la battaglia di acri - Gran Priorato d`Italia OSMTH
Transcript
la battaglia di acri - Gran Priorato d`Italia OSMTH
Soluzioni IT ACCADEMIA TEMPLARE - TEMPLAR ACADEMY Quaderni 2014 LA BATTAGLIA DI ACRI LA FINE DEI REGNI LATINI Filippo Grammauta - Filippo Tarantino QUADERNO N° 16/2014 AVVERTENZA Gli Autori si assumono ogni responsabilità in ordine alla paternità del contenuto ed alle valutazioni riportate nel presente Quaderno. La presente copia non è commercializzabile. Essa è distribuita in formato digitale ed a titolo gratuito tra i soci ed i simpatizzanti dell’Accademia Templare-Templar Academy 2 LA BATTAGLIA DI ACRI LA FINE DEI REGNI LATINI Filippo Grammauta - Filippo Tarantino CAPITOLO I LE CONDIZIONI DEL REGNO PRIMA DELLA FINE I.1 - Luigi IX e la riorganizzazione del regno di Gerusalemme Luigi IX, re di Francia, pur avendo meticolosamente organizzato per lungo tempo la sua crociata1, sbarcato a metà del 1249 in Egitto ed occupata Damietta, dopo una serie di labili successi militari, l’8 febbraio 1250 subì una disastrosa sconfitta nella battaglia per la conquista della città di al-Mansurah, nella quale perse la vita anche il fratello Roberto d’Artois; il maestro del Tempio, Guglielmo di Sonnac2, 1 2 Luigi IX, nell’organizzare la sua crociata, stipulò accordi con Ugo I, re di Cipro, per la fornitura di provviste di vario genere, noleggiò navi genovesi e marsigliesi e preventivò il costo dell’intera campagna: oltre un milione di lire, a fronte di un bilancio annuale del regno di Francia pari a circa 250.000 lire. Fu pertanto necessario imporre nuove e più pesanti tributi, ai quali non sfuggirono le autorità locali ed il clero. Partirono al seguito del re la moglie Margherita di Provenza ed i fratelli Roberto d’Artois, Carlo d’Angiò ed Alfonso di Poitiers. Il conte di Champagne non partecipò direttamente alla crociata, ma inviò un contingente al comando del suo siniscalco, Giovanni di Joinville, che ci lascerà una interessante cronaca su tutte le vicende connesse con la crociata di Luigi IX. Esponente di una numerosa famiglia di Rouergue, dopo avere ricoperto importanti incarichi in Aquitania e nel Poitou, nell’autunno del 1247 arrivò in Terrasanta dove, alla morte di Guglielmo di Rochefort, fu eletto maestro del Tempio. 3 fu gravemente ferito alla testa e, pur riuscendo a tornare al campo cristiano, dopo tre giorni morì. Nei due mesi successivi i Mamelucchi3, guidati dal sultano Turanshah4, contrattaccarono, occuparono il campo crociato facendo migliaia di prigionieri e l’8 aprile 1250 catturarono anche il re di Francia e i suoi due fratelli, Carlo d’Angiò ed Alfonso di Poitiers. Turanshah, per liberare tutti i prigionieri, chiese un riscatto complessivo di 500.000 lire, poi ridotto a 400.000 lire. La battaglia di al-Mansurah – Miniatura medievale Fu pagata una prima rata di 200.000 lire ed il 5 maggio 1250 il re e parte dei prigionieri poterono ritornare a Damietta, ancora saldamente in mano ai crociati, guidati durante l’assenza del re dalla moglie 3 4 Soldati reclutati tra gli schiavi di origine turca e circassa, addestrati alle armi e inseriti negli eserciti musulmani. Il primo ad utilizzarli fu il califfo alMu’tasim, ma successivamente l’esempio fu seguito da tutte le dinastie nate dalla dissoluzione del califfato, fino agli ottomani. Il ricorso a soldati di origine servile non musulmani serviva ad eludere il dettato coranico che impediva ai musulmani di combattere contro altri musulmani. Turanshah, figlio del sultano egiziano al-Salih Ayyub, fu a sua volta sultano dell’Egitto a partire dal 1249. Nel 1250, per avere pubblicamente umiliato i Mamelucchi, fu barbaramente ucciso da Baybars. 4 Margherita di Provenza5. Essendo però insufficiente la somma che l’armata francese poteva mettere insieme per pagare il resto del riscatto, fu chiesto un prestito ai Templari; ma il tesoriere si rifiutò di concederlo in assenza dell’autorizzazione del maestro generale: così infatti imponeva la Regola. Il problema fu risolto con uno stratagemma suggerito da Rinaldo di Vichiers6, maresciallo del Tempio, il quale propose al re di prendersi direttamente quanto gli occorreva – con una simulata azione di forza - dai forzieri custoditi nelle galee templari. Così fu fatto: la Regola fu salva ed il tesoriere del Tempio, Stefano di Otricourt, non ebbe alcuna responsabilità nella concessione del prestito. Luigi IX lascia Damietta 5 6 Durante la prigionia del re, Margherita partorì a Damietta Giovanni Tristano, sesto figlio della coppia reale. Rinaldo di Vichiers, già gran maresciallo dell’Ordine, e prima ancora precettore di Francia, dopo il ritorno nella Siria franca dei Templari scampati all’eccidio di al-Mansurah, fu eletto maestro generale dell’Ordine. Fu tra coloro che convinsero Luigi IX a prolungare la sua permanenza in Terrasanta. Poco dopo la sua elezione apprese la notizia della morte dell’imperatore Federico II e che il suo testamento ordinava la restituzione dei beni tolti ai Templari. Morì nel 1256. 5 Luigi IX, resosi conto che la campagna per la conquista dell’Egitto era fallita, l’8 maggio 1250 salpò con il suo seguito alla volta di Acri, dove arrivò il 13 maggio, festosamente accolto dalla popolazione e dalle autorità locali, che avevano apprezzato molto la sua rinuncia al rientro immediato in Francia. La sua forza militare, tuttavia, si era ridotta a qualche centinaio di cavalieri, senza contare che quelle cipriote e quelle franco-siriane erano state annientate ad al-Mansurah o imprigionate in Egitto, e che gli effettivi dei Templari e degli Ospitalieri erano stati più che dimezzati. Dopo qualche settimana dal loro arrivo ad Acri, molti baroni francesi, con in testa i fratelli del re, Carlo d’Angiò e Alfonso di Poitiers, decisero di fare ritorno in patria. Luigi IX, ritenendo con sincero ardore religioso di essere stato investito da Dio della missione di salvaguardare la Terrasanta, vi rimase per quattro anni7, durante i quali cercò di organizzare sotto forma di Stato quel che rimaneva dei possedimenti cristiani nel Vicino Oriente. Utilizzando il denaro inviato dalla chiesa francese, Luigi IX fece assoldare mercenari e riuscì a fare liberare i numerosi crociati catturati durante la disastrosa campagna d’Egitto e che, ancora prigionieri dei Mamelucchi, erano sopravvissuti alla sanguinaria violenza dei loro carcerieri. Inoltre, si fece carico del pagamento delle spese per il mantenimento dei cavalieri al seguito di Giovanni di Joinville e creò – ponendo l’onere finanziario a carico della corona – un reggimento stabile di soldati franchi destinato alla difesa permanente della Terrasanta. In previsione di futuri attacchi dei musulmani, che premevano sia dall’Egitto (in mano ai sultani mamelucchi) che dalla Siria (in mano ai sultani ayyubiti8 discendenti di Saladino), avviò un programma di 7 8 Al suo fianco rimase il fidato Giovanni di Joinville, che fu nominato siniscalco del regno di Gerusalemme. Dinastia musulmana che dominò l'Egitto, la Siria, la Mesopotamia e l'Arabia meridionale dalla seconda metà del XII secolo, sino alla metà circa del XIII. Suo fondatore è stato il curdo Salāh ad-dīn Yūsuf ibn Ayyūb (Saladino), che da modeste origini giunse a sostituirsi ai califfi fatimidi d'Egitto (1177) e, distrutto il regno crociato di Gerusalemme, a fondere i suoi possedimenti siro-egiziani in uno stato unitario. Questa unità si spezzò alla sua morte (1193), per ricostituirsi di fatto dopo qualche anno sotto il fratello al-῾Ādil (1199-1218) e il figlio di questo al-Malik al-Kāmil (1218-1235), anch'essi fortunati avversari dei crociati. Con la morte di al Malik al-Kāmil, lo stato 6 rafforzamento delle difese del regno: fece fortificare il quartiere Montmusar di Acri, considerata la capitale del regno di Gerusalemme, e fece rafforzare i presidi difensivi di Haifa, Cesarea, Giaffa e Sidone. Luigi IX si comportava come se fosse il vero sovrano del regno, e come tale veniva considerato, anche se ufficialmente il titolo spettava prima a Federico II e, dopo la sua morte, al figlio Corrado. Le truppe imperiali, infatti, per quanto numericamente limitate, continuavano a rimanere insediate ad Acri. Margherita di Provenza tutelata da un Templare (Gustave Dorè) Luigi IX, per superare le continue rivalità tra i baroni locali, che da anni non perdevano occasione per creare uno stato di costante anarchia, con l’esempio della sua semplicità e del sacrificio personale, si adoperò per ristabilire nel regno il senso dello Stato e della disciplina. E così, quando apprese che i Templari, senza informarlo, avevano concluso dei trattati con il sultano di Siria (con ciò ostacolando la sua politica di mediazione tra i sultani ayyubiti di Damasco e quelli mamelucchi d’Egitto), inflisse loro, davanti a tutto l’esercito, una punizione umiliante. Costrinse infatti il maestro generale Rinaldo di Vichiers e i dignitari del Tempio a presentarsi al suo cospetto a piedi nudi e con ayyubita d'Egitto entrò in una forte crisi, risoltasi solo nel 1250 con la fine della dinastia e l'avvento dei sultani mamelucchi. (Treccani) 7 atteggiamento di penitenti, e qui chiedere perdono per avere disubbidito ai suoi ordini. Nonostante ciò, la stima per i Templari non venne meno. Infatti, a dimostrazione dell’ammirazione che Luigi IX aveva per questi valorosi combattenti, volle che la moglie Margherita di Provenza partorisse il figlio che portava in grembo9 nella loro casa di Chateau Pèlerin10 e sotto la loro protezione. Luigi IX riceve gli omaggi degli emissari inviati dal Vecchio della Montagna Luigi IX, nell’intento di assicurare un futuro sereno alla Terrasanta, strinse anche una sincera amicizia con il Gran Maestro della setta degli Assassini, che all’inizio – invece – per intimidirlo aveva tentato di farlo assassinare, e - con notevole lungimiranza politica - inviò il francescano Guglielmo di Rubruck11 presso i Mongoli, che avevano già 9 10 11 Si tratta di Pietro, settimo figlio della coppia reale, nato il 29 giugno 1251, che, con il nome di Pietro I d’Alençon, sarà conte del Perche e d’Alençon dal 1268 al 1283 e conte di conte di Bois, di Chartres e signore di Guise dal 1272 al 1283, anno della sua morte. La fortezza di Château Pèlerin, conosciuta anche come Castello di Athlit o Castello di Pellegrino, sorgeva a circa tredici chilometri a sud di Haifa. Costruita dai Templari a partire dal 1218, durante la quinta crociata, poteva ospitare fino a 4.000 soldati. È stata conquistata dai Mamelucchi nel mese di agosto 1291, poco dopo la caduta di Acri. Guglielmo di Rubruck (1220-1293), monaco fiammingo appartenente all’Ordine dei Frati Minori, nel 1253 si recò in missione diplomatica prima dal principe mongolo Satarq, di cui si diceva che avesse abbracciato la 8 conquistato i territori orientali del califfato di Bagdad, per sapere quali fossero le loro intenzioni in ordine all’eventuale invasione della SiriaPalestina e se era possibile stipulare un’alleanza contro il comune nemico musulmano. La risposta fu deludente ma l’iniziativa diplomatica messa in atto dal sovrano francese aprì le porte a futuri dialoghi e alleanze che, purtroppo, ebbero solo l’effetto di prolungare l’agonia del regno di Gerusalemme. Ritorno in Terrasanta degli emissari inviati presso i Mongoli Luigi IX, dopo avere egregiamente assolto ai compiti che si era imposti, lascio la Terrasanta per tornare in Francia. Il 24 aprile 1254 si imbarcò ad Acri, seguito dal fidato Giovanni di Joinville, avendo lasciato sul posto duecento cavalieri e cento sergenti al comando di Goffredo di Sargines12, da lui stesso nominato siniscalco del regno di 12 religione cristiana, poi dal padre di quest’ultimo, Batu Khan (nipote di Ĉingiss Qan), e infine dal Gran Qan Möngke, che raggiunse nel suo accampamento il 27 dicembre 1253. Guglielmo rientrò ad Antiochia il 29 giugno 1255, quando già Luigi IX era partito da oltre un anno, recando una lettera di Möngke, indirizzata al re di Francia, con la quale l’imperatore gli intimava di sottomettersi alla sua autorità. Rubruck ci ha lasciato un dettagliato resoconto del suo viaggio. Il connestabile, il maresciallo, il siniscalco, il ciambellano (noti come Grandi Uffici), il maggiordomo e il cancelliere appartenevano al corpo dei cosiddetti Ufficiali del regno di Gerusalemme. Di tale gruppo, ma in posizione subalterna, facevano parte i balivi, i visconti ed i castellani. 