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LIBRO IV - DELLE OBBLIGAZIONI
2026. Pegno.
La costituzione in pegno di un titolo nominativo [2786] può farsi anche mediante consegna del titolo, girato con la
clausola «in garanzia» o altra equivalente [2014].
Il giratario in garanzia non può trasmettere ad altri il titolo se non mediante girata per procura [2013, 2014].
2027. Ammortamento.
In caso di smarrimento, sottrazione o distruzione del titolo, l’intestatario o il giratario di esso può farne denunzia
all’emittente e chiedere l’ammortamento del titolo in conformità delle norme relative ai titoli all’ordine [2016].
In caso di smarrimento, sottrazione o distruzione di azioni nominative, durante il termine stabilito dall’articolo
2016 il ricorrente può esercitare i diritti inerenti alle azioni, salva, se del caso, la prestazione di una cauzione [2018;
c.p.c. 119].
L’ammortamento estingue il titolo, ma non pregiudica le ragioni del detentore verso chi ha ottenuto il nuovo titolo
[1189, 2019].
TITOLO VI
DELLA GESTIONE DI AFFARI
2028. Obbligo di continuare la gestione.
Chi, senza esservi obbligato, assume scientemente la gestione di un affare altrui, è tenuto a continuarla e a condurla
a termine finché l’interessato non sia in grado di provvedervi da se stesso.
L’obbligo di continuare la gestione sussiste anche se l’interessato muore prima che l’affare sia terminato, finché
l’erede possa provvedere direttamente.
2029. Capacità del gestore.
Il gestore deve avere la capacità di contrattare [1425].
2030. Obbligazioni del gestore.
Il gestore è soggetto alle stesse obbligazioni che deriverebbero da un mandato [1703, 1710 ss.].
Tuttavia il giudice, in considerazione delle circostanze che hanno indotto il gestore ad assumere la gestione, può
moderare il risarcimento dei danni ai quali questi sarebbe tenuto per effetto della sua colpa [789, 798, 1176, 1223, 1812,
1821].
2031. Obblighi dell’interessato.
Qualora la gestione sia stata utilmente iniziata, l’interessato deve adempiere le obbligazioni che il gestore ha assunte in nome di lui, deve tenere indenne il gestore di quelle assunte dal medesimo in nome proprio e rimborsargli tutte le
spese necessarie o utili con gli interessi [1284] dal giorno in cui le spese stesse sono state fatte [1720, 1914].
Questa disposizione non si applica agli atti di gestione eseguiti contro il divieto dell’interessato, eccetto che tale
divieto sia contrario alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume.
2032. Ratifica dell’interessato.
La ratifica [1399] dell’interessato produce, relativamente alla gestione, gli effetti che sarebbero derivati da un
mandato [1703 ss.], anche se la gestione è stata compiuta da persona che credeva di gestire un affare proprio.
1. Locazione di cosa comune da parte di un solo comproprietario. Contrasto giurisprudenziale; 1.1. Primo
orientamento maggioritario. Il comunista che loca il bene
in comunione agisce in qualità di rappresentante; 1.2.
Secondo orientamento, condiviso dalle Sezioni Unite. La
locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari rientra nell’ambito di applicazione della gestione di affari.
1. Locazione di cosa comune da parte di un solo
comproprietario. Contrasto giurisprudenziale.
1.1. Primo orientamento maggioritario. Il comunista che loca il bene in comunione agisce in qualità di
rappresentante.
Sugli immobili oggetto di comunione concorrono,
in difetto di prova contraria, pari poteri gestori da parte
di tutti i comproprietari, in virtù della presunzione che
ognuno di essi operi con il consenso degli altri. Ne con-
segue che il singolo condomino può stipulare il contratto di locazione avente ad oggetto l’immobile in comunione e che un condomino diverso da quello che ha assunto la veste di locatore è legittimato ad agire per il rilascio del bene stesso (senza che sia necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini), purché non risulti l’espressa ed insuperabile volontà
contraria degli altri comproprietari, la quale fa venire
meno il presunto consenso della maggioranza. Si presuppone, pertanto, un reciproco rapporto di rappresentanza tra i comunisti sottostante agli atti di ordinaria amministrazione compiuti dal singolo comproprietario e la
presunzione del consenso fondata sul modello del mandato presunto o tacito. Cass. 13 maggio 2010, n. 11589;
conforme Cass. 22 giugno 2009, n. 14530.
Contra: Desta perplessità la prospettazione dei rapporti tra comunisti in termini di mandato disgiuntivo
presunto, da escludersi in un sistema fondato sulla regola organizzativa opposta dell’amministrazione congiun-
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CODICE CIVILE
tiva; così come il ricorso al mandato tacito risulta inappagante in quanto nell’ipotesi, molto frequente, della
locazione stipulata da uno dei comunisti all’insaputa
degli altri, non vi è alcuna possibilità di identificare il
comportamento concludente di questi ultimi rivolto a
consentire la stipula della locazione. In particolare, tale
orientamento muove dal fatto noto, costituito dalla stipulazione del contratto di locazione da parte di un solo
comproprietario, per risalire, quale conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità,
al fatto ignoto, costituito dalla esistenza di un mandato
tacito conferito dagli altri condomini. Orbene, una simile presunzione non appare adeguatamente motivata,
atteso che la stessa è destinata ad operare in presenza di
una norma che per gli atti di ordinaria amministrazione, tra i quali rientra la stipulazione di un contratto di
locazione infranovennale della cosa comune, richiede
una deliberazione dei partecipanti alla comunione e
quindi una manifestazione espressa di volontà. Cass.,
Sez. Un., 4 luglio 2012, n. 11135.
1.2. Secondo orientamento, condiviso dalle Sezioni
Unite. La locazione della cosa comune da parte di uno
dei comproprietari rientra nell’ambito di applicazione
della gestione di affari.
