Le guerre africane - Fondazione Nigrizia Onlus

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Le guerre africane - Fondazione Nigrizia Onlus
Barometro dei conflitti
LE GUERRE AFRICANE
Secondo le analisi dell’istituto tedesco Hiik, è aumentato, nel 2013,
il numero dei conflitti più violenti nel continente. Un dato da affiancare
alla crescita del 53% delle importazioni di armi nei paesi africani
nel quinquennio 2009-13. Il caso Angola, con gli interessi italiani.
di GIANNI BALLARINI
C
i sono alcune verità di latta che
continuano a essere smerciate
come verità d’acciaio. Una di
queste vorrebbe il mondo (e
l’Africa) aver svoltato l’angolo, abbracciando una politica gandhiana. Si racconta che il numero di guerre e conflitti
violenti in questi anni sarebbe drasticamente calato. Ma è proprio così? L’Istituto per la ricerca internazionale sui conflitti, presso l’università tedesca di Heidelberg (Hiik), pubblica dal 1991 il
“Barometro dei conflitti”, tra le più approfondite analisi sui fermenti che terremotano il globo. Secondo l’ultimo bollettino, il 2013 è stato, con il 2011, l’anno che ha fatto registrare più guerre dopo
il secondo conflitto mondiale: 20, per
l’esattezza, due in più rispetto al 2012.
L’istituto tedesco classifica i conflitti, in
base al loro livello di intensità, in cinque
gradi di escalation: conflitti latenti, conflitti manifesti, crisi, crisi gravi (o guerre
limitate) e guerre.
La cronaca spicciola dei numeri parla
di 414 conflitti attivi nel 2013 in tutto il
mondo. Di questi, 221 hanno visto l’uso
della violenza; 45 quelli altamente violenti (guerre e guerre limitate).
E nonostante le istituzioni internazionali, all’improvviso, si siano svegliate
dall’incubo delle aspettative catastrofiste
nei confronti dell’Africa, la regione a sud
del Sahara ancora oggi barcolla sull’orlo
del burrone, per la sua fragilità. E se è
vero che c’è stato un calo dei conflitti
classificati altamente violenti (18 contro
i 20 del 2012), è aumentato il numero
delle guerre, passate da 10 a 11 (più della
metà del totale delle guerre nel mondo).
Difficili da archiviare, dunque, come
parole impregnate di ragnatele, quelle
dello storico Gian Paolo Calchi Novati,
per il quale è attraverso «la guerra o forme di violenza a intensità variabile, come
i colpi di stato, che si decide in Africa la
successione al vertice dello stato fra partiti concorrenti, fra civili e militari o fra i
diversi aspiranti all’interno di uno stesso
gruppo dirigente o di uno stesso clan».
Il primato, triste in questo caso, lo
vantano Sudan e Sud Sudan, dove si registrano 5 situazioni di conflitto che hanno raggiunto il livello più preoccupante.
L’ultima guerra è scoppiata a metà dicembre a Juba, con lo scontro tra le fazioni seguaci del presidente Salva Kiir e
dell’ex vicepresidente Riek Machar. Ma
poi ci sono le violenze etniche (sia al
nord che nel sud); la crisi in Darfur; lo
scontro di Khartoum con l’Spla/n, nel
Sud Kordofan e nel Nilo Azzurro. Vere e
proprie guerre sono state combattute,
poi, anche in Somalia (da 8 anni ininterrottamente), in Nigeria (non solo con i
Boko Haram, nel nord, ma anche tra
agricoltori cristiani delle etnie berom e
tiv contro i nomadi fulani, prevalentemente islamici), nell’Rd Congo (nella
regione del Kivu con l’M23), in Mali e
nella Repubblica Centrafricana. A nord
del Sahara, la situazione peggiore si è
avuta in Egitto.
E se le terre, almeno in alcune aree
africane, continuano a restare insanguinate, gli arsenali si confermano pingui.
Molti paesi del continente, vista la crescita economica attesa nei prossimi anni,
stanno iniziando a diventare clienti attraenti nel mercato internazionale delle
armi. Secondo Forecast International, sito
americano di analisi militare, la spesa
africana supererà i 46 miliardi di dollari entro il 2018. Nel 2012, per il Sipri
(Istituto internazionale di ricerca sulla
pace di Stoccolma) la spesa era stata di
39,2 miliardi di dollari. Tra il 2004-2008
e 2009-13 le importazioni di armi nei
paesi africani sono aumentate del 53%
(rapporto Sipri pubblicato il 17 marzo
scorso). I tre maggiori importatori, negli
ultimi 5 anni, sono stati Algeria (36%
delle importazioni), Marocco (22%) e
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Città del Capo (Sudafrica). La portaerei italiana
Cavour con la fregata Bergamini in una tappa
del “tour” armiero in Africa.
