la battaglia di acri - Gran Priorato d`Italia OSMTH

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la battaglia di acri - Gran Priorato d`Italia OSMTH
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ACCADEMIA TEMPLARE - TEMPLAR ACADEMY
Quaderni
2014
LA BATTAGLIA DI ACRI
LA FINE DEI REGNI LATINI
Filippo Grammauta - Filippo Tarantino
QUADERNO N° 16/2014
AVVERTENZA
Gli Autori si assumono ogni responsabilità in ordine alla paternità del
contenuto ed alle valutazioni riportate nel presente Quaderno.
La presente copia non è commercializzabile.
Essa è distribuita in formato digitale ed a titolo gratuito
tra i soci ed i simpatizzanti
dell’Accademia Templare-Templar Academy
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LA BATTAGLIA DI ACRI
LA FINE DEI REGNI LATINI
Filippo Grammauta - Filippo Tarantino
CAPITOLO I
LE CONDIZIONI DEL REGNO PRIMA DELLA FINE
I.1 - Luigi IX e la riorganizzazione del regno di Gerusalemme
Luigi IX, re di Francia, pur avendo meticolosamente organizzato per
lungo tempo la sua crociata1, sbarcato a metà del 1249 in Egitto ed
occupata Damietta, dopo una serie di labili successi militari, l’8
febbraio 1250 subì una disastrosa sconfitta nella battaglia per la
conquista della città di al-Mansurah, nella quale perse la vita anche il
fratello Roberto d’Artois; il maestro del Tempio, Guglielmo di Sonnac2,
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Luigi IX, nell’organizzare la sua crociata, stipulò accordi con Ugo I, re di
Cipro, per la fornitura di provviste di vario genere, noleggiò navi genovesi e
marsigliesi e preventivò il costo dell’intera campagna: oltre un milione di
lire, a fronte di un bilancio annuale del regno di Francia pari a circa 250.000
lire. Fu pertanto necessario imporre nuove e più pesanti tributi, ai quali non
sfuggirono le autorità locali ed il clero. Partirono al seguito del re la moglie
Margherita di Provenza ed i fratelli Roberto d’Artois, Carlo d’Angiò ed
Alfonso di Poitiers. Il conte di Champagne non partecipò direttamente alla
crociata, ma inviò un contingente al comando del suo siniscalco, Giovanni di
Joinville, che ci lascerà una interessante cronaca su tutte le vicende connesse
con la crociata di Luigi IX.
Esponente di una numerosa famiglia di Rouergue, dopo avere ricoperto
importanti incarichi in Aquitania e nel Poitou, nell’autunno del 1247 arrivò
in Terrasanta dove, alla morte di Guglielmo di Rochefort, fu eletto maestro
del Tempio.
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fu gravemente ferito alla testa e, pur riuscendo a tornare al campo
cristiano, dopo tre giorni morì.
Nei due mesi successivi i Mamelucchi3, guidati dal sultano
Turanshah4, contrattaccarono, occuparono il campo crociato facendo
migliaia di prigionieri e l’8 aprile 1250 catturarono anche il re di
Francia e i suoi due fratelli, Carlo d’Angiò ed Alfonso di Poitiers.
Turanshah, per liberare tutti i prigionieri, chiese un riscatto
complessivo di 500.000 lire, poi ridotto a 400.000 lire.
La battaglia di al-Mansurah – Miniatura medievale
Fu pagata una prima rata di 200.000 lire ed il 5 maggio 1250 il re e
parte dei prigionieri poterono ritornare a Damietta, ancora saldamente
in mano ai crociati, guidati durante l’assenza del re dalla moglie
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Soldati reclutati tra gli schiavi di origine turca e circassa, addestrati alle armi
e inseriti negli eserciti musulmani. Il primo ad utilizzarli fu il califfo alMu’tasim, ma successivamente l’esempio fu seguito da tutte le dinastie nate
dalla dissoluzione del califfato, fino agli ottomani. Il ricorso a soldati di
origine servile non musulmani serviva ad eludere il dettato coranico che
impediva ai musulmani di combattere contro altri musulmani.
Turanshah, figlio del sultano egiziano al-Salih Ayyub, fu a sua volta sultano
dell’Egitto a partire dal 1249. Nel 1250, per avere pubblicamente umiliato i
Mamelucchi, fu barbaramente ucciso da Baybars.
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Margherita di Provenza5. Essendo però insufficiente la somma che
l’armata francese poteva mettere insieme per pagare il resto del riscatto,
fu chiesto un prestito ai Templari; ma il tesoriere si rifiutò di concederlo
in assenza dell’autorizzazione del maestro generale: così infatti
imponeva la Regola. Il problema fu risolto con uno stratagemma
suggerito da Rinaldo di Vichiers6, maresciallo del Tempio, il quale
propose al re di prendersi direttamente quanto gli occorreva – con una
simulata azione di forza - dai forzieri custoditi nelle galee templari.
Così fu fatto: la Regola fu salva ed il tesoriere del Tempio, Stefano di
Otricourt, non ebbe alcuna responsabilità nella concessione del prestito.
Luigi IX lascia Damietta
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Durante la prigionia del re, Margherita partorì a Damietta Giovanni Tristano,
sesto figlio della coppia reale.
Rinaldo di Vichiers, già gran maresciallo dell’Ordine, e prima ancora
precettore di Francia, dopo il ritorno nella Siria franca dei Templari scampati
all’eccidio di al-Mansurah, fu eletto maestro generale dell’Ordine. Fu tra
coloro che convinsero Luigi IX a prolungare la sua permanenza in
Terrasanta. Poco dopo la sua elezione apprese la notizia della morte
dell’imperatore Federico II e che il suo testamento ordinava la restituzione
dei beni tolti ai Templari. Morì nel 1256.
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Luigi IX, resosi conto che la campagna per la conquista dell’Egitto
era fallita, l’8 maggio 1250 salpò con il suo seguito alla volta di Acri,
dove arrivò il 13 maggio, festosamente accolto dalla popolazione e
dalle autorità locali, che avevano apprezzato molto la sua rinuncia al
rientro immediato in Francia. La sua forza militare, tuttavia, si era
ridotta a qualche centinaio di cavalieri, senza contare che quelle
cipriote e quelle franco-siriane erano state annientate ad al-Mansurah o
imprigionate in Egitto, e che gli effettivi dei Templari e degli
Ospitalieri erano stati più che dimezzati.
Dopo qualche settimana dal loro arrivo ad Acri, molti baroni
francesi, con in testa i fratelli del re, Carlo d’Angiò e Alfonso di
Poitiers, decisero di fare ritorno in patria. Luigi IX, ritenendo con
sincero ardore religioso di essere stato investito da Dio della missione
di salvaguardare la Terrasanta, vi rimase per quattro anni7, durante i
quali cercò di organizzare sotto forma di Stato quel che rimaneva dei
possedimenti cristiani nel Vicino Oriente.
Utilizzando il denaro inviato dalla chiesa francese, Luigi IX fece
assoldare mercenari e riuscì a fare liberare i numerosi crociati catturati
durante la disastrosa campagna d’Egitto e che, ancora prigionieri dei
Mamelucchi, erano sopravvissuti alla sanguinaria violenza dei loro
carcerieri. Inoltre, si fece carico del pagamento delle spese per il
mantenimento dei cavalieri al seguito di Giovanni di Joinville e creò –
ponendo l’onere finanziario a carico della corona – un reggimento
stabile di soldati franchi destinato alla difesa permanente della
Terrasanta.
In previsione di futuri attacchi dei musulmani, che premevano sia
dall’Egitto (in mano ai sultani mamelucchi) che dalla Siria (in mano ai
sultani ayyubiti8 discendenti di Saladino), avviò un programma di
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Al suo fianco rimase il fidato Giovanni di Joinville, che fu nominato
siniscalco del regno di Gerusalemme.
Dinastia musulmana che dominò l'Egitto, la Siria, la Mesopotamia e l'Arabia
meridionale dalla seconda metà del XII secolo, sino alla metà circa del XIII.
Suo fondatore è stato il curdo Salāh ad-dīn Yūsuf ibn Ayyūb (Saladino), che
da modeste origini giunse a sostituirsi ai califfi fatimidi d'Egitto (1177) e,
distrutto il regno crociato di Gerusalemme, a fondere i suoi possedimenti
siro-egiziani in uno stato unitario. Questa unità si spezzò alla sua morte
(1193), per ricostituirsi di fatto dopo qualche anno sotto il fratello al-῾Ādil
(1199-1218) e il figlio di questo al-Malik al-Kāmil (1218-1235), anch'essi
fortunati avversari dei crociati. Con la morte di al Malik al-Kāmil, lo stato
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rafforzamento delle difese del regno: fece fortificare il quartiere
Montmusar di Acri, considerata la capitale del regno di Gerusalemme, e
fece rafforzare i presidi difensivi di Haifa, Cesarea, Giaffa e Sidone.
Luigi IX si comportava come se fosse il vero sovrano del regno, e come
tale veniva considerato, anche se ufficialmente il titolo spettava prima a
Federico II e, dopo la sua morte, al figlio Corrado. Le truppe imperiali,
infatti, per quanto numericamente limitate, continuavano a rimanere
insediate ad Acri.
Margherita di Provenza tutelata da un Templare
(Gustave Dorè)
Luigi IX, per superare le continue rivalità tra i baroni locali, che da
anni non perdevano occasione per creare uno stato di costante anarchia,
con l’esempio della sua semplicità e del sacrificio personale, si adoperò
per ristabilire nel regno il senso dello Stato e della disciplina. E così,
quando apprese che i Templari, senza informarlo, avevano concluso dei
trattati con il sultano di Siria (con ciò ostacolando la sua politica di
mediazione tra i sultani ayyubiti di Damasco e quelli mamelucchi
d’Egitto), inflisse loro, davanti a tutto l’esercito, una punizione
umiliante. Costrinse infatti il maestro generale Rinaldo di Vichiers e i
dignitari del Tempio a presentarsi al suo cospetto a piedi nudi e con
ayyubita d'Egitto entrò in una forte crisi, risoltasi solo nel 1250 con la fine
della dinastia e l'avvento dei sultani mamelucchi. (Treccani)
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atteggiamento di penitenti, e qui chiedere perdono per avere disubbidito
ai suoi ordini. Nonostante ciò, la stima per i Templari non venne meno.
Infatti, a dimostrazione dell’ammirazione che Luigi IX aveva per questi
valorosi combattenti, volle che la moglie Margherita di Provenza
partorisse il figlio che portava in grembo9 nella loro casa di Chateau
Pèlerin10 e sotto la loro protezione.
Luigi IX riceve gli omaggi degli emissari inviati dal Vecchio della Montagna
Luigi IX, nell’intento di assicurare un futuro sereno alla Terrasanta,
strinse anche una sincera amicizia con il Gran Maestro della setta degli
Assassini, che all’inizio – invece – per intimidirlo aveva tentato di farlo
assassinare, e - con notevole lungimiranza politica - inviò il
francescano Guglielmo di Rubruck11 presso i Mongoli, che avevano già
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Si tratta di Pietro, settimo figlio della coppia reale, nato il 29 giugno 1251,
che, con il nome di Pietro I d’Alençon, sarà conte del Perche e d’Alençon
dal 1268 al 1283 e conte di conte di Bois, di Chartres e signore di Guise dal
1272 al 1283, anno della sua morte.
La fortezza di Château Pèlerin, conosciuta anche come Castello di Athlit o
Castello di Pellegrino, sorgeva a circa tredici chilometri a sud di Haifa.
Costruita dai Templari a partire dal 1218, durante la quinta crociata, poteva
ospitare fino a 4.000 soldati. È stata conquistata dai Mamelucchi nel mese di
agosto 1291, poco dopo la caduta di Acri.
Guglielmo di Rubruck (1220-1293), monaco fiammingo appartenente
all’Ordine dei Frati Minori, nel 1253 si recò in missione diplomatica prima
dal principe mongolo Satarq, di cui si diceva che avesse abbracciato la
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conquistato i territori orientali del califfato di Bagdad, per sapere quali
fossero le loro intenzioni in ordine all’eventuale invasione della SiriaPalestina e se era possibile stipulare un’alleanza contro il comune
nemico musulmano.
La risposta fu deludente ma l’iniziativa diplomatica messa in atto
dal sovrano francese aprì le porte a futuri dialoghi e alleanze che,
purtroppo, ebbero solo l’effetto di prolungare l’agonia del regno di
Gerusalemme.
Ritorno in Terrasanta degli emissari inviati presso i Mongoli
Luigi IX, dopo avere egregiamente assolto ai compiti che si era
imposti, lascio la Terrasanta per tornare in Francia. Il 24 aprile 1254 si
imbarcò ad Acri, seguito dal fidato Giovanni di Joinville, avendo
lasciato sul posto duecento cavalieri e cento sergenti al comando di
Goffredo di Sargines12, da lui stesso nominato siniscalco del regno di
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religione cristiana, poi dal padre di quest’ultimo, Batu Khan (nipote di
Ĉingiss Qan), e infine dal Gran Qan Möngke, che raggiunse nel suo
accampamento il 27 dicembre 1253. Guglielmo rientrò ad Antiochia il 29
giugno 1255, quando già Luigi IX era partito da oltre un anno, recando una
lettera di Möngke, indirizzata al re di Francia, con la quale l’imperatore gli
intimava di sottomettersi alla sua autorità. Rubruck ci ha lasciato un
dettagliato resoconto del suo viaggio.
Il connestabile, il maresciallo, il siniscalco, il ciambellano (noti come
Grandi Uffici), il maggiordomo e il cancelliere appartenevano al corpo dei
cosiddetti Ufficiali del regno di Gerusalemme. Di tale gruppo, ma in
posizione subalterna, facevano parte i balivi, i visconti ed i castellani.
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Gerusalemme. La carica di balivo fu invece affidata a Giovanni
d’Ibelin, conte di Giaffa e di Ascalona.
I.2 - L’arrivo dei mongoli
Dopo la partenza di Luigi IX, Goffredo di Sargines e Giovanni
d’Ibelin, seguendo l’esempio del re francese, amministrarono con
saggezza il regno di Gerusalemme e, pur tra molte opposizioni interne,
riuscirono a negoziare una tregua decennale con il sultanato di Siria e
con quello dell’Egitto. Questi ultimi, infatti, erano stati riconciliati dal
califfo di Bagdad, al-Musta’sim (1231-1258), preoccupato per
l’imminente invasione dei Mongoli, che già al comando di Hülägü
Khan13 avevano conquistato la Persia.
La politica di Goffredo di Sargines e di Giovanni d’Ibelin fu però
fortemente ostacolata dalle rivalità che nel regno contrapponevano la
comunità dei Genovesi e quella dei Veneziani, il cui unico obiettivo era
il controllo monopolistico dei mercati levantini; tale contrapposizione
presto si tramutò in una vera e propria guerra civile.
Tutto cominciò con la cosiddetta “guerra di San Saba”, scoppiata ad
Acri nel 1256, formalmente per il possesso della omonima chiesa, posta
al confine tra i quartieri dei Genovesi e quello dei Veneziani ed
utilizzata da entrambe le comunità per le loro funzioni religiose. La
guerra si estese a tutto il regno e vide contrapposte le potenze marinare
di Genova (che poteva contare sull’appoggio degli Ospitalieri, dei
mercanti catalani e di Filippo di Monfort, signore di Tiro) e di Venezia
(al cui fianco si schierarono i Templari, i Teutonici, i Pisani, i mercanti
provenzali, la potente famiglia degli Ibelin e Boemondo VI, principe di
Antiochia e signore di Tripoli).
