FIR2004-9(1) - Centro della Famiglia

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FIR2004-9(1) - Centro della Famiglia
TERZA SEZIONE:
I grandi protagonisti degli studi familiari
Già in passato abbiamo avuto occasione di mettere in evidenza l’apporto scientifico e
professionale dato da “persone speciali” allo sviluppo dell’area degli studi familiari. La sezione comprende la presentazione della vita e della attività di ricerca e di insegnamento di
Virginia Satir e la messa a fuoco di due passaggi epistemologici centrali per meglio comprendere l’impegno di ricerca e di applicazione professionale di Mara Selvini Palazzoli. Due
figure di donne molto diverse, ma entrambe importanti nell’ambito degli studi familiari.
Come molti hanno rilevato, la terapia della famiglia non ha un unico “padre”; essa è
frutto di un coagularsi di circostanze culturali e professionali particolari, che hanno favorito
lo sviluppo di un paradigma fortunato il quale ha prodotto una infinità di modelli teorici, di
metodologie di ricerca e di applicazione, di peculiari tecniche di intervento. Lo sviluppo in
varie direzioni e dai molteplici esiti è dovuto anche alla sensibilità, all’impegno e all’acutezza di “grandi protagonisti” che hanno saputo interpretare i nuovi bisogni delle famiglie, superando concetti e metodi che sembravano intoccabili e aprendo strade inedite.
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Virginia Satir:
il volto appassionato della terapia familiare
Silvia Casali (1)
Lo studio presenta la figura di Virginia Satir: ne tratteggia la vita e l’impegno professionale nell’ambito della
terapia della famiglia e nel movimento di promozione del benessere familiare: dall’esperienza della propria
famiglia di origine e di acquisizione, ai primi anni di lavoro nel campo dell’assistenza sociale, all’incontro con
la terapia familiare a Palo Alto, allo sviluppo di un proprio modello operativo, agli scritti, alla costituzione di
un movimento che ha dimensioni mondiali e che continua anche dopo la sua morte. Una personalità poliedrica, discussa, affascinante. Per questo vale la pena conoscerla, esaminare con senso critico il suo pensiero,
guardare con attenzione alle sue posizioni nei confronti dei “pionieri della terapia della famiglia”, per capire
meglio la sua originalità e il senso della sua opera.
Parole chiave: Virginia Satir, terapia della famiglia, prevenzione familiare, cambiamento terapeutico.
Virginia Satir: The passionate face of family therapy. The paper illustrates the figure of Virginia Satir, her
life and her professional work within family therapy and the movement of family well-being promotion. It highlights many aspects: experiences made with her family of origin and with her new family; the first working
years in the social security services; her first encounter with family therapy at Paolo Alto; the development of
her model of family therapy; her numerous writings; the starting and development of a world-wide movement
for family well-being, which is still vital after her death. A multifaceted, controversial, fascinating personality.
It is worth knowing about her, analytically examining her thinking, considering her stance among the pioneers
of family therapy for a better understanding of her originality and of the meaning of her work.
Key words: Virginia Satir, family therapy, family prevention, therapeutic change.
Tra i pionieri della terapia familiare Virginia Satir è l’unica donna che proviene dal campo dell’assistenza sociale. Quando parlava della sua vita e di chi lei fosse, solitamente avveniva per fare il
punto dei suoi insegnamenti. Genuinamente si divertiva a parlare di sé e di inserire ciò in quello che
lei più spesso faceva: lavorare. Il suo lavoro era una parte integrante della sua vita a tal punto che
inevitabilmente agiva come se le due cose fossero una sola. Enfatizzava molto l’importanza della
storia familiare e la sua influenza sulla vita delle persone. Spesso utilizzava il suo background familiare per sottolineare i punti centrali del suo insegnamento. Il suo metodo di intervento includeva la
creazione di ciò che chiamava “The Family Map” e “The Family Life Chronology” (Satir, Banmen,
Gerber e Gomori, 1991, pp. 206-209). Riteneva che tornare indietro nel tempo di alcune generazioni
all’interno della famiglia aiutava a cogliere la chiave delle storie per dare forma e spiegazione alla
vita delle persone. Vale la pena pertanto tracciare il suo genogramma qualitativo per meglio capire il
suo pensiero e la sua attività di studiosa e di professionista della famiglia.
(1)
Si è laureata in psicologia nell’a.a. 2003 all’Università di Padova. L’articolo è una elaborazione della sua tesi
di laurea.
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Il “genogramma” di Virginia Satir
La famiglia di origine
I nonni erano nati in Germania tra il 1870 e il 1875. Il padre, Oscar Alfred Reinnard Pagenkopf, era il più giovane di tredici figli. Era agricoltore e ricevette un’educazione poco formale. Di lui
Virginia ricordava la forza e specialmente l’importanza che egli attribuiva all’onestà. La madre, Minnie Happe Pagenkopf, proveniva da una famiglia con sette figli. Virginia la dipingeva come una persona sempre alla ricerca di soluzioni per appianare cose sbagliate.
Penso che questa fosse una delle ragioni per cui ho successo con persone con cui nessun
altro vuole avere a che fare. Io ne vedevo il potenziale. Mia madre me l’ha insegnato
(King, 1989, p. 13).
Oltre alle differenze di educazione, i genitori differivano anche dal punto di vista religioso.
All’età di cinque anni Virginia soffrì di appendicite. Sua madre, cristiana scientista, non voleva portare la bambina dal medico; il padre pazientò per un po’, poi, vedendo che le condizioni della figlia
peggioravano, la portò all’ospedale. L’appendice della piccola si era lacerata; rimase in ospedale per
parecchi mesi. Nonostante questa sfortunata esperienza, descriveva gli anni dell’infanzia come felici.
Fu però a questo punto che prese la decisione di focalizzare la sua vita attorno al duro lavoro piuttosto che dedicarsi emotivamente ai suoi genitori, scegliendo di diventare una “indagatrice di genitori”
per capire meglio i propri. É il primo paradosso: sebbene fosse molto capace nel relazionarsi durante
il lavoro terapeutico con qualsiasi famiglia, non vi riuscì pienamente nella sua vita personale.
Nata il 26 giugno del 1916 nella fattoria di famiglia a Neillsville, nel Wisconsin, Virginia era
la prima di cinque figli: diciotto mesi dopo nacquero i due gemelli Russel e Roger, nel 1921 Edith e
nel 1923 Ray. Come primogenita si sentiva responsabile nei confronti dei fratelli aiutando molto la
madre che era spesso malata. All’età di undici anni raggiunge la rispettabile altezza di quasi un metro
e ottanta, tuttavia era cagionevole di salute e visse tutta la vita con un forte senso di diversità che la
condusse, lungo tutta la sua carriera professionale, ad occuparsi dei “diversi”: ragazzi difficili, famiglie svantaggiate, pazienti psichiatrici gravi e “irrecuperabili”.
La formazione scolastica ed accademica
Virginia descriveva se stessa come molto curiosa nei confronti di tutto ciò che le accadeva attorno. Imparò da sola a leggere all’età di tre anni; a nove anni aveva letto tutti i libri della biblioteca
della scuola locale. Durante tutta la sua vita coltivò l’interesse per la conoscenza, sempre domandandosi cosa fosse possibile e perseguibile. Alla sua morte, la biblioteca personale contava più di tremila
volumi. Oltre ai numerosi testi di psicologia e sul comportamento umano, c’erano libri, opuscoli e
audiocassette riguardanti gli argomenti più disparati: dalla musica e l’arte, alla religione, il mondo e
le persone. Virginia non smise mai di imparare, sempre alla ricerca di risposte. Nel 1988 scriveva:
Ora, dopo molti anni, dopo aver lavorato con migliaia di famiglie, trovo ci siano ancora
molti puzzles. Ho imparato dal mio lavoro, e l’apprendere offre nuove possibilità e nuove
direzioni per la ricerca (da: The New Peoplemaking, 1988).
Al momento di frequentare la scuola superiore, la famiglia si trovava a Milwaukee e lei si iscrisse alla South Division High School, dove il suo amore per la conoscenza crebbe continuamente.
In quegli anni gli USA attraversavano la grande depressione economica e lei fu costretta a lavorare
nonostante l’impegno di studio. Ciò nonostante, conseguì il diploma nel 1932 ancor prima di compiere sedici anni; poche settimane dopo fece domanda di ammissione presso il Milwaukee State Teachers College, una delle migliori scuole del posto. Si impegnò molto sia all’interno del college che
all’esterno, per guadagnare quanto necessario per proseguire gli studi, presso la Work Projects Administration (WPA) e presso il grande magazzino Gimbel. Durante i week-end faceva la baby-sitter.
Fece un’importante esperienza all’Abraham Lincoln House (ALH), una comunità per afro-americani,
scelta per conoscere persone di cultura diversa: iniziata al secondo anno di università, venne portata
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avanti fino al termine degli studi. L’esperienza le permise di comprendere la cruda realtà del razzismo, rendendosi conto del pregiudizio e dell’attacco continuo che le persone di colore subivano incessantemente. Nonostante i vari impegni, eccelleva negli studi e nel 1936, poco più che ventenne,
ottenne la laurea in Pedagogia presso l’Università del Wisconsin. Nel 1941 si iscrisse alla scuola per
assistenti sociali presso l’Università di Chicago con l’interesse primario di “capire meglio le persone”:
Ho usato ogni informazione in mio possesso per aiutarmi a capire maggiormente le persone, come aiutarle, e ovviamente parte di questo consisteva nel capire anche me stessa. Ogni
volta che imparavo qualcosa, qualcos’altro si chiariva (Brothers, 1983, pp.48-49).
Nonostante l’incomprensione subita da un docente che non la riteneva adatta alla professione
nel campo del sociale, proseguì gli studi e presso la Chicago Home for Girls fu in grado di dimostrare la capacità di affrontare con successo una situazione assai difficile senza aiuto né supervisione.
Concluse gli studi nel 1943, anche se si laureò nel 1948 quando terminò la tesi. Nel 1975 gli exallievi della scuola di Assistenza Sociale dell’Università di Chicago le riconobbero pubblicamente la
sua straordinaria capacità di affrontare e superare le avversità premiandola con una medaglia d’oro
per il servizio reso al genere umano.
La professione di insegnante
La sua prima occupazione dopo il college fu di insegnante presso la scuola pubblica di Williams Bay, nel Wisconsin. Nutrì sempre interesse per le famiglie degli allievi della sua classe, tanto
da accompagnare spesso a casa i suoi studenti dopo le lezioni, per incontrare i genitori e per sollecitarne il supporto. Probabilmente in questo periodo nacque l’idea di Satir di “guarire la famiglia”:
Se è possibile guarire la famiglia, allora è possibile guarire il mondo (Laign, 1988, p. 20).
Dopo un anno di insegnamento assunse la direzione della scuola e, completato l’incarico alla
Williams Bay, realizzò il suo desiderio di diventare una “docente itinerante”: la carriera la condusse
ad Ann Arbor, a Shreverport, a St. Louis e a Miami. In questa fase della vita le venne attribuito l’appellativo di “Miss Peggy”, come lei stessa spiegava: “I bambini non sono in grado di pronunciare il
nome Pagenkopf” (Duhl, 1974). Man mano procedeva nell’insegnamento, raccoglieva informazioni e
approfondiva la vita degli alunni e delle loro famiglie.
L’esperienza coniugale e genitoriale
Virginia sposò Gordon Rodgers nel dicembre del 1941. Descrisse quest’unione come un
“romantico matrimonio di guerra” (Serpini, da: sito web http://www.Avanta.net). Si erano incontrati
alla stazione ferroviaria, quando Gordon era un giovane soldato in licenza e perciò trascorsero insieme soltanto pochi mesi prima che egli ritornasse in guerra. Nel giugno del 1943 lei si ammalò gravemente a causa di una gravidanza difficile e un medico le diede la dolorosa notizia che non sarebbe
stata in grado di avere figli. Comprese allora che questa gravidanza e l’infertilità avevano qualche
connessione con la lacerazione dell’appendice a cui era sopravvissuta all’età di cinque anni. Fu davvero per lei un duro colpo perché fino a quel momento aveva sognato una famiglia numerosa e considerava i bambini come una parte integrante e certa del suo futuro.
