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Religiosità e Nuove Tecnologie Psicologia e Religione nell’era della Rivoluzione Tecnologica Roma 4 aprile 2009 VIRTUALE E REALE NELL’ESPERIENZA RELIGIOSA Patrizio Romano Dell’Anna Introduzione “l’ingiusto avrebbe potuto seguire la propria strada di nequizie, svincolato dalle aspirazioni e dalle pastoie del virtuoso gemello; al giusto sarebbe stato dato altresì di procedere spedito e sicuro nel suo nobile intento, compiendo quelle buone azioni che lo avessero gratificato, senza essere più esposto alla gogna e al vituperio di un sordido compagno a lui estraneo. […] Come fare, allora, a separarli?” Robert Louis Stevenson - “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde” Stiamo assistendo ad un evento nuovo, senza precedenti nel mondo dell’informazione in cui viviamo; tutti i diversi media stanno convergendo in uno solo: Internet. La radio, la televisione, la stampa, l’editoria; tutta la pubblicistica è su Internet. Grazie all’enorme flessibilità - che lo fa somigliare ad uno dei virus che lo infestano - Internet sta inglobando ogni forma di comunicazione conosciuta: iniziò come comunicazione di massa, oggi contiene una consistente fetta di tutte le comunicazioni individuali dei paesi industrializzati. La posta e il telefono viaggiano su Internet; è dunque là, ora, che si svolge una consistente parte delle relazioni tra individui, gruppi organizzazioni. Interroghiamoci sui motivi di questa convergenza. Tra i più importanti è certamente il fatto che il pubblico, la gente, già da tempo “abita” il web nelle sue forme più differenti e i mezzi di comunicazione oggi ne stanno seguendo l’onda. Assieme alla comunicazione, all’interno della neo-Comunicazione Web già da tempo si manifestano sotto nuove forme, fenomeni che, pur esistendo in parte all’interno di un ambiente virtuale, è necessario riconoscere come aspetti di Cultura, Etica, Morale, Spiritualità, Psicologia. Accanto, come nel mondo reale, tali fenomeni portano con sé un lato oscuro, i così detti “avatar” che si manifestano in nuove alienazioni, visioni distorte dei valori, sette e religioni business oriented, e altrettante forme sociopatologiche e psicopatologiche. Malgrado ciò, assieme a tante nuove paure, notiamo emergere nuove opportunità di crescita e di evoluzione dell’etica e dello spirito umano. Internet può essere l’occasione di un nuovo rinascimento basato (forse paradossalmente) su un umanesimo tecnologico; è nostro compito accedere e contribuire a orientare questo sviluppo. Nel 1886 Robert Louis Stevenson scrisse in “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”: “… l’intrinseco dualismo delle mie intenzioni gravava su di me come una maledizione, e mentre i miei propositi di pentimento cominciavano a perdere mordente, la parte peggiore di me, così a lungo appagata, e di recente messa alla catena, prese a ringhiare. (...) e come accade a chi persegue vizi privati, alla fine cedetti agli assalti delle tentazioni. (...) e questa breve condiscendenza al male che avevo in me finì per distruggere l’equilibrio della mia anima.” Il 30 ottobre 1938 il ventitreenne Orson Welles interpretò alla radio un adattamento del romanzo di fantascienza “la guerra dei mondi” di H.G. Wells. L’evento rimase scritto negli annali della storia dei media per il panico che riuscì a scatenare e la diffusione su un ampio pubblico di ascoltatori. In seguito Welles dichiarò: “Furono le dimensioni della reazione ad essere sbalorditive. Sei minuti dopo che eravamo andati in onda le case si svuotavano e le chiese si riempivano; da Nashville a Minneapolis la gente alzava invocazioni e si lacerava gli abiti per strada. Cominciammo a renderci 2 conto, mentre stavamo distruggendo il New Jersey, che avevamo sottostimato l'estensione della vena di follia della nostra America.” Molti americani, in seguito a quello che fu considerato uno scherzo di pessimo gusto, tre anni dopo non diedero alcun credito alla notizia di un attacco giapponese alla base di Pearl Harbor. Questi due eventi - l’opera letteraria di profondo significato psicologico e quella resa anche più significativa per le conseguenze immediate osservabili – li ritengo esemplari, in quanto vi si prefigura ciò che è sotto i nostri occhi: Internet, la nascita di