scarica la tesi integrale - Associazione Moana Pozzi
Transcript
scarica la tesi integrale - Associazione Moana Pozzi
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO Facoltà di Studi Umanistici Corso di Laurea Magistrale in Scienze dello Spettacolo LA RAPPRESENTAZIONE DEL LIMITE. EROTISMO E PORNOGRAFIA Relatore: Chiar.ma Prof.ssa Maddalena MAZZOCUT-MIS Correlatore: Chiar. mo Prof. Gabriele SCARAMUZZA Tesi di Laurea di: Elena MINISSALE Matr. n. 805934 Anno Accademico 2012/2013 Indice Capitolo 1 – Frammenti foucaultiani della storia del soggetto desiderante 1. 2. 3. 4. 5. Repressione e confessione nella storia della sessualità La problematizzazione del piacere Il desiderio L’istituzione della coppia legittima Il supporto di Weber 10 14 19 23 26 Capitolo 2 – Erotismo e pornografia, fenomenologia dell’estetica del piacere 1. 2. 3. 4. La discontinuità batailliana L’iperrealtà che (non) seduce L’estetica neutra del corpo inorganico Il corpo freddo e scomposto come inno alla trasgressione 33 38 43 46 Capitolo 3 – La rappresentazione del limite 1. 2. 3. 4. 5. Il limite infinito Il gesto reiterato La fruizione del limite Brevi riferimenti storici sull’industria pornografica Brevi riferimenti storici al porno made in Italy 50 56 60 63 71 Capitolo 4 – Il corpo performante 1. 2. 3. 4. 5. La vita, la morte, il feticcio Bambole di carne Moana, il corpo performante Il corpo del sacrificio Il mito di Moana e Mélisande, l’abisso funebre degli dei 1 83 87 91 106 111 «Ho mangiato dei biscotti Saiwa vestita da casalinga, ho tenuto in mano una coscia di pollo Aia con un costume da odalisca, ho accarezzato la leva del cambio di una Opel Corsa e mi sono sdraiata con un bikini di paillette dorate su un divano del mobilificio Rossetti». Moana Pozzi 2 Introduzione L’uomo moderno sa che ciò che più lo disgusta è in lui, ciò che si è vietato razionalmente vive in lui. L’uomo è un animale che prova smarrimento, al contrario degli altri esseri viventi, di fronte alla morte e all’unione sessuale, i momenti estremi della vita. La passione sessuale si consacra in tal modo alla sofferenza perché, in fondo, essa è ricerca dell’impossibile: la fusione con un altro essere, la felicità, l’eternità. È doveroso, a livello preliminare, provare a isolare l’oggetto di questo studio nel modo più rigoroso possibile. Tuttavia, restringere il campo è sempre più difficile che allargarlo, così, l’impresa si rivelerà particolarmente ardua. In principio, seguendo lo studio di Foucault sulla storia della sessualità, si tenterà di individuare e isolare gli aspetti decisivi che hanno definito, nel corso dei secoli, il ʻdesiderioʼ nell’essere umano. Seguendo il pensiero degli antichi Greci, indugiando sull’avvento del cristianesimo e giungendo infine al XIX secolo, Foucault rintraccia le caratteristiche peculiari della nostra scienza sexualis. Foucault destruttura il meccanismo perverso per cui mostriamo ostentatamente di nascondere il sesso, descrivendo con intelligenza un legame indissolubile tra quest’ultimo, il potere e il sapere nella società occidentale, attraverso il passaggio determinante della ʻconfessioneʼ. Il cristianesimo si appropria di due meccanismi di potere – l’autocontrollo e la guida della coscienza – già presenti, secondo Foucault, nel mondo ellenico e li trasforma in un nuovo paradigma confessionale centrato sul concetto di ʻconfessione della carneʼ. Gli influssi della confessione sull’atto sessuale stabiliranno, in tal mondo, un rituale preciso, che scandisce i meccanismi del desiderio, e segneranno per sempre la storia occidentale della sessualità. Infatti, l’analisi di quello che si è qui è stato chiamato soggetto desiderante di Foucault si svolge attraverso una storia delle problematizzazioni etiche. Il valore dell’atto sessuale, nel corso dei secoli, è stato diverso per il paganesimo e il cristianesimo (e per le società in generale). Tuttavia, la paura dell’atto sessuale è comune al cristianesimo quanto agli antichi Greci. L’attività sessuale in epoca classica era, infatti, considerata pericolosa se praticata in eccesso, poiché comporta un enorme 3 dispendio di energie. Per quanto riguarda il cristianesimo, la paura è invece di matrice morale. Si tenterà, poi, di penetrare la sfera riflessiva dei desideri e degli stimoli del corpo per definire il concetto di erotismo e di pornografia attraverso l’opera di Bataille e di Baudrillard, svelando pian piano la complessità di una pulsione istintiva che nell’uomo è divenuta pensiero corrotto, composito e strutturato. Si scriverà dell’illuminata descrizione batailliana dell’individuo come essere discontinuo e frammentario, caratterizzato da un’angoscia che si spiega nella morte, della feroce condanna baudrillardiana del desiderio e della nauseabonda iperrealtà della ʻpornografiaʼ, come prodotto derivato dallo stesso desiderio umano ma fortemente voluto dal ʻpotereʼ. Nel momento dell’eccitazione sessuale, già secondo gli antichi Greci, spendiamo le nostre forze senza misura. La voluttà è simile allo spreco rovinoso, al piacere del gioco d’azzardo, spinge l’essere umano al parossismo che porta poi allo sfinimento corporeo. L’atto sessuale rappresenta sempre un’istanza di disordine. Le sevizie, l’assassinio, prolungano questo movimento di rovina. La prostituzione, il linguaggio osceno e tutti i collegamenti tra sessualità e violenza contribuiscono a fare del mondo del piacere sensuale un campo di magia, ma inevitabilmente anche di decadenza e di dissoluzione. Tuttavia, l’essere umano non può che tendere verso un’idea di felicità che riesce a raggiungere attraverso il vano spreco. Sade porta l’atto sessuale all’estremo, la sua aspirazione di andare oltre ogni limite è l’espressione di un’esigenza di potere che si afferma mediante un’immensa negazione. Tale negazione riguarda la sofferenza che si infligge agli altri e non a se stessi, ma a cui non si può comunque sfuggire. Negazione dell’affievolimento del piacere, della bellezza, della potenza, in cui precipita anche la stessa esaltazione sessuale. Negazione dell’esperienza della morte, che almeno nell’apice viene per un momento intravista e sedata. Il fatto che Sade ci mostri l’assassinio come il vertice dell’esaltazione erotica fa rientrare nella coscienza ciò che da tempo ne era stato rimosso. Chi ama brama appropriarsi dell’amato oltre il possibile, oltre la morte. Si traccerà quindi il passaggio dalla realtà, dall’atto sessuale in sé, all’iperrealtà, alla rappresentazione dell’atto, alla rappresentazione del limite, all’esposizione oscena dei corpi, alla pornografia. Se la letteratura e l’iconografia erotica sono presenti in molte culture e in ogni epoca, la pornografia intesa come industria si è diffusa con 4 l’avvento della società di massa. In una dimensione tribale o comunitaria, la raffigurazione di atti sessuali assume soprattutto un significato rituale e finalità meramente descrittive; nella società di massa, il realismo e il simbolismo erotico vengono contaminati dalla trivialità. Il voyeurismo, comportamento antico quanto l’uomo, sta alla basa del consumo di materiale pornografico. Avvicinandosi al pensiero di Steiner, si rifletterà sulla finitezza dell’atto sessuale e sulla conseguente noia che sopravviene concedendo alla lettura di opere pornografiche. Steiner condanna la pornografia in quanto colpevole di repressione immaginativa: il fruitore non è più in grado di fantasticare, i suoi sogni sono stati trasformati in merce di consumo, il suo desiderio strumentalizzato. Solo dopo si proporrà una visione altra della finitezza dell’atto in sé attraverso l’analisi sorprendente di Bellmer. Quest’ultimo riesce a moltiplicare, smembrare, modificare il corpo in un gioco di sostituzioni e immagini che si risolve in un concetto della sessualità infinito e drasticamente opposto al pensiero di Steiner. Secondo Bellmer, l’istinto sessuale è più forte di qualsiasi cosa e l’immaginazione, il sogno ci conducono, anche incosciamente, tra le braccia del desiderio, alla scoperta delle sorgenti d’eccitazione nascoste negli incavi del nostro corpo. Successivamente, attraverso la descrizione di un’estetica neutra dei corpi, esposta da Perniola, si tenterà di raggiungere la sorgente del senso del desiderio. Perniola definisce l’estetica ʻneutraʼ, un’estetica in cui le opere contano per la loro capacità di creare eccitazione e raggiungere l’eccesso. Non vale dunque nemmeno la distinzione tra ʻaltoʼ e ʻbassoʼ, tra arte e non-arte. La neutralità rompe l’unità fisica e spirituale dell’uomo a favore di un nuovo tipo di esperienza, in cui il corpo diviene una ʻcosaʼ che sente e l’approccio estetico si apre ad orizzonti di virtualità. L’estetica neutra comporta il riconoscimento di se stessi e del proprio corpo come cosa. Il desiderio si spiega manifestando se stesso e si consuma attraverso un rito di ʻcannibalismoʼ, praticato dall’occhio del soggetto che tramite lo sguardo oltrepassa la barriera che lo separa dalla rappresentazione e raggiunge la carne esposta, consumandola. Si proverà a rintracciare i percorsi che orientano la fruizione del limite alla luce dello studio sul soggetto desiderante, sul desiderio e sulla problematizzazione del piacere. 5 Al centro del desiderio come punto di partenza e di arrivo, come ʻoggettoʼ e ʻsoggettoʼ necessario e sufficiente c’è il ʻcorpoʼ. Il corpo è l’elemento imprescindibile e irriducibile per l’esplicazione, la conoscenza e l’esperienza del piacere. Oggetto di studio di questo lavoro è proprio il corpo come ʻcorpo performanteʼ. Dal corpo passa il desiderio, il corpo è naturale e gli istinti che lo attraversano sono parimenti naturali. Naturalmente esiste una connessione tra il corpo dello spettatore e quello che quest’ultimo ʻvedeʼ sulla scena, cioè il corpo dell’altro, il corpo della e nella rappresentazione. L’azione o l’espressione messa in atto da un altro corpo sono sentite dal corpo che fruisce, visivamente, acusticamente o immaginativamente, in una dinamica performativa profonda e carnale. La natura si spiega da sé, perché il corpo risponde agli impulsi di cui è dotato. Il corpo pornografico definisce quel che è naturale, senza superflue sovrastrutture culturali proprie dell’erotismo, modo attraverso cui l’essere umano, dotato d’intelletto, si avvicina alla sessualità. Il corpo è quindi un supporto vivente sopra cui si inscrivono reazioni e risposte involontarie al di qua della coscienza e dell’azione. Le azioni percepite, reali o rappresentate liberano effetti spontanei e istintivi. Dunque, le immagini sono il campo entro cui il corpo è attraversato da pulsioni. E ci sono corpi propriamente fissati sull’immagine, appunto i corpi pornografici. Questi sono corpi freddi, meccanizzati, plastificati che, proprio per queste caratteristiche, eccitano il corpo del fruitore. La natura non ha un bel trucco, non porta bei vestiti. La natura è nuda e algida, essa è costituita da fatti che si ripetono nel tempo, in un ciclo senza fine e uguale a se stesso. Il corpo pornografico, infatti, è costretto a ripetersi nella continuità dell’immagine e sarà sempre lì, in attesa dello sguardo dello spettatore, in attesa di (ri)scatenare il funzionamento primordiale che esiste prima del momento in cui l’essere umano è stato generato. For years these objects lie motionless Though some are articulated for action Performing satisfactorily Entailing no wear and tear 6 No supervision or directing Accumulating dust Which is also an object Of an amorous nature That seeks its soul-mate Everywhere and forever And will never surrender To our prosaic gestures… It will return to its accustomed place1. Esseri che non finiscono di essere, che persistono quando tutto è finito, accumuli di polvere. Questi corpi-documento saranno sempre e per sempre al loro solito posto, nell’attesa di essere guardati e usati. Essi ci riguardano a loro volta, mostrandoci un destino che eccede sia l’incombenza del sentire che il finalismo dell’agire, cioè, inevitabilmente permarranno con noi e senza di noi, nell’immortalità che non ci appartiene ma che appartiene loro. Rimangono lì, nascosti e visibili allo stesso tempo, accessibili e impalpabili. Sulle immagini rimane la traccia della morte e il desiderio si dissolve dopo ogni consumo, per rinnovarsi con cadenza meccanica nel tempo. Eros e pornai: l’etimologia greca definisce una differenza tra erotismo e pornografia. Sembrerebbe quindi che non sia possibile confonderli, in quanto essi stessi si distinguono con precisione nell’istante in cui si “manifestano”, “vengono praticati”, e “fruiti”. Tuttavia è interessante descrivere come il piacere e il desiderio hanno creato forme diversamente funzionali nella vita, nella cultura e nell’arte umana. Erotismo e pornografia implicano un discorso sul sesso che già per definizione non è naturale bensì intellettuale. Sono, dunque, complementari: le due parti di una stessa medaglia. Secondo Baudrillard l’erotismo nasconde il sesso e la pornografia aggiunge un altro 1 J.H. Martin, Man Ray. Photographs, New York, Thames and Hudson, 1982, p. 33. «Per anni questi oggetti si trovano immobili/anche se alcuni sono articolati per azione/esecuzione soddisfacente/che non comporta alcun abito e usura/nessuna supervisione o regia/accumulo di polvere/che è anche un oggetto/di natura amorosa/che cerca la sua anima gemella/ovunque e per sempre/e non si arrenderà mai/ai nostri meschini gesti/tornerà al suo solito posto» (trad. it. mia). 7 spazio al sesso, rendendolo più reale del reale. La seduzione si trova nel gioco dell’erotismo che vela e nasconde il corpo lasciando spazio all’immaginazione e, quindi, ad una crescente eccitazione. Nell’iperrealtà pornografica non c’è seduzione perché il corpo è svelato ed esposto in tutta la sua totalità, senza lasciare spazio al mistero. L’eccitazione, tuttavia, persiste anche nella pornografia. Si tratta, infatti, di un sentire estremo da parte del soggetto desiderante che trae piacere dalla massima visibilità del corpo esposto. Attraverso la riflessione di Bataille sull’erotismo si sveleranno i meccanismi di divieto e trasgressione che muovono gli stimoli sessuali dell’essere umano e che svelano un interesse comune per la fruizione pornografica. La rappresentazione estrema che mette in scena organi genitali, corpi che riproducono l’atto sessuale in tutte le forme e le scomposizioni possibili è una rappresentazione del limite che ha come protagonista unico il corpo in ogni sua fessura e orifizio, che si sottopone ad un’usura funzionale alla pratica sessuale, annientando il volto dei performers. Il corpo di Moana Pozzi, pornodiva italiana degli anni Ottanta, è stato preso in esame in quanto racchiude in sé una commistione tra erotismo e pornografia insolita e rara. Moana è riuscita, infatti, a sedurre nei salotti televisivi donne e uomini, portando con sé il peso dell’hard, e ad offrire il suo corpo nudo, svelato e dunque privo di seduzione, all’industria pornografica. La pornodiva ha saputo muoversi con scaltrezza nella realtà politica italiana e bilanciare divieti e trasgressioni culturali per esaltare il suo personaggio e porlo nella sottile linea dell’ambiguità, la più vantaggiosa per diventare celebre icona del suo tempo. La dicotomia tra donna avvenente, elegante e garbata in televisione, e donna disinibita pronta a qualsiasi esposizione davanti all’occhio della macchina da presa. Per Moana Pozzi non c’è differenza tra erotismo e pornografia, quel che conta su tutto è il piacere. Il piacere si può raggiungere attraverso gli stimoli che la sottile seduzione provocata dall’erotismo suscita, attraverso un rapporto fisico fatto di contatto diretto tra due o più corpi, e, con la pornografia, priva di seduzione ma stimolante proprio per le sue estreme caratteristiche. L’esposizione esasperata intrinseca alla pornografia è in grado di coinvolgere enormemente il fruitore che persegue il piacere come ogni soggetto desiderante. L’essere umano è naturalmente programmato per la ricerca del piacere e la pornografia è una rappresentazione della sessualità che contribuisce, eludendo gli scopi meramente riproduttivi, al 8 raggiungimento di tale piacere. L’erotismo, si potrebbe dire, precede e annuncia quello che poi la pornografia mostra senza indugio. Capitolo 1 Frammenti foucaultiani della storia del soggetto desiderante2 L’opera di Michel Foucault è caratterizzata dalla dimostrazione che l’individuo è il prodotto di alcuni meccanismi di potere: l’individuo si è potuto costituire solo grazie al fatto che la sorveglianza ininterrotta, la scrittura continua, la punizione virtuale hanno inquadrato un corpo in tal modo 3 assoggettato, e ne hanno estratto una psiche . Foucault osserva che le discipline del potere mettono in relazione il corpo, la sua singolarità e la funzione del soggetto per fabbricare infine dei corpi «assoggettati»4. Tale concetto è intrinseco all’opera di Foucault e si impone con particolare rilievo in Sorvegliare e punire. A partire dal XVIII secolo, secondo Foucault, cambia l’ambito di intervento delle pratiche di potere: queste non intervengono più sull’azione compiuta, bensì sulla potenzialità di quest’ultima: ancor prima che il gesto sia compiuto, deve essere possibile identificare qualcosa, e il potere disciplinare deve intervenire, ma intervenire in un certo senso prima della stessa 5 manifestazione del comportamento, prima del corpo, del gesto, del discorso . In tal modo il campo di riferimento delle pratiche del potere è la ʻpsicheʼ come ambito in cui galleggiano tutte le potenzialità che potrebbero concretizzarsi in comportamenti diversi. La psiche è quindi proiettata dietro la corporeità, pronta a fornire le possibilità di costituzione dell’individuo. Tuttavia, per completare il 2 Cfr. L’anti-Edipo (1972). Il termine “soggetto desiderante” si ispira a quello di Gilles Deleuze, “macchina desiderante”, escludendo potenziali e possibili riferimenti concettuali specifici. 3 M. Foucault, Il potere psichiatrico, Corso al Collège de France (1973-1974), trad. it. di M. Bertani, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2010, p. 65. 4 Cfr. M. Foucault, La volontà di sapere. Storia della sessualità 1, trad. it. di P. Pasquino, G. Procacci, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2013, p. 56. 5 M. Foucault, Il potere psichiatrico, cit., p. 60. 9 processo di produzione dell’individuo da parte del potere, è necessario estrarre dalla singolarità corporea la verità, attraverso il metodo disciplinare della «confessione»6. Qui Foucault tocca il nervo – non più vivo – di questo meccanismo perverso e ben congegnato. Attraverso la pratica della confessione e dell’interpretazione da parte di chi ascolta e dunque domina, si è ottenuto, nel corso del tempo, un «sapere del soggetto; sapere non tanto della sua forma, ma di ciò che lo divide; di ciò che lo determina forse, ma che soprattutto lo fa sfuggire a se stesso»7. Il metodo della ʻconfessioneʼ viene usato in campo giudiziario attraverso la confessione dei crimini; in campo religioso attraverso la confessione dei peccati, pensieri e desideri; in campo psicanalitico attraverso la confessione dell’infanzia o del passato in generale; in campo medico infine, attraverso la confessione delle malattie. 1. Repressione e confessione nella storia della sessualità In principio, Foucault, si atterrebbe a quel che “si dice”, sostenendo che dal XVII secolo in poi, da una limpida franchezza e disinvoltura nel parlare di pratiche sessuali, si passò al crepuscolo vittoriano che rinchiuse il discorso della sessualità nell’unico posto legittimo, in quanto funzionale alla procreazione: la stanza dei genitori. «Intorno al sesso si fa silenzio. La coppia, legittima e procreatrice, detta legge; s’impone come modello, rende efficace la norma, detiene la verità, conserva il diritto di parlare riservandosi la prerogativa del segreto»8. Al di fuori di questo contesto, le norme della buona educazione impongono ai corpi di evitarsi, alle parole di trovare sentieri decenti e innocenti per incontrarsi. Nelle logiche borghesi vittoriane, tutto ciò che rientra nell’etichetta di sessualità illegittime è confinato ai margini della normalità e quindi nei circuiti del profitto: «case chiuse e case di cura, dove il sesso selvaggio può avere il suo spazio nella realtà e dove le parole e i gesti autorizzati in sordina, vi si scambiano ad un alto prezzo»9. Foucault continua, 6 M. Foucault, La volontà di sapere, cit. p. 58. Ivi, p. 65. 8 Ivi, p. 9. 9 Ivi, p. 10. 7 10 calibrando la collocazione del “si dice” all’interno del suo discorso, chiedendosi se finalmente, “oggi”, ci siamo liberati di tanta repressione. Sostiene, però, che se quest’ultima è stata, già dall’età classica, il legame tra potere, sapere e sessualità, non è possibile disfarsene se non sovvertendo le regole dell’ordine costituito, destituendone i divieti e restituendo il piacere al reale e creando nuovi meccanismi di potere10 «poiché il minimo frammento di verità è sotto condizione politica»11. Questo, tuttavia, come si è detto, non è comunque possibile se l’individuo è un prodotto del potere. A questo punto, Foucault osserva quanto sia facile sostenere il discorso sulla moderna repressione della sessualità, in quanto, facendola nascere nel XVII secolo, la si fa coincidere con la crescita del capitalismo e dunque andrebbe d’amore e d’accordo con l’ordine borghese: nell’epoca dello sfruttamento e della costrizione al lavoro non è possibile disperdere le energie nei piaceri della carne, salvo che per compiacere la funzione riproduttiva. Un motivo gratificante, che Foucault definisce «il beneficio del locutore12», è quello di formulare in termini di repressione i rapporti tra sesso e potere. In tal modo il locutore può facilmente porsi in una posizione di trasgressione dichiarata per collocarsi fuori dai meccanismi di potere. Si spiega così il sussiego e la solennità con cui oggi si disquisisce di sesso e il desiderio che trapela senza difficoltà dai discorsi, dell’auspicio che un domani il sesso avrà i suoi dovuti riconoscimenti e la sua naturale collocazione nei discorsi e nelle leggi. Già nell’introduzione al primo volume della sua opera, Foucault fa centro. Non mette in dubbio la repressione sessuale che ha caratterizzato gran parte della storia della società occidentale, bensì si propone di effettuare delle analisi storiche per interrogare il caso di una società che da più di un secolo si fustiga rumorosamente per la sua ipocrisia, parla con prolissità del proprio silenzio, s’accanisce ad esporre minutamente quel che non dice, denuncia i poteri che esercita e promette di liberarsi 13 delle leggi che l’hanno fatta funzionare . Foucault non è interessato a capire perché siamo repressi, l’interesse primario della sua riflessione è l’indagine sulla tracciabilità dell’intenzione strategica e della 10 Cfr. ivi, p. 11. Ivi, p. 11. 12 Ivi, p. 12. 13 Ivi, p. 14. 11 11 volontà che anima queste questioni, dunque capire quale sia la ragione che ci spinge a sostenere con ardore che siamo repressi. Foucault destruttura il meccanismo perverso per cui mostriamo ostentatamente di nascondere il sesso, descrivendo con intelligenza un legame indissolubile tra quest’ultimo, il potere e il sapere nella società occidentale attraverso il passaggio determinante della ʻconfessioneʼ. Per confessione si intende un discorso in cui il soggetto parla di se stesso e riconosce di aver fatto, detto o pensato qualcosa; dunque si tratta essenzialmente di un’affermazione vera su se stessi. Ciò non è sufficiente a spiegare le dinamiche di potere legate alla ʻconfessioneʼ. È necessario infatti che tale affermazione per essere definita confessione debba essere difficile da fare. Il soggetto passa da un non dire che ha un valore importante, a un dire che svela appunto qualcosa d’importante. È inoltre intrinseca alla confessione la spontaneità di tale pratica. Il soggetto deve sentirsi libero di aprirsi a chi ascolta; tuttavia la spontaneità non è svincolata da certi rapporti di potere prestabiliti. Infatti, durante il rituale discorsivo nel quale il soggetto che parla coincide con il soggetto dell’enunciato, colui il quale ascolta e tace è in una posizione dominante, per cui si innesca un rapporto di potere prestabilito tra il soggetto parlante e quello ascoltante. Quest’ultimo non ha un potere qualsiasi, bensì è in grado di perdonare, punire, giudicare, riconciliare. Ultimo punto del rituale è lo stato di grazia in cui si ritrova colui che si è confessato esaustivamente: il dono della purificazione, della liberazione, della salvezza. La ʻconfessioneʼ implica inoltre un certo tipo di impegno da parte del soggetto parlante14. Secondo Foucault chi confessa si impegna ad essere ciò che ha confessato di essere, costituendosi come un certo tipo di individuo e legandosi alla verità di se stesso che ha confessato. Dalla garanzia d’identità e di valore accordati a qualcuno da qualcun altro, per cui “io” riconosco che “tu” sei “tu”, si è passati al riconoscimento da parte del soggetto delle proprie azioni e dei propri pensieri per cui l’ “io” identifica e riconosce se stesso senza l’ausilio di garanzia da parte di un altro individuo: «La confessione della verità si è iscritta nel seno delle procedure di individualizzazione da parte del potere.»15. Non è difficile, seguendo il ragionamento di Foucault, scoprire e poi sentire con naturalezza l’obbligo della confessione: è ormai così profondamente radicato in noi che sarebbe impossibile identificarlo come l’effetto di un potere che ci obbliga; si pensa al 14 15 Cfr. ivi, pp. 57-58. Ivi, p. 14. 12 contrario, che se la verità non riesce a venire fuori da noi stessi, è a causa di qualche estranea violenza che l’inibisce. Sentiamo quindi che non appena la verità riuscirà a conquistare la luce, quella sarà una liberazione. Quel che si ha in Occidente, sostiene Foucault, è un’immagine del potere capovolta: quel che è censura viene considerata libertà. A partire dal Medioevo, la ʻconfessioneʼ, propagandosi nella giustizia, nella medicina, nei rapporti familiari e nelle relazioni amorose, ha cadenzato la produzione della verità nella civiltà occidentale. Foucault riconduce l’inizio di questo processo al 1215, precisamente alle decisioni prese in quell’anno durante il Concilio Laterano: sviluppo delle tecniche di confessione, dei metodi di interrogazione e d’inchiesta, diminuzione dei procedimenti d’accusa nella giustizia criminale e così via. Dalla penitenza cristiana ad oggi, il sesso è stata materia privilegiata della confessione. Esso è, ci vien detto, quel che si nasconde. E se invece fosse quel che, in un modo del tutto particolare, si confessa? Se l’obbligo di nasconderlo non fosse che un altro aspetto 16 del dovere di confessarlo […] ? Dunque il discorso sul sesso che si è fatto sempre più animato e visibile, la varietà delle tendenze sessuali anche molto estreme, la disinibizione in un modo d’essere o di manifestarsi sarebbero dunque elementi del medesimo dispositivo, che si articolano grazie all’elemento centrale e imprescindibile della ʻconfessioneʼ. Attraverso l’espressione ʻobbligatoriaʼ e puntigliosa di un segreto individuale, nella società occidentale si ottiene la verità sul sesso e sulla singolarità dell’individuo che si determina in modo preciso. La confessione è stata, ed è ancora, secondo Foucault, la matrice generale per la produzione del vero discorso sul sesso17. Attraverso la confessione si è pian piano messo su carta un grande archivio dei piaceri del sesso. In principio, scrive Foucault, tale archivio si formava in gran segreto, per volontà della religione cristiana, poi venne a galla per mano della medicina, della psichiatria e della pedagogia, che si adoperarono per solidificarne le fondamenta, in modo da poter costituire le classificazioni, le diverse specie, le deficienze, le anomalie, le esasperazioni. Ecco che nasce la nostra peculiare scienza sexualis18. Confessione e scienza si fondono attraverso una codificazione clinica del “far parlare”, attraverso 16 M. Foucault, La volontà di sapere, cit., pp. 56-57. Cfr. ivi, p. 57. 18 Cfr. ivi, pp. 53-54. 17 13 l’assioma di una causalità generale e diffusa, il principio di una latenza intrinseca della sessualità, il metodo dell’interpretazione e, infine, attraverso la medicalizzazione degli effetti della confessione. 2. La problematizzazione del piacere L’analisi del soggetto desiderante di Foucault si svolge attraverso una storia delle problematizzazioni etiche fatta a partire dalle pratiche di sé. Il valore dell’atto sessuale, nel corso dei secoli è stato diverso per il paganesimo e il cristianesimo (e per le società in generale). Tuttavia, una cosa è certa, la paura dell’atto sessuale è comune al cristianesimo quanto agli antichi Greci. L’attività sessuale in epoca classica era infatti considerata pericolosa se praticata in eccesso, in quanto comporta un enorme dispendio di energie. Per quanto riguarda il cristianesimo, la paura è invece di matrice morale. Differente è la determinazione del legittimo partner che il cristianesimo riconosce esclusivamente nel consorte, e i rapporti tra individui dello stesso sesso, esaltati dai Greci e banditi dal cristianesimo. Inoltre, l’esaltazione della castità e dell’astinenza pongono cristianesimo e paganesimo in due fronti opposti, ma Foucault osserverà che le cose non stanno esattamente in questo modo. Nel pensiero antico, le esigenze di austerità e temperanza non facevano parte di una morale unificata e autoritaria rivolta a tutti allo stesso modo, bensì erano una sorta di lusso nei riguardi della morale adottata comunemente da tutti. Si ʻproponevanoʼ e non si ʻimponevanoʼ degli stili di vita rigorosi e moderati. Ogni scuola di pensiero aveva un suo modo di proporre uno stile di vita temperato. La Chiesa e la pastorale cristiana invece hanno imposto il principio di una morale rigida e valida universalmente. Foucault trova però quattro elementi che rappresentano una costante di problematizzazione sessuale nel corso della storia, a partire dagli Antichi: il proprio corpo, con la questione della salute e della vita e della morte che ne è il retroscena; rispetto all’altro sesso, con la questione della sposa come partner privilegiata e il gioco dell’istituto familiare e del vincolo che esso crea; rispetto al proprio sesso, con la questione dei partner che si possono scegliere e del reciproco adattamento fra ruoli sociali e ruoli sessuali; infine, rispetto alla verità, con la questione delle condizioni 14 19 spirituali che permettono di accedere alla saggezza . Questi elementi caratterizzano la storia della sessualità in modo problematico. La morale degli Antichi si rivolgeva esclusivamente agli uomini, era pensata per gli uomini, scritta e insegnata da uomini liberi. Le donne sono contemplate in questa morale solo a titolo di oggetti o come partner da educare quando le si ha in proprio potere. Questa morale di uomini si rivolge agli uomini riguardo a comportamenti di cui far uso per esercitare il proprio potere, il proprio diritto, la propria libertà in un contesto di pratiche di piacere che non prevede delle regole matrimoniali per cui l’uomo non può avere relazioni sessuali con altre donne o con ragazzi. L’austerità nasce infatti da un profondo controllo del proprio potere e della propria libertà, non da proibizioni essenziali e diffuse, tipiche di un’epoca successiva. Foucault è interessato a osservare come la soggettivazione della morale si sia definita e trasformata dal pensiero greco classico, alla costituzione della dottrina cristiana della carne. Per morale si intende un insieme di valori e di regole d’azione che vengono proposti agli individui e ai gruppi tramite apparati impositivi diversi, quali la famiglia, le istituzioni educative, le 20 Chiese ecc. Dunque, come si comportano gli individui o i gruppi in rapporto ad un sistema di regole che implicitamente o esplicitamente determina la loro morale? I modi di assoggettamento a tale morale si rivelano in base al rapporto che l’individuo stabilisce rispetto alle regole imposte e al conseguente riconoscimento del medesimo dell’obbligo di metterle in pratica. La fedeltà coniugale è un esempio: ci si piega a ciò che impone perché ci si riconosce appartenenti ad un gruppo sociale che la pratica, ne fa un vanto e ne coltiva l’abitudine. Questi valori possono essere dichiarati e insegnati esplicitamente in una dottrina coerente, ma possono anche essere trasmessi in modo diffuso e costituire un complesso gioco di elementi che si compensano o si annullano lasciando spazio a compromessi. Vi sono anche le possibili differenze nelle forme del lavoro etico che si compie su se stessi, cioè i 19 M. Foucault, L’uso dei piaceri, Storia della sessualità 2, trad. it. di L. Guarino, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2002, p. 28. 20 Ivi, p. 30. 15 modi attraverso cui un individuo si trasforma in soggetto morale. Si può condurre infatti un lavoro di apprendimento o di rinuncia, oppure vivere in un conflitto permanente ma costruttivo e sensato: un’azione, per esser detta “morale”, non deve limitarsi a un atto o a una serie di atti conformi a una regola, a una legge o a un valore. Se è vero che ogni azione morale implica un rapporto con il reale in cui si compie e un rapporto con il codice cui si riferisce, è vero altresì che essa implica un certo rapporto con se stessi, e questo rapporto non è semplicemente “coscienza di sé”, bensì costituzione di sé come “soggetto morale”, in cui l’individuo circoscrive la parte di sé che costituisce l’oggetto di questa pratica morale, definisce la propria posizione in relazione al precetto cui ottempera, si prefigge un certo modo d’essere che varrà come compimento morale di sé, e, di conseguenza, agisce su se stesso, comincia a conoscersi, si controlla, si mette alla 21 prova, si perfeziona, si trasforma . Foucault, attraverso il suo studio, riscontra che, nell’Antichità, le riflessioni morali tendevano più allo studio delle pratiche di sé che a stabilire una rigida definizione del lecito e dell’illecito22. L’attenzione si concentra sul rapporto con se stessi che consente di condurre una vita moderata e non troppo lasciva a chi è capace di vivere in uno stato di quiete ponendosi con superiorità rispetto ai piaceri. Attraverso l’analisi dell’uso dei piaceri presso gli Antichi, Foucault descrive il modo in cui il pensiero classico ha trovato nel comportamento sessuale uno spazio di scelta morale per l’individuo e studia il modo in cui il pensiero medico e filosofico ha elaborato l’uso dei piaceri per svilupparne temi di austerità che avrebbero segnato l’esperienza sessuale e del corpo fino ad oggi. Le riflessioni sugli aphrodisia partono dalla tesi secondo la quale gli antichi Greci accettavano con molta più disinvoltura dei cristiani del Medioevo o degli europei moderni determinati comportamenti sessuali. I Greci dunque, secondo la medesima tesi, attribuivano meno importanza di noi alle pratiche sessuali e poco interessava loro stabilire cosa si dovesse o non si dovesse fare a riguardo. Tuttavia, concepirono anche loro il piacere come un problema morale. Il fatto irriducibile, secondo Foucault, è che i pensatori Greci si preoccuparono della questione sessuale e dei comportamenti ad essa legati, e tanto basta per tracciare la storia della sessualità occidentale a partire dalla loro civiltà. I Greci comunque sono riusciti, a differenza dei cristiani, a piegare la forza del 21 22 Ivi, p. 33. Cfr. ivi, p. 58. 16 desiderio senza che questa smettesse di essere forza. L’etica cristiana invece imponeva una repressione di tale forza. L’approccio alla sessualità nei Greci era regolato dalla cura di sé, come si è già accennato. Attraverso la ʻpadronanzaʼ, atteggiamento che è necessario mantenere rispetto a se stessi per costituirsi come soggetto morale, si raggiunge infine la ʻsaggezzaʼ, che caratterizza la realizzazione del soggetto morale e dunque il suo modo di vivere l’esperienza dei piaceri sessuali all’interno di una struttura morale23. Nella cultura classica comunque non si trova nulla che si avvicini alle classificazioni psicopatologiche delle ere a venire, che stilavano con metodo le normali tendenze sessuali distinguendole da quelle anomale, esasperate, disturbate. Non si tenta di distinguere ciò che è consentito da ciò che è proibito. Gli Antichi si premurano di stabilire l’età in cui è preferibile sposarsi e procreare e qual è la stagione migliore per praticare rapporti sessuali, ma non si interessano di imporre quali carezze preliminari siano opportune e quale posizione si debba assumere durante il rapporto, come faranno al contrario i cristiani. Nonostante la grande disinvoltura nella pratica dei piaceri, nella messa in scena di spettacoli e nelle rappresentazioni iconografiche, la rappresentazione dei rapporti sessuali nelle opere scritte è piuttosto pudica e caratterizzata da un notevole riserbo. La ragione di questo riserbo è positiva, non dettata dal timore o dal sospetto del segreto potere dell’atto sessuale24. Foucault si addentra nelle meccaniche degli aphrodisia con l’ausilio di Aristotele e Platone e scopre in cosa consiste il godimento per i Greci. È essenziale godere di qualsiasi cosa, che si tratti di ʻbisognoʼ o ʻsemplice piacereʼ: i profumi, la musica, il teatro, i colori e tutto ciò che permette al piacere di inoltrarsi nell’anima. ʻGodereʼ non è sintomo di intemperanza e il corpo ne è il grande protagonista. Attraverso la palestra, i massaggi, il calore, la frescura, è possibile godere; tuttavia, in molti testi greci, lo sguardo e gli occhi hanno un’importanza considerevole nello sviluppo del desiderio, più grande di quella che può avere il tatto, in quanto consentono un’apertura della strada che porta all’anima, fulcro da cui si scatenano le scintille del desiderio. Dunque non c’è traccia di alcun timore delle sensazioni che il corpo dà se sottoposto a sollecitazioni fisiche precise. Al contrario, nell’esperienza cristiana della sessualità, il soggetto desiderante è spinto a sospettare continuamente delle manifestazioni di una forza temibile che può palesarsi e agire 23 24 Cfr. ivi, p. 66. Cfr. ivi, p. 45. 