9 Gerusalemme. La carica di balivo fu invece affidata a Giovanni d’Ibelin, conte di Giaffa e di Ascalona. I.2 - L’arrivo dei mongoli Dopo la partenza di Luigi IX, Goffredo di Sargines e Giovanni d’Ibelin, seguendo l’esempio del re francese, amministrarono con saggezza il regno di Gerusalemme e, pur tra molte opposizioni interne, riuscirono a negoziare una tregua decennale con il sultanato di Siria e con quello dell’Egitto. Questi ultimi, infatti, erano stati riconciliati dal califfo di Bagdad, al-Musta’sim (1231-1258), preoccupato per l’imminente invasione dei Mongoli, che già al comando di Hülägü Khan13 avevano conquistato la Persia. La politica di Goffredo di Sargines e di Giovanni d’Ibelin fu però fortemente ostacolata dalle rivalità che nel regno contrapponevano la comunità dei Genovesi e quella dei Veneziani, il cui unico obiettivo era il controllo monopolistico dei mercati levantini; tale contrapposizione presto si tramutò in una vera e propria guerra civile. Tutto cominciò con la cosiddetta “guerra di San Saba”, scoppiata ad Acri nel 1256, formalmente per il possesso della omonima chiesa, posta al confine tra i quartieri dei Genovesi e quello dei Veneziani ed utilizzata da entrambe le comunità per le loro funzioni religiose. La guerra si estese a tutto il regno e vide contrapposte le potenze marinare di Genova (che poteva contare sull’appoggio degli Ospitalieri, dei mercanti catalani e di Filippo di Monfort, signore di Tiro) e di Venezia (al cui fianco si schierarono i Templari, i Teutonici, i Pisani, i mercanti provenzali, la potente famiglia degli Ibelin e Boemondo VI, principe di Antiochia e signore di Tripoli). Innocenzo VI tentò di fermare la lotta fratricida inviando in Terrasanta, come legato pontificio e mediatore, il domenicano Tommaso Agni da Lentini, ma l’iniziativa non ebbe successo. Ormai la guerra civile dilagava e si concluse nel 1258 con la momentanea vittoria dei Veneziani. I Genovesi, che durante la guerra avevano 13 Goffredo di Sargines è stato maresciallo del regno fino al 1254 e siniscalco dal 1254 al 1267. Hülägü Khan (1217-1265), figlio di Tolui e fratello di Arik Bek Khan, Möngke e Qubilay Qan (tutti figli di Činggis Qan), fu un eccellente condottiero mongolo, conquistò gran parte dell’Asia sud-occidentale e fondò l’Il-Khanato di Persia, diventandone nel 1256 il primo Khan. 10 tentato di fare ricorso all’aiuto dei Mamelucchi di Baybars, dovettero abbandonare la città di Acri e si insediarono con le loro navi a Tiro, da dove iniziarono una guerra di corsa contro gli interessi dei Veneziani. Guerra di San Saba – I Veneziani imbarcano ad Acri i beni sottratti ai Genovesi (Francesco Montemezzana – Venezia 1540-1620) Le lotte interne, purtroppo, indebolirono l’azione unificante di Goffredo di Sargines e di Giovanni d’Ibelin; esse, infatti, favorirono la ripresa delle rivalità tra i Templari e gli Ospitalieri ed impedirono la corretta valutazione dei nuovi scenari politici che si prospettavano in conseguenza dell’avanzata dei Mongoli. Möngke, nipote di Činggis Qan, venne eletto alla carica di Qan nel 1252, in occasione di un’assemblea imperiale (quriltay) e dopo poco tempo affidò al fratello minore Hülägü Khan l’incarico di estendere i domini mongoli ad occidente, con l’obiettivo primario di distruggere le 11 fortezze degli Ismailiti14, di piegare il califfato di Bagdad e di sottomettere i territori musulmani siro-egiziani. Hülägü Khan, a capo di un poderoso esercito si mosse verso occidente nel 1253; successivamente venne raggiunto dalle mogli Doquz khatun (di religione cristiano-nestoriana) e Uljài khatun, nonché dai figli Abaqa e Yasmut. L’avanguardia, guidata dal generale Ketboga, era già partita il 24 agosto 1252. L’assedio di Bagdad da parte dei Mongoli Dopo avere conquistato i primi territori e dimostrato l’inarrestabilità dell’avanzata mongola, Hülägü Khan mise in moto la macchina diplomatica. Fece inviare missive ai sovrani dei territori che intendeva occupare, con le quali, sotto la minaccia di pesanti ritorsioni, li invitava a sottomettersi alla sua autorità. La prima importante vittima di tale strategia fu il Gran Maestro degli Assassini, Rukn ad-Din Khur Sah, il quale, sebbene fosse ormai circondato dalle orde mongole, nel 1257 chiese un anno di tempo per arrendersi. Ma l’anno successivo fu catturato e l’impero degli Ismailiti fu smantellato. Poi fu la volta del califfato abbaside di Bagdad, da tempo in costante decadenza e territorialmente ridotto alla sola regione dell’odierno Iraq. Il califfo al-Musta’sim respinse la richiesta di sottomissione inviatagli da Hülägü Khan e ciò provocò l’ira del 14 Comunità di islamici eretici controllata dall’Ordine degli Assassini, guidato in quel periodo dal Gran Maestro Alà ad-Din Muhammad II. 12 condottiero mongolo, che il 10 febbraio 1258, dopo un lungo e difficile assedio, conquistò Bagdad. Si calcola che i morti siano stati più di 800.000; il califfo fu avvolto in un tappeto e ucciso a calci e calpestato dagli zoccoli dei cavalli. Finiva così, dopo circa cinque secoli, un’istituzione nata pochi anni dopo la morte del profeta Maometto. Grazie ai buoni uffici di Doquz khatun, tutti i cristiani di Bagdad furono risparmiati, al patriarca nestoriano Makika fu concesso di insediarsi in una residenza amministrativa confiscata al califfo e in tutti i territori conquistati da Hülägü Khan furono costruite chiese. La benevolenza di Hülägü Khan e del fratello Qubilay era dovuta, oltre che a motivi politici, anche al fatto che la madre di entrambi, Siurkukitibeighi, apparteneva al popolo dei Karaiti, che intorno all’anno mille si era convertito alla fede cristiano-nestoriana. Nel mese di settembre 1259 l’esercito mongolo, forte di 120.000 uomini, riprese l’avanzata verso la Siria musulmana. Subito si sottomisero Aitone I15, re della Piccola Armenia (Cilicia) e suo genero, Boemondo VI, principe di Antiochia e conte di Tripoli, che per questa sua azione verrà successivamente scomunicato. Nel mese di maggio 1260, con l’aiuto degli alleati armeni, antiocheni e georgiani, i Mongoli presero Aleppo. L’emiro al-Nasir Yusuf16, temendo per la propria vita, abbandonò Damasco, lasciandola indifesa, e si diresse verso l’Egitto, ma avendogli il sultano negato asilo, dovette fermarsi a Gaza, dove venne catturato e inviato prigioniero al campo di Hülägü Khan. Cessava così il dominio della dinastia degli Ayyubiti, che aveva avuto come capostipite Saladino. Dopo la fuga del sultano, il generale Ketboga il 1° marzo 1260 entrò trionfalmente a Damasco, accompagnato da Atone I, re della Piccola Armenia, e da Boemondo VI, Principe di Antiochia e conte di Tripoli. 15 16 Aitone, detto anche Hethum, alla morte di Leone I scalzò dal potere la dinastia dei Rupenidi, artefici della costituzione del regno della Piccola Armenia, attraverso il matrimonio con Isabella, figlia di Leone I. Nel 1226, infatti, Costantino di Barbaron, cugino di Leone I e padre di Aitone, dopo che l’anno precedente le aveva fatto avvelenare il primo marito (Filippo di Antiochia), costrinse Isabella a sposare Aitone, che così divenne prima coreggente e dopo, alla morte della moglie, re della Piccola Armenia, dando così origine alla dinastia degli Hethumiti. Al-Nasir Yusuf, pronipote di Saladino ed ultimo sovrano ayyubita, governava su gran parte dei territori siriani, comprese le importanti città di Aleppo e Damasco. 13 Intanto in Egitto, dopo l’uccisione del sultano Turanshah (1250) ad opera di Baybars, alla guida del sultanato ascese il figlio di Turanshah, al-Asharaf II (1250-1254); alla morte di quest’ultimo, la moglie, la sultana Shjar al-Dure, sposò il mamelucco ‘Izz al-Din Aybek, che divenne così il primo sultano mamelucco del Cairo, occupando il trono che già era stato di Saladino. Il cadavere di ‘Izz al-Din Aybek ai piedi della sultana Shjar al-Dure (Gustave Dorè) Ma quando nel mese di febbraio 1257 Shjar al-Dure seppe che il marito aveva chiesto come seconda moglie principale la figlia di Badr ad-Din Lu’Lu, emiro di al-Mousil, presa dalla gelosia lo fece assassinare dai suoi schiavi; in tale occasione il comportamento di Shjar al-Dure fu così crudele e violento da provocare l’indignazione generale e, dopo alcuni giorni, anche lei fu trucidata a colpi di zoccoli dalle concubine del marito e lasciata in pasto ai cani. Nella confusione del momento fu nominato sultano d’Egitto il figlio quindicenne di ‘Izz al-Din Aybek, al-Mansur Alì, che così divenne il secondo sultano mamelucco dell’Egitto. Ma il vero potere era nelle mani del mamelucco Qutuz, che il sultano ‘Izz al-Din Aybek nel 1253, apprezzando le sue doti amministrative, aveva nominato suo vice. Quando ‘Izz al-Din Aybek 14 venne assassinato (1257), Qutuz mantenne la carica di vice sultano ed in tale carica esercitò le funzioni di tutore di al-Mansur Alì. Dinanzi al pericolo rappresentato dai Mongoli, Qutuz raggiunse un accordo politico con la fazione avversa dei Mamelucchi Bahri17 e con l’aiuto di Baybars spostò l’esercito in Siria per tentare in quei territori di sbarrare la strada ai Mongoli diretti in Egitto18. Nel mese di agosto 1259 Möngke Qan morì. Appresa la notizia, Hülägü Khan, accompagnato dal grosso dell’esercito, ritornò ad est per partecipare all’assemblea imperiale che avrebbe eletto il nuovo Qan 19. Tuttavia, per preservare le sue conquiste siriane, vi lasciò un contingente armato di circa 20.000 uomini al comando del valido generale Ketboga, il quale, dopo avere soffocato un tentativo di rivolta a Damasco, si spostò nella valle del Giordano per invadere i possedimenti musulmani. I baroni cristiani, con poca lungimiranza politica, non solo consentirono all’esercito mamelucco, diretto a nord per affrontare l’esercito di Ketboga, di attraversare i loro territori, ma gli diedero anche dei rifornimenti. Lo scontro tra i Mamelucchi ed i Mongoli avvenne il 3 settembre 1260 in Galilea, ad Ain Jalud (Sorgenti di Golia). L’esercito mongolo, attirato in una trappola e successivamente sospinto verso zone acquitrinose, fu decimato. Ketboga si batté valorosamente, finchè non 17 18 19 Comunità mamelucca formata da elementi turchi Kipchak, originari delle steppe euro-asiatiche meridionali. Essi erano acquartierati prevalentemente sull’isola di Roda, sul Nilo, e derivarono il nome dalla parola araba bahr, che significa “fiume”, ma anche “mare”. Nel 1260 l’Egitto era stato minacciato da un attacco mongolo in seguito al rifiuto, da parte di Qutuz, della resa incondizionata pretesa da Hülägü Khan e dall’uccisione degli ambasciatori inviati da quest’ultimo presso la corte musulmana. Nonostante l’opposizione della maggior parte degli emiri, Qutuz, appoggiato da Baybars, decise di prevenire l’attacco, spostando l’esercito in Siria. L’assemblea elesse Qubilay Qan (1215-1294). Qubilay è stato il quinto Qan nonché fondatore del primo Impero cinese della Dinastia Yuan. Figlio secondogenito di Tolui, quindi nipote di Činggis Qan e successore del fratello Möngke, in quanto Gran Qan dei mongoli, Qubilay è anche noto come l'ultimo dei Gran Qan. In Europa Qubilay Qan era noto sin dal Medioevo, in quanto Marco Polo visitò il Catai durante il suo regno, divenendo presto un suo favorito e servendo alla sua corte per oltre diciassette anni, secondo quanto racconta lui stesso nel “Milione”. 15 fu catturato. Portato al cospetto di Qutuz ebbe con questi una violenta lite ed il capo mamelucco lo fece decapitare all’istante. Un luogotenente di Ketboga recuperò i superstiti dell’esercito mongolo e con essi riparò in Anatolia. I territori siriani che i Mongoli avevano conquistato furono inglobati nel sultanato mamelucco d’Egitto. Baybars uccide il sultano Qutuz La vittoria conseguita ad Ain Jalud dimostrò che le orde mongole non erano invincibili e segnò l’arresto dell’espansione mongola nel Vicino Oriente. L’imprevedibile vittoria mamelucca fu però di cattivo presagio per la sorte degli Stati latini. Ritornato in Egitto, Qutuz, con l’appoggio di Baybars, mise in atto un piano che accarezzava da tempo: fece uccidere al-Mansur Alì e si proclamò nuovo sultano del Cairo. Ma nonostante fosse consapevole dell’inaffidabilità e della crudeltà di Baybars, affidò all’ex schiavo importanti incarichi che ne accrebbero il potere. Questi ne approfittò e, forte del prestigio militare ottenuto per avere contribuito alla vittoria di Ain Jalud e presentandosi come il difensore dell’Islam, alla prima occasione propizia sgozzò con le proprie mani Qutuz; appresa la notizia della morte del sultano, i capi mamelucchi acclamarono Baybars nuovo sultano d’Egitto. 16 CAPITOLO II L’INIZIO DELLA FINE II.1 – Le conquiste di Baybars Le notizie sulle origini di Baybars ci vengono fornite dal suo biografo, Ibn Abd al-Zahir20, secondo il quale il nostro personaggio, di etnia turco-kypchak, nacque nel secondo decennio del XIII secolo nella zona meridionale della steppa russa e all’età di circa quattordici anni fu fatto prigioniero e ridotto in schiavitù in Crimea, dove la sua tribù si era trasferita sotto l’incalzare delle prime invasioni mongole. Di pelle scura, occhi azzurri (un difetto all’iride ne abbassò il prezzo quando fu venduto come schiavo nel mercato di Aleppo) e di possente forza fisica, il giovane Baybars21 fu acquistato dal principe ayyubide Aydakin alBunduqdari; successivamente divenne schiavo del sultano al-Salih Ayyub, figlio del sultano al-Malik al-Kamil. Baybars 20 21 Ibn Abd al-Zahir (Cairo, 1233-1293) fu segretario dei sultani Baybars e Qalawun, redattore di atti ufficiali della loro cancelleria e infine loro biografo. Detto anche Baybars al-Bunduqdar per avere mutuato il nisba (cioè l’indicazione genealogica di appartenenza) dal suo padrone, il principe Aydakin al-Bunduqdari. 17 Dopo la morte di al-Salih Ayyub (1249) Baybars passò alla corte ayyubide egiziana, dove fu aggregato al prestigioso contingente mamelucco acquartierato nell’isola Roda (in arabo: Bahr), sul Nilo, il cui nome diede l’eponimo al gruppo dei Mamelucchi Bahri. Avendo acquisito prestigio presso i suoi commilitoni per il coraggio dimostrato nella battaglia di al-Mansurah e nella lotta contro gli invasori crociati guidati da Luigi IX, ed essendosi distinto per la sua audacia22, presto assunse il comando del forte contingente mamelucco bahri. Quando fu acclamato quarto sultano mamelucco d’Egitto, Baybars non aveva ancora raggiunto i quarant’anni di età e la sua volontà di riscatto personale e la sete di potere erano pari solo alla tua ferocia. L’obiettivo principale della sua lotta era però la cacciata totale dei Franchi da tutti i territori del Vicino Oriente. Dopo avere consolidato il suo potere politico e religioso 23 e riunito sotto il suo comando i due sultanati d’Egitto e di Siria, immemore dell’aiuto fornito dai baroni cristiani che permise ai Mamelucchi di sconfiggere i Mongoli ad Ain Jalud (1260), Baybars prese di mira le fertili pianure costiere della Terrasanta (le uniche che fornivano ai cristiani i mezzi di sostentamento), nonché le roccaforti ed i castelli dell’entroterra. Prese così avvio l’assedio di Antiochia (1262) come prima fase di una più vasta campagna che prevedeva la conquista del principato di Antiochia e del regno della Piccola Armenia (Cilicia). Baybars, infatti, aveva un conto da saldare con Boemondo VI, principe di Antiochia, e con suo suocero, Aitone I, re cristiano d’Armenia, entrambi rei di essersi sottomessi ai Mongoli e di avere fornito loro contingenti armati in occasione della campagna militare egiziana che si concluse con la battaglia di Ain Jalud. Ma Aitone I chiese l’aiuto militare degli alleati mongoli e Baybars, per evitare pericoli maggiori, preferì momentaneamente accantonare il suo progetto e rivolgere altrove le sue mire di conquista. Così, nel 1263, attaccò Nazareth e distrusse la chiesa della Vergine; poi, nello stesso anno, con la scusa di uno scambio di prigionieri tra cristiani e 22 23 Baybars, alla guida di un contingente di Mamelucchi corasmi, aveva sbaragliato i Franchi nella battaglia di al-Harbiyya, detta anche battaglia di La Forbie o battaglia di Gaza, avvenuta il 17 ottobre 1247. Per legittimare la sua posizione, nel 1262 nominò un nuovo califfo, la massima autorità religiosa dell’Islam, nella persona di Ahmed, presunto parente dell’ultimo califfo di Bagdad, che si affrettò subito a legittimare la posizione di Baybars come supremo difensore dell’Islam. 