sugli sci con fede - ElectronicsAndBooks

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sugli sci con fede - ElectronicsAndBooks
ANNO 17. N. 6 (770), 13 febbraio 2016. Poste Italiane Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004 art. 1, c1, DCB Milano. Non acquistabile separatamente da La Gazzetta dello Sport, € 2 (SportWeek € 0,50 + La Gazzetta dello Sport € 1,50).
sugli sci
con fede
siamo andati con federica brignone a provare
il nuovo tracciato di la thuile, dove lei
è di casa: «che emozione sciare sulla mia neve»
Federica Brignone
fotografata
in pista a la thuile.
PRIMAVERA · ESTATE 2016
Sommario
n. 06
(770)
sabato 13 febbraio 2016
international
asamoah gyan, strapagato in cina
ma famoso per 2 rigori sbagliati
La foto di
copertina è di
Francesco anselmi
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numeri
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Juve-napoli è una storia di gol.
addirittura mai segnati
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Start
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cover StorY
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le frontiere del ciclo
reportage da dubai, dove si corre
tra grattacieli e coccodrilli
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il confronto
naturale vS artificiale
qual è il tipo di neve migliore?
lo abbiamo chiesto a un’ex sciatrice
e a uno snowboarder
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federica brignone
la nostra sciatrice di punta in coppa del mondo
spiega quanto sia difficile mettere insieme i pezzi
del suo mondo. «non vedo mai il fidanzato…»
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zoom
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ritratti
dammi il cinque
in una a di basket zeppa di (improbabili)
stranieri spicca reggio emilia,
una delle favorite in coppa italia
© riproduzione riservata
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sommario
N. 06
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fidanzati d’oro
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la forza di stare iNsieme
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a volte soffrono della stessa disabilità,
lo sport e l’amore li hanno aiutati
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la storia
di mariNo-dedaj
lui disabile a una gamba, lei
ipovedente. fanno coppia
nello sport e nella vita
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intervista
sÉbastieN loeb
ha vinto 9 mondiali rally e 4 tappe all’ultima
dakar, ma non è un fanatico della velocità
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estremo
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james lawreNce
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ha completato 50 ironman in 50 giorni.
«dovevo mantenere i miei figli»
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moda
S p o r t l i f e
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l’aNima
del vero
viaggiatore
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colori caldi
e giacche
morbide
per l’uomo
in movimento
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pub heroes
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DEL 26/06/2009
R I PA R T E N Z E
DI LUIGI GARLA
N DO
Salviamo dall’estinzione
il Centravanti Azzurro
GIAN PIERO GASPERINI
ha segnato l’ultimo gol in
Premier a Ognissanti: il
lontano 1° novembre.
Nel campionato scorso l’eterno
Toni, capocannoniere con Icardi, è stato
una foglia di fico: ha coperto la vergogna
dell’estinzione del ruolo. Oggi siamo nudi.
Nelle squadre di vertice i centravanti sono
stranieri, per trovarne uno italiano nella
classifica cannonieri bisogna scendere a
Pavoletti, Maccarone, Paloschi. Il fatto
stesso che si sia scatenata un’asta per il
genoano Pavoletti, bravissimo, per carità,
ma pur sempre un ragazzo di 27 anni che
tre anni fa era ancora in Lega Pro, certifica
la crisi del ruolo. Pavoletti come Schillaci
a Italia 90? Notti magiche in Francia? Sia-
L’attaccante del Genoa Leonardo
mo costretti ad aggrapparci
alle favole.
Ma vi ricordate Francia ’98? Esordio col Cile: dopo 10 minuti, gol di Bobone Vieri. Seconda partita: due gol di Bobone. Terza: Bobone ancora. Non ne
nascono più così, forse perché un centravanti deve crescere selvaggio, come Vieri in
Australia, o comunque in strada o all’oratorio, mentre è più facile che da una scuola
calcio escano bravi ragazzi educati tecnicamente e nei modi, come Bonaventura e Bernardeschi. Un centravanti di razza coltiva
l’istinto e la cattiveria. Se va all’oratorio,
mette in porta una ragazzino più piccolo,
anche se non vuole, e lo bombarda per un’ora, ma intanto si inchioda la porta in testa.
Una squadra di calcio è un filo
da bucato steso tra un grande
portiere e un grande centravanti. L’Italia oggi ha solo il
grande portiere: il rischio che
i panni azzurri cadano a terra
e si sporchino è alto.
Possiamo anche eccitarci per
le meraviglie di Higuain e Morata, ma a ben guardare sono
i Proci che hanno occupato
Itaca. Un tempo lo scudetto se
lo giocavano i nostri centravanti, se lo giocavano Bobone
Vieri e Pippo Inzaghi, furbo
come Ulisse.
Pavoletti, 27 anni.
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VALERIO PENNICINO
T
ra quattro mesi esatti, 13 giugno,
l’Italia debutterà all’Europeo di
Francia contro il Belgio. Chi sarà il
nostro centravanti? L’impossibilità di una
risposta certa è già un fatto storico, perché
non c’è grande trionfo nella leggenda azzurra che non sia stato santificato da un
centravanti: Schiavio, Piola e Rossi marchiarono le finali dei primi tre Mondiali.
Nel 2006 avevamo centravanti meno fatali, ma tutti e tre finirono in rete portando
mattoni preziosi: Toni, Gilardino, Inzaghi.
Nell’unica finale europea vinta, quella del
’68, Anastasi fece eco a Gigi Riva.
Un Europeo fa Balotelli trascinò gli azzurri di Prandelli e ingombrò la copertina con
la doppietta alla Germania e con la posa da
Hulk. Nei quattro anni successivi però Hulk, invece della
camicia, ha stracciato il suo
talento e oggi è sprofondato
nella panchina del Milan, sbeffeggiato da Conte. Immobile
ha tentato il volo nel calcio che
conta (Germania, Spagna), come direbbe lady Cerci, ma ce
lo hanno rispedito indietro
dopo molte panchine. Sta seduto spesso Zaza, altro attaccante di Conte, e ultimamente,
anche Pellè, purtroppo. Il
centravanti dei Saints, pur
con apprezzabile coerenza,
PAVOLETTI MERITA
LA NAZIONALE
I N T E R N AT I O N A L
DI PAOLO CON
DÒ
CINA
Giocare per soldi
senza il senso del rigore
TRA I NOMI NOTI DELLA SUPER LEAGUE CINESE CHE SETACCIA TALENTI A SUON DI MILIONI (ANCHE
DALLA SERIE A) C’È ASAMOAH GYAN, CHE HA SEMPRE AVUTO PER OBBIETTIVO LE SQUADRE DOVE
PAGANO DI PIÙ. MA DEVE LA SUA NOTORIETÀ A DUE PESANTI ERRORI DAL DISCHETTO COL GHANA
F
ra tre settimane inizia il campionato
cinese – si chiama Super League – che
ha già avuto il maggior impatto sul
nostro calcio: tra affari conclusi (Gervinho
e Guarin) e trattative saltate (Luiz Adriano),
la Cina è diventata un polmone finanziario
per la Serie A. Aggiungeteci il trasferimento a Pechino di Alberto Zaccheroni, deciso
a ripetere i trionfi di Marcello Lippi, e la
necessità per un appassionato di tenere un
occhio aperto sulla Super League diventa
evidente. Con le conseguenti scoperte: per
esempio che allo Shanghai Sipg, secondo
nel 2015, gioca Asamoah Gyan, forse il più
iconico dei giocatori africani (se la vede con
Yaya Touré) in attività. Col consueto amore
per le storie di calcio, elenganche.es ha pubblicato un reportage di Francisco Orti su questo attaccante
che ha da poco doppiato la boa
dei trent’anni, ed è incredibile
perché sembra sulla scena
dalla notte dei tempi.
Il motivo va ricercato nel suo
precoce approdo in Europa:
l’Udinese lo ingaggiò a 18 anni mandandolo in prestito a
Modena per due stagioni, e
poi trattenendolo fino al
2008, quando scelse il Rennes. Da lì in poi Gyan ha pro-
seguito il suo percorso “marginale” giocando pure in Premier – ma nel Sunderland – e
accettando, a soli 26 anni, il “pensionamento” arabo, nell’Al-Ain. Di lì alla Cina, il nuovo Eldorado, il passo era scontato: attaccante bravo ma non eccezionale, ha impostato
la carriera sulla ricerca del denaro, tanto che
ora risulta essere uno dei giocatori più pagati del mondo. La gloria è stata inseguita
con la nazionale, per la quale ha disputato
gli ultimi tre Mondiali. Ed è l’amara storia
di due importantissimi rigori falliti con la
maglia del Ghana il tema della story di Orti.
Ricorderete la drammatica conclusione del
quarto della Coppa 2010 fra Ghana e Uruguay. Al 120’, sull’1-1, Suarez ribatté di mano sulla linea una conclusione destinata
Asamoah Gyan (30 anni) con la mag
8
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© RIPRODUZIONE
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RISERVATA
alla rete: rigore ed espulsione, ma Gyan,
calciando il penalty sulla traversa, fallì il
match point procrastinando la soluzione
della gara alla serie dal dischetto. «Chiesi
di tirare il primo perché dovevo riscattarmi», racconta. «Andando a calciarlo promisi a me stesso che se avessi sbagliato ancora
mi sarei ritirato dal calcio». Stavolta Gyan
fece gol, ma il Ghana ugualmente ebbe la
peggio: e il peso della chance fallita gli rimase addosso.
Detto che il nostro amico africano ha sempre difeso la scelta di Suarez («avrei fatto lo
stesso»), la ferocia della sorte fa sì che due
anni dopo, nella semifinale di Coppa d’Africa, Gyan si trovi in una situazione simile:
rigore a favore sullo 0-0. «La mente mi dice
di girare la testa, il cuore di
assumermi la responsabilità». Vince il cuore, Gyan va
sul dischetto, il portiere para
e in finale ci va lo Zambia.
«Ho dovuto giurare a mia
madre che non avrei più calciato un penalty». L’anno
scorso, nella finale di Coppa
d’Africa, la Costa d’Avorio ha
battuto il Ghana ai rigori. Se
sbirciate il tabellino, scoprirete che Gyan è stato sostituito
(da un rigorista) al 120’.
lia dello Shanghai Sipg.
SOLO IN AMERICA
DI LANFR ANCO
VACCARI
L’autodistruzione
di Johnny Football
ERA UNA PROMESSA, JOHNNY MANZIEL, E PENSAVA DI CAMBIARE LA NFL. INVECE, TRA
SMARGIASSATE ED ECCESSI, STA BUTTANDO VIA LA SUA CARRIERA. E SECONDO SUO PADRE ANCHE
LA VITA: «SE NON LO AIUTIAMO NON ARRIVERÀ VIVO AL SUO PROSSIMO COMPLEANNO»
convinto che il talento, non il carattere, sia la
chiave della vita. Quando i Browns lo chiamano al n.22 del primo giro, Manziel si presenta sul palco strisciando il pollice sui polpastrelli delle altre dita, nel segno dei soldi.
Da lì in poi, è solo un’infilata di scivoloni nel
grottesco, che coprono tutto l’arco fra lo sconveniente e il demenziale. Le sue imprese
diventano virali sui social media. La foto in
cui cavalca un cigno gonfiabile, con in mano
una bottiglia di champagne, nella piscina di
un night di Austin, Texas. Quella in cui,
dentro una cabina del telefono e in un chiaro
stato di alterazione, finge di parlare in una
mazzetta di dollari tenuti come una cornetta.
Quella in cui, nel bagno di un albergo di Las
Vegas, tiene una banconota arrotolata alla
maniera di quelli che sniffano.
Nelle sue poche apparizioni in campo, rari
lampi di classe vengono sommersi e annullati da smargiassate inutili. Ogni volta che
Johnny Manziel, 23 anni.
Cleveland non lo vuole più.
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lo spianano, i difensori avversari riprendono
il gesto nel giorno del draft. In una partita di
preseason, mostra il dito medio alla panchina dei Washington Redskins che gli urlano
qualcosa dopo un passaggio incompleto. Nei
due anni della sua carriera, parte titolare
otto volte, vince due partite, ne perde sei,
lancia sette touchdwon e sette intercetti.
Fra una partita e l’altra, arriva tardi alle riunioni e agli allenamenti – o non si presenta
proprio. Più di una volta, il personale che si
occupa della sicurezza per i Browns va a
casa a cercarlo, e non lo trova. All’inizio dello scorso anno entra in una clinica di Reading, Pennsylvania, dove disintossicano
dall’alcol e dalle droghe. Ci rimane 73 giorni.
Qualche settimana dopo essere uscito, va a
vedere un torneo di golf a Irving, Texas, e
lancia una bottiglia d’acqua contro un tifoso
che gli chiedeva un autografo, secondo la
polizia, in modo “troppo aggressivo”.
L’ultimo capitolo comincia il 12 ottobre. Un
testimone lo vede guidare in modo pericoloso e picchiare la sua fidanzata, Colleen Crowley. I due ammettono di aver
bevuto e vengono rilasciati. A fine gennaio, in un albergo di Fort Worth, Texas, le
dice di «stare zitta o ti ammazzo e poi mi
suicido». La polizia apre un’inchiesta. Per
due volte, il padre cerca di convincerlo a
farsi curare. Invano. Poi parla con il Dallas
Morning News.
FONTI: ESPN, SPORTS ILLUSTRATED,
A SSOCIATED PRESS, HOUSTON CHRONICLE,
ABC/WFAA
PETER G. AIKEN
I
l giorno del draft 2014, il 9 maggio, Johnny
Manziel manda un sms ai Cleveland
Browns chiedendogli di sceglierlo in modo che «insieme, faremo a pezzi questa lega».
Veniva da una meteoritica ascesa nel football studentesco, prima nelle high school e
poi al college, tanto che lo chiamavano Johnny Football. Era il più divertente, esplosivo
e imprevedibile dei quarterback. Molto più
che la sua relativamente contenuta struttura fisica (185 cm per 90 kg), le perplessità
sulla sua carriera nella Nfl erano legate al
carattere: l’irresistibile attrazione per le feste, le celebrità, Las Vegas. «Ma tutto questo
è passato», aveva assicurato. «Ho imparato
dagli errori. Continuare a fare le stesse scelte sbagliate sarebbe da stupidi».
Neppure due anni dopo, se qualcosa si è sfasciato non è la Nfl. La vertiginosa caduta di
Johnny Manziel è tale che, nell’ordine, i
Browns hanno deciso di tagliarlo (sarà ufficiale il 9 marzo, inizio della nuova
stagione), il suo agente l’ha mollato e
suo padre, in un’intervista al Dallas
Morning News, ha detto che «se non si
trova il modo di aiutarlo, rischia di
non vivere abbastanza per vedere il
suo 24° compleanno» (il 6 dicembre).
La storia di un ragazzo immaturo che
fatica a diventare un adulto si è trasformata nel disturbante processo di
autodistruzione di un giovanotto
NUMERI E PERSONE
RRONE
DI MASSIMO PE
Maradona e il gol alla Juve
visto solo al cinema
OGGI IL NAPOLI VA ALLO STADIUM PER IL BIG MATCH. A TORINO IL PIBE NON RIUSCÌ MAI A SEGNARE,
MA LA VITTORIA ESTERNA PER 5-3 DELL’88 LO ESALTÒ COSÌ TANTO CHE NEL FILM DEDICATOGLI DA
KUSTURICA DIEGO SI SBAGLIÒ AGGIUNGENDO UNA RETE: «6, AD AGNELLI GLIENE ABBIAMO FATTI 6…»
0
I CAMPIONATI DI SERIE A conclusi
6
23
ai primi 4 posti, tutte insieme, dalle
attuali 4 prime squadre della classifica
che si affronteranno nel weekend: oggi,
sabato 13, è in programma Juve-Napoli,
domani Fiorentina-Inter. Se il poker di
testa restasse questo, respingendo
l’attacco della Roma e delle altre,
si tratterebbe di una primizia assoluta
da quando è stata istituita la A, nel
1929/30. Quel campionato inaugurale
finì così: prima Ambrosiana (Inter)
50 punti, secondo Genova 1893 48,
poi Juventus 45 e Torino 39.
I CAMPIONATI FINITI ai primi 4 posti
da Juventus, Milan, Inter e Lazio,
il poker più frequente. Nel dettaglio:
1949/50 Juventus Milan Inter Lazio,
1950/51 Milan Inter Juventus Lazio,
1951/52 Juventus Milan Inter Lazio
(quarta a pari merito con la Fiorentina),
1972/73 Juventus Milan Lazio Inter
(quarta insieme alla Fiorentina),
1999/2000 Lazio Juventus Milan Inter,
2002/03 Juve Inter Milan Lazio. Il poker
Inter-Juventus-Milan-Fiorentina
è uscito invece per 5 volte, l’ultima
in quest’ordine nel 2008/09.
11
0
3
al Napoli nelle 4 partite giocate allo
Juventus Stadium, finite 3-0, 2-0, 3-0
e 3-1. In 73 precedenti di campionato,
di cui uno in B, la Juve è in vantaggio
46-7, i pareggi sono 20. Il primo, nel
1927 in Divisione Nazionale, finì 8-0:
3 gol di Giuseppe Grabbi, nonno di
Corrado che giocò anche lui con la Juve
67 anni dopo, e 2 di Antonio Vojak, che
poi fu giocatore e allenatore del Napoli,
e con i suoi 102 gol è tuttora il più
prolifico bomber in Serie A nella storia
della società partenopea.
in 8 partite sul campo della Juve,
compresa una in Uefa (al San Paolo,
invece, ne fece 5). Però Diego riuscì a
vincere due volte a Torino: 3-1 nell’86,
nel campionato del primo scudetto, e
5-3 nell’88, quando Careca fece una
tripletta. Un ricordo così straordinario,
per Maradona, da evocarlo nel film che
nel 2008 gli ha dedicato il regista
serbo Emir Kusturica: anche se Diego
ha esagerato il punteggio, dicendo
(e indicando con le mani) «6, ad Agnelli
gliene abbiamo fatti 6…».
della Fiorentina sull’Inter: 3-0 e 1-0
nello scorso campionato, 4-1 a San Siro
all’andata. I viola possono eguagliare
il loro record contro i nerazzurri, i 4
successi ottenuti fra il 1940 e il ’42: 2-0
e 2-1 in un campionato (fra i marcatori
anche Ferruccio Valcareggi, futuro c.t.
della Nazionale), 1-0 e 4-1 nel
successivo (con tripletta di Renato Gei,
che concluse il 1941/42 al secondo
posto della classifica cannonieri
con 18 reti, come Piola e Amadei,
secondo solo alle 22 di Boffi).
I GOL SEGNATI DALLA JUVE
I GOL SEGNATI DA MARADONA
© RIPRODUZIONE RISERVATA
LE SQUADRE finite fra le prime 4,
di cui 14 attualmente in A: Juventus
(65 piazzamenti), Inter (59), Milan (55),
Fiorentina (29), Roma (23), Lazio (22),
Napoli (21), Torino (20), Bologna (15),
Genoa, Sampdoria, Udinese (6), Verona
(3) e Chievo (1). Sono in Serie B Cagliari
(3 volte tra le prime 4 con uno
scudetto), Livorno, Perugia, Vicenza
(un secondo posto a testa) e Modena
(un terzo posto); in Lega Pro c’è il
Padova (una volta terzo); in D Parma
(5 piazzamenti tra le prime 4), Triestina
(un secondo posto) e Venezia (un terzo).
LE VITTORIE CONSECUTIVE
11
L’A G E N D A D I G E N E
Febbraio
D
7
L
M
M
G
V
S
1
2
3
4
5
6
8
9
10 11 12 13
14 15 16 17 18 19 20
21 22 23 24 25 26 27
28 29
HI
DI GENE GNOCC
GLI
A P P U N TA M E N T I
DA
NON
PERDERE
Mancini
e Cassano
all’altare
Lunedì
15
DELLA
PROSSIMA
SETTIMANA
Domenica
14
CARESSA e BERGOMI confessano in un’intervista
a Babilonia che sperano nell’approvazione della legge
sulle unioni civili per regolare la loro posizione
e per poter finalmente adottare Alessandro Alciato.
Martedì
Per evitare il ripetersi di cori razzisti, TAVECCHIO
Mancini dopo un brevissimo
propone alle squadre di non schierare più giocatori
fidanzamento sposa
di colore.
la giornalista MIKAELA
16
CALCAGNO.
Mercoledì
17
Giovedì
Cassano dopo un brevissimo fidanzamento
Trema il mondo delle multinazionali del tabacco.
sposa lo chef ANTONINO CANNAVACCIUOLO.
SARRI e ZEMAN hanno deciso di smettere di fumare.
