I 5 parametri di Maastricht

Transcript

I 5 parametri di Maastricht
Percorso di formazione
1 Febbraio 2012
Presentazione a cura di Maurizio Astuni
Parte 1 – Le principali grandezze in gioco, breve glossario commentato a cura Lorenzo Briccolani.
1. Il PIL , che la somma dei ricavi del paese ( valore complessivo dei beni e dei servizi
prodotti in un paese in un lasso di tempo) –
2. La spesa pubblica , sono le uscite dello stato, sia di parte corrente che di investimento
3. Il debito pubblico , che insieme alle tasse /entrate serve a finanziare la spesa pubblica ,
quando le entrate non sono sufficienti4. Il deficit pubblico , che e’ la differenza tra le entrate(rappresentate prevalentemente dalle
tasse) e le spese pubbliche ( che vengono allocate in varie voci tra cui anche la spesa per gli
interessi da pagare sul debito) –
Nel caso in cui le Entrate siano superiori alle uscite si parla di Avanzo pubblico .
5. Tasso di interesse e’ la remunerazione che percepisce chi presta denaro o sottoscrive titoli
di debito.
6. Tasso di inflazione e’ la crescita dei prezzi dei beni /servizi ; se l’inflazione e’ superiore al
tasso di crescita dei salari si assiste ad una perdita del potere di acquisto
Breve spiegazione
Il deficit o disavanzo pubblico è l'ammontare della spesa pubblica non coperta dalle entrate,
ovverosia quella situazione economica in cui, in un dato periodo, le uscite dello Stato superano le
entrate.
Il disavanzo è dunque un risparmio pubblico negativo, al contrario del surplus o avanzo pubblico,
che è risparmio pubblico positivo (quando le entrate superano le spese);
L’ avanzo primario considera la differenza tra entrate ed uscite al netto della spesa per interessi sul
debito pubblico.
La spesa pubblica è composta dagli acquisti pubblici e dai trasferimenti alle amministrazioni locali,
alle imprese e ai singoli (sottoforma di pensioni e altri tipi di sussidi, come quelli di
disoccupazione).
Per far fronte a tali uscite lo Stato incassa imposte di sua competenza, quali le imposte DIRETTE
come quelle sul reddito dei singoli (IRPEF) e sul reddito delle società (IRES), e INDIRETTE, come
l'IVA.
Il saldo negativo tra entrate ed uscite rappresenta il deficit o disavanzo. La presenza di tale deficit
pone la questione della sua copertura.
Questa avviene solitamente con l'emissione di titoli di stato da parte del Tesoro come BOT e CCT,
che vanno a costituire il debito pubblico, sul quale lo Stato emittente paga degli interessi che
contribuiscono a loro volta alle uscite.
In passato per colmare il deficit si faceva ricorso all'emissione di moneta, soluzione abbandonata
quasi ovunque nel mondo perché ha effetti fortemente inflattivi , cioe’ fa crescere a dismisura i
prezzi dei beni , riducendo il potere di acquisto dei cittadini ( grande inflazione in Germania nel
dopoguerra)
Anche se il deficit pubblico viene misurato in termini assoluti, indicando il suo ammontare in euro o
nella moneta in cui è espresso, gli economisti preferiscono valutarne le dimensioni relative,
rapportando il deficit al Prodotto interno lordo del paese. Tale rapporto costituisce, peraltro, un
parametro essenziale per il rispetto del Patto di stabilità e crescita per gli Stati membri dell'Unione
Europea che rientrano nell'eurozona.
RAPPORTO DEFICIT / PIL
La presenza di un deficit si può attribuire ad un eccesso di spesa (causata da spese inattese o
straordinarie, come una guerra o una catastrofe naturale, oppure da politiche economiche di
sostegno alla domanda, da scelte politiche finalizzate a creare e mantenere il consenso politico;
dall'incapacità o dalla mancanza di volontà di ridurre le spese superflue) e/o a insufficienti entrate
(ad esempio politiche fiscali deboli, alta evasione fiscale, bassa crescita economica, che portano
nelle casse statali meno denaro di quanto necessario a coprire i costi della pubblica
amministrazione).
RAPPORTO DEBITO/PIL
Per chi vuole saperne di piu’
Il collegamento tra deficit pubblico e debito pubblico e’ ben spiegato nella dispensa allegata “
DEBITO PUBBLICO ITALIA” , che analizza la formazione e le cause del debito e soprattutto la
modifica strutturale dei sottoscrittori del debito stesso nel periodo 1995-2011.( Dispensa 1)
Principali aspetti da segnalare :
elevata incidenza del debito , che era esploso per le politiche di “pagamento del consenso( pensioni
facili e posti di lavoro assistenziali) degli anni ’70.
Inversione di tendenza dopo il 1992 ( 121% nel 1994 fino al 103% del 2007 ) , ma comunque ben
lontano dai parametri di Maastricht .
Nel 2007(nel momento migliore) il debito italiano in valore assoluto e’ inferiore solo a
USA,Giappone e India .Dal 2008 peggioramento a causa della crisi torna a cresce fino ad oggi (
125%)
Nel 1995 il 90% era in mani italiane oggi solo il 44% .
L’analisi dell’andamento e della composizione della spesa pubblica in Italia sono spiegate nella
dispensa allegata “ SPESA PUBBLICA ITALIA” ( Dispensa 2)
Spesa sempre superiore alla entrate , con punte molto negative e graduale peggioramento nella
qualità , con bassa percentuale di spese per investimento ( oggi solo il 5% del totale).
Le politiche di crescita attraverso il deficit e il debito possono essere utili ma devono essere
temporanee ; non possono essere strutturali .
