Lidia Cirillo QUESTIONE DI GENERE E MOVIMENTI

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Lidia Cirillo QUESTIONE DI GENERE E MOVIMENTI
Lidia Cirillo
QUESTIONE DI GENERE E MOVIMENTI FEMMINILI/FEMMINISTI
(sintesi)
Non è facile spiegare che cosa è il GENERE, quale funzione potrebbe avere nel movimento per
"un altro mondo possibile", quali siano le implicazioni politiche del suo riconoscimento e della sua
utilizzazione.
In analisi grammaticale si dice genere femminile e genere maschile e queste formule vengono
spesso riprese da alcuni settori del femminismo. In realtà quando si dice (per esempio) "genere
femminile" ci si colloca inconsapevolmente o consapevolmente all'interno di un complesso dibattito
teorico. In modo particolare si prende una posizione che, nel dibattito teorico, viene chiamata
ESSENZIALISTA, per cui il genere sarebbe l'immediata espressione culturale del sesso, come se
il sesso fosse la struttura della sovrastruttura genere. Esiste un sesso femminile e quindi un
genere femminile: il genere femminile è la forma culturale specifica con cui in una certa epoca si
presenta il sesso femminile.
Ho combattuto molto in ambito accademico contro la posizione essenzialista che crea un
determinismo biologico , uomini e donne sono espressione della loro sessualità, per cui c’è una
struttura sesso sulla quale si colloca una sovrastruttura genere e quindi una visione
sostanzialmente statica delle relazioni di genere.
Un femminismo che si fondi su una visione statica non può essere che un femminismo idealizzante
dell’esistente, quindi un femminismo che cercherà di valorizzare il femminile rispetto al maschile.
L’ipotesi di femminismo che io propongo invece è una critica del femminile e del maschile che non
sono proiezioni immediate del sesso ma hanno dentro elementi culturali, relazioni di potere che
quindi rendono il genere qualcosa di diverso dal sesso.
Posizioni meno semplicistiche preferiscono usare le formule sesso femminile e sesso maschile,
dire "DIFFERENZA SESSUALE " e non "differenza di genere", perché in questo modo si allude al
puro fatto biologico, all'esistenza di due corpi diversi. E poi utilizzare il termine il genere nei suoi
significati complessi e diversificati. Si può dire con certezza che una lesbica è di sesso femminile,
sul fatto che sia anche di genere femminile il dibattito è aperto. "Le lesbiche non sono donne", ha
scritto una delle più geniali teoriche del lesbismo, Monique Wittig.
Le lesbiche sono donne - ribattono altre - perché subiscono la ferita narcisistica della castrazione,
a cui reagiscono con il diniego.
Ma non si tratta solo di una questione di preferenza sessuale. Considerare il genere dinamico e
variabile, storico e locale significa prendere atto che gli uomini e le donne sono per natura animali
di cultura, che si può essere donne in un'infinita varietà di modi.
Che cosa è il genere allora ? Il genere è prima di tutto un PARAMETRO scientifico di lettura delle
relazioni umane.
Come gli esseri umani stanno tra loro in rapporti di classe, così stanno tra loro in rapporti di
genere.
Il genere è un fenomeno ideologico, è cioè il modo in cui una società, un gruppo umano, una
comunità vivono l'appartenenza all'uno e all'altro sesso. Ma è anche un fenomeno materiale, cioè
è il complesso delle implicazioni sociali della differenza sessuale in quella società, in quel gruppo
umano, in quella comunità.
L'assenza del parametro di genere nelle analisi della realtà limita fortemente il carattere scientifico
di qualsiasi lavoro. Le prospettive della sociologia e dell'economia politica, per esempio mutano
radicalmente se nell'osservazione è incluso o non è incluso il genere. Una teoria delle classi non
potrebbe prescindere dal ruolo che tradizionalmente hanno svolto le donne nella formazione
dell'esercito di riserva, nel lavoro precario o nelle occupazioni che socializzano i compiti femminili.
Allo stesso modo non potrebbe prescindere dall'esistenza di compiti di riproduzione, assolti
soprattutto dalle donne e non retribuiti o retribuiti con quel che occorre a riprodursi a sua volta.
Sono state soprattutto le intellettuali organiche del sesso femminile, cioè le femministe, a indagare
sul genere, così come sono stati gli intellettuali organici delle classi subalterne a indagare sulla
classe. E questo perché evidentemente il genere non è solo un astratto parametro scientifico: è
anche un PRINCIPIO D'ORDINE. I rapporti di genere sono rapporti di potere, che si manifestano in
forme diversificate e complesse e per questo è spesso difficile individuarli e sottoporli a critica.
