SANZIONI AMMINISTRATIVE E DEPENALIZZAZIONI Cass. civ. Sez

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SANZIONI AMMINISTRATIVE E DEPENALIZZAZIONI Cass. civ. Sez
SANZIONI AMMINISTRATIVE E DEPENALIZZAZIONI
Cass. civ. Sez. Unite, 19-04-1990, n. 3271
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Il dott. Renzo Lucchini, avvalendosi della facoltà prevista dall'art. 23 L. n. 689 del 1981 di gestire la lite
personalmente, proponeva opposizione innanzi al Pretore di Cremona avverso l'ordinanza-ingiunzione
notificatagli il 13 ottobre 1983, con la quale il Presidente del Comitato di gestione dell'U.S.S.L. n. 51 di
Cremona gli aveva intimato il pagamento della sanzione pecuniaria di L. 300.000, applicatagli per avere aperto
e gestito, senza la preventiva autorizzazione, un ambulatorio per la terapia fisica nell'edificio di Via Aselli n. 7
in Cremona.
L'opponente negava la sussistenza dell'infrazione contestatagli, assumendo che né la legislazione statale né
quella regionale subordinano l'apertura di ambulatorio per la prestazione di terapia fisica ad una qualsiasi
autorizzazione e negando l'applicabilità nella specie dell'art. 194 t.u.l.s. approvato con r.d. 3 febbraio 1934.
Il Pretore di Cremona, con sentenza 3 febbraio 1984, rilevava d'ufficio l'incompetenza dell'organo che aveva
emesso l'ingiunzione opposta e l'annullava.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'U.S.S.L. n. 51 di Cremona sulla base di due
motivi.
Non ha svolto attività difensiva in questa sede il Lucchini. La I° sezione civile di questa Corte, all'udienza del 28
settembre 1988, disponeva la trasmissione degli atti al Primo Presidente perché lo stesso valutasse
l'opportunità di assegnare il ricorso alle S.U. per la composizione del contrasto di giurisprudenza verificatosi
nell'ambito della stessa sezione sulla questione oggetto del primo motivo di ricorso.
Il Primo Presidente ha disposto l'assegnazione del ricorso a queste Sezioni Unite.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art.
360 c.p.c., nn. 2, 3 e 5; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia per avere dal pretore - malgrado le ragioni addotte a sostegno dell'opposizione si riferissero
esclusivamente alla negazione dell'obbligatorietà di una autorizzazione amministrativa per l'apertura (o per il
trasferimento) dell'ambulatorio medico - annullato l'ordinanza-ingiunzione per la pretesa incompetenza
dell'U.S.S.L. ad emettere tale ordinanza, senza che tale difetto di competenza fosse mai stato sollevato da
alcuna delle parti.
Secondo la ricorrente nel giudizio di opposizione avverso l'ordinanza che ingiunge il pagamento di una
sanzione amministrativa, al pari di ogni altro analogo caso in cui venga demandato al giudice ordinario il
controllo di legittimità di una atto amministrativo che si assuma lesivo di posizioni di diritto soggettivo,
l'opponente è formalmente e sostanzialmente attore ed il giudice non può decidere sulla legittimità dell'atto
se non in base alla domanda ed ai fatti e alle ragioni specificatamente e ritualmente dedotti, sicché incorre
nella violazione dell'art. 112 c.p.c. il giudice che accolga l'opposizione per una "causa petendi" diversa da
quella originariamente prospettata, quando essa comporti un vero e proprio mutamento degli elementi di
fatto posti a base della pretesa stessa.
Il motivo di ricorso è fondato sulla base delle considerazioni che seguono.
2. La questione sottoposta a queste S.U. consiste nello stabilire se, in tema di opposizione avverso
l'ingiunzione di pagamento di una somma a titolo di sanzione amministrativa il giudice adito abbia il potere di
annullare l'ingiunzione per motivi diversi da quelli dedotti dall'opponente o se invece sia vincolato alla "causa
petendi" da quest'ultimo cui si ricollega l'altra sul potere o meno della parte di proporre in corso di dedotta
causa motivi nuovi rispetto a quelli fatti valere con l'opposizione.
