“Tiepolo e il Settecento veneto” Un progetto per Fondazione Cosso
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“Tiepolo e il Settecento veneto” Un progetto per Fondazione Cosso
“Tiepolo e il Settecento veneto” Un progetto per Fondazione Cosso – Castello di Miradolo 25 febbraio – 14 maggio 2017 Lungo e laborioso, e solo recentemente riportato al suo significato e alla sua grandezza, il destino del lascito d'arte di Giambattista e del figlio Giandomenico Tiepolo. Protagonista assoluto di un altro secolo breve, che sorge con la reazione arcadica al barocco, e termina a ridosso della vittoria della più sconvolgente Rivoluzione, Giambattista fu giudicato superato quando iniziò la stagione del neoclassicismo, della nuova storia ideale e repubblicana di Jacques-Louis David e della corrosiva ironia di Goya. Tiepolo aveva vissuto e creato per un altro mondo, l'ancien régime del patriziato pago di sé e della propria gloria, aulico e grandioso, ma anche sereno e curioso del mondo. Dopo una vita ricca di successi e commissioni grandiose, apprezzato dai Nobili e Ricchi, i suoi referenti, come dirà, il massimo pittore di Venezia si trovò a trascorrere gli ultimi anni lontano dalla patria e dalla famiglia, presso una corte sempre più indifferente e inospitale, oggetto di continui rimproveri da parte di occhiuti religiosi e bersaglio dell'astio dogmatico del più freddo e arido dei classicisti, Raphael Mengs, ferito dall'ironia di un Winckelmann: “il Tiepolo fa più in un giorno, che Mengs in una settimana, ma quegli appena veduto è dimenticato, mentre questi rimane immortale.”, nella Dissertazione sul potere del sentimento del bello nell'Arte, già nel 1763. Così la sua fama si eclissò nell'arco dei due ultimi e drammatici decenni del secolo che era stato dei lumi, e così rimase abbattuta nei cent'anni successivi, pur con eccezioni. Fu riscoperto alle soglie di un'altra Belle Époque di ricchezza e nuova aristocrazia, da un Maurice Barrès che nel 1889 scrive di lui che le “sue opere hanno il languore che segue alle grandi voluttà, ciò che preferiscono i delicati epicurei.” Una lettura – in chiave di “lusso, calma e voluttà” – destinata a durare a lungo nella Parigi capitale delle arti, in cui giungeva anche il grandioso affresco strappato a villa Contarini, il Ricevimento di Enrico III, che Édouard André e Nélie Jacquemart installarono in pompa magna e grandissimo orgoglio nella loro nuova abitazione di boulevard Haussmann. Per i nostri occhi abituati ai colori filmici, per la nostra cultura aperta alla magia spettacolare, al gusto delle giustapposizioni e contaminazioni e connessioni più ardite, alla mascheratura e all'enigma, l'opera dei Tiepolo rappresenta uno degli acmi della pittura di ogni tempo, avendo un posto di assoluta centralità nell'arte del Settecento. Il secolo di Giambattista corrisponde esattamente all'arco della sua attività: dal 1715 al 1770. Dunque l'età dei Lumi ma anche, negli schemi scolastici, quell'intensa e caotica stagione che dall'ultimo "barocco" e dalla pittura tenebrosa si scompiglia, affabula, si agghinda, sorride e recita nella stagione del "rococò" più decorativo e festante, per poi negarlo nettamente con il trionfo del più rigoroso e ideologico dei "neoclassicismi". Ma sono schemi scolastici, immediatamente contraddetti quando si analizza una produzione d'autore che è necessariamente segnata da diversi debiti, molte originalità, e alcune nette idiosincrasie. Così è per Tiepolo su cui ogni etichettatura è parziale: di lui già i primissimi critici e commentatori sottolinearono, oltre l'incredibile capacità di lavoro di un uomo carico di commesse e a capo di una bottega efficiente, soprattutto la “felicità”. “Bell'esempio della pittoresca felicità, della sicurezza del pennello e della pronta esecuzione fu il nostro Tiepolo, che trovò sempre ubbidiente la mano ad esprimere sulle tele quanto concepìa l'intelletto. Questo genio vigoroso molto e sempre a se stesso presente, fin da' primi anni si fece conoscere; (…) Felice Pittore fu il Tiepolo per natura; ma non fu ch'ei non coltivasse con assidue cure il fecondo suo spirito; io ne son testimonio. Nel naturale ei fece i maggiori studii suoi; e sopra tutto seppe veder con buon occhio gli accidenti più opportuni delle ombre e dei lumi, e rappresentarli con maravigliosa facilità.” così scrisse Antonio Maria Zanetti (1771, 464), collezionista e intenditore, suo contemporaneo. È una felicità che emana dalla solarità di quel nume tutelare che colloca al centro dei suoi vastissimi cieli: Apollo, colui che difende le Arti Belle, attraversando dalle insondabili profondità del Tempo e dello Spazio, con la luce della Conoscenza, del Gusto e dell'Armonia, l'arco di un mondo che ne attende sempre e ancora il messaggio. Per cui la felicità di Tiepolo sembra così anche la più prossima alla serenità kantiana del “cielo stellato sopra di me, della legge morale dentro di me”. E ancora Tiepolo è l'autore di strepitose messe in scena della storia antica, senza equivalenti pittorici per ricchezza d'invenzione scenografica, nell'evidente teatralità che lo fa assoluto