18 musulmani, arrivò alle porte di Acri. Ma gli Ordini militari si opposero allo scambio e Baybars, adirato, lasciò la zona di Acri dopo avere distrutto coltivazioni agricole e casali cristiani che ricadevano nel circondario e nella zona del Monte Carmelo. Il 1266 fu un anno terribile per i regni latini. Infatti, approntati due eserciti (uno guidato dallo stesso Baybars e l’altro dal suo fidato emiro Qalawun) i Mamelucchi attaccarono i territori dei Franchi da tutti i lati. L’esercito guidato da Baybars il 7 marzo conquistò Cesarea di Siria e la distrusse; subito dopo attaccò il castello ospitaliere di Arsuf24, che dopo un mese e mezzo di assedio si arrese e, stando al racconto che ne fa il Templare di Tiro, “dentro furono presi cavalieri, religiosi e laici e sergenti d’armi mille e più”. Ruderi dell’antica fortezza templare di Safed Poi caddero in rapida successione Haifa ed il borgo di Athlit, posto nelle vicinanze della fortezza templare di Château-Pèlerin. Nel mese di giugno Baybars occupò anche la pianura di Acri, dove rimase per otto giorni, ma resosi conto che la città era munita di solide difese ed era ancora ben presidiata, preferì lasciare il campo e si diresse verso la 24 Il Templare di Tiro, nella sua “Cronaca” riferisce che la città di Cesarea di Siria fu conquistata il 7 marzo 1265. Ma siccome in quel periodo nei territori sotto influenza francese si faceva iniziare l’anno il 25 marzo, in realtà la presa di Cesarea, secondo l’attuale calendario, deve collocarsi nel 1266. 19 fortezza templare di Safed, posta nelle vicinanze di Cafarnao, su una altura da cui si dominava tutta la Galilea e la cui vista arrivava fino ad Acri. Baybars arrivò a Safed alla fine di giugno e subito, secondo la tradizione musulmana, inviò regali ai difensori del castello per indurli ad arrendersi in cambio di un salvacondotto per Acri. Ma quelli del castello restituirono i regali lanciandoglieli con le catapulte. Il sultano, indispettito da tale gesto, fatte istallare le macchine da guerra, diede l’assalto alla fortezza. Inoltre, per portare scompiglio e sfiducia tra i difensori, fece sapere ai numerosi turcopoli siriani che assieme ai Templari difendevano la fortezza che, se volevano, potevano lasciare il castello ed avere salva la vita; ciò creò un clima di sfiducia dei Templari nei confronti dei loro aiutanti siriani ed indebolì le capacità di difesa della fortezza. Il 19 luglio i Mamelucchi occuparono il barbacane del castello ed i difensori, resisi conto che ogni ulteriore resistenza sarebbe stata vana, disperando in un improbabile aiuto esterno, inviarono nel campo avversario un loro messaggero25, con il compito di trattare la resa del castello ed ottenere un salvacondotto per i suoi occupanti. Baybars, ancora adirato con quelli del castello che gli avevano tirato contro i suoi regali, e sempre più desideroso di ucciderli tutti, mise il messo al corrente del piano scellerato26 che aveva in serbo di attuare per ucciderli tutti dopo la loro resa, ed offrì a frate Leone la facoltà di scegliere se mantenere il segreto e dare agli assediati assicurazioni sulle buone intenzioni del sultano o fare una brutta morte quando avrebbe preso il castello. Frate Leone optò per la prima proposta: ritornò al castello e convinse i suoi difensori che il sultano avrebbe consentito loro di ritornare indenni ad Acri. Il 22 luglio i difensori di Safed si arresero, ma quando si apprestarono a lasciare il castello per raggiungere Acri assieme alle loro masserizie, furono presi e portati su una collina poco distante, dove furono tutti trucidati. Frate Leone, che aveva tradito i suoi compagni, ebbe salva la vita, rinnegò la sua fede ed abbracciò quella musulmana. 25 26 Si tratta di frate Leone, sergente d’armi ed amministratore dei casali di Safed, che parlava bene l’arabo Vedi “Cronaca del Templare di Tiro”, op. cit., pag 111. 20 Conquistato il castello di Safed, nello stesso anno l’esercito guidato da Baybars completò l’occupazione della Galilea, conquistò Toron, saccheggiò i dintorni di Acri e infine prese di mira il regno d’Armenia. Baybars fa trucidare i Templari che si sono arresi a Safed Ma Aitone I era assente perché si era recato dai Mongoli, di cui era vassallo ed alleato, per chiedere aiuto, lasciando la difesa del regno ai figli Thoros e Leone; questi, però, il 24 agosto 1266 furono sconfitti nella battaglia di Mari, dove trovò la morte Thoros, mentre Leone fu catturato e fatto prigioniero. In autunno Baybars si ritirò ad Aleppo, portando con se quarantamila prigionieri ed una lunga schiera di carri pieni di bottino; lo stesso fece l’esercito mamelucco di Qalawun, che si ritirò nei territori di partenza, lasciando dei presidi armati nei territori conquistati. Il 1267 nel complesso fu abbastanza calmo. Si registrarono come fatti di rilievo solo tre successive incursioni di Baybars nei dintorni di Acri, durante le quali distrusse vigneti, frutteti e mulini di alcuni casali cristiani. Nella prima di tali incursioni, avvenuta il 2 maggio, le truppe mamelucche, per non insospettire i numerosi contadini che erano usciti 21 dalla città per coltivare i campi, quand’erano ancora distanti fecero sventolare bandiere e stendardi sottratti ai Templari ed agli Ospitaleri. Quando i contadini si accorsero dell’inganno era troppo tardi; circa cinquecento di quelli che non fecero in tempo a riparare in città furono uccisi e decapitati. Le loro teste furono inanellate, come perle di una collana, in una lunga corda che, portata a Safed, fu attorcigliata attorno ad una torre del castello come monito per i passanti. Miniatura raffigurante l’uccisione di Thoros e la cattura di Leone, figli di Aitone I, nella battaglia di Mari L’anno successivo, l’8 marzo 1268, Baybars attaccò e conquistò Giaffa, possedimento della famiglia d’Ibelin; molti abitanti furono risparmiati e fu concesso loro di riparare ad Acri, ma le reliquie dei santi furono portate fuori dalle chiese e date alle fiamme. Poi fu la volta della città di Antiochia, che il 20 maggio capitolò dopo un assedio durato poco più di un mese; oltre diciassette mila abitanti furono uccisi dentro la città ed altri centomila, tra religiosi, donne e bambini, furono fatti prigionieri. Con la caduta di Antiochia cessò di esistere, dopo 171 anni dalla sua costituzione, il principato di Antiochia. Boemondo VI, l’ultimo dei suoi principi, si rifugiò a Tripoli, 22 l’unico possedimento che ormai gli restava in Terrasanta. Nello stesso anno i Templari persero anche il castello di Beaufort. La notizia che Luigi IX stava preparando la sua seconda crociata ed il timore di un ritorno in Siria dei Mongoli preoccupò non poco Baybars, che per tutto il periodo 1269-1270 si astenne da ogni ulteriore attacco alle postazioni cristiane. Ma quando il sultano seppe che il re di Francia aveva dirottato la sua crociata a Tunisi, dove il 25 luglio vi morì di peste, e che Abaqa, succeduto al padre Hülägü Khan (morto nel 1265) era impegnato a difendere i confini del suo khanato dagli attacchi di Barak, Khan dell’Orda d’Oro, nel 1271 riprese l’offensiva contro i pochi territori ancora in mano cristiana, prendendo di mira soprattutto il contado di Tripoli ed i presidi degli Ordini militari che ricadevano nelle sue vicinanze. La regina Isabella di Navarra piange la morte di Luigi IX E così, mentre Tripoli, che pur essendo stata assediata, fu risparmiata dopo avere stipulato una tregua, il 15 febbraio Baybars riuscì a conquistare il castello templare di Chateau Blanc e l’8 aprile, dopo una estenuante difesa iniziata il 9 febbraio, cadde anche il Crak des Chevaliers, orgoglio degli Ospitalieri, che neanche Saladino era riuscito ad espugnare. I sopravvissuti del Crak poterono però lasciare indenni il castello e riparare a Tripoli, ma gli Ospitalieri persero il loro quartier generale. Il 12 giugno fu la volta del castello di Monfort, sede 23 principale dei Teutonici in Terrasanta; i suoi difensori furono risparmiati, poterono lasciare indenni il castello e il 16 luglio raggiunsero la città di Acri, scortati dai Mamelucchi. In quella occasione il principe Edoardo, futuro Edoardo I d’Inghilterra “vide l’esercito del sultano e la sua grande potenza, e comprese che non aveva abbastanza uomini per combattere il sultano, e perciò nessuno dei cristiani osò uscire con lui, e l’indomani il sultano se ne andò e si diresse a Babilonia”27. Il principe Edoardo d’Inghilterra Edoardo d’Inghilterra aveva accettato l’invito di Luigi IX a partecipare alla sua seconda crociata, ma dopo la morte del re francese, svernò in Sicilia e in primavera salpò per la Terrasanta; giunto ad Acri il 9 maggio 1271, fu accolto con grande entusiasmo ed acclamato come un salvatore. Ugo III di Cipro, che il 24 settembre 1269 aveva assunto anche la corona di Gerusalemme con il titolo di Ugo I, lasciò la sua isola e lo raggiunse ad Acri. I due, assieme a contingenti degli Ordini militari, effettuarono diverse incursioni nei territori circostanti, ma resisi conto che le forze in campo erano troppo sbilanciate a favore dei 27 Cfr. “Cronaca del Templare di Tiro”, Par. 143. 24 musulmani, Edoardo d’Inghilterra, minacciando un’alleanza con i Mongoli del khanato di Persia, il 22 aprile 1272 ottenne da Baybars una tregua di dieci anni, dieci mesi e dieci giorni. Tentato assassinio di Edoardo d’Inghilterra (Gustave Dorè) Dopo un tentativo di assassinio28, che per circa tre mesi tenne Edoardo in bilico tra la vita e la morte, nel mese di settembre 1272 il principe inglese fece ritorno in patria. Durante il viaggio apprese la notizia della morte del padre, che faceva di lui il nuovo sovrano d’Inghilterra. I cristiani d’oltremare, dopo la partenza di Edoardo, anziché organizzarsi per fare fronte al comune nemico, diedero sfogo alle antiche rivalità. Guglielmo di Beaujeu, divenuto maestro generale del 28 Il mandante del tentativo di omicidio era Baybars, che assoldò un seguace della setta degli Assassini quando seppe che il principe inglese aveva progettato di ritornare in Inghilterra per raccogliere un forte esercito e dare vita ad una nuova crociata. 25 Tempio nel 127329, per tutelare l’autonomia del suo Ordine fece di tutto per contrastare qualunque tentativo di ripristinare l’ordine nel regno messa in atto da Ugo III, il quale, fortemente deluso dal comportamento dei baroni franchi e dagli Ordini militari, improvvisamente nel mese di novembre 1276 abbandonò il regno di Gerusalemme e si ritirò nella sua Cipro, lasciando ad Acri come suo rappresentante Baliano d’Ibelin. Dopo il ritorno a Cipro, Ugo III scrisse diverse lettere al papa ed ai sovrani europei, mettendoli al corrente sullo stato di ingovernabilità in cui versava il regno di Gerusalemme. Carlo d’Angiò viene incoronato re di Napoli Baybars, soddisfatto, osservava a distanza il lento disfacimento delle istituzioni franche, i cui territori si erano ormai ridotti a poche città costiere, ed aspettando che i baroni cristiani si distruggessero a 29 Guglielmo di Beaujeu, cugino di Carlo I d’Angiò e parente del re di Francia, quando nel 1273, alla morte del precedente maestro Thomas Bérard, fu eletto maestro generale del Tempio, “era comandante in Puglia, e restò oltremare due anni, visitò tutte le sedi del Tempio nel regno di Francia e d’Inghilterra e di Spagna, e accumulò un gran tesoro, e venne ad Acri” (Cfr. “Cronaca del Templare di Tiro”, op. cit., Par. 147). Guglielmo di Beaujeu ritardò la sua partenza per la Terrasanta perché, su richiesta del papa, partecipò al II Concilio di Lione, che si svolse nel 1274. 26 vicenda, proseguì indisturbato la lotta contro i turchi selgiuchidi dell’Asia Minore ed i Mongoli del khanato di Persia, conquistando nel 1275 la città di Cesarea, in Cappadocia. La Siria-Palestina nel XIII secolo 27 Nel 1277 Baybars, assicuratosi l’appoggio di Ruggero di San Severino30, che nella qualità di reggente del regno di Gerusalemme per conto di Carlo I d’Angiò31 era arrivato ad Acri con un forte contingente armato, lanciò una ulteriore campagna militare in Anatolia contro i Mongoli di Persia. Ma dopo alcuni successi iniziali, fu sconfitto dall’esercito mongolo condotto dallo stesso Abaqa Khan, perse tutti i territori che aveva precedentemente conquistati e si ritirò a Damasco. Antica veduta di Antiochia Qui, il 20 giugno 1277, morì improvvisamente, forse avvelenato; si disse che aveva ecceduto nel bere qamiz, una bevanda in uso presso i pastori nomadi turco-mongoli, ottenuta per fermentazione del latte di cavalla misto a latte d’asina; se va a male, tale bevanda può essere letale per l’uomo. Baybars non era riuscito a realizzare il suo sogno: la conquista di quel che rimaneva degli stati crociati e la cacciata di tutti i cristiani dalla Siria-Palestina. A Baybars successe il figlio maggiore, Baraka Khan (genero dell’emiro Qalawun), che divenne così il quinto sultano mamelucco d’Egitto, assumendo il titolo di al-Malik al-Said. II.2 – Le conquiste del sultano Qalawun Con la morte di Baybars, per i Franchi non venne meno il pericolo mamelucco dal momento che, contrariamente a quanto era avvenuto in 30 31 Ruggero di San Severino appena giunse ad Acri riconobbe Carlo I d’Angiò come re di Gerusalemme e poi costrinse i nobili locali ed i capi degli Ordini militari a prestargli ubbidienza. Carlo I d’Angiò poco tempo prima aveva acquistato i diritti sulla corona di Gerusalemme da Maria di Antiochia. 