Innocenzo VI tentò di fermare la lotta fratricida inviando in
Terrasanta, come legato pontificio e mediatore, il domenicano
Tommaso Agni da Lentini, ma l’iniziativa non ebbe successo. Ormai la
guerra civile dilagava e si concluse nel 1258 con la momentanea
vittoria dei Veneziani. I Genovesi, che durante la guerra avevano
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Goffredo di Sargines è stato maresciallo del regno fino al 1254 e siniscalco
dal 1254 al 1267.
Hülägü Khan (1217-1265), figlio di Tolui e fratello di Arik Bek Khan,
Möngke e Qubilay Qan (tutti figli di Činggis Qan), fu un eccellente
condottiero mongolo, conquistò gran parte dell’Asia sud-occidentale e fondò
l’Il-Khanato di Persia, diventandone nel 1256 il primo Khan.
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tentato di fare ricorso all’aiuto dei Mamelucchi di Baybars, dovettero
abbandonare la città di Acri e si insediarono con le loro navi a Tiro, da
dove iniziarono una guerra di corsa contro gli interessi dei Veneziani.
Guerra di San Saba – I Veneziani imbarcano
ad Acri i beni sottratti ai Genovesi
(Francesco Montemezzana – Venezia 1540-1620)
Le lotte interne, purtroppo, indebolirono l’azione unificante di
Goffredo di Sargines e di Giovanni d’Ibelin; esse, infatti, favorirono la
ripresa delle rivalità tra i Templari e gli Ospitalieri ed impedirono la
corretta valutazione dei nuovi scenari politici che si prospettavano in
conseguenza dell’avanzata dei Mongoli.
Möngke, nipote di Činggis Qan, venne eletto alla carica di Qan nel
1252, in occasione di un’assemblea imperiale (quriltay) e dopo poco
tempo affidò al fratello minore Hülägü Khan l’incarico di estendere i
domini mongoli ad occidente, con l’obiettivo primario di distruggere le
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fortezze degli Ismailiti14, di piegare il califfato di Bagdad e di
sottomettere i territori musulmani siro-egiziani.
Hülägü Khan, a capo di un poderoso esercito si mosse verso
occidente nel 1253; successivamente venne raggiunto dalle mogli
Doquz khatun (di religione cristiano-nestoriana) e Uljài khatun, nonché
dai figli Abaqa e Yasmut. L’avanguardia, guidata dal generale Ketboga,
era già partita il 24 agosto 1252.
L’assedio di Bagdad da parte dei Mongoli
Dopo avere conquistato i primi territori e dimostrato l’inarrestabilità
dell’avanzata mongola, Hülägü Khan mise in moto la macchina
diplomatica. Fece inviare missive ai sovrani dei territori che intendeva
occupare, con le quali, sotto la minaccia di pesanti ritorsioni, li invitava
a sottomettersi alla sua autorità.
La prima importante vittima di tale strategia fu il Gran Maestro
degli Assassini, Rukn ad-Din Khur Sah, il quale, sebbene fosse ormai
circondato dalle orde mongole, nel 1257 chiese un anno di tempo per
arrendersi. Ma l’anno successivo fu catturato e l’impero degli Ismailiti
fu smantellato.
Poi fu la volta del califfato abbaside di Bagdad, da tempo in
costante decadenza e territorialmente ridotto alla sola regione
dell’odierno Iraq. Il califfo al-Musta’sim respinse la richiesta di
sottomissione inviatagli da Hülägü Khan e ciò provocò l’ira del
14
Comunità di islamici eretici controllata dall’Ordine degli Assassini, guidato
in quel periodo dal Gran Maestro Alà ad-Din Muhammad II.
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condottiero mongolo, che il 10 febbraio 1258, dopo un lungo e difficile
assedio, conquistò Bagdad. Si calcola che i morti siano stati più di
800.000; il califfo fu avvolto in un tappeto e ucciso a calci e calpestato
dagli zoccoli dei cavalli. Finiva così, dopo circa cinque secoli,
un’istituzione nata pochi anni dopo la morte del profeta Maometto.
Grazie ai buoni uffici di Doquz khatun, tutti i cristiani di Bagdad
furono risparmiati, al patriarca nestoriano Makika fu concesso di
insediarsi in una residenza amministrativa confiscata al califfo e in tutti
i territori conquistati da Hülägü Khan furono costruite chiese. La
benevolenza di Hülägü Khan e del fratello Qubilay era dovuta, oltre che
a motivi politici, anche al fatto che la madre di entrambi, Siurkukitibeighi, apparteneva al popolo dei Karaiti, che intorno all’anno mille si
era convertito alla fede cristiano-nestoriana.
Nel mese di settembre 1259 l’esercito mongolo, forte di 120.000
uomini, riprese l’avanzata verso la Siria musulmana. Subito si
sottomisero Aitone I15, re della Piccola Armenia (Cilicia) e suo genero,
Boemondo VI, principe di Antiochia e conte di Tripoli, che per questa
sua azione verrà successivamente scomunicato.
Nel mese di maggio 1260, con l’aiuto degli alleati armeni,
antiocheni e georgiani, i Mongoli presero Aleppo. L’emiro al-Nasir
Yusuf16, temendo per la propria vita, abbandonò Damasco, lasciandola
indifesa, e si diresse verso l’Egitto, ma avendogli il sultano negato
asilo, dovette fermarsi a Gaza, dove venne catturato e inviato
prigioniero al campo di Hülägü Khan. Cessava così il dominio della
dinastia degli Ayyubiti, che aveva avuto come capostipite Saladino.
Dopo la fuga del sultano, il generale Ketboga il 1° marzo 1260 entrò
trionfalmente a Damasco, accompagnato da Atone I, re della Piccola
Armenia, e da Boemondo VI, Principe di Antiochia e conte di Tripoli.
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Aitone, detto anche Hethum, alla morte di Leone I scalzò dal potere la
dinastia dei Rupenidi, artefici della costituzione del regno della Piccola
Armenia, attraverso il matrimonio con Isabella, figlia di Leone I. Nel 1226,
infatti, Costantino di Barbaron, cugino di Leone I e padre di Aitone, dopo
che l’anno precedente le aveva fatto avvelenare il primo marito (Filippo di
Antiochia), costrinse Isabella a sposare Aitone, che così divenne prima coreggente e dopo, alla morte della moglie, re della Piccola Armenia, dando
così origine alla dinastia degli Hethumiti.
Al-Nasir Yusuf, pronipote di Saladino ed ultimo sovrano ayyubita,
governava su gran parte dei territori siriani, comprese le importanti città di
Aleppo e Damasco.
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Intanto in Egitto, dopo l’uccisione del sultano Turanshah (1250) ad
opera di Baybars, alla guida del sultanato ascese il figlio di Turanshah,
al-Asharaf II (1250-1254); alla morte di quest’ultimo, la moglie, la
sultana Shjar al-Dure, sposò il mamelucco ‘Izz al-Din Aybek, che
divenne così il primo sultano mamelucco del Cairo, occupando il trono
che già era stato di Saladino.
Il cadavere di ‘Izz al-Din Aybek
ai piedi della sultana Shjar al-Dure
(Gustave Dorè)
Ma quando nel mese di febbraio 1257 Shjar al-Dure seppe che il
marito aveva chiesto come seconda moglie principale la figlia di Badr
ad-Din Lu’Lu, emiro di al-Mousil, presa dalla gelosia lo fece
assassinare dai suoi schiavi; in tale occasione il comportamento di
Shjar al-Dure fu così crudele e violento da provocare l’indignazione
generale e, dopo alcuni giorni, anche lei fu trucidata a colpi di zoccoli
dalle concubine del marito e lasciata in pasto ai cani. Nella confusione
del momento fu nominato sultano d’Egitto il figlio quindicenne di ‘Izz
al-Din Aybek, al-Mansur Alì, che così divenne il secondo sultano
mamelucco dell’Egitto.
Ma il vero potere era nelle mani del mamelucco Qutuz, che il
sultano ‘Izz al-Din Aybek nel 1253, apprezzando le sue doti
amministrative, aveva nominato suo vice. Quando ‘Izz al-Din Aybek
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venne assassinato (1257), Qutuz mantenne la carica di vice sultano ed
in tale carica esercitò le funzioni di tutore di al-Mansur Alì.
Dinanzi al pericolo rappresentato dai Mongoli, Qutuz raggiunse un
accordo politico con la fazione avversa dei Mamelucchi Bahri17 e con
l’aiuto di Baybars spostò l’esercito in Siria per tentare in quei territori
di sbarrare la strada ai Mongoli diretti in Egitto18.
Nel mese di agosto 1259 Möngke Qan morì. Appresa la notizia,
Hülägü Khan, accompagnato dal grosso dell’esercito, ritornò ad est per
partecipare all’assemblea imperiale che avrebbe eletto il nuovo Qan 19.
Tuttavia, per preservare le sue conquiste siriane, vi lasciò un
contingente armato di circa 20.000 uomini al comando del valido
generale Ketboga, il quale, dopo avere soffocato un tentativo di rivolta
a Damasco, si spostò nella valle del Giordano per invadere i
possedimenti musulmani.
I baroni cristiani, con poca lungimiranza politica, non solo
consentirono all’esercito mamelucco, diretto a nord per affrontare
l’esercito di Ketboga, di attraversare i loro territori, ma gli diedero
anche dei rifornimenti.
Lo scontro tra i Mamelucchi ed i Mongoli avvenne il 3 settembre
1260 in Galilea, ad Ain Jalud (Sorgenti di Golia). L’esercito mongolo,
attirato in una trappola e successivamente sospinto verso zone
acquitrinose, fu decimato. Ketboga si batté valorosamente, finchè non
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Comunità mamelucca formata da elementi turchi Kipchak, originari delle
steppe euro-asiatiche meridionali. Essi erano acquartierati prevalentemente
sull’isola di Roda, sul Nilo, e derivarono il nome dalla parola araba bahr,
che significa “fiume”, ma anche “mare”.
Nel 1260 l’Egitto era stato minacciato da un attacco mongolo in seguito al
rifiuto, da parte di Qutuz, della resa incondizionata pretesa da Hülägü Khan
e dall’uccisione degli ambasciatori inviati da quest’ultimo presso la corte
musulmana. Nonostante l’opposizione della maggior parte degli emiri,
Qutuz, appoggiato da Baybars, decise di prevenire l’attacco, spostando
l’esercito in Siria.
L’assemblea elesse Qubilay Qan (1215-1294). Qubilay è stato il quinto Qan
nonché fondatore del primo Impero cinese della Dinastia Yuan. Figlio
secondogenito di Tolui, quindi nipote di Činggis Qan e successore del
fratello Möngke, in quanto Gran Qan dei mongoli, Qubilay è anche noto
come l'ultimo dei Gran Qan. In Europa Qubilay Qan era noto sin dal
Medioevo, in quanto Marco Polo visitò il Catai durante il suo regno,
divenendo presto un suo favorito e servendo alla sua corte per oltre
diciassette anni, secondo quanto racconta lui stesso nel “Milione”.
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fu catturato. Portato al cospetto di Qutuz ebbe con questi una violenta
lite ed il capo mamelucco lo fece decapitare all’istante. Un
luogotenente di Ketboga recuperò i superstiti dell’esercito mongolo e
con essi riparò in Anatolia. I territori siriani che i Mongoli avevano
conquistato furono inglobati nel sultanato mamelucco d’Egitto.
Baybars uccide il sultano Qutuz
La vittoria conseguita ad Ain Jalud dimostrò che le orde mongole
non erano invincibili e segnò l’arresto dell’espansione mongola nel
Vicino Oriente. L’imprevedibile vittoria mamelucca fu però di cattivo
presagio per la sorte degli Stati latini.
Ritornato in Egitto, Qutuz, con l’appoggio di Baybars, mise in atto
un piano che accarezzava da tempo: fece uccidere al-Mansur Alì e si
proclamò nuovo sultano del Cairo. Ma nonostante fosse consapevole
dell’inaffidabilità e della crudeltà di Baybars, affidò all’ex schiavo
importanti incarichi che ne accrebbero il potere. Questi ne approfittò e,
forte del prestigio militare ottenuto per avere contribuito alla vittoria di
Ain Jalud e presentandosi come il difensore dell’Islam, alla prima
occasione propizia sgozzò con le proprie mani Qutuz; appresa la notizia
della morte del sultano, i capi mamelucchi acclamarono Baybars nuovo
sultano d’Egitto.
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CAPITOLO II
L’INIZIO DELLA FINE
II.1 – Le conquiste di Baybars
Le notizie sulle origini di Baybars ci vengono fornite dal suo
biografo, Ibn Abd al-Zahir20, secondo il quale il nostro personaggio, di
etnia turco-kypchak, nacque nel secondo decennio del XIII secolo nella
zona meridionale della steppa russa e all’età di circa quattordici anni fu
fatto prigioniero e ridotto in schiavitù in Crimea, dove la sua tribù si era
trasferita sotto l’incalzare delle prime invasioni mongole. Di pelle
scura, occhi azzurri (un difetto all’iride ne abbassò il prezzo quando fu
venduto come schiavo nel mercato di Aleppo) e di possente forza fisica,
il giovane Baybars21 fu acquistato dal principe ayyubide Aydakin alBunduqdari; successivamente divenne schiavo del sultano al-Salih
Ayyub, figlio del sultano al-Malik al-Kamil.
Baybars
20
21
Ibn Abd al-Zahir (Cairo, 1233-1293) fu segretario dei sultani Baybars e
Qalawun, redattore di atti ufficiali della loro cancelleria e infine loro
biografo.
Detto anche Baybars al-Bunduqdar per avere mutuato il nisba (cioè
l’indicazione genealogica di appartenenza) dal suo padrone, il principe
Aydakin al-Bunduqdari.
17
Dopo la morte di al-Salih Ayyub (1249) Baybars passò alla corte
ayyubide egiziana, dove fu aggregato al prestigioso contingente
mamelucco acquartierato nell’isola Roda (in arabo: Bahr), sul Nilo, il
cui nome diede l’eponimo al gruppo dei Mamelucchi Bahri. Avendo
acquisito prestigio presso i suoi commilitoni per il coraggio dimostrato
nella battaglia di al-Mansurah e nella lotta contro gli invasori crociati
guidati da Luigi IX, ed essendosi distinto per la sua audacia22, presto
assunse il comando del forte contingente mamelucco bahri.
Quando fu acclamato quarto sultano mamelucco d’Egitto, Baybars
non aveva ancora raggiunto i quarant’anni di età e la sua volontà di
riscatto personale e la sete di potere erano pari solo alla tua ferocia.
L’obiettivo principale della sua lotta era però la cacciata totale dei
Franchi da tutti i territori del Vicino Oriente.
Dopo avere consolidato il suo potere politico e religioso 23 e riunito
sotto il suo comando i due sultanati d’Egitto e di Siria, immemore
dell’aiuto fornito dai baroni cristiani che permise ai Mamelucchi di
sconfiggere i Mongoli ad Ain Jalud (1260), Baybars prese di mira le
fertili pianure costiere della Terrasanta (le uniche che fornivano ai
cristiani i mezzi di sostentamento), nonché le roccaforti ed i castelli
dell’entroterra. Prese così avvio l’assedio di Antiochia (1262) come
prima fase di una più vasta campagna che prevedeva la conquista del
principato di Antiochia e del regno della Piccola Armenia (Cilicia).
Baybars, infatti, aveva un conto da saldare con Boemondo VI, principe
di Antiochia, e con suo suocero, Aitone I, re cristiano d’Armenia,
entrambi rei di essersi sottomessi ai Mongoli e di avere fornito loro
contingenti armati in occasione della campagna militare egiziana che si
concluse con la battaglia di Ain Jalud.