Parte 2 - L’equazione del PIL --- a cura Matteo Dellepiane
Il busillis su cui stanno dibattendo tutti i Paesi e’ la crescita “sana “ del PIL .
PIL = Consumi + Investimenti + Spesa pubblica + (EXP - IMP)
Ora e’ evidente che per far crescere il PIL bisogna fare in modo che una o più delle suddette
variabili aumenti il suo valore rispetto all’anno precedente
Prima variabile
i consumi , a cosa sono legati i consumi ? al livello di reddito e alle aspettative di mantenerlo;, sui
libri di economia c’e’ scritto che a parità di reddito complessivo la propensione marginale al
consumo e’ tanto piu’ alta tanto piu’ il reddito e’ basso e quindi piu’ il reddito complessivo di un
Paese e’ ben distribuito ,maggiore sarà il livello di consumo medio a a parità di tutto il resto.
Se si vigilasse affinchè in un Paese non si arrivasse ai livelli di eccessiva sperequazione reddituale
che un economia dopata dalla speculazione porta in dote , probabilmente con lo stesso reddito lordo
attuale si avrebbe un livello di consumo medio piu’ alto .
Le aspettative di mantenerlo aumentano la capacità di consumo perche’ se una persona sa che tra
due anni avrà ancora il lavoro può pianificare di fare il mutuo sulla casa e spendere il 100% del
reddito disponibile.
Quindi per far ripartire i consumi bisogna fare una corretta politica dei redditi e dare stabilità – nel
rispetto dell’efficienza- all’occupazione , ma per far questo ci vuole un progetto paese e non ci si
mette pochi giorni , quindi la ripartenza dei consumi a breve sarà stimolata con il solito doping
finanziario o con qualche incentivo di natura fiscale .
.
Seconda variabile
Far ripartire gli investimenti e’ ancora piu’ difficile , perche’ prima devono ripartire i consumi in
modo stabile e non con stimoli una tantum e a quel punto si possono programmare gli investimenti,
che hanno bisogno pertanto
a) di una prospettiva di vendere i prodotti/servizi derivanti dall’investimento
b) di una provvista finanziaria a medio termine ad un tasso ragionevole
In questo momento con la crisi globale e quella specifica del nostro Paese mancano sia la
prospettiva che la disponibilità di fonti a medio termine da parte del sistema bancario
Terza variabile
Per utilizzare ancora di piu’ la spesa pubblica , che ha gia’ livelli molto alti in Italia (oltre il 50% del
PIL) , bisognerebbe a parità di deficit e tenendo presente l’impegno del pareggio di bilancio nel
2013 o aumentare ancora la tassazione diretta sulle persone o le imprese o quella indiretta sulla
vendita di prodotti/servizi oppure ottenere ancora altri fondi dal debito pubblico o effettuare pesanti
privatizzazioni ; tutte le suddette manovre in questo momento risultano di difficile attuazione :
a) un ulteriore aumento della tassazione sulle persone fisiche sarebbe vessatoria e farebbe diminuire
i consumi
b) un aumento di quella sulle imprese ( abbinata alla ben nota aleatorietà legislativa) allontanerebbe
ancora di più le stesse dall’Italia e non agevolerebbe l’insediamento di quelle estere
c) un aumento di tassazione indiretta sulla cessione di beni/servizi farebbe diminuire i consumi
d) un ulteriore aumento del debito che e’ gia’ oltre il 125% del PIL non e’ credibile e soprattutto
non troverebbe altri finanziatori se non a tassi insostenibili o con contropartite inaccettabili
e) le privatizzazioni drenerebbero liquidità dal settore privato e comporteranno senza dubbio un
sacrificio in termini occupazionali , venendo a mancare l’ombrello dell’impiego garantito dallo
stato.
Quarta variabile
Per aumentare l’export un Paese deve essere competitivo , per l’Italia l’export e’ molto importante (
oltre 450 mld di dollari su un PIL di 1,7 mld di $) , ma i livelli sono rilevanti e in una crisi globale
come questa riuscire a mantenere questi livelli sarebbe quasi miracolistico .
Purtroppo invece sul fronte import principalmente a causa della bolletta energetica , la nostra
bilancia commerciale e’ negativa e in questi ultimi anni con il dollaro debole e l’assenza di una
coerente politica energetica , i livelli di deficit commerciale sono stati talvolta rilevanti e tale gap va
colmato ricorrendo ad altro debito pubblico.
Quindi tutte le componenti del PIL sono critiche e crescere in questo contesto e’
oggettivamente molto difficile .
Parte 3 – Linee essenziali su politica fiscale e monetaria – a cura Maurizio Astuni
Quali sono le leve per poter far crescere un Paese ?
Politica Fiscale
La politica fiscale è messa in atto dallo Stato facendo variare le Tasse (T) o le Spese statali (G).
La politica fiscale agisce tramite la spesa pubblica per l'acquisto di beni e servizi,
sopra, e tramite l'imposizione fiscale .
nella notazione
Una variazione di una o entrambe le grandezze si rifletterà sui valori di equilibrio del reddito
nazionale e del tasso di interesse prevalente sul mercato.
Diminuire le tasse o aumentare la spesa pubblica sono strumenti di politica fiscale espansiva , il
contrario recessiva.
Politica Monetaria
La politica monetaria è messa in atto dall'autorità monetaria facendo variare la quantità di
moneta circolante presente sul mercato.
Quando la banca centrale varia deliberatamente la quantità di banconote o i depositi di riserva delle
banche membri per tentare di influenzare i livelli di reddito e dei prezzi conduce una politica
monetaria.
Aumentare l’offerta di moneta è politica monetaria espansiva, diminuirla è politica monetaria
restrittiva.
L’obiettivo principale della politica monetaria è quello di controllare la base monetaria per
controllare l’offerta di moneta.