28 passato, almeno sul momento, non vi fu alcuna lotta per la successione ed il nuovo sultano, al-Malik al-Said, potè continuare l’azione di lento logoramento dei territori cristiani. Ma nel 1279, dopo appena due anni dal suo insediamento, al ritorno da una incursione effettuata assieme a Qalawun nei territori armeni, alMalik al-Said con un colpo di mano fu destituito dall’emiro Qalawun ed inviato a governare la provincia transgiordana di al-Karak. Al suo posto Qalawun pose il secondo figlio di Baybars, Salamish, che così divenne il sesto sultano mamelucco d’Egitto, con il titolo di al-Malik al-Adil. Ma essendo questi ancora troppo giovane, Qalawun riservò a se la tutela del giovane sultano, detenendo così – di fatto – il vero potere, che esercitò nella qualità di atabeg32. Qalawun Tuttavia, nello stesso anno, dopo pochi mesi, Qalawun depose anche al-Malik al-Adil (che si rifuggiò ad al-Karak, dal fratello maggiore alMalik al-Said) e al suo posto nominò sultano il terzo figlio di Baybars, Khadir (che assunse il nome di al-Malik al-Masud), riservando per se il titolo onorifico di al-Malik al-Mansur, che significa “il Sovrano reso vittorioso da Dio”. L’operato di Qalawun però non fu accettato dall’emiro Sunqr alAshqar, governatore mamelucco di Damasco, che, per di più, nel 1280 32 Il titolo equivale a quello di “tutore”. Tra i Selgiuchidi tale carica con il tempo acquistò la dignità di “governatore”. 29 si autonominò sultano. Ma nello stesso anno Qalawun lo sconfisse, e tuttavia, per reciproco interesse, i due finirono per riconciliarsi. Nel 1280, alla morte di al-Malik al-Said (probabilmente fatto avvelenare dallo stesso Qalawun), anche al-Malik al-Masud fu deposto e nominato signore di al-Karak33. Di fatto, però, Salamish e Khadir erano esiliati nel castello di Karak (una volta dei crociati), che nel 1286 passerà sotto il diretto controllo di Qalawun. Con la morte di al-Malik al-Said e la messa fuori gioco degli altri due figli di Baybars, Qalawun non ebbe più ostacoli e nel 1279 divenne anche formalmente sultano d’Egitto e di Siria34. Miniatura raffigurante i Mongoli (a sinistra) inseguiti dai Mamelucchi (a destra) nella battaglia di Homs. Nel 1281, però, Qalawun dovette affrontare un’invasione di Mongoli provenienti dal khanato di Persia35, cui si erano aggiunti gli Armeni di Leone III36, loro alleati, ed alcuni baroni franchi. 33 34 35 Dopo parecchi scontri interni al sistema politico mamelucco, i due figli di Baybars rimasti in vita, Salemish (al-Malik al-Adil) e Khadir (al-Malik alMasud) verranno condotti al Cairo e successivamente inviati in esilio a Costantinopoli. È l’ottavo sultano mamelucco d’Egitto. La spedizione era guidata da Möngke Temor, fratello di Abaqa Khan, sovrano del khanato di persia. 30 Qalawun, coadiuvato dall’emiro Sunqur al-Ashqar, approntò un poderoso esercito37, che il 17 settembre 1281 si scontrò con quello mongolo ad Homs; la battaglia fu sanguinosa e causò molte perdite ad entrambe le parti, ma quando sembrava che le truppe mamelucche fossero state messe in fuga, queste si riorganizzarono, tornarono indietro e distrussero l’esercito mongolo. Möngke Temor, comandante dei Mongoli, rimase smarrito dall’improvviso cambiamento di fronte e dalla conseguente sconfitta e riuscì fortunosamente a rientrare nei suoi territori. Lo stesso accadde a Leone III, che riuscì a riparare in Armenia accompagnato semplicemente da trenta uomini a cavallo. Michele VIII Paleologo Qalawun, seguendo l’esempio del suo illustre predecessore, firmò diversi trattati con i cristiani, ma sempre con clausole a lui favorevoli. Nel 1281 negoziò anche con l’imperatore bizantino Michele VIII 36 37 Leone III (1236-1289) salì al trono nel 1269, quando il padre Aitone I abdicò in suo favore e si fece frate francescano. Il Templare di Tiro, nella sua “Cronaca” riferisce di “ottantamila uomini a cavallo e circa centomila a piedi”, Par. 172. 31 Paleologo un’alleanza militare contro Carlo I d’Angiò, che minacciava di occupare alcuni territori dell’impero bizantino. Particolarmente importante e significativo, sotto l’aspetto della prepotenza, è il trattato di tregua decennale stipulato nel 1282 con il maestro generale dei Templari, Guglielmo di Beaujeu, a favore della città di Tortosa, di cui ci è giunto il testo a cura del biografo personale di Qalawun. Tale trattato tutelava da eventuali aggressioni dei Franchi tutti i territori in mano al sultano, mentre per i cristiani la tregua si applicava a “Tortosa, posseduta dall’Ordine dei Templari, e alle sue terre stabilite in perpetuo all’atto della stipulazione della tregua benedetta; e inoltre agli annessi territori di al-Uraima e Mai’àr, secondo la tregua stabilita dal malik az-Zahir (Baybars, N.d.A.), le cui norme sono qui ricalcate ….”38. L’accordo di tregua si chiudeva con una clausola vessatoria nei confronti dei Templari: “Nel territorio di Tortosa specificato in questa tregua non si dovrà rinnovare alcuna rocca o fortilizio o castello, né alcuna opera di fortificazione, trinceramento e simili”39. La fortezza di Marqab Altrettanto importante è il trattato di pace stipulato nel mese di maggio 1283 con la città di Acri allo spirare della precedente tregua accordata da Baybars nel 1272. La tregua (della durata di dieci anni, dieci mesi, dieci giorni e dieci ore, a partire dal 3 giugno 1283) è stata sottoscritta da Guglielmo di Beaujeu, maestro generale dei Templari, da 38 “Storici arabi delle Crociate”, a cura di Francesco Gabrieli, Einaudi, 2007. 39 Ibidem, pag. 318. 32 Nicolas de Lorgne, maestro generale degli Ospitalieri, e da Oddone di Poilechien, reggente del regno per conto di Carlo I d’Angiò. Il trattato (Vedi testo riportato in ALLEGATO 1) era esteso a tutti i territori sotto il dominio del sultanato siro-egiziano e le località tutelate erano elencate con eloquente pedissequità per evidenziare i territori a suo tempo conquistati dai crociati e successivamente perduti negli ultimi cento anni. Molto più prolissa era invece la parte che riguardava i territori cristiani tutelati dalla tregua, dalla quale emergeva che il regno di Gerusalemme era ormai ridotto ad una esigua striscia costiera che andava da Acri al Monte Carmelo, e comprendeva poche roccaforti in Siria ancora in mano ai Templari ed agli Ospitalieri. Tripoli Il trattato elencava espressamente i territori cristiani tutelati: la città di Acri ed i territori ad essa collegati di proprietà dei Franchi, Haifa, il territorio di Monte Carmelo, la città ed il castello di Atlith, Sidone. Inoltre stabiliva che: “All’infuori di Acri, Atlith e Sidone, e fuor delle mura di queste località, i Franchi non potranno rinnovare muro né rocca né fortezza né castello, vecchio o nuovo che sia”40. Questo trattato non impedì a Qalawun di conquistare il 25 marzo 1285 la fortezza ospitaliera di Marqab, Laodicea nel 128741 e, il 26 aprile 1289, la città di Tripoli (che non aveva sottoscritto la tregua), la cui popolazione fu letteralmente massacrata dai Mamelucchi. Riferisce il cronista Abu l-Fidà’: 40 41 Ibidem, pag. 322. Cfr. “Cronaca del Templare di Tiro”, op. cit., Par. 225 e 226. 33 “le forze musulmane vi penetrarono (in città) di forza, e la popolazione fuggì verso il porto: qui alcuni si misero in salvo con le navi, ma la gran parte degli uomini fu uccisa, i figli presi prigionieri, e i musulmani trassero dalla città vasto bottino. Quando ebbero finito di uccidere e saccheggiare, la città su ordine del Sultano fu demolita e rasa al suolo”. I musulmani si impossessarono di quattromila preziosi telai per la tessitura ed oltre 1.200 prigionieri, resi schiavi, furono destinati all’arsenale di Alessandria. Il sultano ordinò inoltre di costruire una nuova Tripoli nell’entroterra, alle pendici del Monte Pellegrino. Dopo la distruzione di Tripoli, re Enrico di Gerusalemme partì da Cipro e recatosi ad Acri concordò con Qalawun una tregua per la Siria e per Cipro. I due sovrani si prestarono reciprocamente giuramento, poi - nel mese di agosto - il sultano ritornò in Egitto ed il re, il 26 settembre, salpò per Cipro, lasciando sul posto come suo rappresentante e connestabile del regno il fratello Amalrico, che era anche signore di Tiro. Con la caduta di Tripoli spariva, dopo centottanta anni dalla sua costituzione (1109) la contea di Tripoli. Il regno di Gerusalemme si era ridotto ai soli territori di Acri, Beirut, Sidone, Tortosa, il fortilizio di Maraqiyya42 e Tiro, ancora tutelati dalla tregua del 1283. Ma l’obiettivo di Qalawun era la cacciata totale dei cristiani dalla Siria-Palestina; occorreva pertanto conquistare gli ultimi possedimenti ancora nelle loro mani. Come vedremo più avanti, l’occasione gli verrà offerta nel 1290. Ma vediamo adesso che cosa era successo in campo cristiano negli ultimi anni. Nel regno della Piccola Armenia Aitone I, dopo avere riscattato il figlio Leone43, nel 1269 abdicò in suo favore, si fece frate francescano e l’anno seguente morì. Il figlio, che assunse il nome di Leone III, consolidò i rapporti di alleanza con i Mongoli di Persia (di cui era anche suddito) e nel 1281 assieme a loro partecipò all’invasione dei 42 43 Fortilizio ricadente tra Tortosa e Marqab, in mezzo al mare, di fronte la città di Maraqiyya. Leone, catturato il 24 agosto 1266 dai Mamelucchi nella battaglia di Mari, fu successivamente liberato in cambio di una fortissima somma di denaro e della cessione di alcuni territori della Piccola Armenia. Con l’occasione fu liberato anche l’emiro Sunqr al-Ashqar, che era stato precedentemente catturato e tenuto prigioniero dai mongoli. 34 territori siriani in mano ai Mamelucchi e che si concluse con la disastrosa battaglia di Homs (17 settembre 1281). Ma a seguito di una ulteriore offensiva di Qalawun, nel 1285 Leone III dovette firmare una tregua decennale che gli imponeva anche ampie concessioni territoriali a favore dei musulmani, la cessione di importanti fortezze ed il pagamento di tributi. La Piccola Armenia si venne così a trovare nella difficile condizione di essere contemporaneamente tributaria dei Mongoli e dei Mamelucchi. Leone III d’Armenia con la moglie Keran e cinque loro figli Dopo la perdita del principato di Antiochia (1268) a Boemondo VI non rimaneva che una esigua parte di quello che una volta era il territorio della contea di Tripoli. Ma anche questa era in costante pericolo. Nel 1271, infatti, Baybars assediò la città di Tripoli con l’intenzione di conquistarla definitivamente, ma alla fine concesse una tregua. Boemondo VI morì nel 1275 ed il suo posto fu preso dal figlio quattordicenne Boemondo VII, che - passato un periodo sotto la reggenza di Bartolomeo, vescovo di Tortosa - assunse il titolo di conte di Tripoli e quello nominale di principe di Antiochia. Presto, però, si formò un partito di opposizione, capeggiato da Guido II (membro della potente famiglia genovese degli Embriaci), signore di Gibelletto e vassallo del conte di Tripoli, appoggiato dal maestro generale dei Templari, Guglielmo di Beaujeu. Scoppiò una 35 vera e propria guerra civile, che tra il 1278 ed il 1282 portò, per le continue perdite subite, all’esaurimento degli effettivi della cavalleria di Tripoli. Nel 1282 addirittura Guido II di Gibelletto, con l’aiuto dei Templari e con l’inganno, tentò di impossessarsi della città di Tripoli, ma fu scoperto e catturato assieme ai suoi più fedeli sostenitori, molti dei quali furono uccisi o accecati. “E il signore di Gibelletto e i suoi due fratelli e i loro cugini Guglielmo di Gibelletto e Andrea di Clapiere il principe li mandò a Nefin e li fece mettere in una fossa e li fece murare e chiudere dentro, e là morirono di fame”44. Ruderi del castello di Gibelletto Tutto questo avveniva mentre tutt’intorno alla contea premevano i Mamelucchi. Sebbene tragica e premonitrice di più gravi sciagure, i Pisani di Acri, appena appresero la notizia, fecero una gran festa ed inscenarono in una specie di rappresentazione teatrale la vicenda della cattura e della condanna a morte di Guido di Gibelletto. Ormai ad Acri pochi erano in grado di leggere gli eventi che stavano maturando ai loro danni e che presto avrebbero determinato la tragedia umana connessa con la fine del regno di Gerusalemme. 44 Cfr. “Cronaca del Templare di Tiro”, op. cit., Par. 174. 36 Boemondo VII morì nel 1287 senza lasciare eredi. Il suo posto fu preso dalla sorella Lucia45. Nello stesso anno i Genovesi, guidati dall’Ammiraglio Benedetto Zaccaria, dichiararono decaduta la dinastia di Lucia ed istituirono il libero comune di Tripoli, nominando potestà della città il genovese Bartolomeo Embriaco. Ma i mercanti veneziani e pisani, nel timore che Tripoli diventasse una colonia genovese e il suo porto monopolizzasse i traffici marittimi del Mediterraneo orientale, chiesero addirittura l’intervento militare di Qalawun 46, il quale, pur essendo ancora in vigore un trattato di pace con la contea di Tripoli, prima occupò Laodicea, sede di un importante porto, con la scusa che tale città, faceva parte del principato di Antiochia e non era tutelata dalla tregua, ed il 26 aprile 1289 espugnò la città di Tripoli. La contea di Tripoli, l’ultimo stato creato dai crociati quasi due secoli prima, cessava di esistere definitivamente. Alla morte di Federico II di Svevia, avvenuta nel 1250, il titolo di re di Gerusalemme passò al figlio Manfredi e alla morte di quest’ultimo passò a Corradino, figlio di Corrado, altro figlio di Federico II. Ma dopo la morte di Corradino, decapitato a Napoli il 29 ottobre 1268 per ordine di Carlo I d’Angiò, il titolo venne riconosciuto ad Ugo III di Cipro47, che pertanto il 24 settembre 1269 fu incoronato nella cattedrale di Tiro con il titolo di Ugo I di Gerusalemme. Ugo, nonostante i suoi buoni propositi, a causa dell’opposizione degli Ordini militari e di alcuni baroni franchi nel 1276 lasciò il regno di Gerusalemme e si ritirò nella sua Cipro. Il suo gesto fu letto come una tacita rinuncia alla corona di Gerusalemme e ciò alimentò le ambizioni di Carlo I d’Angiò, che nel 1277 riscattò i diritti di Maria di Antiochia48 e subito dopo inviò ad Acri un contingente armato sotto la 45 46 47 48 Lucia di Antiochia era la moglie di Narjot di Toucy, ammiraglio di Carlo I d’Angiò in Puglia. Alla morte del fratello, tornò a Tripoli per prendere possesso della contea. Qalawun condivise le valutazioni dei Veneziani e dei Pisani e, temendo che ciò potesse arrecare gravi danni ai traffici marittimi dei musulmani, si mosse dall’Egitto con lo scopo di occupare definitivamente quel che restava della contea di Tripoli. Ugo, fra gli eredi di Jolanda di