Laboratorio potenziamento

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Laboratorio potenziamento
“La complessa relazione fra i sogni e il mondo”
SONO SEMPRE I SOGNI A DARE FORMA AL MONDO (L. Ligabue)
Io non lo so
Quanto tempo abbiamo
Quanto ne rimane
Io non lo so
Che cosa ci può stare
Io non lo so
Chi c'è dall'altra parte
Non lo so per certo
So che ogni nuvola è diversa
So che nessuna è come te
Io non lo so
Se è così sottile
Il filo che ci tiene
Io non lo so
Che cosa manca ancora
Io non lo so
Se sono dentro o fuori
Se mi metto in pari
So che ogni lacrima è diversa
So che nessuna è come te
Sono sempre I sogni a dare forma al mondo
Sono sempre I sogni a fare la realtà
Sono sempre I sogni a dare forma al mondo
E sogna chi ti dice che non è così
E sogna chi non crede che sia tutto qui
Io non lo so
Se è già tutto scritto
Come è stato scritto
Io non lo so
Che cosa viene dopo
Io non lo so
Se ti tieni stretto
Ogni tuo diritto
So che ogni attimo è diverso
So che nessuno è come te
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E a giornata finita
A stanchezza salita
A salute brindata
Provi a fare I conti
A giornata finita
Alla fine capita
A preghiera pensata
Tu ti prendi il tempo che
Sono sempre I sogni a dare forma al mondo
Sono sempre I sogni a fare la realtà
Sono sempre I sogni a dare forma al mondo
E sogna chi ti dice che non è così
E sogna chi non crede che sia tutto qui
Dal film UN SOGNO PER DOMANI (regia di M. Leder)
Professore Simonet: “C’è un mondo là fuori e anche se decidete di non volerlo incontrare
comunque vi colpirà dritto in faccia. Credetemi. Dunque, è meglio cominciare a pensare al
mondo ora, a cosa vuol dire per voi. Che significa il mondo per ognuno di voi? Coraggio,
vorrei una classe che partecipa qui. È solo da quest’aula che volete tirarvi fuori? Da casa
vostra? Dalla vostra strada? Nessuno di voi vuole spingersi oltre? […] Cos’è che il mondo si
aspetta da noi?
Trevor McKinney: “Aspettarsi?”
Professore S.: “Da te! Cos’è che il mondo si aspetta da te?”
Trevor McKinney: “Niente”
Professore S.: “Niente… Mio Dio, ragazze e ragazzi, ha assolutamente ragione […] Siete
incastrati proprio qui nella seconda media… Ma non per sempre, perché un giorno sarete
liberi […] E se il mondo è un’enorme delusione?”
Alunno: “Siamo fregati”
Professore S.: “A meno che… A meno che non prendete le cose che non vi piacciono di
questo mondo e le sbattete via facendole finire per terra sulle chiappe […] E potete
cominciare a farlo oggi: questo è il vostro compito. Avrete un voto e vale per tutto l’anno.”
(La classe rumoreggia)
Professore S.: “[…] Cosa c’è che non va? Qual è il problema?”
Alunna: “È tipo così…”
Professore S.: “Così come? Ci sarà una parola per finire la frase… Qualcuno l’aiuti!”
Alunni vari: “Strano… Pazzesco… Faticoso… Barboso”
Professore S.: “ […] Che ne dite di ‘possibile’? È possibile! Il regno della possibilità esiste:
dove? In ognuno di voi, qui (indica la testa). Perciò potete farlo, potete sorprenderci,
spetta a voi, o potete starvene impalati e lasciarlo atrofizzare.”
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NON RESPINGERE I SOGNI (P. Salinas)
Non respingere i sogni perché sono sogni.
Tutti i sogni possono
essere realtà, se il sogno non finisce.
La realtà è un sogno. Se sogniamo
che la pietra è pietra, questo è la pietra.
Ciò che scorre nei fiumi non è acqua,
è un sognare, l'acqua, cristallina.
La realtà traveste
il sogno, e dice:
"Io sono il sole, i cieli, l'amore".
Ma mai si dilegua, mai passa,
se fingiamo di credere che è più che un sogno.
E viviamo sognandola. Sognare
è il mezzo che l'anima ha
perché non le fugga mai
ciò che fuggirebbe se smettessimo
di sognare che è realtà ciò che non esiste.