Come è noto la giurisprudenza di questa Corte ha per lungo tempo affermato il principio secondo cui nel
giudizio di opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione irrogativa di sanzione pecuniaria amministrativa il
sindacato del giudice adito resta circoscritto alla questione sollevata con i motivi dell'opposizione stessa (Cfr.,
fra le tante e per limitarsi alle più recenti, Cass. 28 gennaio 1983 n. 773; Cass. 28 ottobre 1983 n. 6381; Cass.
23 febbraio 1985 n. 1625; Cass. 16 luglio 1985 n. 4192; Cass. 5 luglio 1986 n. 4417; Cass. 11 dicembre 1986 n.
7383; Cass. 11 febbraio 1987 n. 1477) e ciò in quanto tale opposizione introduce un giudizio di accertamento
negativo della pretesa sanzionatoria i cui limiti sono segnati, appunto, dalla "causa petendi" dell'atto
introduttivo e dall'inerente effetto limitatamente devolutivo (Cass. n. 4417-86 citata).
Tale orientamento è stato seguito anche dalle S.U. le quali hanno confermato che l'opposizione ad ordinanzaingiunzione introduce un giudizio di accertamento negativo sulla legittimità dell'atto opposto nel quale le
ragioni addotte dall'opponente, che assume formalmente e sostanzialmente la veste di attore, integrano
altrettante "causae petendi" della relativa domanda (Cass. 12 giugno 1982 n. 3542).
Tale indirizzo è stato recentemente disatteso affermandosi il principio secondo cui "l'opposizione avverso
l'ordinanza-ingiunzione irrogativa di sanzione amministrativa, nella disciplina degli artt. 22 e segg. della legge
24 novembre 1981, n. 689, non configura impugnazione dell'atto amministrativo, con cognizione del pretore
limitata alle dedotte ragioni d'illegittimità del medesimo, ma introduce un ordinario giudizio sul fondamento
della pretesa fatta valere con detto provvedimento (analogo al giudizio instaurato con l'opposizione avverso
decreto ingiuntivo), nel quale le vesti sostanziali di attore e convenuto, anche ai fini della ripartizione
dell'onere della prova, spettano rispettivamente all'amministrazione ed all'opponente (salvo restando, ai
sensi dell'art. 23, comma 6, della legge n. 689 del 1981 citato, l'ampio potere del pretore di disporre d'ufficio
qualsiasi mezzo di prova)", aggiungendosi che, pertanto, "la suddetta opposizione non abbisogna di una
specificazione dei motivi e può esaurirsi nella mera contestazione della pretesa dell'amministrazione, essendo
anche in tal caso idonea a devolvere al giudice adito la piena cognizione circa la sua legittimità e fondatezza"
(Cass. 14 dicembre 1987 n. 9262).
Questa nuova giurisprudenza è stata seguita da Cass. 22 marzo 1989 n. 1435 e da Cass. 15 maggio 1989 n.
2323, le quali, peraltro, si sono limitate a richiamare il principio ora esposto, senza alcuna altra
argomentazione.
A sostegno del mutamento di giurisprudenza Cass. n. 9262 del 1987, oltre ad invocare la forza di precedenti
costituiti da Cass. n. 6219-85 e da Cass. n. 5985-86, deduce:
- che l'opposizione non si configura come impugnazione di un atto amministrativo bensì come strumento per
la riconduzione della fattispecie davanti al giudice ordinario, per un riesame integrale, sotto tutti i profili della
medesima e, perciò, non solo e non tanto sui vizi eventuali dell'atto opposto, ma anche sulla pretesa punitiva
esercitata con tale atto dalla P.A. e persino sull'entità della sanzione, venendosi a configurare al riguardo una
sorte di giurisdizione esclusiva del giudice ordinario, come sarebbe dimostrato dalla mancata previsione della
specificità dei motivi d'impugnazione (art. 22, comma 4, e art. 23 della legge n. 689 del 1981), imposta invece
dalle norme in tema di ricorso al giudice amministrativo, che è vero e proprio mezzo d'impugnazione di un
atto;
- che la disciplina sull'opposizione si modella, con i necessari adattamenti, su quella predisposta dal codice di
procedura civile per l'opposizione a decreto ingiuntivo e, per alcuni particolari profili, su quella dettata dal
codice di procedura penale per l'opposizione al decreto penale di condanna, come sarebbe dimostrato:
a) dal fatto che, proposta l'opposizione e comparso l'opponente alla prima udienza (art. 23, comma 5),
s'instaura un ordinario ed autonomo giudizio di cognizione sulla pretesa della P.A., nel quale l'ordinanza
opposta viene considerata carente di ogni presunzione di legittimità e la P.A. assume la veste di attore (e
l'opponente quella di convenuto) ai fini della ripartizione dell'onere probatorio (arg. ex art. 23, comma 12, che
consente al pretore di accogliere l'opposizione qualora non vi siano prove sufficienti della responsabilità);
b) dalla circostanza che il pretore può annullare l'ordinanza in tutto o in parte o modificarla anche
limitatamente all'entità della sanzione (art. 23, comma 11);
c) dal rilievo che, in ipotesi di rigetto dell'opposizione il pretore implicitamente pronuncia una decisione di
convalida dell'ordinanza (art. 23, comma 5);
- che l'opposizione, ove proposta tempestivamente, impedisce che l'atto amministrativo opposto acquisti
l'intangibilità e la incontrovertibilità, e si sostanzia in una domanda di riesame, sotto ogni possibile profilo,
della pretesa punitiva esercitata con l'atto opposto, con la conseguenza che la devoluzione piena della
controversia al pretore con esclusione del potere di quest'ultimo di una "reformatio" in "peius", giacché
l'ordinanza rimane come punto di riferimento della decisione sull'opposizione - si realizza indipendentemente
dalle deduzioni formulate nell'atto di opposizione;
- che perché abbia luogo il riesame totale, autonomo ed integro della vicenda, in contraddittorio con la P.A. su
posizione di assoluta parità, è sufficiente che l'opponente chieda l'instaurazione del giudizio davanti al pretore
contestando anche genericamente la fondatezza dell'ordinanza amministrativa.
Quali ulteriori argomenti idonei a suffragare la soluzione accolta si è ricordato:
- che la legge n. 689 del 1981, in considerazione del fatto che la maggior parte delle violazioni punibili con
sanzioni amministrative costituivano ab origine illeciti penali la cui giurisdizione spettava al giudice ordinario,
ha voluto non privare, malgrado la disposta depenalizzazione, coloro che con atto della P.A., in base della
legge stessa, vengono assoggettati a sanzioni amministrative della garanzia della cognizione piena del
predetto giudice;
- che l'art. 23, comma 4, della legge n. 689 del 1981, consente espressamente, in deroga all'art. 82, comma 2,
c.p.c., che le parti, senza autorizzazione del pretore, stiano in giudizio personalmente, riconoscendo in tale
modo che l'attività dell'opponente esplicabile non richiede una particolare competenza giuridica e che ciò
spiega (unitamente al rilievo che la P.A. assume nel giudizio la veste di attore e può non costituirvisi)
l'illimitato potere istruttorio conferito al pretore;
- che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 19 del 1973, aveva dichiarato incostituzionale l'art. 509 cod.
proc. pen., commi 2 e 3, nella parte in cui prevedevano l'inammissibilità dell'opposizione al decreto penale di
condanna per mancata indicazione dei motivi, sulla base del rilievo che la normativa sull'opposizione è
distinta e diversa da quella sull'impugnazione mediante Appello, dal momento che mentre in quest'ultimo i
motivi proposti delimitano l'ambito della decisione, l'impugnativa del decreto penale consente, con l'apertura
del contraddittorio, nel pieno esercizio dei diritti di difesa, una cognizione ex novo del fatto-reato.
3. La ricostruzione operata da Cass. n. 9262 del 1987 non può essere condivisa in quanto la stessa, mentre
valorizza le disposizioni che in concreto disciplinano il giudizio non tiene in alcun conto il procedimento in cui
tali disposizioni sono inserite e che, invece, per una insopprimibile esigenza logico-sistematica, deve essere
esattamente individuato, in presenza di una serie non completa di norme, che, necessariamente,
presuppongono, a monte, un sistema procedimentale in cui le stesse sono inserite.