Mentre Gordon era in guerra, lei proseguì gli studi per conseguire il master presso l’Università
di Chicago. Nello stesso periodo lavorava presso l’Home for Girls occupandosi di due ragazze, Mary
e Ruth, che più tardi adottò. Quando suo marito tornò dalla guerra, entrambi si resero conto che erano
cresciuti troppo lontano uno dall’altra per poter recuperare un matrimonio felice e divorziarono in
breve tempo. Il successivo matrimonio con Norman Satir durò dal 1951 al 1957. Fu proprio durante
questa seconda unione che adottò Mary e Ruth già adulte. Sebbene le ragioni della decisione rimasero sempre poco chiare, è possibile ipotizzare che la compassione e, in parte, il fatto di non poter avere
figli propri avessero giocato un ruolo determinante. La dedica del suo libro Peoplemaking sottolinea
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il suo stato d’animo: “Alle mie figlie Mary e Ruth e ai loro bimbi Tina, Barry, Angela, Scott, Judie,
John e Michael che mi hanno aiutato a crescere” (Satir, 1972). Non è semplice comprendere il motivo per cui una persona così abile nell’aiutare gli altri, nella propria sfera privata non sia stata in grado
di stabilire una relazione duratura e per la vita. Le sue stesse parole possono far intravedere il groviglio di sentimenti e di ragioni:
Conoscendo prima quello che so oggi, cose molto diverse sarebbero accadute. Ma non sapevo. Si guarda sempre al passato con il senno di poi e quest’ultimo è utilissimo per scrivere trattati filosofici, ma non per vivere (King, 1989, p. 37).
E ancora:
Sento davvero che fosse una sorta di destino... Ci sono alcune persone nel mondo che hanno altri lavori da fare (da sito web: http://www.Avanta.net).
La professione di terapista
Al pari dei suoi orientamenti filosofici, così per l’impegno professionale come terapista, è arduo classificare quanto realizzò durante la sua carriera dal 1936 al 1988. Entrò nel mondo del lavoro
come insegnante entusiasta, per approdare negli anni migliori nel ruolo di “trainer” (Suhd, Dodson e
Gomori, 2000), riconosciuta e ricercata a livello internazionale, gestendo ovunque andava seminari
della durata di un giorno, ma anche di un mese. Ottenuto il master, si impegnò nel campo sociale lavorando in uno degli ospedali di Chicago; nel 1951 iniziò ad esercitare la psicoterapia. Quasi immediatamente entrarono nella sua pratica le sedute familiari congiunte, pur non avendo la minima nozione del nascente movimento di terapia della famiglia. La prima seduta familiare venne per pura combinazione:
La madre di una giovane disturbata che Satir stava seguendo, e che aveva mostrato dei
miglioramenti, le telefonò e minacciò di denunciarla per aver plagiato la figlia e avergliela
messa contro. Satir le chiese di venire ad una seduta insieme alla figlia; osservo così tra
figlia e madre lo stesso comportamento che poteva ricordare nella propria esperienza materna. Ben presto chiese anche la partecipazione del marito e del figlio, e da allora in poi
prese a seguire le famiglie di persone con vari tipi di problemi, dai disturbi dell’apprendimento e le malattie fisiche fino alla schizofrenia (Duhl, 1983, p. 10).
Nel 1955, memore dei propri trascorsi d’insegnante, Satir istituì un programma di formazione
per gli allievi dell’Illinois State Psychiatric Institute, sviluppando la convinzione di dover lavorare
non solo con i pazienti, ma anche con le loro famiglie. La sua visione dei problemi familiari si ampliò
tanto da riconoscere, alcuni anni più tardi, di aver operato secondo un “approccio sistemico” pur senza averlo mai sentito nominare. Godette subito di un vasto successo come terapista nella pratica privata e come consulente presso scuole ed altri enti. Venne riconosciuta da molti la sua capacità di lavorare con le persone, anche le più difficili da gestire.
Nel 1957 l’articolo Verso una teoria della schizofrenia di Bateson assunse per lei il valore di
una illuminazione, inducendola a prendere contatto con il gruppo di Palo Alto. Nel 1958 si trasferì
con il secondo marito in California, dove, insieme a Don Jackson e Riskin fondò il Mental Health
Research Institute (MRI). La sua posizione all’interno dell’Istituto, pur rappresentando un arricchimento sul piano umano, rimase comunque tangenziale; aveva ben poco rigore metodologico e il suo
apporto era limitato quasi esclusivamente all’aspetto formativo. Nel 1962 un tangibile riconoscimento ufficiale, ottenuto dal National Institute of Mental Health (NIMH), permise al MIR di dare il via al
primo programma di preparazione di esperti in terapia familiare proprio sotto la direzione della Satir.
Nel corso degli anni però si staccò gradualmente, pur continuando nell’attività di formazione. Mentre
cresceva il suo coinvolgimento nel movimento per la “crescita umana”, lei spostò i suoi interessi verso la prevenzione familiare, dedicando tutte le sue energie al miglioramento di tutte le famiglie
(Cusinato, 2000), forse proprio per questo non sempre capita dai colleghi. Tra il 1964 e il 1968 lavorò all’Esalen Institute a Big Sur, in California, come responsabile della formazione e come supervisore dei programmi di sviluppo del potenziale umano. Era entusiasta per l’opportunità di apprendimen-
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to e di lavoro all’Esalen che comprendeva la meditazione e il “bodywork”, attività che le permettevano di sentirsi libera di scoprire e di sperimentare sempre nuove cose ed idee. Il 1964 fu anche l’anno
della prima edizione del suo libro Conjoint Family Therapy, che divenne immediatamente uno dei
testi più letti da quanti si accostavano per la prima volta alla terapia della famiglia. Nel 1968 Satir
lasciò lo staff del MRI e rimase direttrice all’Esalen.
L’impegno di scrittrice e di formatrice
Dopo il suo primo libro del 1964, pubblicò nel 1972 Peoplemaking, seguito dalla revisione di
The New Peoplemaking. La sua notorietà crebbe soprattutto attraverso i suoi scritti, oltre i corsi di
formazione e i metodi d’insegnamento. Considerata una pioniera nel campo della terapia familiare,
venne sempre più richiesta sia negli Stati Uniti, sia a livello internazionale. I suoi seminari e le sue
presentazioni avevano il potere di incantare e, nello stesso tempo, di far apprendere sempre nuove
tecniche di acquisizione riguardanti se stessi, la comunicazione, le famiglie e le comunità. Ricorreva
spesso all’umorismo, ma anche alle espressioni non verbali, chiedendo, per esempio, alle persone di
assumere determinate posizioni, sedute o erette, che dimostrassero al meglio ciò che provavano. Sviluppò pertanto delle tecniche originali, quali la “scultura della famiglia” e il “role playing familiare”.
Viaggiò in lungo e in largo attraverso gli Stati Uniti, il Canada, il Messico, l’Europa, il sud e il
centro America, l’Asia, presentando il suo lavoro ad un uditorio mondiale. L’importanza di realizzare
un network di supporto era un punto ricorrente dei suoi interventi e fu la premessa per dar vita a due
movimenti. Nel 1970 fondò l’International Human Learning Resources Network (IHLRN) nel quale
si impegnò in prima persona attraverso la realizzazione di numerosi seminari, progetti di ricerca,
campi-famiglia della durata di una o due settimane; ancor oggi i Satir Family Camps portano avanti il
progetto originale di aiutare i nuclei familiari in un ambiente a contatto con la natura. Tra il 1977 e il
1979 organizzò l’Avanta Network, più tardi rinominato Avanta - The Virginia Satir Net-work per
sviluppare l’addestramento intensivo secondo i suoi metodi. Diresse in prima persona i training Avanta, sviluppando la metodologia dei corsi residenziali della durata mensile Process Community I e
Process Community II, a Crested Butte, nel Colorado. In quel periodo si dedicò a formare lo staff dei
collaboratori che provenivano da tutto il mondo.
Nel 1986 fu invitata a diventare membro del “Consiglio degli Anziani”, un gruppo scelto di
persone a livello mondiale che si incontravano periodicamente con i Premi Nobel per la Pace. Ricevette molti riconoscimenti da vari enti per il lavoro svolto nel campo della terapia matrimoniale e
familiare, nella promozione dell’autostima e della responsabilità sociale e personale e per i servizi
resi all’umanità. Nel 1988 accettò l’incarico di Commissario dell’Associazione Internazionale di Terapia Familiare nonché membro del Consiglio Nazionale per l’Autostima. Il significato e la portata
del suo impegno professionale possono essere riassunti dalle sue stesse parole tratte dal suo ultimo
libro inedito, The Third Birth:
Ho viaggiato in tutto il mondo per circa quarant’anni. Il tempo mi ha dato la possibilità di
essere in contatto con circa 30.000 persone dalle differenti condizioni sociali. Molte di queste giunsero perché avevano bisogno di aiuto per affrontare i problemi della vita o perché
volevano imparare come aiutare meglio altri individui con problemi... La memoria mi riporta alle innumerevoli ore, di giorno e di notte, che ho trascorso con le persone, preparandole ai piccoli passi che avrebbero dovuto compiere per superare il rischio che il cambiamento desiderato porta con sé... La terza nascita avviene quando diventiamo i fautori
delle nostre decisioni. Alcuni chiamano questo stadio maturità. Questa si compie quando ci
prendiamo cura della nostra vita... Scoprendo la nostra unicità e diventando esseri umani
responsabili e sensibili... Questa è una fase vitale per la crescita. Chiunque abbia vissuto è
passato attraverso le prime due nascite ma solo pochi raggiungono la terza (Sito Web
http://www.Avanta.net, pp. 17-18).
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La conclusione della sua vita
Talvolta sono state sviluppate delle leggende sulla conclusione della vita di personaggi famosi
al fine di esaltarne il significato e sviluppare leggende riguardo a come la persona è deceduta, specialmente quando essa gode di un’estesa ammirazione pari a quella che circondò Virginia Satir. É
senza dubbio la sfida maggiore; un momento difficile e doloroso sia per chi si sta spegnendo, sia per
chi viene lasciato. La malattia e la morte di Satir non rappresentarono un’eccezione. Fu una sfida per
lei, per la famiglia e gli amici, per le numerose persone che aveva incontrato. Era solita dire che sarebbe vissuta per più di cent’anni; aveva parlato della celebrazione per il suo settantacinquesimo
compleanno esprimendo l’intenzione di invitare Madre Teresa di Calcutta. Satir morì a 72 anni e quel
momento arrivò semplicemente troppo presto per lei e per coloro che lasciò.
Alla fine di maggio del 1988, Satir non si sentiva bene: stava attendendo il meeting annuale di
Avanta in giugno, ma in quello stesso periodo cominciò a lamentarsi per dolori di stomaco. Quell’estate, nonostante il suo disagio, portò avanti i suoi programmi più impegnativi. In luglio si recò a
Crested Butte, in Colorado, dove lavorava come direttrice dei training per l’International Satir Summer Institute. Proprio durante questi corsi il dolore addominale crebbe a tal punto da costringerla a
farsi ricoverata in ospedale dove le venne diagnosticato un tumore al pancreas che avrebbe potuto
rivelarsi maligno. Divenne chiaro che necessitava di trattamenti specifici; pertanto lasciò Crested
Butte per tornare a Palo Alto, accompagnata da Diana Hall, membro di Avanta. Ammessa all’ospedale di Stanford, le notizie diventarono più serie: il cancro si stava estendendo al fegato, come era
già successo per il pancreas. Nonostante la malattia, non fu semplice per Virginia Satir dover lasciare
Crested Butte: da quando, per almeno sei mesi all’anno, si trasferiva là, quella località aveva assunto
il ruolo di seconda casa, un luogo che amava profondamente. Una volta diagnosticato il cancro a Palo
Alto, fu chiaro che non sarebbe potuta tornare ai corsi; per lei fu motivo di grande preoccupazione e
iniziò a dare disposizioni perché i seminari in Colorado potessero continuare nonostante la sua assenza.