realtà parallele supportate da un’avanzatissima tecnologia informatica, e i fenomeni sociali e psicologici che portano con sé. Nel romanzo di Stevenson c’è il fallimento del tentativo dello scienziato di controllare il dualismo della natura umana mediante la separazione artificiale; il risultato di questo tentativo, riuscito solo superficialmente eppure fin troppo completo dal punto di vista fisiologico, è l’accentuazione dei più bassi istinti, personificati nell’orrido Hyde e della battaglia fra questi e le istanze morali e culturali; fallimento che porta al tragico epilogo. Quanto avvenne in una radio del New Jersey alla fine degli anni ’30 è una pietra miliare, la prima manifestazione dei media e del loro potere immaginifico sulla collettività. Tanto più significativo in quanto non fu organizzato, ma accidentale, il fatto provocò fenomeni di isteria di massa. Il primo caso dell’era tecnologica nel quale un’evento fittizio diffuso da un media riesce, non semplicemente ad evocare la realtà, ma si sostituisce a essa nella mente di chi riceve l’informazione: le persone credettero a ciò che la radio diceva in quanto la trasmissione era costruita per sembrare reale, con interventi dal luogo dello sbarco alieno intermezzati da normali trasmissioni radiofoniche. Il fenomeno, divenuto icona nella storia dei media, per la sua portata diede luogo a innumerevoli rivisitazioni e citazioni in altre forme e in altri media ancora oggi. 3 Dalla re-Incarnazione alla re-Identificazione: il frutto virtuale del misticismo tecnologico “Avatar” è un termine derivato dal sanscrito e significa "disceso"; incarnazione di un essere superiore in un corpo fisico al fine di svolgere determinati compiti. Gli dei nelle religioni antiche o nella mitologia sono stati rappresentati spesso in forma di “disceso” fra di noi come umani dall’aspetto straordinario, oppure in forme animali: dalle rappresentazioni zoomorfe - come Anubis nell’antico Egitto e il dio-serpente delle civiltà pre-colombiane - alle rappresentazioni simboliche e chimeriche dell’era cristiana – agnelli, pesci, spiriti angelici alati o demoniaci cornuti. Rappresentazioni ancestrali della spiritualità che trovano sorprendenti somiglianze con quelle adottate da individui che oggi, nel terzo millennio, costruiscono in tali forme la propria immagine per interagire in mondi irreali come Second Life. Second Life e gli universi 3D – i cosidetti “metaversi”(1)– sembra rappresentino in forma virtuale la “discesa” dell’uomo. Ipotizzare quale possa essere lo scopo – e quali le conseguenze – di questo fenomeno è questione di profondo interesse scientifico, psicologico e spirituale. La re-incarnazione, simbolo comune a diverse religioni e fondamentale dogma nel cristianesimo sta assumendo un nuovo significato proprio nella civiltà occidentale che con il cristianesimo è nata e cresciuta nei secoli. L’uomo può farsi “avatar”. Non a seguito di un’evoluzione genetica o spirituale che lo abbia dotato di poteri soprannaturali o facoltà simili a quelle divine, ma sfruttando il potere della tecnologia si concede esperienze alternative in ambienti virtuali. Può incontrare a distanza altri individui, scambiare con loro informazioni, in una parola interagire anche senza essere riconosciuto per il proprio nome, la propria vita, il background culturale e sociale; può “essere” virtualmente ciò che vuole, modificando, omettendo in parte e persino stravolgendo le informazioni che lo identificano. Avatar, alter ego, altro da sé: l’individuo che oggi naviga in internet rispetto a quello che lo faceva 10 anni fa dispone di spazi e strumenti di interazione che vanno sotto il nome di “web 2.0” (2); anche il web ha avuto una seconda nascita, una sua reincarnazione, nella quale i flussi economici e tecnologici hanno privilegiato lo sviluppo delle opportunità di interagire, di scambiare informazioni in tempo reale, di “fare cose” l’uno con l’altro con la stessa efficacia che se si stessero facendo realmente – a partire, naturalmente, da acquisti e pagamenti. Questa virtuale socializzazione - nell’era dei “social network”: reti sociali, portali massivi come MySpace, Facebook o strumenti come Twitter - mette in condizioni ognuno di noi di incontrare e di essere incontrato, non altrettanto di essere conosciuto