Venerdì
19
Sabato
Nel RUGBY viene introdotto il quarto tempo.
Il menisco di FEDERER viene venduto all’asta
Dopo le birre e il vino del terzo tempo, nel quarto
su eBay. Se lo aggiudica Gene Gnocchi
ecco superalcolici, spettacoli di burlesque e lap dance.
per la modica cifra di 325 mila euro.
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18
20
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Firenze 5/6 marzo 2016 - 3a edizione
sabato 5 marzo: 13 km by niGHt - H. 21:00
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domenica 6 marzo: 30 km e 45 km - H. 08:30
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START/CLASSIFICA
C’ERAVAMO TANTO AMATI
IL VIZIO DEL GOL DELL’EX
L’ATALANTA È LA DECIMA SQUADRA IN SERIE A DI MARCO BORRIELLO. MA TRA I GRANDI “VAGABONDI”
DELL’ATTUALE CAMPIONATO, RISPETTO A LUI QUAGLIARELLA HA SEGNATO PIÙ GOL AI SUOI VECCHI CLUB.
IL NAPOLI TIRA INVECE UN SOSPIRO DI SOLLIEVO: GERMAN DENIS, IL SUO INCUBO, È TORNATO IN ARGENTINA
di Fabrizio Salvio (dati di Camp)
LUCA TONI
8 MAGLIE, 12 GOL DELL’EX
Esordio l’1 ottobre 2000 nel Vicenza, poi
Brescia, Palermo, Fiorentina, Roma, Genoa,
Juve e Verona. Dodici le reti da ex, così
distribuite: 5 al Genoa, 2 a Juve, Palermo
e Brescia, 1 alla Fiorentina.
FABIO QUAGLIARELLA
6 MAGLIE, 18 GOL DELL’EX
Il Toro nel ’99, poi Ascoli, Samp, Udinese,
Napoli, Juve e Samp. È quello che ha fatto più
gol alle ex: ben 9 alla Samp, 3 a Napoli e
Udinese, 2 al Torino e 1 alla Juve. E non ha mai
esultato, tanto da far arrabbiare i tifosi granata.
GIAMPAOLO PAZZINI
6 MAGLIE, 13 GOL DELL’EX
In A inizia nell’Atalanta ’04-05, poi Fiorentina,
Samp, Inter, Milan e Verona. Dove, mercoledì
3 febbraio, ha fatto gol proprio alla sua prima
squadra, l’Atalanta. Esultando poi in modo
irrefrenabile. Ai nerazzurri aveva segnato altre
7 volte, 5 i gol fatti alla Fiorentina.
MASSIMO MACCARONE
5 MAGLIE, 10 GOL DELL’EX
Esordio col Parma nel 2004, poi Siena, Palermo,
Sampdoria ed Empoli. Cresciuto nel Milan, gli ha
fatto gol la bellezza di 6 volte, l’ultima poche
settimane fa. Tre li ha rifilati al Parma, 1 al Palermo.
1
3
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6
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MARCO BORRIELLO
10 MAGLIE, 15 GOL DELL’EX
Ha esordito col Milan a settembre 2002, poi in A
ha giocato a Empoli, Reggio Calabria, Genova
(Samp e Genoa), Treviso, Roma, Torino sponda
Juventus, Carpi e, da gennaio, Bergamo. Da ex
ha segnato 4 gol al Genoa, 3 alla Samp, 2 a Juve,
Roma e Reggina, 1 a Empoli e Milan. Col Carpi
ha segnato contro il Genoa il 100° gol in carriera.
ALBERTO GILARDINO
8 MAGLIE, 11 GOL DELL’EX
Prima apparizione in A col Piacenza, poi Verona,
Parma, Milan, Fiorentina, Genoa, Bologna
e Palermo. Undici i gol realizzati ai club in cui
ha militato: 5 al Parma (proprio la squadra
che lo ha reso famoso), 3 alla Fiorentina,
2 al Milan e 1 al Piacenza.
SERGIO FLOCCARI
7
8
GERMAN DENIS
3 MAGLIE, 9 GOL DELL’EX
Otto anni in Italia, 3 squadre: Napoli, con cui ha
esordito nel 2008, Udinese e Atalanta. Da ex ha
punito le prime 2, segnando addirittura 6 gol
ai campani. Tre quelli segnati ai friulani.
14
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10
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7 MAGLIE, 9 GOL DELL’EX
Esordio a Messina nel 2005-06, quindi Atalanta,
Genoa, Lazio, Parma, Sassuolo, Bologna. Ha fatto
3 gol a Lazio e Genoa, 1 a Parma, Atalanta
e Sassuolo. Proprio al Sassuolo ha segnato il suo
primo gol con la maglia del Bologna, il 24 gennaio.
ANTONIO CASSANO
6 MAGLIE, 9 GOL DELL’EX
Esordio a dicembre ’99 con la maglia del Bari,
la sua città. Poi Roma, Samp, Milan, Inter, Parma
e Samp. I gol da ex li ha distribuiti così: 4 al Milan,
2 al Bari e alla Samp, 1 alla Roma.
ANTONIO CANDREVA
6 MAGLIE, 8 GOL DELL’EX
Tra tanti attaccanti è il solo centrocampista
presente in questa classifica. Esordio in A con
l’Udinese, poi Livorno, Parma, Cesena, Juventus
e Lazio. Ha segnato 3 gol all’Udinese, 2 al Parma,
1 a Livorno, Cesena e Juve: praticamente a
ciascuna delle squadre nelle quali aveva militato.
START/NEWS
NON CI POSSO
CREDERE
FELINO STILIZZATO
Il simbolo di Nbacatwatch. Sotto,
baby Jag, il gatto di Ryan Hollins
(centro dei Memphis Grizzlies).
NBA
DI SEBASTIANO VERNAZZA
Il master
in scusologia
di Sarri
QUANTI GATTI
NEL CANESTRO
UN SITO USA È DEDICATO AGLI ATLETI CHE AMANO I MICI, DA GINOBILI
A PARKER. E TOWNS, CHE CON IL SUO HA FATTO IL “GIRO” DEL MONDO
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L’ultima dalla Nba è la Cat List: caccia al gatto più
cool. Con un produttore radiofonico, Alex, titolare
di Nbacatwatch.com (@nbacatwatch, su Twitter),
che offre notizie sugli atleti amanti dei felini. Per
il sito, racconta il Wall Street Journal, boom di contatti e segnalazioni dei tifosi sui campioni cat’s
addicted. Tipo Karl Anthony Towns, rookie di Minnesota che ha promosso la sua presenza all’All
Star Game di Toronto con la clip di un viaggio
virtuale in giro per il mondo con il suo micio. O
altri “gattari” come Manu Ginobili e la sua Apia,
Tony Parker, Nicolas Batum. C’è anche l’elenco di
chi li odia: Carmelo Anthony, Lance Stephenson,
Carlos Delfino, mentre Zach Randolph di Memphis ammette di esserne terrorizzato.
n.s.
CHI È
L’ALTRO?
IN QUESTA FOTO,
SCATTATA AI BOX
DEL CIRCUITO
DI MONZA
IN OCCASIONE
DEL GP LOTTERIA
DEL GIUGNO 1968,
C’È ENZO FERRARI
(CHE RARAMENTE
SI SPOSTAVA
DA MARANELLO)
INSIEME A UN SUO
PILOTA. SE VOLETE
SAPERE CHI È GIRATE
PAGINA…
16
© RIPRODUZIONE RISERVATA
In uno dei recenti “Buongiorno”,
la rubrica che firma su La Stampa,
Massimo Gramellini ha scritto:
«Se oggi esiste un’immagine che
riflette l’anima profondamente
cattolica del nostro Paese è quella
di un immenso “scusificio”, dove
si sbaglia e ci si scusa quasi
in contemporanea e con
assoluta nonchalance, pur
di poter tornare a peccare
al più presto in santa
pace». Un attuale e
interessante caso di
“scusologia”, diciamo così
“indotta”, riguarda Maurizio Sarri.
L’allenatore del Napoli, per i suoi
insulti omofobi a Roberto Mancini, si
è scusato la notte stessa, in diretta tv,
ma non è bastato. Prima ha dovuto
partecipare al teatrino delle Iene su
Italia 1, con un servizio registrato in
cui, a domanda sulla possibilità che
gay e lesbiche si sposino, ha risposto
con entusiasmo: «È chiaro, è palese!».
Poi ha concesso un’intervista al
settimanale Chi. Sarri è stato
“torchiato” da Alessandro Cecchi
Paone, sulla rivista diretta da Alfonso
Signorini. Come è noto, sia Cecchi
Paone sia Signorini sono gay
dichiarati. Qui Sarri ha rivelato che
il suo migliore amico, purtroppo
scomparso, era omosessuale. Non
sappiamo cosa preveda ancora il suo
percorso rieducativo e riabilitativo,
forse un confronto con Luxuria in
qualche diretta tv o la partecipazione
a un Gay Pride. Di sicuro il master di
“scusologia” al quale il “povero” Sarri
è stato costretto – con evidente regia
alle spalle per la ripulitura della sua
immagine – risulta stucchevole. Vien
da pensare che ormai, in Italia,
si scusa con sincerità solo chi non
si scusa e si chiude in un dignitoso
silenzio, a meditare sui suoi errori.
START/NEWS
F.1 BENEFICA
ECCO I VERI FOTOGRAFI
ALL’ASTA GLI SCATTI DEI PILOTI PER IL GREAT ORMOND STREET HOSPITAL DI LONDRA, DAL CANE “ROMANO”
DI HAMILTON A RICCIARDO IN BICI NEL DESERTO. RACCOLTI 23 MILA EURO, MA SI PUÒ ANCORA PARTECIPARE
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
!!
L’altro è… TINO BRAMBILLA
PILOTA MONZESE DI MOTO E AUTO, CORSE CON IL CAVALLINO E ARRIVÒ A UN PASSO DALLA F.1.
«FERRARI MI PARLAVA IN DIALETTO MILANESE. COSA MI CHIEDEVA LÌ? DI AIUTARE I COMPAGNI…»
«Cosa mi stava dicendo Enzo Ferrari in quel momento?
Me lo ricordo bene: se potevo aiutare gli altri piloti
del Cavallino, Baghetti, Bell
e Casoni, a fare il tempo,
tirandoli con la scia». Era il
giugno 1968 e, sulla pista di
Monza ancora senza chicane, c’erano le prove del GP
Lotteria di F.2. Il monzese
doc Ernesto “Tino” Brambilla, l’altro protagonista
della foto insieme al Drake
di Maranello, guidava una
rossa ed era nel momento
migliore di una carriera da
pilota di moto e auto iniziata negli Anni 50. L’anno dopo Ferrari («Avevamo un bel
rapporto, con me si divertiva a parlare in dialetto milanese») gli propose di correre il GP d’Italia di F.1, ma
Brambilla (fratello di Vittorio, che vinse un GP iridato
nel 1975) non prese il via. A
causa di un incidente in moto la settimana precedente,
come si disse, o rinunciando
18
per una monoposto poco
competitiva? Fatto sta che
poco dopo Tino tornò alla
sua officina meccanica, gestita poi fino a una quindicina di anni fa, e si dedicò
per anni a collaudare le Pirelli per le moto. Oggi che
ha 82 anni, due figlie e una
nipote 18enne («Ma lei pensa a studiare e non ai miei
racconti...»), segue ancora
le gare in tv. «Di motociclismo, perché con la F.1 mi
g.gas.
addormento».
OGGI
Tino Brambilla, 82 anni.
È uscita da poco la sua
biografia Mi è sempre
piaciuto vincere scritta
da Walter Consonni.
!!!!!!!!!!
!!!!!!!!!!
Rendono meglio come piloti, su questo
non c’è alcun dubbio. Ma siccome il fine
era ed è benefico, ben venga l’impegno di
Hamilton e soci con la macchina fotografica. Per il quarto anno consecutivo, infatti, i campioni della F.1 hanno regalato
le immagini scattate personalmente durante la stagione all’asta che raccoglie
fondi per il Great Ormond Street Hospital Children’s, ospedale per bambini a
Londra. Nel corso della stagione 2015 a
METTIAMO
IN ORDINE
DA GP
DI MASSIMO PARRINI
[email protected]
ognuno dei piloti sulla griglia è stato
chiesto di scegliere una foto scattata durante la vita da vagabondi in giro per il
mondo. I loro lavori, autografati, sono
stati battuti dalla Coys durante una serata di gala all’InterContinental Park
Lane della capitale britannica il 5 febbraio scorso. Ma l’asta rimane aperta online
su www.coys-zoom.co.uk, per chi volesse
fare un’offerta. In cambio di una foto,
naturalmente.
Lo stile degli “artisti” è risultato variegato. Dal selfie di Ricciardo («Mi è sempre
piaciuto andare in bici e adoro un po’ di
avventura: in questo caso nel bel mezzo
del deserto, luogo allo stesso tempo pacifico ma eccitante, compresi i cammelli...»)
CLIC
Dalla foto all’estrema sinistra a quella in alto:
i lavori di Ricciardo, Hamilton e Verstappen.
Graziani,
Baggio
e gli altri bulli
della Serie A
al cielo di Max Verstappen («Se potessi
scegliere un superpotere vorrei la capacità di volare. Ma finché non succede
devo usare gli aerei e godermi la vista»)
passando dalla marmotta ritratta da Sebastian Vettel («Come questo animale
anch’io amo la pace e la calma delle montagne»), il giro australiano in mountain
bike di Jenson Button, Felipe Nasr a pesca in riva a un laghetto austriaco e l’immancabile Roscoe, il bulldog di Lewis
Hamilton, nelle vesti di “padrone” di
Roma. Numero uno anche in questo caso,
l’inglese, visto che la foto è stata battuta
a 3.900 euro ed è stata la più pagata. In
totale, nella serata, sono stati raccolti 23
mila euro.
g.gas.
Secondo la definizione di Wikipedia,
le vittime del bullismo sono “soggetti
considerati dalla gente come bersagli
facili e/o incapaci di difendersi”: in Serie
A possiamo individuarle nelle squadre
che retrocedono (o che sarebbero finite
in B senza interventi della giustizia
sportiva). Usando questa classificazione,
il più grande “bullo” del nostro
massimo campionato è Roberto
Baggio, capace di segnare 63 gol alle
squadre che alla fine della stagione
finirono, o sarebbero dovute finire, in B.
Il podio dei “prepotenti” è completato
da Beppe Signori (58 gol) e Francesco
Totti (53). La più grande stagione da
“bullo” fu invece il ’76/77 di Ciccio
Graziani: il bomber del Torino infierì su
“deboli e indifesi” mettendo a segno 11
gol tra Catanzaro (2), Cesena (4) e
Sampdoria (5). Notevoli anche il ’94/95
di Marco Simone, 10 reti tra Brescia (4),
Foggia (3), Genoa (1) e Reggiana (2) e il
1992/93 di Massimo Agostini, a segno
contro Brescia (3), Fiorentina (2), Pescara
(5), con l’Ancona, quarta retrocessa,
che evitò soprusi solo perché l’aveva
in squadra. I “bulli” che si sono
maggiormente accaniti contro una
vittima (con 6 gol) sono Angelo Schiavio
(alla Pro Patria nel ’32/33), Aldo Boffi
(al Modena nel ’39/40) e Roberto
Boninsegna (al Foggia nel ž73/74).
MOSTRA
SENNA, UNA VITA IN
UN GR ANDE IDOLO
abile
Lo sguardo indimentic
iridato F.1.
di Ayr ton Senna, 3 volte
immagini scattate da
Una selezione di cento
fotografo dei GP,
rico
Ercole Colombo, sto
ruz zi ispirati al suo
con i tes ti di Giorgio Ter
a notte di Ayrton
libro Suite 20 0. L’ultim
lla mostra allestita
de
Senna. È il contenuto
ità all’autodromo di
nel Museo della Veloc
febbraio al 24 luglio.
Monza, visitabile dal 17
: gli inizi con il kar t,
mo
Racconta il pilota e l’uo
si e delusioni, il
l’esordio in F.1, succes
st),
piloti (soprattutto Pro
rapporto con gli altri
ia e
igl
fam
la
con
e
am
leg
gli amori, la fede, il
ta in quella tragic a
le sue ultime ore in pis
.
che ce l’ha portato via
giornata di Imola ’94
© RIPRODUZIONE RISERVATA
19
start/news
dubai tour
vecchio ciclismo e nuovi
istantanee della gara appena corsa negli emirati: 4 tappe, tra cammelli e grattacieli, che ai
i
l deserto, i grattacieli e le biciclette. Tradizione, modernità e il fascino di uno degli sport più popolari. Il mix
sulla carta un po’ ardito del Dubai Tour ha funzionato
ancora una volta: è la terza volta che succede e ogni anno
acquista un sapore più azzeccato. La corsa del Dubai Sports
Council, organizzata in partnership con Rcs Sport, raccoglie sempre maggiori consensi in gruppo: il clima mite ma
non afoso, la possibilità di un ottimo rodaggio agonistico
verso gli appuntamenti più importanti, la comodità della
partenza delle quattro frazioni sempre uguale e raggiungibile a piedi dai corridori, che dormono coccolati alla
Marina di Dubai prima di attaccarsi il numero alla schiena
20
e cominciano ad augurarsi che in futuro si riescano a fare
uno o due giorni di gara in più. L’edizione 2016 ha incoronato il tedesco Marcel Kittel, forte di due sprint vinti; premiato pure il nostro Elia Viviani, a segno sull’arcipelago
artificiale creato dal nulla dell’Emirato; e permesso allo
spagnolo Lobato, vincitore sullo strappo della diga di Hatta, di dedicare un commosso pensiero al compagno Adriano Malori, ancora in ospedale dopo la caduta in Argentina.
Si è fatto rivedere, e non è una novità, anche Diego Maradona, che a Dubai vive e di Dubai è testimonial. Le tappe
sono volate via, la prima a oltre 48 di media e alla fine, in
totale, poco meno di 45 all’ora lungo i 665 chilometri di
testo di di ciro scognamiglio ~ foto di Michael Steele
emirati mon amour
tutte le avventure del gruppo lungo le tappe del dubai tour, arrivato
alla sua terza e sempre più felice edizione: in superstrada incrociando
un vecchio camion, sotto gli occhi dei dignitari locali, pedalando verso
i grattacieli, passando davanti a un cammello e un coccodrillo (ma solo
in foto, all’esterno del dubai Crocodile Park). È l’evoluzione di uno sport
antico e popolare che esce dall’Europa e familiarizza con nuovi territori.
mondi
corridori in gruppo piacciono sempre più
gara. Per la prima volta ci si è spinti verso l’Emirato di
Fujairah, che si affaccia sul Golfo dell’Oman, e il monumentale Burj Khalifa (grattacielo più alto del mondo, 829,3
metri) ha fatto da sfondo alle ultime immagini televisive
che hanno raggiunto ben 177 Paesi. Inimmaginabile fino
a poco tempo fa, così come la presenza al via di una squadra
locale capitanata da Yousif Mirza Banihammad, un ragazzo di Dubai che quando vince mima il gesto del pistolero
alla maniera di Contador e ha dato all’Emirato un posto
nella gara su strada all’Olimpiade di Rio. Perché il ciclismo
è definitivamente uscito dai confini della vecchia Europa,
e nei nuovi mondi pedala sempre più forte.
© riproduzione riservata
21
C’È JUVE-BAYERN
START/INFOGRAPHIC
15 8 16
FIORENTINA
INTER
JUVENTUS
MILAN
NAPOLI
ROMA
MARIO GOMEZ
L’ex viola, 30 anni,
oggi al Besiktas
(Tur), è la nostra
bestia nera: 8 gol.
