L`ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA NEI RAPPORTI CON LA

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L`ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA NEI RAPPORTI CON LA
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L’ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA NEI RAPPORTI CON LA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE: PRESUPPOSTI E CONDIZIONI DI
AMMISSIBILITA’
Stefano Venturi1
Sommario: 1. Le fonti e gli elementi costitutivi dell’arricchimento senza causa – 2. Il rapporto
tra tutela risarcitoria e restitutoria – 3. L’arricchimento senza causa nella pubblica
amministrazione e riconoscimento dell’utilità della prestazione - 4. Il rapporto tra
l’arricchimento senza causa e la disciplina dei debiti fuori bilancio
1. Le fonti e gli elementi costitutivi dell’arricchimento senza causa
L’istituto giuridico dell’arricchimento senza causa2 trova fonte nell’art. 2041 del codice civile a
tenore del quale chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un'altra persona è tenuto, nei
limiti dell'arricchimento a indennizzare quest'ultima della correlativa diminuzione patrimoniale.
L’arricchimento entra a far parte del nostro ordinamento giuridico con la sua collocazione nel
codice civile del 1942 giacché in vigenza del codice del 1865 non era codificato.
L’introduzione di questo istituto nel tessuto del codice civile nasce dall’esigenza di codificare una
clausola di salvaguardia che le parti private abbiano facoltà di utilizzare laddove gli altri strumenti
giuridici a loro disposizione non siano in grado soddisfare le esigenze delle medesime.
Questa clausola si colloca a monte di un quadro di garanzie di derivazione costituzionale ove la
tutela processuale è asservita alla tutela sostanziale in un’ottica secondo cui il processo deve dare
per quanto possibile a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello che a diritto di conseguire3.
In ossequio alla sua complementarietà, la condizione della sua applicabilità presuppone, come
indicato testualmente dall’art. 2042 c.c. che l’azione di arricchimento non sia proponibile quando il
danneggiato possa esercitare altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito, con la
conseguenza che, laddove il danneggiato non abbia altra possibilità giuridica di farsi indennizzare,
l’azione si rende esperibile4.
Nonostante la disciplina dell’arricchimento senza causa trovi collocazione sistematica nell’art. 2041
c.c., il fondamento giuridico dell’istituto è rinvenibile più latamente nell’art. 1173 c.c. ossia in quei
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Professore a contratto, Università di Verona.
P. TRIMARCHI, Istituzioni di diritto privato, Giuffrè Editore, 1991 par. 286; A. TORRENTE Manuale di diritto
privato, Giuffrè, 2007, cap. LIV, par. 453. F. CARINGELLA, Manuale di diritto civile Dike Editore, 2010, Sezione
IV, cap. V. P. GALLO Arricchimento senza causa e quasi contratti, Utet, 2008. A. ALBANESE, Ingiustizia del
profitto ed arricchimento senza causa, Cedam, 2005.
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Consiglio di Stato Sez. Sesta, pronuncia n. 717/2009.
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Il concetto di “sussidiarietà dell’azione” viene interpretato tuttavia secondo due diverse modalità tra di loro molto
contrastanti: da un lato parte della dottrina ritiene che possa essere esperibile solo se astrattamente non è esperibile altro
tipo di tutela giuridica in quanto altrimenti l’azione di arricchimento verrebbe utilizzata per ovviare ed aggirare le
eventuali prescrizioni o preclusioni delle azioni tipiche (del tipo si è prescritta l’azione risolutoria allora esperisco la
azione per arricchimento senza causa); da altro lato invece la sussidiarietà viene ritenuta “in concreto” ovvero il
concetto va inteso come residualità nel senso che l’azione di arricchimento è esperibile quando, pur avendo il legislatore
previsto altre azioni in astratto, esse non siano più percorribili in concreto.
Esiste anche una teoria mediana riconosciuta in giurisprudenza secondo la quale l’astrattezza ovvero la concretezza
della sussidiarietà è in correlazione con la natura del rapporto tra arricchito e impoverito. Precisamente quando v’è un
rapporto diretto opera la sussidiarietà in astratto, mentre laddove v’è un rapporto mediato la sussidiarietà opera in
concreto attribuendo all’impoverito la facoltà di agire dopo aver inutilmente esperito l’azione contrattuale nei riguardi
del terzo.
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fatti idonei a produrre obbligazioni giuridicamente vincolanti per l’ordinamento e questo in quanto
il nostro ordinamento, ordinato ed ordinante, caratterizzato dal principio della causalità 5, reagisce a
tutti gli eventuali spostamenti patrimoniali non giustificati. Nell’art. 2041 c.c. quale norma di
chiusura e chiamata ad operare in via residuale si codifica quindi un mirabile strumento di tutela
volto a ripristinare l’assetto patrimoniale modificatosi ingiustamente.
Gli elementi costitutivi dell’istituto sono l’arricchimento ingiusto, la residualità dell’azione6 e
l’impoverimento, anche se su questo ultimo elemento la dottrina non è perfettamente concorde.
Si definisce comunemente arricchimento la differenza tra la consistenza del patrimonio iniziale e
quello in conseguenza del fatto ascrivibile all’arricchimento senza causa.
Dubbi non emergono sulla circostanza che l’arricchimento, deve in ogni evenienza, risolversi in una
attribuzione concreta ed effettiva di ricchezza, giammai meramente potenziale od eventuale.
