Info - ParrocchieBra

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Info - ParrocchieBra
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Anno 6 - numero 16
Dicembre 2016
Editoriale
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Il Bisbiglio
è anche on-line
www.parrocchiebra.it
A Natale puoi...
Mi risuona nella mente, pensando a questo articolo, il motivetto
di una famosa pubblicità natalizia: A Natale puoi…
Davanti alle tragedie del terremoto, delle alluvioni, delle bombe
che cadono su inermi civili, con
tanti bambini, di cui Aleppo è città simbolo; davanti alle famiglie
che abitano forse a pochi metri da
casa mia, nello stesso quartiere e
vivono la difficoltà della vita cercando di dare ai propri figli un futuro quotidiano fatto di cibo, vestiti, materiale scolastico, quel a
Natale puoi … mi interroga davanti alle corse ai regali e al
problema del Menù da fare per i
vari pranzi e cene del periodo
natalizio.
Questo numero de Il Bisbiglio
vuole contribuire, nel suo piccolo, a provare a farci entrare nel
Natale da un’altra prospettiva, facendoci conoscere delle “Stelle
di Natale”. Tre personaggi dello
scorso secolo che hanno in qualche modo lasciato un’impronta
indelebile nella storia.
Due uomioni: Charles de Foucauld, Giorgio La Pira e una figura di donna, Etty Hillesum, che
quel puoi… lo hanno vissuto nello straordinario della loro quotidianità. Tre personaggi con le loro storie, da conoscere tramite tre
serate presso l’Auditorium CRB.
Puoi toccare il cuore della gente
condividendo e vivendo tra i più
poveri, portando il respiro e il
profumo della vita quotidiana di
Nazareth: Charles de Foucauld.
Puoi testimoniare portando lo
stile di una vita evangelica, essere apostolo laico facendo addirittura politica: Giorgio La Pira.
Puoi stupire credendo alla vita,
essendo fino all’ultimo, anche in
un campo di concentramento,
considerata una persona “luminosa”, pur vivendo il dramma
della guerra e della prigionia:
Etty Hillesum.
Scrive Etty nel suo Diario del 20
giugno 1942, in piena occupazione tedesca dei Paesi Bassi:
« Trovo bella la vita, e mi sento
libera. I cieli si stendono dentro
di me come sopra di me. Credo in
Dio e negli uomini e oso dirlo
senza falso pudore. La vita è dif-
ficile, ma non è grave. Dobbiamo
prendere sul serio il nostro lato
serio, il resto verrà allora da sé:
e “lavorare sé stessi” non è proprio una forma di individualismo
malaticcio. Una pace futura potrà esser veramente tale solo se
prima sarà stata trovata da ognuno in sé stesso – se ogni uomo si
sarà liberato dall’odio contro il
prossimo, di qualunque razza o
popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in
qualcosa di diverso, forse alla
lunga in amore se non è chiedere
troppo. È l’unica soluzione possibile. E così potrei continuare
per pagine e pagine. Quel pezzetto d’eternità che ci portiamo dentro può esser espresso in una parola come in dieci volumi. Sono
una persona felice e lodo questa
vita, la lodo proprio, nell’anno
del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra. »
Troverete a pagina 10 un articolo
su testimoni di quanto le stelle
siano belle. Personaggi sconosciuti che non sono ancora nell’Al di Là, nella vita senza tramonto, ma vivono un Al di qua
spesso faticoso e le stelle le pos-
sono vedere perché costretti dalla
vita a dormire all’aperto. Rivedo
i loro volti e le parole dal film AL
DI QUA presentato a Bra in occasione della festa patronale di Sant’Andrea. Questo periodo è propizio per regalare un’opera realizzata da questi artisti “scoperti”
dal cappellano dell’ospedale
Martini di Torino Don Gian Paolo
Pauletto che con loro ha creato il
Laboratrio d’Arte “Materiali di
scarto” .
Infine troverete all’interno del
giornale il progetto Caritas, che
non ha chiuso ma si è trasferita in
Via Vittorio Emanuele 107,
FIANCO A FIANCO. Un modo
anche questo diverso, una nuova
prospettiva per “fare” un regalo
di Natale speciale, per accendere
una stella di speranza a famiglie
di Bra.
Perché a Natale puoi…scoprire
“la gioia del Vangelo che riempie
il cuore e la vita intera di coloro
che si incontrano con Gesù”
(Evangelii gaudium di Papa
Francesco).
Buon Natale e Buon Anno.
Giorgio Fissore
ALL’INTERNO:
Vivere l’Unità Pastorale
Rubrica “Il ramo del mandorlo” e All’ombra del Santuario
Speciale Caritas interparrocchiale e l’intervista
Architettura e liturgia
Storia delle nostre Comunità
“Stelle di Natale”
Festa dell’Apparizione e Adorazione a S.Antonino
Un libro per Bescurone
Presepi viventi a Bra
Laurea a Enzo Bianchi e rubrica “Letti per voi”
Tempo di Natale 2016
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Attualità
Vivere l’Unità Pastorale
L’Arcivescovo Cesare Nosiglia scrive alla nostra Unità
Pastorale per fornire nuova linfa alla vita delle nostre comunità
Vivere l’Unità Pastorale
Grande interesse e partecipazione ha suscitato la presentazione
alla nostra Unità Pastorale della
lettera dell’Arcivescovo Cesare
Nosiglia a seguito della visita pastorale svoltasi tra febbraio e
marzo 2016. Lettera che accompagna gli orientamenti diocesani
per le Sante Messe festive sui
quali siamo invitati a confrontarci in questo anno liturgico.
L’obiettivo è quello di individuare le forme ideali di partecipazione alla vita della comunità e di
identificare come la comunità
può mettere a disposizione e a
servizio tutte le forze e risorse di
cui ha disposizione. Tre i capisaldi su cui si poggia la lettera.
La formazione
Una comunità che cresce è una
comunità che educa e ha sete di
formazione.
Il periodo storico che viviamo è
contraddistinto da un’autentica
emergenza educativa dove a prevalere è lo scaricabarile e la mancanza di responsabilità. L’unica
risposta possibile è quella di far
rinascere una passione educativa
in cui tutti si riscoprono persone
nuove accomunate da una duplice necessità: formare ed essere
formati. Spetta a tutti fare la pro-
pria parte, sia a coloro
che devono avanzare
e promuovere le proposte, sia a coloro che
sentono il desiderio di
maturare nella fede e
di viverla nei tempi
moderni.
L’unità della
comunità
Una comunità che
cresce è una comunità
che si apre all’incontro con gli altri.
I modelli “vincenti”
che abbiamo sotto gli
occhi poggiano il loro
successo sulla volontà
Il Vicario Generale della Diocesi Mons. Valter D’Anna con i Parroci dell’UP50 e i partecipanti
di sollevare muri piutalla presentazione della Lettera del Vescovo.
tosto che sul desiderio
di abbatterli. Sta a noi decidere mente sulla condivisione e sul- teriali di quel riequilibrio delle rida che parte stare. L’Arcivesco- l’incontro.
sorse che è unica soluzione alle
vo, nel suo messaggio, invita in
diseguaglianze sociali. Il coordimodo fermo e deciso ad aprire le La carità
namento Caritas che sta camporte delle nostre comunità in
biando la gestione delle opere di
senso non solo spirituale ma an- Una comunità che cresce è una carità deve essere stimolo di camche fisico e a non arroccarsi nei comunità che ha attenzione agli biamento e non di allontanamenpropri castelli dorati. Don Loren- ultimi. La nostra Unità Pastorale to.
zo Milani amava ricordare che è espressione di un territorio ric- La vera carità è semplice e umile
avere le mani pulite non serve a co. Il benessere che ciascuno di servizio, come sistematicamente
nulla se si tengono in tasca. Il si- noi mediamente percepisce ri- ricorda Papa Francesco.
gnificato di quanto l’Arcivesco- schia seriamente di non farci
vo invita a fare rappresenta esat- prendere coscienza di quanto ci Il futuro della nostra Unità Pastotamente questo: uscire dalla pro- accade intorno. L’Arcivescovo rale (e su larga scala della Chiesa
pria comunità per ricreare una ve- esorta a fare della carità, uno stile e della nostra fede) passa proprio
ra comunità, basata esclusiva- di vita e a diventare i fautori ma- da qui. E l’invito è rivolto a tutti.
Dobbiamo mettere da parte le resistenze del passato e riscoprire il
gusto di reincontrarsi, di non
chiudersi solo con chi la pensa
come noi ma di aprirsi al diverso,
di confrontare il nostro punto di
vista con visioni diverse.
In un’epoca in cui tendiamo a isolarci sempre più e a godere di ciò
che abbiamo, è proprio questo il
momento in cui andare controtendenza. La strada che l’Arcivescovo tenta di tracciare si trova
proprio in questa urgenza di discontinuità con il passato e con
un modello che non lascia spazio
alle relazioni. La sfida è quella di
intraprendere questo cammino
per far rinascere una Chiesa apparentemente nuova, ma che in
sostanza torna a preoccuparsi di
recuperare il senso vero del messaggio di Gesù e di ristabilire una
gerarchia delle priorità in cui è
l’uomo a occupare il centro.