1
3
3
6
1
1
1
1
1
3
2
0
CONTRO I TEDESCHI I BIANCONERI POSSONO
EGUAGLIARE LE VITTORIE NELLE COPPE, CHE ORA
SONO 4-3. E ANCHE IL BILANCIO CONTRO TUTTE
LE ITALIANE, DOVE LA SQUADRA DI MONACO È AVANTI
16-15 (MA NEI MATCH IMPORTANTI LE HA SEMPRE PRESE)
VITTORIE
BAYERN
PARI
VITTORIE
ITALIANE
dati a cura di Camp
2
3
4
1
1
5
39
PRECEDENTI INCONTRI
17
17
MILAN
15 - 2
z  S
9
INTER
11
ROMA
13 - 4
z  S
JUVENTUS
11 - z  S
6 3 z  S
7
9
NAPOLI
3 4 z  S
INTER
6 3 z  S
8
MILAN
8 - z  S
59
8
FIORENTINA
8 - z  S
TOTALE RETI REALIZZATE
DAL BAYERN MONACO
6
reti MIGLIORI MARCATORI BAYERN MONACO
8
4
4
3
3
22
MARIO GOMEZ (2 Inter,
1 Juventus, 3 Napoli, 2 Roma)
THOMAS MÜLLER (2 Roma,
1 Inter, 1 Juventus)
ARJEN ROBBEN (2 Fiorentina,
2 Roma)
MIROSLAV KLOSE (2 Fiorentina,
CLAUDIO PIZARRO (1 Inter,
© RIPRODUZIONE RISERVATA
1 Roma)
1 Juventus, 1 Milan)
NAPOLI
4 2 z  S
L’ITALIA PUÒ PAREGGIARE
A guardarlo oggi, si fa quasi fatica a crederci: nel
bilancio delle italiane con il Bayern (rivale della
Juve negli ottavi di Champions; andata a Torino
il 23) 16 vittorie loro e 15 nostre, più 8 pareggi. È
che i tedeschi mica sono sempre stati una corazzata inaffondabile come adesso (e nei primi Anni
LEGENDA
70). Nei match più importanti le hanno sempre
prese, nell’unica finale (con l’Inter nel 2010) come
nelle semifinali col Milan (Coppa Campioni ’8990 e Napoli (Uefa ’88-89). In questi ultimi due
casi, il trofeo lo vinsero poi le nostre. Chissà se
questi precedenti daranno la spinta alla Juve…
z
Coppa Campioni
Champions League

Coppa delle Fiere
Coppa Uefa
Europa League
S
Coppa Coppe
MIGLIORI MARCATORI SQUADRE ITALIANE
49
TOTALE RETI REALIZZATE
DALLE ITALIANE
FILIPPO
INZAGHI
DAVID
TREZEGUET
CARECA
6
3
3
Milan
6
JUVENTUS
6 - z  S
5
Juventus
ROMA
4 - 1
z  S
L’ULTIMA CHAMPIONS
Il Bayern l’ha vinta
Ƃnale (2-1) contro
nel 2013: Ƃnale
il Borussia Dortmund.
LUD HUANHUAN, LAURENCE GRIFFITHS
5 - z  S
FINALI GIOCATE
reti
5
FIORENTINA
1
Napoli
Champions League
INTER-BAYERN (2-0) 22/5/2010
23
E CON IL REAL
PARI
VITTORIE
ITALIANE
dati a cura di Camp
VITTORIE
REAL MADRID
START/INFOGRAPHIC
25 11 29
FIORENTINA
INTER
JUVENTUS
L AZIO
MILAN
NAPOLI
ROMA
TORINO
0
7
8
0
6
0
3
1
24
MILAN
24 - z  S
0
2
2
2
3
1
1
0
1
6
8
2
6
1
4
1
IN 60 ANNI DI SFIDE IN TUTTE LE COPPE
LE NOSTRE SQUADRE HANNO VINTO 25 VOLTE
E PERSO 29. A MADRID LE VITTORIE SONO STATE
SOLO 5 (CONTRO 23…) MA DUE DI QUESTE,
RECENTI, SONO PROPRIO DEI GIALLOROSSI
PRECEDENTI INCONTRI
65
25
MILAN
25 - z  S
21
JUVENTUS
20
21 - z  S
18
INTER
8 9 3
z  S
JUVENTUS
RAÚL
Ben 11 i suoi
gol alle italiane.
A Ƃne 2015
si è ritirato.
18 - z  S
19
INTER
11 6 2
z  S
15
9
ROMA
ROMA
15 - z  S
9 - z  S
10
LAZIO
10 - z  S
94
3
NAPOLI
3 - z  S
2
TOTALE RETI REALIZZATE
DAL REAL MADRID
FIORENTINA
reti
11
6
6
6
5
24
MIGLIORI MARCATORI REAL MADRID
RAÚL (5 Roma, 3 Milan, 2 Lazio, 1 Juventus)
LUIS FIGO (5 Roma,
1 Lazio)
CRISTIANO RONALDO (5 Inter,
1 Milan)
CARLOS SANTILLANA (6 Fiorentina)
ALFREDO DI STEFANO (3 Milan,
© RIPRODUZIONE RISERVATA
1 Fiorentina, 1 Inter)
2 - z  S
2
TORINO
- 2 z  S
LA ROMA SPERA NEL BERNABEU
A un certo punto, tra l’83 e l’86, il Real Madrid
eliminò tre volte su tre l’Inter. Un incubo. Soprattutto, fino ad allora era utopia pensare di non
uscire malconci dal Bernabeu. I numeri sono chiari: in 31 partite delle italiane a Madrid le nostre
hanno vinto 5 volte, pareggiato 3 e perso ben 23.
Due dei successi sono però proprio dei giallorossi
(2002 e 2008). E a dire il vero, quando in ballo ci
sono state finali e semifinali, le nostre vantano un
2-2 nelle prime e un 3-3 nelle seconde. Quello del
17 in casa della Roma è un ottavo (con ritorno in
Spagna l’8 marzo), ma va bene lo stesso.
LEGENDA
z
Coppa Campioni
Champions League

Coppa delle Fiere
Coppa Uefa
Europa League
S
Coppa Coppe
MIGLIORI MARCATORI SQUADRE ITALIANE
85
ALESSANDRO
DEL PIERO
DAVID
TREZEGUET
GORAN
PANDEV
MARCO
VAN BASTEN
FRANCESCO
TOTTI
5
3
3
3
3
Juventus
7
LAZIO
7 - z  S
3
TORINO
- 3 z  S
4
FINALI GIOCATE
Juventus
Lazio
Milan
Roma
reti
L’ULTIMA
CHAMPIONS
Il Real l’ha vinta
nel 2014: Ƃnale
(4-1 d.t.s.) contro
l’Atletico Madrid.
1
NAPOLI
1 - z  S
JASPER JUINEN, STUART FRANKLIN
TOTALE RETI REALIZZATE
DALLE ITALIANE
Coppa Campioni/Champions L.
REAL MADRID-FIORENTINA (2-0) 30/5/1957
REAL MADRID-MILAN (3-2) 28/5/1958
INTER-REAL MADRID (3-1) 27/5/1964
REAL MADRID-JUVENTUS (1-0) 20/5/1998
25
cover story/Sci domestico
26
Federica Brignone
è uno sport
bastardo
l’azzurra abita a due passi da la thuile, dove il 21
debutta la coppa del mondo. ci ha parlato
dell’emozione che dà gareggiare in casa,
ma anche di quello che lo sci di vertice toglie:
«ci si fa male, in pista c’è sempre qualcuno che va
più forte di te ed è da capodanno che non vedo
il mio fidanzato. voglio una vita più normale»
di alessia cruciani ~ foto di francesco anselmi
c
he bello avere la gara di
casa! «Sì, bellissimo… Ma
che stress! Mi chiedono di
fare video, partecipare a
conferenze stampa. Per me
è un piacere, è che dall’inizio della stagione la gente si raccomanda: “Preparati per fare bene a La Thuile!”. Sì, certo,
ma io devo farle bene tutte!». Se la ride
Federica Brignone, 25 anni, l’azzurra
dello sci più in forma del momento. Nata
a Milano, è cresciuta a La Salle, non molto distante da La Thuile dove, sabato e
domenica prossimi, sono previsti discesa (il 20) e superG (il 21) femminili. E la
Valle d’Aosta non ospitava la Coppa del
mondo di sci da 26 anni. «Non c’è il gigante, la mia specialità, ma anche in superG sto facendo vedere cose abbastanza
buone (non fa la discesa; ndr). Il problema
è che ci sono grandi aspettative su di me
e questa cosa mi mette tensione. Però
poLIvaLente
La sciatrice azzurra (slalom, gigante e superG) Federica Brignone,
25 anni, sulla pista per lei di casa (vive a La Salle, Ao), di La Thuile,
dove il 20 febbraio si disputerà la discesa e il 21 il superG.
27
cover STory/Sci domestico
sono gasata all’idea di avere tutto il pubblico dalla mia parte».
In questa stagione, la migliore della sua
carriera, Federica ha centrato in gigante
una vittoria (nella prova inaugurale a
Sölden, in Austria) e quattro podi; mentre
in superG, disciplina in cui si è lanciata
dall’anno scorso, tre piazzamenti nelle
prime dieci.
Un ritmo incoraggiante in vista della
gara su una pista che conosce a memoria.
«La conosco, ma da turista. Non ho idea
di come possano tracciarla per il superG.
Il vantaggio sarà avere il pubblico che fa
il tifo per me. Ma c’è anche una trappola:
sentirsi costretti a fare qualcosa di grande. Tutti si aspettano molto. Quando sono
caduta a Courchevel mi dispiaceva soprattutto per la trentina di persone che
era venuta per me. Io so che in una gara
di sci può accadere, pensavo però a loro
che erano venuti proprio in quella».
Quanta gente ci sarà a tifare per lei?
«Moltissimi amici che sono proprio di La
Thuile saranno già in pista a lavorare.
Tanti altri valdostani arriveranno».
Dall’anno scorso si è data alla velocità
con il superG. E i risultati danno ragione ai suoi amici, fanno bene ad aspettarsi belle cose.
«Ho buoni margini di miglioramento, è
una disciplina che mi viene facile. All’inizio, mettendo gli sci lunghi in gara, non
mi trovavo così bene. Sono nelle prime
dieci, ma con la Vonn di adesso è veramente molto difficile. Anche se in una
pista come questa, con le curve più strette, potrebbe fare fatica».
Che effetto fa sapere che adesso può
batterle tutte?
«Non riesco a gasarmi. So di poter fare
belle cose, ma quando arriviamo all’estrazione dei pettorali e ci sono le prime sette
del mondo mi chiedo: “Come faccio a battere queste? Sciano forte, attaccano”. Anche se ci sono già riuscita, mi sento sempre
inferiore. So di poter essere una delle mi-
gliori, ma è come se non lo accettassi».
Dopo una vittoria che cosa cambia nei
rapporti con la squadra, in gara e con
le avversarie?
«Con le compagne, penso niente. Non apprezzo la gente che cambia quando vince
e a me piace far parte del gruppo, della
squadra. In gara ti dà più sicurezza, sai
che sciando al massimo delle tue possibilità puoi giocarti la vittoria.Forse è un
vantaggio che ho sfruttato troppo poco.
Al cancelletto mi dico: “Magari non mi
succederà mai più!”. Quanto alle avversarie, mi sento più osservata, anche dagli
altri allenatori. Mi dicono di aver visto il
mio video e che ora mi seguono come una
delle migliori. Tutto questo è davvero
gratificante».
E fuori dalle piste?
«In tanti ti fanno i complimenti. Per gli
28
amici sei sempre la stessa. La stampa ti
cerca maggiormente e diventi più conosciuta. È arrivato anche qualcuno a proporsi come manager».
E…?
«Sono indecisa. Se avessi un manager, la
cena che mi hai visto fare l’altra sera con
gli amici non l’avrei potuta fare. Già sono
in giro tutto l’anno per gare e allenamenti, sarei piena di impegni anche quando
torno a casa. Voglio una vita più normale.
È da capodanno che non vedo il mio fidanzato (lo sciatore francese Nicolas Raffort; ndr). Anche lui è in Coppa, ma è fermo
da ottobre per infortunio».
Fino a poco tempo fa si parlava di lei
come della ìfiglia di Ninna Quario”.
Che, nel frattempo, è diventata una
stimata giornalista nel mondo dello
sci. Mi racconta l’intervista ìfamiliare”
IN PISTA
Federica Brignone in azione sulla pista “Franco Berthod n. 3” di La thuile che ospiterà
le gare di Coppa del mondo. La milanese è stata argento ai Mondiali 2011 in gigante,
specialità dove a ottobre, a sölden, ha vinto la prima gara di Coppa della carriera.
“
Non so se voglio un
manager. Già passo
la vita in viaggio,
sarei piena
di impegni anche
quando sono a casa
subito dopo la vittoria di Sölden?
«La prima cosa che mi ha detto è stata:
“Questa è l’intervista più bella della mia
vita!”. E poi lei riesce sempre a fare domande abbastanza furbe, essendo un’ex
atleta».
Quest’anno c’è sempre superVonn, ma
mancano Tina Maze (è in pausa di riflessione) e la detentrice della Coppa,
Anna Fenninger (infortunata). Sarebbe
stato bello battere anche loro?
«Lo sci è uno sport bastardo, ci si fa male.
Ed è un ciclo continuo, magari c’è qualcuna che non va più così forte ma ne arriva una nuova. Anch’io ho saltato una stagione per infortunio e me ne sono fatta
una ragione. Comunque ora ci sono campionesse mondiali, di specialità. Non posso certo lamentarmi del livello delle avversarie».
Il tecnico Gianluca Rulfi ha detto che
lei ha il touche de neige: ciò vuol dire
che la ritiene una sciatrice fine, non di
potenza. Alla Ted Ligety.
«Prima cosa: wow! Ligety è sempre stato
uno dei miei sciatori preferiti, adoro le sue
linee, mi piace il suo touche de neige. L’ho
guardato per anni. Una volta l’ho visto in
un riscaldamento e mi sono attaccata dietro per vedere come faceva le curve. Non
so se se n’è accorto… Girava tantissimo, io
sarei andata molto più dritta, non riuscivo a fare come lui. La differenza è che lui,
quando va male, ha sempre delle scuse
mentre io mi butto giù, divento crudele
con me stessa».
Ha un nuovo preparatore atletico. Ho
letto che l’ha fatta quasi vomitare per
la fatica.
«Lavoro con lui quando non sono con la
squadra. In questi periodi, di solito, prima
mi allenavo da sola, ora invece sono seguita. Mi ha fatto lavorare più sull’intensità che sulla durata, è che l’estate scorsa
faceva talmente caldo che a volte mi sembrava di scoppiare. Tutto questo mi ha
sicuramente aiutato e fisicamente sto molto, molto bene».
Da quest’anno si è aggiunto anche il
mental coach. Che cosa fate insieme?
«È un ex snowboarder, si chiama Roberto. Lo vedo ad Aosta e poi ci sentiamo per
telefono. Abbiamo parlato tanto di rapporti con le compagne, con la squadra,
con gli allenatori, della creazione di un
ambiente dove stare bene. Nello sci sono
quasi più i giorni in cui non sei soddisfatto, in cui le gare non vanno come
vorresti, quindi serve un contesto dove
essere sereni. Devo pensare che comunque sono in giro con le mie compagne e
sto facendo una bella esperienza. Se non
c’è questo aspetto, allora diventa dura.
Se ti applichi, aiuta».
Quante volte ha rivisto le foto e il video
della vittoria di Sölden?
«Non tantissime, ma mi piace riguardare
le foto. È proprio una bella soddisfazione».
Federica, ma quanto è difficile vincere
in Coppa del mondo?
«Tanto, ma se sei in giornata è facile!».
E se ne va ridendo.
© riproduzione riservata
29
l A pi StA di l A t h u i l e
cover story/Sci domestico
seGuitemi!
dalla partenza soft alle insidie del “grand
muret” e della “traversa”, i segreti della “franco
berthod n. 3” svelati da federica dopo il suo test
a
a partenza
difficoltà 4
«Facile: una spinta
e poi entri nella
prima esse. Lì la
difficoltà si alza ma
non arrivi troppo
veloce. È l’unico
punto dove puoi
godertela».
partenza
b Grand muret
difficoltà 9
«Subito dopo il via è tosta, specie
per la testa: vedi il muro, sai che
vai veloce e devi girare sci
da 2,18 m restando in linea.
Non puoi sbagliare nulla».
a
b
d planey
difficoltà 3
«In questo punto l’importante è stare
più chiusi possibile, in posizione. Non
ci saranno curve, quindi è il momento
in cui si può tirare un attimo il fiato».
d
e inGresso 2
difficoltà 7
«C’è un bel curvone,
per questo è fondamentale
entrarci bene per poi fare
tutta la parte finale con
il giusto ritmo».
a
H
f
arrivo
f traversa
minicentrale
difficoltà 9
«Si entra a tutta ma
la pista si stringe. C’è
un curvone, si fatica
a tenere la linea
e si entra in un tratto
pianeggiante:
se sbagli ti fermi».
G salto baita
di GiorGio
difficoltà 8
«Salto in curva
dove non c’è molto
spazio per prendere
la direzione sia
prima che dopo
lo stacco».
G
H traversa maGneuraz
difficoltà 9
«Si stringe di nuovo e c’è poco
margine per recuperare un
errore. Inoltre si sente la
stanchezza nelle gambe».
30
c
d
e
f
G
c muret
difficoltà 8
«Sei prima di un
piano e se ci entri
solo 5 km orari più
lenta delle altre,
perdi tantissimo.
È un punto che può
rivelarsi fatale».
I PREPARATIVI
A bordo pista
pure… gli chef
A La Thuile ci sarà un direttore giovanissimo, Killy Martinet (foto), 27 anni. Si è
occupato di tutto sia in pista, sia fuori. «Il
tracciato della discesa sarà disegnato dal
responsabile della Fis, Jean-Philippe Vuillet, quello del superG dall’allenatore
dell’Austria Roland Assinger», spiega Martinet, che poi aggiunge: «Abbiamo noleggiato molto materiale per tutelare le atlete: useremo 5 mila metri di reti ancorate
a strutture fisse e circa 4 mila metri di
quelle alte due metri ancorate a pali mobili. E la Fis fornirà i materassi protettivi disposti nei punti più pericolosi».
In pista ci saranno un centinaio
di volontari, in gran parte militari, più altri 150 per il parterre
e la viabilità in paese. Una disponibilità che ha colpito il direttore gara: «Abbiamo avviato
il reclutamento online e raccolto
subito 120 adesioni. Poi forse saranno troppi...». E poi spazio ai tifosi: «Nel
parterre ci sarà una tribuna che potrà
ospitare 400 persone: gli ingressi (€ 200)
prevedono un servizio catering con prodotti regionali cucinati da chef stellati
valdostani. E un’area gratuita per 3-4 mila persone». Quanto alla tv, le telecamere
seminate lungo la pista saranno 22.
PASSIONI/Il confronto
di Raffaele Panizza
DeNI S
B
e k AR
ON
ale
natur
❄
naturale VS artIFICIale
❄
vIvA lA Neve!
(Sì, ma quale?)
PeR BuONa PaRte dell’iNveRNO è NevicatO POcO O NieNte e Si è SciatO
SOlO gRazie ai caNNONi. ma SiamO SicuRi che Sia PeggiO? l’aBBiamO chieStO
a uN’ex SciatRice e a uNO SNOwBOaRdeR che haNNO vedute OPPOSte
A
rgento e bronzo mondiale
in gigante, oggi mamma
full time, Denise Karbon rimane un’ultras della neve
naturale: «che tornerà a
cadere copiosa», assicura lei, dal suo osservatorio di Castelrotto. «Inverni così ne
ho visti una valanga».
PeRFettA PeR DeRAPARe
«La neve naturale è molto meno aggressiva, e nelle giornate di relax ti permette
di sciare in modo più poetico, senza l’ossessione della perfezione. Poi è più malleabile: si derapa alla grande».
le ARtIcOlAzIONI cANtANO
«La neve artificiale è pesante per le articolazioni, perché gli sci sono appiccicati
a terra: quando “prende”, ti trascina con
forza nella direzione della sciancratura,
uno stress non facile da gestire».
vIvA le gOBBe
«La naturale fa le gobbe di ghiaccio, vero.
Ma diciamocelo, sono divertentissime! E
sono un’occasione per migliorare la sensibilità dei piedi, imparare a impostare
gli spigoli e acquisire equilibrio».
PeRFettA PeR AtletI cOMPletI
«La naturale è più varia, piena di imprevisti che aiutano a sviluppare la percezione del proprio baricentro. Su quella
artificiale si lavora molto sulle ginocchia,
ma poco più, e non ci si abitua a certe
compressioni: una generazione di atleti
cresciuta solo sulla neve artificiale sarebbe una generazione incompleta. Anzi, una generazione di atleti robot».
32
Il BellO Del gHIAccIO
«Sciare sulla pista ghiacciata insegna a
esser leggeri, a non usare troppa forza e
scendere “puliti”. E poi richiede competenze tecniche: non puoi piantare le lamine a fine curva ad esempio, altrimenti vieni spinto via. Sono ricchezze».
Il PIAceRe DellA “PAPPA”
«Amo persino quando fa caldo e la neve
si scioglie formando la “pappa”: il terreno
quasi non lo senti, galleggi e saltelli usando le solette, ed è come sciare sulle uova».
lA MAgIA Del FUORIPIStA
«E poi c’è il fuoripista, che è come immergersi nel burro e nel borotalco. Finché d’un
tratto tutto cambia e incontri una crosta
dura. Nessun cannone sparaneve potrà
mai creare questo parco giochi perfetto».