Va da sé che l’arricchimento deve avvenire in assenza di giusta causa giacché laddove
l’arricchimento si basasse su di una motivazione ascrivibile ad una giusta causa, l’azione medesima
non troverebbe più applicazione.
E’ inoltre necessario che il fatto generatore dell’arricchimento e dell’impoverimento contestuale sia
unico, ossia che l’ingiusta locupletazione e correlativo depauperamento siano legati dalla perfetta
identità del fatto generatore. Questo principio è stato anche di recente ribadito dalla Corte di
Cassazione a Sezioni Unite con la pronuncia 23385/2008 nella quale il collegio ha chiarito che
l’unicità del fatto generatore dello spostamento patrimoniale ingiustificato presuppone uno stretto
nesso di causalità e di immediatezza tra il fatto dell’arricchimento (locupletazione) e quello
corrispondente del depauperamento; laddove invece lo spostamento patrimoniale sia pure
ingiustificato, tra i due soggetti sia determinato da una successione di fatti distinti che hanno inciso
su due diverse situazioni patrimoniali, in modo del tutto indipendente, il depauperanto di un
soggetto non è l’effetto del correlativo arricchimento dell’altro, per cui non trova applicazione
l’arricchimento senza causa. Il rilievo viene posto in tema di arricchimento mediato ossia laddove il
soggetto arricchito è diverso da quello con cui l’impoverito ha un vincolo negoziale.
Emblematico è il caso riportato nella pronuncia della Cassazione civile a sez. un. n.24772/2008
laddove una società aveva eseguito opere e forniture presso i cantieri della RAI in alcune città
italiane su ordine di un'altra società; a seguito del mancato pagamento del prezzo concordato per
l'esecuzione delle opere da parte dì quest'ultima, la società appaltatrice convenne in giudizio la
RAI s.p.a., effettiva beneficiaria della prestazione, chiedendone la condanna al pagamento di
quanto dovutole dalla committente - a sua volta legata contrattualmente con la effettiva
beneficiaria delle opere eseguite -. In entrambi i giudizi di merito la domanda attorea venne
rigettata, sull'assunto che "laddove il soggetto che si arricchisce è un terzo, diverso da quello nei
cui confronti la parte che adempie la prestazione ha un rapporto contrattuale diretto - di modo che
1"arricchimento del primo costituisca un mero effetto riflesso della prestazione dell’adempiente
verso il contraente diretto - non sussistono i presupposti di fatto per l'esercizio dell'azione di cui
all'art. 2041 c.c. verso il beneficiario dell'adempimento, potendo il soggetto impoverito esperire le
azioni a tutela dei suoi diritti solamente nei confronti del soggetto destinatario della prestazione
contrattuale". Questa Corte, investita del ricorso proposto dalla società soccombente, ha sì
confermato la decisione dei giudici di merito, rilevando come nel caso di specie mancasse la prova
dell’ inadempimento della RAI s.p.a..
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L’ordinamento giuridico interno si poggia sul principio di meritevolezza e di causalità che i vincoli giuridici sono
destinati a realizzare giacchè, come ben delineato anche nell’art. 41 della Costituzione, l'iniziativa economica privata è
libera ma non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla
dignità umana. Con queste parole il costituente ha plasmato l’intero asse a cui ruota l’ordinamento giuridico disponendo
che il vincolo giuridico non si fonda meramente su di un patto ma su di un interesse da realizzare ritenuto meritevole di
tutela da parte dell’ordinamento stesso.
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L’elemento della residualità è stato da ultimo ribadito anche da Cass. Sez. II, 21 luglio 2009 n. 16964.
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Viene quindi chiarito che l’impoverito non poteva agire nei riguardi dell’arricchito giacché il primo
aveva un contratto in essere con un soggetto ben determinato al quale unicamente avrebbe dovuto
chiedere soddisfazione.
Il principio, che trova applicazione generale, incontra due rilevanti eccezioni:
La prima eccezione è data dall’arricchimento mediato di una pubblica amministrazione rispetto ad
un ente pubblico beneficiario, purché anch’esso di natura pubblicistica; questa eccezione si
giustifica sulla base dell’identità soggettiva dell’ente che è parte della pubblica amministrazione ed
opera laddove vi sia arricchimento mediato da parte di una pubblica amministrazione
La seconda eccezione opera nel caso di arricchimento conseguito a titolo meramente gratuito; in
questa fattispecie la Corte di Cassazione chiarisce che dalla lettura dell’art. 2038, 2 comma, c.c.
emerge una regola di portata generale secondo la quale l’impoverito può esercitare l’azione di
arricchimento nei confronti del terzo che abbia ricevuto la prestazione a titolo gratuito, mentre
laddove l’abbia ottenuta a titolo oneroso l’azione non sarebbe più possibile.
Nell’illustrazione tematica la Corte riporta alla memoria il leading case francese del 1892 che vide
la Corte di Cassazione francese protagonista del conio del principio secondo il quale chiunque si
arricchisca in danno di un altro soggetto è tenuto a rispondere di tale profitto giacchè è giusto dare
risposta a delle situazioni che altrimenti verrebbero ingiustamente private di tutela.