Christian Damasco
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Rubrica
Il Ramo del Mandorlo - Parole utili per l’anno della Misericordia
Dialogare ancora
Si narra che Ignazio di Loyola,
fondatore della Compagnia di
Gesù e protagonista della vita ecclesiale nei complessi anni della
Controriforma (XVI sec.), nonché “inventore” degli Esercizi
Spirituali, all’inizio della sua vita
apostolica, abbia incontrato non
poche difficoltà a farsi comprendere e accettare, soprattutto dalle
autorità ecclesiastiche.
In quei tempi travagliati, come
sappiamo, non andare d’accordo
con il Tribunale della Santa (?)
Inquisizione, poteva voler dire finire dritti filati su qualche bel rogo o in qualche sala di tortura!
Perciò Ignazio, già ampiamente
dotato di quella santa astuzia che
sarà così copiosamente trasmessa
ai suoi figli ed eredi gesuiti,
quando nel suo peregrinare di città in città, vivendo da mendicante, si accingeva a invitare le persone a intraprendere i suoi Esercizi Spirituali, si preoccupava innanzitutto di presentarsi al Tribunale dell’Inquisizione per autodenunciare le sue intenzioni. Alle
domande incalzanti dei teologi
inquisitori in merito alla dottrina
che stava annunciando, e in merito ai contenuti del suo insegnamento religioso, egli rispondeva,
con disarmante semplicità: “Non
ho nulla da insegnare. Soltanto
mi propongo di aiutare le persone a dialogare familiarmente con
Dio”.
Dialogare familiarmente con
Dio: Ignazio aveva ragione, nell’insegnamento dei suoi esercizi
non si trovava nulla di nuovo e,
tuttavia, nulla di così tanto dimenticato e disatteso, dalle persone credenti di allora e da noi,
credenti di oggi.
Come è facile fare della fede cristiana solo un culto, una ritualità
vuota. Come è facile, ridurre il
vangelo a un codice etico di
astratti valori, una tradizione fatta
di vuote forme, aride di vita. Come è facile, lasciarsi sedurre dal
fare per fare e strafare, quasi come se fossimo noi i creatori della
storia e i salvatori del popolo.
Come è difficile, invece, dialoga-
re familiarmente con Dio, come
un amico parla con un amico. Come è difficile fare di se stessi un
terreno fertile, umile e umido come la madre terra. Una persona
che accoglie la Parola, come una
terreno accoglie un seme che in
esso porta frutto: dove trenta, dove sessanta, dove cento per uno.
Un terreno che risponde, un terreno in cui si realizza ancora il
dialogo tra Dio e la sua creatura
preferita: l’essere umano.
Come è complicato essere semplici, essere liberi, essere uomini.
Eppure, è questo il dialogo che
rende feconda la nostra vita. Il
dialogo di fondo che fa da sfondo
ai nostri incontri, alle nostre iniziative, al nostro amore.
Per questo, ancora oggi, vale la
pena provare a dialogare ancora.
don Giorgio
All’ombra del Santuario
Da sempre abbiamo visto al Santuario della Madonna dei Fiori un
gran numero di presenze che, con
la loro collaborazione lo hanno
reso funzionale e accogliente oltre che gradevole luogo di preghiera.
Ricordiamo alcuni di loro che, sicuramente, in Paradiso ricevono
la ricompensa di una vita laboriosa e pregano per noi.
Giovanni Milanesio è nato accanto al Santuario e all’ombra
della stele della Vergine dei Fiori
ha vissuto tutti i momenti felici e
tristi della sua vita. Davanti al
Santuario antico è stato nel 1944,
a soli 18 anni, prelevato dai tedeschi e internato in campo di concentramento e poco più di un anno dopo la felicità del suo ritorno
è stata offuscata dall’apprendere
che il fratello Andrea, partigiano,
era stato fucilato in sua assenza.
Da allora la sua vita si è divisa fra
la sua attività di operaio e custode
della segheria Zuretti e quella di
factotum della fabbrica del Santuario. Aiutante del Teologo Cravero nelle sue molteplici attività
di allevatore ad attento spazzino
degli ampli spazi antistanti le
Giovanni Milanesio
Giovanni Costantino
chiese. Sempre attivo, felice di
scambiare qualche parola con
passanti e pellegrini che, superando la menomazione uditiva
che il soggiorno tedesco gli aveva
lasciato, si fermavano un attimo
con lui. La sua collaborazione è
stata ininterrotta, mentre i rettori
si sono alternati lui ha continuato
fino al 2007 e nel 2009 la Vergine
lo ha voluto con sé. Al tempo del
rettore don Dallorto
Giovanni Costantino inizia la
sua collaborazione con il Santuario. Lui, nato contadino e contadino per tutta la vita, si tuffa in
una attività nuova e anche preoccupante quando oltre ad occupar-
Marco Gastaldi
si della coltivazione dell’orto e
del roseto di fronte al pruneto,
passa alla funzione di sacrestano.
I primi momenti sono imbarazzanti per lui, servire Messa quando non c’erano chierichetti (le
sue mani invalide tremavano ),
raccogliere la colletta, maneggiare turibolo e calici lo riempiva
di emozione. Col tempo si impratichì e il Santuario divenne la sua
seconda casa. Quanto lavoro per
raccogliere il riso dopo i matrimoni e la grande novena di settembre!!! Spesso si ammalava
dopo l’8 settembre per le sudate
di fatica nella calca della folla,
ma era sempre soddisfatto delle
sue mansioni.
Marco Gastaldi era una persona
gioviale, gentile, molto socievole
e loquace. E’ stato per tanti anni
al servizio del Santuario con i rettori don Dallorto, don Fava e, infine don Michele, con il quale
aveva un rapporto di fiducia e di
amicizia. Il suo compito principale era “raccogliere l’elemosina”.La sua figura distinta, alta e
snella passava fra i banchi tenendo con eleganza il lungo bastone
fra le mani, lo faceva scorrere davanti ai fedeli scrollando con discrezione il sacchetto tintinnante
di monete. Durante la novena, a
partire dalle 6 del mattino, era
presente a tutte le sante Messe. Si
fermava volentieri a chiacchierare, a dare informazioni, ad esaudire le richieste di coloro che si
rivolgevano a lui. Aveva solo 70
anni quando il Signore lo chiamò
a sé ed il suo funerale fu il primo
ad essere celebrato in Santuario
nel periodo in cui ciò era possibile. Il sacrestano Marco e i suoi
amici Giovanni Milanesio e Costantino hanno lasciato un ricordo buono e vivo presso la comunità della Madonna dei Fiori.
Angela Massa Bertolo
numero 16 - 2016 - Il Bisbiglio •
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Caritas interparrocchiale
Housing sociale
Inaugurati tre nuovi appartamenti
nell’ex canonica della parrocchia
di Bandito
“Bra ora ha tre nuovi alloggi da adibire all’emergenza abitativa in
frazione Bandito, dietro alla chiesa, grazie al recupero dell’edificio
che ospitava l’ex canonica”. Lo ha detto il sindaco Bruna Sibille annunciando la realizzazione di queste nuove unità abitative per famiglie
in difficoltà inaugurati l’8 novembre scorso. Il progetto, al quale
hanno aderito la Caritas interparrocchiale, il Comune e la Soc socioassistenziale dell’Asl Cn2, è stato finanziato dalla Fondazione Crc, dalla
Caritas interparrocchiale e dalla parrocchia di Bandito.
Gruppo volontari
San Giovanni B.
Associazione
Gruppo Volontari
Comunità Parrocchiale
San Giovanni Battista
L'Associazione nasce in Bra nel mese di marzo 1986 quando un gruppo di
parrocchiani guidati e ispirati da Don Renato e da Suor Annunziata firmano l'atto notarile con Statuto allegato il giorno venti del mese.
L'attività è continuata con don Lino, con don Enzo, con don Claudio
ed attualmente prosegue con don Gilberto. In data 28 dicembre
1992 tramite Decreto Presidenza Giunta Regionale avviene
l'iscrizione al Registro Regionale Organizzazioni di Volontariato.
1986
Tre n ta n n i i n s i e m e
2016
Impegni di presenza attuali:
- nel sostegno verso nuclei familiari e singole persone in condizione di disagio, iniziativa che abbiamo
chiamato Adozione di Vicinanza;
- nell'animazione liturgica e nell'accompagnamento presso le Residenze Sanitarie Assistenziali locali;
- nel servizio integrazione persone diversamente abili con il progetto Free Way e con la presenza
presso il centro diurno Il Girasole di Narzole;
- un piccolo nucleo di Volontari si occupa di Amministrazione di Sostegno.