Gerusalemme, moglie di Federico II, era l’unico che risiedeva nelle terre d’Oltremare. Maria di Antiochia (1237-1274), figlia di Boemondo VI e di Isabella di Armenia, in contrasto con il nipote Ugo III di Cipro, accampò dei diritti sul regno di Gerusalemme quale discendente di Boemondo II e di Alice. Non potendoli fare valere, li vendette a Carlo I d’Angiò per mille sterline d’oro 37 guida di Ruggero di San Severino per prendere possesso della città. Ruggero, con l’aiuto dei Templari e dei Veneziani, presentò a Baliano d’Ibelin i documenti che attestavano la titolarità di Carlo I d’Angiò sulla corona di Gerusalemme ed ottenne la consegna della città e della sede reale. Ruggero di San Severino prese possesso di tutto, elesse Carlo I d’Angiò re di Gerusalemme e pretese che tutti i nobili locali gli rendessero omaggio quale reggente del regno. Chi non lo avesse fatto avrebbe avuto i beni sequestrati. Sconfitta di Corradino di Svevia nella battaglia di Tagliacozzo L’avvento di Ruggero di San Severino, che mise nei posti chiave del regno solo francesi di sua fiducia, scongiurava l’arrivo di una nuova crociata di ispirazione francese o papale e ciò risultò gradito a Baybars, il quale, tranquillizzato sul fronte franco, nello stesso anno (1277) avviò in Anatolia una campagna militare contro i Mongoli di Persia. Dalla parte di Carlo I d’Angiò si schierarono i maggiorenti di Acri ed i ed una rendita annuale di 4.000 livres tournois (la lira tornese equivaleva a due scudi d’oro). (Treccani) 38 Templari, mentre gli Ospitalieri, Tiro, Beirut e la contea di Tripoli rimasero fedeli ad Ugo III. Lo scoppio della guerra del Vespro (Dipinto di Francesco Hayez) Nel 1279, approfittando del clima di intolleranza che si era creato nei confronti di Ruggero di San Severino, Ugo III tornò a Tiro, con l’obiettivo di riprendere le redini del regno di Gerusalemme, ma la sua iniziativa, che ebbe l’appoggio di Giovanni di Monfort e di alcuni baroni, fu fortemente osteggiata dai Templari e fallì. Ugo, deluso e amareggiato, ritornò a Cipro e per ritorsione contro i Templari confiscò i beni che possedevano a Cipro. Scoppiata la guerra del Vespro (1282), le aspirazioni di Carlo I d’Angiò sul regno di Gerusalemme si affievolirono; egli richiamò in Italia il fidato Ruggero di San Severino, che alla fine del 1282 lasciò la Terrasanta, dopo avere nominato come suo sostituto Oddone di Poilechien49. Ancora una volta ne approfittò Ugo III di Cipro, che nel mese di marzo 1283 tornò in Terrasanta per riaffermare le sue prerogative di titolare della corona di Gerusalemme. Ugo però morì a Tiro il 24 marzo 49 Oddone di Poilechien, nella qualità di reggente del regno, nel 1283 risulterà tra i firmatari della tregua decennale stipulata con il sultano Qalawun. 39 1284 ed entrambe le sue corone furono ereditate dal figlio diciassettenne Giovanni, che fu prima incoronato re di Cipro a Nicosia e successivamente re di Gerusalemme a Tiro, assumendo il titolo di Giovanni I di Gerusalemme. Giovanni, però, il 20 maggio 1285 morì senza lasciare eredi 50; gli successe il fratello minore, Enrico51, di soli quattordici anni, che l’11 maggio fu incoronato re di Cipro a Nicosia. Successivamente Enrico raggiunse Acri, dove, nonostante l’opposizione di Oddone di Poilechien, il 15 agosto fu incoronato re di Gerusalemme, assumendo il titolo di Enrico II. Dopo i festeggiamenti, durati due settimane52, Enrico ritornò a Cipro, lasciando ad Acri come suo rappresentante lo zio Baldovino d’Ibelin. 50 51 52 Secondo alcuni, Giovanni I fu avvelenato dai seguaci di Enrico, allora quattordicenne. La guerra del Vespro scoppiata in Sicilia cambiò lo scenario delle alleanze in Terrasanta. I templari, che avevano appoggiato incondizionatamente la politica di Carlo I d’Angiò e dei suoi rappresentanti ad Acri, si schierarono a favore dei sovrani ciprioti, e, con l’appoggio degli Ospitalieri e dei Teutonici, convinsero Oddone di Poilechien a restituire la cittadella di Acri, che successivamente verrà consegnata al legittimo re di Gerusalemme. La giovane nobiltà locale, in un clima di totale incoscienza dei pericoli che incombevano sul regno, allestì tornei, ai quali partecipò spesso vestendo abiti da donne, da frati o da monache, e scene tratte dal ciclo dei cavalieri della Tavola Rotonda. 40 CAPITOLO III La fine La caduta di Tripoli ed il massacro della sua popolazione destò sgomento in tutto l’Occidente, che finalmente prese coscienza del grave stato di pericolo in cui versavano i cristiani della Terrasanta. Papa Nicolò IV inviò pressanti appelli ai sovrani europei perché organizzassero una spedizione in Terrasanta53 e per invogliare le Repubbliche marinare italiane a dare un sostegno concreto alla nuova crociata, revocò l’embargo commerciale contro l’Egitto. Ricostruzione dell’antica Acri vista dal mare Per la spedizione in Terrasanta vennero armate venticinque galee (venti fornite da Venezia e cinque dal re di Aragona) ed il papa offrì un consistente aiuto economico. All’appello del papa non risposero né nobili né gente avvezza all’uso delle armi, ma solo pochi mercenari ed una moltitudine di disperati (contadini, avventurieri e malfattori, tutti provenienti dall’Italia settentrionale) che dal passaggio in Oriente speravano di trarre qualche vantaggio. La spedizione, composta da circa tremilacinquecento persone, scarsamente armate e con pochi viveri, venne posta sotto il comando militare di Jacopo Tiepolo, figlio di Lorenzo, doge di Venezia. Quella che venne chiamata la crociata degli Italiani, arrivò ad Acri verso la 53 Il papato aveva grosse responsabilità nell’indebolimento militare della Terrasanta. Esso, infatti, aveva fatto sì che le migliori forze europee fossero impiegate nella lotta contro l’impero per affermare la supremazia della Chiesa, trascurando così di fornire aiuti militari validi ai cristiani del Vicino Oriente. 41 mettà di agosto 1290; i suoi componenti si sparsero per tutta la città, creando continui disordini, risse e disagi tra la popolazione che neanche gli Ordini militari riuscirono a fermare. Privi di ogni forma di disciplina e restii al rispetto delle regole di pacifica convivenza, verso la fine del mese di agosto, con la scusa di vendicare l’onore di una donna cristiana violentata da un musulmano, i nuovi crociati irruppero nel contado di Acri e massacrarono gli inermi contadini musulmani che portavano i prodotti della loro terra ai mercati cittadini. All’interno della città addirittura, oltre a diversi mercanti musulmani, furono uccisi anche alcuni cristiani siriani scambiati per musulmani per via della loro barba. Antica pianta di Acri Gli abitanti di Acri erano sgomenti, ma incapaci di opporsi alla violenza dei nuovi arrivati, che a tutti i costi volevano menar le mani contro i musulmani. Qalawun, appresa la notizia del massacro dei musulmani, chiese la consegna dei responsabili per giustiziarli, ma le autorità di Acri, ligi al principio che vietava ai cristiani di consegnare agli infedeli un altro cristiano, si opposero alla richiesta; esse non presero in considerazione neanche la proposta di Guglielmo di Beaujeu, che suggeriva di 42 consegnare a Qalawun i condannati a morte rinchiusi nelle prigioni cittadine e in quelle degli Ordini militari, facendoli passare per responsabili del massacro. Enrico II di Cipro inviò al sultano d’Egitto una lettera di scuse, facendo presente che i nuovi arrivati non erano a conoscenza della tregua vigente tra i cristiani ed i musulmani. Qalawun non accettò le scuse, ma essendo rispettoso dei patti, chiese ai suoi giuristi se un suo eventuale attacco contro la città di Acri costituisse violazione della tregua da lui stesso sottoscritta nel 1283. La risposta fu negativa e Qalawun, in gran segreto, organizzò la spedizione contro i cristiani di Acri. Le fortificazioni di Acri E così, il 4 novembre dello stesso anno, a capo di un poderoso esercito, si mosse dall’Egitto diretto ad Acri; ma dopo qualche giorno 43 di marcia, giunto ad al-Sâlihîah, fu avvelenato dall’emiro Turuntây54 ed il 10 novembre morì. Gli successe il figlio al-Ashraf, a cui il padre, in punto di morte, fece promettere di portare a compimento la cacciata totale dei Franchi dalla Siria-Palestina e di far giustiziare Turuntây. Il nuovo sultano, che assunse il nome di al-Ashraf Khalil, non ebbe fretta di proseguire nella spedizione avviata dal padre; rientrò in Egitto e per tutto l’inverno progettò meticolosamente la spedizione, facendo approntare anche numerose e possenti macchine da guerra. I signori di Acri fecero un ultimo tentativo per scongiurare la guerra, inviando dal nuovo sultano una delegazione guidata dal cavaliere di Acri Filippo Mainebeuf e dal cavaliere templare Bartolomeo Pisano; ma al-Ashraf si rifiutò di riceverli e li fece imprigionare. Il 6 marzo 1291 al-Ashraf partì dal Cairo ed arrivò ad Acri il 5 aprile. Comandava un esercito composto da sessantamila cavalieri e centosessantamila fanti provenienti dall’Egitto, dalla Siria e dalla Palestina. L’esercito era ben equipaggiato e poteva disporre di numerose macchine da guerra fatte affluire dalle fortezze della Palestina; tra di esse spiccavano, per potenza di lancio (potevano lanciare massi del peso di un quintale), due enormi catapulte chiamate la “Furiosa” e la “Vittoriosa”. Secondo lo storico arabo Abu l-Fisa55, per trasportare quest’ultima catapulta, smontata a pezzi, dalla sede originaria del Crak des Chevaliers, furono impiegati cento carri. La città di Acri ad ovest e a sud era delimitata dal mare ed era protetta da possenti mura e dal porto; dal lato di terra, a nord e ad est, era protetta da una doppia cinta di mura, intervallate da diverse torri56. 54 Husam al-Din Turuntây al-Mansuri, emiro mamelucco, ricoprì cariche importanti sotto Qalawun, legandosi al suo primogenito ‘Alì; alla sua morte (1288) venne osteggiato dal secondogenito Khalil, che, dopo la morte del padre, lo fece arrestare e ne fece confiscare i beni. Cfr. “Cronaca del Templare di Tiro”, op. cit., pag. 372. 55 Abu l-Fidà partecipò all’azione militare sotto la guida del padre, al-Malik alMuzzafar. Egli stesso, alla morte del padre, divenne signore di Hamàt, assumendo il titolo di al-Malik al-Mu’ayyad. 56 Le torri di difesa si trovavano tanto sulla cinta interna (Torre Maledetta), quanto su quella esterna (Torre del Re, Torre della Contessa di Blois, Torre del Legato); esse portavano in genere i nomi di coloro che ne avevano finanziato la costruzione o il rafforzamento (il re Enrico II di Lusignano, la contessa di Blois Giovanna di Châtillon, il legato pontificio e patriarca di Gerusalemme Nicola di Hanapes). A proposito della Torre del re, Enrico II 44 La più alta e la più possente era la “Torre Maledetta”, a sua volta protetta da due altre torri poste nelle sue immediate vicinanze. A nord di Acri si trovava il sobborgo di Montmusard, protetto verso l’esterno da un doppio muro e da un fossato e tra Montmusard e la stessa Acri c’erano un ulteriore fossato ed un muro che collegava tra loro le torri fortificate. La fortezza dei Templari sorgeva nella punta sud-occidentale della città, era a picco sul mare e la separava dal porto il quartiere dei Pisani. Delle porte menzionate dall’autore della “Cronaca del Templare di Tiro”, quella di San Lazzaro (posta all’angolo settentrionale della città) e quella di Sant’Antonio (posta all’angolo nord-orientale della città vecchia) si trovavano nel sobborgo di Montmusard, così come la Porta di Malpasso, mentre la Porta del Legato era sul fianco orientale della città vecchia57. All’arrivo di al-Ashraf la città ospitava circa quarantamila persone e per la sua difesa poteva contare su un migliaio di cavalieri e quattordicimila fanti, compresi gli effettivi degli Ordini militari, gli indisciplinati crociati arrivati dall’Italia settentrionale, il contingente francese istituito da Luigi IX e comandato da Giovanni di Grailly (che era anche siniscalco del regno di Gerusalemme) ed il contingente inglese inviato da Edoardo I, sotto il comando dello svizzero Oddone di Grandson. A tutti gli uomini abili fu assegnato un posto sulle mura. Partendo dal lembo nord-occidentale (quello prossimo al mare), le mura della città rivolte verso la pianura dove era accampato l’esercito musulmano erano così presidiate: i Templari, sotto la guida del maestro generale Guglielmo di Beaujeu; seguivano gli Ospitalieri, sotto il comando del maestro generale Giovanni di Villiers; il contingente reale (Ciprioti), guidato da Amalrico, fratello del re di Cipro, appoggiato dai Teutonici, guidati dal loro maestro generale Corrado di Feuchtwangen; poi il contingente francese, quello inglese, i Veneziani, i Pisani e, alla fine, i militi della città di Acri. Le quattro grandi catapulte di cui disponevano i musulmani furono così posizionate: la “Infuriata”58 contro le posizioni presidiate dai 57 58 fece costruire anche un contrafforte, detto il Bastione del Re. (Cfr. “Cronaca del Templare di Tiro”, op. cit., pag. 373). Cfr. “Cronaca del Templare di Tiro”, op. cit. pag. 373. La grande catapulta chiamata la “Furiosa” è stata prelevata a Hisn al-Akrad (Crak des Chevaliers) dagli uomini del Signore di Hamàt, al-Malik al- 45 Templari, quindi a nord della città; la “Vittoriosa” contro la posizione presidiata dai Pisani, e le altre due rispettivamente contro le posizioni presidiate dagli Ospitalieri e contro la Torre Maledetta, presidiata dalla guardia del re. Negli spazi tra le quattro grandi catapulte furono sistemate un centinaio di altre macchine da guerra, comprendenti mangani59, trabucchi60 e baliste61. Il maresciallo dell’Ospedale, Matteo di Clermont, difende le mura di Acri (Dipinto di Dominique Louis Papety) 59 60 61 Muzaffar, e, smontata, venne portata davanti alle mura di Acri. (Cfr. “Cronaca del Templare di Tiro”, op. cit., pag 373) Arma da lancio, utilizzata fin dai tempi dei Romani nelle operazioni d’assedio, che sfrutta la forza umana per scagliare proiettili. Macchina d’assedio di grandi dimensioni, fissa, che utilizza per il lancio dei proiettili il principio della leva. È una grande macchina d’assedio in grado di lanciare grandi dardi o pietre sferiche singolarmente e per piccoli gruppi, secondo il modello. 