La locazione della cosa comune da parte di uno dei
comproprietari rientra nell’ambito di applicazione della
gestione di affari ed è soggetta alle regole di tale istituto,
tra le quali quella di cui all’articolo 2032 del Cc, sicché,
nel caso di gestione non rappresentativa, il comproprietario non locatore potrà ratificare l’operato del gestore e,
ai sensi dell’articolo 1705, comma 2, del Cc, applicabile
per effetto del richiamo al mandato, contenuto nel citato
articolo 2032, potrà esigere dal conduttore, nel contraddittorio con il comproprietario locatore, la quota dei canoni corrispondente alla quota di proprietà indivisa.
Cass., Sez. Un., 4 luglio 2012, n. 11135.
Sussiste, infatti l’animus aliena negotia gerendi, nel
caso in cui chi sia nella disponibilità di un bene in parte
di altri ne disponga concedendolo in locazione, essendo
siffatta iniziativa contrattuale, in assenza di opposizioni
da parte degli altri comproprietari, chiaramente riferibile anche all’interesse di questi ultimi. D’altra parte, non
può non rilevarsi che l’art. 2032 cod. civ., nel consentire
la ratifica dell’operato del gestore da parte dell’avente
diritto, anche se la gestione è stata compiuta da persona
che credeva di gestire un affare proprio, vale a ridimensionare seriamente la rilevanza del requisito soggettivo
con il quale il gestore ha proceduto alla gestione. Quanto all’absentia domini e all’utiliter coeptum, la loro ricorrenza è senz’altro verificabile nel caso del contratto di
locazione, trattandosi di atto di disposizione in genere di
ordinaria amministrazione destinato a far fruttare il bene
comune e rispetto al quale deve ritenersi sussistente anche l’interesse del comproprietario non locatore che non
abbia manifestato opposizione. Cass., Sez. Un., 4 luglio
2012, n. 11135.
Quanto al presupposto della absentia domini, inoltre
si osserva che sussiste non solo allorché l’interessato versi
in una condizione di impedimento, che si traduca in una
impossibilità materiale rispetto alla cura dei propri affari,
ma anche qualora l’interessato stesso non manifesti, espressamente o tacitamente, il divieto a che altri si ingerisca nei
propri affari. Cass., Sez. Un., 4 luglio 2012, n. 11135.
TITOLO VII
DEL PAGAMENTO DELL’INDEBITO
2033. Indebito oggettivo.
Chi ha eseguito un pagamento non dovuto [1189] ha diritto di ripetere ciò che ha pagato [1185 comma 2, 1463,
1952 comma 3]. Ha inoltre diritto ai frutti [820 ss.] e agli interessi [1284] dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto
era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede [1147], dal giorno della domanda [1148, 2036; L. fall. 39].
1. Profili generali; 2. Decorrenza degli interessi e delle
somme dovute per maggior danno; 3. Casistica.
1. Profili generali.
A norma dell’art. 1421 c.c. il giudice deve rilevare
d’ufficio le nullità negoziali, non solo se sia stata proposta azione di esatto adempimento, ma anche se sia stata
proposta azione di risoluzione. Pertanto, qualora venga
acclarata la mancanza di causa adquirendi - tanto nel
caso di nullità, annullamento, risoluzione o rescissione
di un contratto, quanto in quello di qualsiasi altra causa
che faccia venir meno il vincolo originariamente esistente
- l’azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto è
quella di ripetizione di indebito oggettivo. Proposta
domanda di risoluzione, dunque, l’accoglimento delle
richieste restitutorie in conseguenza del rilievo d’ufficio della nullità del contratto, non viola il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Cass. 7 febbraio 2011, n. 2956.
2. Decorrenza degli interessi e delle somme dovute
per maggior danno.
In tema di ripetizione d’indebito oggettivo, l’espressione “domanda” di cui all’art. 2033 c.c. non va intesa
come riferita esclusivamente alla domanda giudiziale ma
ha valore di atto di costituzione in mora, che, ai sensi
dell’art. 1219 c.c., può anche essere stragiudiziale, dovendosi considerare l’”accipiens” (in buona fede) quale
debitore e non come possessore, con conseguente applicazione dei principi generali in materia di obbligazioni e
non di quelli relativi alla tutela del possesso di buona fede
ex art. 1148 c.c. Ne consegue che, in caso di obbligazioni
periodiche, ove si deduca con la richiesta extragiudiziale
di restituzione delle somme indebitamente corrisposte
anche la corretta interpretazione del titolo costitutivo
dell’obbligazione, contestando l’unica “causa solvendi”
a cui tutti i pagamenti si riferiscono, gli interessi, nonché
l’ulteriore risarcimento ex art. 1224, secondo comma, c.c.,
decorrono dalla data dell’istanza stessa quanto agli importi già versati, mentre, quanto ai ratei non ancora sca-
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LIBRO IV - DELLE OBBLIGAZIONI
duti, spettano dal giorno di scadenza di ciascuna rata,
senza necessità di una ulteriore specifica richiesta di rimborso, che resta utile per ottenere la condanna alla restituzione delle somme successivamente versate (se non
compresa nell’originaria istanza) ma non è necessaria per
la decorrenza degli accessori legali. (Fattispecie relativa a
indebito previdenziale in ordine alla domanda di restituzione delle differenze dei contributi mensili per assegni
familiari versati ai soci lavoratori di una cooperativa). Cass.
1 aprile 2011, n. 7586.