Le cure proposte includevano la chemioterapia considerata però un palliativo. Scelse di intraprendere un approccio nutrizionale rimanendo nella propria casa, dove molti amici le facevano visita
e si prendevano cura di lei, mentre altri vegliavano con preghiere o offrivano sostegno morale con
lettere, telefonate e messaggi telefonici. Laura Dodson ricorda non solo la sofferenza e le paure che
Virginia Satir condivise con lei negli ultimi giorni di vita, ma anche il controllo che lei assunse sulla
propria sorte: si prese cura della sua morte, così come aveva sempre fatto con la sua vita. In casa continuò a lottare contro la malattia attraverso l’approccio nutrizionale che consisteva in una dieta depurativa, nell’assunzione di vitamine e sali minerali. Verso la fine di agosto le nausee e altri disagi la
costrinsero a sospendere il trattamento e ad assumere un comportamento calmo e quieto. Gli ultimi
giorni di Satir sembrarono sereni: dormiva di più, parlava meno e ascoltava musica. Cinque giorni
prima di morire inviò una lettera circolare ad amici, colleghi e familiari in cui ringraziava per il ruolo
avuto nella sua vita, per averle dato la possibilità di accrescere la sua capacità di amare e per averle
permesso di condurre una vita ricca e piena:
Settembre 5, 1988
A tutti i miei amici, colleghi e familiari: vi mando amore.
Per favore sostenetemi in questo mio passaggio a nuova vita.
Non ho altri modi per ringraziarvi se non questo.
Avete giocato tutti un ruolo significativo nella mia valorizzazione dell’amare.
Come risultato la mia vita è stata ricca e piena,
perciò io vi lascio con un sentimento di profonda gratitudine.
Virginia (Dodson, 1991, p. 185).
Il 10 settembre del 1988 Virginia Satir moriva nella sua casa di Palo Alto, in California lasciando
all’Avanta l’eredità di continuare il lavoro che aveva cominciato. Prima di morire aveva espresso il
desiderio di essere cremata; così le ceneri furono tumulate a Crested Butte, nel Colorado, un luogo la
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cui bellezza naturale le aveva catturato il cuore e dove aveva scelto di fondare i suoi Istituti Internazionali di Training. Questo ambiente tutt’ora riporta alla memoria il suo amore per la natura, per la
montagna e per le persone.
Se c’è un terapeuta la cui biografia assume un’importanza rilevante, questa è proprio Virginia
Satir poiché tutta la sua esistenza ha ruotato intorno al suo lavoro che tanto amava. L’idea di guarire
la famiglia costituiva il suo punto di partenza per ottenere risultati positivi e di miglioramento su più
vasta scala. Riteneva, infatti, che i genitori avessero il grande potere di confermare o disconfermare
la percezione di adeguatezza e di capacità dei figli e che il potenziale di autostima di questi ultimi si
decidesse in fasi piuttosto precoci dello sviluppo. Provenendo dal lavoro sociale, e non dalla psicologia o dalla medicina, la sua impostazione culturale non era orientata alla ricerca scientifica. Pertanto
il suo principale impegno non era volto al rigore metodologico, ma a rendere popolare la terapia fino
ad arrivare al proselitismo per diffondere e rendere noto il ruolo fondamentale della prevenzione.
“Virginia Satir ha dedicato tutta la sua vita e le sue energie al miglioramento di ogni famiglia” (Cusinato,
2000).
Il pensiero e l’azione di Virginia Satir
La terapia della famiglia è un’area intermedia tra aspetti diversi della cultura (psicologia, impegno sociale, assistenza, psichiatria) che impegnano una pluralità di scuole e di persone. Ciascun modello di terapia della famiglia ha una propria coerenza e una propria storia; ciascun autore trova un
proprio personale significato per il termine “terapia della famiglia”, che, in generale, non coincide
mai esattamente con quello di altri. É nata come movimento policentrico, con molti punti di origine e
sviluppi, e non è nemmeno facile determinare chi sia stato il primo vero terapeuta familiare. Esperienze
diverse si sono sviluppate separatamente, anche se ben presto si sono intrecciate e influenzate a vicenda.
Seguendo il ragionamento di De Shazer (1991) si potrebbe assumere la seguente definizione:
Terapia della famiglia è l’insieme di tutti i modelli di intervento che in qualche modo si
pongono come obiettivo la cura di famiglie piuttosto che di individui, lavorando sulle loro
interazioni emotive e cognitive (pp. 14-15).
Conviene differenziare la terapia della famiglia dalla terapia di coppia. Quest’ultima differisce per la
definizione dell’entità da curare: la terapia di coppia è volontariamente limitata ai partner. Inoltre è
diverso il genere di problemi affrontati: nella maggior parte dei casi la terapia di coppia si occupa
esclusivamente di dissidi tra i partner. Sullo stesso versante stanno la consulenza prematrimoniale e
l’arricchimento familiare. La consulenza prematrimoniale è rivolta a giovani interessati al matrimonio con l’idea di fornire istruzioni per una migliore convivenza; l’arricchimento familiare consiste in
un lavoro preventivo con famiglie in cui non sono presenti patologie psichiatriche né problemi considerati di pertinenza psicoterapica, ma in cui i componenti della coppia hanno “la speranza di raggiungere qualcosa di decisamente migliore” (Mace, 1986, p. 188). In entrambe l’accento è posto sul prevenire. All’estremo opposto si trova la terapia del divorzio, oggi conosciuta come “mediazione familiare” (Haynes e Buzzi, 1996). “Questa si focalizza sull’indebolimento della funzione del legame coniugale fino all’obiettivo finale di un suo dissolvimento” (Piercy e Sprenkle, 1986, p. 130). La mediazione familiare “ha l’obiettivo di permettere che si realizzi la rottura di una coppia senza che ci sia
un perdente, offrendo ai genitori la possibilità di precisare i propri desideri e posizioni in quanto padre e madre accanto ai diritti e doveri” (Babu, 1998, p. 19). Il mediatore familiare si qualifica, quindi,
come un negoziatore, non come un terapeuta.
Due discipline che sono situate ai confini più strettamente “sanitari” della terapia della famiglia sono la terapia sessuale e la consulenza familiare. La prima si pone l’obiettivo di risolvere, lavorando sulla coppia, le eventuali disfunzioni sessuali. La seconda prevede una relazione di collabora-
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zione simmetrica tra consulente e cliente, in cui la responsabilità delle scelte spetta esclusivamente al
cliente. Caratteristica comune a tutti questi ambiti è di occuparsi fondamentalmente di quello che può
definirsi in senso lato “disagio familiare”, ma di arrestarsi prima di entrare nel campo della “patologia”, di cui si è occupata la psichiatria. Parlare di terapia della famiglia significa concepire i sintomi
dell’individuo come parte di un contesto relazionale composto da individui “sani”. La terapia familiare
non si occupa di “disagi familiari”, ma neppure di “patologie familiari”(Bertrando e Toffanetti, 2000). Non
esistono patologie individuali (non sono concepibili nell’ottica sistemica): ogni patologia, disturbo o problema è una patologia, disturbo o problema del sistema. Numerosi studi hanno infatti dimostrato che
la famiglia si comporta come se fosse un’unità al cui interno i membri costituiscono parti interdipendenti. La famiglia agisce in modo tale da raggiungere un equilibrio nelle proprie relazioni, talvolta
anche a costo di creare patologie individuali nei membri. Quando una persona nella famiglia avverte
un “disagio”, di cui mostra anche i sintomi, tutti i membri del sistema in qualche modo percepiscono
quel disagio. Se il sistema familiare è “fuori servizio”, il comportamento sintomatico segnala la distorsione nello sviluppo dei suoi membri, le regole familiari inibiscono la crescita, il disordine e la
rottura prendono piede. “L’etichetta di sintomo è utile come biglietto di ammissione per il trattamento. Questo permette di comprendere come lo stress venga gestito dal sistema, quali siano gli aspetti
soppressi nel sistema, quali le interruzioni nello sviluppo e per quali segnali si esige troppo dal sistema” (Schwab, 1990, p. 27). La terapia della famiglia è orientata quindi all’intero gruppo familiare
con lo scopo di guarire anche le ferite narcisistiche. I cambiamenti possono ridurre la confusione,
aiutare la famiglia a funzionare come una unità, far incontrare i bisogni dei vari membri incrementandone l’autostima e riducendo i sabotaggi, correggere le aspettative pur mantenendo i desideri.
Virginia Satir ha mantenuto la sua fede nella validità e stabilità di utilizzare la famiglia come
unità di trattamento e si è impegnata profondamente nell’applicazione pratica. Ha dimostrato tale
convinzione nei suoi scritti e nel lavoro pratico con migliaia di famiglie in molte aree del mondo durante la sua lunga carriera.
Il modello Satir
In psicologia per modello s’intende qualsiasi struttura logica o matematica utilizzata per rendere conto di un insieme di fenomeni che, pur non dando un legame di causalità univoca, sono correlati
tra loro. Non sarebbe corretto definire “teoria” l’opera di Virginia Satir dal momento che lo sviluppo
di una teoria è logicamente corretto solo se è fondato sulle proprietà formali degli enti primitivi stabilite dagli assiomi e dai postulati e non dipende da alcuna rappresentazione intuitiva di tali enti. “Una
teoria è una serie di affermazioni interconnesse o proposizioni collegate da scopi o argomenti comuni, che, in ultima analisi, portano alla verifica empirica” (L’Abate, 1995, p. 37). Come già anticipato,
il lavoro della Satir assume soprattutto un ruolo psicoeducativo volto alla prevenzione e alla formazione.
Circa la tecnica si colloca a metà strada tra una modalità apertamente esperienziale e la prospettiva trigenerazionale. Il metodo è indicato come “cronologia dei fatti della famiglia” che ripercorre le tappe e gli eventi significativi della storia familiare sin dalla nascita del nonno più anziano per
dare senso al contesto in cui la persona o la famiglia è vissuto e illuminare di significati anche la situazione attuale. Attraverso il cambiamento dello stile di comunicazione dell’intero nucleo familiare,
il metodo si propone di orientare il gruppo verso una più facile modalità d’interazione e di consolidare gli aspetti positivi dello sviluppo. Tutti i membri della famiglia sono invitati alle sedute, anche se
Satir preferisce vedere prima i partner, mentre i figli minori di dieci anni vengono generalmente esclusi. Nelle prime fasi sono raccolte informazioni, costruito il genogramma e ridotto il livello di ansia; in seguito il gruppo lavora sui temi emersi nelle prime fasi modificando i vecchi pattern relazionali. Si tratta al contempo di un modello e di una prassi estremamente sincretici e duttili, privi di rigidezze e asperità teoretiche, perfettamente integrati nella visuale e nel modo d’essere del tempo.
Per un lungo periodo i sistemi sociali sono stati pervasi dalla convinzione di poter regolare i
rapporti interpersonali dividendo gli uomini in dominanti e sottomessi. Conseguentemente, la mag-
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gior parte delle prime terapie considerava le persone secondo il principio dicotomico di buoni e cattivi, sani o malati. Grazie alle innumerevoli ore trascorse ad osservare clienti, a testare varie ipotesi, a
creare interventi, Satir sviluppò il proprio modello di terapia familiare: il suo approccio riflette le osservazioni riguardo al mondo e la convinzione che gli esseri umani possiedano risorse interne in grado di cambiare. Il modo delle persone di percepire il mondo appartiene o al modello gerarchico o a
quello evolutivo:
“La visione che ognuno ha del mondo deriva da quattro aspetti: dal modo di definire una
relazione e una persona (se in termini di ruolo o in maniera paritaria, se giudicandola o
ritenendola unica), da come viene descritto un evento (se in maniera lineare e superficiale
o andando oltre ciò che è scontato) e, infine, dalle attitudini verso il cambiamento, considerato rischioso e indesiderato o essenziale e inevitabile” (Satir et al., 1991, pp. 6-12).