Ma Aitone I chiese l’aiuto militare degli alleati mongoli e Baybars,
per evitare pericoli maggiori, preferì momentaneamente accantonare il
suo progetto e rivolgere altrove le sue mire di conquista. Così, nel
1263, attaccò Nazareth e distrusse la chiesa della Vergine; poi, nello
stesso anno, con la scusa di uno scambio di prigionieri tra cristiani e
22
23
Baybars, alla guida di un contingente di Mamelucchi corasmi, aveva
sbaragliato i Franchi nella battaglia di al-Harbiyya, detta anche battaglia di
La Forbie o battaglia di Gaza, avvenuta il 17 ottobre 1247.
Per legittimare la sua posizione, nel 1262 nominò un nuovo califfo, la
massima autorità religiosa dell’Islam, nella persona di Ahmed, presunto
parente dell’ultimo califfo di Bagdad, che si affrettò subito a legittimare la
posizione di Baybars come supremo difensore dell’Islam.
18
musulmani, arrivò alle porte di Acri. Ma gli Ordini militari si opposero
allo scambio e Baybars, adirato, lasciò la zona di Acri dopo avere
distrutto coltivazioni agricole e casali cristiani che ricadevano nel
circondario e nella zona del Monte Carmelo.
Il 1266 fu un anno terribile per i regni latini. Infatti, approntati due
eserciti (uno guidato dallo stesso Baybars e l’altro dal suo fidato emiro
Qalawun) i Mamelucchi attaccarono i territori dei Franchi da tutti i lati.
L’esercito guidato da Baybars il 7 marzo conquistò Cesarea di Siria e la
distrusse; subito dopo attaccò il castello ospitaliere di Arsuf24, che dopo
un mese e mezzo di assedio si arrese e, stando al racconto che ne fa il
Templare di Tiro, “dentro furono presi cavalieri, religiosi e laici e
sergenti d’armi mille e più”.
Ruderi dell’antica fortezza templare di Safed
Poi caddero in rapida successione Haifa ed il borgo di Athlit, posto
nelle vicinanze della fortezza templare di Château-Pèlerin. Nel mese di
giugno Baybars occupò anche la pianura di Acri, dove rimase per otto
giorni, ma resosi conto che la città era munita di solide difese ed era
ancora ben presidiata, preferì lasciare il campo e si diresse verso la
24
Il Templare di Tiro, nella sua “Cronaca” riferisce che la città di Cesarea di
Siria fu conquistata il 7 marzo 1265. Ma siccome in quel periodo nei territori
sotto influenza francese si faceva iniziare l’anno il 25 marzo, in realtà la
presa di Cesarea, secondo l’attuale calendario, deve collocarsi nel 1266.
19
fortezza templare di Safed, posta nelle vicinanze di Cafarnao, su una
altura da cui si dominava tutta la Galilea e la cui vista arrivava fino ad
Acri.
Baybars arrivò a Safed alla fine di giugno e subito, secondo la
tradizione musulmana, inviò regali ai difensori del castello per indurli
ad arrendersi in cambio di un salvacondotto per Acri. Ma quelli del
castello restituirono i regali lanciandoglieli con le catapulte. Il sultano,
indispettito da tale gesto, fatte istallare le macchine da guerra, diede
l’assalto alla fortezza. Inoltre, per portare scompiglio e sfiducia tra i
difensori, fece sapere ai numerosi turcopoli siriani che assieme ai
Templari difendevano la fortezza che, se volevano, potevano lasciare il
castello ed avere salva la vita; ciò creò un clima di sfiducia dei
Templari nei confronti dei loro aiutanti siriani ed indebolì le capacità di
difesa della fortezza.
Il 19 luglio i Mamelucchi occuparono il barbacane del castello ed i
difensori, resisi conto che ogni ulteriore resistenza sarebbe stata vana,
disperando in un improbabile aiuto esterno, inviarono nel campo
avversario un loro messaggero25, con il compito di trattare la resa del
castello ed ottenere un salvacondotto per i suoi occupanti.
Baybars, ancora adirato con quelli del castello che gli avevano tirato
contro i suoi regali, e sempre più desideroso di ucciderli tutti, mise il
messo al corrente del piano scellerato26 che aveva in serbo di attuare
per ucciderli tutti dopo la loro resa, ed offrì a frate Leone la facoltà di
scegliere se mantenere il segreto e dare agli assediati assicurazioni sulle
buone intenzioni del sultano o fare una brutta morte quando avrebbe
preso il castello. Frate Leone optò per la prima proposta: ritornò al
castello e convinse i suoi difensori che il sultano avrebbe consentito
loro di ritornare indenni ad Acri.
Il 22 luglio i difensori di Safed si arresero, ma quando si
apprestarono a lasciare il castello per raggiungere Acri assieme alle loro
masserizie, furono presi e portati su una collina poco distante, dove
furono tutti trucidati. Frate Leone, che aveva tradito i suoi compagni,
ebbe salva la vita, rinnegò la sua fede ed abbracciò quella musulmana.
25
26
Si tratta di frate Leone, sergente d’armi ed amministratore dei casali di
Safed, che parlava bene l’arabo
Vedi “Cronaca del Templare di Tiro”, op. cit., pag 111.
20
Conquistato il castello di Safed, nello stesso anno l’esercito guidato
da Baybars completò l’occupazione della Galilea, conquistò Toron,
saccheggiò i dintorni di Acri e infine prese di mira il regno d’Armenia.
Baybars fa trucidare i Templari che si sono arresi a Safed
Ma Aitone I era assente perché si era recato dai Mongoli, di cui era
vassallo ed alleato, per chiedere aiuto, lasciando la difesa del regno ai
figli Thoros e Leone; questi, però, il 24 agosto 1266 furono sconfitti
nella battaglia di Mari, dove trovò la morte Thoros, mentre Leone fu
catturato e fatto prigioniero. In autunno Baybars si ritirò ad Aleppo,
portando con se quarantamila prigionieri ed una lunga schiera di carri
pieni di bottino; lo stesso fece l’esercito mamelucco di Qalawun, che si
ritirò nei territori di partenza, lasciando dei presidi armati nei territori
conquistati.
Il 1267 nel complesso fu abbastanza calmo. Si registrarono come
fatti di rilievo solo tre successive incursioni di Baybars nei dintorni di
Acri, durante le quali distrusse vigneti, frutteti e mulini di alcuni casali
cristiani. Nella prima di tali incursioni, avvenuta il 2 maggio, le truppe
mamelucche, per non insospettire i numerosi contadini che erano usciti
21
dalla città per coltivare i campi, quand’erano ancora distanti fecero
sventolare bandiere e stendardi sottratti ai Templari ed agli Ospitaleri.
Quando i contadini si accorsero dell’inganno era troppo tardi; circa
cinquecento di quelli che non fecero in tempo a riparare in città furono
uccisi e decapitati. Le loro teste furono inanellate, come perle di una
collana, in una lunga corda che, portata a Safed, fu attorcigliata attorno
ad una torre del castello come monito per i passanti.
Miniatura raffigurante l’uccisione di Thoros e la cattura di Leone, figli di
Aitone I, nella battaglia di Mari
L’anno successivo, l’8 marzo 1268, Baybars attaccò e conquistò
Giaffa, possedimento della famiglia d’Ibelin; molti abitanti furono
risparmiati e fu concesso loro di riparare ad Acri, ma le reliquie dei
santi furono portate fuori dalle chiese e date alle fiamme.
Poi fu la volta della città di Antiochia, che il 20 maggio capitolò
dopo un assedio durato poco più di un mese; oltre diciassette mila
abitanti furono uccisi dentro la città ed altri centomila, tra religiosi,
donne e bambini, furono fatti prigionieri. Con la caduta di Antiochia
cessò di esistere, dopo 171 anni dalla sua costituzione, il principato di
Antiochia. Boemondo VI, l’ultimo dei suoi principi, si rifugiò a Tripoli,
22
l’unico possedimento che ormai gli restava in Terrasanta. Nello stesso
anno i Templari persero anche il castello di Beaufort.
La notizia che Luigi IX stava preparando la sua seconda crociata ed
il timore di un ritorno in Siria dei Mongoli preoccupò non poco
Baybars, che per tutto il periodo 1269-1270 si astenne da ogni ulteriore
attacco alle postazioni cristiane. Ma quando il sultano seppe che il re di
Francia aveva dirottato la sua crociata a Tunisi, dove il 25 luglio vi
morì di peste, e che Abaqa, succeduto al padre Hülägü Khan (morto nel
1265) era impegnato a difendere i confini del suo khanato dagli attacchi
di Barak, Khan dell’Orda d’Oro, nel 1271 riprese l’offensiva contro i
pochi territori ancora in mano cristiana, prendendo di mira soprattutto il
contado di Tripoli ed i presidi degli Ordini militari che ricadevano nelle
sue vicinanze.
La regina Isabella di Navarra piange la morte di Luigi IX
E così, mentre Tripoli, che pur essendo stata assediata, fu
risparmiata dopo avere stipulato una tregua, il 15 febbraio Baybars
riuscì a conquistare il castello templare di Chateau Blanc e l’8 aprile,
dopo una estenuante difesa iniziata il 9 febbraio, cadde anche il Crak
des Chevaliers, orgoglio degli Ospitalieri, che neanche Saladino era
riuscito ad espugnare. I sopravvissuti del Crak poterono però lasciare
indenni il castello e riparare a Tripoli, ma gli Ospitalieri persero il loro
quartier generale. Il 12 giugno fu la volta del castello di Monfort, sede
23
principale dei Teutonici in Terrasanta; i suoi difensori furono
risparmiati, poterono lasciare indenni il castello e il 16 luglio
raggiunsero la città di Acri, scortati dai Mamelucchi. In quella
occasione il principe Edoardo, futuro Edoardo I d’Inghilterra “vide
l’esercito del sultano e la sua grande potenza, e comprese che non
aveva abbastanza uomini per combattere il sultano, e perciò nessuno
dei cristiani osò uscire con lui, e l’indomani il sultano se ne andò e si
diresse a Babilonia”27.
Il principe Edoardo d’Inghilterra
Edoardo d’Inghilterra aveva accettato l’invito di Luigi IX a
partecipare alla sua seconda crociata, ma dopo la morte del re francese,
svernò in Sicilia e in primavera salpò per la Terrasanta; giunto ad Acri
il 9 maggio 1271, fu accolto con grande entusiasmo ed acclamato come
un salvatore. Ugo III di Cipro, che il 24 settembre 1269 aveva assunto
anche la corona di Gerusalemme con il titolo di Ugo I, lasciò la sua
isola e lo raggiunse ad Acri. I due, assieme a contingenti degli Ordini
militari, effettuarono diverse incursioni nei territori circostanti, ma
resisi conto che le forze in campo erano troppo sbilanciate a favore dei
27
Cfr. “Cronaca del Templare di Tiro”, Par. 143.
24
musulmani, Edoardo d’Inghilterra, minacciando un’alleanza con i
Mongoli del khanato di Persia, il 22 aprile 1272 ottenne da Baybars una
tregua di dieci anni, dieci mesi e dieci giorni.
Tentato assassinio di Edoardo d’Inghilterra
(Gustave Dorè)
Dopo un tentativo di assassinio28, che per circa tre mesi tenne
Edoardo in bilico tra la vita e la morte, nel mese di settembre 1272 il
principe inglese fece ritorno in patria. Durante il viaggio apprese la
notizia della morte del padre, che faceva di lui il nuovo sovrano
d’Inghilterra.
I cristiani d’oltremare, dopo la partenza di Edoardo, anziché
organizzarsi per fare fronte al comune nemico, diedero sfogo alle
antiche rivalità. Guglielmo di Beaujeu, divenuto maestro generale del
28
Il mandante del tentativo di omicidio era Baybars, che assoldò un seguace
della setta degli Assassini quando seppe che il principe inglese aveva
progettato di ritornare in Inghilterra per raccogliere un forte esercito e dare
vita ad una nuova crociata.
25
Tempio nel 127329, per tutelare l’autonomia del suo Ordine fece di tutto
per contrastare qualunque tentativo di ripristinare l’ordine nel regno
messa in atto da Ugo III, il quale, fortemente deluso dal
comportamento dei baroni franchi e dagli Ordini militari,
improvvisamente nel mese di novembre 1276 abbandonò il regno di
Gerusalemme e si ritirò nella sua Cipro, lasciando ad Acri come suo
rappresentante Baliano d’Ibelin. Dopo il ritorno a Cipro, Ugo III scrisse
diverse lettere al papa ed ai sovrani europei, mettendoli al corrente
sullo stato di ingovernabilità in cui versava il regno di Gerusalemme.
Carlo d’Angiò viene incoronato re di Napoli
Baybars, soddisfatto, osservava a distanza il lento disfacimento
delle istituzioni franche, i cui territori si erano ormai ridotti a poche
città costiere, ed aspettando che i baroni cristiani si distruggessero a
29
Guglielmo di Beaujeu, cugino di Carlo I d’Angiò e parente del re di Francia,
quando nel 1273, alla morte del precedente maestro Thomas Bérard, fu
eletto maestro generale del Tempio, “era comandante in Puglia, e restò
oltremare due anni, visitò tutte le sedi del Tempio nel regno di Francia e
d’Inghilterra e di Spagna, e accumulò un gran tesoro, e venne ad Acri” (Cfr.
“Cronaca del Templare di Tiro”, op. cit., Par. 147). Guglielmo di Beaujeu
ritardò la sua partenza per la Terrasanta perché, su richiesta del papa,
partecipò al II Concilio di Lione, che si svolse nel 1274.
26
vicenda, proseguì indisturbato la lotta contro i turchi selgiuchidi
dell’Asia Minore ed i Mongoli del khanato di Persia, conquistando nel
1275 la città di Cesarea, in Cappadocia.
La Siria-Palestina nel XIII secolo
27
Nel 1277 Baybars, assicuratosi l’appoggio di Ruggero di San
Severino30, che nella qualità di reggente del regno di Gerusalemme per
conto di Carlo I d’Angiò31 era arrivato ad Acri con un forte contingente
armato, lanciò una ulteriore campagna militare in Anatolia contro i
Mongoli di Persia. Ma dopo alcuni successi iniziali, fu sconfitto
dall’esercito mongolo condotto dallo stesso Abaqa Khan, perse tutti i
territori che aveva precedentemente conquistati e si ritirò a Damasco.
Antica veduta di Antiochia
Qui, il 20 giugno 1277, morì improvvisamente, forse avvelenato; si
disse che aveva ecceduto nel bere qamiz, una bevanda in uso presso i
pastori nomadi turco-mongoli, ottenuta per fermentazione del latte di
cavalla misto a latte d’asina; se va a male, tale bevanda può essere
letale per l’uomo. Baybars non era riuscito a realizzare il suo sogno: la
conquista di quel che rimaneva degli stati crociati e la cacciata di tutti i
cristiani dalla Siria-Palestina.
A Baybars successe il figlio maggiore, Baraka Khan (genero
dell’emiro Qalawun), che divenne così il quinto sultano mamelucco
d’Egitto, assumendo il titolo di al-Malik al-Said.
II.2 – Le conquiste del sultano Qalawun
Con la morte di Baybars, per i Franchi non venne meno il pericolo
mamelucco dal momento che, contrariamente a quanto era avvenuto in
30
31
Ruggero di San Severino appena giunse ad Acri riconobbe Carlo I d’Angiò
come re di Gerusalemme e poi costrinse i nobili locali ed i capi degli Ordini
militari a prestargli ubbidienza.
Carlo I d’Angiò poco tempo prima aveva acquistato i diritti sulla corona di
Gerusalemme da Maria di Antiochia.