Piu’ moneta c’e’ in giro piu’ il denaro costa poco ( i tassi d’interesse) e di conseguenza , la
domanda aggregata, la produzione e i prezzi.
La Banca d’Italia, come del resto la BCE, ha tre strumenti per variare la base monetaria: operazioni
di mercato aperto, variazione del tasso di sconto, e la variazione degli obblighi di riserva.
Operazioni di mercato aperto
L più grand’attività della banca centrale è data dall’acquisto e dalla vendita di titoli di Stato, per
regolare il volume della base monetaria; queste sono le operazioni di mercato aperto.
Quando la Banca d’Italia vende titoli sul mercato, le riserve delle banche diminuiscono. Se le
banche hanno esaurito la capacità di concedere prestiti, cioè non hanno eccesso di riserve, devono
contrarre la loro attività di concessioni di prestiti per rispettare gli obblighi di riserva. Quando la
Banca d’Italia acquista titoli pubblici, le riserve delle banche (e la base monetaria) si espandono e le
banche possono concedere prestiti addizionali, aumentando i depositi a vista e l’offerta di moneta.
Tassi di sconto e tassi d’interesse
Il tasso di sconto è il tasso d’interesse che la banca centrale fa pagare per i prestiti concessi alle
aziende di credito. Un prestito siffatto aumenta direttamente le riserve delle banche, e quindi è uno
strumento per aumentare o diminuire la circolazione monetaria in un paese. Quando la banca
centrale varia il tasso di sconto, questa variazione segnala le sue intenzioni di politica monetaria.
Una diminuzione del tasso di sconto segnala una politica monetaria espansiva per stimolare
l’attività economica. In questo caso per le banche è meno costoso prendere a prestito e, di
conseguenza, anche i tassi che queste praticano sui prestiti ai loro clienti diminuiscono. Un aumento
del tasso di sconto, invece, significa una politica monetaria restrittiva. Per le banche è più costoso
prendere a prestito dalla banca centrale, e questa cosa segnale che la banca centrale tende rallentare
la crescita della base monetaria .
In pratica, le banche si rivolgono ad altre banche per prendere a prestito riserve prima di rivolgersi
alla banca centrale. Alcune banche possono avere una mancanza di riserve, mentre altre possono
avere un eccesso di riserve. Le banche concedono in prestito e prendono a prestito queste riserve, e
il tasso di interesse che le banche fanno pagare l’una all’altra per prendere a prestito l’eccesso di
riserve si chiama tasso di interesse interbancario.
Riserva obbligatoria
La riserva obbligatoria è la quota dei depositi che le banche sono obbligate per legge a tenere in
forma liquida o presso la banca centrale come garanzia nei confronti dei depositi della clientela. Le
variazioni nel coefficiente di riserva obbligatoria determinano notevoli effetti sulla quantità di
moneta circolante. Con un obbligo di riserva più alto , ogni banca che abbia esaurito la capacità di
concedere prestiti, o sia vicina a questa condizione, deve darsi da fare per ottenere un limitato
apporto di riserve. Le banche riducono i prestiti che concedono e vendono titoli per tentare di
soddisfare il nuovo obbligo di riserva più alto. Perciò gli obblighi di riserva vengono variati
raramente, e soltanto di piccole quantità.
Per chi vuole saperne di più.
E’ stata predisposta una breve dispensa sul modello IS – LM elaborato da Keynes per analizzare i
rapporti tra politica fiscale e politica monetaria e le loro influenze su tassi di interesse e reddito .
( Dispensa 3)
Economia --------------- governo della casa , nemo e oikos
Le predette grandezze come verrebbero coniugate nelle nostre famiglie ?
Il PIL sarebbe la somma dei redditi prodotti dai lavoratori della famiglia
Il Patrimonio la somma dei valori dei beni della famiglia , case, macchine , mobili etc
Il debito la somma dei debiti contratti dalla famiglia sia per acquistare i predetti beni che per
sostenere determinate spese ( mediche, turistiche…)
Il deficit /avanzo e’ la differenza tra le entrate e le uscite della famiglia , per semplicità la differenza
tra i redditi percepiti dai lavoratori della famiglia e i costi sostenuti per il suo sostentamento ; se la
famiglia ha debiti tra i costi ovviamente ci sono anche gli interessi sul debito .
La spesa pubblica e’ la “paghetta” che il papà dà ai figli per le loro spese correnti o per comprarsi
l’Iphone
Il tasso d’interesse e’ la remunerazione che la banca dà alla famiglia per il deposito dei loro
risparmi e che richiede alla famiglia per aver fatto loro un mutuo o un prestito.
Il tasso di inflazione e’ il tasso di crescita dei costi per il mantenimento della famiglia
Il tasso di crescita e’ la variazione in piu’ o in meno del PIL , quindi dei redditi della famiglia .
Fatta questa doverosa premessa , cerchiamo di immaginare come ragionerebbe una famiglia
trovandosi in una situazione di difficoltà in cui i redditi dei lavoratori della famiglia non crescono o
addirittura diminuiscono e le spese aumentano , senza controllo sufficiente.
