La necessità_del_femminismo

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La necessità_del_femminismo
LA NECESSITA’ DEL FEMMINIMSMO
Da sempre noi donne abbiamo vissuto al disotto degli uomini: abbiamo documentazioni di poche donne
dell'antichità, rispetto agli uomini; nei poemi siamo i personaggi di sfondo, quelli che incitano gli
uomini a tornare a casa, perché senza non hanno diritti, come ad esempio Andromaca nell'Iliade; siamo
le uniche a cui viene detto: "Ai ragazzi non piace quando...".
Ci sono milioni di esempi di come la società, non solo maschile ma talvolta anche femminile, ci
considera, noi donne che viviamo per cucinare ai nostri uomini, per soddisfare i loro bisogni sessuali, e
dare alla luce dei bambini maschi, a cui generalmente verranno inculcate in testa le idee del padre, e
delle belle casalinghe in miniatura che seguiranno le orme della madre.
E' per questo che c'è solo da ridere quando un uomo ci dice: "Io sono un femminista"; personalmente
trovo divertente da morire questa baggianata di frase, di solito pronunciata per fare colpo o per essere
mandata su internet. Essendo una ragazza della generazione web, ne ho visti a migliaia di ragazzi del
genere, i quali di solito tengono in mano il famoso cartello: "Ho bisogno del femminismo perché...", e
le ragioni di tutti si possono riassumere con la frase di uno dei cartelli che ho visto, "...perché non sono
uno s*****o", e mi viene da ricollegarmi alla comunità LGBTQ+ che guarda male gli "ally": se non fai
parte del "gruppo" (in questo caso il genere femminile), non ne capisci i problemi abbastanza da poter
parlare per esso. E ancora una volta, se la ragione non è la sopracitata, essa è: "Il femminismo non è
qualcosa di cui ridere quando un ragazzo dice che lo sostiene", che in poche parole significa: "Non
ridete di me, sono un bravo ragazzo, ed essenzialmente sto solo cercando di ingraziarmi tutti voi". Si
tratta solo di “femminismo conveniente”.
E' stato molto spiacevole, l'1 novembre 2014, scoprire che le famose magliette "This is what a feminist
looks like" di Ed & Harriet erano prodotte da donne che venivano pagate 62 pence all'ora, e dormivano
in 16 in una stanza. Tra le figure importanti della Gran Bretagna che hanno indossato questo capo di
vestiario ci sono stati Harriet Harman, Ed Miliband e Nick Clegg, e gli attori Benedict Cumerbatch e
Simon Pegg, ma la lista è più lunga. Le T-Shirt erano vendute a 45£ l'una, circa la paga di due
settimane delle donne in questione, quando esse venivano a costare ai produttori al massimo 15£.
Hanno dichiarato, le operaie, a causa delle loro condizioni di vita (non vedono la famiglia in
Bangladesh da anni, dormono vicino alla fabbrica, vengono pagate molto poco), "Come può una TShirt del genere essere simbolo di femminismo quando noi per prime non ci sentiamo femministe? Noi
vediamo noi stesse intrappolate".
Un fatto del genere è solo uno degli aspetti di ciò che si può definire "femminismo conveniente": la
gente non si preoccupa di sapere dove viene un prodotto che serve a simboleggiare il proprio essere
femministi, finché fa il suo effetto. Infatti, trovo che una persona, per essere femminista (o a favore
dello sviluppo di qualsiasi altra categoria che nella società di oggi sta "in basso") non abbia bisogno di
maglie o accessori che ne testimonino le opinioni.
Il sopracitato "femminismo conveniente" si manifesta in più modi. Uno di questi, importante e molto
spesso dimenticato è il femminismo elitario: io, in quanto donna, sostengo le mie compagne same sex –
same color, senza preoccuparmi di includere in questo mio (decisamente ristretto) gruppo anche le altre
donne.
Laverne Cox, attrice famosa per il ruolo di Sophia Burset nella serie TV "Orange Is The New Black", è
anche conosciuta e apprezzata per ciò che fa per la comunità trans: non solo è la voce di molti ragazzi
(trans boys e trans girls) in quanto è lei stessa parte della comunità, ma include nei suoi discorsi
femministi anche le ragazze il cui sesso assegnato alla nascita fu "maschio".
E ce ne sono molte di donne note il cui femminismo non supporta solo le "cis-ters" bianche, e sono
quindi da prendere come esempio: Beyoncé, che nella canzone "Flawless" ha inserito un estratto del
discorso della scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, includendo la frase: "Feminist: the
person who believes in the social, political and economic equality of the sexes"; o la studentessa
attivista pakistana Malala Yousafzai, premio Nobel per la pace 2014, che disse: "Non mi interessa se
devo sedermi sul pavimento a scuola. Tutto ciò che voglio è istruzione. E non ho paura di nessuno".