3. Casistica.
Il giudice può rilevare d’ufficio la nullità di un contratto, a norma dell’art. 1421 c.c., anche se sia stata proposta la domanda di annullamento, o di risoluzione o
di rescissione del contratto, senza incorrere nel vizio di
ultrapetizione, atteso che in ognuna di tali domande è
implicitamente postulata l’assenza di ragioni che determinino la nullità del contratto medesimo; ne consegue
che il rilievo di quest’ultima da parte del giudice dà luogo
a pronunzia non eccedente i limiti della causa, la cui
efficacia resta commisurata nei limiti della domanda proposta, potendo quindi estendersi all’intero rapporto contrattuale se questa lo investa interamente. Qualora venga acclarata la mancanza di una causa adquirendi tanto
nel caso di nullità, annullamento, risoluzione o rescissione di un contratto, quanto in quello di qualsiasi altra causa che faccia venir meno il vincolo originariamente esistente l’azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione
del contratto stesso è quella di ripetizione di indebito
oggettivo; ne consegue che, ove sia proposta una domanda di risoluzione del contratto per inadempimento
e il giudice rilevi, d’ufficio, la nullità del medesimo, l’accoglimento della richiesta restitutoria conseguente alla
declaratoria di nullità non viola il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Cass. 2 febbraio 2012,
n. 1484.
2034. Obbligazioni naturali.
Non è ammessa la ripetizione [2033] di quanto è stato spontaneamente prestato [590, 627 comma 2, 799] in esecuzione di doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace [2126, 2321, 2940; L. fall. 64].
I doveri indicati dal comma precedente, e ogni altro per cui la legge non accorda azione ma esclude la ripetizione di
ciò che è stato spontaneamente pagato [1933 comma 2, 2035, 2940], non producono altri effetti.
1. Intrasmissibilità iure successionis.
1. Intrasmissibilità iure successionis.
L’obbligazione naturale non è trasmissibile per via
di successio mortis causa, perché, non avendo giuridicità prima e fuori dell’adempimento, non ha carattere pa-
trimoniale né fa parte del coacervo di diritti ed obblighi
nei quali subentra l’erede; il quale tuttavia può assolvere,
alla stregua dei principi etici e sociali, in via originaria ad
una sua propria obbligazione naturale, sorta di riflesso,
in dipendenza di quella del de cuius e del rapporto di
successione. Cass. 12 luglio 2011, n. 15301.
2035. Prestazione contraria al buon costume.
Chi ha eseguito una prestazione per uno scopo che, anche da parte sua, costituisca offesa al buon costume non può
ripetere quanto ha pagato.
2036. Indebito soggettivo.
Chi ha pagato un debito altrui, credendosi debitore in base a un errore scusabile, può ripetere ciò che ha pagato,
sempre che il creditore non si sia privato in buona fede [1147] del titolo o delle garanzie del credito [1189].
Chi ha ricevuto l’indebito [1189 comma 2] è anche tenuto a restituire i frutti [820 ss.] e gli interessi dal giorno del
pagamento [1282], se era in mala fede, o dal giorno della domanda, se era in buona fede [1148, 2033].
Quando la ripetizione non è ammessa, colui che ha pagato subentra nei diritti del creditore [1203 n. 5].
2037. Restituzione di cosa determinata.
Chi ha ricevuto indebitamente una cosa determinata è tenuto a restituirla [1189 comma 2, 2041].
Se la cosa è perita, anche per caso fortuito [1218, 1256], chi l’ha ricevuta in mala fede è tenuto a corrisponderne il
valore; se la cosa è soltanto deteriorata, colui che l’ha data può chiedere l’equivalente, oppure la restituzione e un’indennità per la diminuzione di valore.
Chi ha ricevuto la cosa in buona fede non risponde del perimento o del deterioramento di essa, ancorché dipenda da
fatto proprio, se non nei limiti del suo arricchimento [1147, 2041].
2038. Alienazione della cosa ricevuta indebitamente.
Chi, avendo ricevuto la cosa in buona fede [1147], l’ha alienata prima di conoscere l’obbligo di restituirla è tenuto
a restituire il corrispettivo conseguito. Se questo è ancora dovuto, colui che ha pagato l’indebito subentra nel diritto
dell’alienante [1203 n. 5]. Nel caso di alienazione a titolo gratuito, il terzo acquirente è obbligato, nei limiti del suo
arricchimento, verso colui che ha pagato l’indebito.
Chi ha alienato la cosa ricevuta in mala fede, o dopo aver conosciuto l’obbligo di restituirla, è obbligato a restituirla in
natura o a corrisponderne il valore. Colui che ha pagato l’indebito può però esigere il corrispettivo dell’alienazione e può
anche agire direttamente per conseguirlo. Se l’alienazione è stata fatta a titolo gratuito, l’acquirente, qualora l’alienante sia
stato inutilmente escusso, è obbligato, nei limiti dell’arricchimento, verso colui che ha pagato l’indebito [1147, 2041].
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CODICE CIVILE
2039. Indebito ricevuto da un incapace.
L’incapace che ha ricevuto l’indebito, anche in mala fede, non è tenuto che nei limiti in cui ciò che ha ricevuto è
stato rivolto a suo vantaggio [1190, 1443, 2041].
2040. Rimborso di spese e di miglioramenti.
Colui al quale è restituita la cosa è tenuto a rimborsare il possessore delle spese e dei miglioramenti, a norma degli
articoli 1149, 1150, 1151 e 1152.
TITOLO VIII
DELL’ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA
2041. Azione generale di arricchimento.
Chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a
indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale [1185 comma 2; L. camb. 67].
Qualora l’arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata, colui che l’ha ricevuta è tenuto a restituirla in
natura, se sussiste al tempo della domanda [2037, 2038].
1. La domanda di indennizzo per arricchimento senza causa; 2. Azione di arricchimento nei confronti della P.A.; 3.
Arricchimento e valutazione delle prestazioni professionali; 4. Questioni processuali; 4.1. Giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo; 5. Casistica; 5.1. Condominio.
1. La domanda di indennizzo per arricchimento senza causa.
L’azione di indebito arricchimento integra un’azione autonoma per diversità di “petitum” e di “causa petendi”. La specificità del suo titolo, pertanto, esclude che
essa possa intendersi proposta per implicito in una domanda fondata su altro titolo. (Nella specie l’attore aveva dedotto a fondamento della proposta domanda un
contratto di finanziamento: in applicazione del principio
di cui sopra la S.C. ha escluso che il giudice del merito
potesse ritenere implicitamente proposta in luogo dell’azione causale - come esplicitata dalla parte - l’azione
ex art. 2041 c.c.). Cass. 21 febbraio 2011, n. 4200.
