. 95 - che sono
indicativi della provenienza del prodotto dall'impresa che l'ha brevettato. In tal caso, la contraffazione consiste nel dare al
prodotto quella forma e quei colori particolari che possono indurre il pubblico ad identificarlo come proveniente da una
certa impresa, anche contro le eventuali indicazioni dei marchi con i quali venga contrassegnato. Ed invero, quando il
modello contraffatto sia legittimamente contrassegnato anche da un marchio di provenienza, per la consumazione del reato
è necessario che sia integralmente riprodotta per imitazione una forte capacità identificativa del modello, pur riconoscendosi
autonoma rilevanza p enale alla contraffazione del modello a norma dell'art. 473, comma 2, c.p..
4 In questa direzione, cfr. Cass. Sez. V, sent. n. 7467 del 6 luglio 1995 (cc. dell’ 8 maggio 1995), Rubino (rv 202266).
5 Per un approfondimento in materia, cfr.: G. Fiandaca – E. Musco, ibidem, pp. 545 e ss..
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4
Peraltro, è stato precisato che la mera contraffazione delle effigi di marchi risulta di per se
rilevante, a prescindere dal loro posizionamento sul prodotto industriale che sono destinate a
contrassegnare. Anche dal confronto con il successivo art. 474 c.p. risulta, infatti, l'autonoma rilevanza
penale riconosciuta dall'ordinamento all'attività di contraffazione del marchio in sé, indipendentemente
dalla sua applicazione al prodotto. 6
La giurisprudenza ha precisato che il reato de quo sussiste anche quando un prodotto industriale
viene presentato in una confezione diversa da quella originariamente indicata dal marchio depositato,
ancorché non ne siano alterate l'originalità e le qualità intrinseche, conseguenti alla utilizzazione dello
stesso metodo di fabbricazione. La confezione, infatti, rappresenta nella sua specificità, il mezzo idoneo
ad identificare il prodotto, per cui la sua tutela da alterazioni, contraffazioni o imitazioni serve ad
assicurare protezione alla privativa nell'ambito della pubblica fede nel commercio.7
3.1.2. L’INTRODUZIONE
NEL TERRITORIO DELLO
STATO
ED IL COMMERCIO DI PRODOTTI CON MARCHIO
CONTRAFFATTO
L’art. 474 c.p. attribuisce rilevanza penale alle ipotesi di importazione dei prodotti recanti
marchi o segni distintivi contraffatti o alterati ed alla loro commercializzazione; la citata norma penale,
infatti, punisce, in primis, l’ipotesi di “introduzione” di prodotti con segni contraffatti o alterati, che si
ravvisa laddove si facciano giungere i medesimi nel territorio dello Stato (comprensivo delle acque e
dello spazio aereo territoriale), provenienti dallo Stato estero dove è avvenuta la contraffazione od
alterazione. Affine a tale figura criminosa è il reato previsto dall’art. 514 c.p. (frodi contro le industrie
nazionali); la norma, collocata tra i delitti contro l’economia pubblica, è rivolta ad affiancare il reato di
cui all’art. 473 c.p., per l’ipotesi che dal fatto sia derivato un danno all’economia nazionale.
Il delitto in esame, in quanto reato contro la pubblica fede, si perfeziona anche attraverso il
compimento di un atto isolato di vendita o di messa in vendita di un prodotto contraddistinto da
marchi o da segni distintivi mendaci. Pertanto, non si richiede una pluralità di condotte, né la titolarità
in capo al soggetto passivo di una sia pur rudimentale organizzazione commerciale.