Il suo modello ruota attorno all’abilità umana di cambiare, espandere e manifestare la crescita,
e all’amore che permette alle persone di sentirsi libere di esprimere sentimenti e differenze. Crede
fermamente che il cambiamento sia possibile e che ogni essere umano possieda le risorse per attuarlo.
La terapia deve focalizzarsi sulla salute piuttosto che sulla patologia e lo scopo principale è rendere il
paziente fautore delle proprie scelte.
La triade primaria
Curiosamente il pensiero della Satir è organizzato per triadi: ogni tema significativo ha a che
fare con una tripartizione di attributi che lo specificano. La prima triade rilevante è il triangolo di base che rappresenta il padre, la madre e il bambino: la tripartizione del triangolo primario è quasi simbolica e questa struttura relazionale diviene una struttura concettuale estremamente importante e significativa per l’apprendimento personale in ogni epoca della vita. É il primo di una serie di sistemi
di cui ognuno diventa parte. Ogni essere umano è parte della stessa forza vitale: questa energia positiva intrinseca esercita sulle persone spinte sane durante la loro esistenza. L’idea di questa forza vitale
universale è la premessa della affermazione che gli umani vengono tutti al mondo con un valore intrinseco e paritario; la differenza sta nel modo di manifestarlo. All’interno della triade primaria i
bambini imparano le regole familiari riguardanti la sicurezza, i propri corpi, la loro amabilità e la capacità di amare; da qui nasce l’identità dei bambini. Il costrutto della triade primaria riveste un’importanza fondamentale in terapia, poiché il passato può influenzare il presente. Pertanto, gran parte
del lavoro terapeutico si concentra sulla liberazione dagli schemi di coping limitativi o disfunzionali
appresi durante l’infanzia e tale liberazione avviene attraverso il cambiamento.
Gli stili comunicativi
Una posizione rilevante è occupata dagli stili comunicativi, descritti sia in termini di carattere,
sia in termini di postura corporea: lo stile placating (Satir et al., 1991, p. 36) vede la persona assumere un ruolo passivo, debole e in difficoltà nelle relazioni con gli altri; al contrario, il tipo blamer (p.
41) non ha difficoltà nei rapporti con l’esterno e tende a colpevolizzare il prossimo con un’idea di sé
assolutamente positiva. La postura del super reasonable (p. 45) è rigida come la persona che adotta
questo stile, con atteggiamenti intellettualistici, mentre la persona congruent (p. 65) è coerente nelle
percezioni e nelle espressioni verbali ad esse collegate e non assume mai atteggiamenti denigratori
nei confronti degli altri.
La congruenza
Il costrutto di congruenza è centrale nel modello; si tratta di un modo di essere e di comunicare
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con se stessi e gli altri. Un alto livello di autostima e di congruenza sono due tra i principali indicatori
dell’essere umano sempre più operativo. La congruenza è caratterizzata da: (a) un apprezzamento
dell’unicità del sé; (b) un libero scorrere di energia personale e interpersonale; (c) la volontà di fidarsi
di sé e degli altri; (d) la volontà di correre rischi ed essere vulnerabili; (e) l’utilizzo delle risorse interne ed esterne al sé; (f) apertura all’intimità; (g) la libertà di essere se stessi e di accettare gli altri; (h)
amore per sé e per gli altri; (i) flessibilità e disponibilità al cambiamento. Abbracciare la congruenza
significa scegliere di relazionarsi e mettersi in contatto con gli altri e di rapportarsi con le persone in
modo diretto.
Esistono tre livelli di congruenza. Quando si fa esperienza al primo livello si è consapevoli dei
propri sentimenti e si è in grado di accettarli: essi appartengono alla persona. In questo stadio i sentimenti sono come un’arma a doppio taglio poiché vengono utilizzati per portare più dolore o più
gioia, inoltre si possono condividere, se si desidera, liberamente con gli altri. Il modello apporta un
grande contributo nel campo terapeutico dimostrando come aiutare i clienti a diventare persone più
congruenti nel primo livello. Il secondo è lo stadio dell’interezza e della pienezza profonda; il focus è
il sé interno. Le persone a questo livello manifestano un alto grado di autostima in modi armoniosi ed
energetici, sono in pace con se stesse, con gli altri e in relazione con il loro contesto. Il terzo livello è
il regno della spiritualità e dell’universalità che Satir chiama la forza vitale universale.
Il processo di cambiamento
Il processo di cambiamento rappresenta il fondamento della terapia e dell’educazione; è essenzialmente uno spostamento interno che, nell’attuarsi, determina un cambiamento esterno. I terapeuti
che abbracciano tale modello incoraggiano lo svilupparsi nei loro clienti della congruenza, poiché
perseguono lo specifico intento di favorire il cambiamento piuttosto che l’estinzione o l’eliminazione.
Satir sosteneva che il cambiamento fosse possibile per tutti, fornendo più congruenza, libertà
di scelta e responsabilità nei confronti dei cambiamenti interni e profondi e non solo nei comportamenti. Molti individui e famiglie, ritenendo non realizzabile alcun cambiamento, restano, talvolta per
parecchi anni, imprigionati in uno status quo disfunzionale, preferendo il livello sicuro di sopravvivenza al rischioso processo di cambiamento. Quando compaiono alcuni fattori interni quali la paura,
il dolore, la speranza e la consapevolezza e gli individui re-inquadrano le proprie motivazioni, allora
il cambiamento prende il via. Tale processo registra sei fasi:
1. “Status quo”: situazioni in cui emerge il bisogno di cambiamento. In un sistema non sano ogni
membro della famiglia deve contribuire ed investire molto di più di quello che riceve. Se lo scambio di valori non è equo, giusto, né tanto meno stabile, nel corso del tempo si assiste alla comparsa
nei familiari di sintomi fisici quali ulcera, mal di testa, mal di schiena. Le famiglie disfunzionali
perseverano con i propri pattern fino al momento in cui succede qualcosa di drastico e la terapia è
una delle possibilità per far fronte alla crisi.
2. “Introduzione di un elemento esterno”: nel caso della terapia, l’elemento estraneo è rappresentato
dallo psicoterapeuta. Perché la terapia abbia successo, la persona esterna deve venire accettata
dalla maggior parte dei membri del sistema familiare; pertanto una comunicazione di tipo congruent è un potente e utile strumento per qualsiasi tipo d’intervento. In questo clima di accettazione e di fiducia, il terapeuta aiuta i clienti ad esplorare in maniera più completa le vie per potersi
occupare delle proprie paure e difese.
3. Il terzo stadio è caratterizzato dal “chaos”: significa che il sistema è operativo in modi non prevedibili. Per i membri vuol dire perdere la sicurezza, la stabilità, sperimentare un senso di paura e
ansia che il terapeuta cerca di neutralizzare attraverso il suo ruolo di supporto e mantenendo le
persone ancorate al presente. La fase di chaos ha inizio con il processo di “guarigione”: il livello
di cambiamento è direttamente proporzionale alle capacità del terapeuta. Satir aveva scoperto che
in assenza di tale stadio non avrebbero avuto luogo profonde trasformazioni nei vecchi pattern di
coping familiari: è a questo livello, infatti, che tutte le paure, ansie ed incertezze degli individui
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diventano utili spronando le persone ad abbandonare un non funzionale status quo per un nuovo
modo di essere.
4. “Integrazione e nuove possibilità”: in questa fase i nuovi insegnamenti vengono integrati e si assiste all’evoluzione del nuovo modo di essere.
5. “La pratica”: dal momento che la forza dei pattern passati è notevole, per mantenere il nuovo stato
è necessario sviluppare un potente supporto attraverso la pratica di ciò che si è appena appreso.
6. “Il nuovo status quo”: rappresenta un più funzionale modo di essere da cui emergono nuove speranze e sani equilibri.
I veicoli del cambiamento
Invece di sviluppare delle tecniche da apprendere, Satir elaborò dei vehicles for change. Si
tratta di interventi relativamente semplici che apportano cambiamenti significativi sia nell’individuo
sia nel sistema famiglia. I più noti sono il Parts Party, che integra le più profonde parti e risorse di
una persona, e la Family Reconstruction, in cui un individuo rivive esperienze formative influenzate
da tre o più generazioni della propria famiglia. Successivamente ne venne introdotto un terzo: the
Ingredients of an Interaction basato sui pattern o sequenze mentali ed emozionali attraverso cui le
persone producono messaggi.
Ingredienti di un’interazione. Questo intervento serve per esplorare due fattori che influenzano
i pattern relazionali: a) le regole familiari che ogni individuo segue per trattare le informazioni; b) lo
stile di coping che riflette il proprio sé e che costituisce la base per come ascoltare, sentire, reagire,
difendere e commentare. Satir notò una relazione tra come le persone percepiscono il proprio valore e
il modo di essere all’altezza delle situazioni, di comportarsi e di esprimersi. Invece che concentrarsi
sul comportamento, prestava attenzione alle percezioni, ai sentimenti, alle aspettative, poiché il modo
di comportarsi e di comprendere rappresenta ciò che è stato appreso nel passato. Obiettivi specifici
sono l’identificazione di ciò che è stato appreso e la conseguente sostituzione delle vecchie conoscenze con altre maggiormente rilevanti e aggiornate e con sani stili d’interazione, trasformando i pattern
di coping, insegnando a comunicare in modo congruo, incrementando il valore di sé e riducendo gli
atteggiamenti difensivi. Quando i clienti cominciano a riconoscere di essere condizionati, di perdere
il proprio senso d’interezza sforzandosi di proteggere la famiglia dal flusso del cambiamento e di trascorrere la vita pensando che esista una sola possibilità, soltanto allora, finalmente, entrano in contatto con le infinite opportunità disponibili. La consapevolezza, l’accettazione e la comunicazione diventano le strade fondamentali da percorrere per una crescita verso l’interezza. Una volta identificati
tutti gli ingredienti d’interazione del cliente, il terapeuta può decidere di entrare nel sistema a qualsiasi livello: sentimenti, percezioni, aspettative o desideri. Il forte impatto di questa tecnica la rende utile
nelle situazioni di counseling individuale, così come nelle terapie di coppia, di gruppo e familiari.
Parts party. Quando si incontra qualcuno per la prima volta, solitamente si crede che ciò che
quella persona esprime coincida esattamente con la totalità del modo di essere dell’individuo; in realtà in quel momento si percepisce soltanto una parte di ciò che tale persona rappresenta. Non appena
si familiarizza, si viene a conoscenza di maggiori informazioni riguardo ad altri aspetti e caratteristiche, poiché ognuno presenta molte parti e sfaccettature chiamate “many faces” (Satir, 1978). Molti
soggetti negano l’esistenza di parti di sé che loro stessi non amano e prestano attenzione soltanto agli
aspetti che considerano accettabili. La trasformazione può rendere disponibili come risorse tutte le
caratteristiche di una persona, ma fin quando si è impegnati nello smorzare, nascondere, rifiutare o
negare lati del sé, non è possibile usufruire liberamente della propria energia. Infatti, quando si cercano di nascondere caratteristiche di sé considerate negative, automaticamente si elimina ogni possibilità di crescita. La partecipazione ad un Parts Party accende il desiderio di riconoscere aspetti fino a
quel momento ignorati, rivalutare parti mantenute celate, vedere chiaramente ogni caratteristica che è
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stata distorta, di riconsiderare lati di sé che richiedono più attenzione. Permette così una visione più
completa di sé. La sensazione di tensione rappresenta lo stimolo necessario per dare il via al processo
interno d’integrazione delle parti, indica, infatti, il divario esistente tra il presente modo di essere e il
sé ideale. Il Parts Party è una tecnica sperimentale che porta ad essere consapevoli delle diverse parti
di ognuno e aiuta le persone a guardare al passato da una prospettiva nuova, ad accedere a risorse e a
creare un’atmosfera adatta al cambiamento. Dal momento che molte caratteristiche di un individuo
sono inutilizzate, sfruttate, adoperate erroneamente o ignorate, il Parts Party sviluppa e crea integrazione tra le parti così che possano cooperare per migliorare le relazioni, i modi di vivere e le modalità
di fronteggiare le situazioni. A questo proposito Schwab (1990) riporta quel che Satir diceva:
Il modo in cui noi trattiamo le nostre parti corrisponde all’essenza della cura che abbiamo
per noi stessi: non possiamo amare le nostre parti finché non troviamo il modo per utilizzarle (p. 115).