2. Azione di arricchimento nei confronti della P.A.
Ai fini dell’azione di arricchimento senza causa, ai
sensi dell’art. 2041 c.c., proposta nei confronti della P.A.,
non rileva l’utilità che l’ente pubblico confidava di realizzare, bensì quella che ha in effetti conseguito e che,
quando la prestazione eseguita in suo favore sia di carattere professionale, può consistere anche nell’avere evitato un esborso o una diversa diminuzione patrimoniale
cui, invece, sarebbe stato necessario far fronte ove fosse
mancata la possibilità di disporre del risultato della prestazione medesima. Pertanto, qualora il progetto di
un’opera pubblica, fornito da un professionista a un ente
pubblico senza un valido conferimento di incarico, sia
stato utilizzato per chiedere il finanziamento dell’opera
progettata, l’ente medesimo è tenuto a indennizzare l’autore dell’elaborato nei (imiti del vantaggio conseguito
attraverso l’utilizzazione concretamente fatta dello stesso, mentre è irrilevante il fatto che il finanziamento non
sia stato accordato e l’opera pubblica non sia stata realizzata. Cass. 6 aprile 2011, n. 7882.
In tema di azione d’indebito arricchimento nei confronti della p.a., conseguente all’assenza di un valido contratto d’opera professionale, l’indennità prevista dall’art.
2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in
virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo
stesso avrebbe percepito se il rapporto negoziale fosse
stato valido ed efficace. Pertanto, ai fini della determinazione dell’indennizzo dovuto al professionista, la parcella, ancorché vistata dall’ordine professionale, non può
essere assunta come parametro di riferimento, non trattandosi in questo caso di corrispettivo per prestazioni
professionali, ma della individuazione di una somma che
va liquidata, in forza delle risultanze processuali, se ed in
quanto si sia verificato un vantaggio patrimoniale a favore della p.a., con correlativa perdita patrimoniale della
controparte. Cass. 18 febbraio 2010, n. 3905.
Contra: Qualora, per lo svolgimento di un’attività
professionale, debba essere riconosciuto un indennizzo
per arricchimento senza causa ai sensi dell’art. 2041 c.c.,
la quantificazione dell’indennizzo medesimo può essere effettuata utilizzando la tariffa professionale come parametro di valutazione, per desumere il risparmio conseguito dalla P.A. committente rispetto alla spesa cui
essa sarebbe andata incontro nel caso di incarico professionale contrattualmente valido. Cass. 29 settembre
2011, n. 19942.
3. Arricchimento e valutazione delle prestazioni professionali.
L’utilità dell’opera o della prestazione può essere riconosciuta di fatto dal giudice a fronte di una utilizzazione non attuata direttamente dagli organi rappresentativi
dell’ente, ma da questi sostanzialmente assentita. Inoltre, l’omessa realizzazione dell’opera non è circostanza
tale da escludere l’utilità del progetto che può essere rappresentata dal suo utilizzo per pratiche amministrative.
(Fattispecie relativa al caso di tre professionisti, che avevano ricevuto dalla Provincia, sulla base di un contratto
di appalto, l’incarico di redigere un progetto esecutivo
per la realizzazione di un istituto scolastico, poi non realizzato. La S.C. ha condannato la Provincia a corrispondere ai professionisti un compenso parametrato alle tariffe professionali e non una indennità pari alla utilità ricevuta dalla P.a. in conseguenza dell’arricchimento nei
ristretti limiti di questo). Cass. 6 dicembre 2011, n. 26193.
Se la prestazione professionale è resa contra legem,
per avere il professionista ecceduto i limiti delle competenze inderogabili fissati dalla legge, il contratto d’opera
professionale è nullo e il professionista non può preten-
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LIBRO IV - DELLE OBBLIGAZIONI
dere né una retribuzione, né far valere l’indebito arricchimento. Cass. 21 marzo 2011, n. 6402.
4. Questioni processuali.
La domanda di arricchimento senza causa nei confronti dei partecipanti ad un’associazione non riconosciuta, ivi compreso il rappresentante della stessa, e la domanda diretta a far valere la responsabilità personale ed
accessoria di colui che ha agito in nome e per conto dell’ente, quali azioni che riguardano entrambe diritti eterodeterminati, si differenziano sia quanto alla “causa petendi” (nella prima rilevando come fatti costitutivi la presenza e l’entità del proprio impoverimento e dell’altrui
arricchimento, e nella seconda l’essere stata svolta attività negoziale in nome e per conto dell’associazione, responsabile in via primaria per l’adempimento del contratto), sia quanto al “petitum” (pagamento dell’indennizzo o del corrispettivo pattuito). Ne consegue che, promossa, da parte di un appaltatore, azione di arricchimento
senza causa nei confronti dei partecipanti all’associazione, per avere costoro usufruito delle opere realizzate in
esecuzione dell’appalto, non può ritenersi proposta per
implicito, nei confronti di chi ha agito per l’associazione,
la domanda fondata sulla garanzia “ex lege” di cui all’art. 38 c.c., né è consentito al giudice di sostituire la
pretesa di arricchimento senza causa con la diversa domanda diretta a far valere detta garanzia. Cass. 7 marzo
2012, n. 3602.
L’azione di indebito arricchimento integra un’azione autonoma per diversità di “petitum” e di “causa petendi”. La specificità del suo titolo, pertanto, esclude che
essa possa intendersi proposta per implicito in una domanda fondata su altro titolo. (Nella specie l’attore aveva dedotto a fondamento della proposta domanda un
contratto di finanziamento: in applicazione del principio
di cui sopra la S.C. ha escluso che il giudice del merito
potesse ritenere implicitamente proposta in luogo dell’azione causale - come esplicitata dalla parte - l’azione
ex art. 2041 c.c.). Cass. 21 febbraio 2011, n. 4200.