Ne consegue che l’arricchimento senza causa può quindi trovare applicazione quando ricorrano due
elementi costitutivi; l’unicità del fatto generatore dell’ingiusta locupletazione con correlativo
depauperamento e la sussudiarietà dell’azione, non operando nella fattispecie di arricchimento
mediato con uniche eccezioni che si riscontrato nell’arricchimento mediato di una pubblica
amministrazione in luogo di altra ovvero di arricchimento meditato a titolo gratuito.
In tema di arricchimento senza causa recentemente la Corte di Cassazione a sez. un. ha chiarito
inoltre che il pregiudizio indennizzabile si riferisce esclusivamente alla perdita subita e non anche
al mancato guadagno7.
L’azione non è data infatti contro il danno o l’arricchimento, ma per evitare l’arricchimento a danno
altrui con la conseguenza che si deve tener conto della somma che il soggetto responsabile avrebbe
dovuto corrispondere per ricavare quelle utilità economiche rivalutate al momento della pronuncia
caratterizzandosi l’indennizzo per l’arricchimento senza causa quale debito di valore8.
2. Il rapporto tra tutela risarcitoria e restitutoria
Aspetto indubbiamente interessate in tema di arricchimento senza causa è dato dalla concreta
quantificazione dell’indennizzo e dal rapporto tra tutela risarcitoria, tipica del fatto illecito, e della
tutela meramente restitutoria, quale reazione all’ingiusto arricchimento. Non bisogna mai
dimenticare infatti che l’arricchimento senza causa, che trova fonte nell’art. 1173 c.c., non
appartiene al novero dei fatti illeciti, ma viene allocato strutturalmente nell’alveo dei fatti leciti
costitutivi di obbligazioni giuridicamente vincolanti.
In termini generali se la finalità della tutela aquiliana è quella di risarcire il danno ingiusto posto in
essere quanto meno in colpa sulla base del principio del neminem laedere, la finalità della tutela
restitutoria è invero quella di censurare ingiuste modalità di produzione di ricchezza a prescindere
dall’esistenza del danno o addirittura in assenza oggettiva dello stesso.
Questa riflessione si poggia sulla natura del rapporto tra arricchimento e depauperamento in quanto
l’arricchimento può trovare origine per effetto di comportamento dell’impoverito come ad esempio
7
Le sezioni unite (23385/2008) ritengono che il contrasto debba essere composto privilegiando l’interpretazione
dell’art. 2041 che esclude dal calcolo dell’indennità richiesta per la diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore di
una prestazione in virtù di un contratto invalido, quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il
rapporto fosse stato valido ed efficace.
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l’indennizzo per l’arricchimento senza causa è debito di valore e non di valuta per cui ci sarà rivalutazione monetaria e
pagamento degli interessi dal giorno in cui si è verificato l’arricchimento senza causa.
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nell’evenienza di una prestazione eseguita dallo stesso in attuazione di un contratto non valido,
ovvero può trovare origine in un comportamento dell’arricchito che invade la sfera giuridica altrui.
Laddove l’impoverito ponga in essere una prestazione in attuazione di un contratto invalido, egli
indubbiamente ha contribuito all’arricchimento ingiusto della controparte con possibilità di ottenere
conseguentemente una liquidazione che tenga conto dell’utilità prodotta concretamente
all’arricchito. (si pensi in concreto ad un caso in cui la pubblica amministrazione utilizzi un progetto
architettonico realizzato da un professionista il cui contratto era ab origine nullo di diritto per
mancanza della forma scritta ad substatiam).
Nell’evenienza in cui l’arricchito invece abbia dato causa al fenomeno, attraverso una non
autorizzata invasione della sfera giuridica altrui, non è detto che si possa oggettivamente e
concretamente qualificare l’esistenza di un impoverimento del soggetto che subisce l’invasione. (Si
pensi in concreto ad un caso in cui un privato a sue spese realizzi un’opera architettonica che viene
collocata in una piazza senza che la pubblica amministrazione abbia autorizzato l’opera stessa,
laddove poi di fatto la piazza venga valorizzata in ragione del successo che l’opera ha ottenuto a
giudizio della collettività).
In questa fattispecie quindi l’ingerenza del privato nei riguardi della sfera giuridica della pubblica
amministrazione con il suo comportamento non ha prodotto un danno (anzi forse ha prodotto un
vantaggio, dato il successo dell’iniziativa), pur tuttavia la pubblica amministrazione è stata privata,
a causa del comportamento del soggetto, della possibilità di poter scegliere come utilizzare la piazza
e quindi se collocare o meno un’opera architettonica.
In sostanza pur non avendo subito un pregiudizio economico concretamente valutabile è stata
privata della possibilità giuridica di scegliere autonomamente come esplicare il suo potere
discrezionale.
In dottrina viene proposto l’esempio del famoso regista televisivo che inserisce, senza il consenso
del titolare, un brano musicale che poi in ragione del film attribuisce successo e notorietà al prima
sconosciuto autore; anche in questo caso non siamo in presenza di un danno, ma di un vantaggio
economico indiretto al quale tuttavia si pone come condizione quella di una preliminare invasione
della sfera di autonomia privata circa la decisione del suo titolare di voler o meno sfruttare
economicamente il suo brano musicale.
In queste ipotesi si pone la questione giuridica dell’eventuale indennizzo che il titolare della sfera
giuridica incisa può ottenere nei riguardi di chi, con il suo comportamento si è di fatto sostituito in
prerogative tipiche del titolare del diritto.
