Sullo Stato. Chi ha ragione: Hegel o Locke?

Transcript

Sullo Stato. Chi ha ragione: Hegel o Locke?
NUMERO ZERO
WWW.LABOURATORIO.IT
3 DICEMBRE 2007
SOMMARIO
Il signor Labouratorio qui, è un po’ situazionista ............................................................................................................................ 2
Le affinità elettorali............................................................................................................................................................................. 2
Rai, l’unico servizio pubblico è aprire al mercato............................................................................................................................ 3
Come sarà la Terza Repubblica?....................................................................................................................................................... 4
Ri-lettura critica del brand Beppe Grillo ........................................................................................................................................... 5
Intercettazioni. “Basta giovanili giochini socialisti. M’iscrivo alle primarie della giovanile del PD” .......................................... 6
La politica delle ideologie e quella dei volti ..................................................................................................................................... 7
Diritti civili e sociali: la lezione di Martin Luther King ..................................................................................................................... 8
“Previsioni del tempo” per la prima settimana di Dicembre........................................................................................................... 9
La ripresa del socialismo in Italia: quali possibilità. ....................................................................................................................... 9
Socialisti?.......................................................................................................................................................................................... 10
Orgoglio e Laicità ............................................................................................................................................................................. 11
Sulla modernità................................................................................................................................................................................. 13
Sullo Stato. Chi ha ragione: Hegel o Locke? ................................................................................................................................. 14
LABOURATORIO
Pagina 1 di 14
NUMERO ZERO
WWW.LABOURATORIO.IT
3 DICEMBRE 2007
Il signor Labouratorio qui, è un po’ situazionista
di Tommaso Inoz Ciuffoletti
” Il cammino dell’ uomo timorato è minacciato dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi. Benedetto sia colui
che nel nome della carità e della buona volontà conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre, perché egli è il pastore di suo fratello
ed il ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia ricadrà con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno su coloro che proveranno ad
ammorbare e distruggerei i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome è quello del Signore quando farò calare la mia vendetta sopra di
te..”
Ezechiele 25:17
Sì, lo so che questa citazione è la più inutile per aprire il numero Zero di un
settimanale online che si occuperà di politica, attualità, economia,
società etc … Non ha molto senso neppure il fatto che si tratti di un passo
della Bibbia, in fondo un comun denominatore dei redattori di questo
magazine online non è solo quello di essere giovani, ma anche quello
di essere tendenzialmente laici.
Giovani, laici, labouranti e libertari. Il titolo della rivista, Labouratorio, già
dice molto. Ci piace però sottolineare più il riferimento al “laboratorio”, che
non quello al “labour”. Laboratorio per “sperimentazioni alchemiche” di quella
sinistra moderna e liberale che oggi più che mai manca al nostro paese. Ci
piace pensare che questo possa diventare luogo di dibattito e confronto fra le
ragioni, spesso comuni, che animano il fare ed il pensare politico di molti di
noi. Socialisti, radicali, repubblicani, liberi liberali e magari anche
piddiini (sostenitori del Partito Democratico), oltre le appartenenze di
schieramento e senza dimenticare che alcuni di noi, di appartenenze politiche o partitiche, non ne hanno alcuna.
Tuttavia, quell’apparentemente inutile citazione, ha un sapore squisitamente situazionista e questa cosa ci piace assai. Sì,
siamo un po’ situazionisti. Cosa significa?
Magari significa che voi siete gli uomini malvagi e noi siamo gli uomini timorati; ed il signor Laboratorio, qui, lui è il pastore che
protegge il nostro timorato sedere nella valle delle tenebre.
O può voler dire che voi siete gli uomini timorati e noi siamo i pastori ed è il mondo ad essere malvagio ed egoista, forse. Questo ci
piacerebbe, ma questa cosa non è la verità.
La verità è che voi dovete leggere Labouratorio e farlo leggere a tanti altri uomini timorati, mentre la tirannia degli uomini
malvagi avrà cura di ignorarci o di boicottarci. Ma noi ci proveremo, ci proveremo con grande fatica a diventare sempre migliori.
Le affinità elettorali
di Riccardo Monaco
Una parte piuttosto consistente degli ordinamenti democratici contemporanei utilizza un termine specifico per definire la fattispecie
pratica di forzata convivenza istituzionale tra due soggetti partitici altrimenti antagonisti. Si va dall’”Anatra Zoppa” americana, con cui si
indica il funzionamento della macchina amministrativa nel caso di una maggioranza congressuale differente dal partito del Presidente
Federale, alla “Coabitazione” della quinta repubblica francese, verificatasi per la prima volta 21 anni orsono, tra Presidente e Primo
Ministro di schieramenti difficilmente conciliabili.