1, scelta --------------- si tagliano le spese superflue
2. scelta --------------- si cerca un lavoro piu’ remunerativo
3. scelta -------------- si va in banca e ci si fa dare un prestito per colmare la differenza tra i minori
ricavi e i maggiori costi
4. scelta --------------- si vende la casa di famiglia, si va in affitto e con il ricavato della vendita si
continua a finanziare la differenza tra i ricavi in riduzione e i costi in crescita
5. scelta -------- si creano dei ricavi fittizi per aumentare le entrate della famiglia in modo tale da
avere un equilibrio tra i ricavi e i costi e dire a tutti che la famiglia e’ in pareggio ; esempio di
ricavo fittizio ----------- trasformare la paghetta ai figli in uno stipendio per rifare i letti e preparare
la tavola …
A quel punto il PIL della famiglia aumenta , ma le spese non diminuiscono , anzi facilmente
aumentano perche’ i figli , ormai titolari di un reddito e non di una liberalità , si sentiranno in
dovere di fare le loro scelte di spesa …, facendole lievitare ( inflazione)
Ovviamente alla fine del mese il papà deve pagare lo stipendio ai figli e l’unica cosa che puo’ fare
e’ andare in banca a chiedere un prestito perche’ ovviamente il suo stipendio non e’ sufficiente …
Peraltro dopo anni in cui il papà si reca in banca tutti i mesi a chiedere nuovi prestiti alla fine il
direttore lo chiama e gli chiede come intende restituire i soldi prestati …
Alla domanda del direttore : “ma a cosa ti servono tutti questi soldi ? “
La risposta sarebbe : “a darli ai miei figli … , ma cosa ne fanno non lo so … “
Ma come non lo sai ? studiano, lavorano, fanno ricerca, …. ?
Non lo so , pero’ spendono , tornano a casa tardi e hanno l’aria assente ..
“Mi dispiace ma a questo punto soldi non gliene posso piu’ dare .. almeno io , se vuole pero’ ci
sono le finanziarie …….”
Il padre esce dalla banca e va alla Finanziaria , che senza chiedere nulla , ma ad un tasso di interesse
molto piu’ alto , gli dà quello che vuole … gli stipendi dei figli , con un po’ di aumento perche’ i
costi aumentano per l’inflazione, sono salvi …
Pero’ anche il deficit della famiglia aumenta perche’ oltre ai costi usuali ,ogni mese ci sono da
pagare gli interessi sui debiti sempre piu’ alti sia per l’entità dei debiti che per il maggior tasso
d’interesse e quindi ogni mese il padre va dalla finanziaria e chiede un ulteriore finanziamento …
ma alla fine il direttore della finanziaria ritiene che sia venuto il omento di non rischiare piu’ e
consiglia al vecchio padre di fare un salto dagli strozzini ….
Gli strozzini accolgono il vecchio padre e gli chiedono che cosa possiede … e sono alla fine
disponibili a dargli quello che chiede , ma in cambio di un pegno su tutto cio’ che possiede………..
Tasso d’interesse sul debito pubblico … cosa e’ lo SPREAD ? è la differenza tra il tasso che pagano
i soggetti che vanno in banca a chiedere un prestito e hanno la credibilità per restituirlo e quelli che
devono andare dagli strozzini e mettere in garanzia quello che hanno (il patrimonio pubblico)
E quindi abbiamo capito che cosa e’ il PIL, Il deficit e il debito pubblico , nonche’ la spesa pubblica
…………. E come sono collegati tra di loro …a cosa e’ dovuto la crescita del debito e del tasso
d’interesse ..
4- I dati recenti e breve cronistoria a cura Alessandra Ronchetta
Come e’ la situazione alla data odierna
L'Italia ha registrato nel 2011 un rapporto deficit/pil del 2,5% ( ca 50 mln , il che vuol dire che
l’Italia era in avanzo primario senza gli interessi passivi , mentre nel 2012 il dato dovrebbe non
essere superiore al 3% .
Nel 2011 abbiamo pagato ca 78 mld di euro di interessi , quindi abbiamo avuto un avanzo primario
di ca 30 mld , nel 2012 gli interessi dovrebbero essere piu’ o meno gli stessi e quindi l’avanzo
primario sarà ancora piu’ alto.
Il Pil è calato del 2,5% e il debito e’ ancora salito di ca 50 mld di euro superando i 2.000 mld di
euro , pari a ca il 125% del PIL ( contro il 120,7% del 2011).
Anche la spesa pubblica è pari al 50% , quindi ha superato il limite di 800 mld di euro.
Nel 2011 il debito italiano si è confermato essere il secondo dell'eurozona dopo la Grecia , seguito
da Portogallo , Irlanda e Belgio .
Nel 2011 il debito della Francia era all' 86,0%, quello della Germania all'80,5%, e quello della
Spagna al 69,3%.
Ogni anno lo stato Italiano deve piazzare sul mercato ca il 25% del debito ( 500 mld di euro); la
pressione di tale massa sul mercato primario è rilevante e il tasso e’ fortemente condizionato dalle
proiezioni del Paese.
Breve inquadramento storico
Ma come siamo arrivati a questo punto ?
L’inflazione italiana dagli anni ’70 agli anni ’90 è cresciuta molto e per mantenersi competitivi i
governi hanno dovuto svalutare la lira notevolmente. Ma, da quando la nostra nazione è entrata a
far parte dell’UEM, la situazione si è complicata non soltanto per noi, ma per tutti i Paesi, che non
potevano fare nulla per toccare il cambio della propria valuta. Nei primissimi anni dell’UEM,(
1992-2002) continuavano a circolare le valute nazionali con dei cambi ormai irrevocabilmente
fissati e quindi tutto era bloccato. L’emissione dell’euro quindi è solo una formalità ma già da
qualche anno i cambi erano prefissati.
Esistono quindi dei parametri quantitativi che ciascun Paese che intendava entrare nell’UEM
doveva rispettare, per tanto risulta fondamentale capire perché sono stati introdotti e quali
conseguenze hanno significato per l’Italia.
Nel 1993, dopo la crisi dell’Inghilterra e dell’Italia e l’uscita di quest’ultima dal sistema monetario
europeo, stava per andare in crisi anche la Francia, mettendo in discussione anche l’esistenza del
sistema monetario stesso.
Questo, quali implicazioni comporta?