Per informazioni: [email protected]
Nel corso degli anni si sono sviluppate poi diverse forme di partecipazione e di collaborazione patrimonio non solo nostro ma anche di numerose realtà del
Volontariato locale:
- la partecipazione ai lavori della Consulta del Volontariato
- l'adesione al Centro Servizi per il Volontariato Società Solidale
- l'adesione alla Scuola di Pace di Bra
- la stipula di Convenzioni con il Comune e con i Servizi Sociali
- la collaborazione con il Banco Alimentare e con il Banco Farmaceutico
- l'adesione all'attività della Cooperativa La Tenda di Fossano sul disagio abitativo
- la partecipazione alle iniziative nate ultimamente nei locali della Parrocchia
di San Giovanni Battista; Cittadella della Carità
L'Associazione, pubblica annualmente Bilancio Sociale e Bilancio Economico. Ricava le risorse che contribuiscono alla formazione del Fondo Sociale dalle donazioni ed erogazioni dei sostenitori, dall'autotassazione
mensile proposta la prima domenica di ogni mese in parrocchia, dai contributi di Gruppi, Associazioni, Enti
Pubblici e Privati, dalle Fondazioni Bancarie, dagli Istituti di Credito, Aziende e attività commerciali.
Vige il criterio della deducibilità e si evidenzia come nessuno sia autorizzato a raccogliere fondi per l'Associazione con
modalità diverse da quelle indicate, ovvero autotassazione mensile, utilizzo conto corrente bancario o postale.
Fianco a Fianco
“Fianco a Fianco”
è un progetto di vicinanza e accompagnamento tra famiglie che donano e rivicinanza
Un progetto di
cevono cibo, dignità,
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gn
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dignità, speran
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speranza. Nel 2015
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donano e ric
tra famiglie che
l’Emporio Sociale
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nasce da un accordo
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e Tu! e la sua spesa!
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tra Caritas, Comune
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Aiuterai un
di Bra, Servizi Sociali, Coop, OrtoBra e
l’Associazione Terzasettimana. È un negozio in cui si trovano prodotti
alimentari, frutta e verdura, generi per l’igiene personale e per la casa:
le famiglie possono scegliere e acquistare ciò di cui hanno bisogno
versando un piccolo contributo. L’invio da parte di enti riconosciuti sul
territorio garantisce un circuito limitato alle persone in reale stato di
bisogno. Ogni donazione di 20 euro aiuta una famiglia a fare la spesa.
I contributi si possono versare presso il Centro di Ascolto della Caritas
cittadina in via Vittorio Emanuele II 107 dal martedì al venerdì dalle 9
alle 12 oppure con bonifico sull’IBAN:
IT 53U0503446040000000003334 presso Banca popolare di Novara
intestato a Parrocchia San Giovanni – Mensa – Emporio.
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LA CARITAS
SI È TRASFERITA
in Via Vittorio Emanuele, 109
a Bra
PER DONAZIONE ABITI
RIVOLGERSI presso “LA GRUCCIA” Tel 0172 637464
Vicolo SERGENTE TESTA 2a (angolo Via Umberto)
PER DONAZIONE o RITIRO MOBILI
RIVOLGERSI alla PARROCCHIA “SANTA PAOLA”
CINZANO Via STATALE 74 Tel 0172 479104
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a cura di Gianni Fogliato
“Ali Spiegate”
Nel sociale
Associazione di volontariato
delle Parrocchie braidesi
Intervista ad Alessandra Fissore, Cristiano Fissore e Francesca Dellavalle
Ali spiegate è un'associazione
che opera nella nostra città con
diverse finalità. Potete illustrare le caratteristiche ed i compiti
della parte che si occupa di attività educative?
L’associazione Ali Spiegate ha
tra le sue finalità la promozione
umana, la lotta all’emarginazione
sociale e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui temi della
solidarietà e della giustizia sociale. Da aprile 2016 Ali Spiegate è
divenuta il braccio operativo delle Parrocchie braidesi, facendosi
carico della gestione di tutti i servizi che si caratterizzano come
risposta più immediata ed efficace alle situazioni di vulnerabilità
sociale, non solo economica, ma
anche relazionale. Gli interventi
più propriamente educativi si
realizzano nell’oratorio di
Sant’Andrea con il centro aggregativo “La Terra di Mezzo”.
L’esperienza parte nel 2014 con
l’idea di provare a offrire alla città un altro spazio dedicato ai ragazzi in un’età difficile come
quella dell’adolescenza in particolare rivolgendosi a minori che
frequentano la scuola media inferiore e il biennio della scuola media superiore. Il centro è espressione della volontà delle Parrocchie braidesi di implementare le
tradizionali offerte da “oratorio”
coinvolgendo ragazzi, che spesso
vivono al margine, in un’esperienza di vita normale accompagnati da un supporto costante di
operatori non solo adeguatamente preparati sul piano professionale, ma anche su quello umano e
relazionale.
Le attività che si svolgono nel
Centro Aggregativo per Minori
hanno come finalità la prevenzione di quella povertà intesa come
deprivazione di capacità individuali che impediscono all’individuo di funzionare in maniera adeguata e lo spingono ai margini
della società in cui vive. Lavorare
con i ragazzi che vivono in situazioni di marginalità e di disagio
sociale, significa agire come supporto educativo e come rinforzo
di quella rete di relazioni primarie che sentono come inadeguata.
L’obiettivo diventa riportare i ragazzi dentro la comunità, facendoli sentire parte di un qualcosa
che non tende ad escludere chi è
portatore di problemi, difficoltà e
sofferenze, ma che lo ingloba per
farne tesoro al suo interno, riconoscendo a ciascun individuo il
suo valore di essere umano unico
e irripetibile. Portiamo avanti il
centro ogni giorno sotto la supervisione di Don Giorgio: Cristiano
e Francesca, animatori socioeducativi laureandi in Scienze dell’Educazione, si occupano dell’attività con i ragazzi nel pomeriggio; Alessandra , assistente sociale laureanda in Sociologia, coordina il servizio e tiene i rapporti
con l’esterno; Simone ed Eleonora supportano il lavoro dell’èquipe educativa nelle attività all’esterno dell’oratorio, come il
progetto antidispersione “Oltre la
media”.
Il progetto antidispersione in
essere da questa primavera, vede diversi “attori” agire insieme: voi, il Comune, i quartieri,
ecc... ce lo potete illustrare?
Le attività
proposte sono
un’estensione del Centro Aggregativo “Terra di Mezzo”, l’idea è
quella di rendere le attività itineranti per essere a contatto con le
realtà e con i ragazzi nel loro
quartiere.
Il progetto “Oltre la media” è
frutto di una collaborazione con
il Comune e il quartiere Bescurone, ha come obiettivo la lotta alla
dispersione scolastica dei ragazzi
frequentanti le scuole medie inferiori. La nostra attività si concretizza con cadenza settimanale (il
venerdì pomeriggio) in piazza
Beppe Fenoglio, piccola area
verde incastonata tra edifici di
edilizia popolare, con il coinvolgimento sia dei volontari del comitato di quartiere che degli abitanti della zona.
In una prima fase i ragazzi sono
stati avvicinati attraverso un’attenta e ponderata serie di stimoli
per conoscersi e prendere confidenza con gli adulti presenti (riconoscibili dalla particolare ma-
glietta gialla) ricordando di volta
in volta l’appuntamento settimanale. Formato un gruppo consistente e abbastanza costante di
ragazzi si sono strutturati maggiormente gli spazi e i tempi. Il
grande evento, lanciato a metà
progetto, è stato l’organizzazione
di un Gran Premio di Go-Kart a
pedali il 5 giugno 2016, il pomeriggio è stato caratterizzato da
una grande partecipazione di ragazzi e adulti che si sono lanciati
nell’impresa di sfidare il cronometro in un clima festoso amichevole.
Dopo il periodo estivo le attività
sono riprese a fine ottobre negli
spazi del centro polifunzionale
Arpino, messi a disposizione dal
Comune per tutto il periodo invernale, il venerdì pomeriggio
dalle ore 15,30 alle 17,30. Sono
coinvolti circa una trentina di ragazzi frequentanti le scuole medie e una quindicina di bambini
delle elementari.
Che idea vi siete fatti della realta' adolescenti/giovanissimi che
voi incontrate tutte le settimane?
Lavorando a contatto con i ragazzi ci siamo resi conto di numerosi
casi di fragilità non solo economica, ma anche sociale e culturale che priva di punti di riferimen-
to, rischia di rallentare la loro naturale e sana crescita. Notiamo
pero’ una grande voglia di fare e
partecipare alle attività soprattutto sportive, ma non solo.
I ragazzi che incontriamo dimostrano una forza innata nel sorridere alle avversità che colpiscono
alcuni di loro, insegnandoci a dare il giusto peso agli avvenimenti
della vita.
Alcuni sono ragazzi provenienti
da famiglie con diverse problematiche relazionali o appartenenti alla cosidetta “seconda generazione”, nati in Italia da famiglie straniere e con il peso di sentirsi sospesi tra due culture. Colpisce la totale mancanza di senso
di appartenenza che provano i ragazzi, l’assenza di punti di riferimento positivi e la ricerca costante di attenzioni.