I rapporti di potere tra sesso maschile e femminile costituiscono un sistema che il femminismo
chiama PATRIARCATO. Il patriarcato sta al genere come il capitalismo sta alla classe, è cioè uno
specifico sistema di genere, come il capitalismo è uno specifico sistema di classe.
Il patriarcato nel senso letterale del termine è ovviamente scomparso da tempo, almeno in questa
parte del mondo. Esso si riferisce infatti a un'organizzazione della famiglia in cui l'autorità e le
principali funzioni sono nelle mani dell'uomo più anziano e l'eredità è trasmessa ai soli discendenti
maschi, con preferenza per i primogeniti.
Tuttavia il fatto che il patriarcato sia esistito per migliaia di anni(sia pure in forme assai diverse tra
loro) e sia stato probabilmente preceduto dalla dominanza, che è un fenomeno pre-umano, ha
lasciato tracce profonde, ma visibili solo se si assume il genere come parametro e se ne intende la
natura di rapporto di potere.
Quel che opprime le donne è prima di tutto un complesso di strutture. Una donna può nella sua
vita non subire mai l'oppressione diretta di un uomo, ma subire lo stesso l'oppressione patriarcale,
così come una persona può anche non avere un padrone, ma subire l'emarginazione,
l'espropriazione, il disagio delle strutture capitalistiche. Non trovare casa per i costi troppo alti degli
affitti, non potersi curare per mancanza di posti in ospedale, non avere lavoro ecc. sono effetti di
un rapporto di potere fondato sulla classe, anche se poi non c'è un padrone con il cronometro e lo
scudiscio.
La strutture patriarcali sono ancora oggi alla base di ogni società, sia pure in modi assai
diversificati. Non è mai esistito il MATRIARCATO, sono esistiti la matrilinearità e forme di
patriarcato in cui le donne sono state più libere.
Le strutture patriarcali agiscono in profondità e condizionano profondamente la vita delle donne e
degli uomini. Sono note e discusse all'infinito nel femminismo le teorie della PSICOANALISI sulla
catastrofe psicologica che produrrebbe nella bambina la scoperta di essere priva del PENE, sul
rancore verso la madre e la scarsa stima di sé che ne deriverebbe, sull'invidia per la preziosa
appendice come costante di ogni desiderio femminile di affermazione...
Freud non era matto, aveva solo intercettato attraverso i suoi esperimenti clinici la presenza di una
ferita narcisistica legata alla scoperta della differenza di sesso. Il limite della sua interpretazione
consiste nell'aver attribuito quella ferita alla biologia e di averne ignorato l'aspetto culturale: la ferita
è legata alla scoperta che non essere uomo (cioè non avere il pene) significa valere di meno;
l'invidia del pene è l'invidia del ruolo sociale di chi ha il pene, cioè dell'uomo, dell'individuo di sesso
maschile. Lacan, uno psicoanalista francese, ha distinto poi il pene dal fallo, che è il pene sociale:
quel che le donne invidiano è il FALLO (cioè il potere, l'autonomia, la parola...), poi il pene diviene
il feticcio del fallo.
Queste strutture continuano ad agire con l'atteggiamento dei genitori che investono più sui figli
maschi che sulle figlie femmine e dalla combinazione tra la ferita narcisistica della castrazione e le
ridotte aspettative hanno origine alcune caratteristiche femminili di scarsa fiducia in se stesse,
senso eccessivo del limite, bisogno di sostegni maschili ecc. Si può discutere se le cose oggi
stiano per le donne ancora così, ma se sono almeno in parte cambiate questo vale per un'area
abbastanza limitata del mondo.
Il patriarcato, o addirittura la dominanza, agisce nella VIOLENZA contro le donne, che è presente
dappertutto e costituisce la trama sottostante la civilizzazione. La violenza familiare nelle sue
forme peggiori e in quelle più innocue; la violenza sessuale con cui gli uomini spesso puniscono la
libertà delle donne; i furti, gli scippi, le aggressioni di cui sono autori, nel 90% dei casi, uomini e
vittime, nella grande maggioranza dei casi, donne sono l'espressione di un rapporto di cui le leggi
riescono solo molto parzialmente a modificare le dinamiche.
Struttura patriarcale è la logica per cui alla violenza contro le donne si reagisce con il paradosso
della reclusione delle vittime, invece che con l'educazione e il controllo degli aggressori potenziali.