Nel 1993 la fascia di oscillazione dei cambi fu ampliata come norma al + o – 15%, implicando una
difesa dei cambi con una fascia molto più ampia. Questa situazione di compromesso nasce quindi
dall’esigenza di tenere in piedi una costruzione che ha come obiettivo quello di arrivare alla
costituzione di una moneta unica.
In Italia, nei vent’anni di vita del sistema monetario, ci sono susseguite vicende abbastanza delicate
che hanno portato alla svalutazione della lira e conseguentemente all’uscita dell’Italia dagli accordi
di cambio nel 1992; questo significò che l’Italia lasciò fluttuare la propria moneta.
Inizialmente, l’dea fu quella di lasciar fluttuare la moneta per 2 o 3 settimane in modo tale da capire
quale potesse essere il nuovo modello, per poi rientrare.
Ma questo rientro avvenne solo 4 anni più tardi nel 1996 perché per rispettare i 5 parametri di
Maastricht la lira doveva rispettare la regola di adesione dal almeno due anni al sistema monetario
europeo.
E se non fosse entrata nel 1996, non avrebbe chiaramente potuto entrare nel UEM il 01/01/1999.
Nel 1992 ( oltre 20 anni fa) l’Italia sottoscrisse il trattato di Maastricht , che recitava una serie di
precise disposizioni in merito a:





1 tasso di inflazione
2 tasso di interesse
3 rapporto disavanzo pubblico sul PIL
4 rapporto debito pubblico sul PIL
5 adesione da almeno due anni allo SME
A) La stabilità dei prezzi.
Il trattato prevede che "Il raggiungimento di un alto grado di stabilità dei prezzi [...] risulterà da un
tasso d'inflazione prossimo a quello dei tre Stati membri, al massimo, che hanno conseguito i
migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi".
In concreto, il tasso d'inflazione di un dato Stato membro non deve superare di oltre l'1,5% quello
dei tre Stati membri che avranno conseguito i migliori risultati in materia di stabilità dei prezzi
nell'anno che precede l'esame della situazione dello Stato membro.
B) La situazione della finanza pubblica. Il trattato stabilisce che: "La sostenibilità della situazione
della finanza pubblica [...] risulterà dal conseguimento di una situazione di bilancio pubblico non
caratterizzata da un disavanzo eccessivo [...]".
In pratica, al momento dell'elaborazione della sua raccomandazione annuale al Consiglio dei
ministri delle finanze (Ecofin), la Commissione esamina se la disciplina di bilancio sia stata
rispettata in base ai due seguenti parametri:
il disavanzo pubblico annuale: il rapporto tra il disavanzo pubblico annuale e il prodotto
interno lordo (PIL) non deve superare il 3 % alla fine dell'ultimo esercizio finanziario
concluso. In caso contrario, tale rapporto deve essere diminuito in modo sostanziale e
costante e aver raggiunto un livello prossimo al 3% (interpretazione tendenziale a norma
dell'articolo 104, paragrafo 2) o, in alternativa, il superamento del valore di riferimento deve
essere solo eccezionale e temporaneo e il rapporto deve restare vicino al valore di
riferimento;
il debito pubblico: il rapporto tra il debito pubblico lordo e il PIL non deve superare il 60 %
alla fine dell'ultimo esercizio di bilancio concluso. In caso contrario, tale rapporto deve
essersi ridotto in misura sufficiente e deve avvicinarsi al valore di riferimento con ritmo
adeguato (interpretazione tendenziale a norma dell'articolo 104, paragrafo 2).
C) Il tasso di cambio. Il trattato prevede "il rispetto dei margini normali di fluttuazione previsti dal
meccanismo di cambio del Sistema monetario europeo per almeno due anni, senza svalutazione nei
confronti della moneta di qualsiasi altro Stato membro".
Lo Stato membro deve aver partecipato al meccanismo di cambio del Sistema monetario europeo
senza soluzione di continuità nel corso dei due anni precedenti l'esame della sua situazione, senza
peraltro essere stato soggetto a gravi tensioni.
D) I tassi di interesse a lungo termine. Il trattato prevede che "i livelli dei tassi di interesse a lungo
termine [...] riflettano la stabilità della convergenza raggiunta dallo Stato membro".
In pratica, i tassi di interesse nominali a lungo termine sui titoli di stato non devono superare di più
del 2 % quelli dei tre Stati membri, al massimo, che avranno conseguito i migliori risultati in
termini di stabilità dei prezzi (si tratta di fatto dei medesimi presi in considerazione per il parametro
della stabilità dei prezzi). Il periodo da considerare è l'anno precedente l'esame della situazione
nello Stato membro in questione.
Ciascuno Stato membro doveva rispettare l'insieme di questi parametri per poter partecipare alla
terza fase dell'UEM. Essi furono specificati nel Protocollo sui criteri di convergenza di cui
all'articolo 121 del Trattato, e riflettono il grado di convergenza economica che gli Stati membri
dovevano raggiungere e mantenere per poter introdurre e poi rimanere nell'euro.
Per chi vuole saperne di piu’ , ho predisposto un approfondimento tecnico sui motivi per cui un
Paese dovrebbe rispettare i parametri del trattato (DISPENSA 4)
5- Gli ultimi provvedimenti
a cura Maurizio Astuni
Gli interventi varati in Europa per trovare un assetto piu’ equlibrato e anche una soluzione alla
deriva dei conti pubblici dei Paesi che non riescono a tenere in ordine la loro finanza pubblica
a) Fiscal Compact e pareggio di bilancio
b) Fondo Salva Stati
c) Fondo Europeo di redenzione
La maggioranza degli Stati membri dell'Unione europea partecipa all'unione economica e
monetaria, basata sulla moneta unica, l'euro, ma la maggior parte delle decisioni riguardanti le tasse
e la spesa pubblica rimangono di competenza dei governi nazionali. Il controllo sulla politica fiscale
è tradizionalmente considerato centrale per la sovranità nazionale e oggi, sostanzialmente, non
esiste un'unione fiscale tra stati indipendenti.