StIlI A cONFRONtO
da sinistra, denise Karbon in azione
all’Olimpiade di vancouver nel 2010 e
Roland Fischnaller nella recente tappa
di coppa del mondo vinta a mosca.
I SEGRETI DELLA NEVE ARTIFICIALE
È sferica,
pesante
e non buona
da mangiare
I segreti degli innevatori?
Li racconta l’ingegner Emanuele
Bazzechi, responsabile tecnico
di DemacLenko, che cura le piste
mondiali di Selva di Val Gardena.
SI PU“ MANGIARE?
La neve artificiale si può mangiare
solo se l’acqua utilizzata è presa da
un bacino pulito e se non contiene
additivi chimici (che in Italia sono
vietati ma in altri Paesi permessi):
nel dubbio, meglio evitare.
iale
artific FIScHNAlleR
S
ul“mantoartificiale”diMosca
ha appena trionfato in Coppa
del mondo. «Quella sparata
dai cannoni», dice Roland Fischnaller, snowboarder, «è la
neve come Dio avrebbe dovuto crearla».
INcOllAtI AllA PIStA
«Il cristallo è molto più piccolo di quello
naturale, e la pista risulta estremamente
compatta perché non trattiene aria: il
grip, poi, è impareggiabile».
cHIeDI A BOlt
«Perché me ne sono innamorato? Sarebbe come chiedere a Usain Bolt perché
preferisce correre su una pista olimpica
ben battuta piuttosto che in un vicolo
pieno di buche: per un discesista, l’artificiale è il top».
vOlARe SUllA lAMINA
«La lamina è così inchiodata a terra che
ci si può spingere tranquillamente fino
alla massima pendenza e sfruttare tutta
la sciancratura: questo tipo di fondo poi
è ideale per tutte le manovre di carving».
Neve IN SAlSA yANkee
«In Usa è diversa, la sparano a tremila
metri ed è ancora più asciutta di quella
europea. Credo usino anche proteine per
ND
PERCHÉ A VOLTE » GRIGIA?
Quando appare di color grigiastro
significa che contiene una
quantità eccessiva di acqua, e sarà
meno compatta e sciabile.
migliorarla, vietate in Europa. Poi laggiù
è durissima: se sfrecci a tutta pressione
lasci sulla pista un segno quasi invisibile, profondo un millimetro».
I FIOCCHI SONO DIVERSI?
La neve artificiale ha forma sferica,
quella naturale ha la forma di un
fiocco. I cannoni migliori sparano
granelli grandi circa 150 micron.
Quelli naturali arrivano fino a 500.
PRINcIPIANtI: AtteNzIONe!
«Per chi inizia ad andare in snowboard
su neve sparata è consigliabile una pista
quasi piatta: il rischio, altrimenti, è di
prendere troppa velocità».
A QUALE TEMPERATURA SI SPARA?
Più la temperatura è bassa, e
migliore è la neve prodotta. Chi la
crea a temperature alte (si arriva
anche a 16 gradi) usa procedimenti
criogenici da cui risulta un fiocco
simile al ghiaccio: va bene per
innevare una pista per un evento
della durata di un giorno, ma non
impostarci una stagione intera.
ASSIcURAzIONe cASkO!
«Al contrario, un atleta esperto può permettersi di raggiungere velocità impensabili con un totale senso di sicurezza:
scendi a ottanta chilometri all’ora e hai
la sensazione che non potrai mai cadere».
INFORtUNI AllA lARgA
«Non si rischia la lussazione alla spalla,
ad esempio, perché quando appoggi le
mani a terra non rimani “agganciato”
come accade nella neve fresca. E poi eviti quelle tremende capriole in avanti che
capitano quando schiacci tanto e il naso
della tavola sprofonda e s’impianta».
QUANTO PESA?
La densità di una pista innevata
artificialmente è di circa 500 chili
a metro cubo. Naturalmente, si sta
intorno ai 200. Ecco perché
è più compatta e meno sensibile
ai cambiamenti di temperatura.
QUANTO SPARANO I CANNONI?
I cannoni hanno una potenza
impressionante: alcuni, sparano
fino a 660 litri d’acqua al minuto,
che si trasformano in 3mila chili di
neve, secondo il rapporto 1 a 2,5.
PUPAzzI ADDIO
«Ecco, l’unico inconveniente è che il pupazzo di neve non attacca, perché non è
abbastanza umida. Però ci si possono far
sopra bellissimi disegni».
© RiPROduziONe RiSeRvata
33
emmaNuel duNaNd, miKhail JaPaRidze
ROl A
il vecchio sceriffo
non si batte
foto di Julio Cortez
Doveva essere la consacrazione del fenomeno emergente e irriverente, ai danni del vecchio
campione affermato ma pieno di cicatrici. Insomma, la classica faccenda del new kid in town
e via così. Storie, più o meno ricorrenti, da Super Bowl. Peccato che l’anziano non fosse
d’accordo e, soprattutto, avesse dalla sua una difesa che definire strepitosa è poco. Così è
34
zoom
finita che Peyton Manning, quello sulla destra, mettesse a 39 anni un sigillo vincente e
inatteso su una grande carriera grazie ai suoi Denver Broncos. E l’altro, Cam Newton, si
ritrovasse a pensare al prossimo campionato, mesto e sconfitto insieme ai suoi Carolina
Panthers. Ma con la grazia, questo sì, di regalare prima un sorriso al rivale.
© riproduzione riservata
a santa clara
i complimenti di newton
(panthers), a sinistra, per
Manning, re del super
Bowl coi Broncos (24-10).
35
zoom
acrobazie
tra i colossi
foto di schalk van zuydam
La competizione assegna il titolo di “King of the air”, re dell’aria, e può sembrare una contraddizione visto che il mezzo si muove sull’acqua. Ma il kitesurf, la tavola trainata da un
aquilone, può davvero raggiungere velocità e acrobazie degne di ali leggere. Sulla spiaggia
di Cape Town (Sudafrica) nello scorso weekend si sono sfidati 24 campioni della materia, con
36
scontri secchi dentro-fuori, e alla fine ne è rimasto uno, il britannico Aaron Hadlow che vedete
nella foto, al secondo successo di fila in questo evento. Quasi pronto al decollo proprio mentre
alle sue spalle si intravede la stazza di una nave gigantesca e immobile. La solita vecchia sfida
tra elefante e farfalla, insomma, in versione marinara.
Silvia Cimini
© riproduzione riservata
semPre Più iN alto
aaron hadlow, 27 anni,
britannico, 5 volte iridato
nel World tour, durante
la sfida in sudafrica.
37
zoom
alonzo messo
in croce
foto di gerald herbert
Dura la vita, quando i tuoi compagni si chiamano Anthony Davis (23,4 punti di media a
partita), Ryan Anderson (17), Tyreke Evans (15,2) e Jrue Holiday (14,5). Significa che, pur
giocando 21 minuti e mezzo a sera, di palloni nelle tue mani ne transitano pochi. E quei
pochi vanno consegnati (nel gergo cestistico, scaricati) nelle mani dei compagni deputati a
38
infilare il canestro avversario. Questo è il destino del “povero” Alonzo Gee (2 milioni e 700
mila dollari di contratto annuo), che nei New Orleans Pelicans non parte in quintetto, si
sbatte soprattutto in difesa e ha una media di 4 punti a partita. Perciò, immagini come
questa, in cui si concede una schiacciata acrobatica, sono preziose. Almeno per lui.
© riproduzione riservata
in volo
alonzo gee, ala piccola
dei pelicans, a canestro
contro Memphis. per lui,
8 punti in quella partita.
39
zoom
uno sport
per poppanti
foto di vaughn ridley
Forse è stato solo un caso, o forse no. Forse quella pubblicità maliziosa, con quattro bimbi
a gambotte nude e pannolini bene in vista, non era stata messa per caso sotto la panchina
della squadra ospite e l’effetto ridicolo è stato cercato (e trovato…). In Canada l’hockey è,
come recita un luogo comune, più di una religione. Ma i Niagara Ice Dogs, squadra di St.
40
Catharines che gioca nell’Ontario Hockey League (riservata a giocatori dai 16 ai 21 anni),
hanno provato a dissacrarlo e a mandare un messaggio ai rivali: vi credete grandi e grossi,
ma siete solo dei poppanti. Quel giorno, contro i London Knights, ha funzionato: 3-2 il risultato finale. E poi tutti a casa a cambiare i pannolini.
© riproduzione riservata
comicità in panca
la buffa panchina dei
london Knights durante
la gara di ohl contro i
niagara ice dogs.
41
il quintetto
gli italiani di reggio emilia.
da sinistra, stefano gentile, play;
Amedeo della valle, guardia; Andrea
de nicolao, play; Achille polonara, ala
grande; pietro Aradori, ala piccola.
ritratti/Orgoglio nazionale
42
Tendenza Reggio
dammi
il cinque
niente “gimme five”: AllA grissin bon reggio emiliA che orA AffrontA
lA finAl eight di coppA itAliA si esultA in itAliAno. grAzie A questi rAgAzzi
decisivi per ArrivAre AllA scorsA finAle scudetto e per l’AttuAle primo
posto in cAmpionAto. nessun Altro club dellA A di bAsket fA giocAre
tAnto i prodotti di cAsA nostrA. eppure in città gli idoli sono Altri…
di fabrizio salvio ~ foto di martino lombezzi
c’
èun’anomaliavirtuosa nel campionato
italiano di basket.
Una irregolarità, in
un sistema consolidato e purtroppo incancrenito, che addolcisce i pensieri di coloro che non si
rassegnano all’invasione di carneadi
stranieri, roba da un tanto al chilo, gente che va e viene, contratto annuale con
licenza di stracciarlo dopo 3 mesi per
incompatibilità tecnica, ambientale, caratteriale. Alla faccia dell’attaccamento
alla maglia e dei tifosi che non fanno in
tempo ad affezionarsi al nuovo arrivato
– prima ancora, a riconoscerlo – e già
sono costretti a cambiare figurina nel
loro album dei sogni.
Alla partenza del torneo, a ottobre, secondo i dati forniti dalla newsletter Spicchi d’arancia, gli stranieri tesserati dai 16
club di Serie A erano 98 su 180 giocatori
totali. Settantasette gli italiani, cui si
aggiungevano i “passaportati” Forray,
Cerella, Viggiano e Nicevic, più il polacco Wojciechowski e il georgiano Metreveli, nati all’estero ma cresciuti nei nostri
vivai. Un andazzo che va avanti da anni
e nel quale Reggio Emilia si inserisce
come la più classica e lodevole delle eccezioni. Insinuando il dubbio che la storia degli italiani che costano troppo sia
piuttosto un alibi per giustificare la mancanza di programmazione, che la cura
del settore giovanile debba considerarsi
cosa buona e giusta e non un fastidio, che
insomma si possa provare a vincere anche puntando sul prodotto indigeno e
non soltanto pescando qua e là all’estero.
Reggio Emilia non è la squadra di A con
il maggior numero di italiani, ma quella
in cui i nostri stanno di più in campo: 25
minuti e mezzo di media a partita a testa
per Pietro Aradori, Andrea De Nicolao,
Amedeo Della Valle, Stefano Gentile e
Achille Polonara, in ordine alfabetico.
Una finale scudetto persa l’anno scorso
alla settima e ultima partita contro Sassari, il primo posto attuale in campionato, la possibilità di vincere la Coppa Italia nelle Final Eight che iniziano
venerdì prossimo a Milano: sì, il modello Grissin Bon funziona.
i numeri deGli americani
«Un gruppo italiano forte fa la differenza, anche se non è sinonimo di coesione
a tutti i costi», ammette Della Valle. «A
volte ci sono incomprensioni anche tra
noi perché tutti ci teniamo a far bene,
proprio perché sentiamo il senso di appartenenza alla squadra più di uno straniero che oggi c’è e domani chissà. Però
anche in quei casi il fatto di parlare la
stessa lingua e avere la stessa mentalità,
non solo in campo, aiuta a chiarirsi». «Nei
momenti di difficoltà accetti gli errori
degli altri solo se il gruppo è forte», interviene Aradori. «Ma non puoi fare una
squadra di Serie A con 10 italiani di B:
quello che conta, alla fine, è la qualità sul
parquet, al di là delle origini geografiche».
«In una squadra la cosa più importante
è creare un obiettivo comune», conferma
Gentile. «È più facile riuscirci quando
hai tanti italiani rispetto agli stranieri,
che a volte fanno solo i propri interessi.
Per alcuni, soprattutto se americani, giocare nel nostro campionato è come andare in ufficio. Gli importa fare bene per se
stessi. Puntano ad avere contratti sempre
migliori, e per ottenerli hanno bisogno
di grandi numeri: punti, rimbalzi… Chiaro quindi che l’obiettivo personale non
combaci con quello di squadra. Quello
degli americani è un mercato globale che
arriva fino in Cina, e il loro biglietto da
visita sono i numeri. Noi italiani abbiamo
un mercato molto più ristretto, si contano sulle dita delle mani quelli che vanno
all’estero, e le nostre credenziali migliori sono legate alla reputazione che abbiamo presso gli allenatori». «Ricordo il mio
secondo anno a Varese», conferma Polonara. «Di italiani c’eravamo solo io e De
Nicolao, le sconfitte erano più delle vit43
ritratti/Gli italiani di Reggio Emilia
torie e diventò impossibile tenere unito
il gruppo: ognuno andava per la sua strada». «La differenza tra noi e gli americani, non tutti per carità, sta già nella concezione che abbiamo dell’allenamento»,
riassume De Nicolao. «Per noi è fatica, la
consapevolezza che un buon lavoro in
palestra vuol dire conquistare un minuto in più in partita. Un americano magari pensa che tutto gli sia dovuto, qualcuno, per convincerlo a firmare, forse gli
ha promesso che giocherà in ogni caso
30 minuti a gara. Anche facendo schifo
durante la settimana».
BENEDEtti ViVai
Italians do it better, gli italiani lo fanno
meglio, dunque. «Quest’anno i nostri
giocano in generale un po’ di più , eppure la mentalità secondo la quale tutto ciò
che è straniero è migliore, più bello, è
dura a morire», attacca Aradori. «Se potessero, certi allenatori giocherebbero
con 10-12 stranieri. L’ho vissuto sulla mia
pelle: come tanti altri italiani ho fatto
fatica doppia a emergere, pur avendo le
qualità per giocarmela alla pari con tanti stranieri. Ho giocato in Turchia e Spagna: il giocatore indigeno è molto più
tutelato rispetto a quanto facciamo noi,
nonostante, in Turchia, la qualità sia
molto inferiore alla nostra. Ci tengono a
schierare i loro atleti, meglio se usciti dal
vivaio, piuttosto che prendere il primo
americano venuto dal college, con la scusa che lo paghi 20 mila dollari in meno
e hai la possibilità di tagliarlo dopo 2-3
mesi se non funziona, come facciamo
noi». Ma non è colpa anche dei giocatori,
degli ingaggi richiesti, se ce ne sono così
pochi in A?
«È vero che i giocatori di casa nostra di
un certo livello sono pochi e quindi costano tanto», risponde De Nicolao, «ma
la tassazione così alta è un problema
generale del Paese, per esempio. E poi
tanti club hanno bisogno di ottenere risultati subito, pena il fallimento, perciò
preferiscono investire sullo straniero usa
e getta invece che sul vivaio. Prendere
esempio da Reggio si può, se però si hanno basi economiche solide come questo
club». Interviene Polonara: «Quando ero
a Teramo vivevo in foresteria con altri 18
ragazzi. Oggi la foresteria non ce l’ha
neanche Milano. Tenere in piedi un settore giovanile costa, ma in questo modo
c’è minor possibilità di far crescere i nostri giovani».
alla fiEra DEll’Est
Avendone le qualità, si può fare come
Della Valle, che qualche anno fa ha compiuto il percorso inverso: dall’Italia è
partito per l’America. «Ho fatto il college
a Ohio State, una delle migliori università statunitensi anche dal punto di vista
accademico, e ho trovato un gruppo stre44
A MILANO ➽ LA FINAL EIGHT
Tre giorni
di fuoco
Per Sassari, in difficoltà
in campionato, è l’occasione
di un rilancio, oltre che
di confermarsi detentrice
del trofeo. Per Milano c’è la
possibilità di prendersi la
rivincita sulla squadra da cui
l’anno scorso è stata battuta
in finale. Per Reggio Emilia,
l’opportunità di confermarsi
nuova grande del nostro
basket. Per tutte le altre, la
chance di dare un senso
all’intera stagione. Ecco la Final
Eight, organizzata da Lega e
Rcs Sport, in programma dal
19 al 21 febbraio prossimi al
Mediolanum Forum di Milano.
In lizza Dinamo Sassari, EA7
Emporio Armani, Grissin Bon
Reggio Emilia, Vanoli Cremona,
Dolomiti Energia Trentino,
Giorgio Tesi Group Pistoia,
Umana Reyer Venezia e Sidigas
Avellino. In palio la coppa
Italia. Biglietti su ticketone.it
e vivaticket.it
pitoso sotto ogni punto di vista», racconta. «I miei compagni erano quasi tutti
neri e mi sono confrontato con gente educata e di buona cultura, apprezzandone
la mentalità aperta. Cosa vuol dire? Che
gli americani saranno pure materialisti,
ma non si fanno problemi nel dire le cose e nell’affrontare le difficoltà».
Resta che, nonostante il sentire comune,
uno straniero di origine europea è preferibile nel basket italiano a un americano, a meno che quest’ultimo non sia targato Nba. «Gli americani la mettono
spesso sul fisico, gli europei sopperiscono al deficit atletico con la tecnica», spiega Gentile. «Io ho imparato più dagli
europei: la mentalità è simile alla nostra,
anche fuori dal campo», aggiunge Polonara. E De Nicolao: «Hanno una dedizione al lavoro invidiabile: a quasi 40 anni,
il nostro Kaukenas ogni mattina va a
correre alle 8. È gente forte nella testa,
prima ancora che nelle mani. Sono dei
vincenti. Inquadrati e quadrati. Arrivano da Paesi piccoli e ci tengono a dimostrare qualcosa in più di quanto farebbero altri». Non sarà quindi un caso,
forse, che l’altra caratteristica di Reggio
Emilia, oltre al massiccio impiego di italiani, sia la presenza di soli stranieri europei, e tutti dell’Est: 2 lituani, Kaukenas
e Lavrinovic; 2 lettoni, Silins e Strautins;
1 bielorusso, Veremeenko; e 1 serbo, Golubovic. Differenze tra loro? «I lettoni
IL CALENDARIO ➽ TUTTE LE PARTITE
Milano vs Sassari in semifinale?
QUARTI DI FINALE
19 febbraio
1
8
Pall. Reggiana
4
5
Pistoia Basket
3
6
Vanoli Cremona
2
7
Olimpia Milano
Scandone Avellino
sEmIFINALI
20 febbraio
________________________
________________________
Aquila Trento
Dinamo Sassari
FINALE
21 febbraio
_____________________
_____________________
________________________
________________________
Reyer Venezia
sono più pacati, non parlano quasi mai,
invece Kaukenas e Lavrinovic, quando
si accendono, diventa impossibile spegnerli», risponde Della Valle. «Tutti mangiano delle gran zuppe piene di aglio e
cipolla e sono molto più freddi rispetto a
noi, anche se con le dovute differenze:
Rimas (Kaukenas) parla molto di più
rispetto a un Silins che pronuncia una
parola ogni morte di papa», aggiunge
divertito Aradori. «E ogni tre parole dicono una parolaccia nella loro lingua.
Per loro è un intercalare. Hanno finito
per contagiarci», ride Gentile. In ogni
caso i tifosi si identificano negli italiani,
no? «No», replica Della Valle. «Fuori Reggio, forse, ma in città sono pro lituani:
hanno una passione viscerale per i veterani Lavrinovic e Kaukenas. Il più italiano dei due è Kaukenas, anche se Lavrinovic è il più “scemo” di tutti. Ma
l’altro parla perfettamente la nostra lingua, ha speso la carriera qui da noi».
E voi, cosa avete insegnato ai compagni
stranieri? Gentile: «Gli altri, non so. Io,
qualche insulto in napoletano».