Per quanto riguarda l'oggetto del giudizio di opposizione, lo stesso è costruito, formalmente, come giudizio
d'impugnazione dell'atto (art. 22, comma 1, della legge n. 689 del 1981: "contro l'ordinanza-ingiunzione di
pagamento e contro l'ordinanza che dispone la sola confisca, gli interessati possono proporre opposizione
...."), ma tende all'accertamento negativo della pretesa sanzionatoria, nel senso che l'atto è il veicolo
d'accesso al giudizio di merito, al quale si perviene per il tramite appunto dell'impugnazione dell'atto (arg. ex
art. 23, comma 2, sull'ordine alla P.A. di depositare copia del rapporto con gli atti relativi all'accertamento,
nonché alla contestazione o notificazione della violazione e che non si giustificherebbe ove il giudizio fosse
limitato all'atto).
Tale giudizio concerne, quindi, innanzitutto, la legittimità formale e sostanziale del provvedimento con la
precisazione, peraltro, che al giudizio di merito sull'infrazione non è dato pervenire quando ricorrono
determinati vizi in presenza dei quali il giudice deve arrestarsi all'invalidazione di esso, con ciò non omettendo
affatto di esercitare la giurisdizione attribuitagli, ma anzi pienamente e correttamente esplicandola (art. 23,
comma 11).
E ciò secondo una ricostruzione già affermata per il giudizio tributario (Cass. 26 ottobre 1988 n. 5783, n. 5785,
n. 5786, n. 5687, n. 5688 e successive conformi) e che si attaglia perfettamente al procedimento in esame.
L'operata ricostruzione dell'oggetto del giudizio di opposizione se consente di individuare i limiti entro i quali il
pretore può intervenire e giustifica l'affermazione circa l'esistenza di una giurisdizione esclusiva del giudice
ordinario estesa - a seguito della legge n. 689 del 1981 - anche all'annullamento dell'atto ed alla sua
modificazione limitatamente all'entità della somma dovuta, nulla permette di dedurre sul problema
sostanzialmente diverso, e che attiene alla struttura del procedimento impugnatorio, se a tale annullamento o
modificazione il giudice possa giungere nei limiti della "causa petendi" prospettata dall'opponente o se invece
sia libero di porre a fondamento della decisione una "causa petendi" diversa sulla base di un proprio
autonomo accertamento.
Dal punto di vista procedimentale, l'opposizione si configura come atto introduttivo di un processo civile, le
cui regole generali - in difetto di espressa contraria disposizione non possono non applicarsi.
Nel giudizio civile, i limiti dell'esame o del riesame giudiziale - ove si privilegi il contenuto impugnatorio
dell'atto - sono segnati dal contenuto della domanda introduttiva e dall'inerente effetto devolutivo, mediato,
questo, dall'indicazione dell'oggetto e parimenti finalizzato alla delimitazione della controversia.
Tale principio - applicabile anche al giudizio in esame in virtù della sua struttura - non è superato né dal fatto
della omessa esplicita enunciazione della necessità della specificità dei motivi di impugnazione, trattandosi di
indicazione non necessaria in quanto insita nella stessa struttura del procedimento, né dalle particolari
disposizioni che lo regolano e che pure sono state invocate per trarne argomento circa il suo superamento.
Ed infatti:
- il potere del pretore di ordinare alla P.A. la produzione di copia del rapporto e degli altri atti (art. 23, comma
2 della legge n. 689 del 1981) rientra nel più vasto potere del giudice di disporre anche d'ufficio i mezzi di
prova ritenuti necessari (art. 23, comma 6) e non dimostra il superamento del principio dispositivo,
rinvenendosi nel nostro ordinamento, proprio in tema di giudizio innanzi al pretore ed al conciliatore (art. 317
c.p.c.), esplicita previsione del potere ufficioso, non contrastante con il principio generale secondo cui gli
stessi giudici devono provvedere nei limiti delle domande formulate;
- la possibilità riconosciuta alle parti di stare in giudizio personalmente, senza espressa autorizzazione del
pretore (art. 23, comma 4), costituisce deroga al principio di cui all'art. 82, comma 2, c.p.c. - avendo il
legislatore valutato tipicamente la natura e l'entità della causa di opposizione come legittimante, di per se
stessa, la difesa personale - ma non induce a ritenere superato il principio dispositivo: la difesa personale è
una facoltà e non un obbligo e la parte che vi ricorre non è, per ciò solo, esonerata dall'osservanza dei principi
generali del processo civile;
- la circostanza che il giudice deve accogliere l'opposizione quando non vi sono prove sufficienti della
responsabilità dell'opponente (art. 23, comma 12) è enunciazione di un principio generale del processo civile,
secondo cui "actore non probante reus absolvendus", non essendo consentita l'emanazione di una pronuncia
"allo stato degli atti", ma non dimostra il potere del giudice di giudicare "extra petita";
- il rilievo, puramente storico, della originaria natura penale delle infrazioni cosiddetto depenalizzate (e dei
relativi giudizi) ha un valore esclusivamente metagiuridico, che poteva giustificare ed ha giustificato una
particolare disciplina dell'attuale giudizio di opposizione, ma non è rilevante ove si tenga presente proprio
l'attuale struttura del procedimento;
- la pronuncia della Corte Costituzionale circa l'incostituzionalità dell'art. 509 cod. proc. pen., commi 1 e 3, non
dimostra, proprio per le osservazioni in precedenza esposte, la tesi qui contrastata.