Nel modello britannico, l’accezione assume tinte apparentemente sinistre, con l’individuazione del Primo Ministro Ombra, dotato
relativo apparato governativo alternativo. Una figura che trova addirittura la propria veste ufficiale nell’ordinamento parlamentare e che
rappresenta il caso, più unico che raro, di accurata regolamentazione legislativa del ruolo dell’opposizione.
In Italia, nell’anno 13 della transizione post-referendaria, la realtà coabitativa, lungi da un collocamento de iure, esorbita dall’alveo
costituzionale e si posiziona direttamente nel contesto ipertrofico della comunicazione di massa. In verità, ciò che stupirebbe di più un
osservatore esterno alle vicende del Belpaese, non è tanto la modalità, quanto la composizione del dualismo: Premier e Leader
dell’opposizione, come logico attendersi in un sistema bipolare? Non proprio.
Il segretario del partito nato formalmente anche per rafforzare la posizione del capo del governo, ma di cui il medesimo non è il leader,
da un lato; e l’uomo simbolo dell’ultimo partito personale rimasto sulla scena europea, fresco di asprissimo smarcamento lampo dagli
alleati dell’opposizione, dall’altro.
LABOURATORIO
Pagina 2 di 14
NUMERO ZERO
WWW.LABOURATORIO.IT
3 DICEMBRE 2007
Una bizzarria, più che un ordinato ed ordinario bipolarismo, per cui già è stato
coniato il neologismo “Veltrusconi”.
E così, il giorno zero dell’Italia Veltrusconiana, albeggia due volte: sale stampe
distinte, seppur contigue; conferenze distinte, seppur consecutive; stesse
domande, risposte diverse, ed esito scontato. Al punto tale che resta da chiedersi
se dall’incontro scaturiscano effettivamente notizie d’interesse, o novità pratiche. Si
parla di convergenza, di punto d’equilibrio e di normalità del Paese. Veltroni,
sornione, sembra non nascondere i tratti caricaturali che hanno fatto la fortuna dei
suoi imitatori. Il numero uno del Partito Democratico si definisce soddisfatto
dall’incontro di due forze politiche “alternative, ma anche (Crozza docet!) in grado
di lavorare insieme” e auspica, rispolverando il classico “I Care”, la convergenza
necessaria per le riforme istituzionali, nel comune interesse del bene dei Cittadini
tutti. “Componendo i contrasti”, aggiungerebbe Corrado Guzzanti.
Non meno stereotipo il leader del nascente PdL che, con un pizzico di fairplay in meno del rivale ma con tono insolitamente solenne,
sembra essenzialmente ripetere i temi portanti dei 18 mesi di opposizione: inammissibilità del governo Prodi, necessità di dimissioni
del medesimo, e il “non possumus” su qualsiasi iniziativa della maggioranza, eccezion fatta per la legge elettorale. Nulla che non sia
già stato dichiarato, quotidianamente, dall’aprile del 2006 ad oggi. Uniche variazioni sul tema, il panegirico sulla ventennale
frequentazione con il neo-segretario del PD e un inusuale “no comment” di fronte all’invito ad esprimersi sugli orrori del comunismo,
uno dei discorsi preferiti dal Cavaliere.
Tirando le somme, quindi, il flebile e significativo punto focale tra i due, altro non è se non il già noto, e difficilmente ignorabile, intento
di superare l’attuale sistema elettorale. Ovvero: una necessità su cui l’intero arco costituzionale concorda dal 2006, compreso
l’estensore della legge attualmente in vigore.
Il modello di convergenza, ovviamente, è quel “Vassallum”, un po’ tedesco e un po’ spagnolo, senza liste di preferenza (in barba
all’opinione pubblica davvero bipartisan sull’argomento) e con peculiarità che, incredibile a dirsi, calzano a pennello sui partiti più forti
delle rispettive coalizioni. Veltroni lo definisce come in grado di rafforzare il bipolarismo, e, contestualmente, anche il principio
proporzionale, appianando le distanze tra le due componenti.