Può aver luogo come parte di un seminario o in un gruppo. Chi è sottoposto a questa pratica è
la persona “host” e chi ne facilita il compito è “la guida”, mentre i partecipanti personificano le diverse parti dell’host. Come risultato, questa tecnica porta all’integrazione tra le parti nella soluzione dei
problemi e al riconoscimento ed accettazione da parte dell’individuo dei diversi aspetti che possiede.
La ricostruzione familiare. É un intervento sviluppato per reintegrare le persone nella matrice
storica e psicologica delle proprie famiglie d’origine. É un modo di vedere se stessi e i propri genitori
con occhi diversi e di conseguenza di guardare al presente e al futuro in una nuova prospettiva. In
questa rappresentazione di gruppo, a cui prendono parte da quindici a centinaia di persone e che dura
da uno a tre giorni, i partecipanti assumono il ruolo dei membri della famiglia di un individuo, compresi i nonni, gli zii, i fratelli e i genitori. Essi rappresentano gli eventi tenendo conto delle informazioni fornite dal cliente. Questa tecnica permette al cliente di osservare i propri parenti in situazioni
prima e dopo la sua entrata nel sistema familiare, di esaminare cosa può essere successo o di rappresentare quello che sarebbe potuto accadere, ma di fatto non lo è stato. La ricostruzione familiare lavora a due livelli: uno comporta la liberazione dei sentimenti repressi e il superamento dell’impatto causato dal passato; l’altra implica il superamento dei limiti di ciò che si conosce. Quest’ultimo aspetto
motiva gli individui verso la crescita, l’interezza, il benessere e il funzionamento ottimale. La ricostruzione familiare è stata usata per dare la possibilità alle persone di vedere se stesse e i propri familiari in maniera tale da manifestare le proprie credenze, ignoranza, inconsapevolezza e incomprensioni. Il percepire le fragilità umane nelle relazioni con i propri genitori mette le persone in grado di intraprendere un percorso verso un più alto livello di stima personale. Gli individui, liberati da tutte le
sofferenze e insidie delle esperienze passate, si trovano, infatti, di fronte a nuove scelte, opportunità e
possibilità. L’effetto benefico e lo sfogo di dolori legati a vecchie ferite e perdite possono essere
drammatici, perciò questo tipo di rappresentazione teatrale carica di emozioni richiede un direttore
eccellente.
Le metafore. Come tanti altri terapeuti della famiglia, Satir considerava le metafore potenti
strumenti per promuovere il cambiamento e per aiutare le persone a superare le barriere: esse fungono da collegamento con il nuovo. La metafora, inoltre, rappresenta un modo per descrivere i sentimenti umani, suscitando nuovi pensieri e sensazioni e creando il cambiamento. L’utilizzo della metafora nel processo terapeutico è un ottimo metodo per impegnare l’emisfero destro del cervello, responsabile dei profondi livelli di cambiamento e trasformazione. Incoraggiare l’uso dei procedimenti
metaforici è positivo in quanto permette di esternare i processi interni delle persone dimostrandone le
relazioni.
Lo sculpting. La tecnica nasce dal continuo desiderio di innovazione per aiutare le persone ad
imparare ad assumersi la responsabilità per se stessi nei confronti degli altri in generale o in determi-
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nate situazioni. É un modo per evitare di trovarsi in difficoltà con le parole; viene descritta infatti
come un uso non verbale della persona nello spazio che offre un diverso atteggiamento di consapevolezza e fa superare le difese del negare, dell’ignorare e del distorcere. Lo sculpting attiva le risposte
cinestetiche a volte molto potenti che diventano mezzi terapeutici: essere in grado di mostrarsi a se
stessi, il diletto o lo stupore nel comprendere il modo in cui gli altri ci percepiscono e la condivisione
con gli altri delle cose per noi significative, informare se stessi e gli altri riguardo i propri processi
interni in relazione agli altri e a se stessi. Riguardo al sistema familiare, lo sculpting è un modo per
diventare più consapevoli sia del contesto familiare generale che del singolo membro; esterna i canali
di comunicazione familiare, i cicli di vita degli individui e del nucleo familiare con le varie fasi di
sviluppo, i pattern intergenerazionali, le percezioni di inclusione o esclusione, il coinvolgimento o
l’alienazione, la dominanza o la sottomissione. Non esistono regole per la realizzazione; come ogni
altro intervento, per essere efficace richiede un clima di comunicazione, fiducia e sicurezza. É utile
anche nel lavoro con sistemi diversi dal gruppo familiare; infatti, funge da strumento di cambiamento
per sistemi di ogni tipo, educativo, religioso, professionale.
Il mandala. É una modalità in cui Satir dimostrò che molti elementi interni ed esterni, influenzano le azioni, il comportamento, il pensiero e la salute di una persona. Essi sono sempre presenti,
ma non sempre evidenti o consapevoli; ogni elemento è importante e necessita di essere conosciuto
ed esplorato, specialmente quando si considerano problemi o dilemmi difficili. In ogni momento uno
o più di questi aspetti è visibile ed emerge in primo piano, mentre gli altri rimangono sullo sfondo e
possono venire ignorati o trascurati. L’immagine del mandala comprende otto cerchi concentrici, al
cui centro si trova il Sé. Sottolineando che la maggior parte delle terapie si concentra soltanto sull’aspetto intellettivo umano, vengono proposte otto risorse universali: il corpo, l’intelletto, le emozioni,
i sensi, l’interazione, la nutrizione, il contesto e lo spirito. Il corpo di una persona si muove sotto l’effetto e l’influenza dei sentimenti, dei pensieri e del contesto: da qui si enuncia che la vita emozionale
e quella spirituale di ogni persona sono ugualmente importanti. Satir sviluppa un equilibrato ed armonioso approccio in cui ogni parte è connessa, interdipendente e ha uguale valore. Ogni segnale deve
essere analizzato, capito e accettato come un componente delle otto parti del mandala, legate in un
costante processo di trasformazione. L’esigenza di interezza è alla base dell’azione reciproca di queste parti universali.
Le meditazioni. Sono uno dei metodi per aiutare le persone ad entrare ed utilizzare l’emisfero
destro del proprio cervello. Satir iniziava solitamente i suoi insegnamenti e seminari con una meditazione, a cui ricorreva spesso anche per concludere la sessione giornaliera. In questo modo aiutava i
partecipanti a focalizzare la propria energia, a prevedere il lavoro futuro, ad aprire l’emotivo ed intuitivo emisfero destro del loro cervello, a tranquillizzare il loro dialogo interno, ad essere pienamente
nel hic et nunc, ad aprire nuove possibilità e scelte, ad integrare le loro parti e risorse.
Quello che leggiamo nelle meditazioni è l’affermazione del fatto che noi siamo creature
divine, che siamo in grado di imparare, che siamo amati e amorevoli e possiamo amare,
che siamo manifestazioni di vita e che siamo i custodi delle nostre stesse vite (Satir et al.,
1991, p. 292).
Le prime meditazioni spesso si focalizzavano sul respiro, sui sentimenti e sulla concentrazione:
una via per giungere alla parte intuitiva di sé. Più tardi le riflessioni si allargarono e crebbero in profondità e importanza, concentrandosi sulla promozione di percezioni positive, di nuove possibilità e
di accettazione del sé. Meditare non è solo un processo intellettivo, sebbene il pensiero ne prenda
parte; si dà importanza all’emisfero destro, la parte intuitiva, dove il cambiamento e la crescita sono
possibili. Serve per riunire ciò che era disseminato e per “regalare” alle persone un senso di potere,
pensieri positivi di se stessi e la possibilità di essere consci dell’amore per sé. Negli ultimi anni Satir
considerò le proprie meditazioni come una forma di connessione con gli altri, nella consapevolezza
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che ogni essere umano non è mai solo. Durante i seminari, dopo aver chiesto ai partecipanti di sedersi
comodamente, faceva chiudere loro gli occhi e respirare profondamente, guidando il gruppo in meditazione. Ecco un esempio (Satir, 1976) di asserzione incisiva riguardante il valore di sé:
TO BE MORE FULLY ME
I need to remember
I am me
and in all the world there is no one like me.
I give myself permission
to discover me and use me lovingly.
I look at myself and see a beautiful instrument
in which that can happen.
I love me
I appreciate me
I value me.
Le meditazioni racchiudono in maniera poetica il pensiero dell’autrice, le sue convinzioni riguardanti gli esseri umani come manifestazioni di una forza vitale universale.
Il modello Satir nella terapia individuale
Le è stato spesso chiesto quale parte dei suoi contributi avesse peso e fosse utile nel campo
della terapia individuale (Satir et al., 1991). Uno dei suoi concetti più significativi — affermava —
riguarda la triade primaria. Per ogni persona molti insegnamenti non funzionali provengano dalla
triade primaria; essi necessitano di essere identificati, accettati e trasformati per poter poi recuperare
la propria stima di sé. L’esperienza della triade primaria, inoltre, fornisce modelli per fronteggiare lo
stress, per negoziare con i sentimenti, per provare sensazioni di unicità e identità, per affrontare l’intimità. La rappresentazione del cliente della propria triade primaria diventa una sorta di mappa delle
aree che il terapeuta diagnostica e accerta: questa mappa, inoltre, aiuta nella definizione di un iter per
i necessari cambiamenti e trasformazioni. Il processo non richiede la presenza dei genitori, né essi
devono fare qualcosa per favorire il cambiamento terapeutico del cliente. Infatti, nonostante i genitori
siano defunti nel momento in cui la terapia ha inizio, il processo comporta in ogni caso benefici nella
valorizzazione della persona. Se la triade è un sistema non funzionale, il bambino solitamente sviluppa pattern non adatti di coping. L’impatto sul bimbo del modeling da parte dei genitori è forte e necessita di una speciale attenzione durante la terapia.
La terapia può essere così considerata come un atto di cura della triade primaria. In questo modo i clienti possono liberarsi dal suo impatto negativo attraverso la ricostruzione di vecchi insegnamenti in altri più nuovi e funzionanti. Il concetto di triade primaria fornisce un’occasione per il terapeuta di aiutare a creare il contesto nel quale il cliente può relazionare le loro esperienze in un processo di cambiamento e di trasformazione. La concentrazione sul processo piuttosto che sul contenuto rende la terapia individuale estremamente efficace. Invece che trattare le esperienze, va evidenziato l’impatto provocato da quelle stesse esperienze. Il problema non è il “problema” (il contenuto), ma
il modo in cui lo si affronta, cioè il processo.