realmente. L’aumento esponenziale della possibilità di comunicare – statistiche su facebook hanno calcolato punte di un milione e mezzo di visitatori al giorno – porta con sé la diminuzione della garanzia di attendibilità delle informazioni sulla persona, in virtù dell’infinita gamma di luoghi nei quali è possibile incontrarla in forme e identità più o meno fittizie – chatroom, arene di videogiochi MMORPG (3), ambienti tridimensionali come Second Life, social network – e della totale assenza di un sistema univoco di riconoscimento analogo a quelli della vita reale. Il potere di essere virtualmente ovunque esige un prezzo: la responsabilità del proprio essere “IO”. “L’identità tra la propria immaginazione e il proprio mondo rischia così di diventare una forma di alienazione che prescinda dal rapporto con la realtà. […]L’immaginazione rischia di diventare «evasione», spinta alla fuga. Nella simulazione, in particolare, l’uomo tende a identificarsi nel mito di se stesso, nella storia che vorrebbe vivere, nei suoi desideri. Ci può essere una sorta di sfiducia e di rassegnazione nell’optare per la simulazione rispetto alla «prima vita» ” [A. Spataro – “Second 4 Life: il desiderio di un’altra vita” in http://www.laciviltacattolica.it/Quaderni/2007/37713772/Articolo%20Spadaro.html] Possiamo definire re-Identificazione un processo di ri-costruzione dell’identità di un individuo attuato per interagire attraverso le moderne interfacce tecnologiche; tale ricostruzione è connotata da elementi che sembrano rimanere costanti nei diversi ambienti virtuali: • scelta dei caratteri distintivi dell’avatar – età, sesso, aspetto fisico – più o meno governata dall’ambiente a cui si accede, rimane sostanzialmente a discrezione dell’individuo; • scelta assolutamente individuale di un nome rappresentativo – nickname – utilizzato nell’ambiente di interazione; • scelta del rapporto tra la complessità dell’identità reale e la semplificazione di quella virtuale, al fine di rendere la re-identificazione rapidamente fruibile per la modesta quantità di informazioni da gestire; • la possibilità praticamente infinita per l’utente, di re-identificarsi all’interno di un determinato spazio prescelto – creando innumerevoli nickname all’interno di uno stesso social network; generando diversi avatar in un videogioco o rigenerando indefinitamente lo stesso – o anche di identificarsi in maniere sempre diverse a seconda del “metaverso” in cui è “disceso”; • l’utilizzazione delle pseudo-identità come surrogati della propria identità reale. Avatar che servono a proiettare desideri, emozioni, aspettative all’interno di un sistema di interazione fittizio perché rappresentato dai pixel dentro un monitor e pur sempre reale in quanto rende possibili precise esperienze. La re-Identificazione è il vaso di pandora dell’era del web: vivere dimensioni alternative attraverso immagini diverse dalla nostra, o addirittura impersonando noi stessi sul grande palcoscenico virtuale. Conosciamo fin troppo bene le conseguenze del confondere realtà e fantasia, esperienza concreta e sogno; l’identità fittizia e rieditabile a piacimento è fusa con l’immaginario che la ospita e che fa da sfondo a gesta virtuali. Il rischio è che un metaverso diventi il luogo di alienazione dalla realtà, che l’immaginazione si faccia evasione e spinta alla fuga. La manipolabilità dell’esperienza e dell’identità con la quale viene vissuta sono un fenomeno di enorme portata la cui principale conseguenza da poco tempo inizia ad essere considerata e discussa su internet: la cancellazione dell’esperienza. “Fatta un’esperienza, oggi si crede che si possa tornare indietro sempre e comunque: essa si riduce a semplice «esperimento». […]Il problema vero è dunque dato dalla riduzione della realtà a una sua rappresentazione manipolabile e reversibile, per cui l’esperienza è ridotta a simulazione, gioco interattivo, fruizione di un’immagine. Quanto più la simulazione è gratificante e coinvolgente, tanto più essa crea dipendenza.”[A. Spataro – ibidem] Illusoriamente dall’idea del Verbo che si fa carne può derivare il potere dell’uomo di farsi “avatar”, identificarsi in un alter ego virtuale e immortale per avere un’esperienza di onnipotenza, e probabilmente fronteggiare l’angoscia di morte alleviando così l’impotenza nel mondo reale. Mediante le opportunità offerte dall’interfaccia tecnologica e secondo il personale livello di maturazione, ciò consente di compiere - nel mondo virtuale - ogni genere di atti, normali, anormali ed eccezionali. 