Tuttavia l'UE ha dei poteri limitati in campo fiscale, relativi alla determinazione dell'aliquota IVA e
delle tariffe del commercio estero e alla determinazione di un bilancio annuale di vari miliardi di
euro. Proprio allo scopo di coordinare le politiche fiscali degli stati membri della zona euro è in
vigore il Patto di stabilità e crescita. Una maggiore integrazione in tema di politiche fiscali, almeno
tra i paesi della zona euro è ritenuta da molti il prossimo passo dell'integrazione europea e la
necessaria soluzione per superare la crisi del debito sovrano. Assieme all'Unione economica e
monetaria quella fiscale porterebbe ad una maggiore integrazione economica.
Nella primavera 2010 la Germania spinse gli altri stati membri ad inasprire le regole sul
raggiungimento del pareggio di bilancio: questo comporterà una rigorosissima applicazione del
requisito riguardante il rapporto deficit/PIL inferiore al 3%. Alla fine del 2010 furono avanzate
proposte emendative del Patto di stabilità e crescita volte al rafforzamento del coordinamento delle
politiche fiscali. Nel febbraio 2011 la Germania e la Francia proposero il Patto di competitività,
volto a rafforzare il coordinamento economico nella zona euro; tale proposta è stata approvata
anche dalla Spagna. Il cancelliere tedesco Angela Merkel, diversi ministri delle finanze europei ed il
presidente della Banca centrale europea hanno sostenuto l'idea di un'unione fiscale.
Nel marzo 2011 fu proposta una nuova riforma del Patto di stabilità e crescita, volta a rendere
automatiche le sanzioni per chi viola i parametri riguardanti il 3% nel rapporto deficit/PIL e il 60%
nel rapporto debito/PIL. Angela Merkel insistette affinché la Commissione europea e la Corte di
giustizia dell'Unione europea svolgessero un ruolo importante di garanzia nel controllare il rispetto
degli obblighi da parte dei paesi. Nel 2011 la Germania, la Francia e altri paesi più piccoli
dell'Unione europea hanno fatto un altro passo verso l'unione fiscale della zona euro, con regole di
bilancio molto rigorose e sanzioni automatiche per chi sfori.
Il 9 dicembre 2011, nel Consiglio europeo, tutti i 17 membri della zona euro hanno concordato le
linee fondamentali del Trattato di stabilità fiscale che irrigidisce i parametri riguardanti il rapporto
deficit/PIL e quello debito/PIL, introducendo anche sanzioni automatiche per chi li violi. Dopo aver
chiesto un parere ai rispettivi parlamenti, anche i paesi che non hanno adottato l'euro si sono detti
pronti a partecipare, con l'eccezione del Regno Unito. Originariamente i leader europei volevano
modificare i trattati vigenti, ma questa soluzione si è scontrata con il veto del Regno Unito, che ha
chiesto che la Città di Londra fosse esclusa dalla regolamentazione dei mercati finanziari e
dall'applicazione della tassa sulle transazioni finanziarie.
Dopo qualche mese di trattative, il 30 gennaio 2012 il Consiglio europeo, con l'eccezione del Regno
Unito e della Repubblica Ceca, ha approvato il nuovo patto fiscale.
Il nuovo trattato entrerà in vigore quando sarà stato ratificato da almeno 12 dei paesi interessati e a
partire dal 1º gennaio 2013.
Ogni paese, dopo la ratifica del trattato, avrà tempo fino al 1º gennaio 2014 per introdurre la regola
che impone il pareggio di bilancio nella legislazione nazionale.
Solo i paesi che avranno introdotto tale regola entro il 1º marzo 2014 potranno ottenere eventuali
prestiti da parte del Meccanismo Europeo di Stabilità.
L'obiettivo, dopo l'entrata in vigore, è quello di incorporare entro cinque anni il nuovo trattato nella
vigente legislazione europea.
Contenuti
I principali punti contenuti nei 16 articoli del trattato sono:
l'impegno ad avere un deficit pubblico strutturale che non deve superare lo 0,5% del PIL e,
per i paesi il cui debito pubblico è inferiore al 60% del PIL, l'1%;
l'obbligo per i Paesi con un debito pubblico superiore al 60% del PIL, di rientrare entro tale
soglia nel giro di 20 anni, ad un ritmo pari ad un ventesimo dell'eccedenza in ciascuna
annualità; ( vedi ERF )
l'obbligo per ogni stato di garantire correzioni automatiche con scadenze determinate
quando non sia in grado di raggiungere altrimenti gli obiettivi di bilancio concordati;
l'impegno a inserire le nuove regole in norme di tipo costituzionale o comunque nella
legislazione nazionale, che verrà verificato dalla Corte europea di giustizia;
l'obbligo di mantenere il deficit pubblico sempre al di sotto del 3% del PIL, come previsto
dal Patto di stabilità e crescita; in caso contrario scatteranno sanzioni semi-automatiche;
l'impegno a tenere almeno due vertici all'anno dei 17 leader dei paesi che adottano l'euro.
