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giovedì 09 agosto 2012 – CULTURA – Pagina 47
SETTECENTO E DINTORNI. Dopo Bergamo l´artista veneziano approda anche nel bresciano
lasciando grandi opere
Giambattista Tiepolo illumina Verolanuova
Riccardo Bartoletti
Ma ci sono lavori importanti anche a Desenzano e a Folzano
L´alfiere per eccellenza della pittura del Settecento,
Giambattista Tiepolo, «gravitò» nella sua sconfinata sfera
d´azione lavorativa anche nel bresciano, ma nella provincia,
non in città. Infatti, dopo le commissioni ottenute nel
capoluogo lombardo per le decorazioni dei palazzi Archinto,
Casati-Dugnani e Clerici, Tiepolo, di ritorno nelle terre della
Serenissima, si sposta a Bergamo per affrescare la cupola
della Cappella Colleoni e numerose sono le pale d´altare che
licenzia per questa città. Questa fase lavorativa impegna
Tiepolo per un decennio, dal 1730 al 1740. Proprio al termine
di quel produttivo periodo cominciano ad approdare anche in
territorio bresciano suoi capolavori. È comunemente datata al
1738 «l´Ultima Cena» del Duomo di Desenzano preziosa per
la scelta dei timbri cromatici e per l´equilibrata disposizione
delle figure. Agli anni 1740-1742 risalgono i due immensi Giambattista Tiepolo, San Silvestro
teleri (cm. 1000 x 550) custoditi nella Cappella del Santissimo Battezza Costantino (particolare)
Sacramento nella parrocchiale di Verolanuova, raffiguranti «Il
sacrificio di Melchisedec» e «La caduta della manna».
La loro commissione si deve alla Scuola del Santissimo Sacramento della chiesa verolese e fu
certo favorita dai contatti che un suo membro, il conte Carlo Antonio Gambara, aveva a Venezia,
con Elisabetta Gambara, sposa di un Grimani, illustre famiglia patrizia veneziana, alla quale chiese
in una lettera datata 1742 di accertare a che stadio fosse l´esecuzione delle due opere,
preparandosi, nel caso di un eccessivo ritardo, a rivolgersi ad altro pittore. Nella missiva avvertiamo
tutta la preoccupazione della Scuola del Santissimo Sacramento che già trent´anni prima aveva
tentato di commissionare i medesimi soggetti ad un altro veneziano Andrea Celesti (peraltro autore
dei teleri nella speculare cappella del Rosario), ma dovette accantonare il progetto a causa della
morte dell´artista.
Le due grandi composizioni, le più vaste in assoluto eseguite su tela dal maestro, si pongono a
conclusione della prima maturità dell´artista ed inaugurano il decennio cosiddetto classico
´incoronato´ dagli affreschi veneziani in Palazzo Labia (1747-50). Tiepolo manifesta in esse un
magistrale virtuosismo ed un potenziamento spaziale che connoteranno le successive opere. Ma
come poté Brescia rimanere insensibile di fronte a questi due capolavori e al passaggio dell´astro
tiepolesco? Si è parlato di condizionamenti dettati dal «protezionismo corporativo e culturale
esercitato dai pittori residenti in città» (Bruno Passamani, 1987); in parte questo è vero, in effetti in
un precedente articolo comparso su questa rubrica si è messa in luce la corsia preferenziale
accordata ai decoratori emiliani e al filone accademico classicista veneto-emiliano. Ma la latitanza
tiepolesca è dovuta a parere di chi scrive alla presenza a Brescia di un´altra grande personalità la
cui parabola pittorica fu in tutto simile a quella del Nostro, ovvero il lombardo Carlo Innocenzo
Carloni (1687-1695), nove anni più vecchio del veneziano. Egli ha la fortuna di lavorare a Brescia
già nel 1739 quando esegue gli affreschi per Palazzo Salvadego (già Martinengo di Padernello) in
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via Dante 17, anticipato da una fama consolidata (aveva infatti già compiuto il cursus honorum fra
Austria e Germania chiamato a decorare le residenze e le cappelle di margravi e principi vescovi).
Per oltre un decennio nobili e religiosi faranno a gara nel richiedere i suoi pennelli, nonostante gli
alti cachet. Si può pensare quindi ad una sorta di consensuale divisio imperii fra i due maestri, che
tenne Tiepolo lontano dal circuito cittadino e dai luoghi di provincia dove erano aperti cantieri
carloniani (si veda per esempio Villa Lechi a Montirone). Entrambi quindi ebbero cura di marcare
con attenzione le proprie sfere di influenza, evitando in questo modo reciproche ingerenze.
Unico episodio tiepolesco cittadino è la decorazione presbiteriale della chiesa di San Faustino,
risalente al 1755, in cui però si riconosce solo la mano del figlio Giandomenico (con le quadrature
del ferrarese Gerolamo Mengozzi Colonna), sebbene sia stato Giambattista a preparare i modelletti,
vale a dire opere pittoriche in sé complete realizzate su tele di piccole dimensioni a disposizione dei
committenti, per la volta (I Santi Faustino e Giovita con Sant´Afra) e per la scena del martirio dei
santi patroni.
Ultima opera eseguita dal Tiepolo in terra bresciana è la pala d´altare per la parrocchiale di Folzano
raffigurante San Silvestro battezza Costantino (1757-1759), dove, oltre alla grandiosità della
composizione, affascina la forza compositiva e lo sfarzo di colori. In anni non distanti anche il
Carloni esegue un Battesimo di Costantino per la parrocchiale di Calvisano, del tutto indipendente
dall´esempio del veneziano.
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