28
passato, almeno sul momento, non vi fu alcuna lotta per la successione
ed il nuovo sultano, al-Malik al-Said, potè continuare l’azione di lento
logoramento dei territori cristiani.
Ma nel 1279, dopo appena due anni dal suo insediamento, al ritorno
da una incursione effettuata assieme a Qalawun nei territori armeni, alMalik al-Said con un colpo di mano fu destituito dall’emiro Qalawun
ed inviato a governare la provincia transgiordana di al-Karak. Al suo
posto Qalawun pose il secondo figlio di Baybars, Salamish, che così
divenne il sesto sultano mamelucco d’Egitto, con il titolo di al-Malik
al-Adil. Ma essendo questi ancora troppo giovane, Qalawun riservò a
se la tutela del giovane sultano, detenendo così – di fatto – il vero
potere, che esercitò nella qualità di atabeg32.
Qalawun
Tuttavia, nello stesso anno, dopo pochi mesi, Qalawun depose anche
al-Malik al-Adil (che si rifuggiò ad al-Karak, dal fratello maggiore alMalik al-Said) e al suo posto nominò sultano il terzo figlio di Baybars,
Khadir (che assunse il nome di al-Malik al-Masud), riservando per se il
titolo onorifico di al-Malik al-Mansur, che significa “il Sovrano reso
vittorioso da Dio”.
L’operato di Qalawun però non fu accettato dall’emiro Sunqr alAshqar, governatore mamelucco di Damasco, che, per di più, nel 1280
32
Il titolo equivale a quello di “tutore”. Tra i Selgiuchidi tale carica con il
tempo acquistò la dignità di “governatore”.
29
si autonominò sultano. Ma nello stesso anno Qalawun lo sconfisse, e
tuttavia, per reciproco interesse, i due finirono per riconciliarsi.
Nel 1280, alla morte di al-Malik al-Said (probabilmente fatto
avvelenare dallo stesso Qalawun), anche al-Malik al-Masud fu deposto
e nominato signore di al-Karak33. Di fatto, però, Salamish e Khadir
erano esiliati nel castello di Karak (una volta dei crociati), che nel 1286
passerà sotto il diretto controllo di Qalawun. Con la morte di al-Malik
al-Said e la messa fuori gioco degli altri due figli di Baybars, Qalawun
non ebbe più ostacoli e nel 1279 divenne anche formalmente sultano
d’Egitto e di Siria34.
Miniatura raffigurante i Mongoli (a sinistra) inseguiti dai Mamelucchi
(a destra) nella battaglia di Homs.
Nel 1281, però, Qalawun dovette affrontare un’invasione di
Mongoli provenienti dal khanato di Persia35, cui si erano aggiunti gli
Armeni di Leone III36, loro alleati, ed alcuni baroni franchi.
33
34
35
Dopo parecchi scontri interni al sistema politico mamelucco, i due figli di
Baybars rimasti in vita, Salemish (al-Malik al-Adil) e Khadir (al-Malik alMasud) verranno condotti al Cairo e successivamente inviati in esilio a
Costantinopoli.
È l’ottavo sultano mamelucco d’Egitto.
La spedizione era guidata da Möngke Temor, fratello di Abaqa Khan,
sovrano del khanato di persia.
30
Qalawun, coadiuvato dall’emiro Sunqur al-Ashqar, approntò un
poderoso esercito37, che il 17 settembre 1281 si scontrò con quello
mongolo ad Homs; la battaglia fu sanguinosa e causò molte perdite ad
entrambe le parti, ma quando sembrava che le truppe mamelucche
fossero state messe in fuga, queste si riorganizzarono, tornarono
indietro e distrussero l’esercito mongolo. Möngke Temor, comandante
dei Mongoli, rimase smarrito dall’improvviso cambiamento di fronte e
dalla conseguente sconfitta e riuscì fortunosamente a rientrare nei suoi
territori. Lo stesso accadde a Leone III, che riuscì a riparare in Armenia
accompagnato semplicemente da trenta uomini a cavallo.
Michele VIII Paleologo
Qalawun, seguendo l’esempio del suo illustre predecessore, firmò
diversi trattati con i cristiani, ma sempre con clausole a lui favorevoli.
Nel 1281 negoziò anche con l’imperatore bizantino Michele VIII
36
37
Leone III (1236-1289) salì al trono nel 1269, quando il padre Aitone I abdicò
in suo favore e si fece frate francescano.
Il Templare di Tiro, nella sua “Cronaca” riferisce di “ottantamila uomini a
cavallo e circa centomila a piedi”, Par. 172.
31
Paleologo un’alleanza militare contro Carlo I d’Angiò, che minacciava
di occupare alcuni territori dell’impero bizantino.
Particolarmente importante e significativo, sotto l’aspetto della
prepotenza, è il trattato di tregua decennale stipulato nel 1282 con il
maestro generale dei Templari, Guglielmo di Beaujeu, a favore della
città di Tortosa, di cui ci è giunto il testo a cura del biografo personale
di Qalawun. Tale trattato tutelava da eventuali aggressioni dei Franchi
tutti i territori in mano al sultano, mentre per i cristiani la tregua si
applicava a “Tortosa, posseduta dall’Ordine dei Templari, e alle sue
terre stabilite in perpetuo all’atto della stipulazione della tregua
benedetta; e inoltre agli annessi territori di al-Uraima e Mai’àr, secondo
la tregua stabilita dal malik az-Zahir (Baybars, N.d.A.), le cui norme
sono qui ricalcate ….”38. L’accordo di tregua si chiudeva con una
clausola vessatoria nei confronti dei Templari: “Nel territorio di Tortosa
specificato in questa tregua non si dovrà rinnovare alcuna rocca o
fortilizio o castello, né alcuna opera di fortificazione, trinceramento e
simili”39.
La fortezza di Marqab
Altrettanto importante è il trattato di pace stipulato nel mese di
maggio 1283 con la città di Acri allo spirare della precedente tregua
accordata da Baybars nel 1272. La tregua (della durata di dieci anni,
dieci mesi, dieci giorni e dieci ore, a partire dal 3 giugno 1283) è stata
sottoscritta da Guglielmo di Beaujeu, maestro generale dei Templari, da
38 “Storici arabi delle Crociate”, a cura di Francesco Gabrieli, Einaudi, 2007.
39 Ibidem, pag. 318.
32
Nicolas de Lorgne, maestro generale degli Ospitalieri, e da Oddone di
Poilechien, reggente del regno per conto di Carlo I d’Angiò.
Il trattato (Vedi testo riportato in ALLEGATO 1) era esteso a tutti i
territori sotto il dominio del sultanato siro-egiziano e le località tutelate
erano elencate con eloquente pedissequità per evidenziare i territori a
suo tempo conquistati dai crociati e successivamente perduti negli
ultimi cento anni. Molto più prolissa era invece la parte che riguardava
i territori cristiani tutelati dalla tregua, dalla quale emergeva che il
regno di Gerusalemme era ormai ridotto ad una esigua striscia costiera
che andava da Acri al Monte Carmelo, e comprendeva poche roccaforti
in Siria ancora in mano ai Templari ed agli Ospitalieri.
Tripoli
Il trattato elencava espressamente i territori cristiani tutelati: la città
di Acri ed i territori ad essa collegati di proprietà dei Franchi, Haifa, il
territorio di Monte Carmelo, la città ed il castello di Atlith, Sidone.
Inoltre stabiliva che: “All’infuori di Acri, Atlith e Sidone, e fuor delle
mura di queste località, i Franchi non potranno rinnovare muro né rocca
né fortezza né castello, vecchio o nuovo che sia”40.
Questo trattato non impedì a Qalawun di conquistare il 25 marzo
1285 la fortezza ospitaliera di Marqab, Laodicea nel 128741 e, il 26
aprile 1289, la città di Tripoli (che non aveva sottoscritto la tregua), la
cui popolazione fu letteralmente massacrata dai Mamelucchi.
Riferisce il cronista Abu l-Fidà’:
40
41
Ibidem, pag. 322.
Cfr. “Cronaca del Templare di Tiro”, op. cit., Par. 225 e 226.
33
“le forze musulmane vi penetrarono (in città) di forza, e la
popolazione fuggì verso il porto: qui alcuni si misero in salvo
con le navi, ma la gran parte degli uomini fu uccisa, i figli
presi prigionieri, e i musulmani trassero dalla città vasto
bottino. Quando ebbero finito di uccidere e saccheggiare, la
città su ordine del Sultano fu demolita e rasa al suolo”.
I musulmani si impossessarono di quattromila preziosi telai per la
tessitura ed oltre 1.200 prigionieri, resi schiavi, furono destinati
all’arsenale di Alessandria. Il sultano ordinò inoltre di costruire una
nuova Tripoli nell’entroterra, alle pendici del Monte Pellegrino.
Dopo la distruzione di Tripoli, re Enrico di Gerusalemme partì da
Cipro e recatosi ad Acri concordò con Qalawun una tregua per la Siria
e per Cipro. I due sovrani si prestarono reciprocamente giuramento, poi
- nel mese di agosto - il sultano ritornò in Egitto ed il re, il 26
settembre, salpò per Cipro, lasciando sul posto come suo
rappresentante e connestabile del regno il fratello Amalrico, che era
anche signore di Tiro.
Con la caduta di Tripoli spariva, dopo centottanta anni dalla sua
costituzione (1109) la contea di Tripoli. Il regno di Gerusalemme si era
ridotto ai soli territori di Acri, Beirut, Sidone, Tortosa, il fortilizio di
Maraqiyya42 e Tiro, ancora tutelati dalla tregua del 1283.
Ma l’obiettivo di Qalawun era la cacciata totale dei cristiani dalla
Siria-Palestina; occorreva pertanto conquistare gli ultimi possedimenti
ancora nelle loro mani. Come vedremo più avanti, l’occasione gli verrà
offerta nel 1290.
Ma vediamo adesso che cosa era successo in campo cristiano negli
ultimi anni.
Nel regno della Piccola Armenia Aitone I, dopo avere riscattato il
figlio Leone43, nel 1269 abdicò in suo favore, si fece frate francescano
e l’anno seguente morì. Il figlio, che assunse il nome di Leone III,
consolidò i rapporti di alleanza con i Mongoli di Persia (di cui era
anche suddito) e nel 1281 assieme a loro partecipò all’invasione dei
42
43
Fortilizio ricadente tra Tortosa e Marqab, in mezzo al mare, di fronte la città
di Maraqiyya.
Leone, catturato il 24 agosto 1266 dai Mamelucchi nella battaglia di Mari, fu
successivamente liberato in cambio di una fortissima somma di denaro e
della cessione di alcuni territori della Piccola Armenia. Con l’occasione fu
liberato anche l’emiro Sunqr al-Ashqar, che era stato precedentemente
catturato e tenuto prigioniero dai mongoli.
34
territori siriani in mano ai Mamelucchi e che si concluse con la
disastrosa battaglia di Homs (17 settembre 1281). Ma a seguito di una
ulteriore offensiva di Qalawun, nel 1285 Leone III dovette firmare una
tregua decennale che gli imponeva anche ampie concessioni territoriali
a favore dei musulmani, la cessione di importanti fortezze ed il
pagamento di tributi. La Piccola Armenia si venne così a trovare nella
difficile condizione di essere contemporaneamente tributaria dei
Mongoli e dei Mamelucchi.
Leone III d’Armenia con la moglie Keran e cinque loro figli
Dopo la perdita del principato di Antiochia (1268) a Boemondo VI
non rimaneva che una esigua parte di quello che una volta era il
territorio della contea di Tripoli. Ma anche questa era in costante
pericolo. Nel 1271, infatti, Baybars assediò la città di Tripoli con
l’intenzione di conquistarla definitivamente, ma alla fine concesse una
tregua. Boemondo VI morì nel 1275 ed il suo posto fu preso dal figlio
quattordicenne Boemondo VII, che - passato un periodo sotto la
reggenza di Bartolomeo, vescovo di Tortosa - assunse il titolo di conte
di Tripoli e quello nominale di principe di Antiochia.
Presto, però, si formò un partito di opposizione, capeggiato da
Guido II (membro della potente famiglia genovese degli Embriaci),
signore di Gibelletto e vassallo del conte di Tripoli, appoggiato dal
maestro generale dei Templari, Guglielmo di Beaujeu. Scoppiò una
35
vera e propria guerra civile, che tra il 1278 ed il 1282 portò, per le
continue perdite subite, all’esaurimento degli effettivi della cavalleria
di Tripoli.
Nel 1282 addirittura Guido II di Gibelletto, con l’aiuto dei Templari
e con l’inganno, tentò di impossessarsi della città di Tripoli, ma fu
scoperto e catturato assieme ai suoi più fedeli sostenitori, molti dei
quali furono uccisi o accecati. “E il signore di Gibelletto e i suoi due
fratelli e i loro cugini Guglielmo di Gibelletto e Andrea di Clapiere il
principe li mandò a Nefin e li fece mettere in una fossa e li fece murare
e chiudere dentro, e là morirono di fame”44.
Ruderi del castello di Gibelletto
Tutto questo avveniva mentre tutt’intorno alla contea premevano i
Mamelucchi. Sebbene tragica e premonitrice di più gravi sciagure, i
Pisani di Acri, appena appresero la notizia, fecero una gran festa ed
inscenarono in una specie di rappresentazione teatrale la vicenda della
cattura e della condanna a morte di Guido di Gibelletto. Ormai ad Acri
pochi erano in grado di leggere gli eventi che stavano maturando ai loro
danni e che presto avrebbero determinato la tragedia umana connessa
con la fine del regno di Gerusalemme.
44
Cfr. “Cronaca del Templare di Tiro”, op. cit., Par. 174.
36
Boemondo VII morì nel 1287 senza lasciare eredi. Il suo posto fu
preso dalla sorella Lucia45. Nello stesso anno i Genovesi, guidati
dall’Ammiraglio Benedetto Zaccaria, dichiararono decaduta la dinastia
di Lucia ed istituirono il libero comune di Tripoli, nominando potestà
della città il genovese Bartolomeo Embriaco. Ma i mercanti veneziani e
pisani, nel timore che Tripoli diventasse una colonia genovese e il suo
porto monopolizzasse i traffici marittimi del Mediterraneo orientale,
chiesero addirittura l’intervento militare di Qalawun 46, il quale, pur
essendo ancora in vigore un trattato di pace con la contea di Tripoli,
prima occupò Laodicea, sede di un importante porto, con la scusa che
tale città, faceva parte del principato di Antiochia e non era tutelata
dalla tregua, ed il 26 aprile 1289 espugnò la città di Tripoli. La contea
di Tripoli, l’ultimo stato creato dai crociati quasi due secoli prima,
cessava di esistere definitivamente.
Alla morte di Federico II di Svevia, avvenuta nel 1250, il titolo di re
di Gerusalemme passò al figlio Manfredi e alla morte di quest’ultimo
passò a Corradino, figlio di Corrado, altro figlio di Federico II. Ma
dopo la morte di Corradino, decapitato a Napoli il 29 ottobre 1268 per
ordine di Carlo I d’Angiò, il titolo venne riconosciuto ad Ugo III di
Cipro47, che pertanto il 24 settembre 1269 fu incoronato nella cattedrale
di Tiro con il titolo di Ugo I di Gerusalemme.
Ugo, nonostante i suoi buoni propositi, a causa dell’opposizione
degli Ordini militari e di alcuni baroni franchi nel 1276 lasciò il regno
di Gerusalemme e si ritirò nella sua Cipro. Il suo gesto fu letto come
una tacita rinuncia alla corona di Gerusalemme e ciò alimentò le
ambizioni di Carlo I d’Angiò, che nel 1277 riscattò i diritti di Maria di
Antiochia48 e subito dopo inviò ad Acri un contingente armato sotto la
45
46
47
48
Lucia di Antiochia era la moglie di Narjot di Toucy, ammiraglio di Carlo I
d’Angiò in Puglia. Alla morte del fratello, tornò a Tripoli per prendere
possesso della contea.