© riproduzione riservAtA
45
COPPIA VINCENTE
Il salernitano emanuele
Di marino (27 anni)
e Arjola Dedaj (34),
albanese naturalizzata
italiana: vivono assieme
a milano da quasi tre anni.
lA sTOrIA/Sognando Rio
46
Arjola Dedaj
Emanuele Di Marino
Il NOsTrO AmOrE
NON hA bArrIErE
di Claudio Arrigoni ~ foto di Alberto Dedè e Bruno Pulici
I
n questa storia ci sono pezzi di Albania e Italia, una ragazza che arriva da un gommone e un ragazzo
passato da Salerno a Milano per
amore. In mezzo c’è lo sport a farli
innamorare, con il sogno di un viaggio
in Brasile, non a cercare sole e spiagge,
ma gare e medaglie. La Paralimpiade di
Rio è diventata un obiettivo per Arjola
Dedaj ed Emanuele Di Marino. Provarci insieme. Sudando fra palestra e pista.
In condizioni diverse.
Arjola è cieca. La vista si è spenta poco a
poco. Ora riesce solo a capire se vi è luce.
Il ballo e lo sport che non sono solamente hobby: la danza, il baseball e l’atletica
a farle vincere Campionati italiani e raggiungere i Mondiali. Emanuele ha una
disabilità che quasi non si vede, ma crea
problemi a camminare e correre. È nato
con il piede torto, il sinistro girato su se
stesso. Anni di operazioni e fisioterapia,
come contrappasso la passione per la
corsa, lo sprint in testa e la Nazionale
conquistata.
La loro storia d’amore nasce così, fra una
pista e un salto nella sabbia. “La coppia
dei sogni”: su Facebook hanno aperto
sono entrAmBI
veloCIstI AzzurrI.
luI vIene DA sAlerno
e hA unA DIsABIlItà
AllA gAmBA sInIstrA,
leI DAll’AlBAnIA eD
è IPoveDente. InsIeme,
DA tre AnnI, formAno
“lA CoPPIA DeI sognI”
(su fACeBook e nellA
vItA) Che PuntA AllA
PArAlImPIADe DI rIo
“
questa pagina e iniziato a raccontare il
loro mondo e la loro voglia di essere a Rio
2016. Insieme.
Lo sport paralimpico ha fatto incontrare due mondi.
Arjola: «Eravamo in ritiro con la Nazionale. Sento una voce: “Ti va del cioccolato?”. Ecco, l’approccio è stato quello, non
proprio romantico... Dopo qualche mese
siamo andati a vivere insieme».
Emanuele: «Avevo difficoltà a trovare
società sportive adatte a me. Ho cercato
su Internet e alla fine ne ho trovata una:
la Superhabily, a sud di Milano. Mi sono
iscritto lì. Era la società di Arjola. Ora
siamo insieme nella H2 Dynamic
Handysport».
Dall’Albania in gommone. Una nuova
realtà e la vista che se ne andava.
A: «Sul gommone guardavo in cielo e
vedevo le stelle. Vicino non distinguevo
chi avevo di fianco. Retinite pigmentosa
(una malattia genetica degenerativa; ndr),
me la trovarono a tre anni. I primi occhiali, ma non servivano. A vent’anni li
odiavo, erano inutili».
eravamo in ritiro con la nazionale. sento una voce:
«ti va del cioccolato?». l’approccio non è stato proprio romantico...
ArjolA DeDAj
47
la storia/Sognando Rio
Era il 21 dicembre del 1998, da allora la vita è cambiata.
A: «Totalmente. Mamma era già in Italia,
vicino a Milano. Avevo 17 anni. Ero con
papà e mio fratello. Cinque ore di cammino nei campi, Lecce e poi Abbiategrasso. Non mi sono più mossa».
Nascere con il piede torto. Ospedale e medici come compagni da subito.
E: «È vero, una malformazione che mi
ha dato problemi fin da quando sono
nato. Il gesso sino a sette mesi, poi la
prima operazione. Ancora un anno di
gesso e nuovo intervento, i ferri per tenermi in asse, tre anni di fisioterapia per
imparare a camminare. Avevo percezione del corpo, ma non capivo che cosa
faceva la gamba sinistra».
sulla pista
Un po’ di allungamento al centro sportivo Enjoy Sport di Cernusco (Milano), dove si allenano.
Cecità, difficoltà a camminare, piede
rovesciato. C’è chi pensa: ìHanno
altri problemi, lo sport non interessa”.
E: «Invece è il contrario. Hai voglia di
mettere alla prova il tuo corpo. E lo fai
divertendoti. Devo tanto a mia mamma
Antonella e a mio papà Raffaele: sono
laureati in scienze motorie, amano
l’atletica».
A: «È normale fare sport. Ora faccio
atletica, ma poi vorrei riprendere con il
baseball. Quello per i ciechi è bellissimo.
Facevo solo corsette e palestra prima di
scoprirlo con il Gruppo Sportivo Non
Vedenti di Milano. Ho partecipato a dieci campionati e vinto sei scudetti con i
Tuoni, una delle due squadre milanesi.
Che ricordi i derby con i Lampi al Kennedy, un campo storico».
Il vostro è un amore paralimpico.
A: «Abbiamo sperimentato segni nostri,
solo per noi. Tenendoci per mano e toccandoci le dita. Per spostarsi, per esempio. Nessuno si accorge che Ema mi dà
segnali».
E: «Condividere tutto non è noioso per
noi, anzi. Abbiamo tanto in comune: esigenze, orari, alimentazione. Anche l’amore per gli animali: viviamo con due
gatti, Shelly e Dafne».
“
Farlo insieme aiuta anche a conciliare meglio gli impegni, vero?
48
Abbiamo segni nostri, solo per noi.
con la guida
Arjola in un momento della corsa con la guida Vanessa Palombini. Sotto, ai blocchi con Emanuele.
E: «Viviamo a Milano da quasi tre anni
e ci alleniamo a Cernusco, appena fuori
città, grazie al supporto di Enjoy Sport,
che ha strutture adatte anche a chi ha
disabilità. Se non ci allenassimo insieme
ci vedremmo proprio poco».
A: «Ho fatto la babysitter e l’operaia: smistavo scatole colorate, non distinguevo i
colori. E poi l’aiuto cuoca: in quei tre anni ho imparato la cucina a memoria. Ho
frequentato un corso di computer all’Istituto dei ciechi a Milano e ora lavoro
all’Allianz Assicurazioni, che mi dà un
grande aiuto. Grazie a Ema metto insieme i vari pezzi».
Vivere insieme vuol dire condividere
anche la disabilità dell’altro.
E: «Sono molto disordinato. All’inizio
non capivo che mettere l’olio sempre allo
stesso posto era essenziale per Arj. L’ordine è indispensabile. Mi ha sorpreso per
come è brava in cucina, specialmente a
preparare dolci».
A: «Ema è un po’ i miei occhi, si è anche
abituato a raccontarmi scene ed espressioni dei film in tv o al cinema!».
E: «La cosa più difficile è stato quando
siamo andati a vedere Lo Schiaccianoci.
Non capisco nulla di balletto! Mi chiedeva: “Che fanno?”. E io: “Ballano”. Insomma, sono stato un disastro...».
Arj è anche ballerina. Potreste danzare insieme. O correre insieme, visto
che serve la guida.
A: «Faccio danze standard. Ho vinto
campionati italiani e partecipato anche
ad Albania’s Got Talent».
E: «Sono una catastrofe a ballare. Facciamo le stesse specialità nell’atletica, 100
e 200 metri, Arj poi anche salto in lungo,
ma lì c’è il richiamo dell’allenatore sul
punto di battuta. Qualche volta sono stato la sua guida, ma è difficile. Al Mennea
Day corsi i miei 100, poi li feci con lei
come guida, poi i miei 200 e di nuovo con
lei. Alla fine ero distrutto».
Tenendoci per mano e toccandoci le dita
Si guarda a Rio 2016...
A: «Veniamo entrambi da infortuni, sarà dura, ce la mettiamo tutta. “La coppia
dei sogni”: che bello poterci essere insieme. Sì, un sogno».
© riproduzione riservata
49
In PISTA e In VASCA
Da sinistra, Silvia Parente, non vedente,
in azione dietro alla sua guida (e
compagno nella vita) Lorenzo Migliari a
Sestriere, alla Paralimpiade di Torino
2006: vinsero l’oro. I nuotatori Federico
Morlacchi e Giulia Ghiretti, fidanzati,
saranno assieme ai Giochi di Rio.
LA STORIA/Fidanzati d’oro
Altre coppie paralimpiche
L’
InSIeme neLLA gIOIA
e neL dOLORe
amore in mezzo a piste, neve,
acqua, sabbia, ghiaccio. Non
importa quale sia la superficie
o l’elemento. Lo sport paralimpico cupido per atleti d’oro.
Nel vero senso della parola. Con intrecci
da far felici riviste di gossip. La coppia
più bella e ammirata a Londra 2012 era
quella fra Vanessa Low e Markus Rehm.
Lei, tedesca, è fra le grandi star dell’atletica paralimpica, grande avversaria della nostra Martina Caironi. È amputata a
entrambe le gambe sopra il ginocchio da
quando aveva 16 anni. Durante i festeggiamenti per una vittoria della Germania
al Mondiale di calcio del 2006 uno sconosciuto la spinse sotto un treno. È diventata una delle più grandi di sempre.
Markus Rehm, anche lui tedesco, è amputato a una gamba sotto il ginocchio
dopo un incidente mentre faceva wakeboard a 14 anni. È già nella storia dello
sport: ai Mondiali di Doha, lo scorso ottobre, vinse l’oro nel lungo saltando a
8,40 metri. Sarebbe stato argento ai Mondiali (normodotati) di Pechino 2015 e oro
alla scorsa Olimpiade. Si conobbero nel
2008 e si innamorarono. Dopo Londra
la storia finì. Vanessa ora fa coppia fissa
con l’australiano Scott Reardon, re dello
sprint paralimpico per atleti amputati
completi di gamba. La perse per un incidente con un trattore. Prima dell’atletica
ha vinto nello sci nautico. Si ritroveranno tutti e tre sulla pista di Rio, nel settembre 2016.
SAmUeLe e YUnIdIS
In Brasile, Samuele farà il tifo per la sua
Yunidis. La loro è una storia di tenacia,
50
oltre che di grande amore. Samuele Gobbi, veneto d Piove di Sacco, vicino Padova, e Yunidis Castillo, cubana di Santiago, si sono sposati nel 2013. Hanno un
figlio, Gabriel, che ha poco più di un anno. Era il 2008 quando si videro la prima
volta, sui campi di allenamento della
Paralimpiade di Pechino. Entrambi amputati di braccio: il sinistro per lui, perso
per un infortunio sul lavoro nel 2004, a
26 anni; il destro per lei, dopo un incidente di autobus. Anni di messaggi a
distanza, telefonate ed email. Yunidis
diventava una delle più grandi di sempre
nell’atletica: a Londra vinse 100, 200 e
400 m con tre record del mondo. Si rividero ai Mondiali di Lione nel 2013. Era
agosto. Yunidis disse: «Vieni a trovarmi
a Cuba». Samuele a settembre era là. Un
paio di mesi ed erano marito e moglie.
AmORI In CORSIA
Sotto, Markus Rehm e Vanessa Low,
tedeschi, lui amputato a una gamba,
lei a due, sono stati una delle più grandi
coppie dell’atletica paralimpica, ma dopo
Londra la loro storia d’amore è finita. A destra,
in alto la cubana Yunidis Castillo; in basso
l’azzurro Samuele Gobbi, suo marito.
lo sport ha unito anche nella vita tante coppie di atleti, spesso
con lo stesso tipo di disabilità, come Yunidis castillo e samuele gobbi,
entrambi senza un braccio, o gli amputati di gambe vanessa low
e markus rehm. e la sciatrice silvia parente ha “trovato” la sua guida
Lei vive a L’Avana, dove si allena per Rio,
Samuele prepara la loro casa in Veneto.
FedeRICO e gIULIA
Federico Morlacchi e Giulia Ghiretti sono ormai più che grandi speranze del
nuoto paralimpico azzurro. Nuoteranno
insieme nella piscina di Rio. Intanto lo
fanno tutti i giorni a Milano, dove si allenano e lei si è trasferita per seguire
all’università i corsi di ingegneria biomedica. Federico è nato con ipoplasia a
una gamba, Giulia è paraplegica dopo
una caduta durante un esercizio al trampolino elastico. Poco più che ventenni,
sono una delle coppie più belle dello sport
paralimpico mondiale. L’amore è sbocciato dopo un anno di vasche insieme e
qualche trasferta azzurra.
Galeotta fu l’Islanda e i suoi ghiacci per
due che hanno fatto la storia dello sport
invernale, a Torino 2006. Silvia Parente
è un’atleta multisport, ma ama la montagna e lo sci. Anche nel buio della cecità.
Milanese, smise di vedere fra i due e i tre
anni per un retinoblastoma. Dopo pochi
mesi mamma e papà la misero sugli sci
con il fratello. Grande scelta. È diventata
una delle più grandi di sempre: ori olimpici e mondiali. Quelli sulle nevi del Sestriere vinti insieme al fidanzato e compagno di una vita, Lorenzo Migliari. I
ciechi hanno una guida che indica loro il
percorso attraverso segnali sonori, sono
simbiotici e giustamente l’oro va a entrambi. Dieci anni prima si erano detti “ti amo”
e dati i primi baci aiutati dal clima e dalle
atmosfere di quell’isola di vulcani e ghiacci. Qualche tempo dopo Torino, un grave
incidente a Lorenzo. Rischiarono di am-
putargli una gamba: «Sarebbe stato il
primo caso di un amputato a guidare un
cieco», ci scherzarono poi. Parente non si
è fatta mancare nulla, vincendo il titolo
mondiale anche nella vela (metodo Homerus: due ciechi in barca e boe sonore)
sul lago di Garda e due titoli mondiali
nell’arrampicata sportiva.
BILLY e SAmI
Attraversiamo l’Oceano. In Canada, quello fra Billy Bridges e Sami Jo Small è un
amore fra Olimpiadi e Paralimpiadi. Sami
portieredellanazionaleolimpicadihockey
su ghiaccio, Billy un attaccante di quella
di ice sledge hockey. Si sono conosciuti
dopo i Giochi di Torino, dove vinsero l’oro entrambi. Spaventoso mettere insieme
le loro medaglie: dieci d’oro fra Olimpiadi
e Mondiali. Si sposarono nel 2011.
© riproduzione riservata
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alberto pizzoli, alberto dedè e bruno pulici, gareth copleY
di claudio arrigoni
intervista/Il fenomeno
S
Sébastien Loeb
ettantotto rally vinti,
nove Mondiali conquistati, sei successi
nel Mondiale Turismo e quattro tappe
all’esordio alla Dakar
nel gennaio di
quest’anno: Sébastien
Loeb non è mai sazio.
L’unica cosa che è andata di traverso al
“cannibale” francese è il tonneau argentino. Parliamo del cappottone di cui è
stato protagonista nella speciale da Salta a Belen, costatogli il trionfo al raid.
il pilota
che vince
per gioco
Di chi è la colpa?
«È stato un mio errore: nel tratto fuoripista abbiamo perso del tempo, così ho
voluto recuperare immediatamente e ho
colpito una pietra non segnalata. Sarebbe comunque stato complesso vincere
perché c’erano molte tappe fuori-pista
per le quali non ho esperienza: non sapevo che ritmo prendere».
dai nove mondiali rally vinti alle 4 taPPe della
daKar ConQUiState QUeSt’anno, alla SFida Con
valentino roSSi, il FranCeSe raCConta i SUoi
SUCCeSSi ottenUti… Senza Fretta: «la veloCità
non mi intereSSa e il riSChio non mi eCCita.
PerÒ Che emozione diventare Un videoGame...»
Nelle prime tappe è però stato velocissimo. Pensava di vincere la Dakar?
«Prima del via non ci pensavo perché
non sapevo che cosa aspettarmi. Nelle
prime speciali ho attaccato come nel Mondiale rally e ci siamo ritrovati in testa.
Ma non mi illudevo: sapevo che mi aspettava il fuori-pista dove la gestione della
vettura e il ritmo sono importanti».
di Giovanni Cortinovis ~ foto di Simone Perolari
Come si pone la Dakar rispetto ai
rally e al Mondiale Turismo?
«Sono tre modi di guidare differenti. Il
più lontano dai due è il terzo perché la
cura per i dettagli è estrema: dal settaggio
della vettura alla guida, che richiede la
precisione al centimetro e la ripetizione.
La Dakar è più simile ai rally, ma porta
all’estremo l’improvvisazione e la scoperta: non ci sono le note, ma un roadbook
che dà indicazioni sommarie e così si
gareggia senza conoscere il tracciato».
alsaziano
SÈbastien Loeb, 41
anni. Nato ad Haguenau
(Francia), ha conquistato 9
Mondiali rally (e 78 gare)
e vinto con Prototipi, auto
Turismo e alla Dakar 2016
(dove era al debutto).
Quale preferisce?
«Il rally e poi la Dakar, che è più spontanea rispetto al Turismo. Quando ho esordito nei rally guidavo in maniera naturale, senza studiare il modo in cui gli
52
53
intervista/Sébastien Loeb
altri affrontavano una curva, facevo ciò
che mi sentivo. Dei rally-raid, così come
dei rally, mi piace la collaborazione con
il navigatore, la condivisione delle emozioni: è per questo che ho voluto al mio
fianco alla Dakar Daniel Elena, anche se
non aveva esperienza in quella gara».
L’auto più divertente che ha guidato?
«La Peugeot 208 T16 che ho pilotato alla
Pikes Peak 2013 (famosa sfida in salita
negli Stati Uniti, abbassò il record della
gara di 92 secondi; ndr). Non essendoci
limitazione di potenza, a differenza delle auto con cui ho corso negli altri campionati, ho usato un mostro da 875 cv e
850 chili con le gomme slick. Come accelerazione è molto simile a una F.1».
Che cosa rappresenta per lei la velocità?
«La mia vita è una sfida contro il crono-
uno e trino
Loeb – in versione carne e ossa,
cartonato e ìalla guida” – a Parigi
durante l’evento organizzato per la
presentazione del suo videogioco.
metro, quindi la velocità è importante
per guadagnare del tempo. Pur essendo
parte della mia esistenza, non è però ciò
che mi piace. Per esempio, andare a 450
km/h in rettilineo non mi interessa,
preferisco fare una buona curva in quarta di traverso».
E il rischio?
«Il rischio non mi eccita, non lo cerco, è
un parametro da controllare ed evitare.
Mai stato un kamikaze. Mi sono capitate
delle brutte uscite e dei tonneaux, ma è
naturale se gareggi. Non ne ho fatti tanti perché amo riflettere e spingo al mas-
simo solo quando ho piena fiducia».
Pochi piloti hanno dato il loro nome
a un videogioco. Che cosa rappresenta per lei la scelta di Milestone?
«Mi fa piacere essere associato a un bel
gioco realizzato da una Casa con grande
credibilità nel racing game. Prima di esordire nei rally giocavo con gli amici per
ore a Colin McRae Rally».
Qual è stato il suo contributo personale al gioco?
«La base di partenza era molto buona,
così come la grafica. L’importante era che
la vettura avesse un comportamento
realistico. All’inizio ho trovato un po’ di
ritardo nella risposta nei comandi, i rapporti del cambio erano troppo lunghi
rispetto alla realtà e l’equilibrio della
vettura non era perfetto. Poi tutto è stato
sistemato».
POLIVALENTE
Re dei rally,
asso con tutto
Negli Anni 50 era la norma alternare
impegni in F.1, vetture Sport e altro
ancora. Ma l’eclettismo di SÈbastien
Loeb ha segnato l’era moderna
dell’automobilismo. Solo Juan Pablo
Montoya (al top in F.1, Indycar,
Prototipi e Nascar) può tenergli testa in
tema di polivalenza vincente.
rally
un fenomeno da 9 mondiali
Loeb e il copilota Daniel Elena con la Citroën
Xsara nel rally di Argentina nel 2004, l’anno
del primo dei 9 titoli iridati conquistati.
54
prototipi
alla 24 ore di le mans
Il francese ha chiuso al 2° posto la classica
della Sarthe nel 2006 con una PescaroloJudd. In carriera ha corso anche con le GT.
“
Prima di esordire
nei rally sfidavo
gli amici per ore
al videogioco
Colin McRae
Anche Valentino ha conquistato nove
Mondiali. Tra voi due, chi arriverà per
primo a dieci?
«Oggi lui ha più possibilità di me di vincere il decimo. Lo ammiro per ciò che fa,
per la motivazione che ci mette, per essere tornato ai vertici dopo un biennio
in cui non aveva il materiale per stare al
top, per di più contro avversari giovani
che non concedono nulla».
Ha dei rimpianti per aver lasciato i
rally?