Sono strutture patriarcali quelle che determinano la DIVISIONE DEL LAVORO tra donne e uomini:
dappertutto le donne lavorano molto più degli uomini, perché devono farsi carico sia del lavoro per
lo stipendio o il salario, sia del lavoro domestico e di cura, sia del lavoro di produzione, sia del
lavoro di riproduzione. Questo fenomeno è caratteristico di tutte o quasi le società umane e non
solo di quelle in cui le donne hanno conquistato l'EMANCIPAZIONE. Ne è la prova che tra le
donne che hanno gli orari di lavoro , compreso il lavoro di cura e riproduzione, più lunghi sono al
primo posto le keniote e al secondo le italiane, con orari di lavoro che hanno punte massime anche
di ottanta ore la settimana.
Per l'azione delle strutture patriarcali le donne sono piccola minoranza nelle assemblee elettive
(almeno che non vengano messe in atto specifiche misure antidiscriminatorie), detengono una
porzione infinitesimale della proprietà, hanno ruoli ancora secondari nella cultura, malgrado i veri e
propri balzi in avanti fatti nel corso del XX secolo.
Le ragioni per cui le donne sono ancora SECONDO SESSO anche nelle civiltà occidentali sono
complesse e preferisco in proposito rispondere a domande, se mi verranno fatte. Anticipo però
un'importante osservazione: il doppio lavoro femminile non basta da solo a spiegare le difficoltà
delle donne soprattutto in alcuni settori della sfera pubblica. Non spiega per esempio perché le
donne sono nel PRC il 17% poco più o poco meno. Basta guardare il movimento, il volontariato e
altre espressioni dell'impegno sociale per rendersi conto di quanto le donne siano oggi attive al di
là della sfera privata e nel mondo in genere.
Il discorso sulle strutture patriarcali potrebbe continuare ancora a lungo non solo per quel che
riguarda la loro ampiezza e profondità nella stessa civiltà occidentale, ma anche sulla grande
varietà dei modi. Sono espressione di strutture patriarcali sia il burqa, sia l'inflazione di corpi
femminili nudi; sia la lapidazione delle adultere, sia la prostituzione coatta. Naturalmente non si
può fare di ogni erba un fascio ed è evidente che siamo di fronte a forme di patriarcato assai
diverse, per cui non avrebbe senso tracciare un segno di equivalenza.
Strutture patriarcali attraversano (per esempio) anche le organizzazioni e i partiti della sinistra,
anche il movimento, anche i luoghi politici che frequentiamo e in cui siamo attive.
Certe assemblee del PUNTO ROSSO (per esempio) con venti uomini alla presidenza e il novanta
per cento di interventi maschili ne sono stati l'espressione visibile e indiscutibile. Oggi le cose sono
un po' cambiate, perché dopo anni di sberleffi e proteste gli organizzatori hanno cominciato a
sospettare che forse esiste un problema. Dubito però che abbiano capito quale.
Il movimento politico che ha lottato e lotta contro le strutture patriarcali si chiama FEMMINISMO.
Per quanto ovviamente si possano trovare degli antecedenti in tutta la storia della specie umana, il
fenomeno politico vero e proprio nasce quando nasce la politica nel senso moderno del termine,
cioè con la rivoluzione del 1789.
Come altri movimenti di liberazione della storia contemporanea, il femminismo è un movimento
reale, legato all'attivizzazione politica di ampi settori di donne; è un complesso di discorsi, di miti,
di teorie che ne trascrivono e bisogni e le aspettative; è un insieme di strutture organizzative con
logiche proprie diverse da quelle di altri soggetti di liberazione.
Il femminismo si articola in FEMMINISMI, perché le donne sono diverse tra loro per collocazione di
classe, per appartenenza a civiltà e culture diverse, per preferenze sessuali, per scelte politiche,
così come sotto la categoria movimento operaio raccogliamo molte realtà diverse possiamo usare
femminismo come categoria unificante.
