Gentile Commissione Distrettuale Premio “Francesco Algarotti”, in

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Gentile Commissione Distrettuale Premio “Francesco Algarotti”, in
Gentile Commissione Distrettuale Premio “Francesco Algarotti”,
in questo elaborato affronto il tema «Etica e
Responsabilità» della
leadership futura, riportando alcuni spunti tratti dal Corso Ryla del 22-27 marzo
2004.
Il tema «etica» è talmente vasto, imbrigliato, nascosto in ogni aspetto della
vita quotidiana tanto da poter esser dimenticato, celato anche agli occhi più
attenti. I suggerimenti nascono da un presupposto largamente condiviso: offrire
una riflessione più ampia possibile su "la notte dell'etica", come i sociologi
definiscono il momento nero che stiamo attraversando, accerchiati da violenza di
ogni tipo, corruzione, criminalità in aumento; tanto che in alcuni Paesi europei si
parla di introdurre l'etica come materia scolastica. In sostanza, la richiesta di
educazione morale si fa più insistente, e dunque occorre tracciare di nuovo le
linee del campo per sapere cos'è bene e cos'è male. Non un tracciato in senso
classico, un trattato indigeribile ai più giovani. Etica che nasce da importanti
testimonianze dei nostri giorni, e non da un assioma perfetto, indecifrabile nella
vita quotidiana o facilmente dimenticabile. Etica che viene alla luce
dall’esperienza.
Il concetto di «etica» ci viene insegnato non come un concetto da tradurre,
interpretare nel quotidiano, ma come una esigenza del mondo contemporaneo e
che proviene dal quotidiano. Non un semplice insegnamento morale, religioso,
politico, sociale, ma come regola di vita e della vita. Tradurre il concetto di
«etica» significa cercare di essere coerenti con se stessi, con i valori che ciascuno
porta dentro di sé, anche se non sempre se ne è consapevoli, che ci affiancano
nella vita, guidano ogni scelta e danno senso ad ogni accadimento.
Non esiste infatti regola che non possa essere dimenticata o volutamente
ignorata, deve essere quindi la responsabilità dell’individuo che a essere decisiva.
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Da qui nasce il concetto di leadership del futuro giovane europeo con la sua
proiezione per un lungo scenario.
Diversi suggerimenti sono nati dalle relazioni tenute al Corso RYLA,così come
diversi i tentativi di far capire cosa è l’Europa, quali i possibili futuri scenari
all’interno dei confini e quelli esterni ad essi. L’esigenza di una politica estera
univoca e del lavoro, un maggiore dialogo tra istituzioni locali-nazionali-europee,
nuovi spazi di libertà-sicurezza-giustizia, maggiori incentivi ai giovani e alla
innovazione, nuovi investimenti in infrastrutture sono alcuni dei temi trattati.
Tutte prospettive che aumentano il ruolo della Comunità Europea, nessun
euro-scetticismo, ma solo paure a cui si possono dare risposte decisive senza
compromessi.
L’«insieme Europa» comprende tutto questo e molto altro. Se analizzato
in modo puntuale esso è costituito da una infinità di sottoinsiemi diversi, quindi
non immediatamente integrabili, realtà economiche-sociali-politiche localiregionali-nazionali diverse. Ciascun sottoinsieme poi moltiplica all’infinito le
difficoltà di integrazione se inserito nel contesto comunitario. Il futuro sistema di
governace esige il rispetto di ciascuna realtà locale perché esso possa funzionare.
Non si tratta infatti di far nascere un nuovo modello di stato federale ,
come su modello statunitense, ma di una comunità in cui vengono mantenute e
valorizzate identità, culture differenti. Ecco che l’impegno è quello di creare
valore in modo sinergico, basato sul mutuo riconoscimento, sulla libertà di
stabilirsi, sul dialogo e negoziazione: in altre parole creare uno spazio in cui
l’individuo sia libero, dove la giustizia possa essere forte di garanzie e sicurezze.
Ed è proprio in questo momento, in cui sembra che l’economia europea sia
in crisi, in particolare quella della nostra realtà locale del Nord-est, accusando
colpi durissimi da parte della Cina e di altri paesi asiatici, che il concetto di
finanza etica nasce.Il primo avvio c’è stato quando numerose organizzazioni del
volontariato e della solidarietà sociale hanno iniziato ad interrogarsi sul ruolo del
denaro,della
finanza
e
dell'impresa.
Si fa strada l'idea di banca etica, una banca intesa come punto di incontro
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tra i risparmiatori, che condividono l'esigenza di una più consapevole e
responsabile gestione del proprio denaro, con quelle realtà socio-economiche che
hanno
come
finalità
la
realizzazione
del
bene
comune.