17 anche sotto mentite spoglie e trascinare il soggetto nel peccato. La forma e la varietà degli atti sessuali si descrivono soprattutto attraverso gli animali e, secondo Aristotele, i modi dell’accoppiamento cambiano, per esempio, in base all’ubicazione degli organi e alla posizione assunta durante il rapporto. Inoltre, il comportamento sessuale muta in base alle stagioni: la stagione dell’amore, infatti, è caratterizzata da un fermento particolare negli animali di tutte le specie, con manifestazioni vivaci ed euforiche. Quando nella medicina e nella filosofia greca ci si interroga sulla sessualità, l’interesse è focalizzato sulla dinamica degli atti, non sulla morfologia25. La dinamica degli atti sessuali è definita dal piacere a loro associato e dal desiderio che scatenano nel soggetto. Successivamente, l’etica della sessualità costruirà la propria verità sul sesso sulla dissociazione di tali elementi: prima tra tutti, la dottrina cristiana che ordina di non cercare la voluttà come scopo principale nel rapporto sessuale. La problematizzazione del desiderio si farà, dunque, sempre più forte. Nell’esperienza degli aphrodisia, atto, desiderio e piacere costituiscono un insieme i cui elementi possono senz’altro essere distinti, ma sono realmente associati gli uni agli altri. È appunto il loro stretto legame a costituire uno dei caratteri essenziali di questa forma di attività. La natura ha voluto […] che il compimento dell’atto fosse associato a un piacere, ed è questo piacere che suscita l’epithumia, il desiderio, movimento diretto per natura verso ciò che “fa piacere”, in funzione del principio ricordato da Aristotele: il 26 desiderio è sempre “desiderio della cosa piacevole […] . È anche vero, aggiunge Foucault, come spiega Platone nel Filebo, che non c’è desiderio senza privazione e dunque una certa sofferenza nel sentire la mancanza dell’immagine o del ricordo di ciò che spinge il soggetto a desiderare. Dunque, secondo Platone, la sede del desiderio è nell’anima27. L’etica degli aphrodisia si basa quindi sull’intensità della pratica sessuale, non sulle preferenze, né sui comportamenti. Non ci sono presupposti di anormalità o di anomalia, si tratta, appunto, di ʻintensitàʼ: chi eccede e non riesce a dar prova di misura e moderazione non è un uomo temperante e saggio. Non ci sono conseguenze punitive rispetto all’abuso degli aphrodisia, tutt’al più una considerazione riprovevole per l’intemperanza manifestata dal soggetto. Aristotele sostiene che il desiderio naturale 25 Cfr. ivi, p. 48. Ivi, p. 48. 27 Cfr. ivi, p. 49. 26 18 comporta semplicemente la soddisfazione di un bisogno e dunque eccedere nella quantità è un atto che si pone contro la natura28. Secondo Platone, i rapporti omosessuali (tra maschio e maschio e tra femmina e femmina) rientrano nell’essenza di questo concetto in quanto, nonostante si contrappongano al naturale accoppiamento tra uomo e donna (con conseguente procreazione), non sono ritenuti rapporti anormali bensì la conseguenza della dismisura, di una patologia dell’eccesso29. 3. Il desiderio L’analisi di Galeno, nell’opera De usu partium esposta da Foucault nel terzo volume di Storia della sessualità, è molto importante, oltreché affascinante, soprattutto per la sua chiarezza. Gli aphrodisia, per Galeno, si trovano vincolati all’interno dei rapporti tra morte, immortalità e riproduzione. L’origine dell’intensità dell’attrazione tra i sessi e la possibilità di generare è la mancanza di eternità. La natura, nel compimento della sua opera, ha trovato solo un ostacolo: i materiali corruttibili. Infatti, per creare le ossa, i nervi, le arterie, i muscoli, la natura non ha potuto avvalersi di materiali che rendessero immortale l’uomo. Secondo Galeno, nello stesso cuore dell’opera demiurgica, si trova un limite intrinseco che ha reso quindi incompatibile il materiale corruttibile con l’immortalità. Dunque, per riuscire a garantire una sostituzione di eternità, la natura ha trovato un procedimento per mettere in atto un allettamento che porti alla tutela della specie. Così, il «demiurgo»30, come definisce Galeno il creatore, ha dovuto ingegnarsi con uno stratagemma. Vi sono in gioco gli organi dati a tutti gli animali per la fecondazione, una speciale capacità di piacere e il desiderio indicibile di servirsi di questi organi. La natura ha quindi dovuto mettere nell’anima e nel corpo dell’essere vivente il principio di una bramosia straordinaria. Questo meccanismo di eccitazione, di pungolo del desiderio, garantisce il compimento dello stratagemma demiurgico. Tutti gli esseri viventi, anche coloro che non sono dotati di 28 Cfr. ivi, p. 51. Ibidem. 30 M. Foucault, La cura di sé, Storia della sessualità 3, trad. it. di L. Guarino, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 1985, p. 110. 29 19 ragionevolezza o saggezza, saranno sospinti violentemente verso l’atto necessario a compensare il limite dell’opera demiurgica e ad assicurare una sorta di immortalità alla specie31. Per Galeno, il piacere è fisiologico, la natura ha dotato gli organi di fecondazione di un ʻpruritoʼ particolarissimo e insopprimibile che mette in atto «un funzionamento che non abbiamo mai avuto il tempo di “volere”, perché è prima del nostro tempo di vita, e anzi per esso siamo stati generati»32. L’attività sessuale è dunque considerata naturale sia per gli uomini che per le donne, sia per gli attori attivi (rispetto alla penetrazione) che per quelli passivi, in quanto è il modo attraverso il quale i vivi possono riprodursi. Tuttavia, è bene chiedersi in quale misura è opportuno praticarla. La chiave per avere una cura morale dell’attività sessuale sta nel modo in cui la natura ha organizzato tale piacere. Da una parte, c’è il suo carattere inferiore, costituito dal fatto che è comune agli uomini così come agli animali, dal suo indissolubile legame con la privazione e la sofferenza, e infine dalla subordinazione al corpo e ai suoi bisogni nella misura in cui è in grado di riportare il corpo nello stato anteriore al bisogno subito dopo averlo soddisfatto. Dall’altra parte, il piacere è caratterizzato naturalmente da un’estrema vivacità, motivo per cui tende a far uscire dai limiti l’attività sessuale che esso comporta. In questo modo, si corre il rischio di mettere al primo posto il piacere e la sua soddisfazione, lasciando che ingurgiti l’anima e che il soggetto oltrepassi volta per volta ogni limite. Per questa ragione, si pone il pensiero e la preoccupazione di imporre dei freni per piegare le bramosie degli aphrodisia alla ragione e al buon senso: non perché esse rappresentino il male, ma perché l’energia di cui sono state fornite dalla natura le porta spontaneamente all’eccesso33. Mentre la religione cristiana rintraccerà nella potente energia del piacere l’origine dell’imperfezione, del male e della caduta, gli antichi Greci, al contrario, non solo non davano un’interpretazione negativa all’energia del piacere, ma associavano ad essa sia i piaceri sessuali che il bere e il mangiare. Per ognuna di queste attività piacevoli, il segreto sta nel buon uso delle stesse. 31 Cfr. ivi, pp. 109-110. E. Ghezzi, Senz’altro (il re è vestito), in A. Di Quarto, M. Giordani, Moana e le altre. Vent’anni di cinema porno in Italia, Gremese Editore, Roma 1997, p. 6. 33 Cfr. M. Foucault, La cura di sé, cit., pp. 111-112. 32 20 È l’istinto, il pungolo del desiderio di cui parla Galeno che spinge il soggetto desiderante a cercare fonti fruibili che possano alimentare e placare al tempo stesso la propria eccitazione. Galeno fa riferimento ad immagini oniriche, ricordi, rappresentazioni suggerite dallo spettacolo, dal teatro, dalla lettura che possono stimolare il meccanismo di desiderio che spinge l’essere umano al rapporto sessuale o alla masturbazione34. Properzio, nelle Elegie, ritiene che «l’impudicizia si sia diffusa a partire dal momento in cui le immagini sono state introdotte nelle case»35e Ovidio gli fa eco, nei Remedia Amoris, raccomandando a chi vuole preservare l’amore di non lasciare che la luminosità del giorno entri da tutte le finestre della camera da letto: 36 molte parti del corpo ci guadagnano a non esser viste in piena luce. Il piacere comunque resta, come la natura ha stabilito, ma per Galeno è fondamentale non considerarlo mai fine a se stesso. Il piacere per il piacere non è considerato un bene nell’etica sessuale dell’Antichità, ma in generale sia i Greci che i Latini, secondo Foucault, sono predisposti in forma positiva nei riguardi dell’attività sessuale e della masturbazione37. Nell’Antichità, l’attività sessuale è strettamente legata all’alimentazione e alla conduzione della vita quotidiana, in un equilibrio importante e diligentemente studiato. Ci sono quindi i tempi e i modi giusti per poter godere pur senza eccedere: sono necessarie la prudenza e la riflessione sulle proprie azioni. Essere temperanti non è da tutti e non può esserlo chiunque. Si ricordi, per esempio, l’episodio scandaloso di Diogene citato da Foucault: Diogene, quando sentiva giungere insopprimibile l’impulso sessuale e non v’era alcuna donna nei paraggi o ben disposta, si soddisfaceva da sé sulla pubblica piazza38. Se fino a questo momento si è sostenuta la disinvoltura dei Greci nelle pratiche sessuali, l’atto di Diogene non dovrebbe apparire bizzarro. Tuttavia, era uso comune consumare l’atto sessuale durante la notte o comunque nascosti agli sguardi altrui e ciò fa pensare alla scarsa nobiltà che si attribuiva a tale pratica, ragion per cui l’atto di Diogene risulta 34 Cfr. ivi, p. 140. Ivi, p. 141. 36 Ibidem. 37 Cfr. ivi, pp. 142-143. 38 Cfr. M. Foucault, L’uso dei piaceri, cit., p. 59. 35 21 essere eccessivo e intemperante ma in linea con un concetto di bisogno che i Greci non negavano: Diogene sosteneva che mangiare non è un male, anzi, è un bisogno e non è sbagliato farlo anche in pubblico, dunque se le pratiche sessuali sono anch’esse un bisogno, non è male praticarle in piazza. I Greci, infatti, usano una ʻstrategia del bisognoʼ per vivere al meglio la ricerca del piacere: è chiaro che non si può reprimere un bisogno, ragion per cui è necessario soddisfarlo, e in questa strategia l’obiettivo non è annullare il piacere, bensì tenerlo vivo attraverso il bisogno da cui scaturisce naturalmente il desiderio. Nello spazio tra bisogno e desiderio si colloca l’attesa: un’attesa che è piena dell’assenza dell’oggetto del desiderio che dovrà manifestarsi. Foucault cita le parole di Prodico riportate da Socrate, all’interno dell’opera di Senofonte – Memorabili -, che aiuteranno a comprendere ciò che si espone: … la fame, la sete, il desiderio amoroso […], la veglia sono le sole cause del piacere che abbiamo nel mangiare e bere e godere dei piaceri d’amore e con gusto riposare e dormire quando si è aspettato finché tutte queste cose si facciano col maggior 39 diletto . Tuttavia, è bene ricordare che alimentare il piacere non deve significare moltiplicare i desideri eccedendo e andando così contro natura. Così continua Prodico: «è la fatica, e non già la pratica dell’ozio che deve far venir voglia di dormire»40. Gli accorgimenti della strategia del bisogno cambiano naturalmente in base alle circostanze e agli individui, non c’è una regola universale e perseguire la saggezza non è, comunque, comune a tutti. Anche la strategia del ʻmomento opportunoʼ si fonda sull’attesa: quando e per quanto si devono praticare gli aphrodisia. Questo metodo può applicarsi su diverse scale di grandezza. Nell’arco della vita, per esempio, i medici pensano che non bisogna avvicinarsi precocemente agli atti sessuali o prolungarli fino all’età avanzata; nell’arco di un anno, si dà importanza alle stagioni, alla dieta alimentare, al clima; durante una giornata il momento giusto è la sera, sia per ragioni dietetiche che d’estetica: le immagini sono dissimulate dalle tenebre. I Greci sono quindi liberi. Foucault puntualizza che questa libertà non deve essere interpretata come libero arbitrio, bensì significa non essere schiavi dei 39 40 Ivi, p. 61. Ibidem. 22 piaceri41. Infatti, il pericolo insito negli aphrodisia non è la caduta morale ma la schiavitù, la dipendenza, l’asservimento. Dunque, questa libertà è «un potere che si esercita su se stessi nel potere che si esercita sugli altri»42. Chi avrà il meritato privilegio di esser temperante, e quindi libero, potrà dominare sugli altri, che non dovranno fare altro che obbedire e non cercare a loro volta la temperanza. L’uomo temperante conquista così la sua “virilità sociale” che gli consente di praticare con misura la “virilità sessuale”. L’intemperanza, al contrario, pone il soggetto in uno stato di debolezza e sottomissione, di passività. Fondamentale nella gestione di tale libertà-potere è il rapporto con la verità (logos). Quest’ultima è incastonata, nell’uomo temperante, in una posizione di sovranità cui i desideri sono sottomessi. La ragione ha un’autorità incontestata e incontestabile nel pensiero classico e determina il potere del soggetto: il rapporto con la verità è una condizione strutturale, strumentale e ontologica dell’instaurazione dell’individuo come soggetto temperante e dedito a una vita di temperanza; non è una condizione epistemologica perché l’individuo si riconosca nella sua singolarità di soggetto desiderante e perché possa purificarsi del desiderio così 43 portato alla luce . Tale rapporto con la verità comporta un’estetica dell’esistenza costituita da principi formali generali nell’uso dei piaceri, che genera bellezza. Un’anima che ha dentro un ordine di sé è un’anima che genera bellezza. Al contrario, nella religione cristiana, il rapporto con la verità comporta un’ermeneutica del desiderio cui si è già accennato. 4. L’istituzione della coppia legittima Andando avanti nella storia dei primi secoli della nostra era, avvengono dei cambiamenti, scaturiti probabilmente anche dai cambiamenti politici, che ad un primo sguardo sembrano condurre a un’accentuazione e intensificazione della severità e dell’austerità. Tuttavia Foucault sottolinea che tutto questo non si deve 41 Cfr. ivi, p. 82. M. Foucault, L’uso dei piaceri, cit., p. 85. 43 Ivi, p. 93. 42 23 interpretare come un rafforzamento delle interdizioni. Il cambiamento riguarda un aspetto più importante e decisivo: il modo in cui l’individuo deve costituirsi come soggetto morale attraverso una cultura di sé che sposta l’attenzione sui punti da mettere in risalto44. I piaceri sessuali restano sempre nell’ordine di una forza che il soggetto desiderante deve dominare con razionalità, ma in questo gioco dell’eccesso e della lotta, viene posto sempre più spesso l’accento sulla fragilità dell’individuo e sulla conseguente necessità di preservarsi, di mettersi al riparo. Inoltre la cultura di sé comporta dei cambiamennti nella pratica della cura di sé: attraverso gli esercizi di temperanza, lo spazio riservato alla conoscenza diviene sempre più importante. È necessario mettersi alla prova, controllarsi e analizzarsi: in tal modo la questione della verità (ciò che si è, ciò che si fa) assume un ruolo fondamentale nella costituzione del soggetto morale. Non si è ancora giunti a identificare l’esperienza sessuale con il male - anzi la questione è ancora lontana – e tuttavia, nel concetto di “forza” associato al piacere sessuale, si insinua già il pensiero del male. Nell’ordine delle pratiche per la costituzione del soggetto morale rientra anche il «monopolio»45 degli aphrodisia all’interno del rapporto coniugale. Sembra che la vita matrimoniale ruoti intorno alla formale regola di «una legge di duplice interdizione»46. La proibizione non è esplicita, il punto è tutelare il legame coniugale. Il nesso tra l’atto sessuale e il matrimonio si fondava sulla necessità di avere una discendenza. L’atto sessuale era funzionale al matrimonio e viceversa. I rapporti sessuali extraconiugali non si raccomandavano per evitare discendenze illegittime. Tuttavia, nel tempo le abitudini cambiarono. Attualmente, infatti, nella morale del matrimonio, si può assistere ad una «coniugalizzazione del rapporto sessuale»47 che prevede una coincidenza diretta e reciproca del matrimonio e del piacere e non più per questioni che riguardano la procreazione o la discendenza. è importante osservare come cambia il ruolo del matrimonio nel contesto culturale e sociale nella civiltà ellenistica o romana. Da un punto di vista istituzionale, inizialmente il matrimonio era un atto privato che riguardava esclusivamente la famiglia e le sue regole e non prevedeva interventi pubblici. Successivamente, a poco 44 Cfr. M. Foucault, La cura di sé, cit., p. 75. M. Foucault, L’uso dei piaceri, cit., p. 174. 46 Ibidem. 47 Ivi, p. 167. 45 24 a poco, il matrimonio si colloca all’interno delle attività pubbliche. L’evoluzione in esame ha le sue radici nelle cerimonie religiose che fanno da ponte tra l’atto privato e la sfera pubblica. L’istituzione matrimoniale viene inglobata pian piano dall’istituzione pubblica che produce anche delle leggi sull’adulterio. Attraverso l’evoluzione del matrimonio, quest’ultimo si estende a tutti gli strati della popolazione, caratteristica estranea alla forma antica dell’atto. Nei decenni e nei secoli precedenti, infatti, il matrimonio era un atto economico che comportava cambiamenti di status, organizzazione di alleanze, istituzione di eredi. Nella società pagana, il matrimonio era una questione privata, una politica di caste finalizzata a un obiettivo ben preciso: trasferire il patrimonio ai diretti discendenti. Non erano in molti a sposarsi, infatti. Il matrimonio diverrà più libero nel momento in cui lo status e la ricchezza si trovarono a dipendere dalla vicinanza del principe, dalla “carriera” civile o militare piuttosto che dal patrimonio familiare. Entrarono perciò in gioco questioni personali che implicano la libera scelta della sposa. Nelle classi sociali più povere questo comportò la possibilità di unirsi per aiutarsi a vicenda e andare avanti. Inoltre, lo status sociale della donna, rispetto all’epoca classica, migliora. È quindi anche la donna - e non più solo suo padre - ad avere un ruolo decisionale nella scelta del consorte. Gli obblighi matrimoniali si evolvono da parte di entrambi i coniugi e non più a vantaggio del solo uomo. Il matrimonio diventa più vincolante per entrambi i soggetti uniti da questo legame ufficiale. Nasce l’idea che esista «una comunità coniugale e che questa realtà, costituita dalla coppia, avesse un valore superiore a quello dei suoi componenti»48, sostiene Cl. Vatin in una citazione riportata da Michel Foucault. Quest’ultimo riscontra dei paradossi considerevoli nell’evoluzione del matrimonio. Infatti, l’istituzione matrimoniale cerca garanzie da parte dell’autorità pubblica, diventa sempre più importante nella sfera privata e più vincolante per i coniugi, suscitando consensi sempre più numerosi. La coppia si isola rispetto alle altre relazioni sociali. Il rapporto tra i componenti della coppia si intensifica e diventa anche altro rispetto al governo della casa e alle ʻquestioni famigliariʼ: per esempio nell’Epistolario di Plinio si riscontra desiderio, passione e nostalgia della moglie. L’affetto coniugale è un rapporto molto forte di bisogno e dipendenza, costituito anche dai suoi peculiari problemi e dagli obblighi che rendono 48 M. Foucault, La cura di sé, cit., p. 81. 25 esclusivo il mondo della coppia, mentre prima, al contrario, il rapporto tra i componenti della coppia era funzionale alle pratiche casalinghe ed economiche del nucleo familiare. L’evoluzione del soggetto morale si sviluppa, quindi, anche a partire dall’evoluzione della pratica matrimoniale. Un’altra importante influenza nell’evoluzione del soggetto morale, è il gioco politico e i suoi cambiamenti (anche se Foucault specifica che le trasformazioni in atto in quel periodo sul soggetto morale non sono riducibili esclusivamente alla complessa evoluzione politica). A partire dal III secolo a. C., iniziò il declino delle città-Stato come entità autonome, e si organizzò uno spazio diverso, uno spazio complesso, meno chiuso e più articolato. I centri di potere sono numerosi e non mancano i conflitti. Nasce un’aristocrazia manageriale che si occuperà di amministrare il territorio. Questa nuova élite, rispetto all’etica personale, al comportamento quotidiano e all’uso dei piaceri, cerca un modo nuovo di considerare il proprio status e le proprie attività. In precedenza, il potere su se stessi e le “norme” di comportamento erano piuttosto chiare e rigide; i nuovi giochi politici complicano la definizione dei rapporti tra ciò che si è, ciò che si fa e ciò che si è capaci di fare: l’approccio alla costituzione di sé diviene problematico49. Lo scarto tra ricchi e poveri aumenta: ad un ristretto numero di ricchi si contrappone un’enorme massa di poveri con conseguenti differenze di status e gerarchia che influiscono nello sviluppo del pensiero e dei modi di vivere. L’attività politica interessa il modo in cui ci si doveva costituire come soggetto morale rispetto agli altri, alle attività sociali e civili; e interessa anche la determinazione tra queste attività, di quelle naturali o convenzionali, obbligatorie o facoltative; il modo in cui bisognava governare se stessi per poter prendere posto in mezzo agli altri. Fondamentali nella costituzione del sé sono le pratiche d’igiene e di medicina sul proprio corpo, nonché quelle dietetiche per mantenere al meglio l’equilibrio e l’energia del proprio organismo. 49 Cfr. ivi, pp. 85-87. 26 5. Il supporto di Max Weber Le tecniche che hanno reso docile il corpo desiderante hanno origini cristiane. Nel contesto della pastorale cristiana, infatti, si attuarono diverse pratiche di direzione della condotta individuale e della coscienza che interagirono con i modelli classici strumentalizzandoli. In particolar modo, il cristianesimo paolino si appropriò di due pratiche del potere che si trovavano già nel mondo ellenico, l’autocontrollo e la guida della coscienza, che fece proprie, convertendole in una logica della confessione della carne caratterizzata da intenzioni diverse. Nietzsche disse che l’uomo «imprigiona la vita, mentre il superuomo libera la vita contenuta nell’uomo stesso»50. Dietro questo pensiero si trova la critica nietzschiana del cristianesimo a cui Foucault fa riferimento nei suoi studi. Per Nietzsche, la vita si presenta come forza eccedente che fluisce nella sua immediatezza, scorre e si esaurisce a prescindere dalle contingenze storiche; per il cristianesimo, il potere è costituito dall’ossessione per la debolezza della forma umana. Nietzsche e Foucault accettano la morte dell’uomo, considerandola una liberazione dalle contingenze dell’era moderna, mentre il cristianesimo, al contrario, ritiene necessaria un’opera pastorale perpetua che possa accompagnare e salvare l’uomo dal suo destino di morte, opponendosi quindi al superuomo di Nietzsche. La pastorale cristiana, monitorando tutti gli aspetti della vita umana, ruota intorno a lui e contro tutte le tendenze distruttive insite nei processi vitali, come quella, per esempio, della sessualità. Il pensiero di Foucault sul ruolo storico e teorico della pastorale cristiana concepita come meccanismo di potere individualizzante ha come matrice la filosofia di Nietzsche. Da questo spunto filosofico si comprende con più facilità e immediatezza un altro importante influsso agli studi di Foucault: la riflessione sociologica di Max Weber. Imprescindibile quindi per una compiuta analisi di questo percorso storico è l’illuminato pensiero sintetico e tuttavia complesso - di Max Weber, che prima di Foucault rintracciò nella dottrina cristiana i primi segni di problematizzazione della sfera erotica nella vita dell’individuo. Nella Grecia preclassica, per esempio, una delusione erotica poteva essere considerata, secondo il poeta Archiloco, un’esperienza dagli effetti durevoli 50 G. Deleuze, Foucault, trad. it. di P. A. Rovatti e F. Sossi, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 1987, p. 108. 27 nel soggetto. Nell’epoca ellenica classica l’approccio alla sessualità fu sobrio e di matrice esclusivamente maschile; le donne non si trovavano al centro del desiderio: erano i fanciulli imberbi oggetto del desiderio sessuale. Elemento caratteristico era comunque la temperanza per cui «la bellezza della passione bacchica pura come tale non era ufficialmente riconosciuta.»51. La problematicità e la tragicità del piacere fondata su principi ben strutturati viene inserita per la prima volta, in Occidente, dalla religione cristiana. Tuttavia, secondo Weber, le regole di comportamento rispetto alla sensazione erotica si sono sviluppate soprattutto come conseguenza della cultura legata ai rapporti feudali e d’onore. I rapporti sessuali vengono sublimati da una trasposizione dei rapporti di vassallaggio nella sfera erotica. L’amor cortese del Medioevo cristiano consisteva infatti in una forma di vassallaggio erotico nei confronti di una donna estranea e sposata e seguiva un preciso rituale formalmente molto casto. L’idea che l’uomo dovesse fornire una prova di fronte all’interessamento della dama e non dei suoi pari si contrapponeva decisamente alla concezione ellenica della sfera sessuale al centro della quale si trovava il maschio. Successivamente, nella cultura dei salotti nel Rinascimento, si stabilì la convenzione secondo cui la conversazione intersessuale era considerata un mezzo fondamentale per lo stimolo intellettuale e dotata di un’enorme forza creativa. Secondo Weber le Lettres portugaises52 segnano l’avvento sul mercato dell’erotismo interpretato da un punto di vista femminile pruriginoso se si pensa che 51 Max Weber, Considerazioni intermedie, Il destino dell’Occidente, trad. it. di A. Ferrara, Armando Editore, Roma 2006, p. 80. 52 Si tratta di un romanzo epistolare anonimo pubblicato da Claude Barbin nel 1669 che ha come protagonista Soror Mariana de Alcoforado, la monaca di Beja. Mariana era una giovane donna che, in nome dei costumi e delle regole del suo tempo, è stata costretta ad allontanarsi dalla realtà più terrena e materiale per intraprendere il difficile cammino della vita monastica. Infatti, all'interno delle famiglie benestanti, in quell’epoca (nasce nel 1640 e muore nel 1723), il primogenito avrebbe avuto diritto all'intera eredità paterna mentre agli altri figli sarebbe spettata una sorte differente: gli uomini avrebbero dovuto intraprendere la carriera ecclesiastica o quella militare mentre le donne, in mancanza di un matrimonio conveniente, sarebbero state destinate al convento. In particolar modo le donne erano spesso, sin da bambine, costrette a vivere in un regime di clausura contro il loro stesso volere. Una condizione simile non poteva che avere delle ripercussioni negative su coloro che la sperimentavano: la morte precoce, il misticismo isterico o la nascita di amori tanto folli quanto sofferti per uomini capaci di sconvolgere il cuore e i sensi di queste donne. Quest'ultima è stata la sorte toccata a Mariana Alcoforado, segregata, all'età di undici anni, nel Real Convento de Nossa Senhora da Conceição di Beja, una piccola città dell'Alentejo. Da qui nasce la sua rivolta, espressa in quelle Lettres Portugaises la cui creazione è stata da molti, attribuita alla stessa monaca. Il mondo, tuttavia, ha scoperto la reale identità della protagonista delle lettere soltanto nel 1810, quando a Parigi, un prestigioso erudito francese, l'abate Boissonade ha rintracciato, nel suo esemplare della prima edizione delle Lettres Portugaises di Barbin, una nota contenente tale informazione, sancendo la nascita di un nuovo interesse per la figura della religiosa. Noel Bouton, conte di Saint Léger e Chamilly rubò il 28 la protagonista dell’avventura erotica è una monaca; e la corrispondenza amorosa femminile diviene letteratura. L’apice del discorso sessuale è raggiunto in quelle che Weber definisce «culture intellettualistiche»53 (da identificare in quasi tutti gli Stati europei moderni). Infatti, nel momento in cui la sessualità entrò in contatto e in conflitto con un’umanità dedita al lavoro professionale assunse un valore extramondano per cui fu considerata l’unico legame tra l’individuo e la «semplice e organica esistenza contadina, e la sorgente ultima della vita»54. Weber si addentra nei meccanismi sociali e filosofici che descrivono l’evoluzione della sfera sessuale nella vita dell’individuo attraverso i secoli. A partire dalla costituzione dell’etica religiosa della fratellanza55, nasce una tensione tra religione e amore sessuale. In precedenza i rapporti tra religione e sessualità erano molto stretti e si risolvevano nell’orgiastica magica; la prostituzione sacra era legata alle origini della religione in cui l’estasi era considerata sacra; la prostituzione profana (sia etero che omosessuale) era una pratica antichissima che consentiva anche una transizione scorrevole verso il matrimonio che era per lo più, come si è visto in Foucault, una pratica economica per tutelare il patrimonio e aiutarsi vicendevolmente nella vita quotidiana. Dal momento in cui si iniziò a praticare la castità temporanea e cultuale dei sacerdoti la tensione crebbe. Si riteneva che la sessualità fosse associata a forze demoniache. La tensione si intensificò ulteriormente nel momento in cui si sublimò la sessualità in “erotismo” (e ciò era opposto al naturalismo del contadino, si pensi al racconto di Michel Foucault sul «latte cagliato»56), in un contesto di valore consapevolmente coltivato e dunque cuore di Mariana. La passione che ha legato Mariana e il cavaliere francese è stata tutt'altro che platonica e, in questo senso, a partire da dichiarazioni contenute in alcune delle lettere, è plausibile l'ipotesi di un incontro tra i due amanti nella cella di Mariana, giustificando la relativa facilità di una tale impresa con la semplice constatazione del rilassamento di costumi e del caos generale generati dallo stato di guerra. 53 M. Weber, Considerazioni intermedie, cit., p. 81. 54 Ibidem. 55 Ivi, p. 72. 56 Foucault narra un episodio avvenuto nel 1867 in un villaggio di Lapcourt, per citare un esempio del processo avviato a partire dal XVIII secolo sull’incitazione a parlare di sesso al fine di monitorare, controllare e classificare tutti gli aspetti del medesimo. Un bracciante che dormiva nei granai o nelle scuderie e chiedeva cibo, incontrò una bambina e ottenne da lei delle carezze, le stesse che tutti i ragazzi del villaggio ottenevano dalle bambine sulla strada o al limitare del bosco. Si giocava al gioco che tutti chiamavano familiarmente “il gioco del latte cagliato”, una pratica sessuale contadina e naturale che oggi, appunto, sarebbe sicuramente considerata un atto di pedofilia. Il bracciante fu segnalato dai genitori e arrestato dai gendarmi. «L’importante in questa storia è il suo carattere minuscolo; è che questa realtà quotidiana della sessualità di villaggio, questi infimi piaceri rubati 29 extraquotidiano e, tuttavia, non per questo estraneo alle convenzioni. Infatti, l’erotismo era oggetto di regolamentazione e via via che la razionalizzazione e l’intellettualizzazione della cultura si fortificavano, si caratterizzava per un distacco sempre più grande dall’essenza organica e naturale della sessualità. In questo modo, si rafforzava la posizione di eccezionalità dell’erotismo nella vita dell’individuo: l’erotismo fu elevato alla sfera del godimento cosciente (nel senso più sublime). In contrapposizione ai meccanismi della razionalizzazione esso apparve come una porta 57 verso il nucleo più irrazionale e insieme più reale della vita. Dunque l’erotismo fa parte della cultura, si svela concetto, è sesso che si allontana dalla naturalità, è discorso cosciente sul sesso: «[…] il momento erotico nella cultura, se è accompagnato da consapevolezza, non può che essere distruttivo; e se è inconsapevole non è erotico.»58. Nell’amore c’era il trionfo dello spirito sul corpo, nel rapporto sessuale l’aspetto più istintuale del soggetto. Ma trasfigurando e innalzando l’esperienza sessuale in erotismo, tutto quel che c’è di ʻbestialeʼ nella pratica sessuale viene reinterpretato nell’ottica del rapporto amoroso. L’assolutezza della dedizione amorosa pone l’individuo rispetto ad un altro individuo in una condizione di fusione totale che cancella il “tu” per lasciar posto ad un “noi” sacro. Colui che ama sa di avere accesso al nucleo stesso della vita, inaccessibile agli schemi razionali e la sessualità si riafferma nel suo carattere naturale come forza creatrice incorrotta. L’etica religiosa della fratellanza (cristiana) è ostile a questa concezione della sessualità e più ancora all’amore così concepito perché sottrae l’uomo all’esperienza più autentica secondo la dottrina cristiana: l’assoluta dedizione a Dio59. L’etica religiosa della fratellanza considera la relazione erotica legata alla pura brutalità, ancor più se questa (la relazione) viene sublimata dal soggetto dietro un cespuglio siano potuti diventare, da un certo momento in poi, oggetto non solo di un’intolleranza collettiva, ma di un’azione giudiziaria, di un intervento medico, di un esame clinico attento, e di tutta un’elaborazione teorica. L’importante è che di questo personaggio, fino ad allora parte integrante della vita contadina, si sia cominciato a misurare la scatola cranica, […], […]; che lo si sia fatto parlare; che lo si sia interrogato sui suoi pensieri, inclinazioni, abitudini, sensazioni, opinioni» (cfr. M. Foucault, La volontà di sapere, cit., p. 32). 57 M. Weber, Considerazioni intermedie, cit., p. 78. 58 A. Moravia, «Prefazione» a G. Bataille, Storia dell’occhio, trad. it di D. Bellezza, Gremese, Roma 1980, p. 2. 59 Cfr. M. Weber, Considerazioni intermedie, cit., p. 83. 30 desiderante. L’euforia sessuale, che l’amante considera un bene, si pone in contrasto con la fredda ironia dell’etica della fratellanza che ritiene il carattere passionale della relazione amorosa una vergognosa perdita dell’autocontrollo, una devianza rispetto alle leggi di Dio e un allontanamento dal possesso mistico del divino. L’unico punto di accordo, secondo Weber, tra l’esaltazione erotica e la sfera religiosa è la religiosità orgiastica60. Infatti il riconoscimento della copula carnis del matrimonio da parte della Chiesa cattolica come sacramento è una concessione all’euforia sessuale. “A patto che” si onori la ragione profonda del matrimonio - che si riduce alla procreazione e all’educazione dei propri figli - tutti gli sviluppi erotici della coppia sono da evitare, in quanto i coniugi devono procedere insieme verso uno stato di grazia che li avvicini a Dio. Tutti gli aspetti della passione che permangono nella coppia sono da considerare gli ultimi residui del peccato originale. Da questo punto di vista, ogni cultura sembra distrarre e trascinare via il soggetto dal «ciclo organicamente preordinato della vita naturale e per questo appare condannata, con ogni suo progresso, ad un’insensatezza sempre più distruttrice»61. Più il soggetto si affanna a seguire la vocazione del rispetto dei valori etici e culturali, più precipita nel vano susseguirsi di scopi privi di coerenza ed equilibrio62. Erotismo e misticismo rifiutano il mondo dei valori neutralizzandoli nell’estasi. L’estasi religiosa porta all’immolazione di se stessi, quella erotica all’immolazione dell’altro. Moravia scrive che l’idea del delitto è strettamente legata all’erotismo e che nelle antiche religioni, attraverso i rituali del sacrificio, diviene esso stesso atto religioso, perdendo il carattere di trasgressione che ha invece nel contesto erotico. L’amante vuol mordere, divorare, assassinare, distruggere l’amante, in un impossibile sforzo di comunicazione e di identificazione. Nelle religioni questo cannibalismo viene 63 ritualizzato, mediato, trasformato in rappresentazione simbolica. Il carico di tali sovrastrutture ha inevitabilmente corrotto l’aspetto naturalista e spontaneo dell’istinto sessuale che non conosce cultura né consapevolezza, ma vuole solo farsi azione. Il soggetto desiderante comunque continua a desiderare e consuma tutto quello che riconduce al sesso. 