Il tentativo è di creare un terreno
fertile in cui offrire loro la possibilità di prendere coscienza delle
proprie potenzialità e aiutarli a
gettare le basi per costruirsi un
futuro. Riteniamo importante la
prosecuzione di questo progetto
per poter dare continuità alla crescita educativa e sociale dei ragazzi.
Il vostro impegno vi permette
di calarvi nei bisogni educativi
presenti nella nostra città'.
Quali ritene prioritari ed avete
delle proposte da lanciare?
Il bisogno prioritario dei ragazzi
con cui lavoriamo è una necessità
di ascolto, in un mondo che li
spinge a crescere sempre più in
fretta e con sempre meno strumenti a disposizione, dove tutto
va veloce e non c’è spazio per riflettere su di sè; avvertiamo in loro la necessità di figure di riferimento capaci di ascoltarli, consolarli e educarli al valore della vita
e del rispetto reciproco. Proporre
attività come quella che portiamo
avanti in Bescurone è un primo
passo, dobbiamo valorizzare questi interventi: andare a cercare i
ragazzi nei loro spazi per portarli
a conoscere una normalità diversa dalla loro quotidianità fatta di
piccoli espedienti e dalla necessità di affermare il proprio valore
con aggressività e violenza.
È fondamentale non solo lavorare
con i ragazzi, ma anche far conoscere la condizione di disagio
presente in certe zone della nostra
città ed intervenire tutti insieme
con e per i ragazzi per dare loro
una chance di vita diversa.
numero 16 - 2016 - Il Bisbiglio •
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Architettura e Liturgia
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a cura di Francesca e Dario Zorgniotti
La chiesa di Santa Caterina
e l’Iconostasi
La chiesa di Bra un tempo dedicata a San Rocco fu costruita probabilmente nella prima metà del
Cinquecento. In origine aveva dimensioni inferiori alle attuali e
possedeva un solo altare dedicato
ai Santi Rocco e Sebastiano.
La facciata attuale venne realizzata nel 1890 su disegno di Carlo
Reviglio della Veneria.
Il portale d’ingresso in legno,
probabilmente del 1715, riporta
diciotto riquadri sagomati ad altorilievo mentre le decorazioni
interne furono rifatte a metà
dell’Ottocento. (foto 1)
Dal 2014 la chiesa è stata lasciata
alla comunità romena e trasformata in chiesa ortodossa dedicata
a Santa Caterina d’Alessandria le
cui preziose reliquie sono conservate all’interno della parrocchia (foto 2).
La comunità, guidata da Padre
Vasile che vive e lavora a Torino,
qui si ritrova per la Celebrazione
Eucaristica ogni Domenica mattina e per le Confessioni al mercoledì ed al sabato sera.
Entrando nel presbiterio della
chiesa, favoriti dall’assenza di
posti a sedere, si rimane estasiati
6 • Il Bisbiglio - numero 16 - 2015
Foto 2
Foto 1
di fronte all’Iconostasi (foto 3),
posta come velo di fronte all’altare, luogo del Santissimo, a separare il visibile dall’invisibile.
L’Iconostasi è impostata su quattro ordini e presenta tre porte di
ingresso, una centrale e due laterali denominate diaconesse. Sulle
diaconesse sono riportati gli Arcangeli Michele e Gabriele.
Dalla porta centrale può avere accesso solo il parroco. Sulla bella
porta di legno intarsiato sono
scritte le icone dell’arcangelo
Gabriele e di Maria. Sopra sono
riportati l’Ultima Cena, la Trinità, il Mandylion e la Croce.
(foto 4)
Foto 3
Le porte sono sempre aperte solo
a Pasqua. Per il resto dell’anno rimangono chiuse e vengono aperte solo durante l’Eucarestia,
quando si legge il Vangelo, quando si recita il simbolo della Fede
e quando si dà la benedizione all’ingresso ed all’uscita.
Il primo ordine dell’Iconostasi
raffigura la Theotokos e Gesù con
ai lati San Giovanni Battista e
Santa Caterina.
Il secondo ordine descrive 12 episodi della vita di Gesù e di Maria,
il terzo raffigura i 12 apostoli ed il
quarto riporta 12 Profeti.
L’apparato iconografico che ne
deriva è un’opera di immenso valore artistico ma primariamente è
un potente mezzo attraverso il
quale si sperimenta la realtà del
Regno celeste sulla terra in modo
vivo e intenso.
Didascalie
Foto 1: Chiesa ortodossa
di Santa Caterina, Bra
Foto 2: Reliquie di Santa Caterina
Foto 3: Iconostasi
Foto 4: Porta centrale
dell’Iconostasi
Foto 4
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a cura di Emanuele Forzinetti
Storia delle nostre comunità
La chiesa del Corpus Domini
Per tutto il Settecento, la sede ufficiale della parrocchia di Sant’Andrea continua ad essere situata nella parte alta della città,
dove era sorta per iniziativa dei
Canonici regolari di Mortara,
presumibilmente all’inizio del
XII secolo. L’ultima testimonianza superstite è, oggi, il campanile.
Su impulso dei Gesuiti, a seguito
della Missione guidata da padre
Girolamo Maria Cattaneo, di illustre casato genovese, figura di
primo piano all’interno dell’ordine, ben introdotto negli ambienti
romani, compresa l’Arcadia di
Cristina di Svezia, si intraprende
dal 1672 la costruzione della nuova chiesa del Corpus Domini, finanziata dalla comunità. Essa
sorge sulla piazza centrale a fianco del palazzo comunale. Padre Cattaneo richiede a Lorenzo Bernini un disegno per la
facciata, che sarà ulteriormente adattato. I lavori per la posa delle
fondamenta sono seguiti dall’architetto di
corte Guarino Guarini.
Intanto, con lo sviluppo
urbanistico della città,
la parrocchiale appare
sempre più emarginata.
Per circa un secolo la
chiesa del Corpus Domini, denominata sovente “Chiesa Nuova”,
svolge così la funzione
di succursale di Sant’Andrea, secondo gli
accordi sanciti di fronte
all’arcivescovo Vibò,
nel corso della visita
pastorale del 1698, tra
Comune, Compagnia
del Santissimo Sacramento e priore di
Sant’Andrea.
A fine Settecento la re-
quisizione per esigenze militari
costringe il priore a trovare un’altra sede. Così dal 1793 Santissimo e battistero sono trasferiti nella vicina chiesa della Trinità, sede della confraternita dei Battuti
Bianchi.
Intanto il degrado dell’edificio è
velocissimo, come denuncia all’inizio del nuovo secolo il priore
Emanuele Amerano: la chiesa
“nel tempo della passata guerra è
stata destinata al servizio militare
e si trova nell’interno tutta devastata, rovinati li sacri altari, pavimento, porte, finestre, e per renderla officiabile resterebbe
necessaria una spesa considerevole”.
La precarietà della situazione
spinge il priore Amerano a inta-
volare una lunga e complessa
trattativa con l’amministrazione
comunale e il governo di Parigi,
dopo che il Piemonte è stato inglobato nello Stato francese. Si
concretizza il rischio che il Corpus Domini venga definitivamente destinato ad usi profani.
Dopo oltre dieci anni di abbandono le condizioni generali della
chiesa sono assai precarie; serve
provvisoriamente a più usi, da sede del mercato del grano a quello
dei bachi da seta. L’edificio è particolarmente appetibile per la sua
centralità, anche perché Bra non
dispone in quel momento di un
mercato coperto. Il priore rivendica però che, sin dall’esistenza
della chiesa, il parroco di Sant’Andrea ne ha sempre avuto il
diritto esclusivo di officiatura, diritto che
non può più esercitare
da tempo, ma al quale
non ha mai rinunciato.
L’amministrazione
della chiesa spetta, invece, alla Compagnia
del Santissimo Sacramento, presieduta alternativamente dal
Sindaco e da un rettore.
Nel 1808, il Ministro
dei Culti concede
provvisoriamente il
Corpus Domini per
uso liturgico.
Si apre, però, il contenzioso con il Comune che non intende rinunciare ai diritti sulla
chiesa della comunità.
Mantiene, inoltre, viva
la possibilità di trasformarla in magazzino-deposito di sale e
tabacchi, dirottando la sede parrocchiale presso l’ex convento
domenicano.
È evidente che, nonostante le decisioni di Parigi, il Comune continua a considerare il Corpus Domini prima di tutto un edificio di
proprietà comunale, di cui disporre a proprio piacimento. Non
intende inoltre accollarsi le consistenti spese per il restauro. Intanto, una perizia dichiara
Sant’Andrea vecchio inagibile e
irrecuperabile; causa “diverse
scosse di terremoto che si sono
sentite in città”, la chiesa è orami
vicina a cadere in rovina.
Finalmente il Consiglio comunale trova un accordo che impegna
il Comune a mettere in atto i restauri, secondo il progetto dell’architetto Luisetti.
Il trasferimento renderebbe così
possibile l’utilizzo del sito di
Sant’Andrea vecchio per il nuovo cimitero cittadino, conformemente alla nuova legislazione
francese.