5 Misticismo più virtuale uguale mistificazione. Un’equazione non definitivamente dimostrata. La spiritualità e il desiderio di misticismo vissuti attraverso la rete generano ogni giorni fenomeni nuovi e sorprendenti. La buona notizia: il mondo del web ha bisogno di religione ed è alla ricerca di spiritualità. La cattiva: è stracolmo di ogni sorta di servizio, sito, setta, oracolo e sedicente santone e/o organizzazione dedita al business delle anime. Prendiamo ad esempio la confessione, atto sacrale che deve aver luogo nel contesto sacramentale dell’incontro personale. Esistono almeno due siti di grande frequentazione il cui principale servizio è dare la possibilità agli utenti registrati di confessarsi per iscritto, in forma anonima; le confessioni sono accessibili e leggibili da chiunque, unico punto a favore della privacy: l’anonimato. Il successo di questo tipo di servizio è arrivato a fare notizia [fonte: http://www.giornalettismo.com/archives/16949/peccato-due-punto-zero/]. Uno di questi siti appartiene ad una chiesa evangelica americana, che da anni diffonde il proprio messaggio attraverso tv satellitare e internet; il sito-confessionale è soltanto il più recente dei loro progetti. L’altro, ancora di maggior successo, non si riferisce ad alcuna fede specifica: si presenta esplicitamente come sito per confessarsi… laico. L’esistenza di questi fenomeni può indurre facilmente indignazione e pregiudizio in chi vive la religione come parte integrante e costruttiva della propria esistenza. Tuttavia è utile fare considerazioni sul come e sul perché questi fenomeni di virtualizzazione del sacro riscontrino un tale successo; chiedersi se esista un’esperienza all’interno delle relazioni in rete, dei social network, delle interazioni mediante un avatar, che possa definirsi esperienza connotata dal sacro. Si tratta di ritualizzazioni, mistificazioni al limite, eppure vissuti all’interno di una mistica individuale sia pure virtuale. È legittimo sospettare che queste ritualità virtuali possano essere deleterie ad una cultura dello spirito; però, al tempo stesso, come persone di scienza, possiamo domandarci se simili esperienze – rituali “in porzione singola”, religioni “on demand” – non rispondano a esigenze a cui la Religione, le Chiese non sono ancora pronte a rispondere. Da questo punto di vista, infine, è altresì legittimo ritenere che le persone che si confessano online, che pregano con un avatar dentro una chiesa su Second Life o che parlano di problemi personali soltanto attraverso un monitor ne traggano un qualche tipo di giovamento, un sollievo psichico. Questo ci può interessare molto da vicino. Una delle più importanti presenze religiose nel mondo virtuale è la cattedrale anglicana di Second Life, nella quale è stato istituito dal 2008 un vero e proprio ministero sacerdotale, privo però dei sacramenti che Christopher Hill, vescovo della città reale di Guildford e promotore dell’iniziativa, considera un aspetto “personale e fisico” che non si può trasferire nel virtuale: “Sacraments are personal, even physical, encounters. “Virtual” is not (quite) real.” [Christopher Hill - “One way of growing a global mission” in “Church Times” rivista online http://www.churchtimes.co.uk/content.asp?id=60742] Fenomeni di misticismo del tutto separati, autonomi dalle religioni istituzionali, si manifestano da tempo nell’ambiente delle arene multigiocatore massive, videogiochi in grado di simulare intere realtà con grandissimi territori dettagliati e un numero di giocatori nell’ordine delle decine di migliaia. L’esempio forse più rilevante è del marzo del 2006: un vero e proprio funerale virtuale svoltosi in World of Warcraft (4) – uno dei più famosi titoli di MMORPG – in cui gli avatar celebrarono la morte di un giocatore, una ragazza deceduta nella vita reale. 