Qalawun condivise le valutazioni dei Veneziani e dei Pisani e, temendo che
ciò potesse arrecare gravi danni ai traffici marittimi dei musulmani, si mosse
dall’Egitto con lo scopo di occupare definitivamente quel che restava della
contea di Tripoli.
Ugo, fra gli eredi di Jolanda di Gerusalemme, moglie di Federico II, era
l’unico che risiedeva nelle terre d’Oltremare.
Maria di Antiochia (1237-1274), figlia di Boemondo VI e di Isabella di
Armenia, in contrasto con il nipote Ugo III di Cipro, accampò dei diritti sul
regno di Gerusalemme quale discendente di Boemondo II e di Alice. Non
potendoli fare valere, li vendette a Carlo I d’Angiò per mille sterline d’oro
37
guida di Ruggero di San Severino per prendere possesso della città.
Ruggero, con l’aiuto dei Templari e dei Veneziani, presentò a Baliano
d’Ibelin i documenti che attestavano la titolarità di Carlo I d’Angiò
sulla corona di Gerusalemme ed ottenne la consegna della città e della
sede reale. Ruggero di San Severino prese possesso di tutto, elesse
Carlo I d’Angiò re di Gerusalemme e pretese che tutti i nobili locali gli
rendessero omaggio quale reggente del regno. Chi non lo avesse fatto
avrebbe avuto i beni sequestrati.
Sconfitta di Corradino di Svevia nella battaglia di Tagliacozzo
L’avvento di Ruggero di San Severino, che mise nei posti chiave del
regno solo francesi di sua fiducia, scongiurava l’arrivo di una nuova
crociata di ispirazione francese o papale e ciò risultò gradito a Baybars,
il quale, tranquillizzato sul fronte franco, nello stesso anno (1277)
avviò in Anatolia una campagna militare contro i Mongoli di Persia.
Dalla parte di Carlo I d’Angiò si schierarono i maggiorenti di Acri ed i
ed una rendita annuale di 4.000 livres tournois (la lira tornese equivaleva a
due scudi d’oro). (Treccani)
38
Templari, mentre gli Ospitalieri, Tiro, Beirut e la contea di Tripoli
rimasero fedeli ad Ugo III.
Lo scoppio della guerra del Vespro (Dipinto di Francesco Hayez)
Nel 1279, approfittando del clima di intolleranza che si era creato
nei confronti di Ruggero di San Severino, Ugo III tornò a Tiro, con
l’obiettivo di riprendere le redini del regno di Gerusalemme, ma la sua
iniziativa, che ebbe l’appoggio di Giovanni di Monfort e di alcuni
baroni, fu fortemente osteggiata dai Templari e fallì. Ugo, deluso e
amareggiato, ritornò a Cipro e per ritorsione contro i Templari confiscò
i beni che possedevano a Cipro.
Scoppiata la guerra del Vespro (1282), le aspirazioni di Carlo I
d’Angiò sul regno di Gerusalemme si affievolirono; egli richiamò in
Italia il fidato Ruggero di San Severino, che alla fine del 1282 lasciò la
Terrasanta, dopo avere nominato come suo sostituto Oddone di
Poilechien49.
Ancora una volta ne approfittò Ugo III di Cipro, che nel mese di
marzo 1283 tornò in Terrasanta per riaffermare le sue prerogative di
titolare della corona di Gerusalemme. Ugo però morì a Tiro il 24 marzo
49
Oddone di Poilechien, nella qualità di reggente del regno, nel 1283 risulterà
tra i firmatari della tregua decennale stipulata con il sultano Qalawun.
39
1284 ed entrambe le sue corone furono ereditate dal figlio
diciassettenne Giovanni, che fu prima incoronato re di Cipro a Nicosia
e successivamente re di Gerusalemme a Tiro, assumendo il titolo di
Giovanni I di Gerusalemme.
Giovanni, però, il 20 maggio 1285 morì senza lasciare eredi 50; gli
successe il fratello minore, Enrico51, di soli quattordici anni, che l’11
maggio fu incoronato re di Cipro a Nicosia. Successivamente Enrico
raggiunse Acri, dove, nonostante l’opposizione di Oddone di
Poilechien, il 15 agosto fu incoronato re di Gerusalemme, assumendo il
titolo di Enrico II. Dopo i festeggiamenti, durati due settimane52, Enrico
ritornò a Cipro, lasciando ad Acri come suo rappresentante lo zio
Baldovino d’Ibelin.
50
51
52
Secondo alcuni, Giovanni I fu avvelenato dai seguaci di Enrico, allora
quattordicenne.
La guerra del Vespro scoppiata in Sicilia cambiò lo scenario delle alleanze in
Terrasanta. I templari, che avevano appoggiato incondizionatamente la
politica di Carlo I d’Angiò e dei suoi rappresentanti ad Acri, si schierarono a
favore dei sovrani ciprioti, e, con l’appoggio degli Ospitalieri e dei
Teutonici, convinsero Oddone di Poilechien a restituire la cittadella di Acri,
che successivamente verrà consegnata al legittimo re di Gerusalemme.
La giovane nobiltà locale, in un clima di totale incoscienza dei pericoli che
incombevano sul regno, allestì tornei, ai quali partecipò spesso vestendo
abiti da donne, da frati o da monache, e scene tratte dal ciclo dei cavalieri
della Tavola Rotonda.
40
CAPITOLO III
La fine
La caduta di Tripoli ed il massacro della sua popolazione destò
sgomento in tutto l’Occidente, che finalmente prese coscienza del grave
stato di pericolo in cui versavano i cristiani della Terrasanta.
Papa Nicolò IV inviò pressanti appelli ai sovrani europei perché
organizzassero una spedizione in Terrasanta53 e per invogliare le
Repubbliche marinare italiane a dare un sostegno concreto alla nuova
crociata, revocò l’embargo commerciale contro l’Egitto.
Ricostruzione dell’antica Acri vista dal mare
Per la spedizione in Terrasanta vennero armate venticinque galee
(venti fornite da Venezia e cinque dal re di Aragona) ed il papa offrì un
consistente aiuto economico. All’appello del papa non risposero né
nobili né gente avvezza all’uso delle armi, ma solo pochi mercenari ed
una moltitudine di disperati (contadini, avventurieri e malfattori, tutti
provenienti dall’Italia settentrionale) che dal passaggio in Oriente
speravano di trarre qualche vantaggio.
La spedizione, composta da circa tremilacinquecento persone,
scarsamente armate e con pochi viveri, venne posta sotto il comando
militare di Jacopo Tiepolo, figlio di Lorenzo, doge di Venezia. Quella
che venne chiamata la crociata degli Italiani, arrivò ad Acri verso la
53
Il papato aveva grosse responsabilità nell’indebolimento militare della
Terrasanta. Esso, infatti, aveva fatto sì che le migliori forze europee fossero
impiegate nella lotta contro l’impero per affermare la supremazia della
Chiesa, trascurando così di fornire aiuti militari validi ai cristiani del Vicino
Oriente.
41
mettà di agosto 1290; i suoi componenti si sparsero per tutta la città,
creando continui disordini, risse e disagi tra la popolazione che neanche
gli Ordini militari riuscirono a fermare.
Privi di ogni forma di disciplina e restii al rispetto delle regole di
pacifica convivenza, verso la fine del mese di agosto, con la scusa di
vendicare l’onore di una donna cristiana violentata da un musulmano, i
nuovi crociati irruppero nel contado di Acri e massacrarono gli inermi
contadini musulmani che portavano i prodotti della loro terra ai mercati
cittadini. All’interno della città addirittura, oltre a diversi mercanti
musulmani, furono uccisi anche alcuni cristiani siriani scambiati per
musulmani per via della loro barba.
Antica pianta di Acri
Gli abitanti di Acri erano sgomenti, ma incapaci di opporsi alla
violenza dei nuovi arrivati, che a tutti i costi volevano menar le mani
contro i musulmani.
Qalawun, appresa la notizia del massacro dei musulmani, chiese la
consegna dei responsabili per giustiziarli, ma le autorità di Acri, ligi al
principio che vietava ai cristiani di consegnare agli infedeli un altro
cristiano, si opposero alla richiesta; esse non presero in considerazione
neanche la proposta di Guglielmo di Beaujeu, che suggeriva di
42
consegnare a Qalawun i condannati a morte rinchiusi nelle prigioni
cittadine e in quelle degli Ordini militari, facendoli passare per
responsabili del massacro.
Enrico II di Cipro inviò al sultano d’Egitto una lettera di scuse,
facendo presente che i nuovi arrivati non erano a conoscenza della
tregua vigente tra i cristiani ed i musulmani. Qalawun non accettò le
scuse, ma essendo rispettoso dei patti, chiese ai suoi giuristi se un suo
eventuale attacco contro la città di Acri costituisse violazione della
tregua da lui stesso sottoscritta nel 1283. La risposta fu negativa e
Qalawun, in gran segreto, organizzò la spedizione contro i cristiani di
Acri.
Le fortificazioni di Acri
E così, il 4 novembre dello stesso anno, a capo di un poderoso
esercito, si mosse dall’Egitto diretto ad Acri; ma dopo qualche giorno
43
di marcia, giunto ad al-Sâlihîah, fu avvelenato dall’emiro Turuntây54 ed
il 10 novembre morì. Gli successe il figlio al-Ashraf, a cui il padre, in
punto di morte, fece promettere di portare a compimento la cacciata
totale dei Franchi dalla Siria-Palestina e di far giustiziare Turuntây.
Il nuovo sultano, che assunse il nome di al-Ashraf Khalil, non ebbe
fretta di proseguire nella spedizione avviata dal padre; rientrò in Egitto
e per tutto l’inverno progettò meticolosamente la spedizione, facendo
approntare anche numerose e possenti macchine da guerra.
I signori di Acri fecero un ultimo tentativo per scongiurare la guerra,
inviando dal nuovo sultano una delegazione guidata dal cavaliere di
Acri Filippo Mainebeuf e dal cavaliere templare Bartolomeo Pisano;
ma al-Ashraf si rifiutò di riceverli e li fece imprigionare.
Il 6 marzo 1291 al-Ashraf partì dal Cairo ed arrivò ad Acri il 5
aprile. Comandava un esercito composto da sessantamila cavalieri e
centosessantamila fanti provenienti dall’Egitto, dalla Siria e dalla
Palestina. L’esercito era ben equipaggiato e poteva disporre di
numerose macchine da guerra fatte affluire dalle fortezze della
Palestina; tra di esse spiccavano, per potenza di lancio (potevano
lanciare massi del peso di un quintale), due enormi catapulte chiamate
la “Furiosa” e la “Vittoriosa”. Secondo lo storico arabo Abu l-Fisa55,
per trasportare quest’ultima catapulta, smontata a pezzi, dalla sede
originaria del Crak des Chevaliers, furono impiegati cento carri.
La città di Acri ad ovest e a sud era delimitata dal mare ed era
protetta da possenti mura e dal porto; dal lato di terra, a nord e ad est,
era protetta da una doppia cinta di mura, intervallate da diverse torri56.
54 Husam al-Din Turuntây al-Mansuri, emiro mamelucco, ricoprì cariche
importanti sotto Qalawun, legandosi al suo primogenito ‘Alì; alla sua morte
(1288) venne osteggiato dal secondogenito Khalil, che, dopo la morte del
padre, lo fece arrestare e ne fece confiscare i beni. Cfr. “Cronaca del
Templare di Tiro”, op. cit., pag. 372.
55 Abu l-Fidà partecipò all’azione militare sotto la guida del padre, al-Malik alMuzzafar. Egli stesso, alla morte del padre, divenne signore di Hamàt,
assumendo il titolo di al-Malik al-Mu’ayyad.
56 Le torri di difesa si trovavano tanto sulla cinta interna (Torre Maledetta),
quanto su quella esterna (Torre del Re, Torre della Contessa di Blois, Torre
del Legato); esse portavano in genere i nomi di coloro che ne avevano
finanziato la costruzione o il rafforzamento (il re Enrico II di Lusignano, la
contessa di Blois Giovanna di Châtillon, il legato pontificio e patriarca di
Gerusalemme Nicola di Hanapes). A proposito della Torre del re, Enrico II
44
La più alta e la più possente era la “Torre Maledetta”, a sua volta
protetta da due altre torri poste nelle sue immediate vicinanze.
A nord di Acri si trovava il sobborgo di Montmusard, protetto verso
l’esterno da un doppio muro e da un fossato e tra Montmusard e la
stessa Acri c’erano un ulteriore fossato ed un muro che collegava tra
loro le torri fortificate. La fortezza dei Templari sorgeva nella punta
sud-occidentale della città, era a picco sul mare e la separava dal porto
il quartiere dei Pisani.
Delle porte menzionate dall’autore della “Cronaca del Templare di
Tiro”, quella di San Lazzaro (posta all’angolo settentrionale della città)
e quella di Sant’Antonio (posta all’angolo nord-orientale della città
vecchia) si trovavano nel sobborgo di Montmusard, così come la Porta
di Malpasso, mentre la Porta del Legato era sul fianco orientale della
città vecchia57.
All’arrivo di al-Ashraf la città ospitava circa quarantamila persone e
per la sua difesa poteva contare su un migliaio di cavalieri e
quattordicimila fanti, compresi gli effettivi degli Ordini militari, gli
indisciplinati crociati arrivati dall’Italia settentrionale, il contingente
francese istituito da Luigi IX e comandato da Giovanni di Grailly (che
era anche siniscalco del regno di Gerusalemme) ed il contingente
inglese inviato da Edoardo I, sotto il comando dello svizzero Oddone di
Grandson.
A tutti gli uomini abili fu assegnato un posto sulle mura. Partendo
dal lembo nord-occidentale (quello prossimo al mare), le mura della
città rivolte verso la pianura dove era accampato l’esercito musulmano
erano così presidiate: i Templari, sotto la guida del maestro generale
Guglielmo di Beaujeu; seguivano gli Ospitalieri, sotto il comando del
maestro generale Giovanni di Villiers; il contingente reale (Ciprioti),
guidato da Amalrico, fratello del re di Cipro, appoggiato dai Teutonici,
guidati dal loro maestro generale Corrado di Feuchtwangen; poi il
contingente francese, quello inglese, i Veneziani, i Pisani e, alla fine, i
militi della città di Acri.
Le quattro grandi catapulte di cui disponevano i musulmani furono
così posizionate: la “Infuriata”58 contro le posizioni presidiate dai
57
58
fece costruire anche un contrafforte, detto il Bastione del Re. (Cfr. “Cronaca
del Templare di Tiro”, op. cit., pag. 373).
Cfr. “Cronaca del Templare di Tiro”, op. cit. pag. 373.
La grande catapulta chiamata la “Furiosa” è stata prelevata a Hisn al-Akrad
(Crak des Chevaliers) dagli uomini del Signore di Hamàt, al-Malik al-
45
Templari, quindi a nord della città; la “Vittoriosa” contro la posizione
presidiata dai Pisani, e le altre due rispettivamente contro le posizioni
presidiate dagli Ospitalieri e contro la Torre Maledetta, presidiata dalla
guardia del re. Negli spazi tra le quattro grandi catapulte furono
sistemate un centinaio di altre macchine da guerra, comprendenti
mangani59, trabucchi60 e baliste61.
Il maresciallo dell’Ospedale, Matteo di Clermont,
difende le mura di Acri
(Dipinto di Dominique Louis Papety)
59
60
61
Muzaffar, e, smontata, venne portata davanti alle mura di Acri. (Cfr.