«Per me nove o dieci Mondiali non cambiano nulla. L’essenziale è trarre piacere
turismo
lascia il segno nel wtcc
Eccolo nella gara di Macao 2014 con
la Citroën. Nel Mondiale Turismo ha corso
per due anni portando a casa sei successi.
da ciò che faccio, come è stato nei rally.
Poi ho scelto di approfittare del tempo
per fare altre cose, invece di inseguire il
decimo titolo».
IL VIDEOGIOCO
Si gareggia
con 58 auto
Nel 2016 dove gareggerà?
«Non nei rally. Dovrei invece disputare
due o tre gare Rally-Raid con la 2008
Dkr16 in preparazione alla Dakar 2017».
Altre sue passioni?
«La moto: amo le uscite insieme agli amici con quella da enduro. Ne ho anche una
da trial».
SÈbastien Loeb RallyEvo
è il nuovo videogioco di guida
dell’italiana Milestone.
Disponibile per PlayStation 4,
Xbox One e Pc, una
simulazione rallystica cui si
aggiungono la Pikes Peak e
cinque circuiti di Rallycross:
otto le gare del Mondiale rally,
di otto speciali l’una, fedeli
riproduzioni dei tratti iridati
più caratteristici. Le auto
disponibili sono 58: si va dalla
Renault 5 Maxi Turbo alla
Lancer, dalla Delta S4 alla 208
T16 Pikes Peak. Numerose le
modalità: Partita Veloce,
Carriera, Campionato. E
SÈbastien Loeb Experience,
che permette
di rivivere
la sua storia.
Il videogioco
costa € 69,90
(su Steam
a € 39,90).
Dimentica la passione per il volo.
«Possiedo un elicottero Ec120: è molto
pratico, ha uno spazio per i bagagli grande e un motore a turbina importante per
la sicurezza. È divertente, ma serve essere molto delicati coi controlli».
© riproduzione riservata
rally raid
a un passo dal trionfo dakar
Nel 2016 ha corso la prima Dakar della sua
vita, con una Peugeot. Era in testa quando
si è capottato all’ottava tappa. Ha chiuso 9°.
55
ali buraf, jean-francois monier, francois flamand, andre lavadinho
Oltre a lei, Milestone incentrerà un
gioco su Valentino Rossi. Vi conoscete?
«Ci siamo incontrati diverse volte a vari
eventi e abbiamo gareggiato insieme al
rally di Monza del 2011 (vinse Loeb; ndr)».
estRemO/Imprese da record
James Lawrence
50 x 50 x 50
IRONCOWBOY
50 ironman in 50 giorni consecutivi nei 50 stati americani:
è l’impresa di un canadese che ha scoperto il triathlon solo 12 anni fa.
e ha deciso di sfidare i limiti umani “grazie” al crac finanziario degli usa:
«avevo perso tutto, mi restava questa passione. e 5 figli da mantenere»
di silvia guerriero ~ foto di JessaKae
56
sempRe IN sella
James lawrence (39 anni) era entrato nel 2012
nel guinness World records per aver corso
30 ironman in un anno. il 50-50-50 (a sinistra
il percorso) non è stato invece omologato
poiché non si trattava di Ironman ufficiali.
57
in gara
L’Ironman si svolge
su tre distanze: nuoto
in mare aperto (3,86
km), bicicletta (180,25
km) e corsa (42,195 km,
l’equivalente della
maratona).
estremo/James Lawrence
I
l cowboy di ferro è un bel signore
sulla quarantina, con gli occhi azzurro cielo e la barba rossiccia. In
forma, certo, ma all’apparenza nulla
di che. Ma solo perché è vestito. Se
accendete il computer e cercate James
Lawrence in “abito” da gara, che può
essere un costume, un completo da ciclista o calzoncini e maglietta da runner,
strabuzzerete gli occhi: il suo corpo sembra uscito da un libro di anatomia, direttamente dal capitolo sui muscoli. D’altronde uno che si sciroppa 50 distanze
da Ironman in 50 giorni consecutivi nei
50 Stati americani non può che essere
superdotato. Sì, avete capito bene: il signor Lawrence, triatleta canadese di
Calgary residente nello Utah, Usa, la
scorsa estate ha portato a termine l’incredibile 50-50-50, vale a dire 3,86 km
di nuoto, 180,25 km in bicicletta e 42,195
km di corsa ogni singolo giorno, per un
totale di 193 km di nuoto, 9.012,5 km in
bici e 2.109,75 km di corsa in 50 giorni.
In America, manco a dirlo, è diventato
un’icona. Famoso da anni come Iron Cowboy per i cappelli da gringo che indossa
durante le gare, «così i miei figli possono
riconoscermi», è considerato da molti un
mito. Per alcuni, ovviamente, è un pazzo.
Lui invece si vede semplicemente come
«un papà e un marito». Seduto al tavolo
della sala riunioni della Rudy Project,
l’azienda trevigiana che da tempo lo sostiene nelle sue “follie”, James Lawrence
racconta e si racconta con l’aiuto della
moglie Sunny, la classica grande donna
che sta dietro a un grande uomo. «Perché
la famiglia è la mia forza», dice tirando
fuori un telefonino, che userà durante
tutta l’intervista per illustrare la sua
storia. Pronti, via: lui con i figli, la famiglia al mare, i bambini nel lettone… Ce
ne sono tante di immagini, perché di
figli ne ha cinque: belli, biondissimi, che
mostra come neanche una mamma ap-
pena dopo il primo. «Non mi hanno mai
lasciato solo, mi hanno seguito con la
mamma nel motorhome durante tutto il
50-50-50. Mia figlia grande, Lucy, che
ha 13 anni, ha corso con me gli ultimi 5
km tutti i giorni; la seconda, Lily (12),
l’ha fatto per 40 volte. Sono incredibili!».
Ma la cosa forse più incredibile James la
dice alla fine, dopo un’ora di chiacchiere
e dopo aver raccontato che il triathlon
l’ha scoperto solo dodici anni fa, dopo
aver fatto wrestling (all’università) e golf:
«All’epoca lavoravo in banca, ero uno di
quelli che davano i mutui. Ero ricco, infelice ma ricco. Il triathlon era il mio
sfogo. Poi nel 2008, con il crac finanziario negli Usa, ho perso tutto: i soldi che
avevo messo da parte, la casa, la macchina. Anche i mobili ci hanno portato via.
Avevamo 5 figli e ci siamo dovuti trasferire in un piccolo appartamento con due
stanze, non potevamo permetterci neppure il riscaldamento, facevamo fatica a
trovare il denaro per mangiare. Mia moglie si stava laureando in psicologia. A
quel punto ho pensato: che cosa posso
fare per essere felice e guadagnare qualcosa? E ho rischiato, buttandomi nel
triathlon. Non avevo nulla da perdere».
Un bel rischio, faceva questo sport
solo da quattro anni!
«Eppure ho trovato subito qualche piccolo sponsor: nel giro di poche gare guadagnavo mille dollari al mese (poco più di
900 euro; ndr), meglio di niente, no?! E poi
avevo già in testa qualcosa di unico, come
organizzare eventi per beneficenza coinvolgendo grandi marchi, che è poi quello
che ho fatto. Adesso ho un business di
coaching di successo, parlo in tutto il mondo per la Nike, la Redbull, la Disney e alcune società di benessere, mi ha contattato anche la Marina degli Stati Uniti
(Sunny: «E abbiamo una casa con più di
due stanze!»). Mi sono dato molto da fare
58
in compagnia
James prima della
frazione in bici,
assieme ad alcuni
appassionati che
ogni giorno hanno
pedalato (e poi anche
corso) con lui.
“
Ho pianto molto. Tutti i giorni. Per la
stanchezza e per le emozioni. Ma mollare
non l’ho mai considerata un’opzione
jaMes lawrence
per trovare degli sponsor e degli obiettivi.
Come quello dei 30 Ironman in un anno
con cui sono entrato nel Guinness World
Records nel 2012, mandando aiuti in Africa. Stavolta ho scelto di combattere una
battaglia “in casa” cui tengo molto: quella
contro l’obesità, aiutando la Jamie Oliver
Food Foundation che si occupa di educare
i bambini al buon cibo. Abbiamo raccolto
68.000 dollari (circa 62.000 euro; ndr)».
Cinquanta Ironman in 50 giorni nei 50
Stati americani: perché?
«Proprio per sensibilizzare la gente in
ogni parte degli Usa, per coinvolgere tutti sul problema dell’obesità soprattutto
infantile (Sunny: «Voi non potete capire!
In Europa ti stupisci se vedi uno obeso,
negli States se trovi uno magro… E poi è
stato bello, i bambini erano in vacanza e
abbiamo fatto visitare loro tutto il Paese»).
Chiunque poteva iscriversi, fare una donazione e correre con me gli ultimi 5 km.
Era anche una sfida, tutti mi dicevano che
sarebbe stato impossibile; invece io sapevo, dopo i 30 Ironman, che fisicamente e
mentalmente potevo fare di più».
Cosa le hanno detto i suoi genitori?
«Che ero pazzo! E che non ci sarei riuscito. Non capivano perché volessi farlo».
E gli altri?
«I medici me l’hanno sconsigliato. Nessuno ha creduto in me, neanche gli sponsor:
hanno chiesto ai loro dipendenti di scrivere su un foglio quanti Ironman sarei
riuscito a fare… nessuno ha messo 50.
Sunny era l’unica a credere in me».
Solo perché la ama tanto!
«Anche perché mi conosce bene».
Quanto ci ha messo a prepararsi?
«Diciamo 5 anni, perché tutto quello che
ho fatto prima è servito ad arrivare pron59
estremo/James Lawrence
to a questo momento. Negli ultimi due ho
pensato di più anche all’organizzazione».
Qual è stato lo Stato più difficile da
attraversare?
«Sono stati tutti difficili perché ero esausto. Direi però il numero 17, 18 e 19. Avevo
problemi ai piedi, ne avevo uno tagliato a
metà e in Tennessee mi sono addormentato sulla bici e sono caduto, fracassandomi un po’ ovunque».
E lo Stato in cui si è divertito di più?
«Il primo, per l’eccitazione della partenza
e l’energia che avevo addosso, e l’ultimo:
una giornata speciale, ce l’avevo fatta».
Quindi è possibile divertirsi facendo
50 Ironman consecutivi?
«È stato divertente il viaggio, incontrare
tanta gente diversa (Sunny: «Ogni mattina ci aspettavano centinaia di persone
fuori dal motorhome, era pazzesco»). Solo
che a me ci voleva così tanto per svegliarmi, visto che oltretutto non riuscivo mai
a dormire più di quattro ore, che quando
uscivo così stravolto nessuno pensava che
quel giorno ce l’avrei fatta».
“
Per la prossima impresa ho in mente
qualcosa di grande: diciamo che il 50-50-50
è stato un allenamento per farla…
Non ha mai avuto voglia di mollare?
«Mai. C’era sempre un motivo per andare
avanti: i miei figli, mia moglie, le persone
che venivano a incitarmi e a correre con
mefacendomisentireunsupereroe.Quando avevo momenti di sconforto, chiedevo
cinque minuti da solo e piangevo».
james lawrence
Piangeva?
«Ho pianto molto. Tutti i giorni. Per la
stanchezza e per le emozioni. Ma mollare
non l’ho mai considerata un’opzione».
Quanto tempo ci ha messo, dopo, a
riprendersi?
«Tre mesi. Poi ho ripreso ad allenarmi e
adesso che sono al 100% sto per iniziare
la preparazione per la prossima impresa».
Che cosa ha in mente?
«Per ora è top secret, lo svelerò a marzo.
Dico solo che il 50-50-50 è stato un allenamento per la nuova avventura…».
60
l’opinione
non esagerate
con lo sport:
diventa dannoso
di Fausto Narducci
in trionfo
James festeggiato
dalla gente, che gli ha
sempre dato sostegno
e… cibo: parte delle
10-12.000 calorie che
ha assunto ogni giorno
arrivava dai tifosi.
all’arrivo
Iron Cowboy ringrazia
col megafono e, sul
traguardo, posa con la
moglie Sunny (34 anni)
e i figli: da sin. Daisy
(9), Quinn (6), Dolly (8),
Lily (12) e Lucy (13).
Ricorda la prima?
«Certo, l’ho fatta nello Utah a 28 anni, si
chiamava Supersprint: 500 metri di nuoto in piscina, quasi 20 km di bici e 8 km
di corsa. Avevo appena imparato a nuotare: indossavo un tappo per il naso e mi
tenevo attaccato al galleggiante che divide le corsie! Però ho vinto nel mio gruppo».
Ed è stato subito amore…
«Mi sono innamorato dello stile di vita:
chi fa triathlon è molto cool. Mi piace perché devi saper fare tre cose e non una
sola. Perché gareggi contro gente della tua
età. Perché adesso, che lo insegno anche,
sono più presente di un papà con un lavoro normale, poiché il garage è diventato
una palestra e tutto quello di cui ho bisogno è vicino a casa. Ogni giorno preparo
la colazione ai miei figli, li vado a prendere a scuola, pranziamo assieme e passo
molto tempo con loro».
Pensa sia più difficile fare 50 Ironman
o crescere 5 figli?
«Sono entrambe imprese molto dure, ma
quella coi bambini mi dà molte più soddisfazioni».
Il dilemma è antico come l’uomo: lo sport
fa bene o fa male? Non è certo il caso di
dare troppo risalto allo studio del
professore tedesco Uwe Schutz che nel
dicembre scorso ha pubblicato su New
Scientist i risultati di una ricerca durata
sei anni insieme ai colleghi dell’Università
Hospital di Ulm su un campione di 44
partecipanti alla Trans Europe Root Race
del ’99: dopo 64 giorni di corsa dall’Italia
alla Norvegia era stato riscontrato un
restringimento del 6,1% della massa
cerebrale e una forte atrofia della zona
oculare per la prolungata riduzione del
campo visivo. Imprese come quella di
ripetere 50 Ironman in 50 Stati diversi,
però, appartengono sicuramente al campo
delle esagerazioni che abbiamo cercato di
stigmatizzare sulla Gazzetta.
Il problema vero, in effetti, non è tanto
quello di abbandonarsi a facili allarmismi
mostrando tout court i danni della pratica
agonistica ma piuttosto quello di delineare
un campo di azione in cui i benefici
dell’attività sportiva superano
di gran lunga le controindicazioni.
Un compito non facile per educatori,
insegnanti e addetti ai lavori che hanno
spesso a che fare con infortuni prolungati
e crisi di rigetto da parte di chi fa sport.
Limitandoci alla corsa, però, l’esperienza
ci insegna che si tratta di una pratica
a tutti gli effetti salutare, sia pur
traumatica per le articolazioni,
che ha l’unico limite appunto nelle
esagerazioni che si ottengono quando
si richiede troppo al proprio fisico.
Gli studi hanno dimostrato che correre
due-tre maratone all’anno rappresenta
per un amatore il limite massimo a cui
arrivare per sentirsi in salute. Va da sé che
una 100 chilometri o una corsa a tappe nel
deserto sono all’estremo confine di questo
limite così come un singolo Ironman,
che è fra le discipline estreme del triathlon
(corsa più nuoto e ciclismo). Andare oltre
in molti casi significa volersi fare del male.
© rIproDuzIone rIServata
61
S P O R T L I F E
BENTORNATI SUL TRENO
MESTO RITORNO 1966: gli azzurri lasciano l’Inghilterra dopo essere stati eliminati al Mondiale.
DAGLI INIZI DEL NOVECENTO ERA PER NECESSITÀ, OGGI LO SI FA PER RISPARMIARE
(E PER COMODITÀ): IL NOSTRO CALCIO HA RISCOPERTO IL PIACERE DEI BINARI
... in più
74
OCCHIALI WOODONE, LE OPERE DI BALLETTI, SCOOTER ASKOLL, I VINI DI GARDINI
77
84
© RIPRODUZIONE RISERVATA
85
63
ieri e oggi
a sinistra, Gigi
Meroni alla
stazione di Londra
prima di ripartire
per l’italia dopo
l’eliminazione
al Mondiale ’66.
a destra, roberto
Mancini alla
stazione Centrale
di Milano. sotto
a sinistra,
la Germania
mondiale nel ’54;
a destra, il Grande
torino a Bruxelles.
S p o r t l i f e
M A N
S T Y L E
Le nostre squadre di calcio sono tornate
ad affidarsi al treno, per risparmiare.
Certo viaggiando più comode di una volta
u
na volta era il mezzo più rapido e comodo (si fa per dire,
visti i tempi di percorrenza e
la durezza dei sedili). Oggi è
diventato il più economico,
nei casi in cui la destinazione
sia a una distanza ragionevole da suggerire l’uso del treno e non dell’aereo. Perché è proprio del caro, vecchio treno
che le nostre squadre di calcio sono tornate
a servirsi, tanto da legare a sé in alcuni casi
il Frecciarossa di Trenitalia come partner
ufficiale. Così hanno fatto Juventus, Torino,
Inter, Milan, Lazio, Roma, Napoli, Fiorentina, Bologna e Sassuolo, che usufruiscono
regolarmente dell’alta velocità. Binari presidiati da polizia e carabinieri e carrozze
riservate, i club di A si affidano alla ferrovia
per raggiungere in fretta e risparmiando
qualcosa città come Firenze o Bologna par-
64
tendo da Milano o Torino. Niente di male, ci
mancherebbe: due ore scarse passate ad
ammirare scorci tra i più belli d’Italia, come
i paesaggi appenninici e le colline toscane,
non sono proprio da buttar via, sempre che
non si sia impegnati a fissare lo schermo del
cellulare o il vuoto davanti a sé, cuffie nelle
orecchie. Sarebbe in ogni caso un viaggio
più piacevole di quello cui furono costretti
gli azzurri della Nazionale il 25 maggio
1910, direzione Budapest, dove avrebbero
affrontato l’Ungheria nella prima trasferta
della loro storia. La Nazionale partì da Milano e arrivò a Venezia dove si imbarcò sul
piroscafo fino a Trieste. Qui risalì sul treno
verso Budapest. La Federcalcio non aveva
soldi per vagone letto e ristorante: previdente, il mediano Attilio Trerè si era portato
dietro un baule di formaggi e salumi con cui
sfamò se stesso e i compagni.
D I Fa b r I z I o S a lv I o
KoLL, a. Hudson, CLaudio viLLa, Benzi
il mago
a lato, Helenio
Herrera con della
Giovanna
e Guarneri
nell’inter del ’66.
sotto a sinistra, il
capitano del
Manchester
united, Cantwell,
a Londra con la Fa
Cup vinta nel ’63.
a destra,
la nazionale
inglese a victoria
station nel 1933.
© riproduzione riservata
65
S P O R T L I F E
M O DA
A CURA DI IRENE TRAINA - FOTO DI LUIGI MIANO
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COLORI CALDI E GIACCHE MORBIDE. CAPPELLO IN TESTA E SCARPE COMODE.
PER L’UOMO DI OGGI CON L’ANIMA DEL VIAGGIATORE
DI IERI, IN PRIMA CLASSE ALLA RICERCA DI POSTI ESOTICI DA SCOPRIRE
H A C O L L A B O R AT O
66
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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in cotone Ingram
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e pantaloni (€ 95),
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(€ 160). Boots in
pelle Lumberjack
(€ 119,90). Occhiali
da vista Dolce &
Gabbana Eyewear
(€ 250). Orologio
Watchmaker
Milano (€ 220).
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in lino, lana e seta
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ermenegildo
Zegna (€ 195).
Cintura in pelle
Barrett (€ 350).
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Borsalino (€ 296).
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lino e cotone
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e chelsea boots
Church’s (€ 150
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e 149,90). Camicia
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Mattei (€ 119).
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in cotone (€ 270),
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FASHION l AbyrINtH
Icona di stile
Continua la fortunata
Collaborazione (iniziata nel 2012)
tra DaviD Beckham e il Colosso
svedese H&M per il quale l’ex
CalCiatore inglese seleziona ogni
stagione un guardaroba ideale
fatto di pezzi basiCi ed essenziali.
oltre alla CaMpagna pubbliCitaria
sCattata da Mario sorrenti
è stato anCHe girato un video
per i soCial network aMbientato
nel Centro di lisbona (in foto
un’iMMagine di baCkstage).
la Collezione Modern essentials
sarà disponibile in alCuni store
del brand dal 18 febbraio.
Potere casual
Sarà sempre
Carnevale
trent’anni fa strauss Creò doCkers (e i kHaki pants),
brand oggi Celebrato da una Collezione total look
N
el 1986, Levi Strauss & Co. diede vita a un nuovo marchio di
abbigliamento, Dockers (nella foto, la campagna pubblicitaria
di trent’anni fa), introducendo così un nuovo concept nell’abbigliamento maschile, un’alternativa ai blue jeans grazie ai primi
pantaloni “eleganti” e durevoli: i khaki pants. Sei anni dopo, il brand
fu a capo di una vera e propria rivoluzione quando spedì a più di
25 mila aziende americane una lettera chiedendo loro di concedere
ai lavoratori un giorno alla settimana in cui poter vestire casual.
