L`ambiguità della qualità - Rivista di diritto alimentare

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L`ambiguità della qualità - Rivista di diritto alimentare
L’ambiguità della qualità
Gioia Maccioni
Il Libro verde sulla qualità solleva qualche perplessità su una ambiguità di fondo: la
concezione stessa di “qualità”.
Nel tempo, si è tentato di sintetizzare i principali aspetti della qualità, senza che ciò abbia
risolto l’ambiguità.
Si può parlare di qualità dal punto di vista merceologico (con riferimento alle
caratteristiche commerciali, all’aspetto esteriore, alle caratteristiche del confezionamento
del prodotto); di qualità nutrizionale (relativa a composizione ed ingredienti, contenuti); di
qualità organolettica (relativa agli aspetti gustativi del prodotto); di qualità igienicosanitaria (riferita alle garanzie di sicurezza oggi richieste soprattutto dal “pacchetto
igiene”); di qualità ambientale (ricordiamo le certificazioni sui metodi di produzione ecocompatibili o alcune certificazioni su imballaggi riciclabili, sulla biodegradabilità o altro); di
qualità etica (si tratta delle certificazioni che riguardano lo sfruttamento della
manodopera, del lavoro minorile ecc.); di qualità con riguardo appunto all’origine del
prodotto (ed in questo caso si farà riferimento specialmente alle denominazioni di origine
ed alle indicazioni); di qualità come bene culturale ed altro 1.
La qualità può mutare di significato in relazione al soggetto da cui viene considerata. La
sua percezione è differente a seconda che interessi il produttore, il consumatore (o
alcune fasce di consumatori), il trasformatore e può prendere in considerazione aspetti
diversi. Il produttore fa riferimento per lo più alle caratteristiche intrinseche del prodotto,
anche se oggi non può prescindere da tecniche produttive rispettose della salute umana
e dell’ambiente. Il consumatore tende a “privilegiare” l’igiene, in generale la “salubrità”.
Mentre l’industria è spinta verso l’inevitabile esigenza di standardizzazione dei prodotti
che soddisfano requisiti minimi accettati a livello internazionale. Ma potremmo giungere a
dire che il concetto di qualità muta singolarmente a seconda della valutazione personale
del soggetto di riferimento.
Il concetto di qualità tende a cambiare anche in relazione a diverse esigenze da
soddisfare (dei consumatori e in relazione alle differenti produzioni).
(1) La bibliografia sul tema è davvero molto vasta. Cfr. Lorvellec, Le droit face à la ricerche de qualità des produits
agricoles et agroalimentaries, in Revue de droit rural, 1999, 463 ss; ID., Ecrits de doit rural et agroalimentare, Paris,
2002, p. 257 ss.; tra i più recenti studi, cfr. Bonari – Galli – Neri – Piccioni, Gli aspetti agronomici della qualità dei
prodotti agricoli, in Atti del convegno “L’agricoltura dell’area mediterranea: qualità e tradizione tra mercato e nuove
regole dei prodotti alimentari (profili giuridici ed economici”, svoltosi a Pisa il 14-15 novembre 2003, Milano, 2004, p. 3
ss., che richiama anche gli studi di Peri; Jannarelli, La qualità dei prodotti agricoli: considerazioni introduttive ad un
approccio sistemico, ibidem, p. 25 ss.; Mirri, I prodotti agricoli “tradizionali” come beni culturali ?, ibidem, p. 283 ss.,
che fa riferimento alla necessità di tutelare non tanto i prodotti quanto i “procedimenti di produzione” come attività
culturali; M. Giuffrida, La tutela giuridica delle produzioni mediterranee tra legislazione e autonomia privata, ibidem, p.
177 ss.; Albisinni, Luoghi e regole del diritto alimentare: il territorio tra competizione e sicurezza, in Dir. e Giur.
agr.amb., 2004, I, p. 201 ss.
1
Ed emerge la necessità di elaborare categorie differenti di certificazioni, che possono
essere suddivise (solo per comodità, in prima battuta) in certificazioni di sistema e
certificazioni di prodotto, poiché, ad avviso di molti, è estremamente difficile differenziare
nettamente le une dalle altre, come si evince dalla disciplina relativa ai differenti tipi di
certificazioni c.d. di qualità.