Muore solo
un amore che ha smesso di essere sognato
fatto materia e che si cerca sulla terra
LUCE PERFETTA (M. Fois)
«Luigi Ippolito nemmeno si accorse di salire, se non fosse stato per un vago
incidente del respiro che accorciava via via. Poi capì che in basso, a valle, le mine antiuomo
saltavano addosso lampeggiando, e si accorse, grazie a quei bagliori istantanei, di essere
completamente solo. Sentì dei colpi sfiorarlo e andare a schiantare la roccia. Si tastò il
petto per sincerarsi di non essere ferito. [...] Non era ferito, ma in quel buio totale, senza
stelle, senza luna, si sentì perduto. Finché, dalla valle sottostante, o dal fianco di una
montagna vicina, non si originò un cono di luce persistente che l'investì infilandosi nella
notte violacea; quella scia luminosa risvegliò qualche cespuglio d'artemisia e agrifoglio in
sonno, produsse un pulviscolo brillante che andò a disperdersi fino all'infinito oltre i
caprifogli.
E fu allora che se la trovò davanti. Erminia Sut. Nome e cognome: nei sogni si
possono conoscere perfettamente i nomi e i cognomi delle persone prima ancora che esse
stesse li pronuncino. Erminia dunque era lì, in piedi, raggelata come se anche lei avesse
sentito l'imperativo di salvarsi nell'immobilità. I suoi occhi colpiti in pieno dall'esplosione
luminosa rimandarono una curiosità senza inquietudine, come capita a quelle bestie che
ancora credono alla bontà degli umani.
Lei non fuggì e lui non fuggì. Luigi Ippolito poteva dire con certezza, come una
percezione prima di qualunque percezione, di conoscere la donna che aveva davanti; e
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poteva proclamare di non aver mai considerato la perfezione della natura fino a quei
termini di evidenza assoluta. Il fascio di luce si spostò verso il basso, leccando il suolo,
come per illuminare il sentiero dietro a lei. E lei ancora non si mosse, sapeva che da quello
stesso anfratto da dove si era palesato Luigi Ippolito Chironi (anche lei, incredibilmente, nel
sogno di Cristian conosceva cose impossibili da conoscere), secoli prima era comparsa la
vergine Maria alla pastorella Orsola Ferligoi. Sapeva che da quell'uomo amato non poteva
arrivarle nessun pericolo...
È così che avvenne? È così che Luigi Ippolito Chironi da Nuoro incontrò Erminia Sut
da Cormons? Nel sogno fu così.
"Finì che grazie all'oscurità e al buio prendemmo il monte", concluse Luigi Ippolito.
Sentiva arrivare quella tristezza precisa che lo assaliva quando ripensava alla prima volta
che aveva visto la donna della sua vita. Era quell'angoscia che l'aveva fatto impazzire. Era
stato correre, estenuarsi, dubitare prima che il fascio di luce illuminasse la sua donna,
prima che lei gli allungasse la mano per portarlo al centro di se stesso; prima che lei gli
rivelasse che era esattamente lì che lui doveva arrivare. E persino ora che erano morti,
dopo un soffio appena di vita in comune, nel sogno frantumato di Cristian, lei appariva
immobile, davanti a lui a indicargli il cammino per raggiungerla. Bellissima...»
ANIMA MIA (N. Hikmet)
Anima mia,
chiudi gli occhi
piano piano
e come s’affonda nell’acqua
immergiti nel sonno
nuda e vestita di bianco
il più bello dei sogni ti accoglierà.
Anima mia
chiudi gli occhi
piano piano
abbandonati come nell’arco delle mie braccia
nel tuo sonno non dimenticarmi
chiudi gli occhi piano piano
i tuoi occhi marroni
dove brucia una fiamma verde anima mia.
SONETTO 43 (W. Shakespeare)
Quanto più chiudo gli occhi, allora meglio vedono,
perché per tutto il giorno guardano cose indegne di nota;
ma quando dormo, essi nei sogni vedono te,
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e, oscuramente luminosi, sono luminosamente diretti nell'oscuro.
Allora tu, la cui ombra le ombre illumina,
quale spettacolo felice formerebbe la forma della tua ombra
al chiaro giorno con la tua assai più chiara luce,
quando ad occhi senza vista la tua ombra così splende!
Quanto, dico, benedetti sarebbero i miei occhi,
guardando a te nel giorno vivente,
quando nella morta notte la tua bella ombra imperfetta,
attraverso il greve sonno, su ciechi occhi posa!