Si tratta in definitiva di comprendere in termini giuridici se, nel nostro ordinamento, esiste un
rimedio preventivo/sanzionatorio assimilabile all’istituto del disgorgement9 degli ordinamenti tipici
di Common law volto ad assicurare alla vittima di una ingiustificata invasione della propria sfera
giuridica l’opportunità di ottenere un risarcimento basato non sulla perdita subita, che di fatto non
esiste, ma sui profitti che la controparte abbia realizzato in virtù dell’ingerenza non autorizzata. In
sostanza della possibilità di aggredire il profitto generato dall’ingiusta invasione della sfera
giuridica e quindi di parametrare l’indennizzo non alla perdita subita, ma al guadagno di
controparte.
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Il disgorgment è un istituto tipico di common law per dare tutela alle ipotesi di arricchimento da fatto illecito ove il
profitto realizzato dal danneggiante sia molto maggiore rispetto alla perdita subita dalla vittima. La HOUSE OF LORDS
- Lord Nicholls of Birkenhead Lord Goff of Chieveley Lord Browne-Wilkinson Lord Steyn Lord Hobhouse of Woodborough nella causa del 27 luglio 2000 riconosce il diritto di cittadinanza del disgorgement come rimedio da
inadempimento contrattuale. Esso svolge ad una duplice funzione e precisamente da un lato sanzionatoria e dall’altro
deterrente. In sostanza tale istituto assicura alla vittima la possibilità di ottenere un ristoro che sia corrispondente non
tanto alla perdita subita (che potrebbe non esserci), ma al profitto conseguito da chi si è ingerito nella propria sfera
giuridica senza autorizzazione.
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Questa ipotesi a parere dello scrivente è ragionevolmente percorribile anche in considerazione del
fatto che nel nostro ordinamento sono già presenti delle norme che correlano il risarcimento non
tanto al danno subito, ma al guadagno ricavato dall’autore del fatto illecito10.
In questo senso dispone l’art. 1148 c.c. che prevede la restituzione dei frutti percepiti e percepibili
come frutto del profitto del possessore illegittimo. In questa evenienza il legislatore ha chiaramente
attribuito al titolare del diritto la giuridica possibilità di ottenere la restituzione non solo dei frutti
percepiti ma anche percepibili dal possessore di buona fede, così ammettendo la compartecipazione
agli utili di questo. Analogamente l’art. 125 del D.Lgs 30/2005 in materia di risarcimento del danno
derivante da lesione della proprietà industriale prevede che il titolare del diritto leso possa
richiedere la restituzione degli utili realizzati dall’autore in alternativa al risarcimento per lucro
cessante, nella misura in cui eccedono tale risarcimento.
Si tratta indubbiamente di un’apertura legislativa di ampio respiro che costituisce tuttavia una
eccezione al principio generale dell’art. 1223 c.c. a tenore del quale il risarcimento del danno per
l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il
mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta. Per cui il risarcimento è
parametrato al danno emergente ed al lucro cessante prodottosi nel patrimonio della vittima,
essendo irrilevante l’arricchimento del danneggiante; questo in quanto il nostro sistema risarcitorio
non consente fenomeni di overcompensation essendo teso invece a compensare e reintegrare la
perdita subita dalla vittima e non a collocare il patrimonio in una situazione addirittura più
favorevole di quella in cui si sarebbe trovato in assenza del danno.
Il principio riecheggia anche nelle parole della Corte di Cassazione la quale, anche recentemente,
nel ribadire che il risarcimento è correlato al danno (con la conseguenza che il risarcimento non può
superare il valore del danno subito), ha specificato che in tema di arricchimento senza causa,
l’indennizzo non può superare il minor valore tra l’arricchimento ed il depauperamento
intendendosi l’arricchimento solamente riferito al danno emergente e non anche al lucro cessante.
A ben vedere proprio la differenza ontologica dei due istituti impone una riflessione sulla
alternatività dei rimedi connessa all’elemento psicologico che nella tutela risarcitoria risulta
centrale, laddove nella tutela restitutoria non assume alcun valore determinante.
L’importanza dell’elemento psicologico si comprende in tema di ricostruzione dell’istituto giacchè
l’art. 2043 c.c., quale norma generale in tema di responsabilità aquiliana, nella sua ultima
fisionomia tracciata dalla Corte di Cassazione, si basa sul binomio danno ingiusto/comportamento
colpevole, ossia affinché si possa generare responsabilità da fatto illecito è necessaria la
compresenza di questi due elementi che appunto ne sono elementi costitutivi. La stessa funzione
risarcitoria palesa una componente sanzionatoria del comportamento ascrivibile al danneggiante,
giacché, se è vero che l’articolo 2043 c.c. si poggia sul danno ingiusto11 è altresì vero che questo
danno ingiusto deve essere accompagnato da un comportamento colpevole e quindi censurabile
quanto al suo atteggiamento psicologico. La migliore dottrina12 ci ricorda che il fatto colposo è un
fatto involontario che non si doveva produrre e come tale l’ordinamento rimprovera alla volontà di
non averlo impedito, rilevando un atteggiamento antidoveroso della volontà e quindi in sostanza un
comportamento rimproverabile giacchè logica impone che non si può rimproverare chi non è quanto
meno almeno in colpa.