La fattispecie prevista dall'art. 474 c.p. configura un reato di pericolo, per la cui integrazione non
è necessaria l'avvenuta realizzazione dell'inganno alla pubblica fede, intesa come affidamento dei
cittadini nei marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell'ingegno o i prodotti industriali e ne
garantiscono la circolazione. Ne consegue che non può parlarsi, con riguardo alla fattispecie in
questione, di reato impossibile per il solo fatto che l'asserita grossolanità della contraffazione e le
condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti vengano tratti in inganno.8
La Suprema Corte ha specificato che l'uso commerciale di marchi contraffatti, riprodotti su adesivi e pezzi di stoffa
("paches"), che non siano stati applicati al prodotto da contrassegnare, integra il reato di cui all'art. 473 c.p. . In applicazione di
questo principio, la Corte ha ritenuto correttamente integrata la fattispecie di cui all'art. 473 c.p. nell'uso di marchi
contraffatti riprodotti in diverse migliaia di distintivi di squadre professionistiche di calcio, di Serie A e B, nonché di squadre
professionistiche di pallacanestro americane e di marche automobilistiche o motociclistiche, destinati ad essere applicati su
determinati prodotti. Per un approfondimento, Cass. Sez. V, sent. n. 36292 del 14 settembre 2004 (ud. del 25 giugno 2004)
(rv 230635).
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Rif. Sez. V, sent. n. 2128 del 17 marzo 1986 (cc. del 14 gennaio 1986), Citelli (rv 172152).
In tal senso, v. Cass., sent. n. 13031 del 14 dicembre 2000 (ud. Dell’ 11 ottobre 2000), Ndong (rv 217506). In senso
parzialmente difforme, v. Cass. Sez. V, sent. n. 2119 del 23 febbraio 2000 (ud. del 17 giugno 1999), Marvulli (rv 215473); in
questa sede è stato precisato che un marchio contraffatto può trarre in inganno un compratore, così da integrare, in caso di
vendita della merce, il reato ex art. 474 c.p., solo se la provenienza prestigiosa del prodotto costituisce l'unico elemento
qualificatore o comunque quello prevalente per determinare nell'acquirente di media esperienza la volontà di acquistare il
prodotto stesso. Qu alora, viceversa, altri elementi del prodotto, quali l'evidente scarsità qualitativa del medesimo o il suo
prezzo eccessivamente basso rispetto al prezzo comune di mercato, siano rivelatori agli occhi di un acquirente di media
esperienza del fatto che il prodotto non può provenire dalla ditta di cui reca il marchio, la contraffazione di quest'ultimo
cessa di rappresentare un fattore sviante della libera determinazione del compratore. (Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto
che la grossolanità della contraffazione era evidente per la diversità del colore dei marchi, i loro contorni, la loro
collocazione sul prodotto, le cuciture, la grafica stessa, il materiale usato - cartone anziché pelle). Sull’asserita rilevanza della
grossolana falsificazione, cfr. altresì, Cass. sez. V, sent. n. 3336 del 16 marzo 2000 (ud. del 26 gennaio 2000), Dame (rv
215583), in cui è stato ribadito che il reato è configurabile, qualora la falsificazione, anche imperfetta e parziale, sia idonea a
trarre in inganno i terzi, ingenerando errore circa l'origine e la provenienza del prodotto e, quindi, la confusione tra
contrassegno e prodotto originali, e quelli non autentici. La contraffazione grossolana non punibile è soltanto quella che
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Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, il reato de quo è punito a titolo di dolo generico,
poiché il fine del soggetto attivo è indifferente per la nozione del delitto. Ai fini dell'integrazione
dell'elemento psicologico è richiesta nell'agente soltanto la coscienza e volontà a detenere le cose
contraffatte destinate alla vendita e, quindi, la consapevolezza della contraffazione del marchio altrui.
In passato, è stato escluso che possano ravvisarsi gli estremi per la configurazione di tale
fattispecie in ipotesi di utilizzo non autorizzato di marchi o segni distintivi autentici riconducibili a casi
di sovrapproduzione o superamento dei limiti quantitativi di concessione nell'uso del marchio; pertanto,
tali ipotesi hanno unicamente rilevanza in ambito civile.