Introduzione del pareggio di bilancio
Con legge costituzionale 20 aprile 2012, n.1 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 23 aprile
2012) è stato introdotto nella Costituzione, nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento
dell'Unione europea, il principio dell'equilibrio delle entrate e delle spese, il cosiddetto "pareggio di
bilancio". Avendo raggiunto il quorum dei due terzi dei componenti nella seconda votazione, sia
alla Camera, sia al Senato, la modifica costituzionale non potrà essere sottoposta a referendum
popolare.
informazioni aggiornate a martedì, 24 aprile 2012
Il contesto di riferimento
Il progetto di riforma
Il contesto di riferimento
Negli ultimi mesi del 2011, alla luce delle turbolenze finanziarie che hanno investito l’area
dell’Euro e dell’acuirsi delle tensioni relative ai debiti sovrani degli Stati membri, è stata più volte
richiamata nelle sedi istituzionali l’esigenza di promuovere una riforma volta a introdurre nella
Costituzione norme più stringenti al fine di conseguire gli obiettivi di finanza pubblica che
discendono dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.
L’avvio di una discussione sulla costituzionalizzazione delle regole europee di bilancio ha preso le
mosse anche dalla recente riforma tedesca adottata in tal senso e dalle altre proposte di modifica
costituzionale avanzate anche in altri Stati membri dell’Unione. Già nel Documento di economia e
finanza 2011, presentato alle Camere dal Governo il 13 aprile 2011, il Governo aveva formulato un
preciso impegno ad introdurre nella Costituzione il vincolo della disciplina di bilancio,
sottolineando come l’articolo 81 della Costituzione, nella sua attuale formulazione, non abbia
impedito una forte crescita del debito pubblico nazionale, che si attestava a circa il 120 per cento
del PIL.
Il progetto di riforma
Il disegno di legge costituzionale recante l’introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta
costituzionale è stato definitivamente approvato il 18 aprile 2012, ed è ora divenuto la legge
costituzionale n.1/2012, pubblicata nella G.U. del 23 aprile 2012.
Il testo scaturisce dall'unificazione di sei proposte di iniziativa parlamentare e un disegno di legge
governativo, il cui esame è iniziato presso la Camera dei deputati
Per quanto concerne il contenuto dell’articolato, esso introduce nella Costituzione il principio del
pareggio di bilancio, correlandolo a un vincolo di sostenibilità del debito di tutte le pubbliche
amministrazioni, nel rispetto delle regole in materia economico-finanziaria derivanti
dall’ordinamento europeo.
Le modifiche introdotte, che intervengono novellando gli articoli 81, 97, 117 e 119 della
Costituzione, incidono sulla disciplina di bilancio dell’intero aggregato delle pubbliche
amministrazioni, compresi pertanto gli enti territoriali (regioni, province, comuni e città
metropolitane).
In particolare, le novelle all’art. 81 della Costituzione, che detta regole sulla finanza pubblica e sulla
formazione del bilancio, sanciscono il principio del "pareggio di bilancio", in base al quale lo Stato
assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle diverse fasi avverse o favorevoli - del ciclo economico.
Si prevede tuttavia una eventuale deroga alla regola generale del pareggio, stabilendo che possa
consentirsi il ricorso all’indebitamento solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e al
verificarsi di eventi eccezionali, che possono consistere in gravi recessioni economiche; crisi
finanziarie e gravi calamità naturali. Per circoscrivere e rendere effettivamente straordinario il
ricorso a tale deroga, si dispone che il ricorso all'indebitamento connesso ad eventi eccezionali sia
autorizzato con deliberazioni conformi delle due Camere sulla base di una procedura aggravata, che
prevede un voto a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti.
Vengono poi confermate le disposizioni già presenti nel vigente articolo 81 concernenti il principio
della copertura finanziaria delle leggi - in base al quale ogni legge che importi nuovi o maggiori
oneri finanziari deve provvedere ai mezzi per farvi fronte - nonché quelle che stabiliscono la
competenza delle Camere ad approvare ogni anno con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo
presentati dal Governo e prevedono l’autorizzazione con legge, per periodi non superiori a quattro
mesi, all'esercizio provvisorio del bilancio, nel caso in cui questo non risulti approvato entro la fine
dell’esercizio finanziario.
Il contenuto della legge di bilancio ed i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese
dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni vengono
demandati ad una apposita legge, che dovrà essere approvata ( entro il termine del 28 febbraio
2013) a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera. I principi di questa sorta di
“legge quadro di contabilità”, sono definiti con legge costituzionale.
L' obbligo del rispetto del principio del pareggio dei bilancio e della sostenibilità del debito
pubblico viene, inoltre, esteso, con apposita novella all'articolo 97 della Costituzione, a tutte le
amministrazioni pubbliche
Per quanto concerne la disciplina di bilancio degli enti territoriali, viene modificato l'articolo 119
della Costituzione, al fine di specificare che l'autonomia finanziaria di Comuni, Province, Città
metropolitane e Regioni, è assicurata nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci; viene inoltre
costituzionalizzato il principio del concorso di tali enti all’adempimento dei vincoli economici e
finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea. Per gli enti medesimi, infine, viene
precisato che il ricorso all'indebitamento - che la disciplina vigente consente esclusivamente per
finanziare spese di investimento - è subordinato alla contestuale definizione di piani di
ammortamento e alla condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato
l’equilibrio di bilancio.
Ulteriori disposizioni del testo della legge costituzionale dettano i principi cui dovrà attenersi la
suddetta "legge quadro di contabilità" oggetto di approvazione a maggioranza qualificata, la quale
dovra disciplinare tra l'altro, l'istituzione presso le Camere, nel rispetto della relativa autonomia
costituzionale, di un organismo indipendente al quale dovranno essere attribuiti compiti di analisi e
verifica degli andamenti di finanza pubblica e di valutazione dell’osservanza delle regole di bilancio. Si
prevede, infine, che alle Camere sia affidata la funzione di controllo sulla finanza pubblica - con
particolare riferimento all'equilibrio tra entrate e spese, nonché alla qualità e all’efficacia della spesa
delle pubbliche amministrazioni - da esercitare secondo modalità da definire con i rispettivi
regolamenti.