Ebbene questo atteggiamento psicologico tipico della responsabilità aquilana non è rinvenibile nella
struttura normativa dell’arricchimento senza causa, ove l’ordinamento reagisce non contro un
10
Tale prospettiva si rinviene nell’ormai abrogato articolo 18 della legge 349/1986 sostituito dall’art. 318 del D.Lgs
152/2006 secondo il quale il risarcimento del danno era parametrato non solo al pregiudizio subito ma anche al profitto
conseguito dal trasgressore.
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La Corte di Cassazione con la storica pronuncia 500/1999 ha chiarito che ai fini della risarcibilità non assume rilievo
determinante la qualificazione formale della posizione giuridica del soggetto poiché la tutela risarcitoria è assicurata
solo in relazione all’ingiustizia del danno contrassegnata dalla lesione di un interesse giuridicamente rilevante.
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MANTOVANI, Diritto Penale, Parte Generale, Cedam, 2008.
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danno, ma contro un arricchimento privo di giustificazione causale; inoltre questo arricchimento
non postula la presenza di alcun elemento psicologico doloso o colposo che sia.
L’affaire Boudier del 1892 ne rappresenta l’esempio più mirabile giacchè evidenzia la vera ragione
di fondo dell’istituto che si incarna nel sentimento di equità che governa i rapporti tra consociati e
che si materializza in una forma di tutela atta a ripristinare il venir meno dell’equilibrio economico
iniziale.
Nel caso di specie un venditore di concimi non viene pagato dall’acquirente in affitto il quale poi a
fine contratto abbandona il campo coltivato e concimato. Il venditore agisce quindi contro il
proprietario del campo che si è arricchito del valore del concime non pagato da alcuno.
Dall’esempio emerge un’istanza di tutela che evidenzia uno spostamento di ricchezza non sorretto
da alcuna causa giustificativa. Nel tratteggiare le componenti psicologiche del rapporto si evince
con chiarezza che all’arricchito non è addebitabile alcun atteggiamento doloso o colposo, ciò
nonostante egli si avvantaggia di un quid per il quale non ha dovuto corrispondere il reale valore di
mercato. Appare quindi corretto che egli debba indennizzare l’impoverito di questo arricchimento
di cui può direttamente beneficiare.
Ne consegue che sul piano della tutela si evidenzia una fisiologica alternatività dei rimedi in quanto
le due fattispecie poggiano su presupposti ontologicamente diversi; laddove vi sia una fattispecie
illecita la parte potrà agire per il risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., laddove invece si reagisca
ad un ingiusto spostamento patrimoniale si potrà utilizzare alternativamente il rimedio
dell’arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. .
3. L’arricchimento senza causa nella pubblica amministrazione e riconoscimento dell’utilità
della prestazione
L’applicazione della prospettiva rimediale dell’arricchimento senza causa nei riguardi della
pubblica amministrazione impone delle ulteriori riflessioni che si fondano da un lato sulla
particolarità del soggetto e dall’altra sulla particolarità della disciplina cui è informato il modus
agendi delle pubbliche amministrazioni.
La pubblica amministrazione, che gestisce risorse pubbliche, è portatrice di interessi pubblicistici, la
cui gestione deve essere improntata a regole generali di imparzialità, efficacia ed efficienza, con la
conseguenza che l’esperibilità dell’azione di arricchimento senza causa presuppone il previo
riconoscimento dell’utilità ricevuta.
Il riconoscimento dell’utilità ricevuta si impone come forma di tutela nei riguardi di eventuali
imposizioni derivanti da azioni volontarie di privati che pongano in essere attività o azioni senza la
previa autorizzazione della pubblica amministrazione. Questi non potranno quindi vantare alcun
diritto economico per l’attività svolta se non nei limiti in cui vi sia riconoscimento dell’utilità da
parte della stessa pubblica amministrazione.
Il riconoscimento dell’utilità ricevuta può essere formale, per il tramite di un atto espresso, ovvero
informale, attraverso un comportamento concludente che esprima la volontà di utilizzare a proprio
beneficio il vantaggio acquisito13. In questo senso si pone l’utilizzo di un progetto redatto da un
professionista sulla base di un contratto nullo di diritto ovvero in assenza di vincolo negoziale,
come recentemente ribadito dalla Corte di Cassazione con pronuncia 10884/2007 con la quale il
collegio chiarisce che il riconoscimento è implicito laddove il Comune abbia fatto proprio il
13
L’azione di indebito arricchimento proposta, ex art. 2041 c.c., nei confronti della pubblica amministrazione differisce
da quella ordinaria, in quanto presuppone non solo il fatto materiale dell’esecuzione di un’opera o di una prestazione
vantaggiosa per l’ente pubblico, ma anche il riconoscimento, da parte di quest’ultimo, dell’utilità dell’opera o della
prestazione; e tale riconoscimento può avvenire in maniera esplicita, mediante, cioè, un atto formale, oppure in modo
implicito, mediante, cioè, qualsiasi forma di utilizzazione dell’opera ricevuta o della prestazione svolta, da cui abbia
tratto vantaggio economico o arricchimento, consapevolmente attuata dagli organi rappresentativi dell’ente anzidetto.
(Corte Cassazione 19572/2007.)
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progetto acquisendolo al proprio ufficio tecnico comunale ed utilizzandolo come elaborato per
bandire la relativa procedura ad evidenza pubblica.