46 L’attacco alla città iniziò la mattina del 6 aprile 1291, al suono assordante di enormi tamburi; le catapulte ed i mangani disposti lungo il perimetro delle mura iniziarono a lanciare massi e vasi di argilla contenenti pece mista a petrolio, olio, zolfo e polvere di carbone di pino (fuoco greco). Squadre di arcieri provvedevano a lanciare nugoli di frecce che, di continuo, si riversavano sui difensori delle mura e sulla popolazione all’interno della città. Altre squadre di musulmani, protetti dagli scudi disposti a testuggine, si avvicinavano sempre più all’argine del fossato esterno, riempiendolo di tronchi di legno sui quali gettavano sacchi pieni di sabbia per creare un piano praticabile che consentisse di dare l’assalto alle mura. I tiri delle catapulte più grosse furono concentrati sulle difese presidiate dai Templari e sulla propaggine orientale della doppia cinta muraria, prendendo di mira soprattutto la Torre del Re ed il tratto di mura compreso tra la Porta di Sant’Antonio e la Torre del Legato. Nel frattempo squadre di minatori scavavano cunicoli principalmente in direzione della Torre Maledetta e della Torre della Contessa di Blois, utilizzando anche – dov’era utile – i condotti fognari ed i canali di scolo del macello, ma anche in altre direzioni. Il 15 aprile, in una notte particolarmente luminosa, Guglielmo di Beaujeu, al comando di un drappello di Templari, cui si erano uniti Giovanni di Grailly e Oddone di Grandson, uscendo dalla Porta di San Lazzaro tentò una incursione in campo nemico 62, con l’obiettivo di incendiare la trincea della catapulta “Infuriata” e di distruggere altre macchine da guerra ed opere di difesa e di attacco apprestate dai musulmani. Ma per una serie di errori causati da chi doveva lanciare le torce accese, gli incursori cristiani furono scoperti e nella foga del momento le zampe dei loro cavalli si impigliarono nelle corde delle tende; cadendo da cavallo, alcuni cristiani furono fatti prigionieri e uccisi dai musulmani. I più riuscirono a fuggire, furono inseguiti da circa duemila musulmani e a stento riuscirono a ritornare entro le mura 62 Era il settore posto sotto il comando del signore di Hamàt, al-Malik alMuzzafar, che diede tanto filo da torcere ai Templari. 47 della città. Nella spedizione, cui presero parte circa duecento uomini, persero la vita diciotto cristiani, quasi tutti Templari63. Nelle notti successive furono tentate altre sortite, tutte rimaste inefficaci perché i musulmani ormai erano in costante stato di allerta. Nello stesso mese di aprile, su iniziativa degli Ospitalieri e in gran segreto, fu programmata un’altra incursione nel campo nemico, ma la notizia giunse all’orecchio del sultano per cui, alla mezzanotte del giorno concordato, quando in prossimità della Porta di Sant’Antonio ai militi cristiani fu dato l’ordine di montare a cavallo, il campo musulmano di colpo si illuminò a giorno, mettendo in evidenza che più di diecimila soldati a cavallo, armati di tutto punto, erano pronti ad accoglierli. I cristiani, inseguiti da un nugolo di frecce, dovettero frettolosamente rientrare in città. Il morale degli assediati era a terra. Il 4 maggio sbarcò ad Acri Enrico II di Cipro: portava con se abbondanti provviste e un contingente di 200 cavalieri e di 500 fanti. Il re di Cipro e di Gerusalemme era di carattere debole e per di più soffriva di epilessia; questo minava la sua autorità, anche se il gesto di portare personalmente aiuto in un momento così difficile e pericoloso, fu apprezzato da tutti. Enrico II assunse la guida delle operazioni, ottenne un cessate il fuoco e, nella qualità di re di Gerusalemme, inviò al sultano al-Ashraf come ambasciatori il cavaliere Guglielmo di Villiers ed il templare Guglielmo di Cafran; ma il sultano non volle accettare le richieste degli ambasciatori e, in modo sprezzante, disse loro che l’unico suo obiettivo era la conquista delle città e se gli abitanti e i difensori l’avessero lasciata, anche portando via i loro averi, avrebbero avuta salva la vita. Ma gli ambasciatori risposero che non potevano accettare tali condizioni, perché, dissero “la gente d’Oltremare ci avrebbe considerati traditori”64. Subito dopo si intensificarono i bombardamenti sulla città. Martedì 15 maggio, a causa dei continui colpi ricevuti, la parte anteriore della Torre del Re crollò sul fossato e l’indomani pomeriggio i musulmani coprirono le macerie con sacchi di canapa pieni di sabbia. Il crollo della torre aveva aperto una grande breccia nella cinta muraria esterna, che sul momento fu tamponata dai difensori della città con un assito di legno ricoperto di cuoio, detto “gatto”, e ciò servì a sbarrare 63 64 Per il cronista arabo Abu L-Fidà “La mattina dopo, il Malik al-Muzaffar fece attaccare un certo numero di teste dei Franchi al collo dei loro cavalli catturati dai nostri, e le presentò al sultano al-Malik al-Ashraf. Cfr. “Cronaca del Templare di Tiro”, op. cit., Par. 257. 48 momentaneamente l’accesso dei musulmani nell’intercapedine che separava le due cinte murarie. L’evento, però, gettò nel panico la popolazione e chi poteva lasciò la città via mare. Circa diecimila persone, tra donne, bambini e anziani, furono caricate sulle navi e trasportate nelle vicine città costiere non ancora in mano musulmana. L’assalto finale fu sferrato venerdì 18 maggio. Scrive l’anonimo compilatore della “Cronaca del Templare di Tiro”: “E quando venne il venerdì, prima di giorno un tamburo risuonò molto forte e al suono di quel tamburo, che faceva un rumore orribile e molto intenso, i saraceni assalirono la città di Acri da tutte le parti, e il primo punto da cui entrarono fu da questa maledetta torre che avevano preso. Venivano tutti a piedi, ed erano innumerevoli, e davanti venivano quelli che portavano grandi scudi alti, e dopo venivano quelli che tiravano il fuoco greco, e dopo c’erano quelli che tiravano giavellotti e frecce piumate così fittamente che sembrava che cadesse pioggia dal cielo, e i nostri, che erano all’interno del gatto, lo abbandonarono. A questo punto questi saraceni che vi dico presero due strade diverse, poiché si trovavano fra le due cinta di mura della città, cioè tra la prima cinta di mura e fossati, che si chiamava il barbacane, e le grandi mura e i fossati della città, per cui gli uni entrarono attraverso una porta di una grande torre, chiamata la Torre maledetta, e andarono verso San Romano, là dove i pisani avevano le loro grandi macchine da guerra, gli altri continuarono a camminare andando verso la porta di Sant’Antonio”65. Guglielmo di Beaujeu, per tentare di bloccare l’avanzata dei musulmani, lasciò in fretta la sua fortezza e con un manipolo di Templari, a cui per strada si aggiunsero Giovanni di Villiers e Matteo di Clermont, rispettivamente maestro e maresciallo degli Ospitalieri, accorse alla porta di Sant’Antonio; ma durante la lotta un dardo lo colpì sotto l’ascella sinistra66. E quando capì di essere stato ferito a morte, si sottrasse alla mischia, ma un gruppo di crociati di Spoleto, pensando che il maestro volesse fuggire per mettersi in salvo, gli gridò: “Ah, per Dio, signore, non andatevene, perché la città sarebbe presto perduta!”. E lui, a voce alta, mostrando il dardo conficcato sotto l’ascella, rispose: “Signori, non posso più, perché sto morendo, vedete il colpo!”. 65 66 Cfr. “Cronaca del Templare di Tiro”, op. cit., Par. 260-261. Quando sentì il forte rumore dei tamburi, Guglielmo di Beaujeu si trovava nel castello dei Templari e non indossava l’armatura. Per la fretta di correre in aiuto dei suoi, indossò un’armatura leggera che lasciava scoperte alcune parti del corpo. 49 Subito dopo i suoi lo fecero scendere da cavallo, lo stesero su uno scudo e, facendosi largo tra i fuggiaschi che ingombravano i vicoli della città, lo portarono nella fortezza templare, dove morì dopo alcune ore di agonia. Fu sepolto ai piedi dell’altare maggiore della cappella della fortezza. Nel frattempo i musulmani conquistarono la Porta Sant’Antonio, distrussero il “gatto” che la proteggeva e dilagarono in città. La popolazione fu presa dal panico e le donne, i vecchi ed i bambini che durante l’assedio erano rimasti rinchiusi nelle loro case, si riversarono nelle strade, cercando di mettersi in salvo. Quando li incontravano, i musulmani uccidevano gli uomini, violentavano le donne e poi le facevano prigioniere assieme ai bambini. I neonati venivano strappati dalle braccia delle loro madri e, gettati per terra, venivano uccisi dagli zoccoli dei cavalli. Circa diecimila persone trovarono scampo nel Tempio, ultimo baluardo difensivo della città, posto sotto il comando del maresciallo Pietro di Savrey e del comandante di terra Thibaud Gaudin. Enrico II, resosi conto che la situazione ormai non aveva via d’uscita, scoraggiato si imbarcò per Cipro, lasciando sul posto il contingente armato che aveva portato con se. Lasciarono Acri anche Giovanni di Villiers, ferito durante i combattimenti, Oddone di Grandson, che portò con se diversi feriti, tra i quali Giovanni di Grailly e il maestro generale dei Teutonici. Nel tentativo di imbarcarsi con i suoi beni, perse la vita, annegando, anche il patriarca e legato pontificio Nicola di Hanapas. Lasciarono la città anche i Veneziani ed i Pisani a bordo delle loro navi. Il maresciallo degli Ospitalieri, Matteo di Clermont, che aveva accompagnato al Tempio Guglielmo di Beaujeu, dopo avere salutato la salma del maestro templare, si dispose per la difesa delle vie d’accesso al porto, per consentire alla popolazione di mettersi in salvo sulle navi dirette a Cipro. Alla fine fu sopraffatto dai musulmani e fu ucciso assieme ai suoi. I Templari fecero avvicinare alle mura della loro fortezza tutte le navi a vela e a remi che riuscirono a trovare e facendoli calare attraverso le torri e le mura della loro fortezza, riuscirono a fare imbarcare quasi tutti quelli che si erano rifugiati nel Tempio. Quando tutte le imbarcazioni presero il largo, dalla fortezza partì un grande grido di saluto. 50 Era il 18 maggio 1291, un venerdì, e la città era caduta in mano musulmana. Resisteva ancora la fortezza dei Templari, che accoglieva molti feriti e numerose donne e bambini che erano sfuggiti al massacro che si era consumato in città. (vedi ALLEGATO 2). Il sultano, seppur indispettito per l’ostinata resistenza dei Templari, offrì un salvacondotto che fu accettato da Pietro di Sevrey. Ma quando alcuni dei circa quattrocento cavalieri musulmani incaricati di prendere possesso della fortezza templare e di issare il vessillo del sultano tentarono di violentare le donne che vi trovarono dentro, il maresciallo del Tempio e gli altri Templari gli si avventarono contro, ne uccisero parecchi, spezzarono il vessillo del sultano e sprangarono le porte della fortezza, apprestandosi ad una ulteriore difesa. Il sultano fece finta di essere dispiaciuto dell’accaduto, diede l’impressione di giustificare l’uccisione dei suoi come conseguenza del comportamento peccaminoso da loro tenuto e chiese di potere parlare con gli esponenti più importanti presenti nel Tempio per potere trattare una resa onorevole. Pietro di Sevrey ingenuamente si fidò della proposta del sultano ed assieme ad altri Templari si recò nella sua tenda; ma appena il sultano li ebbe in suo potere, li fece tutti decapitare. Non appena quelli del Tempio seppero della loro morte, accortisi che le mura delle fortezza cominciavano a scricchiolare, si ritirarono nella torre più possente, apprestandosi all’ultima difesa. Essi, tuttavia, non si arresero neanche quando si accorsero che la torre stessa era stata minata e che in essa incominciavano ad aprirsi delle brecce. E quando queste si fecero sufficientemente ampie, più di duemila musulmani, come tanti forsennati, si riversarono nella torre; il loro peso provocò la rottura dei puntelli delle sottostanti gallerie e la torre crollò su se stessa, trascinando con se difensori ed attaccanti. Era il 28 maggio 1291 e quel giorno i Templari, ultimi difensori di Acri, ebbero l’onore di essere accompagnati nel loro sacrificio dai cadaveri di duemila soldati musulmani. Il sultano, dopo averla interamente conquistata, diede ordine di demolire la città per recuperarne i marmi più preziosi e le opere d’arte; il portale della chiesa di San Domenico fu portato al Cairo ed utilizzato per adornare l’ingresso della moschea appositamente realizzata per celebrare la conquista di Acri. Al-Ashraf non perse tempo; dopo avere preso Acri, inviò un proprio emiro a Tiro; la città si arrese senza combattere. Stessa sorte toccò ad 51 Haifa, che fu occupata il 30 luglio, e subito dopo, tra il 3 ed il 14 agosto furono occupate Tortosa e la fortezza templare di Chateau Pèlerin, abbandonate dai loro abitanti, che si erano rifugiati a Cipro. Nella loro azione di conquista i musulmani incendiarono anche i monasteri del monte Carmelo, massacrandone i monaci e le suore e distruggendo ogni cosa. Gli Ospitalieri si apprestano all’ultima difesa di Acri (La Valletta – Affresco nel Palazzo del Gran Maestro) Tutta la costa della Siria-Palestina era ormai in mano musulmana. La Terrasanta non esisteva più. In mano cristiana restava solamente, sotto il controllo dei Templari, l’isolotto di Rouad, posto a circa tre chilometri al largo di Tortosa, da dove si pensava che in futuro potesse partire la riconquista del litorale. Ma anche questo ridotto cristiano nel 1303 verrà spazzato via dalla furia musulmana. Finisce così, in modo poco glorioso, la storia delle crociate e degli stati da esse creati e gestiti in oltre due secoli di permanenza nel Vicino Oriente. In segno di lutto per la perdita della Terrasanta, le donne di Cipro per oltre cento anni portarono mantelli neri. _________ 52 ALLEGATO 1 TRATTATO CON ACRI67 (MACRIZI68, Ibn 'Abd az-Zahir) In quest'anno (682/1283) nostro signore il Sultano assentì alla richiesta della gente d'Acri, allorché i loro ambasciatori si presentarono più volte al suo cospetto, in Siria e in Egitto, per cagion della pace. Egli proibì loro di venire per via di terra, invitandoli a venire solo per mare, ove avessero voluto presentarsi a lui; e cosi fecero. La conclusione fu che essi cedettero alla volontà del Sultano, dopo aver accampato esorbitanti pretese allo spirare della tregua (del Malik az-Zahir)69: nel safar di quest'anno (maggio 1283), vennero dunque i delegati e maggiorenti d'Acri, e fermarono la pace; essa fu giurata dal Sultano in presenza degli ambasciatori franchi, cioè due fratelli dell'Ordine dei Templari, due degli Ospitalieri, e due cavalieri regi, il governator generate Guglielmo e il visir Fahd. Il testo era del seguente tenore: È stabilita la tregua fra nostro signore il Sultano al-Malik al-Mansùr (Qalawùn) e suo figlio al-Malik as-Salih 'Ala' ad-dunya wa d-din 'Ali Iddio renda eterno il loro potere!, - e le autorità del Regno d'Acri, Sidone e Athlìth e territori dipendenti, a cui la tregua si estende. Sono costoro il siniscalco Odo, Reggente del Regno d'Acri70, il Gran Maestro frère Guillaume de Beaujeu, gran maestro dell'Ordine dei Templari, il Gran Maestro frère Nicolas Lorgues, gran maestro dell'Ordine dell'Ospitale, e il Maresciallo frère Corrado, luogotenente del Gran Maestro dell'Ospitale teutonico. La tregua ha una durata di dieci anni interi, dieci mesi, dieci giorni e dieci ore, a cominciare dal giovedì cinque di rabì primo del 682 dell'egira del Profeta, corrispondente al tre di haziràn dell'anno 1594 di Alessandro figlio di Filippo il greco (3 giugno 1283). La tregua comprende tutti gli stati di nostro signore il Sultano al-Malik al-Mansùr e di suo figlio il sultano 67 68 69 70 Tratto da “Storici arabi delle Crociate”, a cura di Francesco Gabrieli, Ed. Einaudi, 2007. Macrizi (Cairo 1364-1442) è stato un grande erudito e compilatore musulmano che ha raccolto nella sua opera “Libro del procedimento della conoscenza della storia dei re” diversi resoconti di autori arabi sulla storia degli Ayyubiti e dei Mamelucchi dal 1181 al 1436. Si tratta della tregua stipulata nel 1272 da Baybars. Oddone di Poilechien, reggente per conto di Carlo d'Angiò. 