Sudan (9%). Dopo Khartoum,
è l’Uganda il
maggior paese importatore dell’area
subsahariana
(16% del totale regionale).
Per molti
anni, risorse e
investimenti sono
stati dedicati alle forze terrestri e aeree, penalizzando la componente
navale. Ora la tendenza si sta invertendo,
a causa dell’esigenza di difendere le nuove e consistenti risorse economiche scoperte al largo di molte coste africane. Un
esempio sono il Mozambico, che vuole
costruire da zero la sua marina, e soprattutto l’Angola. Luanda ha un bilancio
della difesa in continua crescita e pari
quest’anno a 5,7 miliardi di dollari, secondo in Africa solo all’Algeria. Un mercato, quello angolano, che ha attirato
anche le attenzioni italiane, che vuole
vendere prodotti legati alla protezione
delle frontiere e delle aree marittime di
interesse economico, che si estendono
fino a 200 miglia dalle coste. Aree ricche
di petrolio off-shore. Il 19 novembre
scorso il ministro della difesa angolano,
Cândido Van-Dúnem, era arrivato a Roma per stringere un patto di ferro con il
suo omologo italiano di allora, Mario
Mauro. Nell’occasione la delegazione angolana visitò anche gli stabilimenti e gli
uffici di alcune aziende del gruppo Finmeccanica. L’accordo di novembre doveva concretizzarsi il 17 febbraio scorso.
Mario Mauro era atteso a Luanda. Ma
proprio in quelle ore il governo Letta
venne silurato e la visita saltò. Doveva
essere l’unica tappa di Mauro sulla portaerei Cavour, in viaggio nei porti africani.
In quei giorni, infatti, il 30° Gruppo navale – guidato dalla “Cavour” e composto poi dalla rifornitrice “Etna”, dalla
nuova fregata “Bergamini” e dal pattugliatore “Borsini” – era giunto nella capitale angolana. Il cosiddetto “Expo galleggiante di armi” era salpato il 13 novembre da Civitavecchia in un “tour” battezzato “Sistema paese in movimento”. La
LEGENDA
Assenza di conflitti violenti
Crisi violente
Guerre limitate
Rd Congo (Fdlr)
Rd Congo (violenza tra gruppi militanti)
Rd Congo (Ituri milizie)
Rd Congo (Mai-Mai)
Kenya (violenze interetniche)
Nigeria (gruppi Eggon/Stato di Nasarawa)
Guerre
Repubblica Centrafricana (gruppi ribelli)
Rd Congo (M23)
Mali (gruppi islamisti)
Nigeria (Boko Haram)
Nigeria (scontri tra agricoltori e pastori nomadi)
Somalia (gruppi islamisti)
Sud Sudan (violenze interetniche)
Sud Sudan (disertori Spla)
Sudan (Darfur)
Sudan (violenze interetniche)
Sudan (Splm/a-nord /Sud Kordofan, Nilo Azzurro)
Fonte: Istituto per la ricerca
internazionale
sui conflitti di Heidelberg.
Cavour e le altre navi hanno trascorso 5
mesi attraccando nei porti di 7 paesi del
Golfo arabico e di 13 africani. Costo iniziale della missione: 20 milioni di euro,
che potrebbero diventare 33 a viaggio
concluso.
Una delle tappe cruciali della missione doveva essere proprio Luanda. Il
bidone di Mauro ha sconvolto il programma, anche se 5 ministri angolani
hanno comunque visitato la portaerei.
Secondo il sito specializzato Analisi difesa, tra gli oggetti del desiderio del governo locale ci sarebbe anche la portaerei
Garibaldi, nonostante le già 30 candeline sulle sue spalle. La marina angolana
ha infatti «la necessità di dotarsi di un
ampio strumento di altura per contrastare la pirateria e controllare la zona
economica esclusiva».
Per tale ragione Van-Dúnem ha
espresso il desiderio di incontrare al più
presto il nuovo ministro della difesa italiano, Roberta Pinotti. Chissà se l’export armiero resta una delle priorità
anche per il governo Renzi, che s’è affrettato ad annunciare tagli alla difesa
Q
per 3 miliardi di euro.
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