Malgrado l'esigenza di mantenere sempre fermo l'uso del plurale, il movimento in quanto tale ha
mostrato alcune costanti non sempre facili da individuare e interpretare:
A. Il femminismo nasce e rinasce sempre a sinistra, anche se il termine sinistra deve essere inteso
in questo caso in senso molto lato. Nasce cioè nel seno di tendenze democratiche, progressiste o
rivoluzionarie. Il femminismo di destra, che pure esiste, è invariabilmente il prodotto di un fallingout, di una ricaduta di femminismi nati altrove sul complesso della società: accade spesso che quel
che appariva trasgressivo e scandaloso ieri, appaia ovvio e normale oggi e la società nel suo
complesso vi si adegui. Il femminismo di destra vede anche singole donne in conflitto con il senso
comune del proprio ambiente, perché in qualche modo influenzate dai discorsi e dalle pratiche
femministe, ma anche in questo caso si tratta di un fenomeno di ricaduta.
Il femminismo è nato e rinato al fianco della rivoluzione francese, delle rivoluzioni nazionali
europee della prima metà del XIX secolo, del movimento abolizionista della schiavitù nell'America
del nord, del movimento operaio, del Sessantotto. All'interno di questi fenomeni si è creato lo
spazio materiale e culturale di una politicizzazione delle donne e poi di una presa di coscienza di
genere. Il femminismo nasce a sinistra perché il carattere distintivo rispetto alla destra è la messa
in discussione dell’ordine gerarchico.
B. Il femminismo usa in genere la forma di lotta della pressione conflittuale. Si colloca cioè
all'interno o al fianco o nei pressi del fenomeno su cui intende esercitare un'influenza, ne critica la
misoginia, ne mette in luce le contraddizioni ecc. , ma ne utilizza anche il linguaggio e le categorie
di pensiero. Così per esempio il femminismo al fianco della rivoluzione del 1789 parla di égalité,
formula la dichiarazione dei diritti delle donne, crea club femminili, teorizza la libertà dell' individuodonna. Il femminismo che si sviluppa nel movimento per l'abolizione della schiavitù, parla del
rapporto uomo-donna come di schiavismo, rimprovera agli uomini la contraddizione tra la lotta di
cui sono protagonisti e la permanenza della schiavitù delle loro mogli e figlie, ecc.
Il femminismo nato alla metà degli anni Sessanta negli Stati Uniti ha subito l'ascendente
intellettuale e politico delle rivoluzioni dei popoli oppressi e delle lotte degli afroamericani e ne
porta tracce evidenti nel linguaggio: liberazione, autodeterminazione, differenza sono categorie
legate a un immaginario politico nazionalista. Luce Irigaray, una delle teoriche del differenzialismo,
per indicare la separazione dalla madre operata dalla legge del padre usa i termini esilio estradizione – espatrio.
C. Il femminismo si è fatto interprete di un insieme di rivendicazioni, diverse secondo il tempo, i
luoghi, il settore di donne a cui di volta in volta ha fatto riferimento.
Ha rivendicato per le donne la maggiore età e la fine delle tutele maschili, la possibilità di ereditare
e possedere beni, di amministrare, di fissare il proprio domicilio, di accedere all'istruzione e a tutti i
lavori, di avere parità di salario e di diritti, di poter votare ed essere elette, di poter disporre del
proprio corpo ecc. Le lotte degli anni Settanta in Italia hanno avuto come effetto la legge che
depenalizza l'ABORTO nei primi tre mesi di gravidanza, la diffusione della contraccezione (sia
pure con alcuni limiti), un nuovo diritto di famiglia, la fine di fenomeni aberranti come il cosiddetto
DELITTO D'ONORE e soprattutto una maggiore libertà sessuale.
La permanenza di CAPITALISMO e PATRIARCATO ha poi dato a queste stesse conquiste spesso
un senso diverso da quello della libertà autentica, ma ha comunque prodotto cambiamenti positivi
nel costume e nell'identità femminile.
D. Il femminismo è dalle sue origini e ancora oggi un fenomeno politicamente debole, cioè
frammentario, intermittente, marginale. Ci sono stati lunghi periodi della storia in cui si è inabissato,
diventando assolutamente invisibile. Questo è accaduto (per esempio) tra gli anni Venti e la metà
degli anni Sessanta: nel periodo di latenza è stato considerato una corrente superata dalla storia e
legata all'esigenza di battere pregiudizi ed esclusioni ormai superati.
Anche nei suoi momenti migliori si presenta come una realtà scarsamente organizzata, fatta di
piccoli o piccolissimi gruppi poco comunicanti, di comunità chiuse, di circoli culturali o di attività di
solidarietà importanti, ma che raramente riescono ad avere accesso alla politica autentica.