4.1. Giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
La domanda di ingiustificato arricchimento è domanda diversa rispetto a quella di adempimento contrattuale
perché diversi sono i fatti giuridicamente rilevanti, posti
a fondamento della domanda e diverso è il bene giuridico perseguito. Ne consegue che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, al creditore opposto è consentita la sua proposizione, soltanto se tale esigenza nasce dalle difese dell’ingiunto-opponente contenute nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, e purché la
relativa domanda sia proposta - a pena di inammissibilità
rilevabile d’ufficio - nella comparsa di costituzione e risposta della parte opposta. Cass., Sez. Un., 27 dicembre
2011, n. 26128.
5. Casistica.
5.1. Condominio.
Il Condominio può esperire l’azione di indebito arricchimento per far valere le proprie ragioni contro il singolo condomino che si è avvalso di un errore nelle tabelle millesimali per non concorrere alle spese (nella specie,
l’assemblea condominiale aveva deliberato l’esecuzione
di alcuni lavori di manutenzione straordinaria senza accorgersi che le tabelle millesimali - poste a base dei conteggi per la ripartizione delle spese - contenevano un errore, escludendo, di fatto, un condomino dalla partecipazione alle spese comuni). Cass. 10 marzo 2011, n. 5690.
2042. Carattere sussidiario dell’azione.
L’azione di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito [821, 1185, 1190, 1443, 1769, 2037, 2038].
TITOLO IX
DEI FATTI ILLECITI
2043. Risarcimento per fatto illecito.
Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a
risarcire il danno [7, 10, 129-bis, 844, 872 comma 2, 935, 939, 948, 949, 1337, 1440, 2600, 2675, 2947].
1. Funzione riparatoria del risarcimento del danno; 2. Nesso eziologico; 2.1. Il concorso di cause; 2.2. In tema di
risarcimento del danno, è ammissibile una valutazione
concorsuale tra causa naturale e causa umana imputabile? Contrasto giurisprudenziale; 3. Obbligo giuridico di
impedire l’evento e responsabilità risarcitoria; 3.1. Furto
consumato avvalendosi di impalcature e ponteggi; 4. Danno ingiusto; 4.1. Lesione dell’interesse legittimo; 4.2. Lesione del diritto di credito; 5. Rapporti tra giudizio penale
e giudizio civile di risarcimento dei danni; 6. Risarcimento
del danno patrimoniale; 7. Ipotesi applicative; 7.1. Risarcimento del danno per mancata attuazione di direttiva
comunitaria; 7.2. Attività sportiva; 7.3. Danno da fumo;
7.4. Danno da emotrasfusioni; 7.5. Intesa anticoncorrenziale; 7.6. Danno all’ambiente; 7.7. Danno da atti o comportamenti processuali; 7.8. Danno da vizi della cosa e da
prodotto difettoso; 7.9. Danni ad immobile abusivo; 8.
Responsabilità della P.A.; 8.1. Natura giuridica e presupposti; 8.1.1. La pregiudiziale amministrativa; 8.2. Responsabilità della P.A. per gli atti compiuti dai suoi dipendenti;
8.3. Responsabilità dello Stato per danno cagionato dall’esercizio di funzioni giudiziarie; 9. Responsabilità delle
della P.A. (Consob e Ministero delle attività produttive) per
omessa vigilanza sulle società di raccolta del risparmio.
1. Funzione riparatoria del risarcimento del danno.
Non può essere riconosciuta in Italia una decisione
nordamericana con la quale è stato concesso un risarcimento molto superiore a quanto richiesto dalla parte
attrice, a fronte sia della mancanza di qualsiasi indicazione positiva circa la causa giustificativa della statuita attribuzione patrimoniale e sia dell’omesso richiamo in essa e
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CODICE CIVILE
nella impugnata sentenza a regole legali e/o criteri esteri
propri della liquidazione del danno in questione e nella
specie applicabili, i quali non risultano esplicitati nemmeno negli atti e difese dell’attore. Ai fini della verifica
di compatibilità con l’ordine pubblico interno si rende
sempre necessario conoscere i criteri legali in concreto
applicati dal giudice straniero nell’adozione della pronuncia, e in particolare quelli seguiti per qualificare la
responsabilità e le conseguenti voci di danno ristorabili
(applicando questi principi è stata cassata la decisione
dei giudici di appello che avevano invece ritenuto delibabile la decisione stessa nonostante l’assenza di una adeguata motivazione e per il fatto che nella decisione non
era indicato che la somma fosse stata concessa a titolo di
danno punitivo). Cass. 8 febbraio 2012, n. 1781.
2. Nesso eziologico.
2.1. Il concorso di cause.
Il nesso di causalità tra la condotta dell’imputato e
l’evento sussiste anche quando il decesso della vittima è
dovuto a complicazioni post-operatorie originate da gravi
patologie della medesima, ove l’intervento chirurgico risulti esser stato necessitato per la condotta dell’agente.
Detta efficienza causale iniziale e propulsiva, inoltre, va
riconosciuta anche quando incida unicamente sui tempi
di sopravvivenza della vittima. Cass. pen., 24 gennaio 2011,
n. 2302.
2.2. In tema di risarcimento del danno, è ammissibile una valutazione concorsuale tra causa naturale e
causa umana imputabile? Contrasto giurisprudenziale.