53 al-Malik as-Salih 'Alì' ad-dunya wa d-din 'Ali: rocche e castelli e territori e province e città e villaggi e seminati e terreni. E cioè71: il regno d'Egitto con tutte le sue marche e rocche e castelli musulmani, la marca di Damiata, la marca di Alessandria, Nastarawa, Santariyya, e ogni porto e lido e terra relativa; la marca di Fuwwa e di Rosetta; i paesi del Higiàz; la marca ben guardata di Gaza con tutti i suoi porti e territori; la provincia di Karak, Shawbak e territorio, as-Salt e territorio, Bostra eTterritorio; la provincia dell'Amico di Dio (Hebron) - su cui siano le benedizioni di Dio! -; la provincia della nobile Gerusalemme e suo territorio, del Giordano, di Betlemme e territorio, con ogni terra in essa inclusa e computata; Bait Gibrìl; la provincia di Naplusa e territorio; la provincia di Alatrùn e territorio, Ascalona e suo territorio, porti e coste; la provincia di Giaffa e Ramla, suo porto e territorio; Arsùf, suo territorio e porto; Cesarea, suo porto e litorale e territorio; la rocca di Qaqùn e territorio; Lidda e territorio; la zona di al-'Awgià e relative saline; la zona della felice conquista, con il suo territorio e i suoi seminati; Baisàn e suo territorio, at-Tur e territorio, ai-Lagiùn e territorio, Gìubnìn e territorio, 'Ain Gialùt e territorio, alQaimùm e territorio con tutto ciò che ne dipende; Tiberiade e il suo lago e territorio; la provincia di Safad e dipendenze; Tìbnìn e Hunìn con ogni lor terra e territorio; ash-Shaqlf, detto Shaqlf Arnùn, con territorio e dipendenze; il paese di al-Qarn e sue dipendenze, fuorché ciò che è specificato in questa tregua; la metà della città di Alessandretta e del borgo di Marùn coi lor villaggi e vigne e giardini e campi - e il resto del territorio della Alessandretta suddetta apparterrà tutto coi suoi confini e terre a nostro signore il Sultano e a suo figlio -, mentre l'altra metà andrà al Regno di Acri; al-Biqà' al-'Azizi721 è territorio, Mashghar e territorio, Shaqlf Tirùn e territorio; tutte le caverne, Zalaya e altre; Baniyàs e territorio; la rocca di as-Subaiba coi suoi laghi e il territorio; Kawkab e territorio; la rocca di 'Ageùn e 71 72 II lungo e monotono elenco che segue, enumerando all'ingrosso da sud a nord ì domini del sultano mamelucco d'Egitto, ha l'eloquenza dei fatti ove lo si confronti con la breve descrizione territoriale, un po' più innanzi, dell'altra parte contraente. Ne risulta che il «Regno di Gerusalemme» era ridotto a una esigua striscia costiera da poco a nord di Acri al Carmelo. Fuori di essa, Tiro e Sidone, Beirut e Tripoli, e qualche ultima rocca di Templari e Ospitalieri in Siria, era tutto ciò che restava dell'opera delle Crociate. L'elenco degli stati di Qalawun, a cominciare dalla Città Santa, equivale a una rassegna di tutti i territori che i Crociati avevano perduto nel corso di un secolo, o avevano invano attaccato. Al-Biqà' è la Celesiria: l'epiteto di d-'Azizì (al singolare per essersi perduta la coscienza dell'originario plurale del nome: le contrade) le venne dal Malik al-'Azlz, fìglio dì Saladino. 54 territorio; Damasco e la provincia damascena con le sue rocche e terre e distretti e territorio; la rocca di Baalbek e territorio; la provincia di Hims e territorio e confini; la provincia di Hamàt, con la sua città e rocca e terre e confini; Balàtunus e territorio; Sahyùn e territorio; Barzayya e territorio; le conquiste di Hisn al-Akràd e territorio; Safithà e territorio; Mai'àr e territorio, al-'Uraima e territorio; Maraqiyya e territorio; Halabà e territorio; la rocca di 'Akkàr e territorio e paesi; al-Quiai'a e territorio; la rocca di Shaizar e territorio, Apamea e territorio, Giàbala e territorio, Abu Qubais e territorio; la provincia di Aleppo, con tutte le rocche città paesi e castelli connessi; Antiochia e territorio, con quanto rientra nelle benedette conquiste731; Baghràs e territorio, Darbsàk e territorio, Rawandàn e territorio, Harim e territorio, 'Aintàb e territorio, Tizln e territorio, Saih al-Hadìd e territorio; la rocca di Naém e territorio, Shaqlf Dair Kush e territorio; ash-Shughr e territorio, Bakàs e territorio, as-Suwaida e territorio; alBab e Buza'a e lor territorio; al-Bira e territorio, ar-Rahba e territorio, Salamiyya e territorio, Shumaimìs e territorio, Tadmor e territorio; e tutto ciò che a queste terre si connette, specificato o no che sia, (Sicurezza è garantita a tutti questi paesi) da patte delle autorità del Regno d'Acri, e cioè il Reggente del Regno, il Gran Maestro dei Templari frère Guillaume de Beaujeu, il Gran Maestro degli Ospitalieri frère Nicolas Lorgues, e il Maresciallo frère Corrado, luogotenente del Gran Maestro degli Ospitalieri teutonici; nonché da tutti i Franchi, fratelli e cavalieri rientranti sotto la loro obbedienza e compresi nel loro Stato del Litorale; e da tutti quanti i Franchi indistintamente, stabiliti in Acri e nei territori costieri compresi nella tregua, chiunque di essi sia a giungervi per terra o per mare, di qualsiasi razza e persona. I territori di nostro signore il sultano al-Malik al-Mansùr e di suo figlio il sultano al-Malik as-Salih, i loro castelli rocche terre e villaggi ed eserciti, Arabi Turcomanni e Curdi, e i lor sudditi di qualsiasi razza, con tutti i loro averi, greggi robe raccolti e altro, non avranno a temer danno nocumento e incursione, attacco e molestia alcuna. E cosi tutto ciò che conquisterà nostro signore il sultano al-Malik al-Mansùr e suo figlio il sultano al-Malik as-Salih, di lor mano o attraverso le loro truppe e i loro luogotenenti, di paesi e castelli e rocche e province, per terra e per mare, in pianura e in montagna. Parimenti (avran sicurtà) tutti i paesi litoranei dei Franchi su cui ora è stabilita la tregua, e cioè: la città di Acri, coi suoi giardini, terreni e mulini e vigne dipendenti, coi diritti da essa percepiti nel circondario, e le terre stabilite in questa tregua, in numero di 73 Le relativamente recenti conquiste di Baibars. Non è chiaro invece quale sia «la zona della felice conquista» poco innanzi menzionata. 55 settantatré contrade coi loro seminati: il tutto in piena proprietà dei Franchi. Cosi Caifa e le sue vigne e giardini, con sette contrade dipendenti. Cosi Marina, con la terra nota con tal nome, apparterrà ai Franchi. Cosi ai Franchi apparterranno il monastero di S'ayàg’ (?) e quello di Mar Elias, Del territorio del Carmelo, nostro signore il Sultano possederà in proprio 'Afa e al-Mansura, mentre il resto, tredici contrade, sarà dei Franchi. Per Athlìth, la rocca e la città, e 1 giardini che son stati tagliati, le vigne e i colti e i terreni saranno dei Franchi, con sedici contrade; mentre sarà proprietà di nostro signore il Sultano il qui nominato villaggio di al-Haramìs, coi suoi diritti e seminati; il resto del territorio di Athlìth sarà a mezzo, fuor della parte toccante agli augusti beni privati del Sultano, con otto contrade. I fondi degli Ospitalieri in provincia di Cesarea saranno proprietà dei Franchi con tutto ciò che contengono. Metà della città di Alessandretta e del borgo di Marùn con quanto contiene sarà dei Franchi, e il resto sarà proprietà di nostro signore il Sultano; e tutti i diritti e i raccolti di Alessandretta e del borgo di Marùn saranno a mezzo. Per Sidone, la rocca e la città, le vigne e il circondario con tutto ciò che ad esso si riferisce sarà dei Franchi; essi avranno la proprietà di quindici contrade, con tutto ciò che si trova in pianura di fiumi, acque, fonti, giardini, mulini, canali, acque correnti e dighe, con cui secondo un antico uso irrigano le loro terre; il resto di tutto il territorio montano apparterrà tutto quanto a nostro signore il Sultano e a suo figlio. Tutti questi territori di Acri, e quelli specificati nella tregua, avran sicurtà da parte di nostro signore il Sultano e di suo figlio, dei suoi eserciti e truppe, sia la parte di piena proprietà sia quella a mezzo, in totale sicurtà con i loro abitanti. All’infuori di Acri, Athlìth e Sidone, e fuor delle mura di queste tre località, i Franchi non potranno rinnovare muro né rocca né fortilizio né castello, vecchio o nuovo che sia. Le galere di nostro signore il Sultano e di suo figlio, quando siano equipaggiate e prendano il mare, non potranno arrecare veruna molestia ai paesi costieri compresi in questa tregua. Quando le dette galere sian dirette contro un paese diverso da questi, il cui sovrano sia però legato da un trattato con le autorità del regno d'Acri, le galere non potranno sostare né rifornirsi nei paesi contemplati da questa tregua; mentre se il sovrano del paese contro cui si dirigono le galere non è legato da trattato con le autorità del regno d'Acri, le galere potranno farvi sosta e rifornimento. Ove, Dio guardi, una di queste galere venisse a far naufragio in un porto o sul litorale contemplato dalla tregua, se era diretta contro un alleato del Regno d'Acri e del suo Capo, il Reggente del Regno d'Acri e i Gran Maestri degli Ordini dovranno prenderla in custodia, permettere all'equipaggio di rifornirsi e riparare ai danni sofferti, e far quindi ritorno al territorio musulmano, restando annullata la rotta della nave naufragata e gettata 56 alla costa dal mare. Se invece colui verso cui muovevano le galere non è legato da alcun trattato con quelli di Acri, la nave naufragata potrà rifornirsi e riequipaggiarsi dai paesi contemplati dalla tregua, e riprender la rotta verso la destinazione prescritta. Clausola, questa, che avrà valore per entrambe le parti. Qualora uno dei Re Franchi o altri d'Oltremare si muova di lì per venire a recar danno a nostro signore il Sultano o a suo figlio nei loro paesi contemplati dalla tregua, il Reggente del Regno e i Gran Maestri di Acri saran tenuti a dar notizia dei loro movimenti a nostro signore il Sultano due mesi prima del loro arrivo; ove arrivino dopo trascorsi i due mesi, il Reggente del regno d'Acri e i Gran Maestri saranno esenti da ogni responsabilità su questo punto. Ove si muova un nemico dalla parte dei Mongoli o altri, quella delle due parti che per prima ne avesse notizia dovrà informarne l'altra. Se un nemico, Dio guardi, dalla parte dei Mongoli o altri muovesse contro la Siria per via di terra, e le truppe (sultaniali) si ritirassero dinanzi a luì, ed esso giungesse in prossimità dei territori del Litorale compresi in questa tregua, attaccandoli ostilmente, il Reggente del Regno d'Acri e i Gran Maestri avranno il diritto di provvedere con trattative, per quanto è in loro potere, alla difesa loro, dei loro sudditi e territori. Se accadesse, Dio guardi, un moto di fuga per improvviso panico da parte dei paesi musulmani verso i paesi del Litorale contemplati da questa tregua, il Reggente del Regno d'Acri e i Gran Maestri dovranno dar ricovero e protezione a questi profughi, e difenderli da chi li perseguisse ostilmente, onde possano essere sicuri e tranquilli con le loro robe. Il Reggente del Regno e i Gran Maestri dovranno dare istruzioni a tutti gli altri paesi del Litorale cui si applica questa tregua, di non permettere ai pirati di mare di rifornirsi di cibo o acqua presso di loro, e ove qualcuno ne catturassero lo trattengano, e se quelli fossero venuti a vendere delle merci li trattengano finché non giunga il legittimo proprietario e a lui siano rese. Uguali misure prenderà circa i pirati il Sultano. La chiesa di Nazareth e quattro case fra le più vicine saranno riservate per la pia visita dei pellegrini cristiani, grandi e piccoli, di qualsiasi razza e persona, provenienti da Acri e dai paesi del Litorale contemplati da questa tregua. Nella chiesa, preti e frati terranno le loro preghiere, e le case saranno riservate ai visitatori della chiesa di Nazareth, che avranno piena sicurtà di movimento sino ai confini dei paesi compresi in questa tregua. Delle pietre che son nella chiesa, quelle che si raccolgono (in quanto cadute dal loro luogo) vanno 57 buttate fuori, e non va messa pietra su pietra a scopo di ricostruire; né van cercati illegalmente doni da preti e frati su questo punto74. La tregua conteneva le pattuizioni d'uso. Quando nostro signore il Sultano ebbe giurata la tregua, l’emiro Fakhr ad-din Ayàz, amìr hag’ib, e il cadi Badr ad-din ibn Razìn andarono