6 Il “rituale funebre” deciso e organizzato dalla gilda virtuale a cui la ragazza apparteneva venne pubblicizzato sui principali forum del gioco; furono stabilite regole di comportamento: per rispetto all’evento non ci sarebbero stati combattimenti – altrimenti scopo principale dell’arena – durante tutta la celebrazione; l’avatar della ragazza venne fatto rivivere accedendo al suo profilo di gioco, al fine di inscenare una mistica dipartita sulla riva di un lago. Un avatar sopravvissuto al proprio umano: “Stat Rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”. Quando scompare la rosa, ne sopravvive il nome dice Umberto Eco nel suo “Il nome della rosa”. Non avremmo trovato notizia dell’evento a distanza di anni se l’etichetta del rituale non fosse stata violata brutalmente da una gilda avversaria che attaccò e “distrusse” tutti i partecipanti al rito con un blitz, per poi vantarsene pubblicando un video rimasto storico su youtube. Il fatto in sé può essere considerato alla stregua di una scorrettezza in un gioco, ma ha risvolti che pongono questioni interessanti; posto che: − è stato istituito un evento funebre “laico e virtuale” in totale autonomia da qualsiasi credo religioso; − tale evento è stato delineato con tempi, località, regole e partecipanti che in maggioranza si sono attenuti ad esse uscendo dagli schemi del gioco che sono quelli di strategia, combattimento e conquista per celebrare quello che può a tutti gli effetti considerarsi un Rito; − il rito è stato celebrato virtualmente da decine di persone sedute di fronte ad un monitor nella realtà distanti l’una dall’altra; − il rito stesso conteneva dei propri precetti morali; − la violazione deliberata di questi precetti ha scatenato l’ira e le invettive di tutti i giocatori di W.o.W. che per mesi hanno discusso l’accaduto condannando il comportamento di chi aveva lanciato l’attacco a sorpresa. È interessante a questo punto domandarsi se ci sia qualcuno da condannare e per che cosa: la gilda che ha violato il rito ha avuto certamente un comportamento scorretto all’interno di un’etica cavalleresca e sportiva; tuttavia l’aver violato un rito che non rientra nel motivo di essere del gioco stesso ha riportato il gioco alla sua natura di luogo di combattimento violento e di supremazia. I giocatori che celebravano il rito si sono dati una morale e delle regole chiedendo a tutti di rispettarli, così come fa una società che esiste nella vita reale. I giocatori che hanno violato quel rito – non condividendone lo spirito e la volontà – hanno così commesso sacrilegio verso la memoria della povera ragazza deceduta nel mondo reale, oppure hanno molto umanamente giocato al gioco secondo le sue regole originali, rimettendo in questo modo il virtuale al suo posto rispetto alla vita reale? Questo è il fenomeno rilevante: persone che non si conoscono se non attraverso un avatar percepito in un universo virtuale hanno messo in atto un rito, stabilito delle regole, abbozzato una morale che è stata persino violata e in tal modo riconosciuta e legittimata. Può essere utile in tale contesto sia cercare di stabilire un giudizio che ci rassicuri dichiarando che il comportamento a-morale nel virtuale assume connotati di devianza che possono avere conseguenze reali; sia, considerando il fenomeno nella sua interezza e complessità, riconoscere che stiamo assistendo a tentativi di nascita in embrione di società dotate di un proprio spiritualismo, di morale creati e vissuti all’interno di un videogioco interattivo. 7 Patologie “classiche” e patologie del virtuale Osserviamo due diverse immagini tratte dai principali quotidiani online da tutto il mondo, riprese dai blogger di maggior successo, divenute ormai simbolo a pochi mesi dai fatti che narrano. Vediamo due giovani, entrambi meno di venticinque anni: un bianco dall’aspetto nordeuropeo, un asiatico americano. Entrambi stanno puntando delle armi verso di noi che li stiamo guardando, entrambi poco tempo dopo aver registrato quelle immagini e averle pubblicate sul media dei media compiranno un massacro di altri giovani come loro e lo concluderanno con il suicidio. Osserviamo altre immagini che arrivano dagli universi paralleli dei videogiochi: un eroe di una guerra aliena troneggia dentro la sua armatura digitale, un’eroina ancor più famosa, a suo modo già vecchia nella velocissima storia della tecnologia ci minaccia con determinazione con le sue altrettanto famose pistole. La somiglianza tra le fotografie, reali e virtuali, è impressionante. I due giovani killer non