contemporaneo e sodale della levità facilitata di Pietro Metastasio, e della potenza sonora delle cantate profane di Georg Friedrich Händel, apprezzatissimo a Venezia dopo l'Agrippina, e l'amato Hasse, il “nostro sassone”. Ma poi Tiepolo è pittore in tutto e per tutto assolutamente veneziano. Ed è il corifeo dell'ultima, grandiosa affermazione della pittura – e delle arti – di Venezia in Europa. Riprendendo la tradizione cinquecentesca, la gloria coloristica di Tiziano e Veronese, la riscossa veneziana, malgrado le invidie e i “malintesi” francesi, domina presso i collezionisti, determina il gusto dei paesi di lingua tedesca, si spinge a Pietroburgo e dà lezioni in Castiglia, ben apprese da Francisco Goya y Lucientes. Nato in laguna, cresciuto nel sestiere di Castello, Giambattista vi trascorre tutta la giovinezza, vi trova i committenti, lavora per loro in città e in terraferma. Prova tutte le tecniche, sperimenta, assapora il gusto spavaldo del primato e poi, dalla trentina, attivissimo e prolifico, chiamato per chiara fama, lavora in diverse città lombarde. Infine compie due lunghi soggiorni di lavoro: il primo per realizzare i suoi capolavori a Würzburg, già in compagnia dei dotatissimi figli suoi collaboratori; il secondo, purtroppo definitivo e già amaro, troncato dalla morte, a Madrid, ancora con Giandomenico e Lorenzo. Non compie mai un soggiorno di studio a Roma, mai un grand tour per osservare e apprendere, mai uno studio degli antichi, mai un confronto con le diverse scuole italiane, mai un vero periodo di lavoro variato in un ambiente diverso, come fanno tantissimi suoi contemporanei veneziani, da Antonio Canal a Rosalba Carriera. Perché Tiepolo è integralmente veneziano e dunque gli basta avere per guida i maestri di laguna, che può ammirare e studiare direttamente: nella prima giovinezza si applica alla lezione di Tintoretto poi, mentre la sua abilità di affrescatore gli dà fama e denaro, si rivolge a Veronese, si rifà alla "maniera paolesca" tanto che molti contemporanei lo considerano un emulo del pittore ancora e sempre ammirato da quei "nobili e ricchi" che saranno i suoi referenti, gli eredi delle medesime famiglie che avevano richiesto e tanto ammirato le Cene del Veronese. In una prima fase la sua pittura sarà anche polemica, sicuramente melodrammatica, perfino sperimentale, comunque passionale. Poi il pittore trova la sua dimensione nell'affresco: si farà estroso, anche ironico, proteso allo studio del movimento nella sua sua stesura rapida e immediata, fresca e musicale, chiara, aerea e solare. Per realizzare i suoi sogni e programmi su intonaci sempre più vasti asseconda voglie di trionfalismi per una Chiesa paga della sua sola esistenza, e onora la gloria dei pronipoti di buoni mercanti fattisi redditieri, per poi esaltare la gloria di modesti principati locali, eredi di un feudalesimo agli sgoccioli. Si riserva, per sé, fantasticherie cariche d'ombre e di ambiguità, sogni erotici di satiresse, ninfe che consolano i mali e le ultime voglie del Tempo, e alberi pericolanti, e serpi tormentose. Ma neppure nelle sue squisite incisioni, privatissime e personali, il buio e il male prevalgono: percorre invece gli stati dell'ambiguità della rêverie, il fantasticare nel sogno del meriggio. Ma ciò che più gli interessa resta la felicità narrativa del colore, ciò che l'attrae è lo scorcio il più ardito, è la sfida di spazi enormi da decorare. I contemporanei lo ammirano, lo lodano e lo pagano. In Tiepolo si cela un pittore più complesso e sofisticato di colui che egli stesso ha voluto presentare, ritraendosi con quel volto che occhieggia fra gli altri, guardando interessato, a volte un poco preoccupato, in ogni caso incuriosito, la sua stessa creazione, la messa in scena dell'artificio pittorico, la gloria della Pittura, come se fosse opera di un altro, e come se potesse scrutare le ombre che lui stesso ha evocate e rese ben vive per noi, che continuiamo ad ammirarle e tastarle, nell'inquietudine di un “non del tutto” detto, di un “quasi” in cui sembra celarsi un'ultima, inarrivabile, verità. Con Tiepolo la pittura veneta, che con Tiziano era diventata europea, si fa pittura di un'intera età. La mostra immaginata, basata sull’eccezionale patrimonio dei Musei Civici di Vicenza, tutto questo desidera narrare, esponendo alcuni tra i massimi capolavori su tela di Giambattista e Giandomenico Tiepolo accanto a opere dei creati e contemporanei. Un viaggio tra tele, disegni e incisioni capace di proiettarci in un secolo altro, in una dimensione perduta ma sempre viva nell’immaginario collettivo. Ma, soprattutto, restituire la percezione dell’importanza avuta dalla pittura veneta ancora nel XVIII secolo, definendosi nelle sale del Castello di Miradolo un percorso narrativo che indagherà i grandi temi del Settecento – dalla pittura di paesaggio alla natura morta, dalle storie mitologiche alle grandi ancone d’altare – collocando le opere nell’ambito più ampio della loro importanza per la stagione pittorica europea. Ed evidenziando le significative influenze sui decori delle residenze sabaude e signorili piemontesi.