La diffusione del modello Satir
Dall’osservazione e dalla partecipazione ai seminari internazionali traspare che i processi umani sono universali, così come i sentimenti e i metodi di coping. Perciò, in qualsiasi parte del mondo,
sensazioni quali la paura hanno il medesimo significato; i sentimenti sono universali indipendentemente dal colore, dall’età del gruppo o dalla razza delle persone. É così possibile insegnare e praticare questo modello in tutto il mondo. Negli ultimi anni Satir aveva rivolto la sua attenzione dalla pace
in famiglia a quella nel mondo: gli accadimenti nelle organizzazioni, nei paesi e nelle nazioni non
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sono molto diversi dai processi che hanno luogo in famiglia. É possibile utilizzare il suo modello per
aiutare le persone in qualsiasi sistema, per comunicare e relazionare a livello umano piuttosto che ad
un livello di lotta di potere. Quando Satir si recò in Israele, riunì nella medesima stanza famiglie israeliane ed arabe: praticando la family reconstruction creò relazione tra loro a livello umano.
Nel lavoro per la pace era convinta dell’importanza delle relazioni tra le persone e tra le nazioni a livello umano, sapendo che tutti sono nati piccoli e che le persone sono tutte uguali e diverse, che
tutti hanno dei genitori e tutti vogliono realizzare i propri sogni umani. Se le relazioni fossero sviluppate e favorite, ovunque nel mondo la pace diventerebbe una possibilità reale.
Circle of Influence: i suoi collaboratori
A livello di intervento è un esercizio che ha lo scopo di preparare la family reconstruction
(Suhd, Dodson e Gomori, 2000). La prima fase consiste nel disegnare un punto, che rappresenta se
stessi, nel mezzo di una pagina bianca. Il secondo passo sta nel piazzare un punto per ogni persona
significativa della propria vita ad una distanza che rappresenta la relativa vicinanza o lontananza da
sé. La gran parte delle persone indica da sei a venti punti come rilevanti. Satir avrebbe dovuto segnare migliaia di punti; le sue profonde e continue relazioni con innumerevoli persone è realmente degna
di nota. Ricordiamo soltanto alcune persone che hanno costituito il suo circle of influence.
Laura Dodson, analista junghiana. La sua formazione deriva dai training della Satir, dagli studi
di Jung, dalle esperienze di analisi freudiane e junghiane, da nove anni di lavoro in un innovativo
ospedale per malattie mentali e dall’interesse nelle relazioni tra pattern nel profondo della psiche e
sistemi nei quali si vive. Nel 1990, dopo aver viaggiato con Satir nella ex Unione Sovietica, la Dodson fondò l’Istituto per le Connessioni Internazionali, nel quale continua a condurre in Russia e nell’est europeo dei campi famiglia cross-culturali.
Lori Gordon, fondatrice di PAIRS International, un programma educativo riguardante le relazioni tra genitori e adolescenti. Nel suo lavoro unisce gli insegnamenti della Satir con le sue idee dinamiche e le sue ricerche. Il programma ha migliorato migliaia di situazioni familiari nel mondo. Come scrive nella sua autobiografia, Satir influenzò molto la sua vita e il suo lavoro, tanto da riconoscerla come una sorta di genitore, amica e guida, ma anche parte del suo pensiero, del suo stile e della
sua tecnica.
Maria Gomori. Fu probabilmente la migliore amica della Satir. Per diciannove anni studiò assieme. Dal 1981 è stata membro e trainer in Avanta, il network della Satir. Ella gode di un’ottima
reputazione a livello internazionale come leader di seminari e come insegnante e dimostratrice del
modello originario. Dopo la morte della Satir, i suoi istituti si sono sviluppati in tutto il mondo e la
Gomori si è impegnata nei centri di Hong Kong, Taiwan, Australia.
John Vasconcellos. Incontrò la Satir nel 1970, invitato ad assistere al suo lavoro e rimase affascinato dal messaggio di autostima e dal suo stile molto influente. Insieme hanno condiviso libri, idee
e la profonda convinzione nella forza di trasformazione dell’autostima. Entrambi concepivano il lavoro come vocazione e missione personale per diffondere il messaggio di benessere e stima di sé, sia
sul piano personale che su quello politico. Ambedue erano dei leader, innovatori e pionieri di un nuovo approccio alla vita di tipo umanistico che combinava psicologia e politica. Essi lavorarono instancabilmente per aiutarsi reciprocamente e per aiutare gli altri a diventare consapevoli di tutte le capacità tipiche dell’essere umano, trasformando così la società.
Jean Mc Lendon. Per anni la Satir tenne un seminario annuale, della durata di un mese, a Crested Butte, nel Colorado. Nel 1988 parteciparono novanta persone e quindici istruttori, mentre nessuno considerava la possibilità che Satir potesse morire; lei stessa diceva che avrebbe raggiunto i centovent’anni. Quando si ammalò, incaricò Jean Mc Lendon di ricoprire la carica di direttrice del training
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del Process Community: aveva poco più di ventisei anni, ma possedeva doti eccezionali; era chiara,
semplice ed intuitiva, lavorava con controllo e sicurezza straordinaria. La sua voce era speciale, limpida, il tipo di voce che infondeva fiducia. Dopo aver diretto per due anni i Process Community,
s’impegnò nella creazione di un programma di formazione sulla falsa riga di Crested Butte che, in
una decina d’anni, attrasse migliaia di persone provenienti sia dal campo clinico, sia da quello organizzativo e a livello internazionale.
Margarita Suarez. Tra le molte persone che presero parte alla vita della Satir, c’è da annoverare la Suerez, di cui Satir apprezzava la sensibilità verso l’ingiustizia, la fedeltà e il coraggio. Dal 1973
è la direttrice esecutiva di Avanta, dove viene portata avanti con coerenza e flessibilità la missione
avviara dalla Satir.
Virginia Satir come figura femminile
La sua presenza all’interno della terapia familiare del suo tempo è decisamente atipica. Anzitutto è una donna e la differenza di genere è palpabile nei suoi scritti e nella sua formazione: una differenza di stile e di approccio. L’accento posto sull’armonia, sull’interezza dell’esistenza, sui segnali
deboli e sulla trasformazione di crescita, distanzia nettamente Satir da ogni collega maschio. Entrò
nel mondo della psicoterapia quando era dominato quasi interamente da psichiatri uomini che seguivano la psicoanalisi e il modello analitico. Anche se le donne hanno avuto una posizione di primo
piano nella psicologia con contributi di rilievo, la negligenza storica da parte della psicologia accademica ha impedito il pieno apprezzamento della quantità, qualità e diversità dei loro contributi. Nell’ambito specifico della psicoterapia è emerso che le donne, in qualità di psicologhe o di pazienti, sono
state influenzate dal ruolo femminile nel più ampio contesto sociale.
Particolare attenzione merita Satir nel ruolo di pioniera della terapia familiare: unico membro
donna del gruppo di Palo Alto, è antesignana di alcune posizioni, all’interno del movimento di Terapia Familiare, che furono riprese e sviluppate successivamente nelle modalità e nei contenuti da altre
psicoterapeute. Quando il terapeuta assume una prospettiva di osservazione del sistema, ponendo al
suo interno anche se stesso, deve aver consapevolezza che il suo sesso, e il modo attraverso il quale
percepisce i pazienti — ed è percepito —, è una componente rilevante dell’elaborazione reciproca dei
significati che saranno poi discussi nel contesto terapeutico. Il fatto di essere uomini o donne rappresenta una variabile in grado di influenzare il processo della terapia e di intervenire nella strutturazione del setting. A differenza di ciò che accade nel maschio che, pur avendo avuto come primo oggetto
d’amore una donna, si stacca da lei per identificarsi con il sesso di appartenenza, la bambina ha oltre
al rapporto d’amore, un rapporto di identificazione con la madre. Come risultato di questi differenti
processi di sviluppo dell’identità, gli uomini hanno una visione del mondo che enfatizza l’autonomia
e l’indipendenza, mentre le donne si pongono in una prospettiva orientata in senso relazionale. Ambedue le prospettive tendono a definire un’esperienza individuale e conducono a differenze nel modo
in cui tali esperienze vengono percepite e comunicate. Qualsiasi terapeuta ha bisogno di abbracciare
entrambi gli stili a prescindere dal suo sesso.
Tuttavia la Satir, una tra le donne più influenti nell’epoca dei pionieri, è stata ugualmente criticata per aver del tutto trascurato lo specifico femminile in terapia.
Le posizioni dei colleghi
Teoria e prassi di Satir sono già consolidate e pressoché compiute prima del 1970. Per i successivi vent’anni, la sua sarà una presenza importante in tutti i grandi congressi di terapia della famiglia, soprattutto come testimonianza di un modo d’essere terapeuta definito una volta per tutte oltre
che legato al clima e alla cultura del decennio.
Gregory Bateson. Intelletto duttile e proteiforme, Bateson è un perfetto rampollo della upper
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middle class intellettuale britannica dell’inizio del secolo. Figlio di uno scienziato, inizia la carriera
scientifica con un articolo di zoologia. Matura poi l’interesse per il modo in cui si organizzano le diverse dinamiche tra gruppi all’interno di una società, pur socialmente disimpegnato e contrario ad
ogni idea di influenzamento. É considerato il promotore della cibernetica, il cui linguaggio si caratterizza per un elevato grado di astrazione e formalizzazione; un linguaggio più concreto avrebbe reso
difficoltoso il trasferimento delle descrizioni da una categoria di sistemi all’altra; l’astrazione, però,
ostacola l’assimilazione della teoria da parte dei clinici. Concentratosi specialmente sulla schizofrenia, si rende presto conto che i sintomi di questo disturbo possono essere considerati la punta di un
iceberg di una comunicazione interpersonale in cui per le persone è difficile trovare un senso. La differenza con Satir risiede nel fatto che Bateson è un teorico, cerca soltanto esempi di relazioni formali
tali da illustrare una teoria, mentre Satir si dedica in maniera preponderante alla pratica e all’impegno
sul campo.
Don Jackson. Per non disperdere il patrimonio terapeutico che si andava accumulando all’interno del gruppo Bateson, Don Jackson fonda a Palo Alto, nel 1959, il Mental Research Institute
(MRI), piccolo istituto privato con lo scopo dichiarato di studiare e formalizzare un metodo di terapia
della famiglia. All’inizio il personale dell’istituto è quanto meno essenziale: Jackson, una segretaria,
Virginia Satir e Jules Riskin, questi ultimi molto motivati dalla lettura dei primi articoli del gruppo;
molte idee attribuite a Jackson nascono in realtà da un lavoro di collaborazione, iniziato nel progetto
Bateson e proseguito all’interno dell’MRI. Dalle ricerche sulla schizofrenia del progetto diretto da
Bateson nasce, grazie soprattutto al lavoro di Jackson, la prima “terapia familiare congiunta” che si
può definire sistemica e che cerca di applicare alla terapia concetti ingegneristici e biologici quali
omeostasi, comunicazione, ridondanza. Il piccolo gruppo di clinici dell’MRI ha già capito i limiti
della psicoterapia individuale per il trattamento della schizofrenia. Le famiglie costituiscono un’unità
con ferree regole, miti, lealtà e ruoli e i problemi veri non nascono quasi mai a livello delle diadi, ma
iniziano con le interazioni triadiche.
La concezione di Jackson è eminentemente funzionalista: la “funzione” della persona sintomatica è quella di avere problemi. Pertanto, è inutile concentrarsi sull’individuo sintomatico senza prendere in considerazione tutti gli altri familiari. L’interesse di Jackson e dei suoi collaboratori per il
“qui e ora”, in evidente polemica con la psicoanalisi dell’epoca, conduce la terapia sistemica verso la
famiglia nucleare. Anche per la Satir la famiglia è un sistema che tende all’omeostasi secondo la lezione di Jackson, ma è interessante che il modo di fare terapia di Satir finisca per andare esattamente
al-l’opposto di quello degli ex colleghi del MRI. Per questi ultimi, influenzati dal pensiero olistico di
Bateson e dall’idea omeostatica di Jackson, il sistema sovraindividuale è centro d’interesse concettuale e bersaglio elettivo della terapia, per Satir, umanista e terapeuta ben da prima di accostarsi all’MRI, è l’individuo il punto focale sia della teoria sia della terapia e l’obiettivo di quest’ultima è di
affrancare l’individuo dalle limitazioni che possono essergli imposte dal sistema familiare, che diventa in certo modo l’insieme degli ostacoli da rimuovere per promuovere la libera espressione individuale. La comunicazione non sarà mai il senso ultimo del suo intervento. Per questo motivo i concetti
comunicazionali del gruppo di Jackson saranno da Satir utilizzati in maniera eclettica, alla pari di
molte altre modalità terapeutiche.