Per ricollegarmi a ciò che ho detto di come certe femministe a volte 'non vedono' o 'non vogliono', c'è
da dire che non ce le tiriamo proprio, tutte noi.
Perché:
quando ci proibiscono di mettere i pantaloncini corti quando fa caldo;
quando veniamo stuprate ci viene detto di "passarci sopra" e di "portarci un'arma la prossima volta" (è
successo pochi giorni fa su un canale americano - durante una discussione sugli stupri in America,
quando una delle due controparti ha detto: "Ma noi non ci sentiamo sicure ad andare in giro da sole",
l'altra le ha risposto: "E allora portatevi una pistola");
quando ci viene insegnato che il matrimonio e la nascita dei nostri figlio sono i giorni più belli della
nostra vita;
quando ci dicono di apprezzare i complimenti quando uno sconosciuto per strada ci urla "Belle tette";
quando ci dicono che chiamare gli uomini "maiali" è disumanizzante, ma noi veniamo chiamate
"vacche" o "balene" ogni giorno;
quando ci vestiamo eleganti ci chiedono chi stiamo andando ad incontrare;
quando ci viene insegnato di comportarci da "signorina" sin da quando non sappiamo neanche cosa sia
una 'signorina';
quando ci lamentiamo di qualcosa abbiamo bisogno di un uomo al nostro fianco per essere credibili;
quando ci viene detto che siamo carine quando ci arrabbiamo;
quando ci viene detto "Sorridi";
quando ci arrabbiamo ci viene chiesto: "Hai le tue cose?";
quando nella pubblicità delle cerette le ragazze sono già depilate;
quando diciamo "no" stiamo solo “facendo le difficili";
quando gli uomini ci dicono: "Senza di noi non avreste diritti";
TUTTO QUESTO non dipende da me in quanto donna, ma delle generazioni precedenti alla mia che
per millenni hanno tenuto le donne al disotto degli uomini perché ritenute più deboli, fino ad arrivare
ad una società maschilista nella quale:
mio marito ha perso il diritto di picchiarmi solo da pochi anni (che poi lo faccia ancora è un altro
discorso);
l'Italia, la mia macchina costosa, la mia pistola sono tutte femmine, ma non lo è un donna a cui è stato
riconosciuto tale sesso dopo anni di trattamenti e torture psicologiche;
sarò obbligata a sposare un maschio per avere dei figli;
quando dico: "Vorrei essere un maschio per non avere il ciclo", mi viene risposto: "Anche gli uomini
hanno i loro problemi";
alle donne deve per forza piacere il sesso, ma quando piace loro "troppo" sono delle ninfomani;
ci viene detto di essere felici (???!!!) quando ci stuprano, dato che "un uomo ha rischiato/ha avuto la
galera per fare sesso con noi".
E ce ne sono più di mille di aspetti sbagliati in questa società altrettanto sbagliata che tutela solo gli
uomini, ma non si può elencarli tutti, tantomeno pensare di risolverli se ci sono ancora donne che non
hanno bisogno del femminismo perché "non si sentono oppresse" o perché "non odiano gli uomini". Il
femminismo, convinto, e non conveniente, è necessario a tutte noi.
A riprova del maschilismo generale, si possono prendere in considerazione anche cartoni, fumetti, film
e altri prodotti mediatici indirizzati ad un pubblico di bambini e ragazzi. Ad esempio, recentemente è
terminato il manga "Naruto", e il finale ha generato un gran malcontento: a parte la fine di un fumetto
che andava avanti da 15 anni ed aveva appassionato tutto il mondo, e per la svolta inaspettata (e presa
piuttosto male) che aveva preso ultimamente, i fan (e non solo; io per prima) si sono sentiti offesi
quando uno dei personaggi, Sakura Haruno (dopo essere già stata lasciata in disparte da Kishimoto ed
essere stata poco sviluppata con il procedere della storia, nota soprattutto per aver preso a pugni una
divinità), ha rinunciato ad essere una ninja per diventare una comune casalinga in un villaggio
qualunque. C'è da chiedersi: perché non è mai il Naruto Uzumaki della situazione ad essere lasciato a
casa ad accudire i figli, abbandonando le proprie aspirazioni, mentre sono sempre le donne ad esserlo?
Perché, in primo luogo, Sakura Haruno è stata lasciata "dietro" ai suoi compagni?
E la risposta è semplice: in un mondo in cui il convincimento maschilista è così radicato nella mente di
chiunque, non possiamo aspettarci di avere delle eroine che rubino la scena agli uomini, nemmeno in
un cartone animato.
Lavoro svolto in classe da Beatrice Artico, 2Al,
sul tema della condizione femminile