Il desiderio è di realizzare qualcosa, che vada contro la logica corrente di
gestione del denaro e del risparmio, per concretizzare dei comportamenti e dei
programmi operativi veramente utili alla società e allo sviluppo equilibrato e
sostenibile. Nell’ottica della finanza etica è prevista, oltre l’esclusione di forme
di investimento in attività che arrecano danno alla salute e all’ambiente,
incentivare la promozione di modelli di consumo socialmente responsabili, in cui
rientrano tutti quegli investimenti ne l non profit che si indirizzano al sociale
(cooperazione sociale, inserimento lavorativo degli emarginati, volontariato
organizzato), allo sviluppo economico-culturale (commercio equo e solidale,
cooperazione allo sviluppo del sud del mondo), alla tutela ambientale (agricoltura
biologica, associazioni ambientaliste, smaltimento e/o riciclaggio rifiuti), al
miglioramento delle condizioni e della qualità della vita (servizi alla persona,
materiali o servizi per la sicurezza).
Ed ancora lo sviluppo di innovazione di base e specialistica, attraverso
nuovi finanziamenti, sono indispensabili per una crescita equilibrata e sicura.
Abbiamo perso il binomio irremovibile del Capitale (K) e Lavoro (L) così
diffuso nei «vecchi» testi di economia, mi sorridono, in proposito, ricordi di
lunghe notti di studio e di grafici senza fine. Questo binomio non è più
sufficiente per descrivere i comportamenti macroeconomici.Il mondo che
viviamo va oltre.
Nasce una terza leva che spinge verso l’innovazione e il benessere.
Impegno calcolabile in percentuali di intensità sul Prodotto Interno Lordo di ogni
singolo Stato, ma sempre risposta a quella strategia di lungo termine necessaria
nel futuro di leadership europea e che a detta di molti è mancata in questi ultimi
anni.
Finalmente un dato certo, pressoché condiviso da tutti, l’obiettivo
dell’innalzamento al 3% del P.i.l. entro il 2009 della «ricerca e innovazione» o
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«Research&Development», come lo chiamano gli anglosassoni. Ma quale
ricerca?
Molti i campi interessati: dalla scie nza della vita, bellissima definizione
ma che comprende pressoché tutto, all’informatica, alle nanotecnologie, allo
spazio, allo sviluppo degli alimenti, ma attenzione, e non a caso, della
governance e della cittadinanza. Insomma include anche la vita sociale, il ruolo e
la diffusione delle istituzioni europee e delle responsabilità dei cittadini europei.
Ed ancora, quali altri investimenti, l’Europa come centro di ricerca necessita la
creazione di enti di ricerca d’eccellenze, che possano finalmente attrarre
«intelligenze» dall’estero. Non solo evitare che scappino all’estero ma attrarle
verso l’Europa. Ecco che quindi le «reti di eccellenza» sono uno strumento
nuovo per rafforzare l’eccellenza in particolari settori della ricerca, attraverso il
superamento della frammentazione della ricerca europea e l'integrazione della
massa critica e delle expertise necessarie per creare una leadership europea nel
settore «ricerca».
Il mondo non è solo un gioco con vincitori e vinti, con vincenti o perdenti,
non ha un'unica identità politica, non è una istituzione, ecc., ma è equilibrio. La
visione geopolitica del mondo pone tutte queste aspettative. Tutti noi siamo
portatori di interessi, possiamo esprimere il nostro dissenso verso le istituzioni,
cambiare le cose, essere quindi protagonisti attivi e giocatori in questo
indecifrato gioco.
Analisi, valutazioni, interventi, che provengono sia dal mondo
universitario sia da quello imprenditoriale più sensibile, sembrano convergere in
modo perentorio verso quel dialogo tra «culture» e quello spirito di tolleranza
senza cui non esiste democrazia.
Come cittadini europei siamo spinti verso la competizione, non il
sopprimere gli altri, l’integrazione non la repressione. Siamo «diversi», ma
uguali «formalmente e sostanzialmente». Una diversità che nasce dalla relatività
di appartenenza di ciascun soggetto ad una categoria.
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E, come nella migliore democrazia, siamo dotati della facoltà di scelta,
abbiamo insomma il potere di imprimere un nuovo modello responsabile basato
anche su scelte «etiche». La strategia di lungo termine, necessaria, spinge verso
l’equilibrio, il benessere di tutti indistintamente. E come nei migliori profili di
ogni sistema competitivo sono le scelte a creare valore e fare la differenza.
Se questo è il nuovo corso quale sarà il protagonista della futura
leadership mondiale?
Le guerre del Golfo, in Iraq, e quella del Kosovo e il terrorismo hanno, in
effetti, dimostrato che oggi l’America è la sola superpotenza al mondo. Russia e
Cina hanno troppi problemi interni per potersi affermare come potenze globali.