Va da sé che il riconoscimento deve avvenire, implicito od esplicito che sia, da parte di un organo
competente e qualificato poiché l’atto di volontà del disporre dell’utilità ricevuta non può che
provenire da un soggetto deputato alla gestione del res pubblica. Sul punto la giurisprudenza
sottolinea che il riconoscimento deve pervenire dall’organo istituzionalmente rappresentativo
dell’ente pubblico interessato, deve essere successivo e deve essere consapevole14.
Di rilevante interesse è anche la precisazione che la valutazione circa l’utilità ricevuta è di
competenza esclusiva della pubblica amministrazione15, essendo assolutamente preclusa anche al
giudice, il quale caso mai potrà sindacare le concrete modalità di utilizzo della prestazione ricevuta
ma giammai entrare nel merito della valutazione dell’utilità, pena la violazione del principio di
separazione di poteri.
4. Il rapporto tra l’arricchimento senza causa e la disciplina dei debiti fuori bilancio
Nel corso degli anni il ricorso all’azione dell’arricchimento senza causa nei riguardi della pubblica
amministrazione (specie verso gli enti locali) è stato particolarmente copioso con la conseguenza
che il legislatore è stato indotto ad intervenire incisivamente adottando delle norme 16 specifiche a
salvaguardia delle risorse finanziarie dell’ente.
L’elaborazione conclusiva di questo iter normativo trova collocazione sistematica nell’art. 191,
comma 4, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti
locali) nel quale testualmente si legge che gli enti locali possono effettuare spese solo se sussiste
l'impegno contabile registrato sul competente intervento o capitolo del bilancio di previsione e
l'attestazione della copertura finanziaria. Sulla base di tale normativa, nel caso in cui vi sia stata
l’acquisizione di beni e servizi in violazione delle regole stabilite dalla medesima disposizione, il
rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione, tra il privato fornitore e
l’amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura.
Il sinallagma in sostanza viene tecnicamente scisso dando vita a due distinti rapporti giacchè da un
lato sorge l’obbligazione del debitore di porre in essere la prestazione nei riguardi della pubblica
amministrazione, mentre dall’altro sorge l’obbligo del pagamento dell’obbligazione in capo a chi ha
ordinato la prestazione con impossibilità assoluta di poter esperire l’azione di arricchimento senza
causa. Questa impossibilità viene espressamente prevista dalla norma e rappresenta il frutto di una
risposta incisiva che il legislatore ha voluto imprimere direttamente nella legge a tutela
dell’equilibrio economico finanziario degli enti locali che per il passato sono stati oggetto di
procedimenti giurisdizionali di condanna al pagamento di somme di denaro non regolarmente
contabilizzate che davano vita ad ingenti debiti fuori bilancio.
I debiti fuori bilancio costituisco per altro una delicata problematica per gli enti pubblici in genere
giacchè essi di fatto sono spese occulte che emergono all’improvviso con possibile compromissione
dell’equilibrio economico finanziario dell’ente. Basti pensare che anche la Corte dei Conti Sez.
Autonomie, con la delibera n. 6/AUT/2006 del 28 aprile 2006 – “Approvazione delle Linee guida
14
La manifestazione di riconoscimento dell’utilità deve provenire dall’ente giacchè nessuna rilevanza può essere
attribuita ai fini del riconoscimento all’utilizzo dell’opera da parte della collettività amministrata stante la necessità che
essa provenga dagli organi istituzionalmente rappresentativi dell’ente (Cassazione sez. I, 18329/2005; 14570/2004 ).
15
Corte di Cassazione n. 25156 del 14 ottobre 2008 secondo cui “siffatto giudizio positivo, in ragione dei limiti posti
dall'art. 4 della legge n. 2248 all. E del 1865, é riservato esclusivamente alla P.A. e non può essere effettuato dal
giudice ordinario, che può solo accertare se e in quale misura l'opera o la prestazione del terzo siano state
effettivamente utilizzate”.
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Un primo intervento legislativo si è avuto nell’art. 23 d.l. 2 marzo 1989, n. 66 (Disposizioni urgenti in materia di
autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale) convertito con legge 24 aprile 1989, n. 144, trasfuse
successivamente nell’art. 35 d.lgs. 25 febbraio 1995, n. 77 (Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali).
La disciplina trova ora collocazione nell’art. 191, comma 4, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali).
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per gli organi di revisione economico-finanziaria degli enti locali17” ha evidenziato che tra le gravi
irregolarità contabili emergono non solo la violazione del patto di stabilità interno e le regole del
divieto di indebitamento ex art 119 Costituzione ma altresì tutte quelle irregolarità contabili che
sono idonee ad incidere sugli equilibri di bilancio come la “presenza di oneri sommersi derivanti,
ad esempio, dalla gestione di società partecipate, o resi altrimenti sintomaticamente probabili
dall’emergere di cospicui debiti fuori bilancio”.
I debiti fuori bilancio18 si generano a fronte di uno scollamento tra l’impegno giuridico e l’impegno
contabile giacchè il primo viene siglato in assenza del secondo di modo che all’obbligazione
giuridica con la quale la pubblica amministrazione ordina una prestazione non è contestualmente
conseguita la relativa copertura finanziaria. Per evitare quindi che a seguito di questo mal costume
le finanze pubbliche subiscano ingenti e penetranti esborsi di denaro non contabilizzato il
legislatore è corso ai ripari creando ex lege un’obbligazione asimmetrica laddove il beneficiario è
l’ente pubblico ed il soggetto debitore è chi ha ordinato la prestazione, impedendo quindi al terzo di
agire direttamente contro la pubblica amministrazione.