MES
Il Meccanismo europeo di stabilità (MES), detto anche Fondo salva-Stati, istituito dalle
modifiche al Trattato di Lisbona (art. 136) ( approvato nel 2007 con decorrenza da 1.1.2009)
approvate il 23 marzo 2011 dal Parlamento europeo e ratificate dal Consiglio europeo a Bruxelles il
25 marzo 2011, nasce come fondo finanziario europeo per la stabilità finanziaria della zona euro
(art. 3). Esso ha assunto però la veste di vera e propria organizzazione intergovernativa (sul modello
dell'FMI), a motivo della struttura fondata su un consiglio di governatori (formato da rappresentanti
degli stati membri) e su un consiglio di amministrazione e del potere, attribuito dal trattato
istitutivo, di imporre scelte di politica macroeconomica ai paesi aderenti al fondo-organizzazione.
Il Consiglio Europeo di Bruxelles del 9 dicembre 2011, con l'aggravarsi della crisi dei debiti
sovrani, decise l'anticipazione dell'entrata in vigore del fondo, inizialmente prevista per la metà del
2013, a partire da luglio 2012. Successivamente, però, l'attuazione del fondo è stata
temporaneamente sospesa in attesa della pronuncia da parte della corte costituzionale della
Germania sulla legittimità del fondo con l'ordinamento tedesco. La Corte Costituzionale Federale
tedesca ha sciolto il nodo giuridico il 12 settembre 2012, quando si è pronunciata in favore della sua
compatibilità con il sistema costituzionale tedesco.
Il MES sarà regolato dalla legislazione internazionale e avrà sede a Lussemburgo. Il fondo emetterà
prestiti (concessi a tassi fissi o variabili) per assicurare assistenza finanziaria ai paesi in difficoltà e
acquisterà titoli sul mercato primario, ma a condizioni molto severe.
Per chi vuole saperne di più
Vedasi approfondimento su MES (Dispensa 5)
ERF
Una delle strade ipotizzate per condurre i Paesi fuori dalla crisi del debito e’ stata di costituire un
“Fondo di redenzione” (Erf), presso il quale far confluire la quota dei debiti pubblici europei
eccedente la soglia del 60%.
A Giungo 2012 il Parlamento europeo ha approvato l’ERF .
Quali sarebbero le conseguenze, e quali i vantaggi, per l'Italia, di un simile scenario? Il team
londinese di Mediobanca Securities, guidato da Antonio Guglielmi, tenta di rispondere al quesito
con una simulazione che si basa su alcune assunzioni: un costo di rifinanziamento dell'Erf pari al
3,25% annuo, un tasso di crescita reale medio annuo del Pil, nell'eurozona, di 1/1,5 punti
percentuali, e un tasso di inflazione non oltre il 2%.
Il Fondo, nel modello elaborato, avrebbe, dal momento della costituzione, una vita residua di 25/30
anni, periodo sufficiente a “redimere” le quote eccedenti. Per l'Italia si tratterebbe di conferire la
porzione maggiore con 949 miliardi di euro: circa il 40% del totale, che ammonterebbe a 2300
miliardi qualora dal Fondo venissero esclusi i paesi già sotto tutela congiunta di Fmi e Ue
(Portogallo, Irlanda, Grecia).
I vantaggi sarebbero consistenti: per la quota conferita, il Paese trarrebbe risparmi sul
rifinanziamento fino a 24 miliardi l'anno (1,5% del Pil). Ne godremmo più della Spagna (0,3% del
Pil) in virtù del peso minore della quota madrilena, mentre la Germania dovrebbe sopportare un
extra-costo pari allo 0,4% del prodotto.
Ma non è tutto oro quel che luccica: i paesi aderenti sarebbero sottoposti a una stretta
condizionalità: una parte delle entrate fiscali dovrebbe esser destinata a ripagare le quote in
maturazione dello stock trasferito, in modo da annullare il carico totale nei termini stabiliti.
Gli stati dovrebbero anche immobilizzare collaterali a garanzia dell'Erf, pari almeno al 20%
dell'importo confluito ( nel nostro caso ca 180 mld)
Il collaterale verrebbe “sbloccato” solo ad “espiazione” raggiunta.
Mediobanca stima che, per l'Italia, durante i primi anni di attività dell'Erf, circa l'8% delle entrate
fiscali (in totale ca 600 mld di euro) dovrebbe essere asservito al meccanismo di redenzione,
ma la percentuale si ridurrebbe con il passare del tempo, riducendosi a meno del 3% nell'ultimo
decennio di vita del Fondo.
Certo, si tratta pur sempre di una stima, ma indicativa dei costi approssimativi di una simile
strategia. L'Italia, nel passato, ha già dato dimostrazione di poter mantenere avanzi primari per
periodi prolungati, ma bloccare il bilancio per quasi tre decenni sembra una sfida di portata
immane, anche dal punto di vista politico.
D'altro canto il Fiscal Compact prevede già di per sè l'abbattimento della quota eccedente il limite
del 60%. Dunque, almeno dal punto di vista del rifinanziamento, il Redemption Fund permetterebbe
di risparmiare una quota ingente di interessi. E' da rilevare, inoltre, che porre a garanzia del Fondo
asset pubblici per il 20% della quota conferita (nel caso italiano 190 miliardi di euro) lascerebbe un
ampio margine per collocare sul mercato porzioni significative delle proprietà statali.
Per questo, secondo Guglielmi, un piano di drastica riduzione dello stock del debito, da effettuare
per mezzo di cessioni del patrimonio pubblico, potrebbe affiancare l'ERF, riducendo il rigore di
bilancio anno per anno, e i sacrifici per i contribuenti. L’ERF dovrebbe andare a regime dal 2017.