Apple: sfruttamento e profitti

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Apple: sfruttamento e profitti
Economia e lavoro
GILLeS SABrIe (The NeW York TImeS/CoNTrASTo)
Chengdu, Cina
Sfruttamento
in cambio di proitti
Aditya Chakrabortty, The Guardian, Regno Unito
Gli operai cinesi che fabbricano
l’iPhone fanno turni massacranti
e ricevono salari bassi. ma la
Apple non vuole usare i suoi
soldi per migliorare la
condizione dei lavoratori
olto presto leggeremo i primi necrologi del libero
scambio, della globalizzazione e della società aperta.
Quando si chiederanno perché alcuni paesi
ricchi si sono fatti sedurre da politici come
Donald Trump e Nigel Farage, i giornalisti
dovranno dedicare un ampio capitolo alla
Apple, dal momento che la più ricca azienda del mondo è un manuale vivente di come
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Internazionale 1176 | 21 ottobre 2016
le promesse fatte dopo la caduta del muro
di Berlino siano diventate una barzelletta.
Qualunque siano le meraviglie incluse
nel nuovo iPhone 7, questo telefono allargherà il fossato tra i super ricchi e tutti gli
altri, priverà i paesi di entrate iscali legittime e allo stesso tempo opprimerà lavoratori cinesi e sottrarrà agli statunitensi posti di
lavoro pagati bene. Arrogante verso i suoi
detrattori e i governi, piena di soldi nonostante sia chiaramente a corto di idee, la
Apple è il simbolo elegante di un sistema
economico in preda agli eccessi.
Non era previsto che pensassimo niente
di tutto questo della Apple. A settembre,
presentando il nuovo iPhone, il responsabile del marketing dell’azienda californiana,
Phil Schiller, spiegava perché questo modello non ha una presa per gli auricolari:
“La risposta è tutta in una parola: coraggio.
Il coraggio di andare avanti, di fare qualcosa di nuovo e che ci migliora tutti”. Una simile idiozia da ighetti californiani è stata
applaudita da una folla di settemila persone
e blandamente presa in giro dalla stampa,
ma serve anche a nascondere alcuni degli
aspetti meno accettabili della produzione
dell’iPhone, in particolare le condizioni in
cui questo telefono viene fabbricato.
Se avete un iPhone, sappiate che è stato
assemblato dai lavoratori di una di queste
tre aziende in Cina: la Foxconn, la Wistron
e la Pegatron. La più grande e nota delle tre,
la Foxconn, è salita agli onori delle cronache internazionali nel 2010, quando 18 dipendenti cercarono di uccidersi. In quell’occasione morirono almeno 14 operai.
La risposta dell’azienda fu installare
delle reti per fermare le persone che cercavano di uccidersi gettandosi nel vuoto.
Quell’anno il personale della fabbrica della
Foxconn a Longhua produsse 137mila iPhone al giorno, circa novanta al minuto.
Una di questi aspiranti suicidi, Tian Yu,
una ragazza che all’epoca aveva 17 anni, si
lanciò dal quarto piano del dormitorio di
uno stabilimento e inì paralizzata dalla
vita in giù. In seguito descrisse le sue condizioni di lavoro a dei ricercatori universitari. La sua è una testimonianza notevole:
era sostanzialmente una gallina da batteria umana che lavorava dodici ore al giorno
per sei giorni alla settimana, alternava i
turni diurni a quelli notturni e dormiva in
una stanza-dormitorio con altre sette persone.
Dopo gli scandali del 2010 la Apple ha
promesso di migliorare le condizioni dei
suoi lavoratori in Cina. Da allora ha pubblicato svariati opuscoli patinati in cui illustra
gli impegni presi nei loro confronti. Eppure
non ci sono prove che l’azienda californiana abbia restituito un solo centesimo dei
suoi enormi proitti per garantire un miglior trattamento delle persone che fabbricano i suoi prodotti negli stabilimenti che
lavorano per lei.
Nel corso dell’ultimo anno l’ong statunitense China labor watch ha pubblicato una
serie d’indagini sulla Pegatron, un’altra
azienda che assembla l’iPhone. Un ricercatore dell’ong si è fatto assumere alla catena
di montaggio e così ha potuto parlare con
decine di dipendenti della Pegatron e analizzare centinaia di buste paga. In questo
modo ha scoperto che il personale continua
a lavorare dodici ore al giorno per sei giorni
alla settimana, e almeno un’ora e mezza alla settimana non è pagata. I lavoratori sono
inoltre costretti a fare gli straordinari e ricevono una formazione per la sicurezza decisamente inferiore a quella prevista dalle
leggi locali.
Nella catena di montaggio il ricercatore
doveva installare una scheda madre
dell’iPhone ogni 3,75 secondi e restava in
piedi per l’intero turno di dieci ore e mezza. Questo è il ritmo di lavoro che si è costretti a sostenere nelle aziende appaltatrici della Apple per guadagnare un salario
decente. Nell’ultimo anno le autorità di
Shanghai hanno alzato il salario minimo.