Occorrerebbe fare un po’ di chiarezza sul concetto di qualità, poiché la soft law lo
consente 2. Il documento in esame, infatti, sembra dar per scontato che la qualità si basi
essenzialmente su profili soggettivi 3.
Peraltro, la riflessione ruota tutta intorno ai due fili conduttori fondamentali:
1) il primo volto a considerare la qualità nei suoi rapporti con la tutela igienico-sanitaria, la
sicurezza, le attese e la tutela del consumatore. Come è stato sottolineato più volte, non
si devono confondere gli aspetti di igiene e sicurezza alimentare con la qualità. La qualità
tendenzialmente risponde ad una aspettativa del consumatore, ma non può appiattirsi su
requisiti minimi ed imprescindibili (di igiene e sicurezza, appunto), sia che si guardi al
momento della produzione, sia che si guardi al momento dello scambio;
2) il secondo filo conduttore dovrebbe mettere in relazione correttamente la qualità con il
territorio; quest’ultimo inteso non come punto di riferimento statico, nemmeno
semplicemente come una risorsa in più (o in meno) da tenere in considerazione nel
sistema economico attuale, ma come un punto di riferimento dinamico. La concezione di
“territorio” e quella di “spazio” nel sistema attuale degli scambi sono cambiate e sono
cambiati anche i fattori in grado di esaltare la multifunzionalità delle imprese c.d.
territoriali.
Al crocevia, si pongono questioni (vecchie e nuove) di “responsabilità”. Alla ribalta, in
questo momento, quelle a fronte della natura pubblicistica delle certificazioni, rispetto ai
marchi di natura privatistica.
Per assicurare la tutela del consumatore, nonché la tutela degli interessi economici privati,
sembrano legittimati a perseguire le violazioni e coinvolti sotto il profilo delle
responsabilità più soggetti, ovvero soggetti pubblici e privati, anche lo Stato dunque.
Molto controversa è infatti la sentenza della Corte di giustizia CE del 26 febbraio 2008,
che dispone diversamente 4.
Il sistema di protezione previsto non può trasferire gli oneri di tutela delle indicazioni e
delle denominazioni dallo Stato ai soli soggetti privati (per lo più Consorzi di tutela), anche
se - nell’approccio della Commissione e negli interrogativi - sembra intravedersi il favore
nei confronti di uno “slittamento” in tal senso.
Gli effetti complessivi di varie forme di “privatizzazione” mostrano aspetti problematici.
Con la globalizzazione economica si assiste ad un aumento di “regole” originate da attori
(2) Sulle attuali caratteristiche dei sistemi giuridici, sui nuovi “attori”, sui “ruoli” pubblici e privati, sulle nuove forme di
“autorità”, cfr. Sassen, Territorio, autorità, diritti. Assemblaggi dal medioevo all’età globale, ed. Bruno Mondadori,
Milano, 2008, spec. pp. 239-261.
(3) Cfr. le Osservazioni al documento (COM, 2008, 641, def.), presentate da D’Addezio, Maccioni, Bolognini, infra.
(4) Si tratta della sentenza della Corte di giustizia in causa C- 132/05, Commissione c/ Rep. Germania (v. par. 53 ss.),
sul caso “Parmigiano Reggiano”, pubbl. in Riv.dir.agr., 2008, II, p. 3 ss. con il commento di Canfora, e in Dir.e giur.agr.
alim.amb., 2008, p. 475 ss. con il commento di Germanò.
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privati, e ad una “privatizzazione della responsabilità”. Questo sistema “non è
particolarmente gravato da problemi di legittimità (…)”, ma “corrisponde a certi interessi” 5.
Al proposito, risulta interessante la giurisprudenza comunitaria, sia dal punto di vista
dell’evoluzione della responsabilità degli Stati (argomento che ci porterebbe lontano e, in
questa sede, non sembra il caso di trattare), sia con specifico riferimento alla disciplina
delle certificazioni ed alla tutela degli interessi in gioco 6 . Di certo, la percezione e
l’interesse del consumatore (in più occasioni sottolineata) non basta. I criteri di riferimento
sono più di uno, operando su un piano verticale (a tutela del consumatore e delle sue
aspettative) e su un piano orizzontale (nei rapporti tra imprese e mercato, ed investendo
altri profili) 7.