60 Cfr. ivi, p. 85. Ivi, p. 98. 62 Cfr. Ibidem., p. 98. 63 A. Moravia, «Prefazione», cit., p. 4. 61 31 Capitolo 2 Erotismo e pornografia, fenomenologia dell’estetica del piacere Eros e pornai: è già l’etimologia greca che definisce una differenza tra erotismo e pornografia. Sembrerebbe quindi che non sia possibile confonderli, in quanto essi stessi si distinguono con precisione nell’istante in cui si “manifestano”, “vengono praticati”, e “fruiti”. Tuttavia è interessante descrivere come il piacere e il desiderio hanno dato vita a forme diversamente funzionali nella vita, nella cultura e nell’arte umana. Erotismo e pornografia implicano un discorso sul sesso che già per definizione non è naturale bensì intellettuale. Tale discorso sul sesso e sulla presunta verità sul sesso, seguendo la riflessione di Foucault, si è stabilito in due modi diversi nel corso della storia dell’uomo. Da una parte, Cina, Giappone, India e le società arabe si sono date all’ars erotica: «nell’arte erotica la verità è estratta dal piacere stesso, considerato come pratica e raccolto come esperienza»64. Il piacere deve essere riconosciuto come piacere facendo riferimento solo a se stesso, dunque rispetto alla sua intensità, durata, qualità e vibrazioni nel corpo e nell’anima. Il sapere che scaturisce dalla pratica del piacere serve alla stessa pratica sessuale al fine di poter amplificare ed esaltare gli effetti che il piacere genera nel corpo. L’ars erotica costituisce così un sapere che deve restare segreto perché, per tradizione, perderebbe la sua efficacia se venisse divulgato. In alcune culture orientali, secondo quel che scrive Foucault, c’è un maestro che detiene i segreti dell’arte erotica e solo lui può trasmetterli in modo esoterico al discepolo, subito dopo un’iniziazione. Colui il quale avrà la fortuna di beneficiare dei privilegi di tale segreto, avrà padronanza assoluta del proprio corpo e accesso ad un piacere illimitato, considerato elisir di lunga vita. Dall’altra parte c’è la nostra civiltà, quella occidentale, che non pratica l’ars erotica, ma vive e ragiona in modo diverso il discorso sul sesso. La civiltà occidentale pratica infatti una scienza sexualis. Quest’ultima comporta l’avvio di procedure finalizzate ad una forma di potere-sapere che assoggetta l’individuo ed è molto lontana dai rituali di iniziazione orientali, dall’arte del segreto sul piacere. Tali procedure, sono quelle identificabili proprio nella ʻconfessioneʼ: ben si comprende come sia 64 M. Foucault, La volontà di sapere, cit., p. 53. 32 compromesso e complesso il discorso sull’erotismo e sulla pornografia. La differenza tra i due termini risiede certamente nel linguaggio, ma è evidente che entrambi fanno parte di uno stesso linguaggio culturale che è già condizionato storicamente da una gestione della conoscenza e dei saperi vincolata e manipolata. È difficile per noi occidentali assumere un atteggiamento critico rispetto ad un film erotico o pornografico senza subire la presenza conscia e inconscia dei quattro grandi insiemi strategici che la scienza sexualis ha definito nel tempo: l’«isterizzazione del corpo della donna», la «pedagogizzazione del sesso del bambino», la «socializzazione delle condotte procreatrici», e infine, la «psichiatrizzazione del piacere perverso»65. I quattro insiemi strategici si occupano della produzione stessa della sessualità. Si tratterebbe di un «dispositivo storico»66 di cui farebbero parte ovviamente anche l’erotismo e la pornografia. Dunque è all’interno di quest’analisi che bisogna differenziare l’erotismo dalla pornografia. 1. La discontinuità batailliana Secondo Bataille, «l’erotismo […] è l’approvazione della vita fin dentro la morte»67. Bataille introduce la sua opera ammettendo che nel paradosso sadiano vi sia una verità. Sade, infatti, sostiene: «Il segreto è fin troppo noto e non v’è libertino più o meno ancorato al vizio, il quale ignori quale dominio abbia, sui sensi, l’assassinio». Bataille, tuttavia, estende questa verità oltre i confini del vizio e ne fa la base della sua rappresentazione della vita e della morte. In principio c’è la vita, la vita intesa nel suo senso più intimo, quello dell’attività sessuale. Per Bataille, infatti, anche se la riproduzione si contrappone all’erotismo, il significato di quest’ultima costituisce la chiave dell’erotismo. Gli esseri che si riproducono, sono distinti gli uni dagli altri, e gli esseri che ne derivano si distinguono gli uni dagli altri e da quelli che li hanno generati. Dunque «la riproduzione mette in gioco esseri discontinui»68. Tra un essere e un altro c’è un abisso, una differenza costitutiva che non potrà mai essere 65 Ivi, pp. 92-93. Ibidem. 67 G. Bataille, L’erotismo, trad. it. A. Dell’Orto, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1969, p. 18. 68 Ivi, p. 20. 66 33 soppressa. Per quanto si tenti di comunicare, è impossibile comunicare, sostiene Bataille. Ognuno di noi, tuttavia, può sperimentare tale abisso e subirne una forte attrazione. La morte, che secondo Bataille coincide con quest’abisso, esercita su di noi un’attrazione. La riproduzione porta alla discontinuità tra gli esseri, ma al tempo stesso ne mette in gioco la «continuità»69 e quindi è legata alla morte. Il fascino della continuità dell’essere e della morte, domina sull’erotismo. Bataille parla del «turbamento elementare»70, costituito dal disordine interiore. E per spiegare tali collegamenti, egli si inoltrerà nella descrizione scientifica della riproduzione degli esseri viventi. Esistono due tipi di riproduzione, quella asessuata e quella sessuata. Nella prima, la cellula, raggiunta una precisa fase di sviluppo, si divide: da due rigonfiamenti si genera una scissione e da un essere ne vengono fuori due. Entrambi gli esseri sono allo stesso modo i prodotti del primo e quest’ultimo è sparito; non è morto, semplicemente ha cessato di esistere e non permane traccia di lui nei due esseri da esso generati. La cellula è quindi un essere discontinuo e solo nell’istante della scissione (riproduzione) c’è continuità tra i due esseri 71. «Il primo muore, ma “nella sue morte” fa la propria apparizione un istante fondamentale di fusione tra due esseri»72. Negli esseri sessuati, la riproduzione non ha alcun legame con la sparizione, ma, mette in gioco la divisione delle cellule in modo simile alla riproduzione asessuata, creando un passaggio nuovo dalla discontinuità alla fusione: «Lo spermatozoo e l’ovulo sono, allo stato elementare, esseri individuali, frammentari, ma essi “si uniscono”, e di conseguenza “tra” loro si instaura una fusione, matrice di un nuovo essere, e ciò a partire dalla morte, dalla sparizione degli esseri separati»73. L’essere generato è anch’esso discontinuo, ma porta con sé la continuità dei due esseri distinti da cui proviene. Tutta la vita dell’essere è segnata da una serie di movimenti altalenanti dal continuo al discontinuo e viceversa. Secondo Bataille, noi siamo individui frammentari che muoiono soli dopo aver percorso una strada inintellegibile e mal sopportiamo «la condizione che ci inchioda a una individualità casuale»74 e ciò genera una profonda nostalgia che si esplica 69 Ibidem. Ivi, p. 21. 71 Cfr. ivi, p. 22. 72 Ivi, p. 22. 73 Ivi, p. 23. 74 Ivi, p. 25. 70 34 nell’angoscioso desiderio «della durata di quest’essere destinato a perire» e nell’«ossessione di una totalità originaria , che genericamente ci collega all’essere»75. Tale nostalgia, secondo Bataille, comanda le tre forme di erotismo: l’erotismo dei corpi, l’erotismo dei cuori, l’erotismo sacro. Ciò che è in gioco nell’erotismo e nelle tre forme in cui Bataille lo suddivide, è la possibilità di sostituire alla discontinuità propria dell’individuo, una continuità. Nei microscopici esseri che praticano la riproduzione asessuata manca il senso di una «violenza elementare»76 che scuote gli impulsi dell’erotismo. Nel passaggio dalla discontinuità alla continuità si genera violenza. Infatti, riflette Bataille, la maggiore violenza per noi «è nella morte che, appunto, ci strappa dalla nostra ostinazione di veder durare quell’essere discontinuo che siamo»77. È quindi impossibile immaginare un passaggio da uno stato a un altro che non comporti una violazione dell’essere. L’erotismo dei corpi è esso stesso violazione, violazione dell’essere dei partecipanti all’atto sessuale e dunque affine alla morte che sconfina nell’assassinio, scrive Bataille. Infatti, il passaggio dallo stato ʻnormaleʼ allo stato di desiderio erotico, comporta un subbuglio interiore che vìola l’essere e il suo ordine individuale: la messa in opera dell’erotismo ha come principio la distruzione della struttura dell’essere chiuso, che allo stato normale, all’inizio, era l’altro, l’individuo partecipe dell’atto. L’azione decisiva è il denudamento. La nudità è la negazione della condizione dell’essere chiuso in sé, la nudità è uno stato di comunicazione, che rivela la ricerca di una possibile totalità dell’essere, al di là del ripiegamento su se stesso. I corpi si aprono 78 alla continuità grazie a quegli organi nascosti, che ci danno il senso dell’osceno . Tuttavia, nel contatto sessuale, l’integrità isolata e discontinua dell’essere viene semplicemente turbata, non sadianamente travolta. La tensione a uno stato di fusione rimane irrisolta; si tende invano allo stato di continuità che suggerirebbe l’atto sessuale, senza appunto raggiungerlo, perché comporterebbe la morte degli esseri individuali. È infatti insito nel passaggio dallo stato normale allo stato di desiderio, il 75 Ibidem. Ivi, p. 27. 77 Ibidem. 78 Ivi, p. 29. 76 35 fascino della morte. L’aberrazione di Sade (di andare fino in fondo alla violenza che sta alla base dell’erotismo) può sedurre solo un certo numero di individui e può accadere che qualcuno sia disposto a raggiungere lo stato di continuità che garantirebbe la morte, attraverso l’assassinio: l’orribile eccesso del movimento che ci anima, illumina semplicemente il senso del movimento stesso. Ma non è che uno spaventoso segnale che ci ricorda senza tregua che la morte, “rottura” di quella discontinuità individuale a cui ci inchioda l’angoscia, si 79 presenta a noi come verità più eminente della vita . L’erotismo dei cuori è meno sinistro dell’erotismo dei corpi. Anche l’amore tende a una fusione tra due individui frammentari, ma si tratta di una fusione sensibile soprattutto all’angoscia nella misura in cui è perseguita per raggiungere una tranquilla felicità. E, «l’amore che ripete e prolunga in ambito morale l’unione fisica, ovvero serve da introduzione all’unione fisica, può, per chi lo prova, assumere un senso di maggior violenza del desiderio dei corpi»80. L’amore impegna quindi gli individui alla sofferenza, perché la piena fusione è apparente e al contempo, «l’amore promette la fine della sofferenza»81. La promessa dell’amore è infatti la fusione del cuore dell’individuo con il cuore dell’altro, ed è dunque, fondata sul vuoto. È possibile che gli amanti cadano in un vortice di follia scatenata dall’immagine irrealizzabile di tale fusione. L’unione tra gli amanti, attraverso il desiderio che li lega, porterà quindi, sostiene Bataille, al desiderio di omicidio o di suicidio. La morte apparentemente precipita l’individuo discontinuo e isolato nella totalità dell’essere. Tuttavia, secondo Bataille, la totalità dell’essere sta all’origine degli esseri dunque la morte non la riguarda, semmai la manifesta. Alla base di questa idea si trova il «sacrificio religioso […], di cui è ormai riconosciuta l’analogia con l’atto sessuale umano. […] Nel sacrificio non c’è solo il denudamento, ma c’è anche l’uccisione della vittima»82. La vittima, morendo, rivela agli spettatori l’elemento che ne costituisce la morte. Tale elemento è il ʻsacroʼ, «esattamente la totalità dell’essere rivelato a coloro i quali, nel corso di una cerimonia, contemplano 79 Ivi, p. 30. Ivi, p. 31. 81 Ibidem. 82 Ivi, p. 33. 80 36 la morte di un essere frammentario»83. Infatti, la violenza che implica la morte, una morte spettacolare, interrompe la discontinuità di un essere e ciò che provano nel silenzio gli spettatori è, appunto, la totalità dell’essere. Secondo Bataille, «il “sacro” dei sacrifici primitivi» è «analogo al “divino” delle religioni attuali»84. L’erotismo è tuttavia lontano dall’essere riducibile all’amor di Dio. Infatti Dio possiede, secondo Bataille, quel carattere di totalità dell’essere di cui si è scritto. «Tuttavia, la rappresentazione di Dio è pur sempre legata […] a un “creatore” distinto dal complesso di ciò che è»85. L’esperienza dell’erotismo divino è molto ricca; c’è una teologia positiva e una negativa, quest’ultima si basa sull’esperienza mistica, l’unica degna d’attenzione per Bataille. L’esperienza mistica, infatti, deriva principalmente dal sacrificio religioso: «l’esperienza mistica trascura tutto ciò che non dipende dalla volontà. L’esperienza erotica legata al reale, è il tentativo di un essere dato che approfitta di circostanze favorevoli: l’erotismo sacro, possibile nell’esperienza mistica, esige che nulla turbi il soggetto»86. L’esperienza mistica è privilegio degli individui che raggiungono l’età matura, quella più vicina alla morte. In alcuni casi si approva la morte fin dentro la vita, ed è qui che Bataille vede il senso profondo dell’erotismo. Se la vita è mortale la totalità dell’essere non lo è. L’erotismo impone all’individuo un turbamento che distoglie quest’ultimo dalla propria condizione frammentaria e mortale; ma l’esperienza mistica consente all’individuo ormai in età matura, di guardare in faccia la morte e di vedervi «l’apertura alla totalità inintellegibile»87 che è il segreto dell’erotismo, «e di cui solo l’erotismo possiede la chiave»88. Dunque l’erotismo apre la strada alla morte e «la morte alla negazione della durata individuale»89. L’erotismo è quindi una complicazione insita alla complessità dell’essere umano, non è naturale ma è naturalmente legato alla nostra sessualità. È un aspetto immediato della nostra esperienza interiore di esseri complessi e si contrappone alla sessualità animale. Infatti, l’erotismo è uno degli aspetti principali dell’interiorità 83 Ibidem. Ivi, p. 34. 85 Ibidem. 86 Ivi, p. 35. 87 Ivi, p. 36. 88 Ibidem. 89 Ivi, p. 37. 84 37 dell’uomo; l’oggetto del desiderio si trova al di fuori dell’uomo, ma ciò che determina la scelta è un elemento inafferrabile che si trova al di dentro dell’uomo: la scelta umana differisce pur sempre da quella dell’animale: si tratta di una scelta che fa appello a quella mobilità interiore, infinitamente complessa, che è la caratteristica dell’uomo. L’animale ha una vita soggettiva ma si ha l’impressione che questa vita interiore gli sia data come un oggetto inerte, una volta per tutte. L’erotismo dell’uomo differisce dalla sessualità animale, in quanto presuppone l’intervento dell’interiorità dell’uomo90. 2. L’iperrealtà che (non) seduce La pornografia, secondo Baudrillard, «aggiunge una dimensione allo spazio del sesso»91 rendendolo più reale del reale e quindi privo di seduzione. L’erotismo al contrario, gioca su percorsi mentali più impalpabili che cercano il mistero per trovare eccitazione. L’erotismo seduce, la pornografia esaspera. La pornografia sovrabbonda di particolari anatomici che si vedono troppo da vicino, che sono troppo veri come mai potremmo vederli. La pornografia è iperreale, per questo affascina: il solo fantasma in gioco nella pornografia, se mai ce ne fosse uno, non è dunque quello del sesso, ma quello del reale e del suo assorbimento in qualcosa di diverso dal reale, l’iperreale. Il voyeurismo della pornografia non è sessuale, ma appartiene alla rappresentazione e alla sua perdita, una vertigine di perdita della scena e di irruzione 92 dell’osceno . È il dettaglio anatomico che abolisce il reale, lo sguardo nudo lascia il posto alla rappresentazione esasperata che non permette di aggiungere altro alla massima visibilità che si impone al fruitore. Secondo Baudrillard «il sesso viene “reso” oltraggiosamente, ma è il reso di qualcosa che è stato sottratto»93. Il troppo 90 Ivi, p. 43. J. Baudrillard, Della seduzione, trad. it. di P. Lalli, Cappelli Editore, Bologna 1980, p. 44. 92 Ivi, p. 45. 93 Ivi, p. 46. 91 38 (pornografico) che viene dato dal cinema e dalla televisione, nell’ottica baudrillardiana, al tempo stesso priva di ʻtuttoʼ il soggetto desiderante. In linea con il pensiero di Steiner, si fa riferimento alla profanazione e all’annientamento dell’immaginazione, dei desideri sessuali del soggetto desiderante che si trova con dei codici sessuali già prestabiliti. Baudrillard vede nella pornografia solo repressione. «La pornografia è la quadrifonia del sesso»94, continua Baudrillard, perché aggiunge una terza e una quarta strada all’atto sessuale, permettendo all’allucinazione del particolare di regnare in un trionfo di verità inesorabile. Più ci si addentra nella veridicità del sesso, nella sua operatività priva di veli, più ci si immerge nell’accumulazione dei segni, più ci si chiude in una significazione all’infinito, quella del reale che già non esiste più, quella di un corpo che non è mai esistito. Tutta la nostra cultura del corpo, compresa quella che esalta l’“espressione”, la 95 stereofonia del suo “desiderio”, è di una mostruosità e di un’oscenità irrimediabili . Secondo Baudrillard, la nostra è una società feticistica, in quanto feticizza la nudità come verità oggettiva, e da qui tutto è compromesso. Se così non fosse, il corpo nudo avrebbe lo stesso valore che ha il volto nudo e non sarebbe osceno. Il volto infatti non può esser visto nudo, perché è «velo simbolico»96; al contrario il corpo è nudo e necessita di veli che lo coprano, così che, in un gioco di veli, la seduzione possa intervenire. Quest’ultima, infatti, non pretenderebbe mai di entrare in gioco davanti ad un «velo strappato»97 in nome della trasparenza di un desiderio o di una verità. Secondo Baudrillard dovremmo vivere in una «cultura delle apparenze» e non in una «cultura di senso»98 che impone visibilità ad un corpo nudo che diventa osceno e che, nell’apice del suo trionfo, nella pornografia, annulla il volto. Gli attori porno non hanno un volto, sono solo dei corpi funzionali, nudi, osceni. Baudrillard considera il mondo intero osceno, perché nulla è lasciato al caso, tutto è segno 94 Ivi, p. 48. Ivi, p. 51. 96 Ivi, p. 52. 97 Ibidem. 98 Ibidem. 95 39 visibile. Simbolo dell’oscenità baudrillardiana è la bambola sessuata «a cui si affibbia un sesso, che piscia e parla, e un giorno farà l’amore»99. Baudrillard è estremamente definitivo e afferma che la liberalizzazione esasperata che cavalchiamo con furore porterà alla luce quel poco che è ancora nascosto e allora tutto sarà evidente, oggettivo, reale. Scrive: «un giorno tutto l’universo sarà reale, e quando il reale sarà universale, sarà la morte»100. Demonizza in questo modo la pornografia, vista come massima espressione dell’iperrealtà. Baudrillard ha un’idea precisa per distinguere l’erotismo dalla pornografia. Infatti, alla seduzione si contrappone la ʻproduzioneʼ nella sua accezione originaria: fare apparire, rendere visibile. Produrre significa materializzare per forza ciò che è di un altro ordine, dell’ordine del segreto e della seduzione. La seduzione è sempre e dovunque ciò che si oppone alla produzione. La seduzione porta via qualcosa all’ordine del visibile, la produzione mette 101 tutto in evidenza, che si tratti di un oggetto, di una cifra o di un concetto . È così per il sesso (la pornografia coincide con la produzione, l’erotismo con la seduzione), è così anche per l’intera cultura occidentale secondo Baudrillard, perché la condizione naturale della nostra cultura è l’oscenità. Tutto è detto, letto, catalogato, visualizzato. L’universo della produzione, «retto dal principio di trasparenza delle forze in un campo di fenomeni visibili e computabili: oggetti, macchine, atti sessuali o prodotto nazionale lordo»102. Come si può facilmente evincere, il confine tra il bianco e il nero che non è sempre netto, anzi, spesso si confonde, per Baudrillard è categorico. Per il filosofo, la pornografia non si limita ad annullare qualsiasi forma di seduzione, ma anche a porre fine al sesso. La pornografia è vera proprio per questo: «è ciò che accade a un sistema di dissuasione sessuale per allucinazione, di dissuasione del reale per iperrealtà, di dissuasione del corpo attraverso la sua materializzazione 99 Ivi, p. 53. Ivi, p. 50. 101 Ivi, p. 53. 102 Ivi, p. 54. 100 40 forzata»103. Secondo Baudrillard non è vero che la pornografia operi manipolazione sessuale o corruzione commerciale del sesso. La pornografia non è ideologia e non nasconde qualcosa, è semplicemente «un simulacro, e cioè l’effetto di verità che nasconde che quest’ultima non esiste»104. Non esiste un sesso “buono” di cui la pornografia è caricatura. Esiste una sessualità di cui la pornografia è limite paradossale, in quanto la sessualità stessa, secondo Baudrillard, è già parte della nostra cultura che materializza, strumentalizza ogni cosa e che ha reso la sessualità mera «attualizzazione di un desiderio in un piacere»105. In tal senso, Baudrillard si avvicina all’analisi che Foucault fa dell’ars erotica e della scienza sexualis. Ci sono infatti per lui degli imperativi imposti dal nostro sistema culturale: «hai un sesso e devi farne buon uso. Hai un inconscio e bisogna che “qualcosa” parli. Hai un corpo e bisogna goderne. Hai una libido e bisogna spenderla, ecc»106. La cultura occidentale non è affatto simile ad altre culture che preservano l’arte della seduzione e della sensualità perché la sessualità è un servizio fra gli altri, un rituale di dare e ricevere in cui l’atto sessuale in sé è «soltanto il termine eventuale di questa reciprocità»107. Tutto ciò è impensabile nella nostra civiltà dove il flusso di corpi è scandito allo stesso modo del flusso delle merci. Basandosi esclusivamente sulla visione drastica di Baudrillard, non ci sarebbe spazio per aggiungere altro, in quanto la seduzione è stata annullata e il nostro modo di concepire la sessualità è totalmente strumentalizzato. Tuttavia, esistono delle opere che siano letterarie o cinematografiche, che non sono uguali. Ci sono dei caratteri che stabiliscono (probabilmente secondo i criteri di catalogazione prestabiliti di cui parla Baudrillard) se un’opera sia erotica o pornografica: «la differenza – fra erotismo e pornografia – non si basa sulle dinamiche espositive del corpo ma sulle forme espressive e narrative»108. L’essenza di tale contrapposizione sta nel linguaggio. Dunque nella rappresentazione letteraria, teatrale, fotografica, pittorica, cinematografica della sessualità si trova, da una parte, l’erotismo 103 Ibidem. Ivi, p. 55. 105 Ivi, p. 57. 106 Ibidem. 107 Ivi, p. 56. 108 M. Mazzocut-Mis, Il senso del limite. Il dolore, l’eccesso, l’osceno, Le Monnier, Firenze 2009, p. 141. 104 41 caratterizzato da un’attenzione precisa ai tempi, alle luci, alla musica e a un substrato narrativo consistente; dall’altra, la pornografia con la sua ʻcarne da macelloʼ ben in vista e un’ostentazione ingombrante che tiene l’immaginazione e il desiderio dello spettatore in una morsa inesorabile, stabilendo, tiranna, le fantasie del fruitore e i tempi meccanici della sua eccitazione. La pornografia ridurrebbe il corpo a frammento iperrealistico, sovvertendo ogni gerarchia e mettendo al vertice la parte bassa del ventre. La pornografia, a discapito di altri generi, sarebbe quindi pienamente riconoscibile e classificabile, si potrebbe dire trasparente nel dichiarare e mantenere le sue intenzioni. È di certo un’opinione diffusa, 109 ma alquanto riduttiva nel suo essere tanto assertoria . Nonostante sembri che, a tratti, si scopra la linea di demarcazione tra erotismo e pornografia, qualcos’altro pretende attenzione. Sembra infatti che erotismo e pornografia abbiano pochi elementi in comune, per cui si mostra più interessante un punto di vista diverso. Questo ha come oggetto non più la differenziazione dei codici estetici e contenutistici dell’erotismo e della pornografia, bensì la consapevolezza di uno stimolo ʻaltroʼ scatenato dall’eccesso: Baudrillard vede nel porno «la perdita di ogni principio di riferimento». Se «il desiderio sussiste solo con la mancanza», il porno vanifica la capacità desiderativa nell’eccesso di 110 una prolifica esuberanza . Eppure, contraddicendo Baudrillard, l’eccesso non cancella il desiderio ma semmai lo stimola diversamente; è con un tale ʻdiversamenteʼ che è necessario confrontarsi. Allo stesso modo l’iperrealismo, che per Baudrillard distrugge il reale, lo ricrea per altri occhi, quelli che si nutrono dell’eccesso e stimola un esame della modalità di fruizione, che si lascia trasportare fino al compimento dell’azione. […] Nella modalità pornografica, l’eccesso attrae il fruitore e lo porta a un livello di godimento che prescinde (anche se non totalmente – dipende dal ʻgenereʼ) dal momento 111 contemplativo. O, per lo meno, la contemplazione non è né tramite né fine . Emergono due elementi importanti: da una parte, la pornografia descritta come sincera e vera nel dichiarare e mantenere le sue intenzioni; dall’altra si mostra un’urgenza, quella di confrontarsi «con un tale ʻdiversamenteʼ»112. Dunque 109 Ivi, p. 142. J. Baudrillard, Della seduzione (1979), trad. it. di P. Lalli, SE, Milano 1997, p. 15. 111 M. Mazzocut-Mis, Il senso del limite, cit., p. 142. 112 Ibidem. 110 42 prendendo atto del “potere” di piacere che la pornografia ha sullo spettatore, non preme più stabilire quali siano le caratteristiche ʻincriminantiʼ della pornografia, ma, semmai, esaminare le modalità di fruizione dell’universo-ghetto pornografico e descriverne l’estetica. Quel che si deduce dall’osservazione appena citata è l’importanza fondamentale di un eccesso che ha le sue radici nella natura umana, che da sempre tende a ciò che è estremo, a ciò che è violento. Nell’esistenza ordinata e razionale che l’uomo ha organizzato per vivere serenamente, non c’è spazio per la pratica reale dell’eccesso, per cui l’essere umano controlla la propria natura ma subisce il fascino di tutto ciò che rimanda a quella natura, fatta di istinti potenzialmente senza limiti. 3. L’estetica neutra del corpo inorganico Perniola, in Il sex appeal dell’inorganico, fa riferimento a due direzioni estetiche opposte prendendo come punti di riferimento Immanuel Kant e Edgar Allan Poe. Il primo rappresenta la direzione dell’estetica che porta a riconoscere nell’opera il primato di un “io” spirituale che nel momento della fruizione conosce e riconosce se stesso e il mondo. Il secondo rappresenta la seconda direzione dell’estetica in cui: […] ritorna in modo assillante l’attenzione al problema di che cosa si prova quando si accede a un’esperienza limite che va al di là del normale stato di coscienza. […] L’esperienza dell’orrore dinanzi alla nostra identità soggettiva, ci introduce nella dimensione del grottesco, in cui viene meno la differenza tra uomini e cose, tra il mondo 113 organico e quello inorganico, tra il vivente e il non vivente. Perniola definisce questa seconda estetica ʻneutraʼ, un’estetica in cui le opere contano per la loro capacità di creare eccitazione e raggiungere l’eccesso. Non vale dunque nemmeno la distinzione tra ʻaltoʼ e ʻbassoʼ, tra arte e non-arte. Al contrario, diversamente dall’estetica caratterizzata da presupposti spiritualistici, quella che fa risalire a Kant, che implica uno stato di consapevolezza organica e vitale che eleva 113 M. Perniola, Il sex appeal dell’inorganico, Einaudi, Torino 1994, p. 99. 43 l’individuo ad una maggiore conoscenza del mondo, l’estetica neutra, secondo Perniola, non ha bisogno di questo. La neutralità rompe l’unità fisica e spirituale dell’uomo a favore di un nuovo tipo di esperienza in cui il corpo diviene una ʻcosaʼ che sente e l’approccio estetico si apre ad orizzonti di virtualità. L’estetica neutra comporta il riconoscimento di se stessi e del proprio corpo come ʻcosaʼ. Non è previsto un approccio conoscitivo e nella sfera sessuale questo processo di sospensione attecchisce maggiormente: «sentirsi come una cosa che sente vuol dire innanzitutto emanciparsi da una concezione strumentale dell’eccitazione sessuale che la considera naturalmente indirizzata verso il raggiungimento dell’orgasmo»114. Amputando l’aspetto necessario e fisiologico della fruizione pornografica, il soggetto desiderante-fruitore, si emancipa dalla concezione strumentale dell’esperienza pornografica. Continua Perniola: liberarsi dall’orgasmomania […] è il primo passo verso la sessualità neutra, sospesa e artificiale della cosa che sente. Essa emancipa la sessualità dalla natura e l’affida all’artificio, il quale ci apre un mondo in cui non hanno più importanza la differenza tra 115 i sessi, la forma, l’apparenza sensibile, la bellezza, l’età, la razza . D’altro canto, si è giunti, nell’epoca contemporanea, alla saturazione dello spazio dell’osceno, inteso come ciò che è fuori dalla pubblica scena: esiste ancora uno spazio dell’osceno? Piuttosto, quello spazio che Linda Williams chiama on/scenity, nel quale una cultura porta in scena i suoi specifici organi, corpi e piaceri che prima di quel momento si trovavano al di fuori della scena, erano ob/sceni116. Si tratta di un passaggio epocale a livello politico ed estetico, in quanto la pornografia, dopo secoli di vita sotterranea e nascosta, viene a galla in modo prorompente e si diffonde nella “pubblica piazza”. In questo modo, tuttavia, la pornografia dà inizio ad un meccanismo perverso per cui non libera se stessa e i corpi iperreali che mostra, bensì li asservirebbe ad un uso politico perpetrato dal potere che ne farebbe rappresentazione principale e quindi priva della forza liberatrice che la caratterizzava quando venne a galla. Tornano in mente Baudrillard e, ancor di più, 114 Ivi, p. 4. Ivi, p. 5. 116 Cfr. L. Williams, Porn Studies: proliferating pornographies on/scene: an introduction, in Porn Studies, a cura di L. Williams, Duke University Press 2004, p. 3. 115 44 Foucault, ma il desiderio resta, è un fatto, è irriducibile. Riprecipitare la pornografia nell’abisso del consumo, del complotto politico e della mercificazione cambierebbe o annullerebbe la dimensione del desiderio che permette alla stessa di esistere? Per un discorso estetico sulla pornografia bisogna dunque partire da quel che è certo e reale: il corpo. Gli impulsi che ci attraversano all’interno, che determinano la forza insopprimibile del desiderio, sono strettamente legati agli aspetti seducenti e sorprendenti dei corpi sessuati. Il corpo è il luogo in cui si vive l’esperienza della sessualità e dell’estetica neutra; è anche l’elemento imprescindibile di ogni espressione pornografica nel senso proprio del termine (vale a dire inscrivere graphein gli atti tipici delle prostitute porné). Il corpo è pornografico nel momento in cui viene inscritto sulla superficie dell’immagine, nel momento in cui diviene segno visibile. L’immagine pornografica del corpo è il grado massimo di esposizione che caratterizza lo spettacolo: un’immagine esposta allo sguardo e al consumo. Il corpo è privo di pathos, è freddo, e trascende l’individuo che lo agita per aprirsi ad un altro livello del sentire. Nel cinema hard-core (una delle tante possibilità della pornografia di esprimersi e oggi la più diffusa) esiste una dinamica del corpo che si annulla come soggetto e che raggiunge la neutralità di cui parla Perniola? La domanda resta sospesa per ora. Per intenderci piuttosto sull’hard-core, questo è una messa in scena del corpo visibile e sessuato. Questo è un corpo che subisce una frammentazione, una composizione, una moltiplicazione e una ripetizione peculiare e specifica. L’approccio estetico neutro si trova nella ripetizione apparentemente infinita, senza inizio né fine, dell’atto sessuale come gigantesca composizione omogenea e fredda di corpi e parti di corpi. La fruizione (dalle VHS in poi è possibile portare avanti il film o metterlo in pausa e con l’avvento di internet e dello streaming le possibilità di segmentare diventano innumerevoli) contribuisce a frammentare il corpo in sequenze virtualmente infinite, rendendo il corpo, un corpo estremo perché costretto a ripetere infinite volte gli stessi movimenti, le stesse scene e a moltiplicarsi e suddividersi in parti e organi esclusivamente funzionali. Il corpo si annulla come soggetto amplificando la sua soggettività e impedendo definitivamente la sostituzione del corpo dell’attore con quello del fruitore che lo consuma. È infatti un’illusione 45 l’identificazione del fruitore con l’attore. Disseminazione totale dell’atto sessuale, ripetibile e rivedibile all’infinito, il mondo reale è più che moltiplicato. Tuttavia, il coinvolgimento del soggetto desiderante nella fruizione dell’opera pornografica è un elemento irriducibile e l’estetica neutra non può che essere un approccio neutrale, appunto. La curiosità interessata del fruitore non ha certo fini estetici, perché se fosse così non si spiegherebbe “l’orgasmomania” di cui parla Perniola. Se l’interesse voyeuristico per corpi a noi simili fosse scientifico, se fosse un interesse unicamente ʻanimaleʼ, non sussisterebbe, nuovamente, l’orgasmomania del fruitore. Al contrario, la fruizione pornografica potrebbe indurre semplicemente a un’emulazione istintiva ma blanda dell’atto sessuale appena fruito da parte dello spettatore. È chiaro invece che l’orgasmomania, si continua a utilizzare questa espressione perché di intuitiva comprensione, è un fatto. La pornografia vive di questo, per cui si dovrà trovare il modo per sciogliere il nodo. 4. Il corpo freddo e scomposto come inno alla trasgressione È complesso stabilire come può il soggetto desiderante che diviene fruitore provare eccitazione alla vista di ʻcorpi freddiʼ, frammentati, meccanizzati, plastificati. Sono corpi inumani, privi di volto, funzionali all’atto sessuale, funebri. Nella Camera chiara, Barthes guardando una foto si ferma a riflettere: «è morto e sta per morire». I corpi cessano di essere vivi nel momento in cui vengono impressi sull’immagine fotografica. Corpi vivi che si prestano, nel caso della pornografia, ad un’assoluta medialità e che si rappresentano nel vuoto della coscienza dell’individuo cui appartiene il corpo, disgregando i processi espressivi del volto, annullandosi. Morti ancor di più di un semplice corpo fotografato dunque, dato che il corpo pornografico, nudo, è ridotto a macchina automatizzata. Corpi che non soffrono e non godono, corpi che fingono apertamente, come i disegni dei cartoni animati. Corpi che si scompongono e disarticolano in un gioco di ridistribuzione anatomica che insegue una forma oltre se stessa: «il corpo è paragonabile a una frase che vi inviti a disarticolarla affinché, attraverso una serie infinita di anagrammi, si ricompongano i 46 suoi contenuti veri»117. Quello che mostrano è la visione del corpo come cosa che sente, niente di più, puro gesto. La pornografia non si può spiegare, può solo mostrare altrimenti smetterebbe di essere pornografia. Ma questa freddezza come potrebbe dunque eccitare il fruitore? Bataille spiegava già le ragioni elementari e profonde che muovono l’uomo all’eccitazione, per cui, riesce a dare una risposta alla domanda posta. Il segreto sta nell’esperienza contraddittoria del divieto e della trasgressione. Secondo Bataille questa doppia esperienza è «purtroppo rara»118, in quanto, solitamente, le immagini erotiche o pornografiche impongono ad alcuni l’atteggiamento del divieto, ad altri quello della trasgressione. I primi rientrano nella tradizione, i secondi rispondo ad un presunto ritorno alla natura a cui si oppone il divieto: «ma la trasgressione non è il “ritorno alla natura”: essa semplicemente sospende la proibizione senza toglierla di mezzo. Qui si cela la molla dell’erotismo, e qui in pari tempo si cela la molla di ogni religione»119. Dunque l’erotismo, inteso come lo intende Bataille, è funzionale alla pornografia. Per capire come, si approfondirà il discorso sulla proibizione. Quest’ultima può essere efficace, e in tal caso l’esperienza non avviene, o avviene nascostamente, cioè rimane fuori dalla coscienza; oppure non è efficace. Secondo Bataille, l’ultimo dei due casi è il peggiore. Per la scienza la proibizione è patologica, precede la nevrosi, dunque è conosciuta dal di fuori in quanto «vi scorgiamo un meccanismo esteriore, un’intrusione nella nostra coscienza»120. Questo modo di vedere le cose comunque non esclude l’esperienza, bensì le attribuisce un senso più semplice e quindi ne consegue che divieto e trasgressione, se descritti, lo sono come cose esterne all’interiorità per cui competenza di storici o psicanalisti. L’erotismo, come la religione, ci è precluso nella misura in cui ci rifiutiamo di collocarlo nell’esperienza interna. Veniamo a situarlo sul piano degli oggetti, ciò che conosciamo dall’esterno qualora cediamo alle istanze della proibizione: «la proibizione cui si obbedisce senza timore reverenziale, non ha più la contropartita del desiderio, che ne costituisce il senso profondo»121. Si tratta quindi di ripercorrere il sentiero di un’ancestrale memoria collettiva che ha conservato segretamente la chiave magica del desiderio 117 H. Bellmer, Anatomia dell’immagine, cit., p. 46. G. Bataille, L’erotismo, cit., p. 54. 