Va negato ingresso, sul piano giuridico, all’ipotesi
che, a fronte di una sia pur minima incertezza sulla rilevanza di un eventuale contributo concausale di un fattore naturale (qual che esso sia), possa legittimamente dipanarsi un ragionamento probatorio “semplificato” che
conduca ipso facto ad un frazionamento della responsabilità, da compiersi addirittura in via equitativa (con conseguente, costante e proporzionale ridimensionamento
del quantum risarcitorio). Va del pari espunta dal novero delle ipotesi legittimamente predicabili in tema di causalità materiale quella secondo cui attraverso il principio
equitativo andrebbe altresì esaminata e risolta la ipotesi
di totale incertezza sulla rilevanza causale non solo del
fattore naturale ma anche di quello umano, con la conseguenza di un’imputazione della responsabilità ancor più
semplificata, ormai destinata a prescindere del tutto dall’accertamento probabilistico del nesso così come dall’osservanza, da parte di ciascuno dei contradditori, dei
rispettivi oneri probatori. Il nesso di causalità materiale
tra illecito (o prestazione contrattuale) ed evento dannoso deve ritenersi sussistente (a prescindere dalla esistenza ed entità delle pregresse situazioni patologiche aventi
valore concausale e come tali prive di efficacia interruttiva del rapporto eziologico ex art. 41 c.p., ancorché eventualmente preponderanti), ovvero insussistente qualora
le cause naturali di valenza liberatoria dimostrino efficacia esclusiva nella verificazione dell’evento, ovvero il
debitore/danneggiante dimostri ancora l’effettiva adozione di tutte quelle misure atte a circoscrivere la possibilità di un’incidenza delle condizioni preesistenti sul
raggiungimento del risultato favorevole al paziente ed
esigibile nel caso concreto: id est la assoluta non imputabilità dell’evento di danno (poiché, se gli esiti negativi
potenzialmente discendenti dal fattore naturale avrebbero
potuto essere neutralizzati oppure circoscritti, la causa
naturale, pur in astratto assorbente, scadrebbe a concausa come tale non rilevante ai fini dell’imputazione del fatto
lesivo). Cass. 21 luglio 2011, n. 15991.
3. Obbligo giuridico di impedire l’evento e responsabilità risarcitoria.
Affinché una condotta omissiva possa essere fonte
di responsabilità per danni, ai sensi dell’articolo 2043 del
Cc, è necessario che sia configurabile in capo al responsabile un obbligo giuridico di impedire l’evento dannoso, che può nascere, oltre che da una norma di legge o da
una previsione contrattuale, anche da una specifica situazione che esiga una determinata attività a tutela di un
diritto altrui. L’attività doverosa può essere, secondo le
circostanze, anche solo informativa, come ad esempio,
in caso di prestito grazioso di un oggetto pericoloso,
ovvero concretarsi nel dovere di assicurarsi che il terzo che a titolo di cortesia si stia adoperando nell’interesse di
altro soggetto, manovrando in sua presenza un oggetto
pericoloso di cui il soggetto interessato conosca la pericolosità - abbia adottato le precauzioni idonee per la corretta esecuzione della manovra o che queste siano stato
comunque poste in essere. (Nella specie, in applicazione
del principio di cui sopra la Suprema corte ha confermato la sentenza con cui il giudice del merito aveva ritenuto
la responsabilità del proprietario di un trattore per le gravissime lesioni riportate da un soggetto - che si era spontaneamente indotto a prestare il proprio ausilio in via del
tutto occasionale e non programmata - nel tentativo di
regolare il funzionamento di una forca per il prelevamento
del letame collegato al trattore, atteso che il sinistro era
conseguenza della intrinseca rischiosità dell’operazione
che avrebbe richiesto l’intervento del proprietario per
adottare tutte le cautele idonee a scongiurare l’evento
dannoso). Cass. 25 gennaio 2011, n. 1737.
3.1. Furto consumato avvalendosi di impalcature e
ponteggi.
Del furto in appartamento realizzato da chi vi si sia
introdotto attraverso ponteggi installati per lavori di manutenzione risponde, ex articolo 2043 del Cc, l’imprenditore che per tali lavori si sia avvalso delle impalcature,
tutte le volte in cui, violando il principio del neminem
laedere, egli abbia omesso di dotarle di cautele atte a
impedirne l’uso anomalo da parte di terzi, così creando
colposamente un agevole accesso ai ladri e ponendo in
essere le condizioni del verificarsi del danno subito dai
derubati. Tuttavia, il risarcimento dovuto dall’impresa
può essere limitato dal comportamento del derubato che
abbia lasciato incustodita nell’appartamento la chiave
della cassaforte. Cass. 10 gennaio 2011, n. 292.
4. Danno ingiusto.
4.1. Lesione dell’interesse legittimo.
Se un Comune nega la richiesta di autorizzazione
per lo svolgimento di una attività commerciale (sul pre-
– 354 –
2043
LIBRO IV - DELLE OBBLIGAZIONI
supposto che l’attività svolta dalla ricorrente sia incompatibile con la destinazione urbanistica assegnata dal vigente PRGC all’immobile sede dell’attività) con provvedimento annullato dal T.A.R., e la società nelle more fallisce, il curatore fallimentare non ha diritto al risarcimento del danno se il danno si sarebbe potuto evitare con
l’ordinaria diligenza, con una nuova domanda al Comune o con la richiesta del commissario ad acta, o con la
locazione di altro immobile, ma non con la colpevole inerzia che spezza il nesso di causalità. T.A.R. Piemonte, sez.
I, 19 aprile 2012, n. 459.
4.2. Lesione del diritto di credito.
Se la lesione del credito deriva da un fatto per la cui
imputabilità la legge preveda uno speciale criterio d’imputazione (come nel caso dell’art. 2054 c.c.) quel criterio
trova applicazione anche nella causa promossa dal creditore nei confronti del responsabile del fatto illecito, non
essendovi ragioni per limitarne l’applicabilità al solo caso
della domanda proposta direttamente dalla vittima primaria, giacché il fatto genetico del danno è il medesimo
anche per gli altri soggetti danneggiati. Cass. 27 ottobre
2011, n. 22402.
5. Rapporti tra giudizio penale e giudizio civile di
risarcimento dei danni.