La sufficienza, quindi, della mera richiesta dell'opponente per un riesame totale della vicenda al di fuori di
qualsiasi limite posto dalla "causa petendi" dedotta in giudizio è meramente apodittica, non essendo
giustificata né dall'oggetto del giudizio, né dalla struttura del procedimento che lo disciplina, né dalle norme
particolari dello stesso.
Né il superamento dell'obbligo del pretore di giudicare sulla base della "causa petendi" prospettata dalla
parte può rinvenirsi nel generale potere di disapplicazione degli atti amministrativi, anche in difetto di istanza
di parte, facendo riferimento a Cass. 9 dicembre 1985 n. 6219.
È costante, infatti, nella giurisprudenza l'affermazione del principio che la disapplicazione riguarda quegli atti
amministrativi (imperativi) che costituiscono il presupposto della sanzione, fondando la soggezione del privato
ad obblighi, positivi o negativi, per la cui inosservanza è comminata la sanzione (Cass. 10 gennaio 1977 n. 61;
Cass. 18 giugno 1980 n. 3848; Cass. 22 novembre 1984 n. 5994; Cass. 4 dicembre 1984 n. 6348; Cass. 7
febbraio 1985 n. 925; Cass. 22 aprile 1985 n. 2645).
È solamente all'interno di questo orientamento che si colloca il problema della rilevabilità ex officio della
conformità a legge degli atti amministrativi, che pertanto concerne l'istituto della disapplicazione in generale
e non specificamente la materia delle sanzioni amministrativo e del relativo giudizio di opposizione, e che,
comunque, non può trovare applicazione quando, con tale giudizio, si investe direttamente l'atto
amministrativo.
Né altro referente giurisprudenziale si può rinvenire in Cass. 13 ottobre 1986 n. 5985, che consente
l'integrazione della esposizione dei fatti e delle ragioni della domanda con i successivi scritti dell'opponente,
trattandosi di affermazione che si giustifica in relazione alle caratteristiche del processo pretorile, nel quale,
come si è visto in precedenza, l'obbligo del giudice di giudicare sulla base della domanda è pacificamente
ammesso.
Quindi, proprio perché si è in presenza di un processo civile, la parte privata è obbligata a presentare le sue
richieste (petitum), con indicazione delle ragioni che le suffragano ("causa petendi") con l'atto di opposizione
e non può pretendere che il giudice decida la controversia sulla base di una "causa petendi" diversa da quella
enunciata nell'atto introduttivo, salvo il potere del giudice di rilevare d'ufficio quei vizi che secondo i principi
generali del procedimento civile - può rilevare d'ufficio.
Fra tali vizi sono da ricomprendere, fra gli altri, quelli che determinano l'inesistenza dell'atto amministrativo
(ad esempio: incompetenza per territorio) e non anche quelli che ne determinano la nullità (ad es.:
incompetenza relativa), dal momento che questi ultimi - analogamente a quanto previsto in tema di giudizi
innanzi ai giudici amministrativi - possono essere rilevati e dichiarati solo se espressamente dedotti dalla
parte.
La circostanza, poi, che il giudizio verta sull'infrazione e non (solo) sull'atto, non comporta però il potere del
giudice di decidere sulla prima - salvo l'ipotesi in precedenza enunciata - ove la parte abbia impugnato solo il
secondo, attesi i limiti devolutivi dell'opposizione.