Milton Erikson. Non si considerò mai un terapeuta familiare e non seguì alcuna regola per le
convocazioni, a differenza, per esempio, di Jackson, che richiede la presenza di tutti i membri della
famiglia nucleare, o di Whitaker, che spesso esige la contemporanea presenza dei membri delle due
famiglie d’origine dei coniugi. Erikson lavorava con ciò che i clienti gli portavano, senza imporre
restrizioni. Probabilmente la sua storia personale spiega in parte tali posizioni: nasce con molte più
limitazioni della media delle persone: dislessico, daltonico e affetto da sordità tonale. Disgraziatamente colpito dalla poliomelite a diciassette anni e per la seconda volta a cinquantatre, sviluppa una
peculiare sensibilità. Trae la sincera convinzione che ogni limitazione non è altro che una costruzione
mentale e che le risorse degli esseri umani sono superiori ai loro limiti e comunque molto maggiori di
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quanto, in genere, non pensino i terapeuti. Laureato in psicologia, inizia ad interessarsi d’ipnosi. A
differenza degli altri terapeuti familiari del periodo, Erikson non crea una teoria; tra i suoi contributi
più notevoli, sono una visione degli esseri umani e, soprattutto, un impressionante repertorio di tecniche. Si avvicina alla Satir per l’accento posto sulle risorse più che sulle patologie.
Carl Whitaker. Si posiziona al di fuori delle grandi correnti terapeutiche perché è convinto che
la metodologia sia il prolungamento del proprio modo di essere. La coterapia è uno dei marchi distintivi del suo metodo e presenta alcuni punti di contatto con l’equipe sistemica, anche se nell’uso che
viene fatto dell’equipe terapeutica da parte dei terapeuti sistemici, l’accento è posto sul punto di vista
esterno dell’equipe rispetto al terapeuta attivo, mentre nel modello di Whitaker i coterapeuti sono
entrambi fortemente partecipi delle interazioni emotive che avvengono nel corso della seduta. Se lo
stile dei sistemici di Palo Alto è lucido e razionale, tutto cognitivo, quello di Whitaker è erratico e
intuitivo; se Milton Erikson mantiene la posizione carismatica e misteriosa del sapiente, soppesando
le sue strategie, Whitaker non perde occasione per sottolineare ai suoi stessi clienti la propria incompetenza e incapacità di “salvarli”. Le posizioni estreme di Whitaker gli guadagnano fin dall’inizio un
ruolo autorevole, rispettato ma isolato, tra i terapeuti della famiglia.
Condividendo l’orientamento individuale di tutti i terapeuti umanistici ed esistenziali, Satir tende a
non preoccuparsi della famiglia, ma a dare ai suoi membri la possibilità di crescere. Come Whitaker,
non mira primariamente ad ottenere un cambiamento nelle persone, ma ad offrire loro la profonda
sensazione di essere compresi. La visione positiva è propria di tutti i terapeuti della famiglia, specie
della tradizione sistemico-strategica a partire da Erikson, ma il terapeuta strategico cerca sempre di
attuare un cambiamento con qualsiasi mezzo lecito; il terapeuta esperienziale, invece, cerca sempre
di capire e non necessariamente il cliente deve cambiare. Satir miscela quest’accettazione con l’ottimismo proprio delle visioni sistemico-strategiche: tutti hanno la propria strada, non esistono problemi davvero tragici e insolubili.
Conclusioni
Mano a mano che la reputazione della Satir si espande, diviene forse la terapeuta familiare più
imitata dei sui tempi (Simon, 1992). I terapeuti cercavano ovunque di copiarne lo stile intimo, casalingo, confortevole che la vedevano usare con tanta abilità ed effetti così emozionanti. Pensando di
seguire le sue orme, spingevano clienti perplessi a lanciarsi in atti simbolici, ad abbracciarsi e a dar
voce a sentimenti che molti non si erano mai sognati di poter esprimere ad anima viva. Mentre alcuni
terapeuti erano capaci di imitarne i manierismi e gli elementi base delle sue tecniche, altri non riuscivano minimamente ad ottenere risultati simili a quelli a cui lei giungeva; non capivano che quel che
lei faceva funzionava perché le si adattava in modo completo.
Fa parte della cultura del decennio una vena umanistica ed esperienziale, in cui massima importanza assumeva la comprensione dell’esigenza del cliente e il suo incontro umano con il terapeuta,
al di là di ogni tecnica. Più tardi, all’ascesa delle terapie tecniche corrisponde l’eclissi delle più umanistiche tra le terapie esperienziali, prima tra tutte quella della Satir. Da allora, lei resta omaggiata e
riverita come persona ai congressi dei terapeuti familiari, ma si dedica soprattutto a diffondere il suo
messaggio d’amore all’umanità (Bertrando e Toffanetti, 2000).
Gli scritti
Satir proviene dal lavoro sociale e questo rende la lettura dei suoi scritti a tratti fideistica: probabilmente non esiste in lei un impianto strutturale organizzato e le sue elaborazioni mantengono una
struttura lessicale e concettuale più prossima alla letteratura. Spirito schiettamente americano,
“Virginia”, come iniziano a chiamarla i suoi tanti seguaci (Bertrando e Toffanetti, 2000), ha il dono
di presentare la propria materia in modo chiaro, non tecnico e carismatico. Non rifiuta di esporsi al
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pubblico e nemmeno di semplificare i propri concetti appena possibile. La tendenza alla semplicità,
che a tratti sconfina nella semplificazione, e la sua vicinanza ai movimenti “alternativi” molto forti
all’epoca la rendono sempre più popolare. Ricordiamo gli scritti che hanno avuto una più ampia diffusione.
Conjoint Family Therapy. Nel 1964, grazie alla giovane casa editrice di Don Jackson, la Science and Behavior Books, pubblica il suo primo libro: Conjoint Family Therapy, nel quale presenta le
sue idee. Innovatrice e molto indipendente, cerca di andare oltre le già esistenti pratiche terapeutiche
per sviluppare nuovi concetti d’aiuto alle persone nella loro crescita e nel loro benessere. Considera il
ruolo che l’amore ricopre nel processo terapeutico, le differenze tra ciò che le persone vogliono e ciò
che fanno o dicono e il perché queste diversità esistano così frequentemente. Inoltre sottolinea la necessità di ognuno di godere del proprio spazio e di avere la possibilità per consolidare il sé. É per lei
fondamentale, per vivere con successo, che gli individui abbiano un alto senso di autostima. Aiuta
così le persone a trovare ciò che chiamava la “scatola della saggezza” (Satir, 1967), cioè il senso di
dignità, la speranza, l’accettazione di sé, il coraggio, la capacità di essere responsabili e di prendere
decisioni. Le tecniche descritte nel libro sono ideate in una varietà di situazioni e testate attraverso le
esperienze quotidiane: includono metodi di analisi di pattern familiari e “giochi” in cui questi modelli
possono essere messi in pratica con il terapeuta, compresi e corretti.
Peoplemaking. L’attitudine della Satir nei confronti della terapia come educazione diventò più
chiara in questo libro del 1972. Scritto sia per il pubblico che per i terapeuti, il testo riflette le convinzioni sul fatto che imparare (sia a livello emotivo e sensuale che a livello intellettivo) sia equivalente
alla terapia. Lei sperava che diventasse un bestseller non per raggiungere una fama mondiale, quanto
perché il vasto pubblico avesse la possibilità di accesso alle informazioni sui vari modi di lavorare
con le famiglie. Intenzionalmente è scritto con estrema semplicità e chiarezza, così che sa essere di
aiuto alle famiglie nel loro compito di cura dei figli. Ne risultò un libro di piacevole lettura, ricco di
vene umoristiche nel quale mostra come rendere possibile per ogni membro della famiglia l’ascolto e
la comprensione e come sia possibile allontanarsi dai vecchi stereotipi appartenenti all’organizzazione familiare. Inoltre si occupò di speciali problemi delle coppie, dei figli e delle famiglie di genitori
separati e single. L’obiettivo finale era di rendere felice la vita familiare, liberando l’ambiente nel
quale tutti i membri possano crescere e svilupparsi. Nel 1988 venne pubblicata una revisione.
Satir Step by Step. É del 1983, scritto assieme a Michele Baldwin ed è rivolto ai terapeuti. É il
primo libro scritto con un suo studente, diventato poi collega. Nella prima sezione è annotata, trascritta parola per parola, l’intervista videoregistrata ad una famiglia, una modalità che è poi stata utilizzata da tanti altri. Viene più volte sottolineata la convinzione riguardante l’esistenza, nell’essere
umano, di un intrinseco valore. Nella seconda parte viene descritto il pensiero e le credenze di fondo.
A questo proposito Baldwin (1983) sottolinea:
Per Virginia, il mondo è un luogo di splendore, evoluzione e trasformazione infiniti. Da
quando sono parte di questo mondo gli esseri umani condividono queste qualità. Essi sono
creature meravigliose nel loro aspetto fisico... Poi, certamente, le persone possiedono mente e anima... Per anni, la “scienza” della psicoterapia ha disprezzato l’anima, che era considerata il regno della religione. Questa ha ignorato il fatto che quando le persone dimenticano la loro dimensione spirituale, si sentono perse perché non hanno connessioni con la
forza vitale o con la mente universale (p. 160).
Videotape e i poster. Comprendendo che la carta stampata non avrebbe mai potuto cogliere
realmente il suo lavoro, Satir investì molte energie nella realizzazione di videocassette. Il suo obiettivo era di illustrare tutte le sue maggiori convinzioni così che gli usufruitori potessero osservare e
ascoltare l’azione. Sono strumenti sia per studiare il lavoro, sia come aiuto nei programmi di forma-
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zione. A questo proposito, Clifford Sager, psichiatra al New York Hospital-Cornell Medical Center,
ha scritto:
Leggere i libri di Virginia è un gran piacere, ma osservarla e ascoltarla in azione significa
guardare e imparare da una importante guaritrice all’opera. Ella condivideva se stessa in
maniera estremamente generosa. Virginia... rilasciava la creatività terapeutica in ognuno
di noi (Suhd, Dodson e Gomori, 2000, p. 199).
Un’altra tecnica utilizzata per trasmettere il suo pensiero consiste nella stampa di poster (Self-esteem,
1975), anch’essi volti ad incrementare e migliorare l’autostima e il valore del sé dei lettori.
Le poesie. Satir non si limitò a pubblicare testi e videoteape, ma cercò di trasmettere anche
attraverso la poesia le idee caratterizzanti il suo pensiero. Nelle sue opere non in prosa, la Satir sottolinea non solo le proprie convinzioni, ma soprattutto gli obiettivi che in prima persona si prefigge di
raggiungere. Eccone un esempio:
VOGLIO AMARTI
Voglio amarti senza stringerti in una morsa,
apprezzarti senza giudicarti,
unirmi a te senza invaderti, invitarti senza pretendere,
lasciarti senza sensi di colpa,
valutarti senza biasimarti,
e aiutarti senza insultarti.
Se potrò ricevere lo stesso da te
allora potremo davvero incontrarci
e arricchirci a vicenda.