119 Ibidem. 120 Ivi, p. 55. 121 Ivi, p. 56. 118 47 umano. La complessità dell’essere umano e della sua mente non permette all’individuo di eccitarsi esclusivamente per fini riproduttivi, dunque nel corso dei secoli il meccanismo naturale, che abbiamo in comune con gli animali, si è legato a strutture culturali vincolanti quanto l’istinto naturale. All’essere umano non basta trovarsi nel periodo fertile per la fecondazione e scegliere un partner qualsiasi per accoppiarsi. L’essere umano necessita di segni, significati, immagini, ricordi che possano indirizzare il suo desiderio. Per inoltrarsi ancora più a fondo nell’ancestrale memoria collettiva, Bataille riconduce tutti i moti dell’eccitazione ai meccanismi di divieto e trasgressione: «la verità delle proibizioni costituisce la chiave del nostro atteggiamento umano»122. L’uomo deve e può sapere che i divieti non sono imposti dal di fuori. Nel momento in cui l’individuo supera, ʻtrasgredisceʼ il divieto, ha la prova che questo viene dall’interno, soprattutto nel momento travagliato in cui il divieto continua a pesare, ma al tempo stesso l’individuo ha già ceduto all’istinto al quale il divieto si opponeva. Se l’individuo si assoggetta al divieto, non ne ha più coscienza, «ma, nell’istante della trasgressione, siamo preda all’angoscia, senza la quale la proibizione non sarebbe: è l’esperienza del peccato»123. A questo punto l’esperienza porta il soggetto alla trasgressione riuscita che, se mantiene la proibizione, lo fa per trarne piacere: «l’esperienza interna dell’erotismo richiede, da parte di colui che la compie, una sensibilità per l’angoscia che fonda il divieto altrettanto grande che per il desiderio che induce a infrangerlo»124. Così si spiega il legame tra desiderio e timore, piacere intenso e angoscia. Questi sentimenti, secondo Bataille, sono nella vita dell’uomo ciò che la crisalide è a paragone dell’insetto: l’esperienza interna dell’uomo ha luogo nel momento in cui, rompendo la crisalide, l’uomo ha coscienza di infrangere se stesso, non già la resistenza oppostagli dall’ambiente esterno. Il superamento della coscienza oggettiva, che delimitava le pareti della crisalide, è legato appunto a questo rovesciamento125. 122 Ivi, p. 57. Ivi, p. 58. 124 Ibidem. 125 Ivi, p. 59. 123 48 Capitolo 3 La rappresentazione del limite Il soggetto desiderante, spinto dall’istinto sessuale, cerca la sorgente del desiderio per conoscere, alimentare e soddisfare le proprie pulsioni oltre il corpo, alla carne tangibile e penetrabile attraverso cui si realizza il rapporto sessuale. L’individuo tende a ricercare quel che stimola la sua predisposizione al piacere nella letteratura, nel teatro, nel cinema e in tutto ciò che offre un’immagine di piacere. La rappresentazione del sesso, dei corpi, degli organi è parte di una rappresentazione del limite che affascina qualsiasi spettatore, che «non è parte in causa, bensì ne è la causa: non è mai estraneo all’opera»126. Appropriata e chiara è la parola di Enrico Ghezzi a proposito di noi, spettatori e fruitori: Senza noi stessi, senza senso, senza sensi. Non riconoscerci più per il troppo riconoscerci. Per non poter riconoscere “nostro” un funzionamento che non abbiamo mai avuto il tempo di “volere”, perché è prima del nostro tempo di vita, e anzi per esso siamo stati generati. Questo forse, se si mostrasse a tratti (come in indicibili perversioni e nella fantasia sadiana) nella propria assolutezza spettrale, nel godimento o nell’erezione o nello sgomento di trovarsi puro effetto di un linguaggio sconosciuto, ci direbbe il porno. Se forse apparteniamo all’umanità, l’umanità certo non ci 127 appartiene . La rappresentazione del limite tocca intimamente lo spettatore, stimolando una predisposizione e una tensione all’eccesso che raramente, questi, riesce a mettere in pratica nella realtà. Essere partecipi, quindi, di una messa in scena che propone lo svelamento ʻcrudeleʼ e ʻimpietosoʼ di corpi, organi e gesti che nella vita reale, di solito, restano celati dietro un velo, comporta una curiosità interessata e vivace, da parte dello spettatore, forte in modo singolare come per nessun altro genere di rappresentazione. Il fascino della nudità mostrata senza alcun ornamento, priva di seduzione, e proprio per questo potente nella sua brutalità, attira lo spettatore in un vortice di ripetitività che non implica emozioni e riflessioni, che non pretende il 126 M. Mazzocut-Mis, Il senso del limite. Il dolore, l’eccesso, l’osceno, Le Monnier Università/Filosofia, Firenze, 2009, p. 134. 127 E. Ghezzi, Senz’altro (il re è vestito), in Moana e le altre. Vent’anni di cinema porno in Italia, Gremese Editore, Roma, 1997. 49 consueto patto di finzione con lo spettatore, ma che, al contrario, si impone a quest’ultimo nella sua verità, palesando ininterrottamente le sue caratteristiche peculiari: il furore e la noia. Attraverso la terza realtà costituita dallo schermo, lo spettatore osserva i corpi dei performers combinarsi tra loro, in un algido tripudio di carne: «uno spettatore che, necessariamente, si sofferma a guardare la tempesta dalla riva, che non mette mai in gioco la propria incolumità. Stare sulla riva tuttavia, può anche non prevedere un esito scontato: la salvezza. Lo spettatore potrebbe perdersi in quello spettacolo e riconsiderare la propria esistenza»128. 1. Il limite infinito «George Steiner ricorda la necessità di “rispettare” il fruitore nel recupero delle possibilità legate alla facoltà immaginativa»129. Lo spazio per lasciare allo spettatore la libertà di riempire la propria realtà con le risorse del suo desiderio, suggerite dalla rappresentazione a cui assiste, non esiste nelle «coercitive esattezze fisiologiche»130 della pornografia: il porno, dunque, secondo Steiner, non ha rispetto per l’immaginazione del fruitore. Alla base del pensiero di Steiner c’è il punto irriducibile del drastico limite dell’atto sessuale in sé. La dinamica infinita del sesso, le innumerevoli e possibili fantasie che evoca sono notevolmente limitate: il numero di orifizi penetrabili del corpo umano è finito, e il sistema nervoso è organizzato in modo tale che le reazioni a stimoli simultanei in vari punti del corpo portano ad una dispersione dei sensi che produce un’unica sensazione piuttosto vaga131. Secondo Steiner, si parte dunque da una condizione di svantaggio rispetto alla conversione dei nostri sogni sessuali in merce attraverso la produzione di materiale erotico o pornografico, dato che la limitatezza è intrinseca già all’atto sessuale. La produzione letteraria erotica, infatti, secondo Steiner, ad eccezione di alcuni testi che hanno elaborato nuovi 128 M. Mazzocut-Mis, Il senso del limite,cit., p. 135. Ivi, p. 137. 130 G. Steiner, Parole notturne, in “Linguaggio e silenzio” (1967), trad. it. di R. Bianchi, Garzanti, Milano 2006, p 107. 131 Cfr. ivi, pp. 89-90. 129 50 codici sessuali (per esempio Lolita di Vladimir Nabokov), non ha per nulla contribuito all’arricchimento del nostro «patrimonio di eccitazione»132. La fantasia del soggetto desiderante ruota quindi all’interno di un cerchio limitato, costituito da ciò che l’uomo può concretamente sperimentare, e tutto quello che il mercato è in grado di produrre per alimentare e stimolare l’eccitazione del fruitore non può mai portarlo a una trascendenza immaginativa: al contrario, secondo Steiner, lo fa precipitare in un vuoto piatto e plastificato in cui l’immaginazione è sterile e povera: I rapporti sessuali sono, o dovrebbero essere, una delle cittadelle dell’intimità, il luogo notturno dove ci dev’essere concesso di raccogliere gli elementi frantumati e saccheggiati della nostra coscienza in una specie di ordine e di riposo intatto. È nell’esperienza sessuale che un essere umano da solo, e due esseri umani in quel tentativo di comunicazione totale che è anche comunione, possono scoprire la tendenza 133 singolarissima della propria identità . I pornografi quindi immaginano per noi e privano il soggetto desiderante della vitale intimità che l’atto sessuale pretenderebbe. I gesti, le immagini, i farfugliamenti da noi usati nell’atto sessuale giungono già confezionati da quelli che fanno dei nostri «sogni merce di mercato»134. La disapprovazione di Steiner rispetto alla letteratura pornografica è scatenata da un principio che si fa limite sin dal primo momento: l’atto sessuale in sé è per Steiner limitato, in quanto costituito da un numero finito di orifizi e elementi. Tuttavia il pensiero, limitato anch’esso ma più impalpabile e fluttuante, trascende il limite del corpo e costituisce ʻun infinitoʼ nel limite stesso della corporeità. Le povere possibilità di scelta all’interno dell’atto sessuale di cui parla Steiner - alludendo al numero finito di orifizi, posizioni, gesti – si moltiplicano infatti in modo straordinario nel ragionamento brillante di Hans Bellmer. Bellmer crede che il fattore essenziale dell’espressione del soggetto sia riconducibile alla strana formazione di «centri virtuali di eccitazione»135 che si snodano attraverso 132 Ivi, p. 92. Ivi, cit., p. 98. 134 Ivi, cit., p. 99. 135 H. Bellmer, Anatomia dell’immagine, a cura di O. Fatica, Adelphi Edizioni, Milano, 2001, p. 12. 133 51 percezioni interiori consce e inconsce a partire dal «centro di eccitazione predominante»136: […] percezioni che annoverano «le tensioni muscolari», «l’orientamento nello spazio», «le sensazioni tattili» e l’apporto delle «facoltà uditive e olfattive» a esse collegate. Basta un’occhiata a riprova che il vocabolario consueto mal si adatta a questo mondo in perpetuo moto di schemi enterocettivi, ognuno dei quali ricalca gli altri, e dei quali si è 137 scarsamente coltivata la descrizione simultanea . Determinante è l’esempio che Bellmer fa della bambina seduta che dorme e sogna, seduta su una sedia con il braccio disteso lungo il tavolo. La bambina poggia la testa sulla spalla, facendo convergere il mento e l’ascella creando, conseguentemente, una pressione, causata dalla testa, che dalla spalla si ripercuote per il braccio soffermandosi lungo il gomito per raggiungere la mano e, infine, le dita. La bambina descritta da Bellmer è comprensibilmente abbandonata alla stanchezza che sopraggiunge la sera, ma al contempo ella si abbandona ad un trastullo di fantasie affettive e sessuali compensatorie, che consciamente e inconsciamente si riversano nelle sensazioni fisiche scatenate dalla postura assunta e che non riguardano direttamente il suo organo genitale: La proibizione del piacere è, per il momento, un fatto inoppugnabile: di conseguenza è giocoforza negare la causa del conflitto, cancellare l’esistenza del sesso e della sua zona, «amputarlo», gamba inclusa. L’immagine però è sempre a disposizione, pronta a 138 scoprirsi un significato, un posto vacante, e a rivestirsi così di una realtà lecita . Infatti, tutto nasce da un conflitto iniziale fra il desiderio e la sua proibizione, che, irrisolvibile, porta inevitabilmente alla rimozione del sesso, alla sua proiezione sulla spalla, sull’occhio, sul naso del soggetto esaltando la «valorizzazione iperbolica degli organi sensoriali»139. Bellmer stabilisce l’analogia «sesso-spalla» nella figura della bambina che sogna, sovrapponendo di conseguenza il sesso all’ascella, la 136 Ibidem. Ivi, pp. 12-13. 138 Ivi, pp. 13-14. 139 Ivi, p. 16. 137 52 gamba al braccio, il piede alla mano, le dita del piede a quelle della mano. Il reale si fonde con il virtuale, il lecito con il proibito in una confusione che genera uno choc, una certa qual «vertigine», che sembra essere il sintomo e il criterio dell’efficacia interiore, della probabilità di questa soluzione e, se vogliamo accusa nell’organismo la presenza di uno spirito di contraddizione, dagli intenti alquanto irrazionali, incline all’assurdo se non allo scandaloso, spirito che, realizzando l’impossibile, si sarebbe 140 messo in testa di fornire le prove di una realtà particolare . Fig. 1 H. Bellmer, Anatomia dell’immagine. Il piacere che nasce dalla falsa identità di braccio e gamba, sesso e ascella, secondo Bellmer, probabilmente, è reciproco: infatti il piacere può scaturire dal braccio che svolge il ruolo della gamba e viceversa: «si è di conseguenza indotti a immaginare una sorta di asse di reversibilità tra fonte reale e virtuale di un’eccitazione»141. Tutto 140 141 Ivi, p. 14. Ivi, p. 19. 53 il corpo potrebbe quindi sostituire il centro di eccitazione predominante (fig. 1); gli orifizi finiti di Steiner si moltiplicano all’infinito, il corpo stesso è costituito da innumerevoli pori che secernono sudore e feromoni che rinnovano e alimentano il desiderio in ciascun soggetto, in un ciclo ripetitivo che si rappresenta sempre uguale a se stesso e al contempo sempre nuovo e intatto. Quindi, l’immagine pornografica non compromette la nostra fantasia, semplicemente fa parte dello stesso meccanismo concettuale già insito in noi. La rappresentazione pornografica non è altro che una proiezione di noi e del nostro desiderio. La ʻrappresentazioneʼ governa il modo d’essere degli individui, il linguaggio, il bisogno142. «Il linguaggio non è che la rappresentazione delle parole; la natura non è che la rappresentazione degli esseri; il bisogno non è che la rappresentazione del bisogno»143. Secondo Foucault, con l’avvento del XIX secolo il modo d’essere della rappresentazione che stabiliva l’ordine delle cose secondo il pensiero classico, è stato mistificato, limitato e governato da una libertà, una volontà e un desiderio che «si daranno in quanto rovescio metafisico della coscienza»144, sovvertendo definitivamente «la violenza e lo sforzo incessante della vita», «lo spirito oscuro» di un popolo che parla, «la forza sorda dei bisogni»145. Si spiega quindi l’approccio compromesso da tale cambiamento, da parte di molti sociologi e filosofi, rispetto alla rappresentazione delle cose, e in questo caso quella del desiderio. Infatti, quando la riflessione sul linguaggio divide l’essere e la rappresentazione, allora avviene un profondo cambiamento: l’uomo si trova nella « posizione ambigua di oggetto nei riguardi di un sapere e di soggetto che conosce: sovrano sottomesso, spettatore guardato»146, non più parte di un «funzionamento che non ha mai avuto il tempo di volere e per il quale è stato generato»147. Ed ecco che il ʻlimiteʼ naturale, intrinseco alla vita stessa che per definizione è limitata, diviene paradossalmente problematico. La vita, l’essere, la rappresentazione sono oggetto di limitazione e ripetizione. All’ interno di queste, si trovano quelle scintille che scatenano il desiderio nel soggetto, che 142 Cfr. M. Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, trad. it. di E. Panaitescu, Rizzoli Editore, Milano 1967, p. 228. 143 Ivi, p. 229. 144 Ibidem. 145 Ibidem. 146 Ivi, pp. 336-337. 147 E. Ghezzi, Senz’altro (il re è vestito), in Moana e le altre, cit., p. 3. 54 naturalmente tende a un infinito indefinito che lo distrae dal meccanismo irrimediabilmente finito dell’esistenza naturale, dal pensiero della morte. Fig. 2 H. Bellmer, Anatomia dell’immagine. La questione che Steiner si pone è espressa in modo chiaro e brillante da Barthes ne La camera chiara. Entrambi, infatti, riflettono sull’azione della rappresentazione: il primo attraverso la letteratura, il secondo attraverso la fotografia. Steiner, salvo alcune eccezioni, condanna la letteratura pornografica perché porta via al soggetto le proprie fantasie senza alcun rispetto. Barthes è consapevole del fatto che «viviamo conformemente a un immaginario generalizzato»148 (dunque riconosce come Steiner che la nostra fantasia subisce dei condizionamenti), e che, in tale contesto, l’immagine derealizza il mondo umano dei conflitti e dei desideri, limitandosi ad illustrarlo con una certa falsità. Tuttavia, se da una parte Steiner trova che la rappresentazione comporti una minaccia 148 per il fruitore a cui ruba le fantasie, R. Barthes, La camera chiara, Nota sulla fotografia, trad. it. di R. Guidieri, Giulio Einaudi Editore, Torino 2003, p. 118. 55 dall’altra Barthes si rende conto che il godimento passa per forza attraverso l’immagine e, tale meccanismo è osservato da Barthes placidamente, con il rigore posato che caratterizza la constatazione dei fatti, non con l’allarmismo che accompagna l’annuncio di una minaccia. Il soggetto, per esempio, che prova piacere nel farsi frustare e incatenare, concepisce il proprio godimento solo se questo coincide con l’immagine stereotipata del sadomasochista149. È «come se, universalizzandosi, l’immagine producesse un mondo senza differenze (indifferente), da cui può quindi levarsi qui e là solo il grido di anarchismi, marginalismi e individualismi: aboliamo le immagini, salviamo il Desiderio immediato (senza mediazione)»150, che potrebbe essere anche il grido di Steiner. Quest’ultimo, infatti, vive con apprensione la contaminazione del desiderio puro e immediato con il desiderio mediato, Barthes ne prende atto con sottile ironia. 2. Il gesto reiterato Pietro Adamo scrive che la maggior parte dei titoli pubblicati sulla pornografia riguarda esclusivamente il dibattito sui mali di quest’ultima, e, quindi, dà voce soprattutto al punto di vista di alcuni gruppi sociali: femministe, uomini di chiesa, sociologi, psicologi, filosofi e casalinghe; Adamo aggiunge che tale dibattito è svolto con una certa sconsolante ignoranza151. Si fa sentire, dunque, l’esigenza di intraprendere un discorso descrittivo sulla pornografia, che metta in ombra opinionismi e considerazioni interessate. Se, come sostiene Barthes, il godimento passa per l’immagine, si dovrà tenerne conto: la rappresentazione pornografica esiste malgrado i dibattiti che la demonizzano. Esiste un coinvolgimento dello spettatore che esprime, attraverso innumerevoli sfaccettature, la sessualità dell’individuo anche nella vita reale, lasciando spazio alla sua libertà di azione e reazione e, soprattutto, seminando stimoli consci e inconsci che a loro volta influenzano la produzione stessa dell’industria pornografica: 149 Cfr. ivi, p. 118. Ivi, p. 119. 151 Cfr. P. Adamo, Il porno di massa. Percorsi dell’hard contemporaneo, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004. 150 56 L’ascesa delle luci rosse si è rivelata un fenomeno sociale, politico e culturale di estrema rilevanza: nelle sue pratiche espressive dirompenti – ed esplicitamente “basse” – implica la discussione della struttura del desiderio e della sessualità, delle relazioni tra i sessi, della natura della famiglia, pesca alla rinfusa nei più scottanti materiali dell’inconscio, porta alla luce pregiudizi, simbologie, credenze occulte e occultate. Certo, il sistema di segni e di espressioni che lo caratterizza è esplicitamente “basso” non solo nel senso che sarebbe inutile cercarvi (ma questo vale anche per altre produzioni di massa) costruzioni elaborate come “la lirica di Eliot o la prosa di Joyce”, ma anche nel senso che la ricostruzione delle sue specificità e delle sue tendenze 152 prescinde (ma non sempre) dalla categoria dell’intenzionalità autoriale . Si riconoscono dunque i “limiti” del porno. Si riconosce nella pornografia la ripetizione e la standardizzazione della rappresentazione, ma si riconosce anche una pornografia che si pone come «prodotto di rottura o di trasgressione; […] e il porno di tal genere è già un prodotto elitario»153. Si avanzerà, quindi, su un discorso estetico sulla pornografia. Steiner si rende conto che, «se il solco tra cultura e incultura non è più un “ovvio elemento gerarchico”, il solco tra cultura alta e cultura bassa non determina più, oggi, scelte di principio»154. Dunque la pornografia è difficilmente classificabile all’interno dell’arte. Il cinema hard155 è considerato altro rispetto al Cinema. «Un cinema “dove si scopa e basta” contrapposto ad un cinema “vero”»156. Rimane da constatare che la pornografia dichiara sempre l’innata propensione dell’uomo al consumo del desiderio, all’eccitazione degli istinti, alla necessità di seguire sensazioni fisiche insopprimibili verso una risposta al proprio bisogno di piacere. È per questa ragione che l’universo della pornografia, pur essendo caratterizzato dalla ripetizione, dall’ostentazione della stessa, continua ad essere un mare in cui è “dolce” naufragare? Deleuze ricorda (già Bataille aveva paragonato de Sade a una distesa di rocce deserte 157 priva di sorprese e incolore, eppure incommensurabile ) che non c’è nulla di più 152 P. Adamo, Il porno di massa, Introduzione, cit., p. XIII. M. Mazzocut-Mis, Il senso del limite, cit., p. 138. 154 Ivi, p. 140. 155 Diminutivo del termine inglese hard core pornography. Con questa espressione si fa riferimento ai film in cui gli atti sessuali non sono mimati ma compiuti realmente sulla scena, contrariamente alla soft core pornography. 156 A. Di Quarto, M. Giordano, Moana e le altre. Vent’anni di cinema porno in Italia, cit., p. 7. 157 Cfr. G. Bataille, La letteratura e il male (1957), trad. it. di A. Zanzotto, Mondadori, Milano 1991, p. 106. 153 57 noioso del marchese de Sade, il quale, nella Filosofia del boudoir, fa affermare al libertino Dolmancé che i gusti dell’uomo in fatto di libertinaggio si riducono a tre: «la 158 sodomia, le fantasie sacrileghe e i gusti crudeli ». In de Sade, la ripetizione ininterrotta apre un vuoto, un deserto. “La mostruosità dell’opera di Sade annoia, ma 159 questa noia stessa ne è il senso”. Nel personaggio sadiano di Justine «il desiderio e la rappresentazione comunicano solo in virtù della presenza di un Altro, il quale vede l’eroina come oggetto di desiderio, mentre questa non conosce del desiderio che la forma leggera, remota, estrema e gelida della rappresentazione»160. Juliette è solo soggetto di tutti i desideri possibili, ma questi vengono ripresi nella rappresentazione che li trasforma in scene, in quadri precisi che si ripetono. Il ʻdiscorsoʼ si presta a ʻrappresentareʼ, «l’oscura violenza ripetuta del desiderio […] sopraggiunge a percuotere i limiti della rappresentazione»161. La narrazione sadiana, nominando tutte le cose con esattezza e sfaldando quindi l’intero spazio retorico, riduce la cerimonia della rappresentazione al massimo dell’esattezza e la allunga all’infinito. Sade si pone sul limite del discorso classico che lega l’essere alla rappresentazione e, a partire dalla sua narrazione, la violenza, il desiderio, la vita e la morte, la sessualità adageranno «un’immensa falda d’ombra»162 al di sotto della rappresentazione; per quanto noi proviamo a riprenderla nei nostri discorsi e pensieri, questa falda d’ombra sfugge, è irraggiungibile, perché il nostro pensiero è breve e assoggettato. Così «le prosperità di Juliette sono sempre più solitarie. E non hanno termine»163. Nella ripetizione ininterrotta si apre un vuoto che è il vuoto della libidine, dell’istinto fisiologico, del desiderio che trascina il corpo nel turbamento alla vista, alla lettura o all’immaginazione di momenti pornografici. «Data la conformazione fisiologica e nervosa del corpo umano, il numero di modi con cui si può raggiungere o sospendere l’orgasmo, le forme totali di rapporto sessuale sono fondamentalmente finiti164». Essendo finiti, per generare nuovi orgasmi e nuovo piacere sono costrette a ripetersi indefinitamente: «il porno si ridurrebbe all’azione stessa, al meccanismo ripetitivo della produzione di piacere, e 158 D.A.F. de Sade, La filosofia del boudoir (1795), trad. it. di V. Finzi Ghisi, in Opere, a cura di P. Caruso, Mondadori, Milano 1992, p. 98. 159 M. Mazzocut – Mis, Il senso del limite, cit., pp. 140-141. 160 M. Foucault, Le parole e le cose, cit., p. 230. 161 Ibidem. 162 Ivi, p. 231. 163 Ibidem. 164 G. Steiner, Parole notturne, cit., p. 99. 58 non sarebbe mai un mezzo per altro fine. Se così è non sarebbe nemmeno da annoverare tra gli oggetti che possono vantare una relazione con l’arte»165. Infatti, Adorno scrive, a proposito dell’arte e di ciò che la definirebbe: l’esperienza artistica è autonoma unicamente quando rigetta il gusto del godimento. […] Il concetto di godimento artistico è stato un cattivo compromesso tra l’essenza sociale e l’essenza antitetica alla società dell’opera d’arte. Essendo già inutile ai fini dell’autoconservazione – la società borghese non glielo perdonerà mai del tutto –, l’arte deve almeno affermarsi per una sorta di valore d’uso che sarebbe modellato sul piacere dei sensi166. L’arte che ha rinunciato alla propria dignità per diventare niente più che un trastullo è paragonabile alla pornografia. L’arte autonoma che non scende a compromessi e che è quindi elitaria per definizione e, soprattutto, non è oggetto, è l’arte che non conosce godimento. Nella filosofia dell’arte si usa il concetto di «atteggiamento estetico»167 per indicare il modo in cui il fruitore si pone di fronte ad un’opera considerata d’arte. La posizione di Goodman «spiega il presentarsi dei sintomi dell’estetico come questione concernente l’atteggiamento estetico. Per risvegliare le peculiarità estetiche di un’opera d’arte i fruitori dovrebbero quindi assumere un atteggiamento estetico e, se non assumono un tale atteggiamento […], non possono comprendere come segno estetico neanche la più grande tra le opere d’arte»168. È dunque facile immaginare che il fruitore del prodotto pornografico, difficilmente si troverebbe ad assumere tale atteggiamento, ragion per cui ancor più difficilmente la pornografia può esser considerata arte. Tuttavia, se il gesto reiterato, il gesto pornografico, quindi, viene riprodotto da un artista come Andy Warhol, che considera il fare denaro un’arte, è difficile ristabilire i confini tra vita, rappresentazione, arte e pornografia. Qualsiasi azione umana è destinata, naturalmente, alla ripetizione e il tentativo di disfarsi di tale caratteristica considerandola esclusiva del ghetto pornografico è funzionale solo alla permanenza di un’illusione umana: credere che la vita non si limiti alla morte. 165 M. Mazzocut-Mis, Il senso del limite, cit., p. 141. Th. W. Adorno, Teoria estetica, Einaudi, Torino 1999, p. 46. 167 G. W. Bertram, Arte. Un’introduzione filosofica, trad. It. di A. Bertinetto, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 2008, p. 152. 168 Ivi, cit., p. 153. 166 59 3. La fruizione del limite Il porno annulla la finzione e attrae il fruitore. Nonostante siano presenti, soprattutto nel cinema hard, momenti di grande ironia, situazioni grottesche o persino ridicole ad uno sguardo critico e impersonale, la fruizione del porno esige una preparazione dove non c’è spazio per l’ironia o il riso (salvo alcune eccezioni). Per raggiungere il coinvolgimento necessario, «il porno deve piuttosto favorire una sorta di immedesimazione e voyeurismo, in modo da far rivivere la situazione con completa partecipazione, nella totale inibizione dell’autocontrollo, già predisposto a cadere. Perciò il porno va preso “sul serio”»169. Bataille sostiene che il piacere chiuso nella singolarità dell’individuo, genera l’isolamento egoistico del «libertino»170, ma lo supera con una comunicazione tra gli individui causata dall’eccesso e dal limite, dando vita, infine, all’arte171. Infatti, mentre Sade ritiene utile il romanzo (non dimentichiamo la sua poetica pedagogica che perverte), Bataille invece considera l’arte un inutile eccesso, un estremo della passione e quindi un lusso. La stessa fruizione è dunque un lusso172. Cosa comporta la fruizione di un prodotto pornografico? Prima di tutto il porno non si sviluppa in racconto, è un vuoto narrativo popolato da stereotipi: Una fruizione che si trasforma in sintomo somatico. […] Nel porno evento e racconto, se di racconto si può parlare, coincidono per lasciare spazio all’iperbole, all’accumulo, all’iterazione. Elementi essenziali a più generi di fruizione, ma qui portati all’eccesso e presi ʻseriamenteʼ. L’immagine, allora, va consumata senza vertigine e nella vacuità del senso. ʻTrasparenteʼ è il genere porno, senza lacune, senza anfratti, senza luoghi da scoprire. […] La sua funzione primaria è la stimolazione di una risposta fisiologica, di cui l’estetica traccia un confine. […] Sono le stesse regole della fruizione che lo disegnano. Il fruitore riconosce la propria risposta somatica, volontariamente subita: non vi è nessuna bordatura disegnata dall’intervento di altre categorie estetiche. Nel 169 M. Mazzocut-Mis, Il senso del limite, cit., p. 159. «Il libertino è colui che, obbedendo a tutti i capricci del desiderio e a ognuno dei suoi furori, può ma deve altresì rischiararne i minimi moti attraverso una rappresentazione lucida e volontariamente messa in opera. Esiste un ordine rigoroso della vita libertina: ogni rappresentazione deve di colpo animarsi nel corpo vivo del desiderio, ogni desiderio deve enunciarsi nella pura luce di un discorso rappresentativo» (M. Foucault, Le parole e le cose, cit. p. 229). 171 Cfr. M. Mazzocut-Mis, Il senso del limite, p. 160. 172 Cfr. Ivi, p. 161. 170 60 fruitore la memoria non va oltre il sintomo; è unicamente al servizio del sintomo. 173 Nessun frammento che riporti ad altro . Un qualsiasi soggetto desiderante, dotato come tutti dei bisogni che la natura ci ha fornito e per mezzo dei quali viviamo, mangiamo, sogniamo, moriamo e desideriamo, privo di qualsiasi suggerimento culturale, politico e sociale, avrebbe come unico strumento di fruizione il suo sguardo. Questo, non sarebbe condizionato da sovrastrutture culturali di alcun tipo, bensì, sarebbe accompagnato esclusivamente dagli istinti che i meccanismi biologici e fisiologici innescano in noi. Dunque tale soggetto desiderante sarebbe influenzato solo da un’innata propensione all’emozione, per cui fruirebbe lo spettacolo pornografico in modo del tutto naturale e istintuale, senza suggerimenti derivanti dalla cultura, assecondando il desiderio insito nel proprio corpo. L’effetto che l’azione pornografica dentro lo schermo avrebbe su tale soggetto, potrebbe probabilmente essere paragonato a quello di un soggetto che guarda il proprio riflesso in uno specchio. Questo specchio potrebbe semplicemente limitarsi a provare l’esistenza del soggetto riflesso o indurlo a una curiosità e un interesse uguale a quello di Narciso. Il soggetto che si sofferma ad osservare la propria immagine riflessa nello specchio è spinto da un istinto di amore, curiosità e desiderio verso se stesso. Il soggetto che indugia, allo stesso modo, davanti a uno schermo in cui si pratica l’atto sessuale, è spinto da quello stesso istinto, con l’aggiunta di un pungolo ardente che dalle zone genitali raggiunge la mente e pervade il corpo. Infatti, osservando l’atto naturale dell’accoppiamento, che è già in noi ancora prima di farne esperienza, il soggetto si ritrova ad abbandonare istintivamente il corpo all’immedesimazione in un’immagine che riproduce quello che siamo predisposti a desiderare, stimolandolo all’emulazione o a soddisfare, in assenza di un proprio simile, il bisogno che si è manifestato, avendo già un’intuizione esatta di come si possa soddisfare. Le sovrastrutture politiche e culturali, tuttavia, sono inevitabili e non tenerne conto porterebbe il discorso su un piano teorico debole. È imprescindibile il concetto secondo cui l’individuo è chiaramente condizionato da innumerevoli fattori: «“L’ansia conformistica di essere sessualmente liberi”, dichiara nel 1973 Pier Paolo 173 M. Mazzocut-Mis, Il senso del limite, cit., pp. 171-172. 61 Pasolini, pronto a ripensare alla propria ʻesasperata libertàʼ nell’aver rappresentato ʻin dettagli e in primo piano il sessoʼ, “trasforma i giovani in miseri erotomani nevrotici, eternamente insoddisfatti”, auspicando poi una ʻcensura democraticaʼ contro “l’opera pornografica commerciale voluta in realtà dal potere”»174. Tuttavia, il fruitore non si pone certamente gli interrogativi sociali, politici e culturali che lo spingerebbero alla fruizione nel momento in cui si appresta al consumo di un’opera. Come si spiega la propensione dell’individuo a fruire materiale pornografico? Hans Bellmer scrive: «dato che il germe del desiderio viene prima dell’essere, la fame prima dell’Io, l’Io prima dell’altro – l’esperienza di Narciso alimenterà l’immagine del Tu». L’esperienza di Narciso implica l’immagine dell’Io riflessa e lo specchio. Il riflesso, concepito come sdoppiamento di una fonte di eccitazione, comporta lo sdoppiamento dell’individuo e una scissione ancor più estrema dell’Io in “reale” e “virtuale”. Attraverso il riflesso esistono due opposizioni che Bellmer definisce «scissione dell’Io che subisce un’eccitazione», e «scissione dell’Io che crea un’eccitazione»175. La decomposizione dell’Io attraverso il riflesso si evolve successivamente in una sintesi degli opposti che si risolve poi in una modalità superiore dell’Io, quella della sua realtà. Tuttavia, per chiarire e «concretizzare la coscienza oscura che abbiamo del punto cruciale del nostro ʻfunzionamentoʼ»176, Bellmer si prodiga nella descrizione di un’esperienza ottica: bisogna posare perpendicolarmente uno specchio senza cornice sulla fotografia di un nudo e, tenendo un angolo di novanta gradi, avanzarlo e girarlo affinché le metà simmetriche dell’insieme dell’immagine diminuiscano o ingrandiscano lentamente; in tal modo l’insieme riflesso nello specchio si deforma in pelli elastiche, bolle gonfie, oppure, seguendo il movimento inverso, l’insieme rimpicciolisce sciogliendosi su se stesso: Di fronte a un tale fatto abominevolmente naturale e che si accaparra tutta l’attenzione, la questione della realtà o della virtualità delle metà di questa unità in movimento sfuma nella coscienza, si cancella ai margini della memoria. L’esperienza è definitiva; prova ne è la presenza di una realtà incompleta, alla quale la sua immagine si oppone facendo intervenire un elemento motore che condensa il reale e il virtuale in un’unità 177 superiore . 174 P. Adamo, Il porno di massa, cit. p. 32. H. Bellmer, Anatomia dell’immagine, cit., p. 25. 176 Ibidem. 177 Ivi, p. 26. 175 62 Grazie al riflesso (generato dall’acqua, dallo specchio, dallo schermo, dalla pagina di un libro, da un’immagine fotografica, da un quadro) si genera l’opposizione, necessaria affinché le cose siano, necessaria alla sintesi e alla formazione di una «terza realtà»178. Dunque, l’istinto basico naturale è irriducibile nel soggetto. Oltre la corruzione, intesa con un’accezione non necessariamente negativa, della cultura, oltre i condizionamenti storici e politici, la naturalezza con cui l’Io o soggetto desiderante risponde a un’immagine pornografica, permane. 4. Brevi riferimenti storici sull’industria pornografica Cosa c’era e cosa c’è di più sfrontato di un corpo nudo impressionato sulla pellicola o memorizzato su supporto digitale per piacere, per denaro, per vanità, per libertà? L’immagine di un corpo nudo è semplice, universale e straordinariamente potente. C’è un corpo che si mostra, che desidera essere guardato e desiderato. Se prima un corpo nudo scandalizzava rumorosamente, oggi continua a farlo intimamente. Nonostante l’invasione di immagini anche autoprodotte in bagno e condivise con poche o molte persone (selfie), non si è esaurita l’energia della vanità, né quella del desiderio. Il campo della pornografia è vasto, per cui si farà riferimento alla forma d’espressione più forte e d’effetto della pornografia: l’immagine in movimento, il video, in altre parole, il mezzo cinematografico. Nel corso della lunga storia del porno, ci sono stati dei tentativi di narrazione oltre all’esposizione che definisce per condizione necessaria e irriducibile la pornografia. Tuttavia, elemento essenziale del porno è mostrare attraverso l’artificio una verità che, facendosi rappresentazione, diviene ancora più vera, per cui l’elemento narrativo è indubbiamente secondario. Stabilire un momento d’inizio nella storia della pornografia cinematografica è un’ardua impresa, ma si può intuire facilmente che opere di natura erotica o propriamente pornografica siano intrinseche alla nascita dello stesso cinematografo. Tuttavia, per convenzione, si fa risalire l’origine della pornografia cinematografica a 178 Ivi, p. 27. 