Una recente applicazione del principio si ha in Cassazione Civile Sentenza n. 10640 del 9 maggio
2007, secondo cui: queste disposizioni, rivolte ad assicurare irrinunciabili esigenze di risanamento
finanziario, fissano condizioni inderogabili affinchè il contratto, anche d'opera professionale, possa
essere costitutivo di obbligazioni dell'ente territoriale, ed operano sul versante dell'individuazione
del soggetto tenuto all'adempimento, escludendo che lo stesso sia il Comune, in carenza di
deliberazione ed iscrizione contabile. E siccome l'azione di arricchimento, per il suo carattere
sussidiario non compete a chi possa recuperare la subita diminuzione patrimoniale con altra
azione contro lo stesso arricchito o contro un terzo, essa deve essere negata per il caso di
prestazione effettuata in favore di un Comune con violazione delle disposizioni contabili dato che,
come si è detto, il corrispettivo della prestazione medesima è reclamabile nei confronti
dell'amministratore o del funzionario responsabili dell'acquisizione del bene o del servizio
nonostante il difetto di deliberazione e contabilizzazione dell'impegno di spesa, …tali soggetti
subentrando, ope legis, nella posizione debitoria19.
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Nella delibera della Corte dei Conti (Sez. Autonomie, Del. n. 6/AUT/2006 del 28 aprile 2006 - Approvazione delle
Linee guida per gli organi di revisione economico-finanziaria degli enti locali) che approva le linee guida cui devono
attenersi i revisori contabili per le loro relazioni al bilancio ed al rendiconto 6/2006 si legge che ai fini della
individuazione della grave irregolarità contabile occorre avere riguardo al rischio che la violazione può comportare
sugli equilibri di bilancio. Una minaccia al conseguimento dell’equilibrio di bilancio può derivare dalla errata
collocazione contabile di alcune poste di bilancio di natura strategica (oneri di urbanizzazione –proventi
contravvenzionali) ovvero dalla quantificazione di entrate in misura superiore a quelle che realmente si potranno
conseguire avendo come parametro il raffronto agli esercizi precedenti (previsione di entrate rilevatesi come
esuberanti negli esercizi precedenti) ovvero dalla conservazione di residui attivi di dubbia esigibilità allo scopo di
ottenere il paraggio di bilancio ecc…
Può ulteriormente aggiungersi, tuttavia, che una minaccia al conseguimento o tenuta degli equilibri può anche
derivare, al di là del formale conseguimento, da parte del bilancio, degli equilibri ed il formale rispetto del patto di
stabilità e dei limiti all’indebitamento, dalla errata collocazione contabile di alcune poste strategicamente rilevanti
(oneri di urbanizzazione, proventi contravvenzionali etc.), dalla quantificazione di entrate in misura ripetutamente
rivelatasi esuberante nei precedenti esercizi, dalla conservazione di residui attivi di dubbia esigibilità, dal decisivo
ricorso a poste di non ripetibile utilizzazione (avanzo di amministrazione, entrate straordinarie, indebitamento etc.).
Anche a tali profili deve pertanto ritenersi esteso l’obbligo di segnalazione, allorché il rischio riguardi gli equilibri,
come anche alla eventuale presenza di oneri sommersi derivanti, ad esempio, dalla gestione di società partecipate, o resi
altrimenti sintomaticamente probabili dall’emergere di cospicui debiti fuori bilancio.
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O. PADOVANO, Debiti fuori bilancio e dissesto finanziario negli enti locali, Cel Editrice, 2011.
19
Dello stesso tenore anche Corte di Cassazione Sezioni Unite n. 24772/2008, che richiama le condizioni e di limiti
dell’azione contrattuale della pubblica amministrazione: …Esso, per di più, non tiene in alcun conto che l'attività
negoziale della p.a. è comunque soggetta a specifiche condizioni e limitazioni apposte direttamente dal legislatore,
costituite dalle regole ed. dell'evidenza pubblica che presidiano e condizionano l'attività negoziale della p.a.:
costituenti un vero e proprio sistema rigido" e vincolante, per il quale: A) i comuni, le Province e gli altri enti locali
indicati nel T.U. appr. con r.d. 383 del 1934, ancora vigente all'epoca dell'appalto affidato alla Cooperativa
Ravennese,non possono assumere obbligazioni senza rendersi conto del loro ammontare e senza conoscere se e come
farvi fronte :perciò dovendo indicare (art. 284 e 288) nelle relative deliberazioni a pena di nullità l'ammontare di esse
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L’applicazione dell’istituto dell’arricchimento senza causa nei riguardi della pubblica
amministrazione viene plasmato alle peculiarità tipiche dell’azione amministrativa e armonicamente
calato nell’alveo degli interessi che la stessa è chiamata a tutelare.
Questa impostazione ormai consolidata del legislatore comporta una severa perimetrazione del
campo di applicazione dell’arricchimento senza causa che corrisponde certamente ad una pluralità
di motivi istituzionalmente rilevanti che possiamo così sintetizzare.