hanno compiuto qualcosa di straordinariamente aberrante: nella nostra era l’assuefazione rapida è questione di sopravvivenza, sono passati anni da Columbine e siamo assuefatti alle stragi nei college. Purtroppo. Straordinario e aberrante in questi individui non è ormai neppure che essi abbiano ucciso decine di esseri umani senza apparente motivo; né il fatto che per ucciderle si siano attrezzati accuratamente pianificando la strage. Nemmeno l’ispirazione ai videogiochi è ormai più una novità di rilievo. Il fenomeno da considerare è che una persona, pianificando un massacro, si è messa davanti ad una videocamera, si è messa in posa, si è vista, si è piaciuta e si è pubblicata sul web per vedersi online nell’immagine con cui lo avrebbero visto le sue vittime. Si è fatto avatar per poter compiere questo massacro? Abbiamo un illustre precedente cinematografico da un’epoca non molto distante ma ancora priva dell’attuale multimedialità: Robert De Niro, che in Taxi Driver si esercita a fare il duro puntando le pistole di fronte ad uno specchio. “Stai parlando con me?!!” … lo chiede oggi l’avatar rivolgendosi al proprio umano. La cronaca odierna ci porta notizie che solo pochi anni fa avrebbero fatto gola ad uno scrittore di romanzi di fantascienza cyberpunk: così l’uomo che in Cina ha accoltellato realmente i suoi compagni di gioco perché gli avevano sottratto una spada virtuale, come la donna americana che, tradita dal marito in Second Life, ha chiesto il divorzio nella realtà. Esiste già una letteratura riguardante la patologia che utilizza la rete come substrato per la dipendenza e l’alienazione: parliamo del disturbo definito degli “Hikikomori”, gli auto-reclusi della rete descritti dallo psicoterapeuta giapponese Tamaki Saito. Hikikomori è un disturbo, non si può definire patologia in quanto non ancora classificato come tale, né sufficientemente approfondito e che tuttavia colpisce l’1% della popolazione giapponese; un fenomeno riscontrato anche in Italia, dove centri già specializzati nella cura delle dipendenze patologiche hanno iniziato a documentare un uso di internet come alternativa patologica al mondo reale [cfr. Carla Ricci – “Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione” – Franco Angeli, 2008]. Possiamo domandarci a questo punto cosa c’entrino gli hikikomori e le diverse forme di alienazione digitale con il discorso sul sacro, a parte condividerne l’approdo virtuale. Le patologie della psiche hanno da sempre trovato riscontri significativi nel vissuto spirituale, nella ritualità, nelle simbologie mistiche. Alcune psicopatologie tra le più classiche contengono una metafora a forte contenuto mistico religioso: consideriamo il corpo – logos, il verbo fatto carne, espressi nell’isteria, la ritualizzazione 8 dei gesti nella nevrosi ossessiva, l’onnipresenza dell’istrionico, le metafore di martirio in certe forme di dipendenza e autolesionismo. Consideriamo allora il vissuto delle esperienze virtuali, il misticismo che permea i mondi dei videogiochi massivi, la ritualità che in essi sta nascendo, i fenomeni di alienazione relazionale dal reale che trovano in internet il perfetto rifugio virtuale. Riferisce un giovane italiano intervistato a proposito della sua esperienza hikikomori: «Ve lo dico: hikikomori è un traguardo, è la frontiera. In Giappone sono circa un milione. In Italia siamo mostruosamente indietro ma la necessità di isolarsi dall'orribile mondo esterno vedo che si diffonde sempre di più». [Fonte : http://www.corriere.it/cronache/09_febbraio_11/stanza_chiusi_giovani_alessandra_mangiarotti_825 d70b4-f81e-11dd-9277-00144f02aabc.shtml ] Esaltazione di se stessi, mitologia della propria alienazione: un fenomeno che somiglia moltissimo a quello della sacralizzazione dell’anoressia descritta da Mario Aletti come culto virtuale della divinità Ana. Le patologie classiche della psiche umana stanno trovando supporto, contenuti, terreno fertile e virtuale nel quale manifestarsi. Un caso clinico Claudio, 29 anni, ha chiesto il mio aiuto circa un anno fa, all’inizio del 2008, per un vissuto di forte allontanamento dalle relazioni familiari e amicali. Vive con i genitori, studia ingegneria all’università ed è in ritardo con gli esami. Narra una netta separazione tra due fasi della propria vita: una nella quale le sue relazioni erano numerose e stabili e lui era considerato e ricercato come persona “che aiuta tutti e da sempre una mano volentieri”; l’altra nella quale, a seguito di una progressiva discesa verso la depressione, Claudio è diventato una persona sconosciuta alla propria famiglia, indifferente e schivo verso gli amici di un tempo dei quali frequenta ormai soltanto uno. All’interno del percorso terapeutico emerge in breve un risvolto significativo dell’allontanamento di Claudio dal mondo: il progressivo passaggio da un uso di internet strumentale, utile allo studio e allo svago occasionale dei videogame ad un attaccamento patologico connotato da molti aspetti propri del fenomeno descritto per la prima volta in giappone. Alienazione sociale e familiare, partecipazione a videogiochi massivi all’interno di piattaforme virtuali, inversione dei ritmi circadiani causata dalla volontà di vivere connesso la maggior parte del tempo, Claudio quando arriva la prima volta presso il mio studio dorme 4 ore al giorno, talvolta meno. Il lavoro si evolve con l’esplorazione dei vissuti e dei comportamenti che alimentano quella che appare una sindrome depressivo-maniacale strettamente agganciata all’esperienza virtuale come ad un supporto di fuga, un mondo alternativo di ambientazione fantasy popolato di maghi, guerrieri, esseri soprannaturali, nel quale il paziente si rifugia ogni sera diventando il proprio avatar. Elemento portante dell’alleanza terapeutica e delle metafore trasformative utilizzate, la mia scelta di entrare nel mondo virtuale di Claudio attraverso la verbalizzazione e l’uso di fantasie guidate nelle quali l’ambientazione e l’avatar da utilizzare sono le stesse del videogioco, il percorso e le possibili interpretazioni suggerite dalla tecnica terapeutica e dal paziente che sta affrontando il percorso come una sfida del mondo mitologico dal quale va progressivamente separandosi. Claudio procede lungo il percorso ormai intrapreso e ha sostanzialmente superato la fase di dipendenza dallo spazio virtuale – che si manifestava principalmente con la perdita di sonno e la conseguente incapacità di organizzare le giornate per stanchezza. Sono entrato nell’universo virtuale di Claudio senza essere invitato e senza utilizzare alcun avatar, se non quello della metafora utilizzata all’interno del setting. 9 Accettare e iniziare a reificare la sua esistenza virtuale è stato un processo di avvicinamento alla fantasia che lo imprigionava e che emergeva soltanto attraverso alcuni simboli da lui indossati. Un ciondolo di foggia celtica, un bracciale di aspetto particolare, un impermeabile scuro simile a un mantello mi hanno indotto a utilizzare metafore e fantasie guidate ispirate da leggende nordiche e mitologia fantasy; il dialogo all’interno della terapia ha assunto spesso il registro di un parlare cortese tra cavalieri. Questa mia “discesa” verso il mondo degli avatar mi ha permesso di iniziare a conversare con la parte scissa che viveva all’interno del gioco, della “stanza” intesa sia in senso fisico, la camera dove Claudio di notte si rifugiava, sia in senso virtuale – la stanza di gioco online. Sentire di avere di fronte non un giudice ma un compagno di gioco membro di una elitè etica, capace di parlare di armature e di spade volendo intendere difese e aggressività ha disteso il clima e facilitato l’accesso alle sfere più profonde del vissuto, quelle che diedero origine alla scelta di isolamento. 10 Conclusioni Probabilmente, come in questo caso, non è necessario discendere nell’arena virtuale, imparando a gestire un avatar all’interno di un videogioco per scopi terapeutici. Un simile approccio, connotato da finalità proprie del terapeuta e non del “giocatore-avatar” rischierebbe probabilmente il fallimento. E’utile altresì considerare l’universo virtuale alla stregua di una fantasia limite; interagire con essa, aprire uno spazio di dialogo, “discendere” in maniera metaforica e comunque assolutamente sincera verso l’emotività che un alienato virtuale in quell’ambiente ha nascosto e vive. In conclusione di questo intervento auspico che le attuali ricerche in campo medico biologico sulle esperienze virtuali forniscano nuovi spunti e aprano ulteriori visioni su un fenomeno che, per diffusione e capacità di