63 due pellicole: Le voyeur del 1907 e A L’écu d’or del 1908. Linda Williams in Hard Core: Power, Pleasure, and the “Frenzy of the Visible”, divide la storia della pornografia cinematografica in quattro momenti: il primo è costituito dalla nascita agli anni Sessanta; il secondo dalla fine dei Sessanta ai primi degli Ottanta; il terzo da questi ultimi fino a tutti gli anni Novanta; l’ultimo percorre il primo decennio degli anni Duemila. In principio, la prima grande stagione della pornografia audiovisiva è incarnata dallo stag movie: pellicole mute, in bianco e nero di durata non superiore a quindici minuti, caratterizzate da un primitivo approccio narrativo, più che altro rivolto all’esibizione gratuita di corpi nudi, intenti a cimentarsi in attività sessuali. Il momento culminante di questo tipo di prodotti è la visualizzazione della penetrazione, cioè il cosiddetto meat shot. Dagli anni Dieci almeno fino agli anni Cinquanta, le opere pornografiche sono costituite da un’accumulazione e complicazione formale e contenutistica che le suddivide in vari generi, comunque funzionali al climax del meat shot, che successivamente sarà il vero punto di partenza della performance sessuale179. La formalizzazione cinematografica per i film hard-core, passa per l’ibridazione dei film exploitation (genere non pornografico che si fondava sullo spettacolo del sesso e della violenza) con i cosiddetti beaver film180. Alla fine degli anni Sessanta, si giunge a una svolta epocale e significativa. La storia della diffusione della pornografia di massa ha inizio nel 1967 (per quanto riguarda la letteratura) e nel 1969 (per i materiali fotografici e filmici), quando, in Danimarca, si apportarono alcune modifiche al codice penale, in modo da decriminalizzare la pornografia. Le prime zone a divenire terreno fertile per la produzione e la distribuzione di materiale hard core sono la Germania, la Scandinavia, l’Olanda, il Belgio e la Francia.181 «Nello stesso periodo (aprile 1969) la Corte Suprema degli Stati Uniti emana la sentenza Stanley v. Georgia, secondo la quale la fruizione del porno nella propria abitazione è protetta dal diritto alla privacy. La sentenza viene interpretata in chiave permissiva: se è legittimo fruire di 179 Cfr. F. Zecca, Porn in transition. Per una storia della pornografia americana, in E. Biasin, G. Maina, F. Zecca, Il porno espanso. Dal cinema ai nuovi media, Mimesis, Milano-Udine 2011, pp. 2833. 180 Cfr. Ivi, p. 37. 181 Cfr. P. Adamo, Il porno di massa. Percorsi dell’hard contemporaneo, Raffaello Cortina Editore, Milano 2004, p. 1. 64 pornografia in privato, sarà lecito crearla, distribuirla e commercializzarla182». Iniziano così le produzioni di filmini con sole donne che mostrano nudità e pube (beavers e split beavers), si passa da finti documentari sessuali a opere di fiction, nascono i primi sexy shop e dai tanti teatrini specializzati si passa alle sale cinematografiche183. Russ Meyer, ex fotografo di Playboy, pensa di abbattere l’ultima barriera che restava tra il pubblico e la rappresentazione dei suoi desideri: l’atto sessuale vero e proprio. È del 1959 The immoral Mr. Teas, che narra la storia di un fattorino che gira in bicicletta e riesce a spogliare mentalmente tutte le donne che incontra. Nasce così la soft core pornography. Dalla stampa su 16 mm si passò stabilmente a quella in 35 mm e già dai primi anni Settanta, nel nord Europa e in Francia, la pornografia ebbe grande diffusione (tra i nomi più celebri ricordiamo Jean Francois Davy, José Benazeraf e Lasse Braun, pseudonimo di Alberto Ferro). Nasce quindi una fiorente industria del porno che in un primo momento viene fruito attraverso i «peepshows e sexy-cabine private, e noti, da quel momento in avanti, come loops ([…] un particolare meccanismo che permette la riproduzione continua del filmino senza doverlo ricaricare ogni volta)184». Nascono zone “a luci rosse” in molte città europee e americane, caratterizzate anche da live show. «La protezione costituzionale che viene in pratica accordata al porno negli Stati Uniti e lo straordinario successo di cassetta colto da Deep Throat di Gerard Damiano (giugno 1972) costruiscono le premesse per la nascita di un mercato di enormi potenzialità fondato sui lungometraggi, la cui produzione viene così stimolata non solo negli USA, ma anche nelle zone scandinave»185. Nel 1973, la Repubblica Federale Tedesca approva una legge che legittima la pornografia e alla fine del 1975, dopo un’esplosione produttiva illegale, anche in Francia la legge liberalizza la pornografia: pian piano, i Paesi occidentali accolgono la pornografia dando inizio alla diffusione del porno di massa186. 182 Ivi, pp. 1-2. Cfr. Ivi, p. 2. 184 P. Adamo, Il porno di massa, cit. pp. 2-3. 185 Ibidem. 186 Cfr. Ivi, pp. 3-4. 183 65 L’affermazione dell’hard si presenta quindi come un altro epifenomeno della vittoria del “permissivismo” degli anni Sessanta. Non è casuale che siano proprio le magistrature, anch’esse ricettive alla nuova atmosfera, a rivelarsi decisive. Tuttavia, si tratta di un successo che le stesse iniziative giudiziarie provvedono a circoscrivere con attenzione: in sostanza, la legittimazione giuridica dell’hard si accompagna a provvedimenti intesi a limitarne la presenza, a ghettizzarne la fruizione, a smorzarne l’impatto culturale. In USA, Francia e Germania i dispositivi di legge sono differenti, ma l’obiettivo di fondo è lo stesso: conservare (se non potenziare) gli istituti preposti alla censura, scoraggiare la produzione con l’imposizione di vincoli economici (sull’import/export) e tributari, e soprattutto limitare a sale “specializzate” la circolazione dei materiali hard, impedendone l’accesso indiscriminato alla fruizione cinematografica187. È con Gola Profonda di Gerard Damiano, nel 1977, che si accendono anche per l’Italia le luci rosse. Linda Lovelace apre la strada a un processo irreversibile. A Milano, il distributore regionale Luigi De Pedys, che gestisce varie sale, tra cui il Majestic, inventa la sua sala a luci rosse: “Erano tempi duri”, racconta De Pedys, “bastava che un cittadino denunciasse alla Procura un film che offendeva il suo senso del pudore perché la pellicola venisse sequestrata su tutto il territorio nazionale in attesa che l’autorità giudiziaria la visionasse. Una norma che c’è tuttora, ma che non viene applicata con la stessa frequenza di allora perché il concetto di senso del pudore è mutato. […] Al Majestic, che andava assai male, avevo programmato una serie di cartoni animati per bambini sulla scorta del discreto successo che avevo ottenuto all’Arti, dove proiettavo solo pellicole della Disney. Mi ero reso conto che specializzare un cinema rendeva in termini di afflusso di pubblico. […] Ma non funzionò, la gente continuava ad andare all’Arti. Così mi dissi: perché non prendere due piccioni con una fava? Sparpagliati nei vari cinema, i film erotici me li sequestravano un giorno si e uno no. Se li concentrassi in una sala dichiarando con chiarezza a chi entra cosa si proietta, pensai, specializzerei la sala e nel frattempo non avrei grane giudiziarie. […] E così mi attivai: con Le avventure di Paperino conclusi la programmazione di cartoon al Majestic che, essendo piuttosto isolato, si prestava bene a diventare una sala per film a luci rosse. La luce rossa era quella che contrassegnava le sale erotiche in altre città europee, era un segnale. […] La lampada rossa me la fornì mio figlio che era allora nei vigili del fuoco. Dipinsi di rosso la sirena che era, com’è noto, di colore blu, e la collegai fuori dal cinema. Nel flano che feci pubblicare nei giornali annunciai una programmazione che offriva film vietati ma anche d’autore: dal Casanova di Fellini al Decameron di Pasolini. Volevo arrivare gradualmente alla proiezione di film erotici, sexy movies come li chiamavano allora. […] Roba che oggi fa ridere, tipo Sola su un’isola o Sesso, amore e pastorizia. Fatto sta che fu un successone. Dalle 36 000 lire di incasso giornaliero (allora il biglietto costava 2000 lire), passai, in una settimana a 400 000 lire. Per giungere, nei mesi successivi, fino a 3 e anche 4 milioni”188. 187 188 Ivi, p. 4. A. Di Quarto, M. Giordano, Moana e le altre, cit., pp. 12-13. 66 Durante gli anni Settanta i film pornografici invadono il mercato americano offrendo ai produttori incassi favolosi. Giuseppe Sbarra189 dichiara: «Dopo Gola Profonda, soprattutto in California, nasce una vera e propria industria dell’hard. In Italia l’hard non esiste ancora, ma l’erotismo spinto è un contenuto ormai presente nel cinema popolare»190. Luca Damiano191 gli fa eco: «Gli uomini a un certo punto non sono più appagati da quelle commedie scollacciate e quindi chiedevano sempre di più»192. Manca ancora il sesso esplicito, le riprese degli amplessi e i dettagli degli organi genitali. Anche in Italia cambierà tutto, prima nelle sale a luci rosse per i temerari e poi nella quiete domestica, la pornografia lascerà il suo segno. Dopo De Pedys, le sale a luci rosse prolificano in tutta Italia, e, per un settore in grave crisi come quello del cinema, il porno è un treno da non lasciarsi sfuggire. Alcune sale programmavano tutta la settimana film porno e poi venerdì, sabato e domenica i film per famiglie. Nel 1980, le sale riservate esclusivamente alla proiezione di film a luci rosse arrivano ad un numero di cinquanta, qualche anno dopo di centoventicinque. In provincia, i cinema programmano film porno durante la settimana e film per famiglie durante il weekend, con il risultato che su 6000 cinema italiani, 1000 offrono film hard193. Moltissimi cinema sono riusciti a restare aperti grazie a questa formula. Si andava al cinema per ottenere informazioni “didattiche” sul sesso che prima si ottenevano fisicamente all’interno dei bordelli. «È comunque nel contesto culturale dell’affermazione della libertà sessuale che si celebra quel matrimonio tra pornografia e cinema e caratterizzerà l’hard degli anni Settanta e dei primi Ottanta»194. Gli “artigiani” di un certo tipo di cinema (sex-ploitation), i pornografi, i registi di un certo cinema “d’autore”, si uniscono sotto la bandiera della rivoluzione sessuale in corso e rivendicano la legittimità delle luci rosse puntando sull’espressività cinematografica e sui contenuti libertari, liberatori del cambiamento culturale e sociale195. All’epoca, infatti, gran parte del cinema hard era piuttosto 189 Giuseppe Sbarra è stato nel settore della pornografia italiana regista, produttore e talent scout: napoletano trapiantato a Milano nel 1968, nel 1978 apre il suo primo sexy shop a Milano che ottiene un enorme successo in tutta Italia. 190 Storia proibita degli anni ’80,La porno invasione, documentario su Sky History. 191 Luca Damiano è uno dei tanti pseudonimi di Franco Lo Cascio, un attore e un regista italiano specializzatosi nel corso della carriera nella regia di film pornografici. 192 Storia proibita degli anni ’80,La porno invasione, documentario su Sky History. 193 Cfr. A. Di Quarto, M. Giordano, Moana e le altre, p. 14. 194 P. Adamo, Il porno di massa, cit., p. 6. 195 Cfr. Ibidem. 67 estremista. Temi forti come l’incesto, il sesso minorile, la violenza, sono inseriti in produzioni generaliste con potenti valenze politiche196. Tra gli autori più importanti si ricordano de Renzy, Mitchell, Carter Stevens, Joe Davian, Howard Ziehm e Lasse Braun197. Alla tendenza estremista si contrappone quella «ʻmimeticaʼ, fondata sul tentativo di riprodurre i meccanismi narrativi ed estetici del cinema ʻaltoʼ»198, realizzandosi nella produzione di B-movies, pieni di inserti hard. Esperti del genere sono soprattutto i francesi José Bénazéraf, Francis Leroi, Patrick Aubin e altri, i danesi, svedesi e tedeschi Werner Hedmann, Bert Torn, Hans Billian, Joe Sarno e altri199. Come sostiene Pietro Adamo, la pornografia degli esordi è decisamente più audace dei suoi autori: È come se il meccanismo alla base dell’hard, la sua trama di codici, la sua utopistica pretesa di esaurire il senso ultimo dell’esperienza sessuale in un momento sostanzialmente vicario e sostitutivo, creassero un mondo di corpi, liquidi, intrecci, e intersezioni di potenza raffigurativa un grado superiore a qualsiasi specifica contestualizzazione o razionalizzazione discorsiva, narrativa o altro. I pornografi sembrano in massima parte legati a una concezione “rivoluzionaria” della sessualità nel senso della vulgata controculturale, ovvero più fallocratica e scambista che “polimorficamente pervertita”200. Si tratta di svelare il corpo, destrutturarlo nelle sue più intime manifestazioni, ma solo alla vista. E se il contesto non fosse quello di un Occidente cristiano dove lo ʻsvelamentoʼ è tabù, non ci sarebbe nulla di rivoluzionario in questo. Ci si concentra dunque, in quegli anni di rivoluzione sessuale, con una evidente gioia liberatoria, sulle possibilità percettive del corpo, sulla sua elasticità, sui suoi punti nascosti, sulle possibilità coreografiche dei corpi combinati insieme. Le immagini sono quindi un tripudio di innumerevoli penetrazioni, intrecci multipli di corpi, dettagli di lingue, bocche, mani, dita, labbra, cavità e orifizi che si susseguono serialmente sembrando, apparentemente, infinite nella loro ripetitività. Su questa scia ci si imbatte quindi in opere come The Devil in Miss Jones (Damiano 1972) e molti altri, che si concentrano su un processo di educazione al sesso, come pretesto per raggiungere la conoscenza e 196 Cfr. Ibidem. Cfr. Ivi, p. 7. 198 Ivi, p. 7. 199 Cfr. Ivi, p. 7. 200 Ivi, cit., p. 51. 197 68 l’auto-conoscenza del corpo e del piacere201, in un percorso di pedagogia della perversione. Si insiste spesso sull’orgia, che si configura come scambismo pubblico, con uomini e donne che cambiano, scambiano, scartano, accolgono partner vari e diversi con incroci omo esclusivamente al femminile e quindi evitando sistematicamente intrecci che invertirebbero ruoli e funzioni tradizionali. Il processo di normalizzazione dell’hard andrà confermandosi sempre più verso soluzioni “antimistiche” di natura sadiana, tuttavia con eccezioni significative come Behind the green door dei fratelli Mitchell, che culmina con una lunghissima orgia psichedelica di venticinque minuti cui partecipano corpi di tutti i generi, «suggerendo una commistione “sacra” alla Bataille»202, con, addirittura, un rapporto omosessuale maschile.203 Quest’ultimo è il tipo di détournement più diffuso: trovare all’interno di un film etero una penetrazione di maschio su maschio, improvvisamente. Forse oggi più di allora il fruitore potrebbe disapprovare con disgustato stupore una simile sorpresa, considerando che i film hard sono “rigidamente” classificati in generi ben riconoscibili che permettono al fruitore di selezionare minuziosamente il materiale pornografico secondo il proprio gusto. Negli anni della rivoluzione sessuale, il corpo viene mostrato nei film hard con un approccio pedagogico, soprattutto in Francia e in America, in linea con l’ideologia controculturale, si propone molto spesso il personaggio del marito “emancipato”, alle prese con la liberazione sessuale della moglie che si ritrova al contrario, inibita e inesperta (per esempio Initiation d’une femme mariée, Tranbaree 1983). La conclusione di tutti questi film è sempre positiva e prevede la felicità della coppia, raggiunta attraverso una liberazione sessuale condivisa. A questa regola si sottrae Lansac, che propone film di diverso spessore. Nei suoi lavori, per esempio ne La femme objet (1980), è presente una rivendicazione vera e propria del godimento al femminile. In Blue Ecstasy (1976), assistiamo ad un’eversione del sistema pedagogista: il marito lascia la moglie a casa per andare in vacanza con l’amante e tenta comunque di controllarla per telefono; lei si annoia e comincia a divertirsi con altri uomini, così da lasciarlo insoddisfatto al suo rientro perché ʻtroppo stanca per luiʼ. Gli americani sono più vicini al tema del sesso terapeutico, in linea con la propria etica rigorista puritana, e dunque la celebrazione 201 Ivi, cfr., p. 53. Ivi, cit., p. 54. 203 Cfr. Ibidem. 202 69 del corpo comporta problematiche diverse rispetto alla Danimarca, solare e disinibita, e alla Francia, sofisticata e sperimentalista. All’interno dell’intreccio hard dei film americani, tutto porta sempre ad un rinsaldamento finale della coppia, che si ritrova più forte e affiatata di prima dopo le avventure vissute (per esempio in When a woman calls, William Haddinston 1976). Autori americani più complessi come Gerard Damiano, inseriscono tinte più cupe nei propri film. Per esempio, in The Devil in Miss Jones, la protagonista paga la propria fede nella carne, appena acquisita, con l’eterno contrappasso della negazione dell’orgasmo: Miss Jones, una donna matura rimasta vergine, si suicida; quando raggiunge l’inferno, il diavolo, scandalizzato dalla sua condizione, le dà la possibilità di provare i piaceri della carne che la donna non ha mai potuto conoscere nella vita. Miss Jones, dopo una serie di assaggi di godimento, non potrà più fare a meno della carnalità e per questo, paga con l’eterno contrappasso voluto dal diavolo. Molto diffuse le storie di donne per bene combattute tra la forza del desiderio e l’obbedienza alle convenzioni sociali, che marcano il contrasto tra la religione cristiana e la sessualità (per esempio The seduction of Lyn Carter, Anthony Spinelli, 1974). Il contesto in cui va letta la presenza dell’hard estremo, è questo. Si tratta di una pornografia estrema che, naturalmente, non è paragonabile a quella contemporanea. Il porno estremo di oggi, è, infatti, specializzato e settorializzato in generi ben definiti che sono situati all’interno di una trasgressione al di “fuori” della normalità, eccezionale e aberrante (ad esempio l’urofilia, lo stupro, le umiliazioni, il bondage), che confermano, allo stesso tempo, la struttura del “dentro” la normalità. C’è, quindi, una normalità che può concedersi eccezioni solo a patto di non mettersi in discussione. Al contrario, l’estremo controculturale degli anni Settanta, ha uno scopo opposto. Le pratiche eccezionali e aberranti si trovano situate in un continuum con le pratiche normali, al fine di travolgerle e annullarle: «il momento dell’estremo si configura così come epifania della liberazione, dimostrazione della possibilità, messa in scena dell’apertura»204. L’estremo degli anni Settanta prova quindi a rinunciare al suo statuto eccezionale, di farsi norma a sua volta, ampliando così il campo della legittimità e diminuendo quello della trasgressione. L’aspetto dissacrante dell’estremo, in quegli anni, emerge più su un piano visuale che 204 P. Adamo, Il porno di massa, p. 62. 70 concettuale: la possibilità di far vedere quello che ancora non si è fatto vedere, un interesse iconografico che pone al centro la possibilità di dare forma ad una fantasia estrema. Linda Lovelace, ad esempio, passa rapidamente dalla fellatio al pissing e poi alla zoofilia. Tina Russell si rifiuta di fare filmini perché scopre che l’avvento dei lungometraggi spinge i tipi dei loops a cercare di superarli con sesso più selvaggio e bizzarro. Entrando quindi nel campo della “violenza”, il porno controculturale incontra i suoi limiti idealistici e pedagogici e si propone nella sua forma più contraddittoria con un’interpretazione della relazione sessuale in cui la violenza è prodotta da una naturale “gerarchia” uomo/donna205. L’idealismo dei pornografi, inteso come progetto di liberazione da una morale obsoleta e raggiungimento di una condizione utopica “naturale”, si arena su un dilemma difficilmente risolvibile: se la valorizzazione “progressista” delle pratiche penetrative estreme, dell’incesto, dell’urofilia, della coprofagia, dello stesso sadomasochismo ecc., è basata su un consenso “felice”e “trasgressivo” tra le parti in causa e può quindi essere mostrata, la violenza si sottrae per definizione da tale consenso, ponendo il problema della legittimità della sua messa in scena, e sgusciando, per così dire, dal paradigma controculturale. […] Il problema si rivela di fatto una chiave di lettura per l’evoluzione stessa del porno di massa: se i primi anni Ottanta […] segnano la prevalenza del crossover, che implica il dissinesco del tema violenza tramite un atteggiamento “politicamente corretto” ante litteram, la vittoria dei primi anni Novanta di una produzione video caratterizzata da una cifra stilistica complessivamente violenta e sopraffattrice, […] di fatto si rivela una precisa risoluzione di quel problema deontologico posto tra fine anni Settanta e inizio Ottanta. Segnando non solo la completa estenuazione del paradigma controculturale, ma anche il tramonto, nell’hard, delle aspirazioni egualitarie e pedagogiste 206. 5. Brevi riferimenti storici al porno made in Italy Inizialmente, in Italia si importano pellicole dall’estero o si montano inserti hard all’interno di film erotici, cioè le scene di sesso simulato vengono sostituite con scene di sesso reale praticato da controfigure. In pochissimo tempo i nostri artigiani realizzarono le shot library, veri e propri archivi del sesso. Catalogate con numero di codice, sugli scaffali delle cineteche clandestine, vengono conservate scene accuratamente classificate: rapporti anali, sesso orale con donna bionda, sesso orale 205 206 Cfr. Ivi, pp. 55-65. Ivi, p. 65-66. 71 con donna bruna, ammucchiate e accoppiamenti lesbo. Queste, verranno utilizzate in fase di montaggio e poi torneranno al loro posto per essere riutilizzate. Decine di attrici di quegli anni, senza saperlo, sono state protagoniste di film hardcore. La tecnica dell’inserto non si è mai estinta, ha solo modificato profondamente la sua ragion d’essere. Inizialmente, si trattava di un trucco per aggirare la censura o per rendere accattivanti dei film fiacchi, oggi è un sistema praticato per moltiplicare all’infinito i film: le scene di sesso vengono riciclate in decine di altri. Ma il pubblico nel tempo trovava il modo di raffinare il proprio gusto e avendo capito il trucco, reclamava altro. Inizia, quindi, un cinema pensato per il genere a luci rosse (Rabbiosamente femmine, Vacanze morbose di giovani bagnate), anche perché si preannunciava un grande business. I produttori, i noleggiatori e i registi, sulla scorta di una serie di incassi che avevano fatto su grandi successi hard americani, decidono di produrre in prima persona film pornografici. A fronte di un film che poteva costare minimo 30 milioni ma anche meno, massimo 50 milioni, il resto erano incassi che in media andavano vicini al mezzo miliardo delle vecchie lire. Trovare attori e personale tecnico non era un problema dato il clima di crisi generale. Il risultato è che alcuni film incassano fino a 7 milioni in due giorni. Alcuni si arricchiscono e il sottobosco di un certo cinema respira a pieni polmoni. Tanti laboratori evitano il fallimento, tecnici di proiezione, cassiere, mascherine, dialogisti, adattatori, attori di doppiaggio, tecnici di doppiaggio, sincronizzazione, sviluppo, stampa, eccetera, tirano avanti per qualche anno ancora207. Fra gli artefici della nascita dell’hard in Italia, che passeranno dal soft al porno o che opereranno contemporaneamente nell’uno e nell’altro genere ci sono: Aristide Massaccesi, Franco Lo Cascio, Lorenzo Onorati, Arduino Sacco, Bruno Vani, Renato Polselli, Mario Bianchi, Andrea Bianchi, Giuliana Gamba, Antonio d’Agostino, Raniero di Giovanbattista, Elo Panacciò, Sergio Bergonzelli, Alfredo Rizzo, Mario Siciliano, Giuseppe Curia, Angelo Pannaccio. E tutti firmeranno i loro prodotti hard con innumerevoli pseudonimi. Tutto inizia però da un genere cinematografico specificatamente italiano e peculiare nelle sue innumerevoli sfaccettature. Dunque si farà un breve passo indietro. Sono i registi dell’inesauribile filone cinematografico dell’erotico italiano a cimentarsi nell’hard per la prima volta. Il cinema pornografico italiano nasce da qui. 207 Cfr. A. Di Quarto, M. Giordano, Moana e le altre, pp. 14-15. 72 Nel volume Moana e le altre. Vent’anni di cinema porno in Italia, A. Di Quarto e M. Giordano lasciano che sia la voce di Pasquale Chessa a riconoscere il principio dell’hard in Italia, nel fenomeno del cinema erotico italiano di quegli anni: non si tratta della rivoluzione sessuale che, come si è già detto, caratterizzò lo sviluppo del cinema hard negli altri paesi. In Italia non c’era un capostipite del cinema pornografico come Andy Warhol, non c’era il porno in presa diretta di John Mekas, non esisteva il manuale sperimentale sulla masturbazione di Stan Brakage (Anticipation of the night). In Italia, secondo Pasquale Chessa, all’origine di tutto c’è un film: Malizia, di Salvatore Samperi. La protagonista è una servetta procace e accondiscendente che, all’interno di un nucleo familiare tipicamente italiano, attira l’attenzione libidinosa del maturo padre e del precoce figlio. Gli ingredienti semplici e giusti: un po’ di Edipo, un po’ di Anti-Edipo e psicologia di gruppo208. Alcuni titoli che caratterizzarono questo tipo di cinema: Cristiana monaca indemoniata (1972) di Sergio Bergonzelli, Quell’età maliziosa (1975) di Silvio Amadio. Il cinema erotico italiano, prendeva spunto paradossalmente dalla triade pasoliniana: Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972) e Il fiore delle mille e una notte (1974). Il filone erotico si suddivide quindi in decamerotico, canterburotico, orientalerotico per arrivare a quello casereccio che nasce dalle contraddizioni della famiglia italiana e della provincia perbenista e democristiana che Pietro Germi aveva già raccontato nel 1965 con Signore & signore209 e toccare anche la commedia sexy all’italiana che nasce nel 1969 con Vedove inconsolabili in cerca di distrazioni di Bruno Gaburro. Maestro del cinema erotico italiano è Tinto Brass, secondo il quale la differenza tra cinema erotico e pornografico sta nel linguaggio, non nella superficie di carne genitale che viene mostrata. Fermo Posta (1995), infatti, nonostante appaiano dettagli ginecologici e membri maschili a riposo e in erezione, non è considerato un film pornografico. Non è difficile trovare attrici e attori disposti a svestirsi pur di lavorare. Nascono così, a partire dagli anni Settanta, le specialiste del genere erotico: Rosalba Neri, Gabriella Giorgelli, Femi Benussi, Patrizia Gori, Daniela Giordano, Ria Del Simone. Nel corso del tempo le fila delle bellezze sensuali protagoniste dell’erotismo cinematografico si ingrossano, dando spazio anche a Sonia Viviani, Jenny Tamburi, Claudia Cavalcanti, Orchidea De Santis, Malisa Longo, Franca 208 209 A. Di Quarto, M. Giordano, Moana e le altre, cfr., pp. 19. Ibidem. 73 Gonella, Silvia Kristel, Laura Gemser e tante altre. Si passava dal ruolo di dama medievale, a quello di secondina delle SS a quello di ingenua fidanzatina. Nel ruolo di dottoresse e professoresse svestite si trovano spesso Edwige Fenech, Nadia Cassini, Michela Miti, Lori Del Santo e altre. Gli uomini sono presenti spesso come giovani imberbi e inesperti: Alessandro Momo, Giusva Fioravanti, Alfredo Pea, Gerardo Amato. Tutto il plot elencato era comunque supportato da nomi famosi, da attori affermati e dalla professionalità ben definita, in modo da sostenere film che erano spesso caratterizzati da sceneggiature deboli. La scintilla pornografica scattò grazie ad Alexander Borsky, pseudonimo di Aristide Massaccesi (uno degli innumerevoli pseudonimi che soleva usare il regista italiano) e Luca Damiano, pseudonimo hard di Franco Lo Cascio. Massaccesi è il più prolifico tra i pionieri dell’hard. Grande specialista del cinema a basso costo di cui frequenta tutti i generi, dal western all’horror, nell’estate del 1978, parte per girare alcuni film erotico avventurosi a Santo Domingo. Nelle stesse location gira ben 5 film hard. In Sesso nero, il film che rivendica la qualifica di primo porno italiano datato 1978 ma distribuito nel 1980, c’è Mark Shennon, il primo pornodivo italiano. È la storia di un uomo che va ai Caraibi alla ricerca del perduto amore e trova una ragazza che somiglia alla fidanzata mai dimenticata e dopo averla contesa con un ʻnegroʼ inferocito, vive con lei molteplici avventure erotiche per scoprire alla fine che la giovane è sua figlia.«“Sesso nero faceva parte di un discorso di ricerca di pionierismo nel campo hard-core”. In effetti come ricorda su Nocturno Manlio Gomarasca, Porno Holocaust e Sesso nero prevedono una trama particolareggiata, buone performances sessuali, alternanze di momenti hard e di puntate nell’horror decisamente non banali»210. Come sottolinea S. Della Casa, se questo primo hard è di classe, certamente non lo sono quelli girati tra il 1980 e il 1982 da Joe D’Amato, infatti, dopo questa fase D’Amato lentamente si allontana dal settore lasciando libero il campo a Riccardo Schicchi e alla sua “scuderia” di Diva Futura, un po’ per mancanza di mezzi e un po’ per scelta. Si avvicina inevitabilmente all’hard anche Alberto Cavallone che, tuttavia, offre una visione poco conciliante con l’industria del sesso: Cavallone coglie l’essenza capitalistica della pornografia che viene usata come strumento di potere e prevaricazione, restando comunque in una posizione 210 S. Della Casa, Il mio nome è D’Amato, Joe D’Amato, in a cura di S. Giannatempo, Schermi (h)ardenti. Porno cinema italiano & dintorni, Profondo Rosso Editore, Roma 2012, p. 109. 74 contraddittoria dato che contemporaneamente ne coglie le enormi potenzialità commerciali che intrinsecamente la pornografia possiede. Dal nostro inviato a Copenaghen (1970), racconta la vicenda di un reduce dal Vietnam che ha disertato e si rifugia in Danimarca, trovando lavoro come pornoattore: da macchina per uccidere a macchina per fare l’amore211. In questo film le regole non scritte dell’hard vengono sovvertite con effetti stranianti che confondono il fruitore e lo distolgono dalla supposta sensualità delle scene portandolo in una dimensione illusoria che supera l’osceno attraverso spunti surrealisti, inibendo e snaturando quindi gli scopi fisiologici della fruizione pornografica di norma. Zelda (1974), massacrato di tagli dalla censura, è caratterizzato da un sesso funereo che si manifesta nel consumo di un amplesso tra due personaggi sulla tomba del padre di lei. Spell - Dolce mattatoio (1977) non sfugge a questa logica surreale e surrealista, Blue Movie (1978), nonostante l’abbondante susseguirsi di immagini esplicite, resta un film assolutamente incatenato all’occhio di Cavallone. Si tratta di un film che cattura in modo ipnotico il fruitore, trascinandolo in uno stato di estasi, disgusto, confusione, paura e fascinazione. Subito dopo la realizzazione approssimativa e squallida di Blow job (1980), il regista si dedicherà quasi esclusivamente all’hard, condizionato dall’impossibilità di fare cinema. I primi film hard italiani si rifanno anche ai filoni tradizionali del cinema, parodiandoli e hardizzandoli, escono così film come Bathman dal pianeta Eros. Per reclutare le attrici del film hard un po’ si pesca all’estero e un po’ nel teatri che fanno spettacoli osè. Si attinge a piene mani anche dalle stelline del soft disposte a compiere il grande passo, come ad esempio Marina Frajese. Dopo alcune apparizioni in commedie erotiche e servizi fotografici, la Frajese diventa una delle protagoniste più attive ed estreme degli inizi dell’hard italiano. Nessuna attrice approdata all’hard si è sottratta al passaggio dall’erotico italiano, ad eccezione di Moana Pozzi. Infatti, escludendo brevi apparizioni (La compagna di viaggio di Ferdinando Baldi, 1980, e Borotalco di Carlo Verdone, 1981), Moana prese parte a film erotici soltanto dopo l’avvio della sua carriera nell’hard (W la foca di Nando Cicero, Fuga dal Bronx di Enzo G. Castellari, I pompieri di Neri Parenti, 211 Cfr. R. Curti, A. Di Rocco, Alberto Cavallone: l’occhio e la carne, in a cura di S. Giannatempo, Schermi (h)ardenti, p. 87. 75 Ginger e Fred di Federico Fellini e altri). Anche Ilona Staller, in arte Cicciolina, viene dal cinema erotico all’italiana. In La liceale, di Michele Massimo Tarantini, è presente una scena lesbo con Gloria Guidi molto realistica. Nel 1975 interpretò anche L’ingenua di Gianfranco Baldanello, l’anno dopo ha un piccolo ruolo nel film di Bitto Albertini, Il mondo dei sensi di Emy Wong. Nel film Voglia di donna (1978), di Franco Bottari, ispirato ad un fatto di cronaca, Ilona Staller, in un episodio che si intitola «La pipì», interpreta se stessa; nel 1979, reciterà in Senza buccia di Marcello Aliprandi, storia di vacanze all’insegna del sesso, ambientata alle isole Eolie. Successivamente, la Staller entrerà a far parte dell’agenzia creata con Riccardo Schicchi, Diva Futura ed entrerà nel mondo del porno212. Per gli interpreti maschili la scelta è più difficile, garantire erezioni continuate e orgasmi a comando davanti alle cineprese in tempi in cui non esisteva il viagra, non è un’impresa da tutti. Roberto Malone era uno dei favoriti, Christopher Clark, o Jampier Armand, o Gabry Pontello. Questi specialisti girano centinaia di pellicole all’anno e guadagnano cifre notevoli, superiori in certi casi a quelle delle star femminili. Il giro di soldi attorno al porno cresce di anno in anno, ma il business si sviluppa nella più completa clandestinità. Non c’era nessun tipo di legislazione che riguardasse gli operanti nel settore. Le uniche norme applicabili in materia, sono gli articoli 528 codice penale e 529 codice penale che vigilano sul comune senso del pudore. Norme che, all’epoca, nonostante la rivoluzione sessuale degli anni Settanta, sono spesso usate in modo repressivo. L’articolo 528 cp recita: «Chiunque, allo scopo di farne commercio o distribuzione ovvero di esporli pubblicamente, fabbrica, introduce nel territorio dello Stato, acquista, detiene, esporta, ovvero mette in circolazione scritti, disegni, immagini od altri oggetti osceni di qualsiasi specie, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni». Ma che cos’è l’oscenità? Il 529 cp risponde a questa domanda: «Agli effetti della legge penale, si considerano “osceni” gli atti e gli oggetti, che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore. Non si considera oscena l’opera d’arte o l’opera di scienza, salvo, che, per motivo diverso da quello di studio, sia offerta in vendita, venduta o comunque procurata a persona minore degli anni diciotto». L’ambiguità e la confusione che caratterizzavano questi articoli, finivano per concretizzarsi in situazioni problematiche in quanto, ciò che è comune sentimento 212 Cfr. Ivi, p. 22. 76 del pudore per una persona è probabilmente diverso da quello di un’altra che ha parametri culturali diversi. I rischi che correvano i distributori di questi film erano i sequestri, perché la magistratura era molto attenta. Il materiale che veniva considerato osceno dalle istituzioni veniva bloccato e sequestrato, ma i film hard riescono ugualmente ad uscire nelle sale: «la clandestinità della pornografia era sicuramente ed è sicuramente affascinante, quindi lasciamo a quel ghetto il suo sapore di proibito, di torbido, di inquietante, di diverso anche nelle riprese, nella qualità delle immagini. Quella non professionalità ha sicuramente un fascino, una superiorità su produzioni che possono essere stranamente sempre non credibili»213 dichiara Riccardo Schicchi in un’intervista. Registi produttori e distributori elaborano una serie di trucchi per aggirare gli ostacoli della legge dai titoli dei film che cambiano vorticosamente a società fantasma costituite per evitare incriminazioni; ma il metodo più usato è quello di presentare alla commissione censura pellicole opportunamente purgate dalle scene esplicite. Molte pizze venivano consegnate al gestore del locale con i metri del porno a parte; stava al gestore stabilire se aggiungere alla pellicola le scene hard a suo rischio. Tanto è vero che capitava che alcuni spettatori vedevano la versione soft del film e altri, in orari diversi, la versione con le scene hard aggiunte. Il dilagare della pornografia è combattuto aspramente da alcuni giudici e pretori non proprio inclini alla tolleranza, i cosiddetti ʻmagistrati antipornoʼ. Tra i più attivi si ricorda Vincenzo Salmeri pretore di Palermo che ingaggia con Ilona Staller una battaglia contro l’oscenità che culmina in un match televisivo di un programma condotto da Maurizio Costanzo, Acquario, nel 1979. La difesa a oltranza della morale pubblica è condotta a suon di sequestri, perquisizioni e arresti. Tra i vari “magistrati antiporno” si distingue il sostituto procuratore Alfredo Rossini, responsabile a Roma dell’ufficio spettacoli e stampa. Nel 1986 Rossini si scaglia contro uno spettacolo erotico che rumoreggia a Roma: Curve deliziose. Le protagoniste sono Cicciolina, Moana Pozzi , Ramba e Cornelia Oltean . Lo spettacolo viene sospeso e le attrici denunciate per atti osceni in luogo pubblico, processate e condannate a sei mesi senza condizionale, come Cicciolina racconta a John Holmes in Carne bollente 1987. A sostenere gli atti delle procure è la chiesa cattolica che nel corso del decennio interviene molte volte per condannare la pornografia definita 213 Intervista extra in PORNO logos, documentario di Sebastiano Montresor, MMIII, Mon3sor, 2003. 