Nel corso del giudizio, la parte, solo con i limiti di cui agli artt. 183 e 184 c.p.c., può modificare la "causa
petendi" inizialmente prospettata, senza che a ciò sia di ostacolo l'esistenza di un termine perentorio per la
proposizione del giudizio, in quanto non esiste un collegamento necessario fra perentorietà del termine e
preclusione all'attività che le parti possono svolgere nel giudizio medesimo, sicché, una volta evitata
l'inoppugnabilità del provvedimento sanzionatorio, il contraddittorio si svolge secondo le regole proprie del
processo civile ordinario, se non derogate esplicitamente o implicitamente (Cass. 25 gennaio 1979 n. 556;
Cass. 23 gennaio 1987 n. 637), analogamente, del resto, a quanto previsto in tema di opposizione a decreto
ingiuntivo, ove si ammette, malgrado la perentorietà del termine per l'opposizione, la facoltà per l'opponente
di avvalersi di tutte le facoltà di cui agli artt. 183 e 184 c.p.c. (Cass. 17 giugno 1977 n. 2524; Cass. 25 febbraio
1980 n. 1312).
Oltre gli anzidetti limiti la parte non può proporre domande nuove che, se proposte, non possono essere
esaminate dal giudice, a meno che sulle stesse la p.a. non abbia accettato il contraddittorio.
La p.a. resistente, poi, non ha il potere di sostituire nel corso del giudizio altri fatti a quelli contestati
nell'ordinanza-ingiunzione, ostandovi l'esigenza di una formale contestazione da effettuarsi a pena di
decadenza nei modi e nei termini di cui all'art. 14 della legge n. 689 del 1981.
Nel caso di specie il pretore di Udine - in difetto di qualsiasi domanda della parte - ha annullato l'ingiunzione
ravvisando l'incompetenza ad emettere la stessa da parte del Presidente del Comitato di Gestione dell'U.S.L.
di Cremona, per essere competente l'Assessore Regionale alla Sanità e Igiene della regione Lombardia.
Poiché si è in presenza di un preteso vizio di competenza che non induce l'inesistenza dell'atto, ma la sua
nullità, tale incompetenza non poteva essere rilevata d'ufficio.
La sentenza impugnata va, pertanto, cassata e la causa va rinviata al pretore di Crema, anche per la
liquidazione delle spese della presente fase di giudizio, il quale nel decidere farà applicazione del seguente
principio di diritto: "l'opposizione avverso l'ingiunzione di pagamento di una somma a titolo di sanzione
amministrativa costituisce l'atto introduttivo di un giudizio - disciplinato dalle regole proprie dei giudizi
pretorili civili - di accertamento della pretesa sanzionatoria, i cui limiti sono segnati, per l'opponente, dalla
"causa petendi" fatta valere nell'atto introduttivo e, per la P.A., dal divieto di dedurre motivi o circostanze
diverse da quelle enunciate nell'ingiunzione, con esclusione, per il giudice, del potere di rilevare d'ufficio salva
comunque l'applicazione dei principi generali del procedimento civile - eccezioni o vizi dell'ordinanza o del
procedimento che l'ha preceduto, se non nei limiti in cui tali vizi incidono sull'esistenza dell'atto impugnato,
neppure sotto il profilo della disapplicazione degli atti amministrativi - perché il giudizio investe direttamente
l'atto non lo presuppone - se non siano stati dedotti dall'opponente, il quale non può, quindi, proporre, nel
corso del giudizio, se non nei limiti di cui agli artt. 183 e 184 c.p.c., domande nuove, che, se proposte, non
possono essere esaminate dal giudice, a meno che sulle stesse la p.a. non abbia accettato il contraddittorio.
Pertanto, il giudice dell'opposizione non può rilevare d'ufficio l'incompetenza per materia dell'autorità che ha
emanato l'ingiunzione trattandosi di vizio che determina la nullità e non l'inesistenza dell'atto".
L'accoglimento del primo motivo determina l'assorbimento del secondo con il quale si deduce l'insussistenza
della rilevata incompetenza;
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo;
cassa, in relazione al motivo accolto la decisione impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese di
questa fase di giudizio, al pretore di Crema.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio delle sezioni unite civili della Corte di cassazione il 30 settembre
1989.
DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 19 APRILE 1990.