Tutti i giorni sono notti a vedersi, finché non vedo te,
e le notti giorni luminosi, quando i sogni si mostrano a me.
IL SOGNO DI GIUSEPPE (Matteo 1, 18-24)
«Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa
di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito
Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in
segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un
angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te
Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà
un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo
del profeta: “Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele,
che significa Dio con noi”. Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato
l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa».
I SOGNI DEL FARAONE (Genesi 41, 1-8)
«Il faraone sognò di trovarsi presso il Nilo. Ed ecco salirono dal Nilo sette vacche grasse,
belle di aspetto, e si misero a pascolare tra i giunchi. E dopo quelle, altre sette vacche
salirono dal Nilo, brutte di aspetto e magre, e si fermarono accanto alle prime vacche sulla
riva del Nilo. Ma le vacche brutte di aspetto e magre divorarono le sette vacche belle di
aspetto e grasse. E il faraone si svegliò. Poi si addormentò e sognò una seconda volta: ecco,
sette spighe spuntavano da un unico stelo, grosse e belle. Ma, ecco, sette spighe vuote e
arse dal vento d’oriente spuntavano dopo quelle. Le spighe vuote inghiottirono le sette
spighe grosse e piene. Poi il faraone si svegliò: era stato un sogno. Alla mattina il suo spirito
ne era turbato, perciò convocò tutti gli indovini e tutti i saggi dell’Egitto. Il faraone
raccontò loro il sogno, ma nessuno di loro seppe interpretare».
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IL SOGNO DI NABUCODONOSOR (Daniele, 4, 1-4)
«Io, Nabucodonosor, ero tranquillo in casa e felice nella reggia, quando ebbi un sogno che
mi spaventò. Le immaginazioni che mi vennero mentre ero nel mio letto e le visioni che mi
passarono per la mente mi turbarono. Feci un decreto in cui ordinavo che tutti i saggi di
Babilonia fossero condotti davanti a me, per farmi conoscere la spiegazione del sogno.
Allora vennero i maghi, gli astrologhi, i caldei, gli indovini, ai quali esposi il sogno, ma non
me ne potevano dare la spiegazione. Infine mi si presentò Daniele.»
LA TREGUA (P. Levi)
«Giunsi a Torino il 19 di ottobre, dopo trentacinque giorni di viaggio: la casa era in piedi,
tutti i familiari vivi, nessuno mi aspettava. Ero gonfio, barbuto e lacero, e stentai a farmi
riconoscere. Ritrovai gli amici pieni di vita, il calore della mensa sicura, la concretezza del
lavoro quotidiano, la gioia liberatrice del raccontare. Ritrovai un letto largo e pulito, che a
sera (attimo di terrore) cedette morbido sotto il mio peso. Ma solo dopo molti mesi svaní
in me l’abitudine di camminare con lo sguardo fisso al suolo, come per cercarvi qualcosa da
mangiare o da intascare presto e vendere per pane; e non ha cessato di visitarmi, ad
intervalli ora fitti, ora radi, un sogno pieno di spavento. È un sogno entro un altro sogno,
vario nei particolari, unico nella sostanza. Sono a tavola con la famiglia, o con amici, o al
lavoro, o in una campagna verde: in un ambiente insomma placido e disteso,
apparentemente privo di tensione e di pena; eppure provo un’angoscia sottile e profonda,
la sensazione definita di una minaccia che incombe. E infatti, al procedere del sogno, a po
co a poco o brutalmente, ogni volta in modo diverso, tutto cade e si disfa intorno a me, lo
scenario, le pareti, le persone, e l’angoscia si fa piú intensa e piú precisa. Tutto è ora volto
in caos: sono solo al centro di un nulla grigio e torbido, ed ecco, io so che cosa questo
significa, ed anche so di averlo sempre saputo: sono di nuovo in Lager, e nulla era vero
all’infuori del Lager. Il resto era breve vacanza, o inganno dei sensi, sogno: la famiglia, la
natura in fiore, la casa. Ora questo sogno interno, il sogno di pace, è finito, e nel sogno
esterno, che prosegue gelido, odo risuonare una voce, ben nota; una sola parola, non
imperiosa, anzi breve e sommessa. È il comando dell’alba in Auschwitz, una parola
straniera, temuta e attesa: alzarsi, «Wstawaç».
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