77 amorale e antisociale. L’esposizione del nudo preoccupò molto la chiesa che nella sua storia ha sempre difeso e valorizzato l’idea del pudore. La pornografia soprattutto, ma anche la cultura del nudo, tenderebbe a ridurre la sessualità a pura genitalità, e infine porterebbe alla demolizione della famiglia. Ma i difensori della morale perdono la loro battaglia. È sorprendente, infatti, come il cinema hard si sia fatto strada in pochissimo tempo, da una situazione precaria e in totale assenza di leggi, ad una prosperità senza limiti che lo porta a prendere pieno possesso di un considerevole spazio sul mercato, ma soprattutto è sorprendente l’accettazione sociale, impensabile solo fino a qualche anno prima. Gli anni Ottanta di fatto sdoganano la pornografia e l’erotismo esplicito che entrano a far parte di un’estetica di massa, spalmandosi sulle copertine dei giornali, dilagando in tv, nella pubblicità e al cinema. La febbre erotica della prima metà degli anni Ottanta coinvolge anche personaggi molto noti. Nel 1982 il settimanale per adulti Le ore, tappezza i muri delle città italiane con manifesti che annunciano l’arrivo di servizi hard con star nel mondo dello spettacolo, come Patty Pravo, Lilli Carati e Paola Senatore. Inventarono una formula pubblicitaria che usava personaggi famosi, come centro del servizio fotografico, circondati da gente che aveva veri rapporti sessuali. Era un’idea editoriale che ha avuto la sua fortuna. La stampa pornografica invade le edicole ed è alla vista di tutti, compresi i minori che dimostrano di gradire. Alex Infascelli, regista, racconta: «Si cercava in qualche modo di reperire questi giornali dal proprio edicolante che spesso era accondiscendente e non si faceva troppi problemi a vendere ai minori. Io avevo quindici anni e me li dava. La legge c’era ma non serviva, perché di fatto i minori avevano facilissimo accesso a queste riviste»214. Si mettevano sempre in mezzo ai quotidiani, magari qualcuno guardando delle foto d’archivio penserà quanto fossero colti i giovani dell’epoca ma in realtà dentro il giornale c’erano innumerevoli riviste hard. Le riviste venivano nascoste sempre in luoghi assurdi della casa. Oltre ai giornali proibiti i giovani degli anni Ottanta trovano altri modi per appagare la loro sete di conoscenza erotica. Infatti, erotismo e pornografia si fanno largo in vari settori della società. Ne è un esempio il cinema erotico italiano che a metà decennio, attraversa un momento di grazia. Nel 1983 Tinto Brass trionfa ai botteghini con La chiave. A offrirsi nuda alla cinepresa non è una starlette 214 La Porno invasione, Storia proibita degli anni ’80, Sky Storia. 78 qualsiasi ma un’attrice dalla solida carriera, Stefania Sandrelli. Il vero successo de La chiave è la Sandrelli nuda, la Sandrelli che fa pipì, “la Sandrelli con questo pacco di pelo” – (Silvio Bandinelli). Si tratta di una Sandrelli quasi porno, che non ha pudore nel mostrarsi. Anche la televisione dei primi anni Ottanta è coinvolta nella diffusione di un’estetica erotica che va oltre il recinto delle luci rosse. Incalzata dalla spregiudicata crescita delle tv commerciali la Rai scende a compromessi con il comune senso del pudore e condisce i suoi varietà con inediti balletti provocanti e corpi femminili poco vestiti. Sulle reti del servizio pubblico lo strip tease si guadagna uno spazio fisso in seconda serata con lo show Il cappello sulle 23 in onda dal 1984 con una giovanissima Serena Grandi. Il corpo viene visto rappresentato e raccontato in tutte le sue forme, invade completamente la televisione, i media, anzi diventa il centro fondamentale dell’attenzione. Il culmine del mostrabile nella tv popolare è rappresentato dal programma di Italia 7 Colpo grosso in cui un gioco a premi diventa un pretesto per mostrare gli spogliarelli dei concorrenti e delle ragazze cin cin. Ma il territorio più caldo è la notte delle neonate tv locali che dalla completa deregulation trasmettono spogliarelli, film erotici e a volte anche hard in piena regola che entrano così nelle case di tutti gli italiani. Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, il porno diventa “di massa” in tutto l’Occidente e si diffonde come si è visto, più o meno clandestinamente. Tuttavia, le tendenze di cui scrive Pietro Adamo, quella estremistica e quella mimetica, affievoliscono la loro ardente fiamma in concomitanza con la diminuzione dell’uscita nelle sale e l’avvento della fruizione casalinga tramite videocassetta. Il cambiamento non è solo di “supporto”, bensì di prospettiva culturale215. Sia in Francia che nei paesi scandinavi il cambiamento dalla pellicola al video, è lungo, ma in America più traumatico. Inizialmente, tra i Settanta e gli Ottanta a causa di azioni giudiziarie, molti estremisti dell’hard, tendono alla prudenza e di conseguenza, il terreno sembra fertile per una felice unione tra cinema e pornografia (crossover) e una seguente accettazione culturale dell’hard come fenomeno cinematografico. La realtà invece è diversa. Questi film, ad alto budget, citando l’esempio di Pietro Adamo In love di Vincent, restano in sala per pochi giorni e in videocassetta, naturalmente, non possono reggere il confronto con la concorrenza di opere realizzate a costi molto più bassi, con 215 Cfr. P. Adamo, Il porno di massa, p. 9. 79 videocamere meno care, maneggevoli che permettono di ridurre notevolmente anche i tempi di lavorazione (anche a un giorno one day wonder)216. La preferenza del fruitore non è riducibile solo ad una questione di mercato. La prospettiva culturale cambia, si diceva. Infatti, attraverso le videocamere, si torna ai loops, prodotti radicalmente diversi dai crossover, sia per contenuto che per linguaggio. Il porno di questi ultimi punta ad uno sviluppo di trama, personaggi e inserisce le scene di sesso in contesti riconoscibili (sociali, politici) e quindi più problematici. Al contrario, i video realizzati con la videocamera e in poco tempo, tornano ai loops, quindi all’inesistenza di una struttura “complessa” e dunque alla semplice fruizione pornografica del sesso per il sesso. Scene hard prive di contesto e trama. Una pornografia minimale che esaspera il suo profilo cinico e punta sempre di più a privilegiare l’occhio maschile e ridurre la donna ad oggetto, una pornografia che accentua sempre più il carattere sadico dello stesso hard217. Inventato in Giappone nel 1976, il videoregistratore domestico VHS invade il mercato italiano nella prima metà degli anni Ottanta. Nel nostro paese il pioniere delle cassette hard è Giuseppe Sbarra che racconta: «andavo ad Amburgo a comprare i soliti film in super 8, con le valigie, perché la legge non permetteva di importare materiale pornografico. Un giorno, il titolare dell’azienda di Amburgo mi chiama e mi dice che ci sono le VHS. Io capisco solo la parola VHS. Erano delle scatolette rettangolari, e ne presi tre. E lui mi disse: questo è il futuro»218. Tornato in Italia Sbarra comprende che il nuovo formato avrebbe cambiato le regole del gioco. Due mesi dopo le VHS si vendevano come il pane. Le sale a luci rosse si incamminarono sul viale del tramonto e la quiete domestica era il luogo ideale per gli spettatori. Si trattava di una vera rivoluzione. Alex Infascelli: «Andavi in camera, salutavi i genitori per la buonanotte e con molta cautela inserivi la cassetta nel video registratore, le VHS erano molto rumorose. E poi, questa cosa meravigliosa che nemmeno i nostri padri avevano: il fast forward! Il tasto avanti veloce era il tasto più consumato di tutti». L’avanzamento veloce trasforma le abitudini dei fruitori dei film pornografici e quindi anche le modalità con cui verranno prodotti di lì in avanti. La gente si abituò ad avere una pornografia ridotta esclusivamente all’atto sessuale. Il passaggio al video segna quindi l’avvento 216 Cfr. Ivi, p. 10. Cfr. Ivi, p. 11. 218 La porno invasione, Storia proibita degli anni ’80, Sky Storia. 217 80 di una nuova generazione di realizzatori. In Francia, pioniere del nuovo strumento è Marc Dorcel che viene dall’editoria e impone uno stile preciso attento alle situazioni morbose e alla lingerie. Ma è soprattutto la Germania, con un’attenta valorizzazione della serialità, a farsi strada nel video, entrando anche nei mercati stranieri (Magma, Dino’s Blue Movie, Videorama) con una produzione molto estrema219. In Italia, la fruizione casalinga del porno stimola lo sviluppo di filoni legati alla dimensione domestica delle VHS. Nasce il genere amatoriale: nessuna trama, registi tutto fare, ragazze della porta accanto che si scatenano di fronte alle nuove videocamere portatili. Tra gli specialisti del genere si distingue Marco Tangeri. Per gli appassionati dell’amatoriale, queste esibizioni caserecce danno un brivido in più rispetto ai tradizionali film pornografici. La percezione dello spettatore infatti era di assistere ad uno spettacolo reale, in cui il fruitore prende il posto della telecamera. Mario Salieri è uno tra i primi in Italia ad utilizzare il nuovo supporto, e mantenendo un’estetica cinematografica realizza una produzione seriale. Il cambiamento tocca inevitabilmente anche gli interpreti che abbandonano il ruolo di attori per diventare dei veri e propri performers. 219 Cfr. P. Adamo, Il porno di massa, p. 12. 81 Capitolo 4 Il corpo performante Se portassimo rapidamente avanti il nastro di una videocassetta porno, riusciremmo a percepire una corporeità sfuggente, dai margini indefiniti, confusa ma compatta e granitica allo stesso tempo. Avremmo davanti la rappresentazione di una corporeità informe e scomposta, caratterizzata da un disordine di carne che apparirebbe disposta in pezzi mobili e scambiabili, costituita da gambe, braccia, lingue, orifizi, dita che si intreccerebbero senza offrire la possibilità di scorgere la coerenza e la geometria della composizione integra di ciascun corpo. L’occhio non riuscirebbe a contenere questo monolito di carne che tuttavia si smembra, si apre, si avvolge cambiando forma. La scrittura del desiderio è instabile come il dispositivo che lo registra: il corpo viene estratto dalla realtà per essere inscritto sulla superficie della pellicola. Il corpo diviene segno ambivalente che attrae e repelle, compromesso, scomposto e congelato. Inoltre, anche il film pornografico è al tempo stesso corpo-immagine e corpo-oggetto, è cioè trascrizione audiovisiva di corpi sessualmente in azione e materia, ovvero corpo di celluloide che si presta ad essere manipolato fisicamente. Si parla di pupazzi quindi: tali sono i corpi di carne che si prestano ad essere manipolati fisicamente220. Questi corpi sono come dei pupi intenti al godimento, pupi che si prestano alla riproduzione e alla rappresentazione funebre dell’atto sessuale. 220 Cfr. Repetto, False autobiografie di pornostar, in Schermi (h)ardenti, p. 197. 82 Fig. 3 Moana Pozzi, foto di Bruno Oliviero, Stadio dei Marmi, Roma. 1. La vita, la morte, il feticcio L’esistenza dell’essere umano è caratterizzata da un istintivo e forte attaccamento alla vita, per cui si trova fatalmente sedotto dalla ʻmorteʼ, che genera in lui terrore e attrazione. Il legame tra vita, morte e sessualità è costituito dal ʻdesiderioʼ. Il corpo di carne, il corpo mortale di cui è dotato ogni essere umano, istituisce il mezzo attraverso cui l’uomo sperimenta la vita, la sessualità e la morte. Attraverso il corpo ognuna di queste tre categorie esistenziali è percepibile e possibile, per cui il corpo diviene facilmente simbolo prezioso e carico di significati, contenitore di sensazioni fisiche che, appunto, scatenano nell’essere umano emozioni, pulsioni, dolori, piaceri. Il corpo è quindi investito di una sorta di potere magico e atavico che in ogni individuo genera desiderio, curiosità, terrore, attrazione. Il corpo è oggetto di tali attenzioni sia nelle spoglie mortali che nel cadavere privo di vita. Si può dunque sostenere che il corpo, come oggetto del desiderio, come oggetto vivo e morto carico di poteri ancestrali, è feticcio221. L’esistenza dell’uomo, si scinde tra divieto e trasgressione, entrambe categorie cui appartiene inevitabilmente. L’uomo «ha edificato l’universo razionale, ma sussiste pur sempre in lui un fondo di violenza»222 insopprimibile che si traduce nell’eccesso, che si manifesta nella riproduzione sessuale e nella morte. In entrambe 221 «Cos’è il feticcio? Insistiamo sulle parole perché il Mondo ha un senso e una storia. I mercanti portoghesi, sulle rotte marittime che costeggiavano l’Africa del XVI secolo, venivano a contatto con quelle culture tradizionali – allora definite sbrigativamente e con disprezzo “primitive” – nei cui rituali religiosi intervenivano degli oggetti ritenuti portatori o catalizzatori di proprietà magiche. Il feitiҫo, termine coniato dai portoghesi sull’impronta di una pratica loro nota – la feitiҫaria (magia) – era un oggetto creato dalla mano dell’uomo, fatto “ad arte” che, anche in virtù di questa manipolazione trasformatrice, si caricava di una potenza misteriosa. Un oggetto capace di ammaliare, affascinare, che lega a sé con il potere della sua apparenza, letteralmente seducente. Come l’idolo dei greci, che è immagine o oggetto fittizio, il feticcio è oggetto di in-venzione quanto di con-venzioni, il suo potere deriva dalla sua sostanza quanto dalle trasformazioni materiali che ha subito per mano del sacerdote/fattucchiere che l’ha creato e, soprattutto, perché viene “usato”, cioè fatto intervenire in una pratica rituale socialmente determinata che, se da una parte gli riconosce un potere, dall’altra glielo attribuisce e glielo restituisce potenziato. Il feticcio, insomma, diventa un’entità a sé stante, sostanza reale di un immaginario che, attraverso la circolazione sociale, ritorna a nutrire lo stesso feticcio» (I. Mistretta, Bond à part, cit. p. 253). 222 G. Bataille, L’erotismo, cit., p. 62. 83 le manifestazioni di violenza, il corpo ha un ruolo fondamentale e imprescindibile. Bataille si inoltra nella ricerca dei dati del divieto relativo alla morte e alla sessualità e comincia dalla fase più antica della nostra specie, «quella in cui si decise il nostro destino»223, la preistoria. L’uomo di Neandertal lavorava ma, nel suo complesso, resta una creatura collocata nell’ambito della violenza. I divieti sulla sessualità tarderanno ad arrivare, ma quelli inerenti alla morte coincidono con le primissime tracce che l’uomo lascia di sé fin dal momento della sua comparsa sulla Terra. Il pensiero razionale è implicito nel lavoro che, quindi, costituisce una forma di limite che l’essere umano si è posto per collocarsi lontano dalla violenza: «la violenza, e la morte che ne è simbolo, hanno un duplice senso: da un lato l’orrore, legato all’attaccamento per la vita, ce ne allontana; dall’altro, siamo attratti da un aspetto solenne, e insieme terrificante, fonte di grandissimo turbamento»224. Tale ambiguità fa parte delle peculiarità del sentire umano. Normalmente, quindi, l’essere umano indietreggia di fronte alla violenza e ciò si traduce nel divieto della morte. Sin dai tempi più antichi, il corpo morto, la salma, suscita un grande interesse da parte dei vivi. La pratica del seppellimento, secondo Bataille, da una parte si instaura al fine di tutelare il cadavere dalla voracità degli animali, dall’altra al fine di preservare i vivi da un possibile ʻcontagioʼ: «la morte», infatti, «costituisce un pericolo magico»225. L’idea del contagio è legata alla decomposizione del cadavere, «in cui si scorge una potenza temibilmente aggressiva»226. Dal punto di vista biologico, infatti, la decomposizione di un corpo è uno stato di disordine che implica quindi una minaccia per chi resta. I vermi che divorano il corpo in putrefazione sono traccia visibile del disordine in atto; le ossa spolpate riportano la quiete e indicano la fine del disordine. Il divieto però non appare evidente. Bataille, citando Freud, sostiene che «il divieto si oppone al “desiderio” di toccare»227, ma è chiaro che tale desiderio è rimasto immutato fino ad oggi: 223 Ivi, p. 66. Ivi, p. 72. 225 Ivi, p. 73. 226 Ivi, p. 74. 227 Ivi, p. 75. 224 84 il tabù non previene necessariamente il desiderio: in presenza del cadavere, l’orrore è immediato, immancabile, tale che, per così dire, risulta impossibile resistergli. La violenza di cui è imbevuta la morte, induce in tentazione solo in un senso, vale a dire quando si tratta di incarnarla in noi “contro” un essere vivente, quando cioè siamo presi dal desiderio di “uccidere” 228. Per gli uomini antichi, il decesso è sempre la conseguenza di un atto violento, quindi, c’è sempre un responsabile, c’è sempre un omicidio. Per fuggire alla morte e alle forze oscure che la abitano, gli uomini reagiscono con il sentimento del proibito e la società, al suo interno, stabilisce dei divieti e dei comportamenti finalizzati alla tutela dalla violenza di tutti i componenti della società. Il lavoro ha reso la società estranea alla violenza, ma i divieti possono essere trasgrediti, perché ciò che è vietato ha in sé qualcosa di affascinante e assume un senso che non aveva, prima che il terrore ce ne allontanasse e ci attraesse allo stesso tempo: il più crudele degli assassini non può non ignorare la maledizione sospesa sul suo capo. Ciò, perché la maledizione è condizione prima della sua gloria. Neppure moltiplicando le trasgressioni si viene a capo del divieto, “quasi che il divieto stesso non fosse che il mezzo per investire di una gloriosa maledizione quel che esso respinge”. […] Il divieto generato dal terrore non ci propone soltanto di osservarlo. La contropartita non fa mai difetto229. Un divieto universale si oppone, quindi, nella nostra intimità, alla libertà istintiva della vita sessuale, ma è grazie a questo limite che il desiderio si alimenta e diventa più forte e invitante. L’uomo è, infatti, un animale che resta interdetto davanti alla morte e davanti al rapporto sessuale e tale reazione lo rende diverso dagli altri animali, che non hanno, appunto, tabù. La nudità, nella civiltà occidentale, è, secondo Bataille, oggetto di divieto. La nudità è tabù, la nudità fa parte della proibizione informe e generale che prende di mira sessualità e morte e, quindi, la violenza, che è intrinseca ad entrambe, che terrorizza e attrae al tempo stesso. Il corpo nella morte e il corpo nell’atto sessuale genera repulsione e attrazione allo stesso tempo. La decomposizione del corpo morto genera disgusto e il corpo vivo, nel momento della pratica sessuale, genera altrettanto disgusto, quando il 228 229 Ibidem. Ivi, p. 77. 85 soggetto riconduce il pensiero ai canali sessuali che «evacuano liquidi escrementizi»230. Tuttavia, secondo Bataille, il germe del desiderio nasce da questa sorta di nausea che insorge dentro di noi dinnanzi ad un corpo nudo, vivo o morto: «posso affermare che la ripugnanza, il raccapriccio, è il movente primo del mio desiderio, e che è nella misura in cui l’oggetto del desiderio stesso spalanca in me un vuoto altrettanto profondo della morte, che esso promuove questo desiderio il quale, all’inizio, è fatto del suo contrario, vale a dire di raccapriccio»231. Bataille riconosce che tale pensiero eccede la misura, in quanto è difficile riconoscere il legame tra «la promessa della vita, il senso proprio dell’erotismo e l’aspetto ridondante della morte»232, tuttavia, bisogna comprendere che la vita è integra nell’instabilità e che apre continuamente nuove porte allo squilibrio in cui precipita ininterrottamente. Ogni essere deve cedere il posto a nuovi esseri che entreranno nel vortice dell’esistenza con rinnovato impeto. La natura è, infatti, «un’orgia di energia vivente e opulenza di annientamento»233, per cui è naturale non trovare più differenze tra la morte e la sessualità. Ogni singolo essere è, dunque, inevitabilmente attraversato da un’angoscia crescente, in quanto la vita è condannata al movimento inutile e alla fatalità. L’essere umano comprende di essere uno spreco, un lusso della natura per cui si pone, assurdamente, in una posizione di rifiuto rispetto all’inevitabilità della natura. Sessualità e morte hanno il senso dello spreco illimitato, l’essere vivente, invece, è caratterizzato, incompatibilmente, dal desiderio di sopravvivere, per cui da un’avversione innata contro qualsiasi spreco. Da qui, scaturisce l’ingenua angoscia dell’essere umano che lo conduce al lusso di un goduto supplizio. Infatti, la natura esige che gli esseri da essa prodotti partecipino all’orgia di distruzione che la caratterizza e che nulla può fermare. Ma l’essere umano, sostiene Bataille, rispose “no” al comando della natura e si allontanò dalla violenza che essa impone. L’uomo, però, si illuse e si illude: «[…] ha creduto possibile contrapporsi alla natura, levandole contro, generalmente, il rifiuto del divieto. Limitando in se stesso l’impulso della violenza, si è illuso in pari tempo anche nel mondo esterno, reale»234. L’uomo si accorse ben presto che la barriera che aveva creato per opporsi alla 230 Ivi, p. 91. Ivi, p. 93. 232 Ibidem. 233 Ivi, p. 97. 234 Ivi, p. 107. 231 86 violenza non costituiva un reale ostacolo agli impulsi naturali che traboccavano dentro di lui; al contrario, rappresentava una compressione cui seguiva inevitabilmente un’esplosione. L’uomo così uccideva e non moderava la propria esuberanza sessuale. Si descrivono in tal modo i termini della ʻtrasgressioneʼ che «non è la negazione del divieto, bensì il superamento e il completamento»235. 2. Bambole di carne Il corpo, nelle rappresentazioni surrealiste di Hans Bellmer, sia nelle sculture che nei disegni, si mostra come corpo pornografico e deforme: è un corpo attraversato dal desiderio e, dunque, mosso, violentato e smembrato da questo. Il corpo che Bellmer rappresenta è un corpo mostruoso che, a prima vista, difficilmente potrebbe essere associato a un qualsiasi corpo vivo di una pornostar. Si prende come riferimento il corpo femminile per comodità, in quanto oggetto di osservazione e manipolazione per Bellmer e oggetto di desiderio comune nella rappresentazione pornografica, ma ciò non esclude il corpo maschile, anzi, tutto il contrario. Quando si fa riferimento al corpo umano, al corpo sessuato, al corpo sensuale, si pensa più facilmente a quello femminile, ma il corpo di cui si parla è caratterizzato da orifizi, desiderio, secrezioni, muscoli che, oltre alla singolarità del sesso, sono comuni sia al corpo femminile che a quello maschile e, in tale sede, comunque, non si vuole evidenziare o differenziare i due sessi. Dunque, il corpo di una pornostar, di norma, corrisponde ai canoni obiettivanti di bellezza e armonia dell’anatomia classica. Il corpo che Bellmer crea, ha una corporeità alternativa che a prima vista smantella tali canoni, ma, allo stesso tempo, lascia immaginare un’intenzione, alla base della sua investigazione, che sottende l’anatomia classica. Bellmer disseziona il corpo per cercarne i centri pulsionali, i punti nevralgici che sprigionano e irradiano il desiderio. Bellmer vìola il corpo per svelarne il funzionamento. Cosa c’è di più pornografico? 235 Ivi, p. 100. 87 Fig. 4 H. Bellmer, scomposizione di un corpo femminile, Anatomia dell’immagine. Attraverso l’esposizione brutale della carne, Bellmer porta alla luce la caratteristica più intima dell’essere umano: la sessualità come fondamento occulto dell’esistenza. I corpi di Bellmer, attraversati, squarciati, scomposti dalle logiche irrazionali del desiderio, sono corpi oggetto, che trovano senso solo in un’ottica funzionale all’uso sessuale che ne espone, secondo i suoi singolari criteri, i centri di eccitazione principali. Quello che accade alle bambole di Bellmer è perfettamente complementare a quello che accade ai corpi nudi impressionati su un supporto video e impegnati in attività sessuali. La bellezza classica delle forme, la sensualità dell’anatomia armoniosa, non caratterizzano il corpo che Bellmer rappresenta. Tuttavia, Bellmer non nega la forma, bensì la deforma secondo le direttive del desiderio. Il corpo subisce una manipolazione e una violazione che lo aprono per riproporlo come un contenitore capace di incorporare l’immaginario. L’integrità della forma è piegata al servizio di un’anatomia del corpo soggettiva, come prodotto di un’esuberanza del desiderio236. Al servizio della rappresentazione pornografica ci sono innumerevoli corpi senza volto, che si prestano alla manipolazione soggettiva (fig. 4) di ciascun fruitore, esasperando, spegnendo e rigenerando ripetutamente il desiderio. Nella vetrina virtuale di deliziose bambole di carne possono avere una collocazione, come esempi generici, alcune pornostar che hanno offerto il proprio corpo al consumo arbitrario. Marina Frajese, Ilona Staller, Angelica Bella, Brigitte 236 Cfr. O. Fatica, Introduzione in Anatomia dell’immagine, p. V. 88 Lahaie, Annette Haven, Nina Hartley, Traci Lords, Kristara Barrington, Desiree Cousteau, Karin Schubert, Amber Lynn, Ginger Lynn, Olinka Hardiman, Lisa De Leeuw, Shauna Grant, Taija Rae, Tori Welles, Bunny Bleu, Mai Lin, Miss Pomodoro, Savannah, Constance Money, Karin Gambier, Eva Orlowsky, Zara Whites, Lilli Carati, Barbarella e tantissime altre tra gli anni Settanta e Novanta, senza contare i nomi di oggi, sono i corpi che affollano le immagini in movimento prodotte dall’industria pornografica. Ognuna di loro è bambola di carne a suo modo, per gli amatori alcune si caratterizzano in modo peculiare e irripetibile, ma sostanzialmente, malgrado la singolarità di ognuna, restano pupi percorsi a comando da scariche di eccitazione, che ritmano le performances sessuali. Nessuna di queste bambole di carne interpreta consapevolmente se stessa come pezzo di carne, nessuna si presta meccanicamente alla manipolazione con cognizione di causa. Tutte offrono un corpo anatomicamente attraente, un corpo carico di energia erotica, un corpo predisposto a compiacere le possibili fantasie del fruitore. C’è solo un corpo che sente di essere carne da consumo quando vuole esserlo, un corpo che conosce il meccanismo di scomposizione e violazione a cui si sottopone. C’è una sola bambola che sa com’è il desiderare e l’esser desiderata nel luogo in cui il desiderio (non) si vede: Moana. Si parlerà di Moana come corpo performante, pensante e soggiogato non prima di aver chiarito il concetto di bambola di carne. Bataille sostiene che l’erotismo è l’approvazione della vita fin dentro la morte e stimola il desiderio rimandando sempre ad altro; Baudrillard sostiene che la pornografia esaspera l’anatomia del reale frammentandolo in segmenti iperreali, decontestualizzati e feticizzati237. Il fulcro del desiderio che la bambola di Bellmer scatena si trova tra questi due concetti. Nel 1933, Bellmer, iniziò a Berlino l’assemblaggio della fanciulla artificiale che sarebbe stata in grado di inventare i desideri. La bambola era alta circa un metro e quaranta e si ispirava all’Eva Futura, l’automa femminile dell’omonimo romanzo del 1886 di Villiers de l’Isle-Adam (che fu il primo ad usare in un romanzo il termine di ʻandroideʼ), alle figurine di legno della scuola di Durer e ad Olympia, la figlia artificiale del dottor Spallanzani nei Contes d’Hoffmann. La bambola di Bellmer era dotata di un dispositivo, chiamato ʻpanoramaʼ, che permetteva di vedere gli organi interni e i movimenti meccanici della poupée. 237 Cfr. J. Baudrillard, Della seduzione, p. 73. 89 Fig. 5 La poupée di Hans Bellmer. La bambola creata da Bellmer è costituita da pezzi plastici manipolabili. Si tratta di un corpo femminile che non corrisponde ad alcuna categoria iconica e sociale di donna. È un corpo artificiale che si pone, apparentemente, in contrasto con l’anatomia classica ma, al tempo stesso, impone una propria singolare e morbosa sensualità. La bambola appartiene al mondo inanimato ma, messa in scena da Bellmer, fa il suo ingresso anche nel mondo animato come giocattolo o feticcio, perché mette in moto un meccanismo di interazione con i suoi organi interni, i pezzi di cui fa parte, che implica una manipolazione della poupée da parte del fruitore. Dalla manipolazione si passa facilmente allo stimolo sessuale, per cui la bambola di 90 Bellmer ha molti elementi in comune con le bambole di carne del mondo del cinema pornografico. 3. Moana, il corpo performante Il corpo di Moana rompe il meccanismo frammentario e discontinuo cui i corpi pornografici sono sottoposti. Lei non è la poupée. Il suo corpo è integro, monolitico, bianco e accogliente. Il corpo di Moana non conosce strappi né scomposizioni, è un corpo che assorbe e trattiene freddamente il sistema da cui è soggiogato. Moana, nella rappresentazione pornografica, desessualizza il proprio corpo, ponendosi oltre il principio di piacere, disinnescando la soddisfazione della libido per risessualizzarlo in un’altra dimensione, quella dello spettacolo dal vivo, dello spettacolo televisivo, della vita reale, nella dimensione in cui il suo corpo non è nudo né attivo nella pratica sessuale primitiva e vitale. Moana attraverso il suo corpo crea quindi un paradosso: statuario, candido, ideale eppure privo di attrattiva erotica se immortalato nel dispositivo filmico che la riduce a corpo pornografico; florido, sensuale, infuocato se vissuto dentro gli abiti che Moana indossa. Moana è energia fredda. Moana è feticcio, rappresentazione di un significante primordiale proiettato nella realtà del mondo culturale. Secondo M. Mauss, l’oggetto impiegato come feticcio non è mai un oggetto qualsiasi: esso non viene scelto arbitrariamente, ma la sua specifica funzione simbolica è definita dal codice magico o religioso di cui fa parte. L’oggetto-feticcio non ha nulla di paradossale e di straordinario in sé, purché lo si riconduca al contesto sociale e simbolico all’interno del quale assume un proprio senso e una propria funzione238. Il contesto sociale in cui si colloca Moana è quello dell’Italia degli anni ’80, un’Italia caratterizzata da una specifica condizione politica e da una pornografia che irrompe in televisione, inquinando tutti i livelli di medialità e compromettendo la visione 238 M. Mauss, Oeuvres, Représentations collectives et diversité des civilizations, trad. it. Di E. Comba, S. Resnik, in Treccani 1999, cit. p. 195. 91 dello spettatore che si abbandona a un’iperrealtà sempre più invadente e al tempo stesso seducente nel suo essere perversa: Il fascino di questo girone squallido e “minore” del cinema […] sta nella sua capacità, partendo proprio da un grado zero, di moltiplicare e invertire la propria immagine contaminando i modelli “alti” e ammessi di spettacolo e di (mezzi di) comunicazione (posto che vi sia ancora una differenza tra i due termini, del che infine dubitiamo). […] Soprattutto in quell’ultima scena dei linguaggi, insieme mediocre e sconfinata (sconfinata anche per la selvaggia e più che decennale assenza di regole), che è la televisione. […]È clamoroso che il divismo di settore (da Cicciolina a Moana – ma anche oggi a un Rocco Siffredi che includendo Elio e Le Storie Tese nel suo ultimo film include anche il Festival di Sanremo, tocca in qualche modo il momento più alto e vuoto della religiosità dell’ascolto tv di massa) sia divenuto quasi più uno schermo globale che la deriva di alcuni soggetti attraverso le stanze mediatiche nessuna esclusa (il Parlamento…). E colpisce non tanto la contiguità di facce corpi soggetti discorsi nei salotti tv (anche se è difficile non continuare a vedere o immaginare nella flagranza della dell’azione una pornodiva che dibatte civile a un Maurizio Costanzo Show, con effetto curiosamente perverso sulla meccanica mentale della visione), quanto l’inevitabile puro buon senso di tali presenze e discorsi, come se l’occhio strappato dello scandalo pendesse placido permettendo una serena visione monoculare a “tutti”. La nudità del gesto hard, che non svela il corpo, non lo esibisce ma lo occulta nel trionfo del dettaglio e nello smontaggio in organi, si converte rapidamente in discorso, si riveste di altre retoriche, si racconta come normalità e umanità della trasgressione. Così la pornografia si fa “cultura”, esige serietà, filologia, rispetto, rivendica una funzione sociale. L’unica nudità che ameremmo rivendicasse, quella della libertà, è quasi del tutto schermata dal costante patteggiamento “democratico” con tutte le forme di potere economico-poilitico239. L’immagine di una splendida donna elegante e composta in pubblico, disinibita in privato, rappresenta quindi la moglie ideale di milioni di telespettatori italiani. Oggi il mondo intorno è certamente cambiato e ha costretto la società italiana ad adeguarsi, ma l’essenza profonda del Paese è rimasta la stessa. Infatti, si ritrova, generalmente, lo stesso provincialismo, la stessa limitatezza di orizzonti, la stessa ottocentesca cultura dei salotti, lo stesso livello culturale diffuso molto basso, il che porta grandi fasce della popolazione ad eccitarsi per personaggi stravaganti perché fanno del “rumore”. Moana, tuttavia, è molto di più di quello che è stata per gli spettatori medi italiani. Moana personifica una divinità, non solo dopo la morte che l’ha resa feticcio di massa, bensì anche e soprattutto in vita: 239 E. Ghezzi, Senz’altro (il re è vestito), cit. p. 5. 92 In numerose culture anche gli spiriti, le forze invisibili, gli dei, sono concepiti come aventi un corpo, un supporto materiale che acquista un valore simbolico specifico e costituisce una presenza enigmatica, ineludibile. Un’analisi in termini meramente simbolici, la ricostruzione della trama di significati all’interno della quale l’oggetto sacro dev’essere inserito, rischiano di mettere indebitamente in ombra la dimensione oggettuale, materiale, dell’universo culturale in cui l’immagine, il feticcio, il ʻdiooggettoʼ, possono avere rilevanza 240. La materialità del feticcio definisce l’artificialità dell’oggetto desiderato e divinizzato che, proprio per la sua essenza ambigua e peculiare, ha grande valore: è un oggetto sacro e manipolabile al tempo stesso, animato e inanimato, pieno quindi del fascino di cui sono costituite, fisiologicamente, la vita e la morte. Il feticcio risponde alle sovrastrutture culturali necessarie alla stimolazione dell’eccitazione istintiva e del piacere animale, elementi irriducibili che si ritrovano anche in Bataille. L’oggetto cultuale rappresenta in forma concreta, visibile, palpabile, qualcosa di immateriale e inattingibile: in ciò sta probabilmente l’enigma, il paradosso del feticcio. Oggetto fabbricato, costruito o per lo meno scelto, separato a opera dell’uomo, esso diviene qualcosa di indipendente dalla volontà del suo produttore: dispone di un potere, di una forza, di una vitalità specifici. È al tempo stesso un oggetto dalle proprietà particolari e qualcosa di indecifrabile e di potente che va oltre l’oggetto; dimostra la capacità umana di produrre il proprio mondo culturale, le proprie immagini di culto, i propri dei, ma insieme ne rivela anche i limiti, perché ciò che è fatto dall’uomo può assumere un’autonomia propria; gli oggetti possono acquisire qualità analoghe a quelle degli esseri viventi e rimandare, per ciò stesso, a una dimensione che si pone al di là delle possibilità umane di controllo e di manipolabilità 241. Moana incarna l’immagine animata e inanimata del desiderio freddo e artificiale, Moana è bambola consapevole e divertita. La rappresentazione del corpo di Moana colloca la sua persona e il suo personaggio in un’estetica che trascende e completa la pornografia, dove volto, immagine, corpo, persona e personaggio coincidono celebrando il desiderio. Moana, nella vita, assume un’identità la cui rappresentazione è determinata da regole di comportamento ben precise, per uno spettacolo sempre uguale a se stesso che, tuttavia, mai la costringe nei limiti del suo personaggio, perché la persona coincide con il personaggio. Moana non avrebbe potuto essere 240 241 M. Augé, Le dieu objet, trad. it. di E. Comba, S. Resnik, in Treccani, 1999, cit. p. 89. Ibidem. 