Una decisa volontà di proteggere l’equilibrio economico finanziario complessivo degli enti pubblici
che altrimenti potrebbe risultare compromesso a causa di spese occulte non programmate e per altro
in piena violazione del principio di universalità20 secondo cui tutte le entrare e le uscite devono
preventivamente figurare in bilancio.
Un netta presa di posizione in termini di responsabilizzazione21 degli organi di gestione che saranno
chiamati a rispondere direttamente dell’obbligazione pecuniaria in luogo della pubblica
amministrazione beneficiaria della prestazione posta in essere dal terzo, con la precisazione che la
responsabilità non graverà solo ed esclusivamente su colui che ha siglato il vincolo giuridico
(contabilmente imperfetto), ma altresì, per le esecuzioni reiterate o continuative si potrà estendere a
coloro che hanno reso possibili le singole prestazioni e, quindi, in sostanza a chi aveva l’onere di
controllare che la gestione delle spese fosse coerente con le disposizioni ed i principi che governano
la gestione del bilancio.
Infine, un severo monito a coloro che, in qualità di terzi, intrattengono rapporti con la pubblica
amministrazione, affinché questi siano loro volta responsabilizzati circa le conseguenze nefaste per
avere eseguito la prestazione richiesta in assenza del rituale impegno contabile. L’art. 191 del D.Lgs
267/2000 dispone sul punto che il responsabile del servizio, conseguita l'esecutività del
provvedimento di spesa, comunica al terzo interessato l'impegno e la copertura finanziaria,
contestualmente all'ordinazione della prestazione, con l'avvertenza che la successiva fattura deve
e i mezzi per farvi fronte (Cass. sez. un. 12195 e 13831/2005, nonché 8730/2008); B)all'assunzione della spesa deve
necessariamente seguire una fase preliminare, caratterizzata dalla formazione della volontà della P.A, che resta sul
piano del diritto amministrativo,ed è disciplinata dalle regole ed. dell'evidenza pubblica,poste dalla legge,da un
regolamento nonché da atti generali della stessa amministrazione (Cass. 17697/2005; 14789/2003; 2235/1998;
7151/1983); che si conclude con la delibera a contrarre,destinata a disporre in ordine alla stipulazione del negozio; C)
e quindi la sussistenza di un atto contrattuale redatto nelle forme dì legge e sottoscritto dal rappresentante esterno
dell'ente stesso e dal privato, da cui deve desumersi la concreta instaurazione del rapporto negoziale con le
indispensabili determinazioni in ordine alle prestazioni da svolgersi ed al compenso da corrispondergli;che deve perciò
essere stabilito all'interno del contratto (Cass. 19670/2006; 11930/2006; 4635/2006; 1702/2006; 24826/2005); D)
seppure è vero che detti principi devono essere contemperati con la regola di carattere generale che non sono ammessi
arricchimenti ingiustificati né spostamenti patrimoniali ingiustificabili neppure a favore della p.a., è pur vero che le
regole suddette rivolte a sollecitare un più rigoroso rispetto dei principi di legalità e correttezza da parte di coloro che
operano nelle gestioni locali,come già rilevato da queste Sezioni Unite, sono ricollegabili al buon andamento, di dette
amministrazioni in un quadro di certezza e di trasparenza, e trovano oggi fondamento nello stesso art. 97 Costit. Si
tratta,dunque, di regole ritenute da dottrina e giurisprudenza assolutamente inderogabili ed aventi forza talmente
cogente da invalidare e travolgere qualsiasi convenzione con esse confliggente; per cui è per lo meno illogico utilizzare
il rimedio dell'art. 2041 cod. civ. per renderle inoperanti e ricollocare l'autore della prestazione nella situazione in cui
si sarebbe trovato se avesse concluso con successo proprio quel contratto che la legge considera assolutamente
invalido o addirittura giuridicamente inesistente: perciò consentendone la sostanziale neutralizzazione in nome di
imprecisate esigenze equitative.
20
L’art. 162 del D.Lgs 267/2000 dispone che gli enti locali deliberano annualmente il bilancio di previsione finanziario
redatto in termini di competenza, per l'anno successivo, osservando i principi di unità, annualità, universalità ed
integrità, veridicità, pareggio finanziario e pubblicità, sottolineando al comma 4, del medesimo articolo che sono vietate
le gestioni di entrate e di spese che non siano iscritte in bilancio.
21
La responsabilizzazione degli organi di gestione è particolarmente sentita in questo momento storico a tal punto che,
per evitare conseguenze dannose sul bilancio l’art. 9 del D.L. 78/2009, come convertito in legge 102/2009, prevede
espressamente che al fine di evitare ritardi nei pagamenti e la formazione di debiti pregressi, il funzionario che adotta
provvedimenti che comportano impegni di spesa ha l'obbligo di accertare preventivamente che il programma dei
conseguenti pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica; la
violazione dell'obbligo di accertamento di cui al presente numero comporta responsabilità disciplinare ed
amministrativa.
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essere completata con gli estremi della suddetta comunicazione, ed il terzo interessato, in mancanza
della comunicazione, ha piena facoltà di non eseguire la prestazione sino a quando i dati non gli
vengano comunicati. Ne consegue che se l’operatore economico esegue la prestazione in assenza di
comunicazione formale circa la copertura finanziaria, non potrà poi eccepire l’esimente dell’errore
scusabile stante la chiarezza espositiva della disposizione citata.
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