Le aste per l’appalto dei lavori
vanno, però, deserte. La sistemazione definitiva del Corpus Domini e il trasferimento della sede
parrocchiale sono così ancora rimandati.
Le condizioni di degrado dell’edificio non possono che peggiorare, sino a renderne impossibile l’utilizzo per attività pubbliche, come avveniva in passato,
quali le assemblee cantonali.
Quando gli interventi di recupero
sono in atto siamo ormai in prossimità della caduta dell’Impero
napoleonico.
Per il trasferimento della parrocchiale occorrerà attendere la Restaurazione, dopo un altro contenzioso con gli enti pubblici.
Nella foto si riconosce la Chiesa di Sant’Andrea, ma in passato
era intitolata al Corpus Domini.
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Stelle di Natale
A cento anni dalla morte
di Charles De Foucauld
Venerdì 1 dicembre 1916, Tamanrasset – Hoggar nell’Algeria
francese: verso sera un uomo
bussa alla porta del fortino dove
da qualche settimana vive fratel
Carlo di Gesù.
Quell’uomo è conosciuto e fratel
Carlo gli apre. Ma ecco che subito sbucano altri uomini, che afferrano fratel Carlo, lo fanno inginocchiare e gli legano le mani
dietro alla schiena.
Saccheggiano il locale, rovesciano carte e libri. All’improvviso
compaiono due meharisti che
vengono a salutare il marabutto
cristiano. Nell’agitazione del
momento il ragazzo, messo a
guardia di fratel Carlo, spara e
colpisce a morte fratel Carlo.
Charles Eugène visconte de Foucauld nacque a Strasburgo il 15
settembre del 1858. Orfano di padre e madre ad appena sei anni,
viene cresciuto, con la sorellina
Maria, dal nonno materno de
Morlet. A causa della guerra franco-prussiana la famiglia si stabilì
a Nancy. Educato cristianamente, durante il liceo Carlo perse la
fede. Frequenta la scuola militare
di Saint-Cyr e poi la scuola di cavalleria di Saumur. Carlo è pigro, svogliato, eccentrico, spendaccione (alla morte del nonno
aveva ereditato una bella fortuna). Si lega sentimentalmente ad
una ragazza di dubbia reputazione e si presenta con lei in Algeria,
quando nel 1880 il suo contingente è colà trasferito e per questo è espulso dall’esercito.
Tornato in Francia, dopo poco
tempo viene a sapere che i suoi
commilitoni sono inviati a sedare
una sommossa. Licenza la ragazza, chiede di essere riammesso
nell’esercito e parte per l’Algeria. Terminata la missione, si
congeda dall’esercito e decide di
darsi ai viaggi, affascinato dall’Africa.
Si prepara per mesi con lo studio
delle lingue e parte per un avventuroso e pericoloso viaggio di
esplorazione del Marocco, con la
guida Mardocheo.
Il viaggio dura dal giugno 1883
al maggio del 1884.
Tornato a Parigi, presso i parenti,
mentre attende alla stesura del
suo rapporto sull’esplorazione
del Marocco, qualcosa va cambiando nell’animo di Carlo: il duro viaggio attraverso il Marocco,
il contatto con la fede mussulma-
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na, il deserto, l’ambiente caldo
della famiglia che l’ha riaccolto
dopo le traversie precedenti lo
fanno tornare in sé e prega nelle
chiese di Parigi: “Mio Dio, se esistete, fate che vi conosca “. Gli
parlano di un prete, l’abbé Henri
Huvelin. Carlo si reca da lui per
avere delle spiegazioni sulla religione: L’abbé Huvelin gli dice:
“Si inginocchi e si confessi”.
Carlo cede alla grazia di Dio. Si
inginocchia; si confessa e poi,
dietro l’invito del sacerdote, va
far la comunione. Scriverà: “Appena io ebbi creduto che un Dio
esiste, capii che non potevo far
altro che vivere per lui solo: la
mia vocazione religiosa è nata
nello stesso istante della mia fede: Dio è tanto grande! C’è tanta
differenza tra Dio e tutto ciò che
non è Lui”.
Un pellegrinaggio in Terra Santa,
dove è particolarmente colpito da
Nazareth, e una frase dell’abbé
Huvelin (“Gesù ha preso l’ultimo
posto in modo tale che nessuno
ha potuto portarglielo via) lo convincono a imitare la vita di Gesù
a Nazareth: questo appello lo guiderà d’ora in poi. Alla ricerca dello stile di Nazareth si fa trappista
a Notre Dame des Nieges, nell’Ardech e poi ad Akbes in Libano. Ma dopo qualche tempo sente
che quello non è la Nazareth desiderata e chiede la dispensa dai
voti. Appena gli è accordata, va a
Nazareth dove, per tre anni, vive
in un capanno nell’orto del convento delle clarisse, pregando,
meditando per scritto i vangeli,
vivendo molto poveramente. La
pagina evangelica della visita di
Maria ad Elisabetta gli apre nuovi
scenari di vita: portare Gesù agli
altri (in particolare pensa al Marocco) nello stile umile di Nazareth. Aiutato dalle clarisse e
dall’abbé Huvelin, decide di diventare prete. Viene ordinato sacerdote a Viviers in Francia il 9
giugno 1901 e si stabilisce a Beni-Abbes in Algeria, nei pressi
della frontiera con il Marocco,
poiché non è possibile entrare in
questo paese. Costruisce un piccolo romitorio (una cappella e
qualche cameretta); prega lunghe
ore, assiste i soldati francesi della
guarnigione, riceve passanti,
schiavi, mercanti, curiosi e scrive: “Voglio abituare tutti gli abitanti della terra, a considerarmi
come loro fratello, il fratello universale… Iniziano a chiamare la
mia casa la “Fraternità”, e questo è dolce…”. Nel 1905, incoraggiato dal vescovo del Sahara e
dall’amico, il comandante Laperrine, si spinge a sud tra le popolazioni tuareg, recentemente sottomesse alla Francia e si ferma a
Tamanrasset nell’Hoggar.
Qui svolge una intensa attività di
pre-evangelizzazione: diventa
amico dall’amenokal (capo),
stringe relazioni di cordiale amicizia con la popolazione, studia
la lingua tuareg, compila un
dizionario tuareg-francese, traduce i vangeli, raccoglie poesie e
proverbi.
A Tamanrasset Charles cercò di
diventare tuareg fino al midollo
delle ossa, facendo proprie la lingua, la mentalità, le usanze e le
sofferenze di quel popolo, donando la vita perché Gesù Cristo potesse incarnarsi, attraverso di lui,
in quelle tribù, come un tempo
Gesù stesso aveva fatto a Nazareth. Il suo è l’apostolato della
bontà. Nel 1909 scrive nel diario:
“Il mio apostolato deve essere
quello della bontà. Vedendomi, si
deve dire: ‘Poiché quest’uomo è
così buono, la sua religione deve
essere buona’ se si chiede perché
io sono mite e buono, devo dire:
‘Perché io sono il servo di uno
più buono di me. Se sapeste come
è buono il mio padrone Gesù!
vorrei essere abbastanza buono
perché si dica: ‘Se tale è il servo,
com’è dunque il padrone?’”
In Europa intanto è scoppiata la
prima guerra mondiale,che ha i
suoi riflessi anche in Africa, dove
tedeschi e turchi, alleati, cercano
di contrastare la potenza coloniale francese, armando bande di ribelli.
È in una di queste azioni che fratel Carlo, il marabutti cristiano,
viene ucciso: «Quando il chicco
di grano che cade in terra non
muore, resta solo; se muore porta
molto frutto... »
Fratel Carlo durante la sua vita ha
desiderato compagni che condividessero il suo ideale, ma è morto solo.
Dopo la sua morte qualcuno ha
preso la sua eredità e l’ha rilanciata. Oggi sono una ventina le
congregazioni maschili e femminili, i gruppi e le associazioni che
si ispirano a lui.
Ratzinger nel 1976 scrisse: “Nazareth è un messaggio permanente per la Chiesa.
La nuova alleanza non ha inizio
nel tempio o sul monte santo,
bensì nella casupola della Vergine, nella casa dell’Operaio, in
una località dimenticata della Galilea dei pagani, da cui nessuno si attendeva qualcosa di
buono.
La Chiesa può iniziare di continuo solo da qui, solo da qui può
riprendere.
Essa non riuscirà a dare una risposta corretta a chi, nel nostro
secolo, si ribella al potere della
ricchezza, fin quando non vivrà
in se stessa la realtà di Nazareth”.
Don Sergio Boarino
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Stelle di Natale
Apostolo nel mondo:
Giorgio La Pira
“Apostoli nel mondo, senza essere del mondo, senza essere riconosciuti dal mondo”. Semplice,
ma forte. Giorgio La Pira è così.