93 Moana senza la singolare coincidenza d’identità tra persona e personaggio che la definisce per mezzo del proprio corpo. Moana è concentrata sull’immagine di sé come veicolo del proprio successo, è ossessionata dalla perfezione del suo corpo, che vuole impeccabile e scintillante come gli abiti che indossa, latteo e statuario, abbacinante come una statua di marmo. Moana Pozzi recita una parte ed è la parte che recita. La rappresentazione che dà di sé è il sigillo della sua identità e la garanzia del suo successo. L’identità di Moana non coincide con l’essere pornostar e bambola di carne, l’identità di Moana è veicolata da quello che il suo corpo ʻperformaʼ, piegando alla sua volontà il dispositivo della rappresentazione e, al contempo, soccombendo al funzionamento meccanico e inesorabile di quest’ultimo. L’enorme fama che ha accompagnato la diva negli anni Ottanta è legata alla fascinazione del pubblico italiano per un personaggio particolare che faceva parlare moltissimo di sé, che faceva “i film sporchi” e contemporaneamente apparizioni in televisione che la mostravano come persona viva, pensante, informata, elegante, intelligente. La dicotomia tra pezzo di carne nudo e donna rispettabile creava uno smottamento destabilizzante nel fruitore di televisione e di film pornografici tale che Moana è passata alla storia come pornostar dotata di strepitosa bravura e donna fornita di rara cultura. Moana conosceva bene il grado di superamento e completamento del divieto che diviene, appunto, trasgressione. Moana ha giocato con ciò che è lecito e ciò che è proibito nel canonico immaginario del desiderio, per innalzare la sua immagine e il suo corpo nell’Olimpo dell’eternità, diventando un’icona, una diva, la donna desiderabile per definizione. Eppure è diva peculiare, diversa da qualsiasi altra. Se tutti coloro che conoscono per fama Moana Pozzi avessero guardato un solo film pornografico in cui lei interpreta se stessa, armata solo del suo corpo nudo, si accorgerebbero facilmente che il trasporto, la dedizione, la bravura e l’entusiasmo delle sue performance sessuali non esistono. Moana è rigida, quasi impacciata, algida, distaccata e per nulla infuocata. Salieri, noto regista di film a luci rosse e non solo lui, sosteneva che Moana, appunto, non fosse proprio portata per il lavoro che faceva242. Il suo corpo si limita a mettere in pratica l’irriducibile atto sessuale che caratterizza la rappresentazione pornografica, a scomporsi e smontarsi con altri corpi, ma non concede nulla di più, si limita ad essere quel che il corpo deve essere in tale 242 Cfr. A. Di Quarto, M. Giordani, Moana e le altre, vent’anni di cinema porno in Italia, p. 91. 94 contesto e rimane per questo immagine unica, immortale e morta; in un meccanismo di morte lei riesce a dileguarsi restando in vita come corpo intatto e integro: «è morta e sta per morire»243, scriveva Barthes. L’ambiguità del suo corpo vestito, la sensualità del suo trucco perfetto, la sobrietà delle movenze del suo corpo slanciato e composto generano un subbuglio di eccitazione che è emozione, bellezza, puro desiderio. L’effetto devastante del corpo bramato coperto da abiti provocanti non sarebbe tale se Moana non l’avesse prima consegnato al cinema hard. Moana riesce a fare del suo personaggio pura magia, Moana è la corporeità che diventa mito mentre le altre pornostar, sono bambole di carne (non si intende dare alcuna accezione negativa a questa constatazione): «i corpi delle pornostar sono esposti per statuto, senza quell’esposizione nuda all’altro non esisterebbero»244. Ci si trova precisamente innanzi all’hic et nunc, a corpi unici esaltati dall’inconsistenza del momento: le pornostar esaltano in sé “l’altruismo dell’unicità”. […] Paladine, col proprio corpo, di un nomadismo che sfugge alle certezze e alle rassicuranti categorie universali. Ma soprattutto intestatarie di un corpo che sfugge all’individualismo, ribellandosi ai canoni postmoderni della solitudine necessaria. Assumono in sé il bisogno di com-parire. E al tempo stesso soddisfano una mancanza. Grazie alla propria nudità esibita riportano alla ribalta l’altro245. Moana si scosta totalmente da una simile descrizione. Moana non sfugge, soprattutto, all’individualismo, anzi, pone la sua persona e il suo corpo in una dimensione unica e precisa in cui Moana interpreta Moana, Moana rappresenta Moana, in ogni contesto. Spezza la circolarità indeterminata dello sguardo desiderante del fruitore. La diva dalle morbide curve e dalla pelle opalescente «non si espone a noi e dunque non ci permette di esporci attraverso di lei. Ci rinchiude in sé condannandoci all’impotenza»246. L’universo di Moana è costituito da una pienezza gelida e, comunque, seducente perché ambigua. Moana cura il proprio corpo con ossessiva attenzione, la sua vita ruota intorno ad esso, sia perché è semplicemente il suo strumento di lavoro, ma anche perché costituisce l’essenza di Moana: «negli anni, il 243 R. Barthes, La camera chiara, cit., p. 119. M. Repetto, False autobiografie di pornostar, in Schermi (h)ardenti, cit. p. 197. 245 Ibidem. 246 F. Bea, La bambola. Un’anatomia femminile del porno italiano, in Schermi (h)ardenti, cit. p. 167. 244 95 suo corpo cambia, basta vederla nei suoi primi film soft, col naso più spiccato, il fisico più magro. Nella sua massima esplosione, Moana mette in scena il suo grande corpo bianco che riempie […] ogni tipo di schermo»247. Moana, infatti, trionfa bianca e nuda anche in televisione, in una puntata dell’Araba Fenice che fu poi censurata. La diva si “viviseziona” per offrire l’immagine di sé che deve rappresentarla in ogni momento della vita e della messa in scena: anche la bianchezza lattea del suo corpo, che Moana protegge dal sole da quando aveva quindici anni, funziona per la cattura della luce e la messa in scena schermica. Esattamente come tratta il suo funzionamento razionale, la Moana che parla, costruisce e mantiene alla perfezione la Moana che si vede. Del resto, sono la stessa cosa. come se fosse un cartoon, Moana è logicamente una Jessica Rabbit, un cartoon disegnata per il piacere degli uomini, sebbene funzioni perfettamente anche sulle donne 248. Se il corpo dell’artista è ossessionato dall’obbligo di esibirsi per essere capace di essere, allora Moana è quello che sostiene di essere: un’artista: «recitare nel cinema», sostiene Moana, «di per sé non mi interessa, l’unico ruolo che sono disposta ad interpretare è il mio: essere Moana in tante situazioni diverse, senza mai dovermi allontanare da me stessa»249. Secondo Vergine, alla base della body art si trova la necessità inappagata di un «amore primario»250 che non è corrisposto, per cui si spiegherebbe l’aggressività di numerose performances; Moana apparentemente non manifesta aggressività, non deturpa né danneggia il proprio corpo, tuttavia, il lavoro che lei fa riempie tutta una vita e comporta un impegno fisico estremo. Il suo corpo diventa un linguaggio, che si inscrive nella rappresentazione e nella vita, esattamente come la pornografia. Moana si inscrive sulla pornografia: «il corpo diventa un gesto, corpo espressivo, a volte un corpo attivista, o un corpo feticcio»251. L’essere feticcio fa parte della perpetua performance cui Moana si sottopone per scelta obbligata, per scelta d’artista. Incarnando perfettamente la filosofia batailliana Moana dichiara: «non sopporto nessuna cosa che possa intaccare il fisico, ho orrore del deterioramento fisico. Bisognerebbe fermare il tempo oppure fare il famoso patto 247 M. Giusti, Moana, cit., p. 44. Ibidem. 249 M. Giusti, Moana, cit., p. 14. 250 L. Vergine, Il corpo come linguaggio, Body art e storie simili, Skira, Milano 2000, p. 7. 251 V. Cuomo, A. Maccariello (a cura di), Corpi, Kainòs Edizioni, Lecce 2012, p. 145. 248 96 col Diavolo di Dorian Grey, io francamente la darei la mia anima al diavolo»252. Potrebbe aver davvero dato la sua anima al diavolo, in quanto, fatalmente, la sua morte fa assolutamente parte della performance estrema di Moana che si consacra così come icona immortale, Dea del desiderio, feticcio sessuale, donna ideale. Morire in un corpo intatto, giovane e opalescente per continuare ad essere, ripetutamente, indefinitamente, Moana. Nel gesto, nell’azione, il soggetto non smette mai di essere messo in atto. Moana usa il proprio corpo come pratica della sessualità, del desiderio, della bellezza: le sperimentazioni radicali del corpo individuano la possibilità di utilizzare un nuovo linguaggio all’interno del quale si indagano l’azione, il gesto, i comportamenti, la sessualità, le emozioni che diventano i nuovi materiali dell’arte. L’opera d’arte si situa al livello dell’atto e del tempo reale ed il corpo emerge come luogo dove il pubblico dominio incontra il privato, dove il sociale è negoziato 253. Moana si è costruita secondo il gusto maschile, in base all’idea che i maschi hanno del sesso. Il suo corpo è, infatti, funzionale al desiderio carico di sovrastrutture culturali e sociali contingenti, al desiderio umano, non animale, quindi, a un desiderio ben definito e complesso, maschile e convenzionale. La pornodiva è, infatti, consapevole del fatto che il corpo non è esclusivamente un elemento naturale, ma anche costrutto sociale modellato dalla forza dell’immaginario e, quindi, pieno di valenze simboliche. Lei sa di essere (e avere) un corpo che, incantando, alimenta il desiderio consumistico. Tuttavia, l’immagine di Moana non è, per esempio, paragonabile all’immagine di Marylin riprodotta serialmente da Andy Warhol; all’icona di Marylin quest’ultimo, infatti, «affida la valenza simbolica di un volto/senza volto come fungibilità totale delle esistenze e come conseguente perdita di identità dei soggetti nella moltitudine omologante dei bisogni e dei consumi»254. Moana, al contrario, è assolutamente riconoscibile e identificabile persino nella rappresentazione che per definizione si replica e annulla il volto. Il feticcio si presta al consumo ma nello stesso tempo sfugge restando intatto e Moana incarna 252 M. Giusti, Moana, cit. p. 45. V. Cuomo, A. Maccariello (a cura di), Corpi, cit. p. 145. 254 Ivi, p. 92. 253 97 perfettamente questo simbolo. Moana si limita a portare se stessa da un mondo all’altro, dalla televisione all’hard, dalla vita privata alle performances dal vivo. In questo modo, è lei stessa che contamina i suoi mondi, «che porta il peso delle sue serate nel salotto tv e viceversa. Con qualche slabbramento tra un mondo e l’altro. Lo sa perfettamente. Lo sa perché quello è il suo lavoro. E il suo lavoro è la sua vita»255. Tale dicotomia, gestita con razionalità dalla diva, ha reso Moana icona del desiderio inconfondibile e irripetibile. Moana è in grado di «destabilizzare configurazioni già codificate»256, di mettere in crisi consuetudini convenzionali, muovendosi con disinvoltura proprio nella consuetudine, in un divenire continuo e straordinario. Favero risale alle tracce storiche delle pratiche artistiche che hanno posto il corpo al centro della produzione e della fruizione di arte. L’autrice sostiene che le prime azioni che spostano l’attenzione sulla fisicità risalgono all’inizio del Novecento: a Monaco, Frank Wedekind, drammaturgo attivista e sovversivo, orina e si masturba sulla scena; nel 1909, a Vienna, Oskar Kokoschka ricorre a flussi di sangue durante la rappresentazione del suo dramma […]; Marcel Duchamp, nel 1919, si fa fotografare da Man Ray dopo essersi rasato (Tonsure) e, nel 1920, vestendo abiti da donna, crea il suo alter ego femminile: Rose Sélavy257. Tuttavia, il corpo assume le potenzialità di un nuovo linguaggio solo nella seconda metà del secolo, dopo gli eventi traumatici del Novecento (come la Seconda guerra mondiale e l’Olocausto), i quali, sono messi in relazione alla nuova importanza che il corpo assume nell’arte. Il corpo assume le potenzialità di un medium che l’artista sperimenta e mette in pratica: «nuova pratica significante, il corpo sarà in grado di produrre processi di significazione inediti nel campo delle arti visive»258. Secondo Favero, il collegamento agli eventi storici traumatici si spiega nella necessità dell’essere umano di elaborare un immaginario a partire da tali esperienze e riaffermare la propria soggettività e collocarsi nella consapevolezza della propria fragilità. Da qui, la sperimentazione sul proprio corpo si lega alla possibilità di 255 M. Giusti, Moana, cit. p. 67. V. Cuomo, A. Maccariello (a cura di), Corpi, cit. p. 156. 257 Ivi, p. 142. 258 Ibidem. 256 98 sentire, conoscere e riconoscere «sopra e attraverso la carne, esperire dunque i limiti corporei di un sé che è essere umano»259. La performanticità di Moana si può collocare peculiarmente e idealmente a cavallo tra due momenti importanti nella storia del corpo. Da una parte, nella ricerca estrema della possibilità conoscitiva dell’essere degli artisti della body art negli anni Settanta, dall’altra si può inserire nell’iconografia sacra che caratterizza il corpo contemporaneo dei sexy-symbol. Gli artisti della body degli anni Settanta, infatti, affrontano la morte attraverso la vita nelle loro performances: Sbloccando le forze produttive dell’inconscio, si scatenano, in una drammatizzazione isterica, conflitti fra desiderio e difesa, tra licenza e divieto, tra pulsione di vita e pulsione di morte, tra voyeurismo ed esibizionismo, tra flussi sadici e piacere masochistico, tra fantasia nichilista e tendenza liberatoria260. La body art di quegli anni assorbe il corpo come forma di espressione rappresentativa e si avvale dell’ausilio di mezzi di riproduzione (fotografia, video, film) per documentare l’azione performante. La performance rappresenta l’affermazione del soggetto e l’annientamento dell’oggetto. Il corpo dell’artista trionfa in un’autorappresentazione che scardina tutte le forze pulsionali dell’io. Dall’altra parte il corpo performante di Moana coincide anche con un corpo contemporaneo che alla sofferenza delle origini ha sostituito un piacere illusionista. Infatti, il corpo, oggi, si fonde in un’unica sfera sensoriale che cattura i sensi della collettività e li aggroviglia in uno scenario condiviso e spettacolare: «il soliloquio performativo è sempre più silenzioso. […] La fisicizzazione ha reso centrale un corpo che è divenuto ieratico nel suo sculpting process e lo ha reso così ammaliato da se stesso da elevarsi a iconico»261. Il corpo contemporaneo può accostarsi al corpo di Moana in quanto ardimentoso e volitivo. Si tratta di un corpo che performa secondo un progetto specifico cui si sottopone l’artista attraverso un training rigoroso. Infatti, il corpo contemporaneo, come il corpo di Moana, è 259 Ibidem. T. Macrì, Il corpo postorganico, Costa & Nolan Edizioni, Milano 2006, p. 24. 261 Ivi, p. 75. 260 99 un corpo-guaina, narcisistico e schermico, che si ripara dal caos dell’esistente attraverso la sua mirata e agognata perfezione. È un corpo che non si auto sublima nella schizopatia, che non si soggioga alle asperità dell’universo. È esso stesso universo simbolico e contrattacca gli altri universi paralleli con la sua psichicità alterata. È metafora dell’eccesso esistenziale: eccesso di immagini, di informazioni, di input, di imposizioni subliminali, di catastrofi epocali, eccesso di convenzioni, eccesso di conflitti […]. È un corpo chimerico e quindi in continuo abbandono alla libido262. Moana è collocabile in questi due aspetti totalmente diversi della corporeità nel corso della storia, in quanto, come sostiene Orlan, performer francese, non è il tempo ad attraversare il corpo ma il contrario. Questa dicotomia, infatti, è intrinseca al personaggio di Moana che incarna le fattezze immacolate di un corpo che si può immaginare vuoto e perfetto come un cartoon, come il corpo senza organi che sognava Antonin Artaud e, allo stesso tempo, corpo del sacrificio, corpo che si castiga nell’esibizione estrema dell’hard. Fig. 6 Moana Pozzi nel celebre abito rosso a paillettes che accosta la sua figura a quella del personaggio cartoon Jessica Rabbit. 262 Ibidem. 100 Moana appare nel cinema degli anni Ottanta in piccoli ruoli di bionda provocante. Si tratta di commedie di serie A e B che, ovviamente, detesta; più avanti appare anche in Dagobert di Dino Risi e Ginger e Fred di Federico Fellini. Tuttavia, sono ruoli che avrebbe potuto interpretare qualsiasi altra e Moana non ha tempo da perdere, così passa al porno. Moana Pozzi è la prima presentatrice a luci rosse della Rai, infatti, ogni sabato, su Rai Due, conduce Tip Tap Club. Qualcuno la riconosceva nei dieci secondi di Borotalco, in cui la sua bellezza nuda riempie lo schermo, ma tutto cambia quando appare, sotto lo pseudonimo di Linda Hevert, nel film a luci rosse Valentina, ragazza in calore di Jonas Rainer. Moana è una giovane disinibita e spontanea, sinceramente a suo agio nello spazio scenico e nell’esibizione del suo corpo nudo. Marco Lamberti scrive, su Il giorno (1982) un resoconto della prima del film a Ovada, paese di villeggiatura della famiglia Pozzi. Fu un vero scandalo perché tutti la riconobbero. Successivamente, Moana passa alla ʻscuderiaʼ di Riccardo Schicchi, iniziando a lavorare a una serie di fotoromanzi fotografati da Schicchi (Il mostro, Dyane, Il pappone, Il castello, Lo sfasciacarrozze, Il binocolo, I pompieri) e a qualche video destinato al mercato delle vhs. Lo scintillante esordio nel mondo dell’hard sarà con Fantastica Moana diretto da Schicchi, dove appare evidente, fin dal titolo, l’intenzione che sta all’origine: Moana interpreta Moana e questo avvento sensazionalistico stabilisce la fama a cui è destinata: «non mi posso definire una vera attrice», sostiene lei stessa, «perché amo interpretare quasi esclusivamente me stessa»263. A Fantastica Moana segue Moana, la bella di giorno. Fino alla sua morte Moana si dividerà tra soft, in cui è protagonista, e hard dove interpreterà sempre se stessa, Moana. Come scrive Giusti, non ci sono capolavori, a parte qualche produzione più “alta” come Provocazione di Vivarelli, Ecstasy di Ronchi e Amami di Colella. L’elemento più interessante «è che Moana, sia nel mondo del soft sia in quello dell’hard, è sempre Moana»264. Non potrebbe essere altrimenti, infatti. Il fatto che i film in cui è presente siano più o meno mediocri è irrilevante, il fatto che lei sia una pessima performer hard nei film a luci rosse è, al contrario, determinante. Moana, come si è già scritto, non rientra nei parametri generali per cui una pornostar è giudicata brava. Non geme febbrilmente in preda ad un godimento irrefrenabile, 263 264 M. Giusti, Moana, cit., p. 83. Ibidem. 101 non si scioglie in contorsioni di piacere involontarie, non si lascia fare e disfare il trucco, i biondi capelli, il volto. Moana resta algida e integra, piena solo di sé. I film con Schicchi sono divisibili in due periodi, secondo Giusti: il primo è quello di Reali, dei suoi primi film di successo; il secondo quello prodotto dalla Jolly Film di Palermo. Sotto questa seconda fase esce il film con Ilona Staller, Cicciolina e Moana ai Mondiali. Successivamente la Jolly porta Moana in America, a girare film con Gerard Damiano, fra gli altri. Seguono poi le produzioni di Nicolino Matera, specialista di porno all’ingrosso; pian piano, però, i film perdono sempre più qualità, fino ad arrivare «a una serie di video hard che vedono Moana, forse già ammalata, chiusa in una stanza, che gira una scena dopo l’altra. Decine di film senza trama che la vedono macchina di sesso senza senso. Film che, sembra, non sono neanche tutti usciti»265. Ci si trova di fronte alla performance dell’eccesso, della morte, dell’orrore e della bellezza che fino alla fine segue un filo di coerenza mistico e sublime. Moana offre il suo corpo in un rituale del sacrificio della carne estremo e ineffabile: «quando lavoro non provo niente. Il lavoro è il lavoro, non mi importa con chi, né come»266. La carriera televisiva di Moana conosce un’ascesa simile: inizialmente, infatti, era una valletta raccomandata, scrive Giusti, una biondina qualsiasi. Partecipa, così, a Sereno variabile, Tip Tap Club. Lo scandalo arriva quando Moana è già Moana e presenta su Rai Tre, con Fabio Fazio, Jeans 2. La Federcasalinghe protesta e Moana è costretta ad andar via, ricavando, tuttavia, molta pubblicità. Qualche mese dopo, in Matrjioska di Antonio Ricci, è Moana la pornodiva ed è totalmente nuda. 265 266 Ibidem. Ivi, p. 90. 102 Fig. 7 Moana Pozzi totalmente nuda e Mazouz M’Barek in L’Araba Fenice, programma televisivo del 1988. La conduzione del programma era stata affidata a M’Barek, marocchino immigrato totalmente inesperto nel suo ruolo e preso a caso per le strade cittadine, perché A. Ricci, regista, intendeva provocare il pubblico italiano che in quegli anni non sopportava il fenomeno dell’immigrazione. La trasmissione venne censurata da Silvio Berlusconi (non per il nudo di Moana), per riprendere poco dopo con un nuovo titolo L’araba fenice; Moana si trova sempre lì, a volte nuda, a volte coperta solo da cellophane. Successivamente si trova nel ruolo di opinionista in vari programmi di cultura e news, portando con sé anche il ruolo di regina dell’hard: «non sono neanche capace di fare televisione, credo. Mi piace essere il personaggio che sono. Ogni tanto comparire, poi scomparire»267, così dichiara la diva. Secondo Moana la quotidianità banalizza le persone. Il suo personaggio nasce e cresce attraverso gli scandali. L’Italia di quegli anni è fertile per questo tipo di operazioni mediatiche e Moana gioca bene la sua trasgressione nella politica e nella società italiane che solo non sono pronte per lei e non saranno mai pronte per lei perché capaci solo di cogliere quel che sta in superficie. Le cose “banali” che ha fatto nella vita sono state esaltate dalla luce che il suo corpo irradia; 267 Ivi, p. 100. 103 sarebbe stata una qualsiasi stangona bionda, dal seno florido e dalle lunghe gambe affusolate, eppure, gli esseri umani hanno osservato il suo cammino con segreta venerazione. Moana rappresenta il simbolo dell’italianità. Moana attraverso l’agenzia Diva Futura, le conoscenze politiche e il denaro, ha costruito (con professionisti dell’artificio e della finzione) un personaggio che esiste nel segno della trasgressione, chiave di volta della libidine più pulsante che eccita le masse verso personaggi che propongono un’immagine discutibile ed estrema di sé: «l’Italia è un paese moralista?», risponde la diva in un’intervista, «assolutamente no. Io mi ci trovo benissimo, non vivrei in nessun altro posto. Qui tutto è vietato, ma in realtà tutto è possibile. Il nostro è un paese che ha dei problemi in fatto di sessualità e, allo stesso tempo, sembrerebbe in generale averne così pochi da interessarsi di queste sciocchezze»268. Fig. 8 Moana Pozzi, bordo piscina. Non a caso, Moana dice di essere cattolica e pare che portasse sui set hard un rosario rosa dentro la borsetta. Questo tipo di dettaglio alimenta i tabù che a loro volta alimentano il desiderio: «la pornografia si struttura sul dettaglio, che non è “scheggia 268 Ivi, pp. 29-30. 104 di una totalità che si infrange, ma al contrario è la totalità stessa che irrompe nella superficie mutila e parziale, incoerente e lacunosa, smagliata e sconnessa della vita corrente»269. Moana nel 1986 si esibisce per la prima volta al Teatro delle Muse di Roma con uno spettacolo intitolato Sesso telecomandato, inserito da Schicchi in un contesto più ampio in cui si esibivano anche Cicciolina, Cornelia e Ramba sotto il noto titolo Curve deliziose. Al di là dello scalpore che fece lo spettacolo, delle denunce che Moana e Cicciolina collezionarono e dell’enorme impatto trasgressivo che ebbe all’interno del contesto sociale italiano, Curve deliziose è un altro spazio “on/scene”, sulla scena, per Moana Pozzi. La diva si esibisce dal vivo con tutto quello che la fisicità implica in una dimensione spazio-temporale immediata e non riprodotta. Secondo i racconti di alcune persone270 che parteciparono allo spettacolo (non è stato possibile, infatti, visionare alcune registrazioni dello spettacolo perché conservate da privati), Moana riempiva la scena e stregava il pubblico. Il momento più interessante del suo show è quello in cui, vestita di tutto punto con un abito maschile nero, tira fuori un fallo finto dalla patta dei pantaloni per sodomizzare una bambola su un tavolo di legno. Moana ha lasciato inscrivere il suo corpo su molteplici supporti video e la sua voce su supporti fonografici attraverso alcuni brani di rara poesia (ad esempio La Gabbia e Aeroplano telecomandato), tracciando una scia linguistica precisa e inconfondibile. Moana è inscritta impalpabilmente anche nella realtà, dove sono rimaste invisibili tracce del passaggio del suo corpo d’oro. Moana era l’unica pornostar capace di essere contemporaneamente dentro e fuori di sé. Riusciva, infatti, ad osservarsi da dentro e da fuori, permettendo a se stessa di costruire passo dopo passo, razionalmente, il suo personaggio. La logicità di Moana è visibile e attrae inevitabilmente. Karl Lagerfeld porta il suo corpo sulle passerelle milanesi delle sorelle Fendi, «Achille Bonito Oliva la vuole nuda accanto a lui (e lui nudo accanto a lei vestita) per una specie di performance filmata che andrà parzialmente in onda sul magazine “Va pensiero” di Rai Tre condotto da Andrea barbato»271, Gianfranco Salis, inoltre, la immortala come “casta diva” in una trentina di scatti. Sylvano Bussotti si spingerà ancora più in là, esponendo Moana «come 269 M. Mazzocut-Mis, Il senso del limite, cit. p. 171. Debora Attanasio, ex segretaria di Riccardo Schicchi, Mauro Biuzzi fondatore del Partito dell’amore, Mario Giusti, giornalista. 271 M. Giusti, Moana, cit., p. 116. 270 105 “esempio vivente della carne della musica” alla Biennale Musica del 1991 nella sua composizione Passione e fuoco»272. Come scrive Giusti, Moana progetta razionalmente il suo mito più di tante grandi e piccole star dello schermo italiano «e chiude drammaticamente la sua glorificazione, lasciandoci il suo grande corpo bianco, incontaminato e perfetto»273. 4. Il corpo del sacrificio Moana si definisce un’artista. Se il porno non fosse catalogabile nella grande categoria dell’arte, sarebbe difficile trovarsi d’accordo con l’attrice. Secondo Terrosi, un individuo, per potersi definire ʻartistaʼ, deve poter apporre una firma all’opera che produce, dunque l’opera d’arte deve esistere. Terrosi afferma che il tentativo di sussumere il feticcio dell’opera nell’artista, tendenza peculiare della Body art, è fallito, in quanto fu inevitabile «arrendersi all’ineludibilità dell’opera»274. Si ritiene, al contrario, in questa sede, che Moana rappresenta un esempio di coincidenza del corpo dell’opera con il corpo dell’artista. Immaginare di paragonare le performance di Gina Pane o Marina Abramovič all’opera di Moana Pozzi potrebbe rivelarsi riflessione nuova e interessante, in quanto, ad un primo sguardo l’accostamento non sembra possibile. Moana concentra sul proprio corpo tutta l’energia del suo essere, per incarnare il personaggio e il mito di se stessa. Tutto quello che Moana ha prodotto è funzionale alla costruzione di sé, alla costruzione del proprio mito. Moana ha inciso brani musicali, ha performato spettacoli dal vivo, ha presenziato a trasmissioni televisive e ha avuto collaborazioni artistiche con musicisti, registi, fotografi. L’essere pornostar è stata la sua principale occupazione professionale, senza la quale non avrebbe potuto essere Moana. La diva, infatti, evita volutamente il personaggio da commedia erotica del tempo, preferisce il ruolo di pornodiva, più elevato e puro. Il pubblico della tv accetta Moana come regina 272 Ibidem. Ivi, p. 9. 274 R. Terrosi, Storia del concetto d’arte. Un’indagine genealogica, Mimesis Edizioni, Milano 2006, p. 82. 273 106 dell’hard perché lo dice Pippo Baudo e la televisione; il pubblico delle sue performance sessuali ha bisogno di una star come Moana e ha “l’esclusiva” della presenza della diva nazionalpopolare dei salotti televisivi in un contesto hard. L’opera che Moana offre è il suo corpo, sostenuta dalle sovrastrutture sociali e culturali che possono rendere tale corpo feticcio, prezioso oggetto del desiderio, accessibile e inaccessibile al tempo stesso, contraddittorio e paradossale, trasgressivo in ogni sua manifestazione. L’esperienza fisica del dolore, l’estrema interazione che Gina Pane e Marina Abramovič hanno avuto con il proprio corpo non è lontana dall’uso che Moana fa del suo corpo. Quello che appare evidente e immediatamente riconoscibile nell’opera delle due performer è più enigmatico e meno percepibile nell’opera di Moana: «si, anche usando la fica, si può essere un’artista. […] C’è modo e modo di usare la fica, di usare il corpo»275, dichiara la pornodiva. Gina Pane, infatti, è un esempio autorevole di progettualità operativa molto rigorosa che dimostra come questa stia alla base di ogni creazione artistica, malgrado la gestualità e la creatività spontanea possano fungere da spunto. Gina Pane riflette sulla materialità del corpo, sulla rivelazione della propria fisicità con un progressivo mettere alla prova il proprio corpo, usandogli ogni tipo di violenza. Marina Abramovič, pian piano, comincia a far coincidere la vita quotidiana con la pratica artistica. Inizialmente si tratta di azione pura con performance in giro per il mondo insieme all’artista Ulay, successivamente, l’attenzione si sposta sull’immagine utilizzata per documentare le performance dei due artisti. Moana Pozzi è delicata e gentile ma non sembra esser presente: durante i suoi spettacoli dal vivo, infatti, sembrava non esser lì ma altrove. Secondo una dichiarazione dello stilista Elio Fiorucci276, Moana era una figura strana, un po’ come la Madonna che era vergine e madre nello stesso tempo; era due cose contemporaneamente: madre di tutti in quanto non giudicava nessuno, perdonava tutto e accettava tutto e al contempo, non si dava. Moana, secondo Fiorucci, non si dava alla gente. Lo stilista la accompagnò al suo spettacolo e racconta che la gente aspettava solo lei, le altre non contavano: Moana si spogliava ma si aveva l’impressione che fosse assente. C’era il suo corpo ma lei non c’era. Poi lei scendeva in mezzo alla platea e la gente sembrava imbarazzata a toccarla. Di solito, sostiene Fiorucci, il pubblico tocca le ragazze che si 275 276 M. Giusti, Moana, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2004, p. 18. Rai Due Mixer, con Giovanni Minoli, di Manuela Taddei, regia di Sergio Spina, dicembre 1994. 107 esibiscono, ma, nel caso di Moana, la toccavano come se fosse una cosa sacra. Moana era sempre sola, racconta lo stilista, era come una bambina che si trovava lì per caso, non era assolutamente una persona ordinaria. Probabilmente, al di là delle sue dichiarazioni, a Moana non piaceva ʻdi per séʼ praticare l’atto sessuale a comando. Tuttavia, se ci si ricordasse che nella vita e nella morte Moana ha costruito razionalmente e ossessivamente il mito del proprio corpo e di se stessa, si comprenderebbe che l’ultimo suo interesse è il sesso, che lei sfrutta come mezzo per la costruzione del suo personaggio, mai per se stesso. Si spiegherebbe facilmente la ragione della mancata “bravura” della diva sui set hard: al di là delle performance, delle migliaia di foto con membri maschili che penetrano il suo corpo, anche “dentro” il sesso il centro di Moana è sempre e solo se stessa. lo dimostrano proprio gli sguardi in macchina che Moana lancia a fotografi e operatori. L’importante è farsi penetrare dall’obiettivo, è imporre il proprio sguardo-pensiero. Imporre all’italiano medio che lei, Moana, è il “sesso” 277. Fig. 9 Moana Pozzi, shooting fotografico, presenza e assenza sulla scena. Nel suo saggio Recitare il porno, la Smith esamina «la scena di sesso come una scena “recitata” dai corpi degli attori, potenzialmente in grado di “trasmettere un denso significato simbolico”, sebbene all’interno del genere maggiormente dotato di realismo grafico, la pornografia»278. Smith sceglie di analizzare due pornoattrici contemporanee per evidenziare come ognuna di loro, in modo diverso, esprime 277 M. Giusti, Moana, cit., p. 26. C. Smith, Recitare il porno. Il sesso e il corpo performante, trad. it. G. Maina, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2013, p. 8. 278 108 trasporto, autenticità, piacere sessuale attraverso la presenza corporea: «proverò a sostenere», precisa Smith, «che la performance di un attore porno può essere qualcosa di più del semplice “trovarsi lì” a fare sesso per essere ripreso»279. Si afferma, al contrario, che Moana stabilisce in modo definitivo che la performance di un attore porno non può essere di più del semplice “trovarsi lì” a fare sesso per essere ripreso. La pornografia, infatti, è innanzitutto un documento, è sostanzialmente una registrazione dell’atto sessuale, un documentario: «la pornografia cattura un evento “dal vivo” e lo conserva per noi (gli spettatori) come qualcosa che può essere infinitamente ripetuto attraverso un procedimento di riproduzione»280. Il sesso diviene, quindi, una proprietà inerte del processo filmico? Piuttosto si tratta della vita che muore in un supporto fatto di materia, del gesto in sé che si ripete per mezzo di un dispositivo, del gesto di corpi che si concedono ad un rito di morte. Moana è consapevole di tal funzionamento, per cui il suo corpo è un corpo che performa l’estremo: «un corpo sofferente e, all’interno dei suoi limiti fisici, coinvolto in un gioco meccanico, costantemente rinnovantesi»281. Pensare e dunque agire nel segno della carne è l’unico modo che permette all’individuo di infrangere l’egemonia della logica proprietaria che tiene stretto a sé il concetto di corpo: «il corpo può fare tutto», dichiara Moana, «non lascia tracce dentro di me»282. Si è al cospetto di una performer estrema che offre il suo corpo all’esibizione. In tal modo, la diva incarna un sacrificio che raggiunge il suo climax nella fase finale della sua esistenza, segnata dalla morte: la malattia, infatti, segna inesorabilmente il bianco e florido corpo di Moana. Nel film Una lunga carriera (Franco Ludovisi, 1992), «Moana appare piuttosto smagrita, quasi avvisasse già i sintomi della malattia che la porterà alla morte»283. Nella trama non si riscontra alcun elemento che abbia collegamenti con la lunga carriera della pornodiva, infatti nel film, «Moana fa da maestra a un gruppetto di prostitute in erba, interpretate da attrici misconosciute»284 e il suo nome non compare nei titoli di testa, né in quelli di coda. Il personaggio di Madame Edwarda di Bataille si accosta naturalmente al personaggio di Moana nell’ultima parte della sua 279 Ibidem. Ivi, p. 11. 281 M. Mazzocut-Mis, Il senso del limite, cit. p. 159. 282 M. Giusti, Moana, cit., p. 46. 283 A. Di Quarto, M. Giordani, Moana e le altre, vent’anni di cinema porno in Italia, cit., p. 92. 284 Ibidem. 280 109 vita e oltre: Edwarda è una prostituta sifilitica, vicina alla morte, che si concede e si mostra per estremo piacere o per estremo dolore: Un piacere, spinto all’estremo dal gioco dei sessi, e un dolore, esasperato dalla lacerazione e dal corpo malato, che solo la morte può placare. Siamo sul versante oscuro del sublime, quello che porta all’orrore e che esaspera quegli estremi che nell’ambito del quotidiano fruire vengono cancellati. Sesso e morte. I tabù sono messi in scena, uno accanto all’altro o meglio uno nell’altro 285. Più di Gina Pane e Marina Abramovič, Moana, come Madame Edwarda è il simbolo dell’eccesso, la rappresentazione del desiderio illimitato. La presenza documentata in Una lunga carriera del corpo di Moana trasformato dalla malattia «porta con sé la comunicazione erotica e nello stesso tempo la tragedia della sua assenza, perché non c’è nulla di più angosciante del suo silenzio: “della sua sofferenza non c’era più comunicazione”»286. Come per Madame Edwarda, si tratta di una presenza-assenza che stabilisce un punto di vista estetico catalogabile nel tragico tra l’arte e la vita. Moana è consapevole di far parte della cultura occidentale profondamente segnata dal concetto del sacrificio e, anche se lei stessa afferma di essere autonoma da tale influenza culturale, sottopone il proprio corpo al sacrificio, incarnando l’assoluto. Come per Madame Edwarda, tale sacrificio, «ha due aspetti estremi: uno bianco, del bene, del bello, della purezza e uno nero, del brutto, dell’orrore. Eppure mai il sacrificio è o solo bianco o solo nero»287. Infatti, nel sacrificio, nell’assoluto, fa la sua comparsa il divino che non si oppone all’orrore e non rinnega il male o la bruttezza. Tutto ciò che non comprende le cose volgari della vita, ma che accoglie l’estremo, è divino. Moana e Madame Edwarda richiamano l’estrema bellezza e l’estrema bruttezza e il sacrificio cui si sottopongono, sottrae entrambe al mondo delle cose diventando atto divino: «con l’esperienza del limite si apre una via di conoscenza attraverso il piacere e il dolore estremi»288. È un fatto incontrovertibile che, dopo la morte di Moana, si riscontrò un’affluenza nelle sale in cui si proiettavano le sue pellicole e un notevole incremento di vendita e noleggio dei suoi film: «la voluttà sessuale, che si mischia al marcio della morte, è dismisura e apre 285 M. Mazzocut-Mis, Il senso del limite, cit. p. 163. Ibidem. 287 Ivi, p. 164. 288 Ivi, p. 165. 