In caso di illecito civile considerato dalla legge come
reato (lesioni), ma per i quali non sia stato promosso (ad
esempio per mancata presentazione della querela) un giudizio penale, l’eventuale più lunga prescrizione prevista
per il reato si applica anche all’azione di risarcimento
promossa in sede civile, a condizione che il giudice accerti – pur con gli strumenti del rito civile - la sussistenza
di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto-reato,
dal punto di vista oggettivo e soggettivo. In simili casi la
prescrizione decorre dalla data del fatto, conformemente a quanto stabilisce l’art. 2947, comma 3, c.c. (nel caso
concreto, il termine di prescrizione da applicare era quello
del reato di lesioni colpose, pari a 5 anni; essendo stato
notificato l’atto di citazione entro detto termine, la S.C.
ha accolto il ricorso viene accolto e cassato con rinvio la
sentenza impugnata). Cass. 15 maggio 2012, n. 7543.
La sentenza con la quale il giudice applica all’imputato la pena da lui richiesta e concordata con il p.m., pur
essendo equiparata a una pronuncia di condanna ai sensi
e per gli effetti di cui all’art. 445, 1º comma, c.p.p., non è
tuttavia ontologicamente qualificabile come tale, traendo essa origine essenzialmente da un accordo delle parti,
caratterizzato, per quanto attiene all’imputato, dalla rinuncia di costui a contestare la propria responsabilità;
ne consegue che non può farsi discendere dalla sentenza
di cui all’art. 444 c.p.p. la prova della ammissione di responsabilità da parte dell’imputato e ritenere che tale
prova sia utilizzabile nel procedimento civile. Cass. 12
aprile 2011, n. 8421.
In funzione dell’autonomia e della separazione dei
giudizi penale e civile, ad eccezione della sola sentenza
penale irrevocabile di assoluzione, pronunciata in seguito a dibattimento che ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento del danno, il giudice civile può rideterminare liberamente la percentuale del concorso causale. Cass.,
Sez. Un., 26 gennaio 2011, n. 1768.
6. Risarcimento del danno patrimoniale.
Le spese sostenute dai familiari della vittima di un
fatto illecito per partecipare alle esequie del loro congiunto, comprese quelle di viaggio, in quanto normali e
doverose secondo la coscienza sociale ed il costume, vanno comprese fra i danni derivanti dal fatto illecito in base
ad un nesso di regolarità causale, e, come tali, sono risarcibili (nel caso di specie è stata ritenuta fondata dalla S.C.
la censura relativa al mancato riconoscimento delle spese per il rientro della figlia della vittima dalla vacanzastudio in corso a Londra). Cass. 13 maggio 2011, n. 10528.
Ai fini della liquidazione dei danni, subiti da uno
dei coniugi per la morte dell’altro coniuge, causata da
fatto illecito altrui, la situazione, determinatasi a seguito
delle nuove nozze contratte dal coniuge superstite in
corso di causa, se certamente è irrilevante sotto il profilo
della compensatio lucri cum damno, non essendo i vantaggi patrimoniali acquisiti dal danneggiato attraverso il
successivo matrimonio conseguenza diretta e immediata
del fatto illecito, deve essere tuttavia valutata dal giudice
al fine di accertare in quali limiti il pregiudizio scaturito
da tale illecito sia stato concretamente eliso dalle nuove
nozze. Cass. 21 marzo 2011, n. 6357.
Interpretando l’articolo 16 delle preleggi alla luce
degli articoli 2, 3 e 10 della Costituzione per il principio
della gerarchia delle fonti, poiché costituiscono diritti
inviolabili della persona umana sia il diritto alla salute e
all’integrità psicofisica sia il diritto ai rapporti parentalifamiliari, il risarcimento dei danni (patrimoniali e non
patrimoniali) subiti dallo straniero (anche extracomunitario) in conseguenza della lesione di tali diritti, può essere fatto valere con l’azione risarcitoria, indipendentemente dalla condizione di reciprocità di cui all’articolo
16 delle preleggi, senza alcuna disparità di trattamento
rispetto al cittadino italiano, e quindi non solo contro il
danneggiante (o contro il soggetto tenuto al risarcimento
per fatto altrui), ma - anche con l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore o del Fondo di garanzia per le vittime della strada. Cass. 11 gennaio 2011, n. 450.
7. Ipotesi applicative.
7.1. Risarcimento del danno per mancata attuazione di direttiva comunitaria.
In tema di responsabilità dello Stato per mancato
recepimento di direttive comunitarie, la norma introdotta dall’art. 4, comma 43, della legge n. 183 del 2011,
secondo la quale la prescrizione del diritto al risarcimento del danno soggiace al termine quinquennale ex
art. 2947 c.c., vale soltanto per i fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore, poiché essa non
evidenzia i caratteri della norma interpretativa, idonei a
sottrarla al principio di irretroattività; ne consegue che,
per i fatti anteriori alla novella, opera la prescrizione
decennale, secondo la qualificazione giurisprudenziale
nei termini dell’inadempimento contrattuale. Cass., sez.
lav., 8 febbraio 2012, n. 1850.
In caso di omessa o tardiva trasposizione da parte
del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE
e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi), sorge,
conformemente ai principi più volte affermati dalla Cor-
– 355 –
2043
CODICE CIVILE
te di giustizia dell’Unione europea, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto allo
schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria. Tale
responsabilità - dovendosi considerare il comportamento omissivo dello Stato come antigiuridico anche sul piano dell’ordinamento interno e dovendosi ricondurre ogni
obbligazione nell’ambito della ripartizione di cui all’art.