Dal 1904 in cui nasce a Ragusa,
(profeticamente la sponda più vicina all’Africa dei barconi), alla
Firenze di cui è sindaco, al ’48,
quando, deputato scrive, con gli
altri, la Costituzione. “Instaurare
omnia in Christo”, è il file rouge
della sua vita. Coerente in una società in cui le distanze (ieri ed oggi) tra ciò che si dice e ciò che si
fa sono enormi. Professore d’università, ma “certosino sulle strade”. Insomma Marta e Maria insieme. Una fede consapevole, la
sua. L’approfondisce nella lettura
della Bibbia, i padri della Chiesa,
San Tommaso, la trasforma nella
ricerca per le strade di Firenze dei
più poveri che porta per mano ai
dormitori e alle mense. Scelte e
gesti che lega alla messa di San
Procolo, una costante delle sue
giornate, la sua stella polare:
quando sta nelle stanze di chi è in
difficoltà, nel lungo peregrinare
nelle campagne del Pistoiese,
nelle parrocchie, nell’azione Cattolica. È lui a dirlo quando disegna la vita come “cerchi concentrici intorno all’altare, a partire
dai più poveri fino ai responsabili, piccoli e grandi, con al centro
Gesù Cristo, sull’altare”.
È un personaggio straordinario
Giorgio La Pira, maestro per chi
crede, per chi coniuga la preghiera con la polvere delle strade.
È un personaggio incredibilmente moderno: un laico che raccoglie la sua vita nella preghiera
contemplativa, ma contribuisce a
modellare e gestire una società
più giusta. Sta con la gente, cerca
per gli altri casa e lavoro, rilegge
la storia di Firenze, sogna la pace
e l’incontro dei popoli. Va in Russia, in Vietnam, in Medio Oriente. Nel 48 è sottosegretario al lavoro. Ha un progetto. Per questo
combatte, entra ed esce dal go-
verno. Battagliero e deciso, professorone e uomo di strada. Un
grande esempio per i cattolici che
fanno politica.
Accetta incarichi d’ogni genere,
sempre con l’obiettivo di unire,
mai di dividere.
Nei suoi giorni c’è una data precisa: il 6 gennaio 1951. In ginocchio davanti all’altare di San Filippo Neri a Roma, La Pira capisce che la sua “mission” più forte
è quella di dedicarsi alla pace.
Si alza. Scrive lettere ai responsabili della terra come Stalin, ai
Papi, ai patriarchi, ai capi di Stato. La Pira è il “visionario” che
avanza, è il Giuseppe della Bibbia, anche se nel discredito generale e in un mare di indifferenza.
La sua genialità sta nell’essere
così immerso nella realtà e potere
intervenire senza interrompere o
rompere l’unione con Dio e la totale donazione a Lui.
Per il suo disegno di salvezza, il
Signore gioca più carte, usa tutti,
Etty Hillesum
La ragazza che non voleva
inginocchiarsi
Etty Hillesum, nasce il 15 gennaio
1914 a Middelburg in Olanda, e
muore il 30 novembre 1943, in una
camera a gas di Auschwitz, all’età di
29 anni. Nasce quando in Europa
scoppia il Primo conflitto mondiale
e muore durante il secondo, dunque
in un clima di tragedia e di disgrazie.
Eppure, nelle 797 pagine del suo voluminoso diario, così come nelle 47
lettere, non si trova un traccia di violenza, di rivendicazione e, tantomeno, di odio. La conclusione del suo
diario, probabilmente inconsapevole, “si vorrebbe essere un balsamo
per molte ferite”, dice di una persona capace di occuparsi delle ferite
altrui, di uno sguardo estroverso e
attento alla cura piuttosto che alla
vendetta.
Come ci è arrivata? Come è stato
possibile che l’odio in lei non abbia
prevalso? Cosa le ha permesso di disinnescare la bomba di odio e di giusta recriminazione che l’efferatezza
nazista hanno così abbondantemente alimentato? La risposta a questi
interrogativi si trova nel racconto
del viaggio interiore descritto nel
corpus dei suoi scritti, soprattutto in
quel capolavoro che è il suo Diario,
una sorta di sismografo interiore, in
cui ella, in otto fitti quaderni scritti a
mano, ha riportato la risonanza personale degli eventi mondiali e sciagurati che si è trovata a vivere. Il
punto di partenza del suo racconto
autobiografico non è, come legittimamente si potrebbe pensare, caratterizzato dalla narrazione della tragicità degli eventi bellici e della persecuzione razziale, che proprio in
quegli anni raggiunge il suo vertice
di crudeltà ed efferatezza.
Sin dalle prime pagine si intuisce
come la preoccupazione principale
di Etty sia di comprendere se stessa,
di capirsi e conoscersi meglio. Nel
suo diario Etty si rivela come una
persona in ricerca: in ricerca di se
stessa, della vita, del significato delle cose e degli avvenimenti. Ogni
incontro, ogni lettura, ogni esperienza, lasciano una traccia, un segno, nella sua esistenza intima.
Questa ragazza che “non voleva inginocchiarsi” e sentiva di essere in
uno stato di “costipazione spirituale” tale da spingerla a rivolgersi a
Julius Spier, psicochirologo allievo
di C.G. Jung, vive una vera e propria
esperienza di crescita spirituale e
d’incontro con Dio. Il suo Diario,
registro di un viaggio alla ricerca di
se stessa e della verità di se stessa,
giunge infine a Lui. “Percorri l’uomo e troverai Dio”: la celebre
espressione di sant’Agostino, tra gli
autori più amati da Etty, trova una
conferma reale nella sua breve ma
intensa vita. Il senso dell’uno e del
tutto, delle membra e del corpo e
della loro reciproca relazione, il
considerare l’umanità non come una
categoria astratta, bensì come un
corpo vivo, un corpo unico, avvicinano Etty alla visione di Paolo (cf
1Cor 12) sulla chiesa e sul suo ruolo,
all’interno della famiglia umana.
Una chiesa che, in virtù dell’Incarnazione, nasce in Dio e si manifesta
nel popolo, e di questo ne convoglia
le energie migliori, per essere in esso come il lievito all’interno della
pasta. Etty non sarà mai battezzata e
perciò non entrerà a far parte di una
chiesa cristiana ufficiale. Ma, così
come i martiri ricevettero il battesimo del sangue e i mistici il battesimo delle lacrime, forse per Etty si
credenti e non credenti, buoni e
cattivi, per diritto e per rovescio.
E infatti Giorgio La Pira è poliedrico: professore d’università,
sindaco, amico e compagno dei
poveri, uomo di preghiera e
d’azione, politico locale che
chiama i grandi della terra per
fermare le guerre e tessere la tela
della convivenza.
Ce ne fossero così, oggi, a spegnere i quaranta fuochi che dilaniano la terra e, come dice papa
Francesco, fanno la terza guerra
mondiale a pezzetti; ce ne fossero
così nel desolante scenario che ci
regala e fa diventare insostenibile, la disuguaglianza e l’ingiustizia sociale.
Il 22 ottobre del 1936 scriveva:
“Il solo fine della vita è amare,
conoscere, servire il buon Dio”.
E’ un laico che parla, anzi è un
“apostolo” che lavora alla creazione di una città che abbia al
centro la dignità della persona e i
valori della vita e, lavorando,
non si allontana, ma testimonia
ed allarga gli spazi della carità.
Il suo è un originalissimo “ora et
labora” permeato dalla tenerezza
e dalla autenticità che trasparivano, ogni giorno, dai suoi occhi.
Gian Mario Ricciardi
potrebbe parlare di un battesimo del
dolore umano, di una consapevole
discesa negli inferi del lager, senza
esser consumata dall’odio e dalla
sete di vendetta. Un battesimo del
dolore umano, cioè una immersione
nella tragedia del popolo ebraico e
dell’intera umanità. Un fiume di dolore e di sangue che non ha travolto
la giovane Etty, che in lei non ha
avuto la meglio, non ha potuto offuscarne la percezione della bellezza e
la forza inarrestabile della vita. Etty
ha continuato ad amare la vita, anche ad Auschwitz. Ha continuato a
considerarla meravigliosa e a non
avere paura che la morte potesse offuscarne la bellezza. Il 27 giugno
1942 così annota nel suo Diario:
“…secondo la radio inglese, dall’aprile scorso sono morti 700.000
ebrei, in Germania e nei territori occupati. Se rimarremo vivi, queste
saranno altrettante ferite che dovremo portarci dentro per sempre. Eppure non riesco a trovare assurda la
vita… sono già morta mille volte in
mille campi di concentramento. So
tutto quanto e non mi preoccupo più
per le notizie future: in un modo o
nell’altro so già tutto. Eppure trovo
questa vita bella e ricca di significato. Ogni minuto”. Etty Hillesum:
una vera stella di Natale, una luce
nel buio della fitta notte dell’Olocausto. Vale la pena conoscerla, lasciarci accompagnare anche da lei,
nelle piccole e grandi notti, della nostra vita.
don Giorgio
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Stelle di Natale
Materiali di scarto
Un laboratorio di Arte speciale
Uomini che hanno vissuto, e alcuni ancora ci vivono, sotto il cielo e per questo sono veri testimoni di quanto le stelle siano belle
quando si riesce a vederle senza
alcun inquinamento. Esse brillano di luce propria, si vedono da
molto lontano, sono lì per tutti,
nessuno escluso, chiunque voglia
ammirarle e incantarsi della loro
luce palpitante. Sono magiche le
stelle: riescono a schiarire notti
nere, a riflettersi sul mare e sull’umore. Gli uomini senza fissa
dimora sono speciali perché sono
stati costretti dalla vita a rendersene conto di questa misteriosa
bellezza. Materiali di scarto è un
piccolo laboratorio artistico che
utilizza materiali poveri e li trasforma in opere d’arte. Un percorso lavorativo e creativo che ridonando vita a materiali di scarto
ridona dignità e speranza a “vite
di scarto”.