Non è chiaro se, in presenza di una mera imitazione figurativa di prodotti industriali, senza
alcun marchio o altro segno distintivo della merce che risulti abusivamente riprodotto ovvero
falsificato, si configuri il delitto de quo. Se, in talune occasioni, la Suprema Corte si è espressa in senso
negativo,9 talvolta ha comunque ribadito che non può dirsi estranea alla fattispecie de qua la condotta
consistente nella produzione e messa in commercio di prodotti seriali riproducenti, ancorché in modo
imperfetto e senza indicazione della sua denominazione, un personaggio di fantasia protetto da
registrazione.10
Ai fini della distinzione tra le fattispecie di cui agli artt. 473 e 474 c.p. , occorre specificare che
l'uso di marchi e segni distintivi punito dalla prima norma, essendo inteso a determinare un
collegamento tra il marchio contraffatto e un certo prodotto, precede l'immissione in circolazione
dell'oggetto falsamente contrassegnato e, comunque, se ne distingue. L'uso punito dall'art. 474 c.p.,
invece, è direttamente connesso con l'immissione in circolazione del prodotto falsamente
contrassegnato, in quanto presuppone già realizzato il collegamento tra contrassegno e prodotto o, più
specificamente, già apposto il contrassegno su un determinato oggetto. Nel primo reato, la condotta ha
per oggetto materiale il contrassegno, nel secondo il prodotto contrassegnato.11
Infine, l’ipotesi criminosa di cui all’art. 474 c.p. è potenzialmente idonea a concorrere con la
ricettazione ex art. 648 c.p., in ragione della diversa obiettività giuridica delle due distinte figure di reato.
La giurisprudenza, infatti, ha più volte ribadito che, a carico di coloro i quali, consapevoli della
provenienza delittuosa della merce, acquistano o ricevono un quantitativo di prodotti con marchio
contraffatto e li detengono per porli in vendita, sono configurabili entrambe le ipotesi penali, non
essendo applicabile ad esse il principio di specialità.12
3.1.3. IL COMMERCIO DI PRODOTTI CON SEGNI MENDACI
L’art. 517 c.p. punisce le ipotesi delittuose di commercio dei prodotti con segni mendaci. A tal
proposito, la Suprema Corte ha specificato che l'art. 473 c.p. si propone di tutelare la fede pubblica
contro gli specifici attacchi insiti nella contraffazione o alterazione del marchio o di altri segni distintivi,
mentre l'art. 517 c.p. tende ad assicurare l'onestà degli scambi commerciali contro il pericolo di frodi
nella circolazione dei prodotti. La prima norma incriminatrice esige, dunque, la contraffazione o
l’alterazione. Ai fini della configurazione di tale delitto, invece, si prescinde dalla falsità, essendo
risulta riconoscibile "ictu oculi", senza necessità di particolari indagini, e che, si ravvisa in un'imitazione così ostentata e
macroscopica per il grado di incompiutezza, da non poter ingannare nessuno.
9 V., Cass., Sez. III, sent. n. 26754 del 2 luglio 2001 (cc. del 26 aprile 2001), Andolfo (rv 219215). In applicazione di tale
principio, la Corte ha ritenuto che non configura il reato di cui all'art. 474 c.p. l'introduzione nel territorio dello Stato al fine
della vendita di pupazzi riproducenti i personaggi della serie Pokemon, Sansone, Scubidu e Winnie The Pooh, privi di
qualsiasi marchio riferibile ai licenziatari autorizzati alla produzione e distribuzione.
10 Tale opposto orientamento è emerso nella sentenza della sez. V, n. 27032 del 16 giugno 2004 (ud. del 25 maggio 2004)
(rv 229121).