Difficile però dare una risposta al futuro sulla sfida della leadership
mondiale, soprattutto perché il vero elemento di novità di questi anni, l’Unione
Europea, è una creazione troppo recente. Certo, le idee su cui si basa vengono da
lontano, dalla prima guerra mondiale, anche se poi si sono concretizzate solo
dopo la seconda e, in particolare, solo dopo la definizione del Trattato di Roma
del 1957. Rimane il fatto che poco più di quarant’anni sono molto pochi dal
punto di vista storico, ed è impossibile prevedere oggi cosa potrà essere l’Unione
Europea tra venti o trent’anni.
Volendo essere pessimisti si può certo sostenere che anche fra vent’anni
l’Europa sarà un nano politico, ma se si vuole essere realisti si deve ammettere
che il cammino compiuto in quarant’anni è stato straordinario. Innanzitutto si è
garantita la pace fra tutti i Paesi dell’area, e già questo mi sembra un risultato
importantissimo. Poi si è realizzata una vasta comunità di interessi, di cui la
moneta unica europea è l’espressione più avanzata. Ma anche sotto il profilo
politico si sono fatti importanti passi avanti. Consideriamo la vicenda del
Kosovo, nella quale tutti i Paesi europei si sono mossi in sintonia, e di cui si è
ampiamente discusso al seminario. Questo non sarebbe stato possibile anche solo
pochi anni fa.
Denigrare è facile, ma se si cerca di essere oggettivi occorre pensare che
nei prossimi anni l’Unione Europea potrà divenire un fattore di grande peso nella
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scena mondiale. Non parliamo poi della Cina che in futuro potrebbe riservare
grosse sorprese. Oggi noi consideriamo gli Stati Uniti come la sola superpotenza
globale, ma non sappiamo cosa saranno tra dieci o vent’anni. Proiettare quello
che è il presente nel futuro non corretto in modo lineare perché il futuro ci riserva
molte sorprese.
Negli ultimi anni si è creata una situazione di evidente mancanza di leadership in
tutti i principali Paesi. Blair è a stento leader del suo Paese, il Giappone è in
depressione, l’Europa non ha un rappresentante forte, la Russia è divisa, la Cina
lontana ed diversa. La mancanza di una leadership riconosciuta incide molto
sulla politica della situazione internazionale.
Lo stesso concetto di leadership si sta modificando. Intendo dire che nella
realtà di oggi non vi è forse più neppure posto per le persone eccezionali. Lo
sviluppo tecnologico aumenta e diffonde i centri di potere, la politica subisce un
processo di demistificazione o addirittura di desacralizzazione.
Nel caso degli Stati Uniti è la stessa presidenza ad avere subito un
ridimensionamento, e questo accade un po’ in tutti i Paesi del mondo. Non ci
sono più le figure carismatiche del passato, come De Gaulle in Francia, Roosvelt
negli Usa, Churchill in Gran Bretagna o, in aree più lontane, Gandhi in India o
Ben Gurion in Israele. Se questo è vero, significa che non dobbiamo più aspettare
uomini eccezionali per compiere imprese eccezionali. Occorre avere una visione
più funzionalista, vale a dire arrivare a creare le condizioni per cui gli eventi alla
fine si producano per necessità, come è accaduto in fondo per la creazione
dell’euro. Si tratta dunque di sostituire la volontà dei grandi uomini di compiere
grandi imprese con la creazione di meccanismi che impongano costi molto
elevati per chi non dovesse rispettare condizioni prestabilite.
Ecco che nasce una questione molto sentita da tutti gli imprenditori,in
particolare del Nord-est ma in generale di tutta l’Europa, relativa alla Cina
(immenso calderone pieno di ricchezze, contraddizioni, e aspettative). Il marchio
«CE» ,Comunità Europea o China Export per loro, non è più competizione o
sfida ma un affronto a viso aperto alla nostra economia. Molti valori economici
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sono in ballo, ma soprattutto la difficoltà che l’Europa ha di imporsi per far
riconoscere i proprio marchi e diritti. Non si deve temere la competizione, visto
che questa porta altra innovazione ed ulteriore benessere, diversamente sì la
sleale e non etica posizione assunta nei Nostri confronti. Questo esempio
dimostra come in qualsiasi attività economica, sociale o politica la leadership
deve essere accompagnata da un forte impulso di responsabilità che nasce in
primis dagli individui e dalle loro scelte.
Ringrazio anticipatamente e porgo i più cordiali saluti,
Francesco Palumbo
Vic. Delle Betulle 8
31020 San Polo di Piave (TV)
E- mail: [email protected]
Cell.: +39 347 910 910 1
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