Nacque così il “Casual Friday”, e tutti cominciarono a indossare
tranquillamente i chinos per andare in ufficio. Per festeggiare i
trent’anni di Dockers è nata oggi la prima collezione total look,
quindi non solo pantaloni, ma anche, tra gli altri, trench, abiti
e maglieria, declinati in un unico colore: il khaki, ovviamente.
La collezione verrà lanciata su Dockers.com in questi giorni e in
Europa sarà in vendita esclusivamente presso Harvey Nichols a
Londra e da Printemps Haussmann a Parigi.
F
ino alla prima settimana di aprile è
possibile acquistare negli store United
Colors of Benetton la collezione per uomo,
donna e bambino che il marchio veneto ha
dedicato al Carnevale. Si caratterizza per
grafismi e diverse palette di colore per
pullover, cardigan e T-shirt.
76
a Cura di Carlo ortenzi
Ha Collaborato fabio finazzi
Scimmia europea
Stilisti,
è l’ora
degli
addii
il 2016, seCondo il Calendario Cinese,
è l’anno della sCiMMia. per l’oCCasione
Johnnie Walker Blue laBel propone
di festeggiarlo Con Year of tHe
MonkeY (€ 190), bottiglia di wHiskY
in edizione liMitata Mondiale (Con
1.350 pezzi per il MerCato europeo).
I
l 3 febbraio Stefano Pilati (nella foto) ha dato le dimissioni dal
ruolo di head of design di Ermenegildo Zegna Couture. «Ho
riflettuto a lungo su questa decisione», ha detto lo stilista. «E
dopo un confronto con Gildo Zegna abbiamo concluso che
l’obiettivo per cui ero stato chiamato è stato raggiunto». Solo
due giorni prima, Brendan Mullane (in carica da Brioni dal 2012)
e Alessandro Sartori (da 5 anni con Berluti) hanno lasciato i loro
incarichi di direttore creativo. Non finisce qui: anche Raf Simons,
lo scorso ottobre, aveva lasciato Dior, mentre una settimana dopo
Alber Elbaz era stato licenziato da Lanvin nonostante avesse
risollevato le sorti del marchio. Infine, pare che lo stilista Hedi
Slimane sia pronto a dire addio a Saint Laurent.
Balletti
in mostra
F
ino al 5 marzo, alla galleria Artespressione di
Milano, si può visitare Mauro Balletti, mostra
omonima dedicata al poliedrico artista (fotografo,
pittore, regista, scultore e realizzatore di video
musicali), dal 1973 grafico e fotografo di Mina.
L’esposizione prevede 40 opere in un percorso
che ha portato Balletti a essere ìcreatore” di
immagini e spettatore di una quotidianità captata
nelle sue suggestioni per poi essere riproposta
attraverso imponenti corpi maschili (in foto
Uomo sdraiato) e giunoniche figure femminili
che rimandano a Fellini, Picasso e Balthus.
Camminare militare
lo store giapponese kicks laB e l’artista
singaporese sbtg, alias Mark ong, Hanno
Collaborato per CustoMizzare le sneakers
asiCs tiger gel-lite v (€ 150). il risultato è una
Calzatura sportiva Caratterizzata dall’inContro
di diversi Materiali (Cuoio, nYlon, suede, goMMa)
e Con una forte ispirazione Militare.
© riproduzione riservata
77
Sp ortlife
a Cura di CarLo ortenzi e GianLuCa zappoLi - foto di simone aGostoni
c ult
CK
Profumo
di coppia
due per uno
Wasabi, mandarino,
iris, incenso e legno
di sandalo nell’eau
de toilette spray
Ck 2 Calvin Klein
(100 ml, € 69).
dopo aver reso popoLari Le fraGranze unisex,
oGGi, Con CK 2, CaLvin KLein propone La prima fraGranza
Gender-free, pensata per CeLebrare Le persone
Che si amano indipendentemente daL Loro Genere
© riproduzione riservata
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S p o r t l i f e
v isi o ni
D I
FA B R I Z I O
S C L AV I
vestirsi ad arte
TENDENZA
CoLore
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spazio espositivo
MODA
trenCh Monopetto sFoderato in Cotone e nYLon. paraMontura Con nastro diseGnato.
GiLet in Lana superFine GriGia. CaMiCia di Cotone e Cravatta. tutto di CorneLiani.
COME E PERCHÉ
un Capo CLassiCo reaLizzato però in un tessuto eFFetto CroCCante. È CoLorato
CoMe un Quadro, aCCorGiMento Che Lo rende perFetto anChe aLLa prova
arte. eCCoLo inFatti esposto in una GaLLeria insieMe… aLL’“aMiCo” appendino.
© riproduzione riservata
81
S p o r t l i f e
l ibr i
di enrico aiello
Alex
Honnold,
l’uomo che
non deve
cadere mai
il freesoloist californiano
scala senza protezioni,
un errore gli sarebbe fatale.
«la montagna ha la capacità
di farti sentire insignificante»
altre letture
A
lex Honnold è l’uomo che a mani nude
arrampica pareti lisce come il vetro,
sospeso sul nulla, sempre a un passo dal
baratro. Le sue imprese in solitaria, senza
corde né protezioni, ne hanno fatto una leggenda del free solo. Adesso, con Nel vuoto
(Fabbri Editori), il trentenne californiano si
racconta e ci parla della sua visione del mondo, dell’arrampicata e del suo amore per la
montagna, estremo come le sue sfide.
Ce l’ha avuto un maestro, una figura
da cui ha appreso i fondamentali?
«Non esattamente. Negli anni ho imparato
molte cose osservando diversi bravi compagni di scalate, ma non ho mai avuto un coach
ufficiale o roba simile. Anche se devo riconoscere che, in certi momenti, avere maggiore guida mi avrebbe aiutato».
Arrampicare è principalmente questione di preparazione. La sua qual è?
«Il mio maggior merito è sapermi mantenere concentrato sul non cedere alla paura e
alle emozioni. Non sono poi tanto forte fisicamente, pensando agli altri climber».
La “regola del gioco” del suo sport
è semplice quanto crudele: hai un
solo errore a disposizione. Se va male
tocca “vivere i quattro secondi più
brutti della vita”, per citarla. Evidentemente, però, per lei ne vale la pena.
Perché?
«Domanda complessa. Esistono rischi che
vale la pena di correre nella vita? Guidare,
sciare, eccedere con il cibo, sono attività cui
sono connessi dei rischi, ma in molti ci si
dedicano comunque. Io amo arrampicare e
il free solo è parte del mio modo di essere. Per
cui ne vale assolutamente la pena».
Esiste il confine da non oltrepassare
in termini di rischio, il limite oltre il
quale è meglio rinunciare?
«Esiste un confine ben definito, ma appartiene più alla sfera delle sensazioni personali. Ci sono alcune cose che so di non dover
82
fatto
di sangue
Francesco Ricci
ediciclo
256 pagine - € 15
giudizio
✤✤✤✤✤
» una storia di fantasia quella scritta da
Francesco Ricci, ma c’è tanta attualità. Il
doping, infatti, anche se adesso lo
scandalo dei “motorini” invisibili
montati sulle biciclette sembra avere più
appeal tra i media, continua a essere
una piaga. In questo romanzo, accanto
alla vicenda del campioncino che
sbaraglia ogni concorrenza tra i
dilettanti, ci sono l’amore tra sua madre
e un telecronista ex ciclista e un
direttore sportivo disposto a sacrificare
la salute del suo pupillo pur di fargli
vincere il Giro d’Italia. » un libro che
racconta da dentro la passionaccia per
le due ruote, dalla quale non si guarisce
mai anche se ora il ciclismo è uno sport
un po’ bugiardo.
Luca Bergamin
casa e lavoro
alex honnold, 30
anni, su una parete
strapiombante
e, a destra, l’atleta
del team north
face nel van
che gli fa da casa.
Alex Honnold
con David Roberts
fabbri - 288 pagine
€ 19 (ebook € 9,99 )
giudizio
✤✤✤✤✤
fare e altre dove sento di poter arrivare,
anche se appaiono un po’ folli».
Ama la montagna: per lei rappresenta qualcosa o si tratta solo di pareti
funzionali all’arrampicare?
«Adoro la montagna, ma non saprei definire
che cosa rappresenti per me. Forse mi affascina la vastità della terra paragonata alla
piccolezza dell’uomo, forse perché è un simbolo di potenza o di avventura. In ogni caso
è una grande fonte di ispirazione».
il gigante
sconosciuto
Stefano Ardito
corbaccio
304 pagine - € 19,90
giudizio
✤✤✤✤✤
Fosco Maraini, uno dei “testimoni”
chiamati nel libro a raccontare il mitico
Kangchenjunga, la terza vetta più alta
del mondo, tra il Nepal e il Sikkim, lo
chiama Il Cancenzongà e dice che
“scintilla libero nel sole, coronato da nubi
abbaglianti, come un castello incantato
di marmoree sostanze imperiture”.
Eppure, anche se l’hanno scalata i più
grandi alpinisti di tutti i tempi compresi
Reinhold Messner e Simone Moro,
questa vetta, che nulla ha da invidiare
all’Everest, mantiene un mistero che
Ardito riesce a svelarci. Per chi non può
raggiungere questa terra popolata da
monaci e contadini, e tentare l’ascesa,
ci sono queste belle pagine.
l.b.
Durante un’ascesa qual è la sua impostazione mentale? Testa sgombra da
ogni pensiero, una sorta di trance in
cui ci si isola da tutto, o cosa?
«Resto concentrato in una sorta di condizione di “pilota automatico”, non inteso come
dissociazione totale dei pensieri, ma dell’esecuzione tecnica dei gesti. Almeno questa
è l’intenzione, ma non sempre funziona…».
Lei vive in un furgone. Questione di
praticità o scelta “filosofica”, la stessa visione essenziale che la porta ad
arrampicare senza attrezzatura?
«La scelta del Van è di ordine pratico, anche
se è vero che deriva da una propensione per
la semplicità. Mi piace poter scalare in ogni
momento e il Van mi permette di farlo».
Mai capitato che una sua impresa
venisse accolta con incredulità dalla
© riproduzione riservata
community dei climber? O esiste una
sorta di codice d’onore per il quale
non si dubita delle imprese di un “collega” anche se non ci sono testimoni?
«Una delle cose che ho sempre amato dei
climber è il valore che viene riconosciuto alla
parola di ciascuno. Nessuna delle mie ascese è mai stata messa in dubbio, nonostante
il fatto che per alcune di esse non ci siano
testimoni. Nel nostro ambiente fino a prova
contraria tutti sono considerati onesti».
Mark Synnott, alpinista con cui ha
condiviso varie imprese, ha detto che
“arrampicare è uno sport che ti rimette al tuo posto”. Cosa intendeva dire?
«Penso intendesse che l’arrampicata e la
montagna hanno la capacità di farti sentire
piccolo e insignificante, ti rendono più umile. Per quanto uno possa essere presuntuoso, basta una camminata sotto un temporale
per farti sentire un cane bastonato».
Essere un climber ha avuto un impatto sulla sua personalità?
«Mi ha reso una persona più sicura e aiutato
a considerare le cose nella giusta prospettiva. Molte delle presunte priorità nella vita
reale appaiono molto meno importanti se
paragonate alla continua sfida tra la vita e
la morte insita nel free solo».
Prossimi progetti?
«Sono in partenza per la Patagonia, dove
spero di poter arrampicare cime innevate.
Ma la lista dei posti che ancora mi piacerebbe visitare e scalare è infinita».
In ogni impresa la salita è la parte più
dura e affascinante. Resta un dubbio:
una volta finito da dove si scende?
(ride). «Di solito da uno dei sentieri che stanno dalla parte opposta della montagna.
Ogni tanto però devi calarti in corda doppia
e scendere da dove sei salito…».
83
eric rohr e jimmy chin
nel vuoto
due ruote
S P O R T L I F E
ME G A
MI X
LET IT GLOW
ROVER
WAGRAM/
AUDIOGLOBE
GIUDIZIO
✤✤✤✤✤
musica
DI RAFFAELLA OLIVA
ROVER SA FARE SQUADRA
IL CANTAUTORE FRANCESE, OSANNATO IN PATRIA, VIENE DAL RUGBY E NE FA
TESORO: «ANCHE NEI SUONI E NELLE BAND SERVONO SINTONIA E CARICA»
D
allo sport alla musica. Questa la strada percorsa da Rover alias Timothée
Régnier, cantautore francese osannato in
patria, che da ragazzino sognava di diventare un campione di rugby. Tutto è iniziato
nel 1995 guardando una partita in tv, da lì
l’ingresso nelle giovanili dello Stade
Français Paris, con il suo metro e 90 di
altezza e il fisico possente. Un infortunio
al ginocchio bloccherà la sua carriera di
atleta, che l’ha visto militare anche nel Rugby Club Paris 15. «Ma il rugby lo seguo
ancora», precisa il songwriter 36enne, da
poco passato in Italia per una serie di concerti. «Tre mesi fa ho sofferto per la morte
di Jonah Lomu, un eroe, aveva solo 40 anni». Rugby e musica non sono così lontani,
spiega: «Nelle squadre di rugby così come
nelle band bisogna trovare una sintonia tra
i diversi componenti, ognuno ha le sue qualità e i suoi difetti, e serve una carica comune che permetta a tutti di scendere in campo o di salire su un palco con la voglia di
dare il massimo, ma senza barare, senza
trucchi, senza dimenticare le regole del
gioco e il rispetto per il pubblico».
Il suo secondo disco, uscito lo scorso novembre, s’intitola Let It Glow. «È nato dalla
voglia di far fluire la musica nel modo più
naturale possibile, lasciando anche difetti
e asperità», afferma Rover. «Con il mio
primo disco si era creato un rapporto di
forza tra me e le canzoni, questa volta non
volevo controllo, ma spontaneità». Il suo è
un pop intenso, infarcito di folk e di rock,
un po’ rétro, romantico, decadente, con echi
di David Bowie. «Lui e Serge Gainsbourg
sono artisti a 360 gradi, ma tra le mie influenze citerei anche Bach, i Beach Boys, i
Beatles, gli Interpol», osserva il songwriter.
«Scrivo canzoni per dire ciò che nel quotidiano non riesco a esprimere, da dove arrivi l’ispirazione è sempre un mistero, può
essere un’opera di Van Gogh, pittore che
amo, o un libro, una notizia d’attualità, un
viaggio. E io di viaggi ne ho fatti tanti, oggi
vivo tra Parigi, la Bretagna e Bruxelles, in
passato ho vissuto a New York, in Germania, nelle Filippine, in Libano: esperienze
che, oltre ad arricchirmi come musicista,
mi hanno insegnato a non aver paura dell’altro, dello straniero, del diverso».
84
ECO SCOOTER
A 20 EURO
T
ranquilli, non si tratta di uno scooter
mosso dal motore di una lavatrice, pure
se la Askoll è leader nella progettazione e
produzione di motori elettrici per elettrodomestici e molto altro. È stata proprio la
consapevolezzadi
disporre di un’avanzata tecnica
nel campo dei
motori elettrici a
convincere l’azienda vicentina
a dedicarsi anche
alla mobilità elettrica. Cominciando con una bicicletta a pedalata
assistita (la eB1) e con questo interessante
scooter eS1 interamente madeinItaly. La linea
essenziale e intrigante è concepita attorno
a un motore elettrico brushless alimentato da
due pacchi di batterie al litio da 2.100 Wh
alloggiati nel sottosella, ricaricabili con la
rete domestica attraverso una normale presa Schuko e asportabili disgiuntamente in modo agevolissimo così da poter essere
ricaricate anche in
casa in un tempo (da
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ciascuna.Autonomia
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tra i 70 km (a velocità di oltre 45 km/h in
modalità Power, come nel nostro test) sino
a oltre 100 nella modalità Eco (velocità sino
a 35 km/h) passando per quella “normal”.
Recupero energia in frenata. Leggero, ha
buona stabilità e comfort anche sul pavé
cittadino, molto bene i freni, pronta l’accelerazione. Con una percorrenza media giornaliera di 20 km, il costo energetico è di
circa 20 euro l’anno, senza contare la gratuità del bollo per i primi 5 anni e il dimezzamento del premio assicurativo. In futuro ci
sarà anche una versione biposto (equivalente a un 100 cc) e poi una city car.
gym
in cantina
DI SABRINA COMMIS
DI LUCA GARDINI
VUOI DIMAGRIRE?
BALLA IN SALOTTO
UNA SCALATA
DI QUALITÀ
NIENTE PALESTRA: PER PERDERE PESO
CI SI PUÒ AFFIDARE A VIDEOGIOCHI
DANCE, DALL’HIP HOP AL TANGO
SULLE SALITE DI MONTALCINO
L’AZIENDA BIANCHINI IMBOTTIGLIA
UN SANGIOVESE D’ECCELLENZA
I
M
n inverno si fanno i conti con la bilancia. «In media, da novembre a gennaio, si mettono su dai 3 ai 4 chili», afferma
Andrea Strada, professore di nutrizione
clinica all’università di Parma. «Le cause? Aumento nel
consumo di alcol, dolci, cibi
grassi, diminuzione dell’attività fisica a causa
del freddo». Per
tornare in forma
usate testa e tecnologia e ballate
in salotto. Just
Dance 2016, il videogioco più venduto al
mondo, utilizza console Wii, Wii U,
Xbox, PlayStation. Sviluppato da Ubisoft, ha fatto ballare nel mondo più di
100 milioni di persone, celebrity incluse.
«Si può scegliere con cosa allenarsi e
divertirsi. L’offerta è vasta, 40 le nuove
hit. Si va dalla break dance ai balli latini, dalla disco dance all’hip hop al tango», spiega Andrea Carollo, personal
trainer. «Basta attivare la modalità Just
Sweat con cui è possibile personalizzare
il training in base ai brani musicali preferiti e scegliere la playlist. Allenamento, calorie bruciate, risultati della sessione vengono registrati all’interno di
un profilo personale insieme al tempo
trascorso e al numero di brani riprodotti. Bastano due sessioni a settimana per
risultati garantiti». Il costo è di 40 euro,
info su just-dance.ubi.com.
Un’alternativa è il videogioco Zumba
fitness world party. I video con i maestri
spiegano passi e coreografie, in più si
può scegliere grado di difficoltà delle
sequenze, ritmo della musica e stabilire
così quante calorie bruciare. Il prezzo è
di 24,90 euro e le info si trovano su www.
zumbafitnessgame.com.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
ontalcino è una collina piena di
storia, di salite e di vigne. Tra chi
ha contribuito a fare grande questo territorio, va sicuramente citata la tenuta
che fu di proprietà della famiglia Ciacci
Piccolomini d’Aragona e oggi appartiene
alla famiglia Bianchini. Castelnuovo
dell’Abate, frazione in cui si trova l’azienda, è situata nella parte sud-est della
collina di Montalcino. Per arrivarci bisogna affrontare un su e giù di pendenze che le piante, solo e rigorosamente di
varietà Sangiovese, sopportano senza
fatica; in questo caso al pari di Paolo Bianchini, attualmente alla guida dell’azienda. Che, da ciclista vero, non solo sa arrampicarsi in bicicletta sui dislivelli del
territorio di Montalcino, ma anche, questa volta grazie alle etichette che produce, sulla ripidissima scala qualitativa che
caratterizza i vini che appartengono a
questa eccellenza enologica nazionale.
LE SCELTE
BRUNELLO DI
MONTALCINO
PIANROSSO 2010
MERITO ANCHE
DI UNA GRANDE ANNATA,
IN BOCCA È AMPIO MA
ANCHE TESO. SA DI ROSA
ESSICCATA, CILIEGIA,
LIQUIRIZIA E TABACCO.
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DI MONTALCINO 2011
Sorso fruttato,
potente, ma che, grazie
a una vena balsamica,
riesce a esprimere
grande eleganza.
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ROSSO
DI MONTALCINO 2012
Sempre a base
Sangiovese, ideale con
una grigliata di carne.