La Pegatron ha risposto tagliando i suoi
contributi per servizi come l’assicurazione
sanitaria, in modo che il costo del lavoro
restasse invariato.
Quando le è stato chiesto di rispondere
a tutte queste accuse, l’azienda ha difuso
un comunicato in cui sostiene di “lavorare
duro per fare sì che ogni struttura della Pegatron fornisca un ambiente di lavoro sano.
Le insinuazioni che sostengono il contrario
sono semplicemente false. Abbiamo preso
misure concrete per fare in modo che i dipendenti non lavorino più di sessanta ore
alla settimana e sei giorni su sette”.
Nel 2015 un’ong per i diritti umani danese, la Danwatch, ha fornito prove schiaccianti di studenti trattati come lavoratori
forzati alla Wistron, un’altra delle principali ditte appaltatrici della Apple. Alcuni ra-
La Apple possiede
riserve di liquidità
maggiori di quelle del
governo statunitense
gazzi iscritti a corsi di contabilità e gestione
aziendale sono stati spediti per mesi in una
catena di montaggio dell’azienda. Si tratta
di una grave violazione della convenzione
dell’Organizzazione internazionale del lavoro. I ricercatori della Danwatch hanno
dimostrato che migliaia di studenti svolgevano le stesse mansioni e con gli stessi duri
orari di lavoro degli adulti, ma a un salario
più basso. I ragazzi hanno rivelato
all’ong che stavano lavorando
contro la loro volontà. “Siamo
tutti depressi”, ha detto una ragazza di 19 anni. “Ma non abbiamo avuto scelta, perché la scuola
ci ha detto che se avessimo riiutato non ci
saremmo diplomati”. Nonostante le richieste di commentare le accuse, la Wistron
non ha risposto.
L’inchiesta non riguardava una fabbrica
di iPhone, ma la Apple ha confermato che la
Wistron e la Pegatron erano due dei suoi
principali assemblatori cinesi. L’azienda
californiana non ha voluto prendere una
posizione uiciale sulla vicenda, ma il suo
addetto stampa mi ha parlato delle ispezioni disposte presso gli impianti dei fornitori.
In realtà, per motivi d’opportunità, questi
controlli sono quasi sempre supericiali.
Basta guardare al rapporto sulla Foxconn che la Apple ha commissionato nel
2012, dopo i tentativi di suicidio. La Foxconn è il principale datore di lavoro privato
cinese, con circa quattrocentomila dipendenti nella sola fabbrica di Longhua. Eppu-
re il rapporto per la Apple, complementare
a un’inchiesta già portata avanti dalla Fair
labor association, ammette di aver osservato solo tre di queste fabbriche, ognuna
per tre giorni. Jenny Chan, una delle principali esperte di abusi sul lavoro in Cina e
coautrice del libro di prossima uscita Dying
for an iPhone (Morire per un iPhone), la deinisce “un’ispezione- paracadute, un modo di fare sì che gli affari vadano avanti
come prima”. Un modo molto redditizio, a
quanto pare. Mentre chi assembla iPhone
per la Pegatron ha visto la sua paga scendere ad appena 1,60 dollari l’ora, la Apple è
rimasta l’azienda statunitense che fa più
proitti, con 47 miliardi di dollari guadagnati nel 2015.
La ilantropia di Cook
Cosa signiica tutto questo? Con 231 miliardi di dollari la Apple ha delle riserve di liquidità maggiori di quelle del governo statunitense, ma non ne spende neanche una
minima parte per migliorare la condizione
di chi efettivamente le permette di guadagnare quei soldi. Inoltre la Apple continuerà a non produrre gli iPhone negli Stati
Uniti, cosa che le permetterebbe di creare
posti di lavoro e continuare comunque a
vendere lo smartphone più redditizio del
mondo. L’azienda invece accumulerà proitti maggiori, che andranno a chi possiede
le sue azioni. Come il capo
dell’azienda, Tim Cook, la cui
scorta di azioni Apple vale 785
milioni di dollari. Gli amici di
Cook parlano della sua ilantropia, ma se è vero che è felice di
spendere denaro per alcuni progetti mirati,
si riiuta di pagare tasse per 13 miliardi di
euro nell’Unione europea, annunciando
allo stesso tempo che non riporterà i miliardi della Apple negli Stati Uniti “inché
non ci saranno condizioni eque”. Quest’oligarca tecnologico pensa di sapere meglio
di trecento milioni di statunitensi quale
tassazione il loro governo regolarmente
eletto dovrebbe applicare.
Quando gli storici si chiederanno perché
è morta la globalizzazione, scopriranno che
buona parte della risposta va cercata in
aziende come la Apple. Costretti a scegliere
tra un modello economico che ha premiato
smisuratamente pochi e un populismo che
ofre promesse smodate a molti, tra Cook
da una parte e Farage dall’altra, gli elettori
hanno scelto quello che almeno non parlava continuamente di “coraggio”. u f
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