a prendere il giuramento dei Franchi. Questi giurarono, e l'accordo restò cosi concluso. FORMULA DEL GIURAMENTO PRESTATO DAL SULTANO PER QUESTA TREGUA (Ibn al-Furàt) Per Allah per Allah per Allah, in nome di Allah di Allah di Allah, teste Allah Allah Allah, grande e perseguente, nuocente e giovante, raggiungente ed esiziale, conoscitore di ciò che appare e di ciò che è celato, del segreto e del manifesto, misericordioso e clemente; per il Corano e Colui che l'ha rivelato e Colui a cui fu rivelato, Mohammed figlio di Abdallàh cui Dio salvi e benedica, e per quanto in esso è detto, capitolo per capitolo, versetto per versetto; per il mese di ramadan: io m'impegno a mantenere questa tregua benedetta, stipulata fra me e il regno d'Acri e i Gran Maestri ivi residenti; tregua che comprende Acri Athlìth e Sidone col relativo territorio qui compreso. La durata della tregua sarà di dieci anni dieci mesi dieci giorni e dieci ore, a partire dal giovedì cinque rabí' primo dell'anno dell'egira 682. Io osserverò la tregua dal principio alla fine, la manterrò e mi atterrò a tutte le condizioni in essa esposte, regolandomi secondo le sue norme fino allo spirare del tempo da essa previsto. Non cavillerò su di essa né su cosa alcuna che essa contenga, e non solleciterò responsi legali al fine di romperla, sino a che le autorità di Acri Sidone e Athlìth, cioè il Reggente del Regno d'Acri, il Gran Maestro del Tempio e quello dell'Ospitale, e il luogotenente del Gran Maestro dell'Ospitale teutonico, sia gli attuali sia chi a loro succederà nella reggenza del Regno e a capo degli Ordini nel regno suddetto, manterranno il giuramento che ora essi prestano a me, a mio figlio al-Malik as-Salin e agli altri miei figli, sulla stabilità di questa tregua ora redatta, applicandone le condizioni in essa esposte fino alla sua scadenza, e attenendosi alle sue norme. Se io dovessi venir meno a questo giuramento, sarò tenuto ad andare in pellegrinaggio per trenta volte scalzo e a capo scoperto alla Casa dì Dio alla Mecca, e a digiunare per tutto il tempo (relativo), fuor dei giorni in cui ciò è proibito. Menzionate le altre clausole del giuramento, conclude: e Allàh è garante di ciò che qui noi diciamo. 74 II diritto musulmano tollera l'esistenza di chiese cristiane in terra d'Islàm, ma non ne ammette il restauro o la costruzione ex novo. Naturalmente, per concedere in pratica tali restauri, le autorità locali spremevano « donativi » dai clero. 58 FORMULA DEL GIURAMENTO DEI FRANCHI (Ibn al Furàt) Per Iddio per Iddio per Iddio, in nome d'Iddio d'Iddio d'Iddio, teste Iddio Iddio Iddio, per il Messia il Messia il Messia, per la Croce la Croce la Croce, per le tre Persone d'un'unica sostanza, denominate il Padre il Figlio e lo Spirito Santo e formanti un unico Dio; per la Divinità venerabile dimorante nella augusta Umanità, per il puro Evangelo e ciò che esso contiene, per i quattro Evangeli trasmessi da Matteo Marco Luca e Giovanni, per le loro preghiere e benedizioni; per i dodici Apostoli e i settantadue Discepoli e i trecentodiciotto (Padri di Nicea) congregati nella Chiesa; per la voce che discese dal cielo sul fiume Giordano e ne ricacciò indietro i flutti; per Iddio rivelatore dei Vangelo a Gesù figlio di Maria, Spirito e Verbo di Dio; per la Madonna, santa Maria madre delia Luce; per Giovanni il Battista; per santa Marta e Maria; per la Quaresima; per la mia fede e il Dio da me adorato, e i dogmi cristiani in cui credo, e per quanto mi è stato inculcato dal Padri e dai Preti che mi han battezzato. Da questo momento e da quest'ora, consacro tutta la mia intenzione e il mio intimo proposito a mantenete al sultano al-Mansùr, a suo figlio al-Malik as-Salih e ai loro figli tutti gli impegni compresi in questa tregua benedetta, per cui si è conclusa la pace, valevole per il Regno d'Acri Sidone Athlith e territori relativi, inclusi in questa tregua e ivi specificati. Durata della tregua saranno dieci anni interi, dieci mesi, dieci giorni e dieci ore, a datare dal giovedì tre del mese di haziràn dell'anno 1594 di Alessandro figlio di Filippo il Greco. Io applicherò tutte le pattuizioni ivi enunciate, una per una, e mi impegno a tener fede a ogni clausola compresa nella detta tregua fino alla sua scadenza. Per Iddio Iddio Iddio, per il Messìa e la Croce e la mia fede, io non arrecherò danno né molestia alcuna agli Stati del Sultano e di suo figlio, né ai popoli tutti che essi comprendono o comprenderanno, né a quanti da essi vengono ai paesi compresi in questa tregua, nelle persone e negli averi. Per Iddio, per la mia fede e per Colui che adoro, io seguirò nella leale osservanza del patto e della tregua, nella schietta amicizia, nella tutela della popolazione musulmana e di quanti vengono e vanno dagli Stati del Sultano, la via di chi è sincero confederato e si obbliga a evitare ogni molestia e atto ostile verso le persone e gli averi. Mi obbligo a tener fede a tutte le pattuizioni di questa tregua fino alla sua scadenza, sino a che il Malik al-Mansùr terrà fede al giuramento da lui prestato su questa tregua stessa. Io non mancherò a questo mio giuramento e a nessuna sua parte, né vi farò eccezione veruna e a nessuna sua parte, con l'intento di violarlo. Ove vi contravvenissi o lo violassi, sarò sciolto dalla mia religione e fede e dal Dio che adoro, e ribelle alla Chiesa; sarò tenuto a far trenta pellegrinaggi alla nobile Gerusalemme, scalzo e a capo scoperto; dovrò liberare mille prigionieri musulmani dalla prigionia dei Franchi, e sarò sciolto dalla Divinità discesa nell'Umanità. Questo è il mio giuramento, di me Tal dei Tali. La mia intenzione in tutto ciò è la stessa del sultano ai-Malik al-Mansùr e di suo figlio al-Malik as-Salih, e di chi per mio conto giura la tregua dinanzi a loro sul 59 nobile Vangelo. Non ho altra intenzione che questa. E Iddio e il Messia son garanti di ciò che noi qui diciamo. __________ Ricostruzione di un trabucco 60 ALLEGATO 2 CADUTA DI ACRI (Abu l-Fidà')75 Nel 690 (1291) il sultano al-Malik al-Ashraf marciò con le truppe egiziane su Acri, e mandò ordine alle truppe sire di presentarsi portando con sé le macchine d'assedio. Cosi il signore di Hamàt alMalik al-Muzaffar si mise in marcia, con suo zìo al-Malik al-Afdal e tutto l'esercito di Hamàt, alla volta di Hisn al-Akràd, dove prendemmo in consegna una gran catapulta a nome «la Mansurita», del carico di cento carri. (Smontata, i suoi pezzi) furon distribuiti fra l'esercito di Hamàt; e la parte che fu consegnata a me fu di un solo carro, giacché allora ero «emiro di decina». La nostra marcia coi carri si svolse alla fine dell'inverno; piogge e neve ci colsero tra Hisn al-Akràd e Damasco, onde, per la trazione dei carri e la debolezza dei buoi che morivano dal freddo, avemmo a sopportare gravi disagi. Per causa dei carri, impiegammo un mese di marcia per andare da Hisn al-Akràd ad Acri, che è normalmente un cammino di otto giorni a cavallo. Così il Sultano ordinò del pari che da tutte le rocche si traessero le catapulte e gli attrezzi d'assedio verso Acri, sotto cui venne a concentrarsi una quantità mai raccolta altrove di macchine d'assedio grandi e piccole. Le truppe musulmane giunsero sotto Acri ai primi di giumada primo di quest'anno (primi di maggio 1291), e si accese violenta la battaglia. I Franchi non chiusero la maggior parte delle porte, che erano anzi spalancate, ed essi vi combattevano a difesa. Il posto di combattimento di quei di Hamàt era secondo il loro solito all'estrema ala destra: ci trovavamo quindi sul lido del mare, col mare sulla nostra destra quando avevamo la fronte rivolta ad Acri; ed eravamo attaccati da imbarcazioni protette da incastellature a volta di legno, e rivestite di pelli di bufalo, da cui ci bersagliavano con frecce e balestre. Cosi ci trovavamo a combattere di fronte contro la città, e sulla destra dal mare. Mosse contro di noi una nave con su montata una catapulta che ci colpiva, noi e le nostre tende, dalla parte del mare; e ci trovammo in grave imbarazzo, sinché una notte non si scatenarono venti violenti, per cui quella nave prese a sollevarsi e ricadere sballottata dalle onde: la catapulta che vi era su si ruppe andando in pezzi, e non fu più rimontata, Nel corso di quest'assedio, i Franchi fecero di notte una sortita di sorpresa sui nostri, misero in fuga gli avamposti e giunsero alle tende, 75 Vedi nota 55. 61 impigliandosi nei cordami: un cavaliere cadde nella fossa delle latrine d'un corpo al comando di uno degli emiri, e ivi fu ucciso. Affluite le nostre truppe in numero soverchiale, i Franchi dettero di volta e si rifuggirono nella terra, lasciando alcuni morti ad opera delle truppe di Hamàt. La mattina dopo, il Malik al-Muzaffar signore di Hamàt fece attaccare un certo numero di teste di Franchi al collo dei loro cavalli catturati dai nostri, e le presentò al sultano al-Malik al-Ashraf. L'assedio si fece sempre più stretto fino a che Iddio non concesse agli assediati dì espugnar la città, il venerdì diciassette giumada secondo (17 giugno 1291). Allorché i Musulmani la presero d'assalto, una parte della popolazione fuggi sulle navi. Nell'interno della terra c'era un certo numero di torri fortemente munite, in cui entrarono e si fortificarono una quantità di Franchi. I Musulmani fecero in Acri una strage e una preda innumerevole. Quindi il Sultano costrinse alla resa tutti quelli che avevan fatta resistenza nelle torri, che vennero giù fino all'ultimo e furono fino all'ultimo decapitati fuori della città e ordinò di demolire la città stessa, che fu rasa al suolo. Una coincidenza meravigliosa fu che i Franchi si impadronirono d'Acri togliendola a Saladino sul mezzogiorno del venerdì diciassette giumada secondo del 587, e catturarono e poi uccisero tutti i Musulmani che vi trovarono; e Iddio nella Sua prescienza destinò che essa fosse riconquistata quest'anno, il venerdì diciassette giumada secondo, per mano dì un altro Saladino, il sultano al-Malik al-Ashraf. Conquistata che fu Acri, Iddio gettò lo sgomento nel cuore dei Franchi rimasti sul litorale di Siria: essi sgombrarono quindi Sidone e Beirut, che prese in consegna (l'emiro) ash-Shugia'i alla fine di ragiab (fine luglio). Cosi anche la popolazione di Tiro scappò via, e il Sultano mandò a occuparla; poi ricevè la resa di 'Athlìth il primo di sha'bàn (30 luglio), poi quella di Tortosa il cinque dello stesso mese, sempre nel medesimo anno. Questo Sultano ebbe così la buona sorte che nessun altro aveva avuto, di conquistare senza fatica e senza colpo ferire queste grandi e salde terre, che per suo ordine furono sino all'ultima diroccate. Con queste conquiste, tutte le terre del Litorale tornarono integralmente in possesso dell'Islàm, un risultato che non si osava sperare e desiderare. Cosi tutta la Siria e le zone costiere furono purificate dei Franchi, dopo che essi erano stati sul punto di conquistare l'Egitto, e di insignorirsi di Damasco e altre terre. Sia lode a Dio! ________ 62 BIBLIOGRAFIA George Bordonove, “Le crociate e il regno di Gerusalemme”, Bompiani, 2001. Jonathan Phillips, “Sacri guerrieri - La straordinaria storia delle crociate”, Laterza, 2013. “Cronaca del Templare di Tiro (1243-1314)”, a cura di Laura Minervini, Liguori Editore, 2005. Renè Grousset, “La storia delle crociate”, Piemme, 2003. Vittorangelo Croce, “I Templari e la fine del regno di Gerusalemme”, Newton & Compton Editori, 2003. J. Chanoine, “Histoire critique et apologètique de l’ordre des chevaliers du temple de Jèrusalem”, Paris, 1789. Alain Demurger, “I Templari”, Garzanti, 2006. Aldo Colleoni, “I cristiani e la Mongolia – 400-2010”, Ed. Italo Svevo, 2012. “Chronique d’Ernoul et de Bertrand le Trèsorier”, a cura di M. L. De Mas Latrie, Paris, 1871. Piers Paul Read, “La vera storia dei Templari”, Newton & Compton Editori. Jean Richard, “La grande storia delle crociate”, Newton & Compton Editori. 63 Filippo Grammauta. Laureato in Ingegneria Civile con lode, vive e lavora a Roma. Per la rivista internazionale Grand Tour ha pubblicato diversi editoriali sui “Percorsi Giubilari in Sicilia”, “Il Porto di Palermo”, “Le cave di Cusa”, ecc.. Cultore della Storia antica e moderna, ha pubblicato diversi articoli sui Templari, tra i quali: “La verità dei Templari”, “Il privilegio pontificio OMNE DATUM OPTIMUM”, “La pergamena di Chinon”, “L’ARRESTO DEI TEMPLARI: I martiri di una Giustizia soffocata da vili interessi economici”, “PASTORALIS PRAEMINENTIAE: La bolla pontificia che segnò l’inizio della fine dei Templari”, “La bolla pontificia VOX IN EXCELSO”, “Il destino degli ultimi Templari” e “La lettera di Hugo Peccator”. Recentemente ha pubblicato il libro dal titolo: “IL TEMPIO DI GERUSALEMME: Mille anni di storia del popolo ebraico”, presentato al XXVIII Salone Internazionale del Libro di Torino. Ha tenuto molte conferenze ed ha partecipato a diversi convegni sui Templari. È socio fondatore e Segretario Generale dell’Accademia Templare-Templar Academy di Roma, Associazione di Promozione Sociale che si propone di approfondire e diffondere la conoscenza delle varie discipline della cultura. Filippo Tarantino. Nato e cresciuto a Palermo, si è specializzato in sistemi radiotecnici e radiotelevisivi, ha maturato diverse esperienze lavorative all’interno dell’ENEL quale tecnico specialista nella gestione immobiliare. Da sempre sensibile alle tematiche sociali, tra il 2000 ed il 2007 ha scritto diversi articoli per i periodici palermitani “Arenella News” e “Luce del Faro”, organizzando anche il convegno “MONTE PELLEGRINO: La sua costa e il mare”. Fondatore e socio dell’associazione “Pro Arenella”, nonché cofondatore e Presidente dell’Associazione ONLUS “Antonio Caponnetto”, ha organizzato e coordinato, nel quartiere palermitano dell’Arenella, definito “difficile”, attività culturali e ludiche a favore della comunità locale. Da alcuni anni si dedica, con apprezzabile entusiasmo ed impegno, allo studio della storia del medioevo. ACCADEMIA TEMPLARE – TEMPLAR ACADEMY Associazione di Promozione Sociale Viale Regina Margherita, n° 140, 00198 Roma C.F.: 97656900582 –Tel. 06/88 48 530; Cell. 346/850 22 30 www.accademiatemplare.it ; E-mail: [email protected] 64