Non si può, infine, trascurare di far riferimento alle questioni etiche e sociali. Appare infatti
significativo il loro inquadramento nel documento (nell’ambito dei sistemi di certificazione
della qualità), al fine di conseguire obiettivi “strategici” della UE 8.
Gli effetti positivi di siffatte certificazioni nei confronti di molti beneficiari (dal produttore in
avanti) è oggi più che mai evidente a fronte di una progressiva sensibilizzazione della
“cultura imprenditoriale” rispetto alle tematiche dell’ etica e del profitto. Tematiche che,
per certi aspetti, appaiono trasversali (nell’ottica appunto di una maggiore
sensibilizzazione dell’ impresa), ma devono essere osservate pure in chiave di maggior
sostegno ai Paesi in via di sviluppo (lo chiede anche il Trattato UE).
L’ “eticità” dell’impresa è oggi un tema discusso da studiosi di discipline differenti
(soprattutto dopo il Libro verde del 2001 sulla responsabilità sociale delle imprese, che si
sofferma sul “concetto secondo il quale le imprese inseriscono, su base volontaria, le
preoccupazioni sociali e ambientali nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti
con le parti interessate”).
Il favore espresso nei confronti di tali sviluppi del Libro verde - intendiamoci - è vincolato
ad alcune osservazioni: non deve risultare incentivato, alla fine, un sistema disarticolato,
abbandonato all’autoregolamentazione, troppo complesso, o troppo oneroso. Penso ad
(5) Così Sassen, op.cit., spec. pp. 260-261.
( 6 ) Possiamo dire, sinteticamente, che da almeno un decennio la genericità o meno di una denominazione viene
giudicata in relazione ad una molteplicità di fattori. Si deve tener conto della situazione esistente negli Stati membri di
cui il prodotto è originario o viene consumato; della situazione esistente negli altri Stati membri; delle legislazioni di tutti
gli Stati ed altro; si tratta di “indizi” di ordine giuridico, economico, tecnico, storico, culturale e sociale, se non vogliamo
parlare (come già segnalato) delle normative, della percezione del consumatore e dei sondaggi specifici. In questa
direzione è orientata già la sent. della Corte di giustizia CE del 16 marzo 1999, in cause riun. C-289/96, C-293/96, C299/96, Rep. Danimarca, Rep. Germania, Rep. Francia c/ Commissione, sul caso “Feta”.
(7) Recentemente cfr. anche la sent. del Trib. di primo grado CE, sez. IV, del 12 settembre 2007, in causa T-291/03
Consorzio per la tutela del Grana padano c/ Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno, pubbl. in Dir.e giur. agr.
alim. amb., 2008, p. 174 ss. con il commento di Germanò; inoltre la sentenza della Corte di giustizia CE del 25 ottobre
2005, in cause riun. C-465/02 e C-466/02, Rep. Germania e Danimarca c/ Commissione.
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( ) Recita il Libro Verde, Parte III: “i sistemi di certificazione nell’UE vanno dal rispetto di norme di produzione
obbligatorie all’osservanza di ulteriori prescrizioni relative alla tutela ambientale, al benessere degli animali, alle qualità
organolettiche, alla tutela dei lavoratori, al commercio equo e solidale, alle implicazioni dei cambiamenti climatici, a
considerazioni etiche, religiose o culturali, ai metodi di produzione e all’origine”. Così, “l’industria alimentare e i
dettaglianti di generi alimentari possono basarsi sulla qualità certificata per suscitare maggiore fiducia riguardo i
prodotti offerti”.
3
esempio alla disciplina dell’ “equo e solidale”, attualmente in via di formazione. Sono
numerosi, al momento, i progetti di legge presentati in materia.
ABSTRACT
The Green paper of the European Commission on the quality of agricultural products
does not solve the ambiguities on the idea of quality.
Two fundamental issues must be considered:
1) the first one considering quality from the point of view of hygiene safety and of the
consumer protection;
2) the other one considering the relation between quality and places of production and
marketing.
At the crossroad of both issues are emerging new and old disputes on the responsibility
of public and private subjects.
The attention of the Green paper to the importance of ethical rules in business activity is
favourably considered by the Author.
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