(Sito Web http://www.satir-manitoba.org)
Alla luce del suo vastissimo impegno applicativo, si può concludere considerando le sue opere
nell’insieme come aventi un carattere soprattutto formativo e preventivo. Molti lavori sono rivolti ad
un pubblico non per forza facente parte del campo psicologico, medico o sociale; anzi la scrittura
semplice e chiara è ricercata allo scopo di raggiungere la più vasta schiera di lettori possibile. Non è
nemmeno possibile etichettare la sua opera come totalmente esterna al campo della ricerca scientifica
perché carente di rigore metodologico, ma ricca di considerazioni e osservazioni sui sentimenti e la
prevenzione familiare piuttosto che la cura di patologie, quest’ultima ritenuta, anche dalla lei, campo
d’indagine proprio della psichiatria.
Satir’s Network
Il suo lavoro ha un seguito attraverso le numerose persone che lei stessa ha influenzato. Dopo
la sua scomparsa sono stati pubblicati molti libri riguardo i suoi insegnamenti e le possibilità di ognuno di impegnarsi verso la “terza nascita”. Attualmente i Centri e gli Istituti Satir sono operativi in
tutto il mondo. In particolare, Avanta prosegue il lavoro di Satir attraverso conferenze, seminari, training e corsi di formazione nazionali ed internazionali; utilizzando come linea guida il pensiero di
Satir, riesce a raggiungere migliaia di persone in tutto il mondo. Dal 1988 l’associazione non profit
ha continuato a sviluppare le sue idee, fornendo il supporto necessario a persone e associazioni affiliate che usano il modello della fondatrice. Una di queste è il Satir Institute of the Southeast che ha
dato origine al Satir System, altra associazione non profit, che provvede a tenere corsi di training. I
semi piantati negli anni addietro continuano a fiorire in molti modi attraverso i programmi, prodotti e
servizi. Qualche esempio: Institute for International Connections (Columbia), Learning Center Ontario (Canada), Satir Institute of the Pacific (Canada), Satir Professional Development Institute of
Manitoba (Canada), Taiwan Satir Center Shiu-Li Liuh Memorial Foundation (Taiwan), Hong Kong
Satir Centre for Human Development (Hong Kong), Asociacion Venezolana de Orientacion Familiar
(Venezuela), Satir Centre of Australia (Australia).
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Avanta Network (ieri e oggi)
L’Avanta Network è stata fondata nel 1988 come organizzazione educativa non profit composta da professionisti formati dalla stessa Satir. Nato come forum per la continua evoluzione della teoria e della pratica, con il quartiere generale a Burien, Washington, vanta membri in venti paesi e dodici affiliati nei cinque continenti. Sotto la direzione di Margarita Suarez, si propone di educare e
incoraggiare gli individui nella promozione della pace e della giustizia sociale nella comunità globale, abbracciando la visione e la convinzione che tutte le persone possano vivere in sane e sicure comunità. Pertanto lavora per facilitare e modellare i processi di comunicazione, guarigione, crescita e
cambiamento attraverso seminari e training. Avendo come fondamenta il pensiero e la pratica della
Satir, lavora partendo dalle seguenti assunzioni: ogni individuo può vivere in modo congruente con
l’u-nicità del sé e in armonia con gli altri; il potenziale per la crescita e il cambiamento è intrinseco;
la personale e globale evoluzione positiva non è soltanto possibile, ma è essenziale. Ogni anno organizza numerosi programmi educativi nel Nord America. Gli argomenti affrontati includono la teoria e
la pratica del modello Satir, i concetti di diversità, trauma, dolore e perdita, sostegno. Per incrementare i clienti offre training convenzionati, sia a carattere profit e non profit, riguardo la diversità, la soluzione dei conflitti, il servizio di supporto e la comunicazione efficiente. Ciò che rende particolarmente interessanti questi training è l’interazione, in quanto il partecipante è chiamato a collaborare
attivamente alla creazione della propria esperienza educativa. Il programma offre abilità e strumenti
che possono essere immediatamente applicati sia a livello personale che professionale. Inoltre Avanta
provvede anche a sovvenzionare ogni anno, attraverso borse di studio e sussidi, le organizzazioni e
gli affiliati in tutto il mondo. Dal 1999 al 2002, l’impegno ha raggiunto la cifra di 160.000 dollari; i
paesi beneficiari nel 2002 sono stati Azerbaijan, Canada, Cina, Repubblica Ceca, Salvador, Honduras, Hong Kong, Ungheria, India, Israele, Filippine, Singapore, Repubblica Slovacca, Sud Corea,
Taiwan, Tailandia e Stati Uniti.
Manitoba Satir Institute
É un’organizzazione educativa non profit fondata nel 1991 dalla Gomori ed altre perone impegnate nell’aiutare gli individui a percepire meglio le proprie reali potenzialità umane. Meno conosciuta dell’Avanta offre programmi di formazione professionale. I training si concentrano sui concetti
base del modello, sull’apprendimento dell’uso di strumenti per favorire il cambiamento e la trasformazione, sulla valorizzazione dell’autostima, sugli insegnamenti derivanti dalla famiglia di origine e
sull’uso del sé. Il Manitoba Satir Institute è un affiliato di Avanta, il network di Virginia Satir, perciò
i principi su cui si fonda tutto il lavoro dell’Istituto sono quelli dell’uguaglianza di valore tra gli individui, della possibilità di cambiamento e di scelta, dell’esistenza di risorse intrinseche e di potenziale
in ogni persona; l’obiettivo è di trasformare l’impatto negativo di alcune esperienze passate in energie positive da investire per meglio riconoscere le proprie umane potenzialità.
Satir Institute of the Southeast (S.I.S)
Il Satir Institute of the Southeast, la cui direttrice è Jean Mc Lendon, offre tre tipi di programmi di training rivolti agli individui, alle coppie o a gruppi interessati alla costruzione della propria
competenza e stima e per migliorare le performance sia in ambito lavorativo che personale: il programma per professionisti, il seminario per lo sviluppo personale e quello per lo sviluppo di una
leadership congruente.
Influenze dell’approccio teorico e applicativo
La presenza atipica della Satir nel panorama dei terapeuti familiari del suo tempo è resa ancor
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più evidente, oltre che dal fatto di essere una donna, anche dalle idee innovative che hanno precorso
movimenti successivi quali la Programmazione Neuro-Linguistica (PNL) o che hanno trovato ispirazione e punti in comune con alcune filosofie orientali, ad esempio, il Reiki.
Programmazione Neuro-Linguistica. La neuroscienza è nata agli inizi degli anni ‘70 in California, dagli studi di Richard Bandler, matematico, e di John Grinder, linguista. Definita “l’arte di
provocare cambiamenti”, è una delle tecniche di comunicazione più accreditate e diffuse. La premessa di base è che le strategie efficaci di pensiero possano essere identificate, assunte e utilizzate da
chiunque lo desideri. Gli autori hanno studiato e codificato le strategie terapeutiche più diffuse, ricavandone un potente e versatile modello che venne applicato ai campi più disparati: in campo medico
e psicoterapeutico, dalla pubblicità alla formazione del personale, dallo sport all’insegnamento. Analizzarono anche la comunicazione della Satir, attratti dalla sua grande capacità di empatia e dal suo
peculiare stile terapeutico. La PNL nasce quindi dallo studio sull’ipnoterapia di Erikson e sul lavoro
dei “maghi della psicoterapia” come la Satir, registrando quanto avveniva nelle sedute psicoterapeutiche e cercando di capire che cosa esattamente essi facessero per produrre cambiamenti nelle persone,
al di là delle loro teorie di riferimento e delle loro consapevolezze, ed esplicitando gli schemi formali.
É quindi uno studio del linguaggio verbale (le parole che si dicono), paraverbale (tono, volume, ritmo) e non-verbale (i gesti e la postura) influenti il cervello così da permettere di imparare a gestire i
propri stati d’animo, modificare i comportamenti dannosi e comunicare meglio con le persone. Si
tratta di un insieme di strategie di pensiero utilizzate per potenziare le abilità cognitive (come si percepisce il mondo) e per trasformare in benessere e creatività ogni esperienza di vita. La creatività attinge alla completezza delle risorse dell’individuo e si realizza attraverso la sua espressione: ancora
una volta, la qualità della vita dipende dall’abilità di comunicare.
La metodologia è in grado di risalire dalla struttura superficiale del linguaggio (la frase ascoltata) alla struttura profonda (di quella frase) e, da questa, di scoprire la struttura soggettiva in cui si
origina l’esperienza personale. Ciò rende possibile intervenire con rapidità ed efficacia per cambiare
la maniera con cui il soggetto rappresenta se stesso, il mondo o certe esperienze in particolare, fornendogli più possibilità di scelta o la capacità di risolvere determinate problematiche.
Dopo l’avvio con l’iniziale bacino di terapeuti, il campo di studio si è allargato al più vasto
terreno del modellamento di persone “eccellenti”, dove per eccellenza si intende qualsiasi persona in
grado di raggiungere risultati straordinari nel proprio settore. Ancor oggi sono in atto numerosi progetti di ricerca e sviluppo.
Il Reiki. Respirazione profonda, movimento lento e aggraziato e concentrazione sono i tre pilastri sui quali si fonda il Reiki, l’antica arte marziale praticata da milioni di persone in Cina e sempre
più diffusa anche in Occidente (Griziotti e Basevi, 1999). Calma, rilassatezza e una potente vitalità
sono i benefici che tutti traggono dagli esercizi del Reiki che insegna come attivare l’energia vitale
operando sull’aura, sul chackra e sui corpi sottili per rilassarsi, eliminare il dolore e ottenere il benessere totale (Mantovani, 1999). L’energia del corpo umano è il fondamento della salute: quando raggiunge il culmine, il sistema immunitario è in piena forza, mentre quando diminuisce si diventa vulnerabili. L’energia può arrivare per molte vie, ma principalmente è la personale riserva di ognuno che
rifornisce la forza interna: l’energia è il fondamento della vita, senza di essa si muore. Come ogni
cosa nell’universo, il corpo umano è energia. Le strutture energetiche sono uniche come le impronte
digitali e determinano il modo d’interazione con gli altri. Il ruolo decisivo che ogni persona gioca in
favore della propria salute è la caratteristica centrale del metodo di cura cinese fin dall’antichità.
Questa cultura della responsabilità personale include il regolare mantenimento del livello energetico
individuale (Kam Chuen, 2000). Il Reiki è una profonda apertura alla forza del centro del cuore che
attiva l’energia vitale ed un grande benessere attraverso una lieve pressione delle mani, un percorso
negli elevati livelli di coscienza del nostro essere attraverso un contatto diretto con la forza dell’universo. Il Reiki introduce alla sperimentazione dell’amore incondizionato che, con empatia e concretezza, la Satir ha saputo esprimere non solo nelle sue poesie, ma in tutto il suo pensiero. L’amore per
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qualsiasi essere umano e la fiducia nelle risorse intrinseche di ogni individuo pervadono tutto l’impegno e l’opera di Satir, anzi, costituiscono proprio il perno attorno cui ruota il suo modello.
Conclusioni
Ancor oggi, osservando alcuni video di Virginia Satir si avverte un senso di mistero e di magia
su come lei sapesse aiutare le persone a divenire più congruenti, più consapevoli e come queste si
lasciassero alle spalle radicati pattern non funzionali di coping. Limitarsi alla lettura di testi o alla
visione di video non è però sufficiente poiché la magia sta nel fare esperienza del proprio sviluppo e
del proprio cambiamento. Grazie alle sue tecniche e al contatto diretto con un vasto pubblico, Satir è
riuscita ad influenzare in modo positivo la vita di migliaia di persone. Tuttora il suo spirito e la sua
forza vitale sono presenti attraverso i membri delle associazioni e degli istituti che s’ispirano al suo
modello e che sono impegnati, oltre che nella diffusione dei suoi insegnamenti, anche nella ricerca e
nell’adattamento di questo approccio alle diverse realtà e alle molteplici domande di aiuto.
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APPENDICE
Testi e Tape di Virginia Satir
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