“Cronaca del Templare di Tiro”, op. cit., pag 373)
Arma da lancio, utilizzata fin dai tempi dei Romani nelle operazioni
d’assedio, che sfrutta la forza umana per scagliare proiettili.
Macchina d’assedio di grandi dimensioni, fissa, che utilizza per il lancio dei
proiettili il principio della leva.
È una grande macchina d’assedio in grado di lanciare grandi dardi o pietre
sferiche singolarmente e per piccoli gruppi, secondo il modello.
46
L’attacco alla città iniziò la mattina del 6 aprile 1291, al suono
assordante di enormi tamburi; le catapulte ed i mangani disposti lungo
il perimetro delle mura iniziarono a lanciare massi e vasi di argilla
contenenti pece mista a petrolio, olio, zolfo e polvere di carbone di pino
(fuoco greco). Squadre di arcieri provvedevano a lanciare nugoli di
frecce che, di continuo, si riversavano sui difensori delle mura e sulla
popolazione all’interno della città.
Altre squadre di musulmani, protetti dagli scudi disposti a
testuggine, si avvicinavano sempre più all’argine del fossato esterno,
riempiendolo di tronchi di legno sui quali gettavano sacchi pieni di
sabbia per creare un piano praticabile che consentisse di dare l’assalto
alle mura.
I tiri delle catapulte più grosse furono concentrati sulle difese
presidiate dai Templari e sulla propaggine orientale della doppia cinta
muraria, prendendo di mira soprattutto la Torre del Re ed il tratto di
mura compreso tra la Porta di Sant’Antonio e la Torre del Legato. Nel
frattempo squadre di minatori scavavano cunicoli principalmente in
direzione della Torre Maledetta e della Torre della Contessa di Blois,
utilizzando anche – dov’era utile – i condotti fognari ed i canali di
scolo del macello, ma anche in altre direzioni.
Il 15 aprile, in una notte particolarmente luminosa, Guglielmo di
Beaujeu, al comando di un drappello di Templari, cui si erano uniti
Giovanni di Grailly e Oddone di Grandson, uscendo dalla Porta di San
Lazzaro tentò una incursione in campo nemico 62, con l’obiettivo di
incendiare la trincea della catapulta “Infuriata” e di distruggere altre
macchine da guerra ed opere di difesa e di attacco apprestate dai
musulmani. Ma per una serie di errori causati da chi doveva lanciare le
torce accese, gli incursori cristiani furono scoperti e nella foga del
momento le zampe dei loro cavalli si impigliarono nelle corde delle
tende; cadendo da cavallo, alcuni cristiani furono fatti prigionieri e
uccisi dai musulmani. I più riuscirono a fuggire, furono inseguiti da
circa duemila musulmani e a stento riuscirono a ritornare entro le mura
62
Era il settore posto sotto il comando del signore di Hamàt, al-Malik alMuzzafar, che diede tanto filo da torcere ai Templari.
47
della città. Nella spedizione, cui presero parte circa duecento uomini,
persero la vita diciotto cristiani, quasi tutti Templari63.
Nelle notti successive furono tentate altre sortite, tutte rimaste
inefficaci perché i musulmani ormai erano in costante stato di allerta.
Nello stesso mese di aprile, su iniziativa degli Ospitalieri e in gran
segreto, fu programmata un’altra incursione nel campo nemico, ma la
notizia giunse all’orecchio del sultano per cui, alla mezzanotte del
giorno concordato, quando in prossimità della Porta di Sant’Antonio ai
militi cristiani fu dato l’ordine di montare a cavallo, il campo
musulmano di colpo si illuminò a giorno, mettendo in evidenza che più
di diecimila soldati a cavallo, armati di tutto punto, erano pronti ad
accoglierli. I cristiani, inseguiti da un nugolo di frecce, dovettero
frettolosamente rientrare in città. Il morale degli assediati era a terra.
Il 4 maggio sbarcò ad Acri Enrico II di Cipro: portava con se
abbondanti provviste e un contingente di 200 cavalieri e di 500 fanti. Il
re di Cipro e di Gerusalemme era di carattere debole e per di più
soffriva di epilessia; questo minava la sua autorità, anche se il gesto di
portare personalmente aiuto in un momento così difficile e pericoloso,
fu apprezzato da tutti. Enrico II assunse la guida delle operazioni,
ottenne un cessate il fuoco e, nella qualità di re di Gerusalemme, inviò
al sultano al-Ashraf come ambasciatori il cavaliere Guglielmo di
Villiers ed il templare Guglielmo di Cafran; ma il sultano non volle
accettare le richieste degli ambasciatori e, in modo sprezzante, disse
loro che l’unico suo obiettivo era la conquista delle città e se gli
abitanti e i difensori l’avessero lasciata, anche portando via i loro averi,
avrebbero avuta salva la vita. Ma gli ambasciatori risposero che non
potevano accettare tali condizioni, perché, dissero “la gente
d’Oltremare ci avrebbe considerati traditori”64.
Subito dopo si intensificarono i bombardamenti sulla città. Martedì
15 maggio, a causa dei continui colpi ricevuti, la parte anteriore della
Torre del Re crollò sul fossato e l’indomani pomeriggio i musulmani
coprirono le macerie con sacchi di canapa pieni di sabbia. Il crollo della
torre aveva aperto una grande breccia nella cinta muraria esterna, che
sul momento fu tamponata dai difensori della città con un assito di
legno ricoperto di cuoio, detto “gatto”, e ciò servì a sbarrare
63
64
Per il cronista arabo Abu L-Fidà “La mattina dopo, il Malik al-Muzaffar fece
attaccare un certo numero di teste dei Franchi al collo dei loro cavalli
catturati dai nostri, e le presentò al sultano al-Malik al-Ashraf.
Cfr. “Cronaca del Templare di Tiro”, op. cit., Par. 257.
48
momentaneamente l’accesso dei musulmani nell’intercapedine che
separava le due cinte murarie.
L’evento, però, gettò nel panico la popolazione e chi poteva lasciò la
città via mare. Circa diecimila persone, tra donne, bambini e anziani,
furono caricate sulle navi e trasportate nelle vicine città costiere non
ancora in mano musulmana.
L’assalto finale fu sferrato venerdì 18 maggio. Scrive l’anonimo
compilatore della “Cronaca del Templare di Tiro”:
“E quando venne il venerdì, prima di giorno un tamburo risuonò molto
forte e al suono di quel tamburo, che faceva un rumore orribile e molto
intenso, i saraceni assalirono la città di Acri da tutte le parti, e il primo
punto da cui entrarono fu da questa maledetta torre che avevano preso.
Venivano tutti a piedi, ed erano innumerevoli, e davanti venivano quelli
che portavano grandi scudi alti, e dopo venivano quelli che tiravano il
fuoco greco, e dopo c’erano quelli che tiravano giavellotti e frecce
piumate così fittamente che sembrava che cadesse pioggia dal cielo, e i
nostri, che erano all’interno del gatto, lo abbandonarono. A questo punto
questi saraceni che vi dico presero due strade diverse, poiché si
trovavano fra le due cinta di mura della città, cioè tra la prima cinta di
mura e fossati, che si chiamava il barbacane, e le grandi mura e i fossati
della città, per cui gli uni entrarono attraverso una porta di una grande
torre, chiamata la Torre maledetta, e andarono verso San Romano, là
dove i pisani avevano le loro grandi macchine da guerra, gli altri
continuarono a camminare andando verso la porta di Sant’Antonio”65.
Guglielmo di Beaujeu, per tentare di bloccare l’avanzata dei
musulmani, lasciò in fretta la sua fortezza e con un manipolo di
Templari, a cui per strada si aggiunsero Giovanni di Villiers e Matteo di
Clermont, rispettivamente maestro e maresciallo degli Ospitalieri,
accorse alla porta di Sant’Antonio; ma durante la lotta un dardo lo colpì
sotto l’ascella sinistra66. E quando capì di essere stato ferito a morte, si
sottrasse alla mischia, ma un gruppo di crociati di Spoleto, pensando
che il maestro volesse fuggire per mettersi in salvo, gli gridò: “Ah, per
Dio, signore, non andatevene, perché la città sarebbe presto perduta!”.
E lui, a voce alta, mostrando il dardo conficcato sotto l’ascella, rispose:
“Signori, non posso più, perché sto morendo, vedete il colpo!”.
65
66
Cfr. “Cronaca del Templare di Tiro”, op. cit., Par. 260-261.
Quando sentì il forte rumore dei tamburi, Guglielmo di Beaujeu si trovava
nel castello dei Templari e non indossava l’armatura. Per la fretta di correre
in aiuto dei suoi, indossò un’armatura leggera che lasciava scoperte alcune
parti del corpo.
49
Subito dopo i suoi lo fecero scendere da cavallo, lo stesero su uno
scudo e, facendosi largo tra i fuggiaschi che ingombravano i vicoli
della città, lo portarono nella fortezza templare, dove morì dopo alcune
ore di agonia. Fu sepolto ai piedi dell’altare maggiore della cappella
della fortezza.
Nel frattempo i musulmani conquistarono la Porta Sant’Antonio,
distrussero il “gatto” che la proteggeva e dilagarono in città. La
popolazione fu presa dal panico e le donne, i vecchi ed i bambini che
durante l’assedio erano rimasti rinchiusi nelle loro case, si riversarono
nelle strade, cercando di mettersi in salvo. Quando li incontravano, i
musulmani uccidevano gli uomini, violentavano le donne e poi le
facevano prigioniere assieme ai bambini. I neonati venivano strappati
dalle braccia delle loro madri e, gettati per terra, venivano uccisi dagli
zoccoli dei cavalli.
Circa diecimila persone trovarono scampo nel Tempio, ultimo
baluardo difensivo della città, posto sotto il comando del maresciallo
Pietro di Savrey e del comandante di terra Thibaud Gaudin.
Enrico II, resosi conto che la situazione ormai non aveva via
d’uscita, scoraggiato si imbarcò per Cipro, lasciando sul posto il
contingente armato che aveva portato con se. Lasciarono Acri anche
Giovanni di Villiers, ferito durante i combattimenti, Oddone di
Grandson, che portò con se diversi feriti, tra i quali Giovanni di Grailly
e il maestro generale dei Teutonici. Nel tentativo di imbarcarsi con i
suoi beni, perse la vita, annegando, anche il patriarca e legato pontificio
Nicola di Hanapas. Lasciarono la città anche i Veneziani ed i Pisani a
bordo delle loro navi.
Il maresciallo degli Ospitalieri, Matteo di Clermont, che aveva
accompagnato al Tempio Guglielmo di Beaujeu, dopo avere salutato la
salma del maestro templare, si dispose per la difesa delle vie d’accesso
al porto, per consentire alla popolazione di mettersi in salvo sulle navi
dirette a Cipro. Alla fine fu sopraffatto dai musulmani e fu ucciso
assieme ai suoi.
I Templari fecero avvicinare alle mura della loro fortezza tutte le
navi a vela e a remi che riuscirono a trovare e facendoli calare
attraverso le torri e le mura della loro fortezza, riuscirono a fare
imbarcare quasi tutti quelli che si erano rifugiati nel Tempio. Quando
tutte le imbarcazioni presero il largo, dalla fortezza partì un grande
grido di saluto.
50
Era il 18 maggio 1291, un venerdì, e la città era caduta in mano
musulmana. Resisteva ancora la fortezza dei Templari, che accoglieva
molti feriti e numerose donne e bambini che erano sfuggiti al massacro
che si era consumato in città. (vedi ALLEGATO 2).
Il sultano, seppur indispettito per l’ostinata resistenza dei Templari,
offrì un salvacondotto che fu accettato da Pietro di Sevrey. Ma quando
alcuni dei circa quattrocento cavalieri musulmani incaricati di prendere
possesso della fortezza templare e di issare il vessillo del sultano
tentarono di violentare le donne che vi trovarono dentro, il maresciallo
del Tempio e gli altri Templari gli si avventarono contro, ne uccisero
parecchi, spezzarono il vessillo del sultano e sprangarono le porte della
fortezza, apprestandosi ad una ulteriore difesa.
Il sultano fece finta di essere dispiaciuto dell’accaduto, diede
l’impressione di giustificare l’uccisione dei suoi come conseguenza del
comportamento peccaminoso da loro tenuto e chiese di potere parlare
con gli esponenti più importanti presenti nel Tempio per potere trattare
una resa onorevole.
Pietro di Sevrey ingenuamente si fidò della proposta del sultano ed
assieme ad altri Templari si recò nella sua tenda; ma appena il sultano li
ebbe in suo potere, li fece tutti decapitare. Non appena quelli del
Tempio seppero della loro morte, accortisi che le mura delle fortezza
cominciavano a scricchiolare, si ritirarono nella torre più possente,
apprestandosi all’ultima difesa. Essi, tuttavia, non si arresero neanche
quando si accorsero che la torre stessa era stata minata e che in essa
incominciavano ad aprirsi delle brecce. E quando queste si fecero
sufficientemente ampie, più di duemila musulmani, come tanti
forsennati, si riversarono nella torre; il loro peso provocò la rottura dei
puntelli delle sottostanti gallerie e la torre crollò su se stessa,
trascinando con se difensori ed attaccanti. Era il 28 maggio 1291 e quel
giorno i Templari, ultimi difensori di Acri, ebbero l’onore di essere
accompagnati nel loro sacrificio dai cadaveri di duemila soldati
musulmani.
Il sultano, dopo averla interamente conquistata, diede ordine di
demolire la città per recuperarne i marmi più preziosi e le opere d’arte;
il portale della chiesa di San Domenico fu portato al Cairo ed utilizzato
per adornare l’ingresso della moschea appositamente realizzata per
celebrare la conquista di Acri.
Al-Ashraf non perse tempo; dopo avere preso Acri, inviò un proprio
emiro a Tiro; la città si arrese senza combattere. Stessa sorte toccò ad
51
Haifa, che fu occupata il 30 luglio, e subito dopo, tra il 3 ed il 14 agosto
furono occupate Tortosa e la fortezza templare di Chateau Pèlerin,
abbandonate dai loro abitanti, che si erano rifugiati a Cipro.
Nella loro azione di conquista i musulmani incendiarono anche i
monasteri del monte Carmelo, massacrandone i monaci e le suore e
distruggendo ogni cosa.
Gli Ospitalieri si apprestano all’ultima difesa di Acri
(La Valletta – Affresco nel Palazzo del Gran Maestro)
Tutta la costa della Siria-Palestina era ormai in mano musulmana.
La Terrasanta non esisteva più. In mano cristiana restava solamente,
sotto il controllo dei Templari, l’isolotto di Rouad, posto a circa tre
chilometri al largo di Tortosa, da dove si pensava che in futuro potesse
partire la riconquista del litorale. Ma anche questo ridotto cristiano nel
1303 verrà spazzato via dalla furia musulmana. Finisce così, in modo
poco glorioso, la storia delle crociate e degli stati da esse creati e gestiti
in oltre due secoli di permanenza nel Vicino Oriente. In segno di lutto
per la perdita della Terrasanta, le donne di Cipro per oltre cento anni
portarono mantelli neri.