€ 15
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S P O R T L I F E
ME G A
MI X
comics
app
DI FABIO LICARI
DI MARCO CONSOLI
IL TENNISTA
TRA AGASSI
E FEDERER
QUESTO GOLF
NON TI DÀ BUCA
OTTIMA FRUIBILITÀ E GRAFICA
MOLTO CURATA PER IL WORLD
GOLF TOUR MOBILE GAME
OSSESSIONATO DAL PADRE COME
ANDRE, PERFETTO COME ROGER:
È MAX WINSON, GRAN FUMETTO
I
l golf vanta un’offerta molto ampia di
simulazioni ludiche. Tra queste non
bisogna perdersi Wgt: World Golf Tour MobileGame, che rispetto alla media offre una
grafica verosimile, basata su una serie di
campi ben riprodotti, tra cui Pebble Beach
e St Andrews. È sufficiente far scivolare le dita sul
display per dare la giusta
potenza allo swing e poi
WGT MOBILE
bloccare la rotazione al
GAME (iOs,
momento giusto per diriAndroid; gratis)
gere il tiro e tentare di
GIUDIZIO
guadagnarsi un birdie, a
✤✤✤✤✤
dispetto del vento che infastidisce la traiettoria. Il bello del gioco
è la sfida con altri utenti pescati online,
che possono diventare amici ed entrare
nella community: in palio ci sono crediti
virtuali (che si possono anche acquistare)
per ottenere mazze, palle e bonus che facilitano i colpi: serviranno a migliorare
la crescita di livello del proprio atleta.
I
l più grande tennista di tutti i tempi è
l’uomo più infelice della Terra. Max
Winson è l’atleta troppo perfetto. Assistito da un padre isterico che lo obbliga
a una non vita di allenamenti. Circondato da una corte di manager avidi e
senza scrupoli. Max non ha mai perso
una partita: un colpo un punto, una
macchina senz’anima come il suo tennis.
Ma sta per succedere qualcosa che ne
sconvolgerà l’esistenza, finalmente…
Ognuno è libero di trovare i suoi riferimenti, di pensare che il rapporto di Max
col padre sia come quello di Agassi col
genitore. Di immaginare che anche nel
tennis al computer di oggi, batti e vinci,
ci sia spazio per i Federer raccontati con
matita e dialoghi poetici. Questo è un
grande fumetto ed è bello lasciarsi trascinare da Max Winson, struggente,
surreale e verissimo. Con fisionomie e
montaggio di Eisner, con sguardi alla
Breccia per i cattivi, o alla Manuel Fior
nei momenti di commedia, il francese
Jérémie Moreau racconta meravigliosamente il tennis sport di uomini, sentimenti. E sconfitte.
ALTRE APPLICAZIONI
GOLF STAR
MAX WINSON
JÉRÉMIE MOREAU
BAO
328 PAGINE, € 23
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(iOs, Android; gratis)
Nonostante una
fisica della pallina
convincente,
questa simulazione
si colloca nel novero
dei videogame da bar.
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86
LONELY ONE
(iOs, Android; gratis)
È perfetto per
rilassarsi questo golf
in cui bisogna andare
in buca in un colpo
solo con meccaniche
da Angry Birds.
GIUDIZIO
✤✤✤✤✤
cinema
DI ALDO FITTANTE
CHE SQUADRA
IL CAMPIONE
DI RISATE
CON BEN STILLER NEL SEQUEL
DI ZOOLANDER CI SONO DAVVERO
TUTTI, DA STING A MIKA A HAMILTON
T
anta roba e tanta Roma (Ben Stiller ha
girato nella Capitale più o meno negli
stessi giorni dell’ultimo James Bond), ma
anche tanta moda italiana (Valentino su
tutti) nel sequel del film del 2001 che anticipò la moda dei selfie, diventato cult in
dvd dopo un’uscita in sala non proprio
esaltante. Invariati i protagonisti di allora
(Ben, Wilson, Ferrell e Christine Taylor,
moglie, nella vita, di Stiller), new entry prorompenti come Penélope Cruz (esplosiva,
erotica, autoironica, sportiva) e Benedict
Cumberbatch (una trans che ha già scatenato polemiche) per una storiella che vede
il ritorno dei “figosi” Derek e Hansel, affiancati da Valentina (la Cruz), ex modella
di costumi da bagno ora agente dell’Interpol. Qualcuno sta eliminando «i più belli
del mondo» e Derek Zoolander si convince
a lasciare la vita ritirata da «granchio eremita» che aveva scelto perché suo figlio è
in pericolo. Nel vorticoso tour promozionale (Zoolander 2 è uscito ieri praticamente in ogni dove), Stiller è approdato anche
nella sede del Real Madrid, che per l’occasione ha realizzato una maglietta celebrativa. Citazioni colte (persino Vittorio De
TEMPIO
MADRILENO
Ben Stiller al Santiago
Bernabeu per
la presentazione
del Ƃlm. Sotto, tra
Owen Wilson
e Penélope Cruz.
ZOOLANDER 2
di Ben Stiller
con Penélope Cruz, Owen
Wilson, Will Ferrell
(Usa 2016, 102’).
Da giovedì 11 febbraio
televisione
cucina pop
DI LUCA CASTALDINI
DI DAVIDE OLDANI
IL CALCIO
DI VIALLI
È UN “INCUBO”
PASSIONE
INGREDIENTE
PRINCIPALE
SU MTV L’EX JUVENTINO
E AMORUSO SARANNO ALLE PRESE
CON CALCIATORI IMPROVVISATI
INTESA COME FRUTTO, ALLA QUALE
NON BISOGNA ATTRIBUIRE PERÒ
IMPROBABILI POTERI AFRODISIACI…
N
el piatto di oggi ci metto la passione,
sì, insomma il frutto della passione,
con tutto il suo sapore caratteristico e il
suo fascino esotico. Anche se, va detto,
si chiama frutto della passione perché le
caratteristiche del suo fiore ricordano la
Passione e la Crocifissione , non per improbabili poteri afrodisiaci che qualcuno
gli attribuisce. E poi, e anche questo non
va dimenticato: qualsiasi piatto ben fatto, gustoso e invitante, a tavola un po’ di
passione ce la porta, o no?
GIUDIZIO
✤✤✤✤✤
Sica) e cast affollato: oltre ai personaggi
principali, camei di Sting (per una parodia
di Star Wars), Susan Sarandon (in una scena “bollente”), Mika (fa il parrucchiere) e
Madalina Diana Ghenea (la bellissima
venere che esce dall’acqua di Youth. La
giovinezza, fresca conquista – pare – di
Marco Borriello). Mentre Macaulay Culkin
(il bambino di Mamma, ho perso l’aereo, oggi 35enne), Anna Wintour (la direttrice di
Vogue), Justin Bieber, Susan Boyle, Kate
Moss, Katy Perry, John Malkovich, Miley
Cyrus, Naomi Campbell, Ariana Grande,
Kiefer Sutherland, Usher, Demi Lovato,
Kim Kardashian (con coniuge West al seguito), Milla Jovovich, Lenny Kravitz e
Billy Zane (gli ultimi tre già presenti nel
primo Zoolander) interpretano se stessi.
Così come Lewis Hamilton, il campione
del mondo di Formula 1. Comicità demenziale (molto cool) per puri aficionados.
POVERI LORO
Amoruso e Vialli con una delle loro squadre.
L’
incubo (nei titoli) non finisce mai.
Prima ci sono state le “Cucine” di
Cannavacciuolo (prendetela voi una pacca sulle spalle dallo chef gigante), poi i
“Giardini” di Lo Cicero (ex pilone della
Nazionale: basta la parola). Adesso, per
le “Squadre”, nightmare raddoppia: “il
braccio” Lorenzo Amoruso e “la mente”
Gianluca Vialli saranno i conduttori di
Squadre da incubo (dal 18 febbraio, ogni
giovedì alle ore 21.15 su Mtv8), format
nel quale l’ex capitano dei Rangers e l’ex
bomber di Samp, Juve e Chelsea alleneranno per una settimana ciascuna sei
formazioni “diversamente competitive”:
Sezze Scalo (Lt), Martirano Lombardo
(Cz), Giffoni Valle Piana (Sa), Buttrio
(Ud), Carunchio (Ch) e Roma Nord. All’inizio, i due allenatori avranno a che fare
con problemi di spogliatoio, disorganizzazione e strutture fatiscenti. Vialli versione “boss in giacca e cravatta” e Amoruso “sergente di ferro col fischietto” ci
proveranno con team building, dinamiche comportamentali e manageriali. Ce
la faranno?
© RIPRODUZIONE RISERVATA
BARBABIETOLA ARROSTITA,
FRUTTO DELLA PASSIONE E SCAROLA
INGREDIENTI PER 4 PERSONE
PER LA BARBABIETOLA:
y 2 barbabietole
y 2 g di sale Ƃno
PER LA SALSA:
y 100 g di succo di frutto della passione
y 50 g di acqua
y 1 g di sale
y 2 g di zucchero
y 2 g di maizena diluita in acqua fredda
PER LA FINITURA:
y 100 g di scarola
y 2 g di sale
y 2 g di olio extravergine d’oliva
Per la barbabietola: avvolgere
le barbabietole nell’alluminio con il sale
e cuocere in forno a 180° per circa 50’.
Togliere dal forno e far freddare.
Sbucciare e tagliare in fette alte
un centimetro, arrostirle in padella.
Per la salsa: in una pentola portare
a bollore il succo, l’acqua, lo zucchero
e il sale, legare con la maizena e Ƃltrare.
Per la Ƃnitura: far arrostire la scarola
in una padella con l’olio e il sale.
Disporre il trancio di barbabietola
nei piatti con la salsa e la scarola.
87
RENAULT MEGANE
Lunga 4.359 mm, alta 1.447,
larga 1.814, passo di 2.669 mm,
ha un bagagliaio che parte
da 384-434 litri. La versione base
è la Life con motore 1.2 benzina
da 100 cv. Da € 18.650
S P O R T L I F E
AU T O
VARIETÀ
La nuova Megane è proposta
in cinque allestimenti,
il più ricco è il GT Line.
Nel corso dell’anno ci sarà
anche la sportiva GT
(a destra in questa foto)
griffata “Renault Sport”.
RENAULT
La Megane
fa i muscoli
PIÙ LUNGA, PIÙ BASSA E MOLTO GRINTOSA:
ECCO LA QUARTA SERIE DELLA VETTURA FRANCESE,
DIVENTATA ANCHE SUPER TECNOLOGICA. E PER
QUALCHE EMOZIONE IN PIÙ OCCHIO ALLE VERSIONI GT
DI CARLO CANZANO
U
na faccia, un corpo e un lato B completamente nuovi e anche ben riusciti. Per la quarta serie – in vent’anni – della Megane che debutta nelle
concessionarie italiane nel weekend del
20-21 febbraio, i designer della Renault non
si sono certo risparmiati. E si sono ispirati
più alla neonata “ammiraglia” Talisman
che non alla più piccola Clio, che quattro
anni fa ha certificato il cambiamento stilistico della Casa francese. Grintosa, in qualche tratto quasi muscolosa, anche grazie
alle diverse dimensioni: è più lunga, più
bassa, con passo e carreggiate aumentati
rispetto alla precedente versione.
Il totale cambiamento riguarda pure l’abitacolo, con materiali e tratti stilistici propri
delle recenti Renault più grandi, Talisman
ed Espace, con un bel disegno della plancia
e della consolle centrale sulla quale spicca
il grande schermo touch, una sorta di tablet
in posizione verticale. In questi interni che
nelle diverse versioni sconfinano in una
categoria superiore grazie anche a sistemi
sfiziosi come il Multisense, che prevede
illuminazione differente a seconda dello
stile di guida impostato (che incide – beninteso – su risposta del motore, dell’acce-
leratore e del cambio automatico dove previsto) oltre che la funzione massaggio per
il sedile del guidatore.
Dotazione high tech completa, nelle versioni top, con cruise control adattativo,
head up display, frenata di emergenza
autonoma, monitoraggio della distanza di
sicurezza, lane assistant, e parcheggio
assistito con sensori e telecamere. Parecchio utile, quest’ultimo, considerato che
88
© RIPRODUZIONE RISERVATA
– come abbiamo constatato nel nostro test
– la bontà delle linee deve pagare qualcosa alla visibilità. Nelle possibili motorizzazioni (a benzina gli 1.2 turbo 4 cilindri
da 100 e 130 cv, a gasolio i 4 cilindri turbo
da 90 e 110 cv e il nuovo 1.6 da 130) abbiamo scelto quello – collaudatissimo – che
sarà probabilmente il best seller della gamma, cioè il 1.5 da 110 cv e 260 Nm di coppia,
abbinato al cambio automatico Edc doppia
frizione a 6 rapporti, nel dotato allestimento Intens.
Abbiamo riscontrato che i tecnici hanno
trovato un buon compromesso tra comfort
e guidabilità. Megane è precisa, dotata di
una buona agilità; il cambio Edc funziona
bene, pur se ci è parso non troppo rapido
in una guida brillante. Il motore, come ci
aspettavamo, fa il suo dovere e con consumi
inferiori ai 5,5 litri/100 km. La sensazione
è che Megane possa fare molto bene con la
versione più sportiva, la GT, che sarà disponibile più avanti, con motori 1.6 benzina da 205 cv o diesel da 165. Insieme alle
versioni “normali” e con le stesse motorizzazioni (eccetto le due “minori”) arrivano
anche le versioni GT line, caratterizzate da
allestimenti completi e linee più grintose a
partire da 24.950 euro.
STAFF
OPEL
GT, è un altro ’68?
DALLA CONCEPT CHE VEDREMO A GINEVRA POTREBBE
DERIVARE UNA PICCOLA SPORTIVA, COME 48 ANNI FA
TESTATA DI PROPRIETÀ DE “LA GAZZETTA DELLO SPORT SRL” - A. BONACOSSA
DIRETTORE RESPONSABILE: ANDREA MONTI
VICEDIRETTORI: GIANNI VALENTI (VICARIO), PIER BERGONZI,
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©RCS MEDIAGROUP SPA - DIVISIONE QUOTIDIANI
SEDE LEGALE: VIA RIZZOLI, 8 – MILANO
ACCERTAMENTI
DIFFUSIONE STAMPA
CERTIFICATO N. 7967
DEL 9.2.2015
DIRE T TO DA
MATTEO DORE
UFFICIO CENTRALE
FILIPPO CAROTA (art director), GIANLUCA GASPARINI (caposervizio),
NICOLA OCCHIPINTI (vice caporedattore)
REDA ZIONE
ANDREA ARCOBELLI (vice caposervizio), FABIO MARINELLO (vice caposervizio),
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NAIMA MANCINI (photo editor), FABRIZIO SALVIO, MONIA URBAN
RICERCA ICONOGR AFICA
DONATELLA MARCUZZO
SEGRETERIA
DANIELA MADOTTO
tel. 02-62.82.77.32 - fax 02-62.82.77.46 - e-mail: [email protected]
FA S H I O N D I R EC TO R
ALESSANDRO CALASCIBETTA
[email protected]
Fashion Editor: CARLO ORTENZI
Non può sorprendere con
quegli pneumatici anteriori
rossi che paiono generare il fil
rouge che divide la carrozzeria
in modo orizzontale. Ma
la GT Concept che la Opel
presenterà al Salone di Ginevra
(dal 3 al 13 marzo) potrebbe
non essere soltanto un
interessante esercizio di stile,
bensì il prototipo da cui
derivare una piccola sportiva.
Proprio come accadde nel
1968 con la Opel GT, figlia
della Experimental GT, primo
esempio di concept car
presentato da una Casa
europea (nel ’65).
La Opel GT ebbe grande
successo, la chiamavano anche
la piccola Corvette (pure lei
della General Motors) come
la sportiva americana, con
un lungo cofano anteriore e
l’assenza di quello posteriore.
Stesso stile di questa GT
Concept che monta il motore
1.000 tre cilindri turbo in
alluminio di Adam, Corsa e
Astra. Una coupé di soli 1.000
kg capace di toccare i 215
km/h. A quando la nuova GT?
PRECEDENTE
ROSSO
Tre viste della
GT Concept.
Gli pneumatici rossi
hanno un precedente
in casa Opel con
la motocicletta
Motoclub 500 del 1928
(all’avanguardia come
veicolo per i tempi),
che montava gomme
proprio di quel colore.
H A N N O C O L L A B O R AT O
Enrico Aiello, Claudio Arrigoni, Luca Bergamin, CAMP, Carlo Canzano,
Silvia Cimini, Sabrina Commis, Paolo Condò, Marco Consoli,
Giovanni Cortinovis, Michele Dalai, Fabio Finazzi, Aldo Fittante,
Luca Gardini, Luigi Garlando, Gene Gnocchi, Fabio Licari, Fausto Narducci,
Davide Oldani, Raffaella Oliva, Gioele Panedda, Raffaele Panizza,
Massimo Parrini, Massimo Perrone, Fabrizio Sclavi, Nicola Sellitti,
Irene Traina, Lanfranco Vaccari, Sebastiano Vernazza, Gianluca Zappoli
PER LE IMMAGINI
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89
H e r o e s
dd
u
B
a
l
Zo
di M
i
ic h ele dala
C’
era qualcosa di struggente e poetico nella
corsa di Zola Budd, forse la falcata ampia ma
leggera, i piedi nudi sul tartan, forse l’idea di
una sofferenza più nostra che non sua, lei che
invece sembrava del tutto a suo agio in mezzo
a donnoni più alti di lei di qualche spanna, loro e le loro scarpette chiodate. Magari era meno nobile il meccanismo che l’aveva portata a gareggiare a Los Angeles, un’Olimpiade che
avrebbe potuto solo guardare in televisione se non
avesse scelto di cambiare nazionalità e abbandonare la sua bandiera (il Comitato olimpico aveva escluso il Sudafrica, ancora fiero baluardo dell’apartheid) per gareggiare sotto
quella inglese, una pratica burocratica
tanto veloce e senza intoppi da entusiasmare i tifosi dell’efficienza british e lasciare enormemente perplessi i tifosi in genere, quelli che amano l’atletica come
eccezione alla regola del furbo e non come
confermadiognicattivopensierosullosport.
Aveva 18 anni Zola, il viso dolce attraversato
da nuvole veloci di rabbia, concentrazione, la
voglia di fare qualcosa di memorabile.
L’11 agosto si corre la finale dei 3.000 metri donne e
Zola non è la favorita in senso assoluto ma poco ci manca. Ha
l’età e la spregiudicatezza dei campioni e poco importa se Mary
Decker corre in casa e ha promesso fuoco e fiamme. Zola parte
bene e tiene il suo ritmo, sta davanti per non rischiare di rimanere schiacciata dalle altre, per non ritrovarsi in quella mattanza che può diventare la corsa nel gruppo. Ma non basta. La
Decker la incalza e le due si toccano una prima volta, un contatto pericoloso come tutti quelli che spezzano l’armonia di una
corsa, la frequenza perfetta dei passi, i piedi che rimbalzano
sul terreno e spingono in avanti come molle. Un contatto catti90
© riproduzione riservata
vo come tutti quelli non casuali, sempre nella zona grigia delle
responsabilità, perché tra chi tocca e chi viene toccato è difficile stabilire l’intenzione e il danno.
Passano pochi secondi e capita di nuovo, sono gli attimi che
compromettono per sempre le possibilità di medaglia delle
duellanti. La Decker si avvicina di nuovo e Zola fa una cosa
terribilmente istintiva e definitiva. Sono passati cinque minuti dall’inizio della gara e le due si sono alternate in testa,
Zola con la canotta bianca e il pettorale 151, la Decker
con la divisa rosso fuoco della nazionale americana, il numero 373 e la convinzione di chi non
può perdere davanti al suo pubblico.
Solo che c’è troppo agonismo per pensare a
un ex aequo, di primo posto se ne assegna
uno solo e chi non lo conquista perde per
sempre. All’altezza della linea del traguardo, appena prima, Zola incrocia la corsa
della Decker, allarga la gamba sinistra e
la fa cadere. Una brutta caduta, dolorosa,
una specie di tackle calcistico portato da
Davide a Golia, un volo rovinoso. La Decker
esce di scena e il pubblico non la prende bene.
Un diluvio di fischi su Zola, che forse si rende
conto del pasticcio e all’improvviso sente il peso esile
dei suoi 18 anni, della poca esperienza e dell’incapacità di
reggere a un muro di ostilità come quello di Los Angeles. Visibilmente scossa, Zola rallenta e perde posizioni. Arriva
settima, l’oro se lo aggiudica la romena Maricica Puica, le
duellanti perdono entrambe. Zola viene prima squalificata e
poi riabilitata, la Decker rifiuta le sue scuse, De Coubertin
piange da qualche parte lassù, è una delle pagine meno nobili dell’atletica olimpica (doping escluso, s’intende). Zola Budd,
la prima eroina da bancone: il sospetto che più che una piccola teppista fosse una lottatrice, una vera.
@micheledalai
cesare galiMberti
Quel tackle a piedi nudi
che ha segnato l’atletica