Nel complesso dei fenomeni a cui abbiamo dato il nome di GLOBALIZZAZIONE, il genere è stato
un elemento determinante dei meccanismi di inclusione e di esclusione. Negli ultimi decenni del
XX secolo si è determinata un'immissione senza precedenti di donne nel lavoro socializzato, ma la
domanda femminile di autonomia economica è stata utilizzata per rendere più flessibile e precario
anche il lavoro degli uomini, per escludere dalle garanzie e dalla sicurezza.
La femminilizzazione del lavoro e delle migrazioni mostra abbastanza chiaramente la funzione del
genere nella ridefinizione degli ordini gerarchici. Nel SUD del mondo, nelle assunzioni sono state
preferite le donne, come in tutte le economie che si affacciano al mercato mondiale e in cui
prevalgono le lavorazioni ad alto tasso di manodopera. Al NORD sono state preferite le donne
perché i nuovi lavori sono in maggioranza precari e a tempo parziale e perché in questa parte del
mondo le economie tendono a diventare economie di servizi.
La più forte presenza di donne nel mercato del lavoro, come già era accaduto con il capitalismo di
Manchester, da una parte rende più frammentaria e difficile la loro esistenza, dall'altra incrina o
spezza vecchie strutture patriarcali e millenarie oppressioni, agisce sulle identità maschile e
femminile, indebolisce la relazione di potere tra uomini e donne.
La vicenda del XX secolo mostra però che gli esiti della complessa vicenda delle RELAZIONI DI
POTERE non sono né unilaterali né obbligati.
Il capitalismo agisce infatti in due direzioni opposte. Esso tende a distruggere le vecchie relazioni
di potere e a ridurre tutti i rapporti umani a rapporti tra detentori di capitale (nelle varie forme in cui
il possesso di ricchezze può manifestarsi in una società) e forza lavoro libera di vendersi o di
crepare.
Nello stesso tempo tuttavia ha anche bisogno di una strategia sociale di DIVISIONE e
GERARCHIZZAZIONE della forza lavoro, che si sono appunto realizzate attraverso il genere e
l'appartenenza razziale o nazionale. Negli Stati Uniti (per esempio) non sono mai esistiti partiti
operai di massa come in Europa, perché il proletariato è stato profondamente diviso secondo una
gerarchia razziale e di ondate migratorie. In Europa ai gradini più bassi del lavoro dipendente si
colloca la FORZA LAVORO MIGRANTE, con tendenziali forme di gerarchizzazione interna
secondo criteri simili a quelli che hanno agito e agiscono negli Stati Uniti.
Anche il genere resta un elemento di gerarchizzazione, visto che le donne occupano i livelli
inferiori del lavoro dipendente, hanno salari più bassi attraverso una serie di meccanismi che
aggirano le leggi sulla parità salariale, rappresentano la parte più precaria e flessibile del lavoro
salariato.
Il risvolto più pericoloso della globalizzazione è tuttavia un altro. La crisi del movimento operaio e
delle speranze laiche di liberazione produce dappertutto un'ascesa degli INTEGRALISMI e delle
destre, che mette a rischio grave le conquiste e le libertà delle donne. Questo avviene sia nei paesi
che considerano l'Occidente un nemico e reagiscono al NEO-COLONIALISMO IMPERIALE con il
recupero di tradizioni fortemente patriarcali e di identità culturali regressive, sia nell'Occidente
stesso in cui le forze sociali della conservazione e/o della restaurazione sociale si appoggiano
(nella ricerca di un difficile consenso negli strati popolari) su Chiese e burocrazie ecclesiastiche.
In ITALIA la legge sulla cosiddetta PMA, cioè sulla fecondazione assistita, è un esempio del
rapporto tra un governo di destra e un clero (quello cattolico) che non si è mai rassegnato alla
laicità dello Stato italiano che considera il luogo privilegiato del suo potere temporale.
Agli inizi del XXI secolo le donne e le intellettuali organiche dei loro movimenti politici si trovano
alle prese con i problemi di sempre, sia pure in forme diverse dal passato e in forme diverse
secondo le culture e le aree del mondo in cui lottano.
Ci si trova ad affrontare marginalità ed esclusione in tutte le aree della sfera pubblica in cui siano in
gioco potere e poteri, collocazione sociale nel complesso subalterna, esigenza di difendere ancora
e di nuovo la libertà delle scelte sessuali e procreative, persistenza e spesso anche rigurgiti di
violenza misogina, acuirsi del conflitto per la contraddizione tra un nuovo desiderio di autonomia
delle donne e il rafforzarsi di istituzioni patriarcali a difesa dell'ordine costituito.