_________
52
ALLEGATO 1
TRATTATO CON ACRI67
(MACRIZI68, Ibn 'Abd az-Zahir)
In quest'anno (682/1283) nostro signore il Sultano assentì alla
richiesta della gente d'Acri, allorché i loro ambasciatori si presentarono
più volte al suo cospetto, in Siria e in Egitto, per cagion della pace. Egli
proibì loro di venire per via di terra, invitandoli a venire solo per mare,
ove avessero voluto presentarsi a lui; e cosi fecero. La conclusione fu
che essi cedettero alla volontà del Sultano, dopo aver accampato
esorbitanti pretese allo spirare della tregua (del Malik az-Zahir)69: nel
safar di quest'anno (maggio 1283), vennero dunque i delegati e
maggiorenti d'Acri, e fermarono la pace; essa fu giurata dal Sultano in
presenza degli ambasciatori franchi, cioè due fratelli dell'Ordine dei
Templari, due degli Ospitalieri, e due cavalieri regi, il governator
generate Guglielmo e il visir Fahd. Il testo era del seguente tenore:
È stabilita la tregua fra nostro signore il Sultano al-Malik al-Mansùr
(Qalawùn) e suo figlio al-Malik as-Salih 'Ala' ad-dunya wa d-din 'Ali Iddio renda eterno il loro potere!, - e le autorità del Regno d'Acri,
Sidone e Athlìth e territori dipendenti, a cui la tregua si estende. Sono
costoro il siniscalco Odo, Reggente del Regno d'Acri70, il Gran
Maestro frère Guillaume de Beaujeu, gran maestro dell'Ordine dei
Templari, il Gran Maestro frère Nicolas Lorgues, gran maestro
dell'Ordine dell'Ospitale, e il Maresciallo frère Corrado, luogotenente
del Gran Maestro dell'Ospitale teutonico. La tregua ha una durata di
dieci anni interi, dieci mesi, dieci giorni e dieci ore, a cominciare dal
giovedì cinque di rabì primo del 682 dell'egira del Profeta,
corrispondente al tre di haziràn dell'anno 1594 di Alessandro figlio di
Filippo il greco (3 giugno 1283). La tregua comprende tutti gli stati di
nostro signore il Sultano al-Malik al-Mansùr e di suo figlio il sultano
67
68
69
70
Tratto da “Storici arabi delle Crociate”, a cura di Francesco Gabrieli, Ed.
Einaudi, 2007.
Macrizi (Cairo 1364-1442) è stato un grande erudito e compilatore
musulmano che ha raccolto nella sua opera “Libro del procedimento della
conoscenza della storia dei re” diversi resoconti di autori arabi sulla storia
degli Ayyubiti e dei Mamelucchi dal 1181 al 1436.
Si tratta della tregua stipulata nel 1272 da Baybars.
Oddone di Poilechien, reggente per conto di Carlo d'Angiò.
53
al-Malik as-Salih 'Alì' ad-dunya wa d-din 'Ali: rocche e castelli e
territori e province e città e villaggi e seminati e terreni. E cioè71: il
regno d'Egitto con tutte le sue marche e rocche e castelli musulmani,
la marca di Damiata, la marca di Alessandria, Nastarawa, Santariyya,
e ogni porto e lido e terra relativa; la marca di Fuwwa e di Rosetta; i
paesi del Higiàz; la marca ben guardata di Gaza con tutti i suoi porti e
territori; la provincia di Karak, Shawbak e territorio, as-Salt e
territorio, Bostra eTterritorio; la provincia dell'Amico di Dio (Hebron)
- su cui siano le benedizioni di Dio! -; la provincia della nobile
Gerusalemme e suo territorio, del Giordano, di Betlemme e territorio,
con ogni terra in essa inclusa e computata; Bait Gibrìl; la provincia di
Naplusa e territorio; la provincia di Alatrùn e territorio, Ascalona e suo
territorio, porti e coste; la provincia di Giaffa e Ramla, suo porto e
territorio; Arsùf, suo territorio e porto; Cesarea, suo porto e litorale e
territorio; la rocca di Qaqùn e territorio; Lidda e territorio; la zona di
al-'Awgià e relative saline; la zona della felice conquista, con il suo
territorio e i suoi seminati; Baisàn e suo territorio, at-Tur e territorio,
ai-Lagiùn e territorio, Gìubnìn e territorio, 'Ain Gialùt e territorio, alQaimùm e territorio con tutto ciò che ne dipende; Tiberiade e il suo
lago e territorio; la provincia di Safad e dipendenze; Tìbnìn e Hunìn
con ogni lor terra e territorio; ash-Shaqlf, detto Shaqlf Arnùn, con
territorio e dipendenze; il paese di al-Qarn e sue dipendenze, fuorché
ciò che è specificato in questa tregua; la metà della città di
Alessandretta e del borgo di Marùn coi lor villaggi e vigne e giardini e
campi - e il resto del territorio della Alessandretta suddetta apparterrà
tutto coi suoi confini e terre a nostro signore il Sultano e a suo figlio -,
mentre l'altra metà andrà al Regno di Acri; al-Biqà' al-'Azizi721 è
territorio, Mashghar e territorio, Shaqlf Tirùn e territorio; tutte le
caverne, Zalaya e altre; Baniyàs e territorio; la rocca di as-Subaiba coi
suoi laghi e il territorio; Kawkab e territorio; la rocca di 'Ageùn e
71
72
II lungo e monotono elenco che segue, enumerando all'ingrosso da sud a
nord ì domini del sultano mamelucco d'Egitto, ha l'eloquenza dei fatti ove lo
si confronti con la breve descrizione territoriale, un po' più innanzi, dell'altra
parte contraente. Ne risulta che il «Regno di Gerusalemme» era ridotto a una
esigua striscia costiera da poco a nord di Acri al Carmelo. Fuori di essa, Tiro
e Sidone, Beirut e Tripoli, e qualche ultima rocca di Templari e Ospitalieri in
Siria, era tutto ciò che restava dell'opera delle Crociate. L'elenco degli stati
di Qalawun, a cominciare dalla Città Santa, equivale a una rassegna di tutti i
territori che i Crociati avevano perduto nel corso di un secolo, o avevano
invano attaccato.
Al-Biqà' è la Celesiria: l'epiteto di d-'Azizì (al singolare per essersi perduta la
coscienza dell'originario plurale del nome: le contrade) le venne dal Malik
al-'Azlz, fìglio dì Saladino.
54
territorio; Damasco e la provincia damascena con le sue rocche e terre
e distretti e territorio; la rocca di Baalbek e territorio; la provincia di
Hims e territorio e confini; la provincia di Hamàt, con la sua città e
rocca e terre e confini; Balàtunus e territorio; Sahyùn e territorio;
Barzayya e territorio; le conquiste di Hisn al-Akràd e territorio;
Safithà e territorio; Mai'àr e territorio, al-'Uraima e territorio;
Maraqiyya e territorio; Halabà e territorio; la rocca di 'Akkàr e
territorio e paesi; al-Quiai'a e territorio; la rocca di Shaizar e territorio,
Apamea e territorio, Giàbala e territorio, Abu Qubais e territorio; la
provincia di Aleppo, con tutte le rocche città paesi e castelli connessi;
Antiochia e territorio, con quanto rientra nelle benedette conquiste731;
Baghràs e territorio, Darbsàk e territorio, Rawandàn e territorio,
Harim e territorio, 'Aintàb e territorio, Tizln e territorio, Saih al-Hadìd
e territorio; la rocca di Naém e territorio, Shaqlf Dair Kush e territorio;
ash-Shughr e territorio, Bakàs e territorio, as-Suwaida e territorio; alBab e Buza'a e lor territorio; al-Bira e territorio, ar-Rahba e territorio,
Salamiyya e territorio, Shumaimìs e territorio, Tadmor e territorio; e
tutto ciò che a queste terre si connette, specificato o no che sia,
(Sicurezza è garantita a tutti questi paesi) da patte delle autorità del
Regno d'Acri, e cioè il Reggente del Regno, il Gran Maestro dei
Templari frère Guillaume de Beaujeu, il Gran Maestro degli
Ospitalieri frère Nicolas Lorgues, e il Maresciallo frère Corrado,
luogotenente del Gran Maestro degli Ospitalieri teutonici; nonché da
tutti i Franchi, fratelli e cavalieri rientranti sotto la loro obbedienza e
compresi nel loro Stato del Litorale; e da tutti quanti i Franchi
indistintamente, stabiliti in Acri e nei territori costieri compresi nella
tregua, chiunque di essi sia a giungervi per terra o per mare, di
qualsiasi razza e persona.
I territori di nostro signore il sultano al-Malik al-Mansùr e di suo
figlio il sultano al-Malik as-Salih, i loro castelli rocche terre e villaggi
ed eserciti, Arabi Turcomanni e Curdi, e i lor sudditi di qualsiasi razza,
con tutti i loro averi, greggi robe raccolti e altro, non avranno a temer
danno nocumento e incursione, attacco e molestia alcuna. E cosi tutto
ciò che conquisterà nostro signore il sultano al-Malik al-Mansùr e suo
figlio il sultano al-Malik as-Salih, di lor mano o attraverso le loro
truppe e i loro luogotenenti, di paesi e castelli e rocche e province, per
terra e per mare, in pianura e in montagna.
Parimenti (avran sicurtà) tutti i paesi litoranei dei Franchi su cui
ora è stabilita la tregua, e cioè: la città di Acri, coi suoi giardini, terreni
e mulini e vigne dipendenti, coi diritti da essa percepiti nel
circondario, e le terre stabilite in questa tregua, in numero di
73
Le relativamente recenti conquiste di Baibars. Non è chiaro invece quale sia
«la zona della felice conquista» poco innanzi menzionata.
55
settantatré contrade coi loro seminati: il tutto in piena proprietà dei
Franchi. Cosi Caifa e le sue vigne e giardini, con sette contrade
dipendenti. Cosi Marina, con la terra nota con tal nome, apparterrà ai
Franchi. Cosi ai Franchi apparterranno il monastero di S'ayàg’ (?) e
quello di Mar Elias, Del territorio del Carmelo, nostro signore il
Sultano possederà in proprio 'Afa e al-Mansura, mentre il resto, tredici
contrade, sarà dei Franchi. Per Athlìth, la rocca e la città, e 1 giardini
che son stati tagliati, le vigne e i colti e i terreni saranno dei Franchi,
con sedici contrade; mentre sarà proprietà di nostro signore il Sultano
il qui nominato villaggio di al-Haramìs, coi suoi diritti e seminati; il
resto del territorio di Athlìth sarà a mezzo, fuor della parte toccante
agli augusti beni privati del Sultano, con otto contrade. I fondi degli
Ospitalieri in provincia di Cesarea saranno proprietà dei Franchi con
tutto ciò che contengono. Metà della città di Alessandretta e del borgo
di Marùn con quanto contiene sarà dei Franchi, e il resto sarà proprietà
di nostro signore il Sultano; e tutti i diritti e i raccolti di Alessandretta
e del borgo di Marùn saranno a mezzo. Per Sidone, la rocca e la città,
le vigne e il circondario con tutto ciò che ad esso si riferisce sarà dei
Franchi; essi avranno la proprietà di quindici contrade, con tutto ciò
che si trova in pianura di fiumi, acque, fonti, giardini, mulini, canali,
acque correnti e dighe, con cui secondo un antico uso irrigano le loro
terre; il resto di tutto il territorio montano apparterrà tutto quanto a
nostro signore il Sultano e a suo figlio. Tutti questi territori di Acri, e
quelli specificati nella tregua, avran sicurtà da parte di nostro signore
il Sultano e di suo figlio, dei suoi eserciti e truppe, sia la parte di piena
proprietà sia quella a mezzo, in totale sicurtà con i loro abitanti.
All’infuori di Acri, Athlìth e Sidone, e fuor delle mura di queste tre
località, i Franchi non potranno rinnovare muro né rocca né fortilizio
né castello, vecchio o nuovo che sia.
Le galere di nostro signore il Sultano e di suo figlio, quando siano
equipaggiate e prendano il mare, non potranno arrecare veruna
molestia ai paesi costieri compresi in questa tregua. Quando le dette
galere sian dirette contro un paese diverso da questi, il cui sovrano sia
però legato da un trattato con le autorità del regno d'Acri, le galere non
potranno sostare né rifornirsi nei paesi contemplati da questa tregua;
mentre se il sovrano del paese contro cui si dirigono le galere non è
legato da trattato con le autorità del regno d'Acri, le galere potranno
farvi sosta e rifornimento. Ove, Dio guardi, una di queste galere
venisse a far naufragio in un porto o sul litorale contemplato dalla
tregua, se era diretta contro un alleato del Regno d'Acri e del suo
Capo, il Reggente del Regno d'Acri e i Gran Maestri degli Ordini
dovranno prenderla in custodia, permettere all'equipaggio di rifornirsi
e riparare ai danni sofferti, e far quindi ritorno al territorio
musulmano, restando annullata la rotta della nave naufragata e gettata
56
alla costa dal mare. Se invece colui verso cui muovevano le galere non
è legato da alcun trattato con quelli di Acri, la nave naufragata potrà
rifornirsi e riequipaggiarsi dai paesi contemplati dalla tregua, e
riprender la rotta verso la destinazione prescritta. Clausola, questa, che
avrà valore per entrambe le parti.
Qualora uno dei Re Franchi o altri d'Oltremare si muova di lì per
venire a recar danno a nostro signore il Sultano o a suo figlio nei loro
paesi contemplati dalla tregua, il Reggente del Regno e i Gran Maestri
di Acri saran tenuti a dar notizia dei loro movimenti a nostro signore il
Sultano due mesi prima del loro arrivo; ove arrivino dopo trascorsi i
due mesi, il Reggente del regno d'Acri e i Gran Maestri saranno esenti
da ogni responsabilità su questo punto.
Ove si muova un nemico dalla parte dei Mongoli o altri, quella
delle due parti che per prima ne avesse notizia dovrà informarne
l'altra. Se un nemico, Dio guardi, dalla parte dei Mongoli o altri
muovesse contro la Siria per via di terra, e le truppe (sultaniali) si
ritirassero dinanzi a luì, ed esso giungesse in prossimità dei territori
del Litorale compresi in questa tregua, attaccandoli ostilmente, il
Reggente del Regno d'Acri e i Gran Maestri avranno il diritto di
provvedere con trattative, per quanto è in loro potere, alla difesa loro,
dei loro sudditi e territori.
Se accadesse, Dio guardi, un moto di fuga per improvviso panico
da parte dei paesi musulmani verso i paesi del Litorale contemplati da
questa tregua, il Reggente del Regno d'Acri e i Gran Maestri dovranno
dar ricovero e protezione a questi profughi, e difenderli da chi li
perseguisse ostilmente, onde possano essere sicuri e tranquilli con le
loro robe. Il Reggente del Regno e i Gran Maestri dovranno dare
istruzioni a tutti gli altri paesi del Litorale cui si applica questa tregua,
di non permettere ai pirati di mare di rifornirsi di cibo o acqua presso
di loro, e ove qualcuno ne catturassero lo trattengano, e se quelli
fossero venuti a vendere delle merci li trattengano finché non giunga il
legittimo proprietario e a lui siano rese. Uguali misure prenderà circa i
pirati il Sultano.
La chiesa di Nazareth e quattro case fra le più vicine saranno
riservate per la pia visita dei pellegrini cristiani, grandi e piccoli, di
qualsiasi razza e persona, provenienti da Acri e dai paesi del Litorale
contemplati da questa tregua. Nella chiesa, preti e frati terranno le loro
preghiere, e le case saranno riservate ai visitatori della chiesa di
Nazareth, che avranno piena sicurtà di movimento sino ai confini dei
paesi compresi in questa tregua. Delle pietre che son nella chiesa,
quelle che si raccolgono (in quanto cadute dal loro luogo) vanno
57
buttate fuori, e non va messa pietra su pietra a scopo di ricostruire; né
van cercati illegalmente doni da preti e frati su questo punto74.