Ogni singola opera è ideata, progettata, costruita, colorata, contemplata e verificata rispetto al
risultato immaginato, infine viene presentata al mondo con un
suo nome.
Dopo una sorta di gestazione essa
nasce, come una creatura vera e
propria, portando in sé traccia degli uomini contemporanei che le
hanno dato vita.
È un esempio ben riuscito di percorsi d’arte e di vita, che raccoglie consensi ed entusiasmo nel
pubblico, testimoniati anche da
diversi articoli scritti e interviste
televisive su questa bella storia
dei tempi moderni di crisi sociale
ed conomica.
Il progetto Materiali di scarto è
nato, nel mese di novembre 2013,
nella cappella dell'ospedale Martini di Torino. Nell’Ospedale, soprattutto d’inverno, aumenta il
numero di persone che hanno
perso casa e lavoro e permangono per l’intera giornata all’interno della struttura ospedaliera,
nelle sale di attesa, nei punti ristoro, cercando riparo per il freddo e per la notte.
Dopo una serie di incontri e di
chiacchierate è emerso da alcuni
di essi il desiderio di potersi impegnare nel fare qualcosa di utile
per uscire dal senso di noia e di
inutilità in cui si cade passando
giornate intere nell’inattività,
sentendosi dire, come un ritornello, che nessuno ha bisogno di
te. È nata così l’idea di occupare
in modo differente la giornata,
impegnandosi in un piccolo servizio come l’allestimento del
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presepio. Intorno a questa semplice iniziativa si è formato un
piccolo gruppo di persone, che
poi ha continuato a lavorare in un
progetto più ampio e impegnativo: la risistemazione degli arredi
di tutta la cappella, che era in una
situazione piuttosto degradata.
“Abbiamo costituito un piccolo
laboratorio nei locali della Parrocchia Gesù Buon Pastore, abbiamo acquistato alcune attrezza-
Nella foto, il primo a destra don Gian Paolo ideatore del progetto
con due artisti del laboratorio artistico
ture e coinvolto in questo progetto alcuni professionisti: un falegname mobiliere, un verniciatore, un architetto e una ragazza
esperta di scultura su legno”. A
sostegno di questa idea si è rapidamente attivata sul territorio una
rete di solidarietà che supporta
queste persone (ad es. attraverso
la preparazione di un pasto caldo
fornito a turno da alcuni parrocchiani). L'entusiasmo delle persone coinvolte è cresciuto giorno
dopo giorno, nel vedere che gli
oggetti creati erano belli e apprezzati. Scoprirsi capaci di imparare nuove tecniche di lavoro e
di creare qualcosa di bello ha ridato fiducia e speranza.
Attraverso questo percorso lavorativo-creativo le persone riacquistano dignità: creare qualcosa
di bello aiuta a vivere meglio,
rende più bella la vita. Le relazioni che nascono tra quelli che lavorano nel laboratorio, e tra di essi e tutti quelli che con loro interagiscono, fanno sì che ogni “artigiano” prenda sempre più consapevolezza delle proprie capacità,
dei valori di cui è portatore.
“La nostra idea è di ingrandire ulteriormente il laboratorio, di puntare a nuovi traguardi, perché materiali poveri e “vite di scarto” si
trasformino sempre più in vere
opere d’arte”.
Per contatti :
http://www.materialidiscarto.it/
Giovedì 15 dicembre 2016
“Mi possono arrestare: ma non tradirò mai i poveri, gli indifesi, gli oppressi; non aggiungerò
al disprezzo con cui sono trattati dai potenti l’oblio o il disinteresse dei cristiani”.
Giorgio La Pira
(Pozzallo, 9 gennaio 1904 - Firenze, 5 novembre 1977)
Relatore: Mario Primicerio, già Sindaco di Firenze,
Presidente Fondazione “Giorgio La Pira” di Firenze.
Giovedì 26 gennaio 2017
In occasione del “Giorno della Memoria”
“Tutte le volte che mi mostrai pronta ad accettarle, le prove si cambiarono in bellezza”.
Etty Hillesum
(Middelburg, 15 gennaio 1914 - Auschwitz, 30 novembre 1943)
Relatrice: Anna Bissi, Guida della Fraternità della Trasfigurazione di Vercelli.
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Appuntamenti
Festa dell’Apparizione
Santuario Madonna dei Fiori
Adorazione nella cripta
di Sant’Antonino
Lunedì 26 dicembre
Santuario nuovo, messe ore 9,00 - 10,30 - 17,30
Con grande gioia per tanti cuori il 19 Settembre 2016 è partita a Bra l’Adorazione
Continua al Santissimo Sacramento,
nella Cripta dell’Oratorio della Parrocchia di Sant’Antonino.
Per ora l’Adorazione si svolge dal lunedì
al venerdì dalle ore 9 alle ore 21 e il sabato
dalle ore 9 alle ore 16.
Sarà sospesa nelle Solennità (a partire dalle ore 18 del prefestivo) e nel periodo natalizio, anche per sottolineare l’importanza
della presenza alla Messa domenicale e durante le Feste nelle proprie Parrocchie.
Ad oggi sono 78 le persone (clero, religiosi e laici) iscritte ad un
turno fisso di Adorazione personale silenziosa settimanale, senza
contare le innumerevoli persone che passano anche solo alcuni minuti per stare alla Presenza di Gesù.
La porta della cappella è aperta per TUTTI e chiunque può aggiungersi nei turni chiamando i numeri :
Emanuela 3408563727 - Maria 3291413654
TRIDUO
Martedì 27 dicembre
Santuario antico, Messe ore 8,00 - 9,00 - 10,30
Santuario nuovo, Messa ore 17,30
Mercoledì 28 dicembre
Santuario antico, Messe ore 8,00 - 9,00
Santuario nuovo
Pellegrinaggio Federvita
Ore 10,30 preghiera delle lodi
Ore 11,00 messa
14,30 adorazione eucaristica con rosario
17,30 Messa
FESTA DELL’APPARIZIONE
Giovedì 29 dicembre
Mattino
Santuario antico messe ore 8,00 - 9,00
Santuario nuovo ore 10,30
Concelebrazione presieduta
dal Vescovo di Cuneo e Fossano, Mons. Piero Delbosco.
“Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!” (Eb 13,8).
Egli sa come parlare al cuore di ciascuno.
Diamo lode a Dio per questa meraviglia che ha compiuto fra noi.
Durante il triduo e la festa del 29 dicembre
alla messa delle 17,30 proclameranno la parola di Dio
i sacerdoti salesiani.
FRA CHIESA LOCALE E TERRITORIO METROPOLITANO
Pomeriggio
Santuario nuovo
15,00 Messa
16,45 Rosario meditato
17,30 Messa per i benefattori del santuario vivi e defunti e
per gli ultimi rettori defunti
Emanuela Iannaccone
Alberto Riccadonna
Direttore Responsabile
Periodico - Anno VI
Dicembre 2016 - Numero 16
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Eventi
Un libro per Bescurone
Comunità di Bescurone: un libro
raccoglie e racconta la sua storia
Una storia ha sempre un inizio e
una evoluzione.
Questo vale anche per la Comunità di Bescurone. Andando a ritroso negli anni, si riscoprono
momenti significativi e passaggi
cronologici, che identificano e
qualificano la comunità ed il
quartiere.
Nella memoria di coloro che hanno vissuto e abitato nel quartiere
e che ancora ci vivono e ci abitano, persistono tanti ricordi. Vivere e abitare infatti sono la cifra
della realtà. Si può abitare come
si abita in un albergo o in una città
dormitorio, tanto per avere un indirizzo e un recapito.
Ma per vivere occorre avere il
senso dell’appartenenza e dello
starci. Come stare a casa, con le
attenzioni, con le preoccupazioni
e con le cure che essa richiede.
Le testimonianze raccolte in questo libro, le notizie trovate nei diversi archivi, le vecchie fotografie e le più recenti immagini tengono viva la memoria e rafforzano la coesione della gente che
abita e vive in Bescurone.
Un nome strano, quello di Bescurone. Pare derivi dalla denominazione di un rigagnolo, che raccoglieva le acque defluenti dalla
collina verso i prati di quella zona
bassa.