1173 c.c. - va inquadrata nella figura della responsabilità
“contrattuale”, in quanto nascente non dal fatto illecito
di cui all’art. 2043 c.c., bensì dall’inadempimento di un
rapporto obbligatorio preesistente, sicché il diritto al risarcimento del relativo danno è soggetto all’ordinario
termine decennale di prescrizione. Detto termine di prescrizione comincia a decorrere dalla data in cui i primi
effetti lesivi di detta scorretta trasposizione si siano verificati e ne siano prevedibili altri. Detta data può anche
essere antecedente alla corretta trasposizione della direttiva stessa, a condizione che il danno per gli aventi diritto
si sia verificato, anche solo in parte, anteriormente alla
trasposizione stessa. Cass. 17 maggio 2011, n. 10813.
Gli Stati membri hanno il diritto di stabilire un termine di prescrizione per l’esercizio delle azioni di risarcimento danni a causa del mancato recepimento di una
direttiva non self-executing a condizione che venga rispettato il principio di equivalenza e di effettività. il decorso
del tempo può essere calcolato anche prima del recepimento della direttiva a condizione che lo Stato non sia
responsabile, con il suo comportamento, dei ritardi nell’azionabilità dei ricorsi. È irrilevante il preliminare accertamento da parte della Corte Ue della violazione dello Stato nei casi in cui la violazione sia evidente. Corte
giust., 19 maggio 2011, Causa C-452/09.
7.2. Attività sportiva.
Qualora siano derivate lesioni personali ad un partecipante all’attività sportiva a seguito di un fatto posto
in essere da un altro partecipante, il criterio per individuare in quali ipotesi il comportamento che ha provocato il danno sia esente da responsabilità civile sta nello
stretto collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo, collegamento che va escluso se l’atto sia stato compiuto allo scopo di ledere, ovvero con una violenza incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco,
con la conseguenza che sussiste in ogni caso la responsabilità dell’agente in ipotesi di atti compiuti allo specifico scopo di ledere, anche se gli stessi non integrino
una violazione delle regole dell’attività svolta; la responsabilità non sussiste invece se le lesioni siano la conseguenza di un atto posto in essere senza la volontà di
ledere e senza la violazione delle regole dell’attività, e
non sussiste neppure se, pur in presenza di violazione
delle regole proprie dell’attività sportiva specificamente svolta, l’atto sia a questa funzionalmente connesso.
In entrambi i casi, tuttavia il nesso funzionale con l’attività sportiva non è idoneo ad escludere la responsabilità tutte le volte che venga impiegato un grado di
violenza o irruenza incompatibile con le caratteristiche
dello sport praticato, ovvero col contesto ambientale
nel quale l’attività sportiva si svolge in concreto, o con
la qualità delle persone che vi partecipano. Cass. 30
marzo 2011, n. 7247.
Nel caso di lesioni subite nel corso di un’attività
natatoria all’interno di una piscina va riconosciuta la responsabilità del gestore della stessa - ex art. 2049 c.c. che, nell’organizzare il corso di nuoto avrebbe dovuto
predisporre modalità necessarie ad evitare “gli scontri”
in vasca, sia del nuotatore che - ex art. 2043 c.c. - ha compiuto un’attività non improntata a criteri di perizia e diligenza, anche nel caso in cui abbia eseguito pedissequamente le indicazioni impartite dall’istruttore. Cass. 23
marzo 2011, n. 6695.
Ai fini dell’individuazione della responsabilità per
danni, ex art. 2043 c.c., derivanti da un tuffo in piscina
dove la profondità dell’acqua è bassa, posto che, secondo le comuni regole di prudenza, il gestore deve predisporre mezzi idonei a segnalarne la profondità e un esplicito cartello per vietare i tuffi (e ciò anche in assenza di
specifiche previsioni normative), dove la profondità non
li consente in sicurezza, qualora tale condotta risulti omessa, come nella specie, andrà valutata l’incidenza causale
di tale omissione rispetto all’evento, non apparendo inverosimile - alla luce del criterio della cosiddetta causalità adeguata - che idonei segnali di pericolo possano svolgere un effetto dissuasivo sul comportamento dell’uomo
medio, e, tanto più su quello di un’adolescente. Inoltre,
ai fini di stabilire la misura della concorrenza del comportamento colposo della vittima e della omessa apposizione di segnaletica, rileverà se il tuffo è avvenuto dal
lato corto della piscina, dove l’acqua era senz’altro bassa, o dal lato lungo, dove la profondità non era omogenea, nonché la valutazione della giovane età della vittima
rispetto alla maturità psicologica ipotizzabile. Cass. 2
marzo 2011, n. 5086.
In materia di risarcimento danni per responsabilità civile conseguente ad un infortunio sportivo, qualora siano
derivate lesioni personali ad un partecipante all’attività a
seguito di un fatto posto in essere da un altro partecipante,
il criterio per individuare in quali ipotesi il comportamento
che ha provocato il danno sia esente da responsabilità civile
sta nello stretto collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo, collegamento che va escluso se l’atto sia stato compiuto allo scopo di ledere, ovvero con una violenza incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco, con la conseguenza che sussiste in ogni caso la responsabilità dell’agente
in ipotesi di atti compiuti allo specifico scopo di ledere, anche se gli stessi non integrino una violazione delle regole
dell’attività svolta; la responsabilità non sussiste invece se le
lesioni siano la conseguenza di un atto posto in essere senza
la volontà di ledere e senza la violazione delle regole dell’attività, e non sussiste neppure se, pur in presenza di violazione delle regole proprie dell’attività sportiva specificamente
svolta, l’atto sia a questa funzionalmente connesso. In entrambi i casi, tuttavia il nesso funzionale con l’attività sportiva non è idoneo ad escludere la responsabilità tutte le volte
che venga impiegato un grado di violenza o irruenza incompatibile con le caratteristiche dello sport praticato, ovvero col contesto ambientale nel quale l’attività sportiva si
svolge in concreto, o con la qualità delle persone che vi partecipano (Nel caso di specie la S.C. ha escluso la responsabilità di un’associazione che organizza un torneo di calcio
per giovanissimi per le eventuali lesioni riportate dai ragazzi
del tutto casualmente durante la partita). Cass. 30 marzo
2011, n. 7247.
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