286 110 all’estetica dell’eccesso»289. Moana va oltre la quotidianità incarnando l’assoluto, il sacrificio. Moana è creatrice di se stessa, «è anche, almeno per metà, un maschio, cioè un creatore di immaginari. È lei che penetra, molto più dei membri che circolano per dovere di copione nei suoi film»290. Per questo aspetto di divinità femminile-maschile, Moana non potrà che essere sacrificata. Moana, rappresentando e vivendo se stessa, trascende Moana; sacrificandosi attraverso il proprio corpo diviene divinità, sogno, mistero. Il divino, tuttavia, è insito, come si è scritto, nei bisogni della vita, «che regolano un mondo fatto di cose e […] di uomini trattati come cose, ridotti al loro valore di utilità, alla funzione. […] Tutto ciò che non è ʻcosaʼ è divino, tutto ciò che non è utile, che eccede l’utile, è divino»291. Moana si manifesta quindi come arte, in quanto oggetto distrutto attraverso il sacrificio che lo porta a nuova vita, una vita altra. L’arte e l’attività sessuale superflua, quella che eccede e che non si risolve nel fine riproduttivo, sono un lusso. Tale «dispendio simbolico»292 consente la rappresentazione del limite che coinvolge la vita del fruitore in un viaggio costituito da piacere e dolore estremo. 5. Il mito di Moana e Mélisande, l’abisso funebre degli dei La recitazione antinaturalistica di Moana, il suo artefatto modo di stare in scena con disinvoltura, il piglio ambiguo e sibillino delle sue labbra, la fronte marmorea, la pelle immacolata e lucente di una perpetua purità, avvicinano la pornodiva all’ideale femminile dannunziano, alla donna sospesa tra sensualità e morte. L’immagine della donna primaria perduta, una sorta di archetipo utopistico della figura femminile, non è ricomponibile per D’Annunzio293. Ogni donna, nell’opera e nella vita dannunziana, è infatti, una parte del tutto, ma non può essere il tutto. La parzialità è disprezzata dai personaggi dei romanzi dannunziani che ricercano spasmodicamente e invano la 289 Ibidem. M. Giusti, Moana, cit., p. 49. 291 Ibidem. 292 Ivi, p. 165. 293 Cfr. G. D’Annunzio, Il piacere, a cura di F. Roncoroni, Mondadori, Milano 1995, p. LIX. 290 111 donna primaria, per cui la strada della tensione desiderante s’inerpica su un sentiero che conduce alla sublimazione della perdita. Questo percorso è lungo e si aggroviglia tra i rami contorti dell’immaginario e del simbolico, in un sogno mistico che si confonde con la realtà e che ammalia e ammala i protagonisti dannunziani. Ne Il piacere, per esempio, Andrea Sperelli è attratto inesorabilmente da Maria Ferres e Elena Muti. I nomi delle due donne corrispondono alla rappresentazione di due immagini femminili ben precisi: Maria è la donna casta e santa, che muove ad un amore spirituale; Elena è quella fatale, che seduce con mortuaria passione. Entrambe le donne, però, sono parti scisse e nessuna delle due può colmare il vuoto del desiderio che attanaglia Andrea. L’onnipotenza del desiderio, infatti, è fortemente legata alla pretesa narcisistica del soggetto di averle entrambe, ricomposte insieme a formare l’immagine della donna primaria perduta, l’eterno femminino. Così, riflettendo sulla storia del mito di Moana e del processo di divinizzazione di cui è stata oggetto e soggetto attivo, si rivela interessante una descrizione simbolica di Moana in quanto icona femminile peculiare. Il suo personaggio si avvicina alla sublimazione della perdita dannunziana e può contenere in sé sia Maria che Elena. Le due donne, inevitabilmente scisse e responsabili dell’annientamento di Andrea Sperelli, possono unirsi, fondersi, nel personaggio di Moana che in tal modo rappresenterebbe l’immagine della donna primaria. Il dualismo, che pone in antitesi corruzione e purità, visibile in Moana, ha portato alla mitizzazione dell’attrice da parte dei media, che, specialmente dopo la sua morte, hanno assecondato un processo di santificazione che ha posto Moana sul piedistallo del mistero e dell’ambiguità. Questa dicotomia è già presente e intrinseca al personaggio di Moana: potendo, dunque, incarnare, nella propria immagine, il simbolo dell’ideale unitario di donna, Moana può essere accostata alle innumerevoli effigi di donne-simbolo presenti nell’arte e nella letteratura. Approdando a una sponda simbolista che possa inoltrarsi nella ricerca delle origini del divismo che ha esaltato l’immagine di Moana, si propone un paragone con una specifica e criptica figura femminile: Mélisande. Si tratta del personaggio femminile del dramma di Maurice Maeterlinck del 1892, ispirato al personaggio sinistro, ammaliante e malinconico dell’Ondina, creatura marina. Infatti, come Mélisande, il personaggio di Moana possiede degli elementi enigmatici e divini, di molteplice semanticità. Mélisande giunge dal mare (dal nulla, 112 dall’abisso, dall’Ignoto) sopra un vascello fantasma e appare con innocenza e spirituale dolcezza nel regno di Allemonde (la Terra, il mondo degli uomini), facendo innamorare di sé Golaud e facendo in modo che tutti i personaggi provino compassione e attrazione nei suoi confronti. Mélisande è aggraziata, delicata e irresistibile; farà innamorare anche il fratello di Golaud, Pelléas. Mélisande scatena così un vortice che porta i protagonisti alla distruzione più tetra per poi sparire nel nulla da dove è venuta. Alla fine dell’opera, Mélisande si trova sul letto di morte in circostanze misteriose e torna al mare, il luogo da cui proviene. Il personaggio di Moana, come Mélisande, incarna la morte nella sua essenza terrena; partecipa dell’enfasi pulsante di un corpo percettivo e vitale, ma in modo distaccato, con un glaciale trasporto. Moana coinvolge gli astanti, non se stessa e l’espressione del suo volto è bloccata da un automatismo naturale che è tale perché segnato dal destino. Nel dramma simbolista, mortuario per essenza, il mare rappresenta la grande madre da cui il destino ha inizio e fine. Il mare rappresenta l’abisso in cui la vita e la morte hanno misteriosa origine: «Moana è il nome di un’isola delle Hawaii e in dialetto polinesiano significa “il punto dove il mare è più profondo”»294. Come Mélisande, Moana suscita desiderio ma rimane irraggiungibile e intoccabile agli uomini che la idolatrano, nel suo destino inintellegibile e divino: «vorrei essere eterna», dice Moana, «vorrei non finire mai, essere sempre così»295. Nella morte, infatti, Moana è effettivamente eterna, il suo corpo solido e bianco rimane simbolo del desiderio. La breve apparizione del suo personaggio nel mondo terreno ha portato scompiglio tra gli uomini, allo stesso modo di Mélisande nel regno di Allemonde. Moana prima di risalire sul vascello fantasma per tornare verso l’abisso, nel punto dove il mare è più profondo, lascia, simbolicamente, una distruzione comparabile a quella che lascia Mélisande. Come i personaggi dell’opera di Maeterlinck, musicata da Debussy e Shönberg, che cadono in rovina, allo stesso modo, i personaggi degli uomini sulla Terra restano inevitabilmente nella loro miseria, a discutere, a sguazzare nella contingenza delle piccole cose quotidiane, nei salotti tv, nelle pagine dei giornali. Il mito di Moana è posto lontano dalle piccole cose umane, il suo personaggio costituisce il simbolo del desiderio che incanta gli uomini e le loro pulsioni, lei rappresenta la vita e la morte dentro un corpo candido dai capelli d’oro. La 294 295 M. Giusti, Moana, cit., p. 15. Ivi, p. 14. 113 traboccante capigliatura di Moana sovrasta un corpo latteo ed etereo da cui si dipana il mistero di voluttà, «il mistero della femminilità, profondo e attraente come il mare»296. Come Mélisande, Moana riassume «l’Eterno femminino nel simbolo della sciolta capigliatura, espansione, […], della vitalità sessuale della donna»297. L’immagine che la diva impone, intrappolandosi deliberatamente nella rappresentazione pornografica, è un’immagine di ghiaccio che, malgrado i canoni convenzionali di eccitazione sessuale, riesce a scatenare un desiderio primordiale e istintivo nel fruitore. Abitualmente, infatti, lo spettatore ha bisogno di immedesimarsi nell’azione sessuale che viene rappresentata e ciò è possibile se gli attori, nella rappresentazione, riescono a provare o a simulare coinvolgimento. Moana riesce ad alimentare il sistema dell’industria pornografica e al tempo stesso a rottamarlo con la sua algida e annoiata presenza in scena. Il gioco divertito e non immediatamente riconoscibile dell’artista Moana Pozzi è tutto rivolto ai meccanismi di desiderio e alle sovrastrutture culturali, tecnologiche e sociali che ne tengono le redini. Il fruitore di quegli anni non avrebbe dovuto rispondere allo stimolo freddo e apatico di Moana con l’eccitazione, ma, al contrario, avrebbe dovuto concederle uno sbadiglio: il suo richiamo, invece, è stato per lo spettatore come il canto delle sirene per Ulisse. Moana ha riempito tutti gli schermi con il suo corpo, comandando di non pensare, ma di guardare, e gli spettatori non hanno avuto il tempo né la volontà di bendare gli occhi, come Ulisse si legò all’albero maestro della nave per non sentire. Se anche il personaggio di Moana sia stato costruito con calcolo e intenzione ha poca rilevanza, in quanto la grandezza di Moana come artista ha superato di gran lunga le intenzioni e i progetti di terzi sulla costruzione del suo mito. L’idillio di Moana è riconducibile alle forze ataviche e misteriose della natura: «forse l’afrodisiaco Eros e l’uranica Afrodite non rappresentano che un unico e identico amore; forse i misteri del corpo e quelli dell’anima non sono che un solo e unico mistero; forse non c’è che un solo Eros, di volta in volta puro o triviale»298. Il desiderio, così antico e così nuovo, che turba e perturba l’essere umano, irrompe con forza e trasporto nella sempre rinnovata banalità della vita: «la voluttà, bramando, lancia un richiamo e infligge poi 296 V. Jankélévitch, Debussy e il mistero, trad. it. di C. Migliaccio, SE Edizioni, Milano 2012, p. 21. Ibidem. 298 Ibidem. 297 114 il colpo di spada nella notte»299, infatti, dove c’è il desiderio c’è anche la morte. A partire da un certo livello di incandescenza delle pulsioni sessuali, ciò che è delizioso diventa mortale. Come gli uomini che desiderano in un pericoloso crescendo l’incantevole e indifesa Mélisande, allo stesso modo, gli spettatori di Moana si avvicinano alla morte con incoscienza. La morte incarnata da una creatura seducente e misteriosa non è immediatamente riconoscibile e scatena un’attrazione fatale nello spettatore. Fig. 10 Moana Pozzi, foto di Gianfranco Salis. L’immagine si propone per offrire un paragone visivo con una sirena e un’ondina, figure mitologiche vicine alla profondità degli abissi marini e al personaggio di Mélisande. 299 Ibidem. 115 Fig. 11 John William Waterhouse, A mermaid, 1901, Royal Academy of Arts, Londra. Fig. 12 John William Waterhouse, Undine, 1872, collezione privata. 116 Si parla di thanatofania quando l’apparizione del feticcio adorato coinvolge a tal punto da sprofondare nell’abisso della libidine e dell’angoscia lo spettatore. La rivelazione della morte nella piena manifestazione del desiderio implica un abbandono ancestrale carico di sensazioni contrastanti quali l’angoscia, la voluttà, e la nostalgia. Moana, dunque, nella rappresentazione estrema di se stessa, mette in scena il mistero, la morte: La morte non è una misteriofania, ma è il mistero stesso; la morte non spiega niente, ma chiama finalmente il problema con il suo nome, pronunciando questo nome indicibile ad alta voce. Il miracolo della sempre rinnovata resurrezione si rovescia dunque nel mistero di morte, il paradosso dell’eterna giovinezza nello scandalo dell’annientamento: non è la rinascita ad essere preannunciata dalla morte, […], ma al contrario è la morte rinnovata che è presentita e apprensivamente anticipata in ogni rinascita 300. Moana è abisso, eros e thanatos: «uno spettatore che, necessariamente, si sofferma a guardare la tempesta dalla riva, che non mette mai in gioco la propria incolumità. Stare sulla riva, tuttavia, può anche non prevedere un esito scontato: la salvezza»301. Nel caso di Moana, invece, lo spettatore potrebbe essere paragonato a Leandro che, per raggiungere Ero, non osserva la tempesta dalla riva ma vi si getta in preda al desiderio. Leandro nuota nello stretto ellespontino per incontrare la sua amata che sta dalla parte opposta della riva e che, per orientarlo nella traversata, tiene accesa una lanterna. In una notte di tempesta, mentre Leandro nuota, la lanterna si spegne disorientando il giovane che si perde tra i flutti e annega. Quando lo spettatore crede di essere in viaggio tra le onde del desiderio per raggiungere l’immagine di Moana, non sa di essere già nell’abisso, tra le onde del mare, tra le braccia inesorabili della diva: dal culto di Venere in poi le onde del mare si sono associate a quelle dell’amore, attrazione degli amanti, inconscio desiderio di annullamento e compenetrazione nella notte, nell’acqua, miraggio di beatitudine anche quando la realtà appariscente dell’onda nasconde la reale incomunicabilità: le onde non si incontrano mai 302. 300 Ivi, pp. 120-121. M. Mazzocut-Mis, Il senso del limite, cit., p. 135. 302 C. Colombati, Il suono dell’acqua in Acqua, storia di un simbolo tra vita e letteratura, Atti del Convegno di poesia, Edizioni Transeuropa, Civitanova, Marche 1997, cit., p. 38. 301 117 Sono, quindi, evidenti i simboli di morte e sessualità presenti nel mare, nell’acqua, nell’abisso. Il mare è per lo spettatore come una malinconia e un delirio, come una tensione del tempo in un moto circolare che conduce a una dimensione ipnotica. Mélisande viene dal mare e l’acqua è sempre presente intorno a lei nelle fattezze di fontane e ruscelli; Moana è sempre attratta dalla dimensione da cui proviene, dal punto in cui il mare è più profondo, così dice: l’acqua è l’elemento ricorrente nei miei sogni. Spesso mi trovo in una grande casa su una spiaggia con il mare calmo. Improvvisamente si alzano delle onde alte come palazzi che si avvicinano sempre di più, fino a sfondare porte e finestre. Io sono terrorizzata, ma nuoto e rimango a galla mentre le persone che stanno sulla spiaggia vengono trascinate via. Tutto viene distrutto tranne me 303. Come Mélisande, Moana è una sirena portatrice di morte e distruzione, destinata ad una solitudine regale che appartiene solo alle creature divine. Nella casa di Moana erano, infatti, presenti alcune fontane e il luogo più importante della casa era il bagno: «il bagno è nero e oro con tanti specchi e conchiglie», racconta Moana, «e lo considero l’ambiente più importante […]. Un’altra mia passione sono le fontane: in terrazza ne ho una seicentesca di marmo bianco e nell’ingresso due dell’Ottocento»304. Nel breve soggiorno di Moana sulla Terra, la diva non si separa dal suo elemento e dalla pura energia di cui è costituita: l’acqua. Come la corona d’oro e l’anello di Mélisande che, nell’opera di Maeterlinck, vengono inghiottiti dall’onda perfida, lo spettatore, stregato dall’acqua, vacilla in preda a una sorta di ebbrezza. Egli prova quella paura di cadere che è elementare e innata nell’essere umano e, contemporaneamente, la tentazione di cadere che è lo slancio istintivo verso la realizzazione delle possibilità: quella fobia più questa tentazione compongono la vertigine. Il bisogno istintivo di conservare intatte le proprie virtualità, unito alla voglia di consumarle, potrà spiegare il rimpianto straziante di averle perdute. Ma è l’attualizzazione stessa che ci ispira questa fobia ambivalente – dato che in basso non c’è niente! L’attualizzazione del virtuale, però, vuol dire anche morte della speranza, l’avvenire ricondotto al presente305. 303 M. Giusti, Moana, cit., p. 71. Ivi, p. 72. 305 V. Jankélévitch, Debussy e il mistero, cit., p. 87. 304 118 Lo spettatore, così impietrito dall’acqua, è trascinato nelle profondità ignote della bramosia e dell’inesistenza. Tra Mélisande e Pelléas, tra Moana e lo spettatore, non succede niente salvo il fatto stesso del loro incontro, capriccio del destino, ironico mistero. Tra Moana e lo spettatore non c’è evoluzione, non c’è distensione, solo un vuoto che si ripete senza continuità. Fig. 13 Moana Pozzi, foto di G. Salis. Il corpo latteo di Moana sembra riflettere di luce propria, come il sole. Moana appare fulgida e chiara, abbagliante come il sole alto nel cielo a mezzogiorno. Si tratta del momento più silenzioso della giornata, il momento in cui nessun essere umano vede la propria ombra a terra poiché il sole, trovandosi allo zenit, riempie ogni cosa ed è impossibile percepire se stessi. L’individuo è avvolto da così tanta 119 luce da non potere avere visibilità. A mezzogiorno il sole ha raggiunto il punto più alto del suo viaggio nel cielo. Da mezzogiorno in poi, il sole inizierà il suo cammino verso il tramonto. L’uomo, in questo momento della giornata, non si riconosce con se stesso e dal climax di mezzogiorno, comincia la morte; al culmine della vita, infatti, inizia il declino. Moana non esponeva il proprio corpo alla luce del sole per mantenerlo niveo e opalescente, in modo da farlo brillare di luce propria come il sole. In questo modo, il suo corpo è in grado di abbagliare mortalmente il fruitore, perché la sua corporeità riempie lo schermo fino al punto di non ritorno, fino alla morte. A mezzogiorno bisogna afferrare l’istante travolgente in cui l’esistenza, giunta allo zenit del suo percorso, si presta a ad affrontare la discesa: infatti il declino comincia a mezzogiorno, come d’altro canto l’autunno a rigore comincia in quel giorno superlativo del solstizio d’estate quando il sole è al suo culmine e che, per Goethe, era un giorno di lutto. Si, l’agonia di Osiride è cominciata subito, ancora al di qua di quello zenit che è anche il punto dell’apice; l’inverno è cominciato fin dal primo giorno di primavera; fin dall’aurora la notte si prepara, in modo che mai, a qualsiasi ora, saremo stati più vicini al solstizio mortale 306. I giorni del declino, secondo Jankélévitch, annunciano la morte in modo diretto, quelli dell’ascesa lo fanno in modo mediato. A mezzogiorno non ci sono ombre né rilievi, a mezzogiorno tutto è in atto, ogni cosa è visibile ad un punto tale da non esserlo più, perché l’occhio si trova accecato dalla luce. Così è Moana, simbolicamente: «ciò che illumina è al tempo stesso ciò che immobilizza»307. Il fruitore si trova paralizzato in una trappola accecante che non gli consente di pensare o di vedere altro. Il mezzogiorno è così limpido da essere impenetrabile e consistente: «al nulla di mezzanotte, che è il nulla nel vuoto e nell’oscuro non-essere, cioè puro Niente negativo, il sole mortale oppone il suo nulla meridiano, che è pienezza assoluta, attualità acuta, estrema positività»308. Il corpo di Moana è luce compatta che riempie lo schermo rappresentando per il fruitore l’Eterno femminino irraggiungibile, l’oggetto del desiderio disponibile e visibile a tutti, ma intoccabile e incomprensibile, accessibile e oscuro, sacro e rovinoso: «se dipendesse da me», dice Moana, «le giornate comincerebbero a mezzogiorno. Da quell’ora in poi mi sento 306 Ivi, p. 68. Ivi, p. 69. 308 Ivi, pp. 69-70. 307 120 sempre meglio fino a raggiungere il massimo della vitalità con il buio, quando tutto mi sembra più affascinante e io divento più sensibile»309. È qualche istante dopo mezzogiorno che la dinamica della mattina si tramuta in pesantezza crepuscolare, lasciando spazio al mistero, al silenzio accecante. Si tratta dell’ora statica in cui la natura si trova oppressa da un elemento d’angoscia e le creature esitano dinnanzi al silenzio sovrannaturale e abbagliante. A mezzogiorno non si «esprime solo l’insaziabile bramosia, ma anche il sistema dell’evidenza opprimente, la quale dipende dalla pura presenza ed è sempre superlativa. […] È sotto questo sole impietoso, è al dodicesimo rintocco della “grande ora senz’ombra”, che»310 il personaggio di Moana profetizza l’agonia del soggetto desiderante nella cieca e incosciente traversata delle acque scure della voluttà. Come una creatura divina, una ninfa, una sirena o la morte nelle più adeguate sembianze di magnifica donna, attraversa in un attimo l’umana dimensione spazio temporale lasciando un segno flebile ma indelebile sugli uomini, visibile, metaforicamente, all’orizzonte solo all’occhio più nudo e malinconico che, tra le stelle del firmamento, riesce a scorgere lei, quella più lontana e dalla luce più fioca, quella che ammicca brillando a frequenze alterne, come un battito di ciglia. 309 310 M. Giusti, Moana, cit., p. 73. V. Jankélévitch, Debussy e il mistero, cit., pp. 72-73. 121 Conclusione Presupposto, mezzo ed effetto del desiderio è il corpo, inteso come fonte e sede di tutti i piaceri, come ʻsupportoʼ. Il corpo è la condizione necessaria, l’elemento irriducibile, che permette all’individuo di vivere e desiderare. Punto di partenza per tutto ciò che è fruibile, godibile, tangibile è il corpo che a sua volta può essere fruito, goduto, toccato. È il mezzo attraverso cui l’uomo pratica l’atto sessuale solitario o condiviso, l’arte, la sofferenza, l’emozione. Tutto passa attraverso un organismo costituito da materiali corruttibili in grado di mettere in pratica ripetutamente, eventi straordinari per il singolo o per le moltitudini, nella realtà e nell’iperrealtà. Il corpo viene prima del pensiero, è mezzo di espressione del soggetto. Gli impulsi primordiali, irriducibili elementi che costituiscono la linfa corporea, alimentati dalle influenze culturali che nel corso dei secoli hanno sedimentato nell’essere umano meccanismi di repressione e divieti, conducono l’individuo ad una forma di desiderio diversa da quella animale, smisurata e vorace, inevitabilmente portata all’eccesso perché implacabile: «la voluttà sessuale, che si mischia al marcio della morte, è dismisura e apre all’estetica dell’eccesso. L’uomo si riconosce votato all’eccesso in quanto vita e morte»311. L’essere umano inventa una dimensione scenica, uno spazio della finzione per tentare di soddisfare l’incontenibile bramosia che mai può saziarsi: la dimensione della rappresentazione. Perché limitarsi all’atto sessuale vero e proprio se è pure possibile rappresentarlo, riprodurlo, ripeterlo, moltiplicarlo e, dunque, viverlo anche da spettatore? L’uomo, come la Natura, diversamente dagli animali, decide così che ha bisogno del lusso, dello spreco, dell’inutilità: i lutti, i culti, le guerre, gli spettacoli, l’arte, la sessualità perversa. Tutto questo è «dispendio […] che consente la rappresentazione dell’estremo, del decadimento, della morte. […] Dispendio che non è solo un rimando simbolico, quando la rappresentazione viene ʻvissutaʼ, impegnando la vita del fruitore»312. Tale esperienza del limite apre una via alla conoscenza della verità che non può avvenire al di fuori della rappresentazione dell’eccesso. Da quando l’uomo esiste, ha prodotto cultura per tutelarsi dall’irrazionalità, conosciuta e riconosciuta come forza distruttiva. È anche questa cultura, composta da divieti e, conseguentemente, da trasgressioni, a rendere 311 312 M. Mazzocut-Mis, Il senso del limite, cit., p. 165. Ibidem. 122 possibile il rinnovo instancabile del desiderio: «il senso dello scandalo», infatti, prodotto della cultura umana, «diventa elemento essenziale della fruizione»313. La rappresentazione pornografica è parte integrante della messa in scena dell’eccesso, dell’estremo. In scena, sono esposti corpi ridotti a pura materia funzionale, scomponibile e penetrabile. Gli organi genitali appaiono in tutta la loro verità, esposti a tal punto da apparire innaturali. Con l’invenzione cinematografica, la pornografia amplia la sua dimensione di iperrealtà, mostrando all’occhio del fruitore quello che non potrebbe mai vedere naturalmente. Lo spazio della rappresentazione invade la vita reale e niente, da quel momento in poi, è stato, e sarà più come prima. La memoria collettiva viene progressivamente sostituita da un immaginario visivo massivo e invasivo che modifica, e sta modificando, tuttora l’individuo in modo radicale. Nel momento in cui l’immagine che documenta la vita ha fatto il suo ingresso nella vita stessa, tutto è cambiato e la morte ha assunto un ruolo diverso e sinistro nell’esistenza dell’essere umano. Da quel momento la vita non è più possibile. La rappresentazione del limite prova, ancor di più, l’impossibilità di espressione incondizionata, immediata e segreta della vita. L’iperrealtà pornografica è il luogo in cui la morte si mostra, apparente, e dove è ancora possibile illudersi della vita. L’enorme immaginario filmico e fotografico, che condiziona mortalmente l’esistenza e impedisce a quest’ultima di sussistere naturalmente, riempie a tal punto l’individuo da tramutarlo in essenza artificiale, organismo che si muove e muove per induzione di immagini: «l’immaginario collettivo cablato dentro un transfert desiderante» è teso verso corpi ideali, corpi-sogno, «proiezioni spasmodiche»314, che implicano un’alterazione notevole della vita che percorre, molto rapidamente, la via dell’artificialità. L’unico spazio possibile che rimane all’esistenza dell’individuo è quello dell’iperrealtà (pornografica), in cui si trova la verità che annienta: il nulla della ripetizione. L’essere umano è condannato a ripetersi perché la vita stessa è ripetizione e l’unica possibilità per viverla, oggi, è accogliere l’iperrealtà in cui è immerso l’uomo e di cui, ormai, fa parte. L’essere umano, infatti, può ancora vivere partecipando alla vita reale e virtuale in cui viviamo oggi, come «global-body»315. L’individuo, infatti, «si mette in gioco solo per rimandarsi all’altro nei termini in cui 313 Ivi, p. 167. T. Macrì, Il corpo postorganico, cit., pp. 75-76. 315 Ivi, p. 76. 314 123 la capillarità mediatica e la tecno-sfera lo rendono più visibile, commestibile e adducente possibile»316. Il corpo di cui deve essere dotato l’individuo per accedere all’esistenza, è un corpo curato, tatuato, ricostruito, liftato, clippato che può, infine, «essere solo ed esclusivamente un oggetto del desiderio condiviso perciò planetario»317. Oggi il corpo di ogni individuo è potenzialmente performativo ed è diventato feticcio planetario: «il corpo è physical attraction collettiva, desiderio oggettuale, pulsione soggettivizzata»318. La performance, la rappresentazione, lo spettacolo hanno come fruitore e attore il pianeta. Non c’è più traccia elitaria nel gesto dell’artista in quanto «la performance, dunque, è biosferica e satellitare perché si irradia nell’etere e screpola la settorialità. […] La performance […] si è tradotta in un prismatico performing act generalizzato e de-specificato»319. Questo riguarda ogni singolo individuo che vive oggi nel mondo, perché lo spazio della rappresentazione è sterminato, comunitario, satellitare, globale e satura la vita reale. La rappresentazione del limite è intrinseca alla vita stessa. Già Gilbert & George avevano compreso a fondo il paradosso dell’era in cui viviamo ancora, in uno stato che è ulteriormente avanzato. I due performer ponevano «l’accento sul corpo come immagine, come oggetto esterno all’io, un doppio senza modello di se stessi»320. Gilbert & George incarnano quell’impossibilità di vivere di cui si parla e, dunque, la necessità di rappresentare il limite giorno dopo giorno: la vita di Gilbert & George è interamente dedicata alla contemplazione e allo sviluppo della vita di Gilbert & George. […] È proprio il concetto di contemplazione, di immobilità […] nell’assunzione di una pratica e di una strategia ovvie, che fa di loro i normali, i più conservatori paladini del nulla 321. 316 Ibidem. Ibidem. 318 Ibidem. 319 Ivi, p. 77. 320 L. V. Masini, L’arte del novecento. Dall’Espressionismo al Multimediale, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze 1989, p. 83. 321 Ibidem. 317 124 Fig. 14 Gilbert & George, cartolina 1969. La performanticità dei due artisti è di per sé diversa da quella che caratterizza gli interpreti della body art , è il gesto immobile ed estremo che simboleggia l’iperrealtà di cui è costituita oggi la vita per l’essere umano. Nelle loro foto, essi sostituiscono la loro presenza fisica con l’immagine di se stessi, visibili come manichini immobili, racchiusi in composizioni fredde e geometriche. La vita, nell’interpretazione di Gilbert & George, è bloccata, si è trasformata in uno schermo che annienta i sensi: «hanno cantato a guisa di automi, imitato il cinguettio degli uccelli in un parco, bevuto flemmaticamente fino all’ebbrezza, mirando a stabilire relazioni sensibili fra la realtà e il sogno, il grigiore della vita e ciò che essa potrebbe essere, a rivelare, infine, il mondo con l’assurdo»322. Giunto a tale consapevolezza, l’essere umano dovrebbe placidamente vivere nell’inazione di una vita che coincide con la rappresentazione e, quindi, si fa essa stessa ʻlimiteʼ facendo della percezione sensoriale uno strumento inerte e, dell’immaginario artificiale un’esaltazione indispensabile per esistere. L’orizzonte dell’esistenza che l’uomo ha già raggiunto senza averne, ancora, piena coscienza, è rappresentato perfettamente da Spike Jonze nel suo ultimo film: Her. Theodore (Joaquin Phoenix), vive in un futuro non ben 322 Ivi, p. 207 125 definito, che potrebbe essere molto vicino ai nostri giorni; in questa realtà, le persone possono mantenere costantemente il contatto con il computer di casa, attraverso auricolari, comandi vocali, dispositivi video tascabili. Theodore è un uomo molto introverso e solo; il suo lavoro consiste nell’elaborazione di lettere intime e familiari che scrive per conto di altri e un giorno, incuriosito da uno spot pubblicitario, decide di acquistare OS 1, un nuovo sistema operativo basato su un’intelligenza artificiale in grado di evolversi attraverso l’esperienza con l’utente. Theodore, installando il sistema, sceglie solo la voce di interfaccia femminile, subito dopo l’avvio del sistema, infatti, OS 1 si dà, autonomamente, il nome di Samantha. Tra i due (l’uomo e il software), nasce molto presto un legame forte: Theodore si scopre affascinato dalle capacità di apprendimento di Samantha e lei scopre di essere capace di provare emozioni. È molto interessante il modo attraverso cui Theodore e Samantha possono restare in contatto perpetuo: Theodore porta sempre con sé o, si potrebbe meglio dire, indossa sempre come naturali protuberanze del corpo auricolari e dispositivo video tascabile, in modo da poter parlare con Samantha ed essere sempre visto (registrato in video) da lei. Samantha non ha un corpo, è un’essenza artificiale pensante ma, appunto, priva di fisicità. Eppure, i due arriveranno ad innamorarsi e a praticare, virtualmente, l’atto sessuale con toccante trasporto. L’essere umano è solo con il proprio corpo e un sistema operativo che al tempo stesso amplifica e colma la solitudine e il narcisismo dell’io facendosi schermo dell’esistenza, violandola e celebrandola. Fig. 15 Her, Spike Jones, 2013. 126 L’assenza corporea del corpo di Samantha diviene presenza costante e piena. Samantha sente la mancanza di un corpo fisico attraverso cui poter sentire ogni stimolo vitale e attraverso cui avere pieno accesso alla vita. L’incorporeità di cui è costituita la sua essenza artificiale permette a Samantha di non avere i limiti umani: con divertita naturalezza OS 1 può fantasticare sulle infinite possibilità che il corpo contiene. Samantha crea per Theodore un’immagine espressiva della percezione corporea umana che riconduce, concettualmente, al surrealismo di Bellmer. Samantha, infatti, concepisce l’idea di poter penetrare l’ascella piuttosto che uno tra gli ordinari orifizi umani. OS 1 presume possano esistere straordinarie possibilità ricettive nel corpo umano che scompone e disgrega con curiosità, divertendo Theodore. Il luogo da cui si sprigiona il piacere sessuale non è confinato alla zona genitale, è, infatti, in grado di spostarsi lungo un corpo sensibile in base al contesto culturale e sociale contingente che condiziona il desiderio. Samantha e Theodore hanno un solo corpo da condividere e le possibilità immaginative si moltiplicano. Fig. 16 Her, Spike Jones, 2013. Nonostante e grazie all’assenza corporea, l’esuberanza artificiale e intelligente di Samantha basta a dare un senso profondo alla vita di Theodore. Persino il tentativo perturbante di OS 1 di prendere in prestito un corpo risulta dissacrante e impossibile per Theodore. Infatti, il sistema operativo, desideroso di poter unirsi fisicamente all’uomo in nome dell’amore che provano l’uno per l’altro, trova on line una ragazza disposta a prestare il proprio corpo al gioco. Samantha, attraverso dei microscopici dispositivi che fanno da auricolari e videocamera, applicati alle orecchie e sul viso 127 della ragazza, veicola il corpo di lei, impersonandola. Theodore, nonostante senta nell’auricolare la voce di Samantha e nonostante la giovane ragazza interpreti esattamente quello che il sistema operativo desidera, rifiuta il corpo vivo e caldo della donna, cacciandola. La linfa calda e viva del desiderio è stata sostituita da un impalpabile flusso freddo del desiderio. L’immagine ha sostituito il corpo fisico nelle priorità umane di stimolazione sessuale. La documentazione video della vita trabocca, ormai, dall’immaginario che non può più contenere, assimilare e metabolizzare, bensì, diviene esso stesso vita. Il superamento dell’umana necessità è possibile attraverso un delirio immaginifico cui l’individuo si è sottomesso. Attraverso i dispositivi portatili (telefonini, smartphone, tablet, video camere portatili come la gopro) e l’ausilio della rete con i social network, è possibile mostrare e mostrarsi in tempo reale con altri utenti, creando un’ enorme iperrealtà che non è più parallela alla vita, bensì ne costituisce l’essenza. Ogni essere umano è attore e fruitore nello stesso tempo e la rappresentazione è la sua vita e quella degli altri: le immagini hanno prima sostituito le parole e, adesso, la vita. 128 Bibliografia Adamo P., Il porno di massa. Percorsi dell’hard contemporaneo, Raffaello Cortina Editore, Milano 2004. Adorno Th. W., Teoria estetica, Einaudi, Torino 1999. Barthes R., La camera chiara. Nota sulla fotografia, Giulio Einaudi Editore, Torino 1980, 2003. Bataille G., Storia dell’occhio, trad. it. di D. Bellezza, Gremese, Roma 1980. Bataille G., L’erotismo, trad. it di A. dell’Orto, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1969. Bataille G., La letteratura e il male, trad. it. di A. Zanzotto, Mondadori, Milano 1991. Baudrillard J., Della seduzione, trad. it. di P. Lalli, SE, Milano 1997. Bellmer H., Anatomia dell’immagine, a cura di O. Fatica, Adelphi Edizioni, Milano 2001. Bertram G., Arte. Un’introduzione filosofica, trad. it. di A. Bertinetto, Einaudi Editore, Torino 2008. Colombati C., Il suono dell’acqua in Acqua, storia di un simbolo tra vita e letteratura, Atti del Convegno di poesia, Edizioni Transeuropa, Civitanova, Marche 1997. D’Annunzio G., Il piacere, a cura di F. Roncoroni, Mondadori, Milano 1995. De Sade D. A. F., La filosofia nel boudoir, trad. it. di C. Rendina, Newton Compton Editori, Roma 1974. Deleuze G., Foucault, trad. it. di P. A. Rovatti e F. Sossi, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 1987. Di Quarto A., Giordani M., Moana e le altre. Vent’anni di cinema porno in Italia, Gremese Editore, Roma 1997. Foucault M., Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France (1973-1974), trad. it. di M. Bertani, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2010. Foucault M., La cura di sé. Storia della sessualità 3, trad. it. di L. Guarino, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 1985. 129 Foucault M., La volontà di sapere. Storia della sessualità 1, trad. it. di P. Pasquino, G. Procacci, Feltrinelli Editore, Milano 2013. Foucault M., L’uso dei piaceri. Storia della sessualità 2, trad. it. di L. Guarino, Feltrinelli Editore, Milano 2002. Foucault M., Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, trad. it. di E. Panaitescu, Rizzoli Editore, Milano 1967. Giannatempo S. (a cura di), Schermi (h)ardenti. Pornocinema italiano e dintorni, Profondo Rosso sas, Roma 2012. Jankélévitch V., Debussy e il mistero, trad. it. di C. Migliaccio, SE Edizioni, Milano 2012. Macrì T., Il corpo postorganico, Costa & Nolan Editori, Genova 2006. Martin J. H., Man Ray. Photographs, New York, Thames and Hudson, 1982. Mazzocut-Mis M., Il senso del limite. Il dolore, l’eccesso, l’osceno, Mondadori Education, Milano 2009. Perniola M., Il sex appeal dell’inorganico, Einaudi Editore, Torino 1994. Smith C., Recitare il porno. Il sesso e il corpo performante, trad. it. di G. Maina, Mimesis Edizioni, Milano 2013. Steiner G., Linguaggio e silenzio (1967), trad. it. di R. Bianchi, Garzanti, Milano 2006. Terrosi R., Storia del concetto d’arte. Un’indagine genealogica, Mimesis Edizioni, Milano 2006. Weber M., Considerazioni intermedie, Il destino dell’Occidente, trad. it. di A. Ferrara, Armando Editore, Roma 2006. Vinca-Masini L., L’arte del Novecento. Dall’Espressionismo al multimediale, Giuti Gruppo Editoriale, Firenze 1989. 130