Quella zona e tutti gli avamposti
abitati di qua e di là della ferrovia
e del canale Naviglio hanno poi
acquisito progressivamente
l’identità di un quartiere, che negli anni
sessanta, alle connotazioni agresti, ha
aggiunto velocemente quelle dell’insediamento industriale
dell’Abet, fabbrica di
laminati plastici, dando così inizio a due
storie intersecate. Da
una parte gli innegabili
vantaggi economici,
dall’altra le fatali ed
ineludibili ricadute negative sull’ambiente.
La fabbrica rientrava
fra le industrie “a rilevante rischio ambientale”. La situazione del
quartiere era dunque
molto diversa dalle altre
realtà cittadine e, tuttavia, l’Amministrazione
Pubblica di allora riservava poca attenzione ai problemi di un quartiere, in
forte espansione abitativa,
carente di infrastrutture e
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cessi, un modus vivendi, risolvendo progressivamente molte
criticità.
La realtà odierna è sotto gli occhi
di tutti.
opere primarie di urbanizzazione, come una adeguata rete fognaria. Ma, grazie alla nascita di
un comitato spontaneo di quartiere, primo in assoluto a Bra eletto
a suffragio universale, si è
cercato, con alterni suc-
La Comunità Cristiana
La gente ha fatto un lungo cammino nella ricerca di coesione sociale. Naturalmente senza debordare dalle specifiche competenze
e senza confondere i ruoli laici
con quelli religiosi. La linea seguita è quella del rispetto e della
collaborazione. In questo contesto è nata, si è formata, è cresciuta, vive ed opera la Comunità Cristiana di Bescurone.
Al primo posto fra i suoi impegni
c’è quello di mantenere il radicamento territoriale, di continuare a
sentirsi parte viva e inscindibile
del quartiere, oltre che della
Chiesa, ancor più in questi anni
in cui la sua popolazione è diventata multietnica, multiculturale e
multi confessionale.
L’alto concentramento nella zona
di case popolari, ha aumentato
massicciamente la presenza di
immigrati. Ciò richiede una attenzione più motivata e un approccio più profondo ai nuovi
problemi, proprio per consolidare la coesione raggiunta.
La Comunità, che si ritrova per la
Messa domenicale, per la catechesi, per i momenti forti della liturgia e per tutte le altre celebrazioni nella sua Chiesa “Beata
Vergine del Rosario”, si sente im-
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Musica
a cura di Mattia Savigliano
La musica
sveglia
i sensi
Con questo articolo possiamo trovare degli spunti di riflessione per
cercare di “Cantare la Messa”. A mio avviso non esistono “canti
adeguati” [= corretti, giusti] ma canti “adatti” [= che hanno i requisiti
neccessari, idonei]; Solo la conoscenza dei vari argomenti, l’umiltà e
il servizio disinteressato ci potranno far comprendere quell’immenso
repertorio musicale a cui attingere in modo dignitoso e mai banale, per
cantare le nostre liturgie.
pegnata a testimoniare concretamente la fede nella libertà.
Cerca cioè di dare continuità alle
ispirazioni iniziali, suggerite e
vissute da padre Stefano, suo primo animatore e pastore.
E si sente oggi sostenuta e stimolata dalle catechesi di Papa Francesco, dall’incoraggiamento del
Vescovo Cesare Nosiglia e dal
dialogo costante con il Parroco
don Giorgio.
Le tensioni, le incomprensioni e
anche i conflitti, che la Comunità
ha vissuto e sofferto, nella sua
storia, hanno fatto maturare e
consolidare i legami tra tutti
quelli che si considerano fratelli
nella fede.
Questo è quanto vuole raccontare
e testimoniare il libro, che viene
pubblicato nei cinquant’anni della Comunità e nei quarant’anni
della Chiesa, dedicata alla “Beata
Vergine del Rosario” dal Cardinale Michele Pellegrino nel
1976. Con il libro, che sarà disponibile per Natale, si intende
anche offrire una concreta proposta di condivisione a tutta l’unità
pastorale.
Raimondo Testa
In questo numero voglio parlarvi della prima parte della Celebrazione.
Uno dei momenti fondamentali per l’inizio della S. Messa è la
PREPARAZIONE dove si crea un clima familiare. Ci si incointra la
domenica, si scambiano due parole ordinate e il coro può proporre dei
brani da ascolto prima di far provare i canti della Liturgia
all’Assemblea.
È tutto pronto, possiamo iniziare con i RITI D’INTRODUZIONE:
l’Introito: ha 4 funzioni (o.g.m.r. n°47) “Dare inizio alla celebrazione,
favorire l’unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero
del tempo liturgico o della festività, accompagnare la processione del
sacerdote e dei ministranti” (con canti conosciuti da tutti).
Il Saluto all’altare e al popolo radunato.
L’Atto penitenziale e il Kirie.
Il Gloria (inno antichissimo dove la Chiesa glorifica e supplica Dio e
l’Agnello).
La Colletta.
Per il canto di oggi vi invito ad andare a leggere “Si accende una luce”
al numero 458 dei libretti rossi. È un canto che sottolinea l’accensione
di una lampada (Lucernario). Le quattro strofe ci aiutano ad entrare
nel tempo di Avvento, settimana dopo settimana.
Ci lasciamo con una piccola curiosità: forse pochi di noi sanno che
nella Cappella dedicata a S. Lorenzo alla Riva di Bra, “nel 1855, fra il
corridoio della sacrestia ed il campanile, i “contadini” costruirono
un’aula per la scuola locale: più di vent’anni prima della Legge
Coppino”.
Ascoltiamo, Tocchiamo, Osserviamo, Respiriamo, Gustiamo…
svegliamo i sensi!!!
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Presepi viventi e Festa Oratori
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a cura di Christian Damasco
Letti per voi
Laurea
Non piangere
honoris causa
a Enzo Bianchi
Fotografie: Gazzetta d’Alba
Giovedì 6 ottobre ore 18, presso la Chiesa Parrocchiale di Sant’Andrea, l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo ha
conferito la Laurea Honoris Causa a Enzo Bianchi. Presenti il nostro
Vescovo Cesare Nosiglia, il Vescovo di Alba Marco Brunetti e molte
autorità.
Enzo Bianchi, fondatore e priore della Comunità monastica di Bose,
ha tenuto una Lectio Magistralis dal titolo “Cibo e vita spirituale”, preceduta
A conferire la laurea al religioso sono stati il Rettore Piercarlo Grimaldi e il fondatore Carlin Petrini.
In quanto “Uno dei più prestigiosi studiosi che stanno a fondamento
delle scienze gastronomiche”. E ancora: “Ha contribuito al definirsi
della gastronomia come scienza, dando grande contributo ai tratti
fondativi della disciplina”.
Può un libro essere allo stesso
tempo romanzo drammatico e
saggio storico?
Difficile.
Ma Non piangere, romanzo vincitore del premio Goncourt nel
2014, riesce in modo encomiabile in questo obiettivo. E lo fa tracciando uno spaccato drammaticamente reale della Spagna al
tempo della guerra civile. Un
pezzo di storia del quale poco si
conosce in Italia e nulla si insegna a scuola, ma che rappresenta
un mondo tanto passato quanto
attuale. Un romanzo forte e sensibile che denuncia l'alleanza tra
la Chiesa cattolica e il regime
franchista in un paese dominato
dalla paura e dall'autoconservazione in cui è scomparsa l'attenzione al povero e al debole. Denuncia che si traduce nell'intreccio tra il romanzo storico che pone al centro la figura di George
Bernanos, scrittore cattolico, integralista e nazionalista ma capace di denunciare l'appoggio della
Chiesa al regime e la storia di
Montsè, madre dell'autrice e della sua vita durante quegli anni.
La storia di una vita vissuta a cavallo tra Spagna e Francia, alla
ricerca di quel senso di libertà effimero e visionario che solo i giovani riescono a vivere. La storia
d'amore vissuta un'estate da
Montsè con un affascinante sconosciuto sembra lasciar intendere
che, nonostante tutto, la possibilità di vivere rapporti liberi fosse
possibile. Sembra essere veramente così e Montsè vive una libertà straordinaria perchè aveva
il diritto di parlare, di baciare, di
vivere. Un diritto che solo chi
non accettava imposizioni poteva permettersi. Un diritto che darà forma a un ruolo fondamentale
della donna nella rivolta al regime. Il franchismo segnerà la Spagna per oltre trent'anni e ancora
oggi si trascina i residui di una
fase buia della sua storia. I risvolti peggiori sono quelli sociali che
continuano a far riemergere periodicamente le posizioni più radicali e chiuse che non riescono a
immaginare una società capace
di operare per il bene comune e
nel rispetto reciproco. Anche in
questo, Non piangere è un romanzo che ha molto da raccontare alla nostra società moderna (o
presunta tale).
Non piangere
Lydie Salvayre (2014)
Edizioni L'Asino d'Oro
Una foto storica della Guerra civile spagnola: alcune donne, in fuga verso nord
da Barcellona, cercano di recuperare i loro bagagli da un camion rovesciato
(foto Archivio Corsera)
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