La tregua conteneva le pattuizioni d'uso. Quando nostro signore il
Sultano ebbe giurata la tregua, l’emiro Fakhr ad-din Ayàz, amìr hag’ib,
e il cadi Badr ad-din ibn Razìn andarono a prendere il giuramento dei
Franchi. Questi giurarono, e l'accordo restò cosi concluso.
FORMULA DEL GIURAMENTO PRESTATO DAL SULTANO
PER QUESTA TREGUA
(Ibn al-Furàt)
Per Allah per Allah per Allah, in nome di Allah di Allah di Allah, teste Allah
Allah Allah, grande e perseguente, nuocente e giovante, raggiungente ed esiziale,
conoscitore di ciò che appare e di ciò che è celato, del segreto e del manifesto,
misericordioso e clemente; per il Corano e Colui che l'ha rivelato e Colui a cui fu
rivelato, Mohammed figlio di Abdallàh cui Dio salvi e benedica, e per quanto in
esso è detto, capitolo per capitolo, versetto per versetto; per il mese di ramadan:
io m'impegno a mantenere questa tregua benedetta, stipulata fra me e il regno
d'Acri e i Gran Maestri ivi residenti; tregua che comprende Acri Athlìth e Sidone
col relativo territorio qui compreso. La durata della tregua sarà di dieci anni dieci
mesi dieci giorni e dieci ore, a partire dal giovedì cinque rabí' primo dell'anno
dell'egira 682. Io osserverò la tregua dal principio alla fine, la manterrò e mi
atterrò a tutte le condizioni in essa esposte, regolandomi secondo le sue norme
fino allo spirare del tempo da essa previsto. Non cavillerò su di essa né su cosa
alcuna che essa contenga, e non solleciterò responsi legali al fine di romperla,
sino a che le autorità di Acri Sidone e Athlìth, cioè il Reggente del Regno d'Acri,
il Gran Maestro del Tempio e quello dell'Ospitale, e il luogotenente del Gran
Maestro dell'Ospitale teutonico, sia gli attuali sia chi a loro succederà nella
reggenza del Regno e a capo degli Ordini nel regno suddetto, manterranno il
giuramento che ora essi prestano a me, a mio figlio al-Malik as-Salin e agli altri
miei figli, sulla stabilità di questa tregua ora redatta, applicandone le condizioni in
essa esposte fino alla sua scadenza, e attenendosi alle sue norme. Se io dovessi
venir meno a questo giuramento, sarò tenuto ad andare in pellegrinaggio per
trenta volte scalzo e a capo scoperto alla Casa dì Dio alla Mecca, e a digiunare per
tutto il tempo (relativo), fuor dei giorni in cui ciò è proibito.
Menzionate le altre clausole del giuramento, conclude: e Allàh è
garante di ciò che qui noi diciamo.
74
II diritto musulmano tollera l'esistenza di chiese cristiane in terra d'Islàm, ma
non ne ammette il restauro o la costruzione ex novo. Naturalmente, per
concedere in pratica tali restauri, le autorità locali spremevano « donativi »
dai clero.
58
FORMULA DEL GIURAMENTO DEI FRANCHI
(Ibn al Furàt)
Per Iddio per Iddio per Iddio, in nome d'Iddio d'Iddio d'Iddio, teste Iddio Iddio
Iddio, per il Messia il Messia il Messia, per la Croce la Croce la Croce, per le tre
Persone d'un'unica sostanza, denominate il Padre il Figlio e lo Spirito Santo e
formanti un unico Dio; per la Divinità venerabile dimorante nella augusta
Umanità, per il puro Evangelo e ciò che esso contiene, per i quattro Evangeli
trasmessi da Matteo Marco Luca e Giovanni, per le loro preghiere e benedizioni;
per i dodici Apostoli e i settantadue Discepoli e i trecentodiciotto (Padri di Nicea)
congregati nella Chiesa; per la voce che discese dal cielo sul fiume Giordano e ne
ricacciò indietro i flutti; per Iddio rivelatore dei Vangelo a Gesù figlio di Maria,
Spirito e Verbo di Dio; per la Madonna, santa Maria madre delia Luce; per
Giovanni il Battista; per santa Marta e Maria; per la Quaresima; per la mia fede e
il Dio da me adorato, e i dogmi cristiani in cui credo, e per quanto mi è stato
inculcato dal Padri e dai Preti che mi han battezzato. Da questo momento e da
quest'ora, consacro tutta la mia intenzione e il mio intimo proposito a mantenete
al sultano al-Mansùr, a suo figlio al-Malik as-Salih e ai loro figli tutti gli impegni
compresi in questa tregua benedetta, per cui si è conclusa la pace, valevole per il
Regno d'Acri Sidone Athlith e territori relativi, inclusi in questa tregua e ivi
specificati. Durata della tregua saranno dieci anni interi, dieci mesi, dieci giorni e
dieci ore, a datare dal giovedì tre del mese di haziràn dell'anno 1594 di
Alessandro figlio di Filippo il Greco. Io applicherò tutte le pattuizioni ivi
enunciate, una per una, e mi impegno a tener fede a ogni clausola compresa nella
detta tregua fino alla sua scadenza. Per Iddio Iddio Iddio, per il Messìa e la Croce
e la mia fede, io non arrecherò danno né molestia alcuna agli Stati del Sultano e di
suo figlio, né ai popoli tutti che essi comprendono o comprenderanno, né a quanti
da essi vengono ai paesi compresi in questa tregua, nelle persone e negli averi.
Per Iddio, per la mia fede e per Colui che adoro, io seguirò nella leale osservanza
del patto e della tregua, nella schietta amicizia, nella tutela della popolazione
musulmana e di quanti vengono e vanno dagli Stati del Sultano, la via di chi è
sincero confederato e si obbliga a evitare ogni molestia e atto ostile verso le
persone e gli averi. Mi obbligo a tener fede a tutte le pattuizioni di questa tregua
fino alla sua scadenza, sino a che il Malik al-Mansùr terrà fede al giuramento da
lui prestato su questa tregua stessa. Io non mancherò a questo mio giuramento e a
nessuna sua parte, né vi farò eccezione veruna e a nessuna sua parte, con l'intento
di violarlo. Ove vi contravvenissi o lo violassi, sarò sciolto dalla mia religione e
fede e dal Dio che adoro, e ribelle alla Chiesa; sarò tenuto a far trenta
pellegrinaggi alla nobile Gerusalemme, scalzo e a capo scoperto; dovrò liberare
mille prigionieri musulmani dalla prigionia dei Franchi, e sarò sciolto dalla
Divinità discesa nell'Umanità. Questo è il mio giuramento, di me Tal dei Tali. La
mia intenzione in tutto ciò è la stessa del sultano ai-Malik al-Mansùr e di suo
figlio al-Malik as-Salih, e di chi per mio conto giura la tregua dinanzi a loro sul
59
nobile Vangelo. Non ho altra intenzione che questa. E Iddio e il Messia son
garanti di ciò che noi qui diciamo.
__________
Ricostruzione di un trabucco
60
ALLEGATO 2
CADUTA DI ACRI
(Abu l-Fidà')75
Nel 690 (1291) il sultano al-Malik al-Ashraf marciò con le truppe
egiziane su Acri, e mandò ordine alle truppe sire di presentarsi
portando con sé le macchine d'assedio. Cosi il signore di Hamàt alMalik al-Muzaffar si mise in marcia, con suo zìo al-Malik al-Afdal e
tutto l'esercito di Hamàt, alla volta di Hisn al-Akràd, dove prendemmo
in consegna una gran catapulta a nome «la Mansurita», del carico di
cento carri. (Smontata, i suoi pezzi) furon distribuiti fra l'esercito di
Hamàt; e la parte che fu consegnata a me fu di un solo carro, giacché
allora ero «emiro di decina». La nostra marcia coi carri si svolse alla
fine dell'inverno; piogge e neve ci colsero tra Hisn al-Akràd e
Damasco, onde, per la trazione dei carri e la debolezza dei buoi che
morivano dal freddo, avemmo a sopportare gravi disagi. Per causa dei
carri, impiegammo un mese di marcia per andare da Hisn al-Akràd ad
Acri, che è normalmente un cammino di otto giorni a cavallo. Così il
Sultano ordinò del pari che da tutte le rocche si traessero le catapulte e
gli attrezzi d'assedio verso Acri, sotto cui venne a concentrarsi una
quantità mai raccolta altrove di macchine d'assedio grandi e piccole.
Le truppe musulmane giunsero sotto Acri ai primi di giumada primo
di quest'anno (primi di maggio 1291), e si accese violenta la battaglia.
I Franchi non chiusero la maggior parte delle porte, che erano anzi
spalancate, ed essi vi combattevano a difesa. Il posto di
combattimento di quei di Hamàt era secondo il loro solito all'estrema
ala destra: ci trovavamo quindi sul lido del mare, col mare sulla nostra
destra quando avevamo la fronte rivolta ad Acri; ed eravamo attaccati
da imbarcazioni protette da incastellature a volta di legno, e rivestite
di pelli di bufalo, da cui ci bersagliavano con frecce e balestre. Cosi ci
trovavamo a combattere di fronte contro la città, e sulla destra dal
mare. Mosse contro di noi una nave con su montata una catapulta che
ci colpiva, noi e le nostre tende, dalla parte del mare; e ci trovammo in
grave imbarazzo, sinché una notte non si scatenarono venti violenti,
per cui quella nave prese a sollevarsi e ricadere sballottata dalle onde:
la catapulta che vi era su si ruppe andando in pezzi, e non fu più
rimontata,
Nel corso di quest'assedio, i Franchi fecero di notte una sortita di
sorpresa sui nostri, misero in fuga gli avamposti e giunsero alle tende,
75
Vedi nota 55.
61
impigliandosi nei cordami: un cavaliere cadde nella fossa delle latrine
d'un corpo al comando di uno degli emiri, e ivi fu ucciso. Affluite le
nostre truppe in numero soverchiale, i Franchi dettero di volta e si
rifuggirono nella terra, lasciando alcuni morti ad opera delle truppe di
Hamàt. La mattina dopo, il Malik al-Muzaffar signore di Hamàt fece
attaccare un certo numero di teste di Franchi al collo dei loro cavalli
catturati dai nostri, e le presentò al sultano al-Malik al-Ashraf.
L'assedio si fece sempre più stretto fino a che Iddio non concesse agli
assediati dì espugnar la città, il venerdì diciassette giumada secondo
(17 giugno 1291). Allorché i Musulmani la presero d'assalto, una parte
della popolazione fuggi sulle navi. Nell'interno della terra c'era un
certo numero di torri fortemente munite, in cui entrarono e si
fortificarono una quantità di Franchi. I Musulmani fecero in Acri una
strage e una preda innumerevole. Quindi il Sultano costrinse alla resa
tutti quelli che avevan fatta resistenza nelle torri, che vennero giù fino
all'ultimo e furono fino all'ultimo decapitati fuori della città e ordinò
di demolire la città stessa, che fu rasa al suolo.
Una coincidenza meravigliosa fu che i Franchi si impadronirono
d'Acri togliendola a Saladino sul mezzogiorno del venerdì diciassette
giumada secondo del 587, e catturarono e poi uccisero tutti i
Musulmani che vi trovarono; e Iddio nella Sua prescienza destinò che
essa fosse riconquistata quest'anno, il venerdì diciassette giumada
secondo, per mano dì un altro Saladino, il sultano al-Malik al-Ashraf.
Conquistata che fu Acri, Iddio gettò lo sgomento nel cuore dei Franchi
rimasti sul litorale di Siria: essi sgombrarono quindi Sidone e Beirut,
che prese in consegna (l'emiro) ash-Shugia'i alla fine di ragiab (fine
luglio). Cosi anche la popolazione di Tiro scappò via, e il Sultano
mandò a occuparla; poi ricevè la resa di 'Athlìth il primo di sha'bàn
(30 luglio), poi quella di Tortosa il cinque dello stesso mese, sempre
nel medesimo anno. Questo Sultano ebbe così la buona sorte che
nessun altro aveva avuto, di conquistare senza fatica e senza colpo
ferire queste grandi e salde terre, che per suo ordine furono sino
all'ultima diroccate.
Con queste conquiste, tutte le terre del Litorale tornarono
integralmente in possesso dell'Islàm, un risultato che non si osava
sperare e desiderare. Cosi tutta la Siria e le zone costiere furono
purificate dei Franchi, dopo che essi erano stati sul punto di
conquistare l'Egitto, e di insignorirsi di Damasco e altre terre. Sia lode
a Dio!
________
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BIBLIOGRAFIA
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Bompiani, 2001.
 Jonathan Phillips, “Sacri guerrieri - La straordinaria storia delle
crociate”, Laterza, 2013.
 “Cronaca del Templare di Tiro (1243-1314)”, a cura di Laura
Minervini, Liguori Editore, 2005.
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Newton & Compton Editori, 2003.
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chevaliers du temple de Jèrusalem”, Paris, 1789.
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 “Chronique d’Ernoul et de Bertrand le Trèsorier”, a cura di M. L. De
Mas Latrie, Paris, 1871.
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Editori.
 Jean Richard, “La grande storia delle crociate”, Newton & Compton
Editori.
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Filippo Grammauta. Laureato in Ingegneria Civile
con lode, vive e lavora a Roma. Per la rivista
internazionale Grand Tour ha pubblicato diversi editoriali
sui “Percorsi Giubilari in Sicilia”, “Il Porto di Palermo”,
“Le cave di Cusa”, ecc.. Cultore della Storia antica e
moderna, ha pubblicato diversi articoli sui Templari, tra i
quali: “La verità dei Templari”, “Il privilegio pontificio
OMNE DATUM OPTIMUM”, “La pergamena di Chinon”,
“L’ARRESTO DEI TEMPLARI: I martiri di una Giustizia
soffocata da vili interessi economici”, “PASTORALIS PRAEMINENTIAE: La
bolla pontificia che segnò l’inizio della fine dei Templari”, “La bolla pontificia
VOX IN EXCELSO”, “Il destino degli ultimi Templari” e “La lettera di Hugo
Peccator”. Recentemente ha pubblicato il libro dal titolo: “IL TEMPIO DI
GERUSALEMME: Mille anni di storia del popolo ebraico”, presentato al XXVIII
Salone Internazionale del Libro di Torino. Ha tenuto molte conferenze ed ha
partecipato a diversi convegni sui Templari. È socio fondatore e Segretario
Generale dell’Accademia Templare-Templar Academy di Roma, Associazione di
Promozione Sociale che si propone di approfondire e diffondere la conoscenza
delle varie discipline della cultura.
Filippo Tarantino. Nato e cresciuto a Palermo, si è
specializzato in sistemi radiotecnici e radiotelevisivi, ha
maturato diverse esperienze lavorative all’interno
dell’ENEL quale tecnico specialista nella gestione
immobiliare. Da sempre sensibile alle tematiche sociali, tra
il 2000 ed il 2007 ha scritto diversi articoli per i periodici
palermitani “Arenella News” e “Luce del Faro”,
organizzando anche il convegno “MONTE PELLEGRINO:
La sua costa e il mare”. Fondatore e socio
dell’associazione “Pro Arenella”, nonché cofondatore e Presidente
dell’Associazione ONLUS “Antonio Caponnetto”, ha organizzato e coordinato,
nel quartiere palermitano dell’Arenella, definito “difficile”, attività culturali e
ludiche a favore della comunità locale. Da alcuni anni si dedica, con apprezzabile
entusiasmo ed impegno, allo studio della storia del medioevo.
ACCADEMIA TEMPLARE – TEMPLAR ACADEMY
Associazione di Promozione Sociale
Viale Regina Margherita, n° 140, 00198 Roma
C.F.: 97656900582 –Tel. 06/88 48 530; Cell. 346/850 22 30
www.accademiatemplare.it ; E-mail: [email protected]
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