11 Cfr. Cass. Sez. VI, sent. n. 4305 del 24 aprile 1996 (cc. del 2 aprile 1996), Vollero (rv 204837).
12 In tal senso, Cass. sez. II, sent. n. 7505 del 30 giugno 1988 (cc. del 30 marzo 1988), Ribolla (rv 178739). La Cassazione –
nella sentenza n. 2307 del 15 febbraio 1989 (cc. del 17 novembre 1988), Nesti (rv 180501) - ha avuto modo di specificare,
altresì, che solo se l'acquisto o la ricezione siano avvenuti in buona fede e la conoscenza della contraffazione dei segni
distintivi dei prodotti sia avvenuta in un momento successivo all'acquisto o alla ricezione, escluso uno degli elementi
costitutivi del reato di ricettazione, sarà configurabile unicamente l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 474 c.p., se, ciò nonostante,
si farà commercio di tali prodotti.
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sufficiente la mera, artificiosa equivocità dei contrassegni, marchi ed indicazioni illegittimamente usati,
tali da ingenerare la possibilità di confusione con prodotti similari da parte dei consumatori comuni.13
Parimenti, confrontando il reato de quo con la fattispecie descritta dall’art. 474 c.p., emerge che
quest’ultimo punisce la riproduzione integrale, emblematica e letterale del segno distintivo o del
marchio ovvero la riproduzione parziale di essi, realizzata in modo tale da potersi confondere col
marchio o col segno distintivo protetto. Ai fini del delitto di cui all'art. 517 c.p., invece è sufficiente che
i nomi, marchi o segni distintivi, portati dai prodotti posti in vendita, risultino semplicemente
ingannevoli, per avere anche pochi tratti di somiglianza con quelli originali, della cui morfologia siano,
comunque, solo imitativi e non compiutamente riproduttivi.
3.1.4. LE SANZIONI A CARICO DEGLI ACQUIRENTI DI PRODOTTI RECANTI MARCHI CONTRAFFATTI
Le recenti misure a tutela del “made in Italy”, contenute nel D.L. sulla competitività, n. 35 del
2005, convertito in legge dalla L. n. 80 del 2005, hanno previsto sanzioni severe a carico di chi acquista
prodotti recanti marchi contraffatti. Con tale intervento legislativo, si è presa coscienza del fatto che
coloro i quali acquistano i prodotti contraffatti, sono talvolta “vittime consenzienti” perché, con le loro
scelte, ne incentivano la produzione ed il commercio.14
Nelle nuove disposizioni a tutela della competitività del sistema industriale italiano, il legislatore
ha previsto norme sanzionatorie specifiche, punendo “con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a
10.000 euro l'acquisto o l'accettazione, senza averne prima accertata la legittima provenienza, a qualsiasi
titolo di cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo,
inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed
in materia di proprietà intellettuale”. La sanzione è estesa anche a coloro che si adoperano per fare
acquistare o ricevere a qualsiasi titolo alcuna delle cose suindicate, senza averne prima accertata la
legittima provenienza.
Essendo, in tali ipotesi, disposta la confisca amministrativa ai sensi del medesimo art. 1, comma
7, si ritiene parimenti applicabile l’art. 13 della L. 24 novembre 1981 n. 689, laddove è prevista la
possibilità di procedere al sequestro cautelare delle cose che possono formare oggetto di confisca, nei
modi e con i limiti con cui il codice di procedura penale consente il sequestro alla polizia giudiziaria.
Le disposizioni de quibus non si applichino laddove la condotta del soggetto attivo configuri una
fattispecie penalmente rilevante; si pensi, a titolo di esempio, a quanto previsto dall’art. 712 del c.p. che,
nel sanzionare l’incauto acquisto, punisce con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda non inferiore a
lire ventimila, chiunque, senza averne prima accertata la legittima provenienza, acquista o riceve a
qualsiasi titolo cose, che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, si
abbia motivo di sospettare che provengano da reato.
Dott. Fabio Antonacchio
Cass., Sez. V, sent. n. 7720 del 7 agosto 1996 (cc. del 26 giugno 1996), Pagano (rv 205552).
La tematica era stata già affrontata da A. Laudati, Sostituto Procuratore della Direzione nazionale antimafia, in un
contributo fornito su Panorama del 1 Aprile 2004.
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