penetrazione sta investendo interamente la nostra cultura. La ricerca scientifica può dare un contributo fondamentale alla conoscenza della natura biologica e fisiologica di nuove forme di comportamenti, costituendo una base solida da cui partire per approfondimenti sul piano psicologico clinico. Il mondo virtuale, popolato di avatar, non è un non-luogo nel quale si vive di pura alienazione più o meno patologica. E’un nuovo ambito di esperienza, laboratorio di nuovi sistemi relazionali e sociali, terreno di coltivazione di reti di socializzazione. La presenza di punti di riferimento spirituale, sociale, medico e psicologico è attualmente curata sul piano della comunicazione e della promozione dell’immagine professionale; contrastata dall’invasione rapida e indiscriminata di sedicenti risolutori di problemi a buon mercato – sette, santoni, movimenti pseudo-religiosi e simili. E’auspicabile che molti seguano l’esempio del vescovo anglicano che negando la virtualizzazione dei sacramenti ha comunque aperto le porte a qualcosa di simile ad un ministero virtuale del sacerdozio, offrendo un servizio di dialogo e confronto all’interno di un mondo fittizio popolato da persone reali nascoste dietro una maschera di pixel. Non è una scelta di cieca virtualizzazione dei valori e della sacralità quella che attendiamo dal futuro, non lo è quella di tentare un approccio psicoterapeutico all’interno di un’interfaccia virtuale. Tuttavia è ancor meno desiderabile lasciare che un luogo di interazione frequentato da milioni di persone, molti dei quali alla ricerca di un aiuto, venga infestato e predominato da opportunisti e millantatori. Il giusto mezzo in questo caso può essere la creazione di spazi di esperienza, neutri, non propriamente terapeutici così come non connotati da sacralità. Spazi che siano al tempo stesso scientifici, di ricerca, di consulenza e di socializzazione, all’interno dei quali le persone che abitano questi nuovi mondi possano liberamente accedere, discutere, confrontarsi in un ambiente sociale gestito, moderato e supportato da professionisti riconoscibili e da valide guide spirituali. Un ambiente che sia, in un futuro auspicabile, certificato nella sua affidabilità e identità. “Man is least himself when he talks in his own person. Give him a mask, and he will tell you the truth.” O. Wilde Patrizio Romano Dell’Anna 11 Note 1 – Metaverso: una sorta di realtà virtuale condivisa tramite internet, dove si è rappresentati in tre dimensioni attraverso il proprio avatar. 2 – Web 2.0: è una locuzione utilizzata per indicare genericamente uno stato di evoluzione di Internet (e in particolare del World Wide Web), rispetto alla condizione precedente. Si tende ad indicare come Web 2.0 l'insieme di tutte quelle applicazioni online che permettono uno spiccato livello di interazione sito-utente. 3 – Massive(ly) Multiplayer Online Role-Playing Game – MMORPG: identifica un gioco di ruolo per computer o console che viene svolto tramite internet contemporaneamente da più persone. Migliaia di giocatori possono interagire interpretando personaggi che si evolvono insieme al mondo persistente che li circonda ed in cui vivono 4 – World of Warcraft: (letteralmente "il mondo di Warcraft", spesso abbreviato in "WoW") è un videogioco fantasy di tipo MMORPG, giocabile esclusivamente su Internet e dietro pagamento di un canone. Bibliografia [virtuale e reale] Robert Louis Stevenson - “The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde”. In “Dr. Jekyll and Mr. Hyde” - Signet Classic, 2003 Oscar Wilde “Aforismi” - Mulino Don Chisciotte, 2005 Carla Ricci – “Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione” –Franco Angeli, 2008 A. Spataro – “Second Life: il desiderio di un’altra vita” – La Civiltà Cattolica – Quaderni http://www.laciviltacattolica.it/Quaderni/2007/3771-3772/Articolo%20Spadaro.html The Church Times – Christopher Hill - “One way of growing a global mission” in “Church Times” rivista online - http://www.churchtimes.co.uk/content.asp?id=60742 http://it.wikipedia.org/wiki/La_guerra_dei_mondi_(radio) Corriere.it http://www.corriere.it/cronache/09_febbraio_11/stanza_chiusi_giovani_alessandra_mangiar otti_825d70b4-f81e-11dd-9277-00144f02aabc.shtml http://www.giornalettismo.com/archives/16949/peccato-due-punto-zero/ 12