Peccato che, al momento, l’unico bipolarismo che sembra delinearsi da tale punto d’incontro sia quello che oppone a PD e PdL la la
levata di scudi che parte da Gianfranco Fini e circumnaviga il globo politico fino a Diliberto, riuscendo a unire nelle perplessità Mastella
e Rifondazione, Calderoli e Pecoraro Scanio, Bordon e Storace.
Ma, in fondo, sono solo improbabili dualismi strutturali destinati ad essere assorbiti dall’ordinamento politico.
Come l’Anatra Zoppa, la Coabitazione, il Governo Ombra. E il Paese Normale.
Rai, l’unico servizio pubblico è aprire al mercato
di Redazione
Articolo di Andrea D’Uva
Non passa giorno senza che la telenovela Rai si arricchisca di una nuovo capitolo. Dopo
la rimozione del consigliere Petroni, nominato dal Tesoro in era berlusconiana, e la sua
sostituzione con persona più gradita all’attuale maggioranza politica, dopo la sfiducia al
Presidente Petruccioli votata dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza, è esplosa la
bomba delle intercettazioni telefoniche tra dirigenti Rai e Mediaset i quali si appattavano
su come far passare le notizie politicamente più scomode. Le polemiche chiamano in
causa il problema più generale dell’informazione e dell’assetto radiotelevisivo in Italia. Il
duopolio televisivo formatosi alla fine degli anni ’80 per merito del Berlusconi imprenditore
il quale, con il possesso di tre reti private ha aperto il mercato della raccolta pubblicitaria
fino ad allora dominato dalla Rai. Tale fenomeno ha gradualmente spinto la televisione
pubblica ad inseguire quella commerciale sul terreno della corsa all’audience con
progressivo abbandono del ruolo di servizio pubblico. Poi la discesa in campo a metà
degli anni ‘90 con il conflitto d’interessi tra il Berlusconi politico e quello imprenditore dei
media ha bloccato per oltre un decennio il dibattito su posizioni propagandistiche. Da sinistra si gridava allo scandalo per la
concentrazione nelle mani di un solo soggetto, per di più protagonista dell’agone politico, dei mezzi d’informazione la destra rispondeva
che si attaccava il diritto all’impresa e si tentava l’esproprio proletario della proprietà privata. Né gli uni né gli altri, quando hanno avuto
responsabilità di governo hanno affrontato il problema alla radice. Il controllo della televisione pubblica da parte della politica è stata
una tentazione troppo forte; d’altronde si è sempre detto che la Rai vale più di un ministero. Nonostante un referendum (il cui merito va
ascritto ai Radicali) votato dai cittadini italiani i quali, stanchi di pagare un canone sempre più esoso a fronte di una programmazione
televisiva eufemisticamente mediocre, si dichiaravano a favore della privatizzazione della Rai la politica si è limitata a modificare i
criteri di nomina dei vertici della televisione pubblica. Come in matematica l’ordine dei fattori non ha cambiato il risultato.
La soluzione potrebbe venire dall’applicazione di una norma del libero mercato: l’antitrust.
Porre cioè un limite alla concentrazione nelle mani di un solo soggetto, sia esso pubblico o privato, all’interno di un settore
commerciale. Sarebbe una politica coraggiosa e lungimirante quella che sposti il dibattito sulle regole generali della concorrenza
LABOURATORIO
Pagina 3 di 14
NUMERO ZERO
WWW.LABOURATORIO.IT
3 DICEMBRE 2007
piuttosto che sul controllo contingente dei mezzi d’informazione. Mettere sul mercato cioè vendere, una rete Rai ed imporre a Mediaset
di cedere almeno un canale. L’esperienza è già fatta in Francia con la cessione del primo canale pubblico all’imprenditoria privata.
L’apertura del mercato televisivo (e pubblicitario) ad altri soggetti imprenditoriali alimenterebbe la speranza che la concorrenza innalzi
la qualità del prodotto finale, riducendo allo stesso tempo il peso della politica sulla televisione pubblica. Una riforma che
permetterebbe alla Rai di tornare a fare servizio pubblico di informazione, formazione ed approfondimento, sul modello della BBC
inglese, limitando la pubblicità e abbattendo il canone ovvero superando questa modalità di finanziamento tanto invisa ai cittadini,
almeno a quelli onesti che lo pagano. Se una simile riforma fosse approntata si sarebbe superato d’un colpo anni di sterili dibattiti sul
conflitto d’interessi, sulle nomine Rai, sulla libera informazione o almeno si risparmierebbe al servizio pubblico una parte nella
commedia della tv-spazzatura. Dalla politica vengono segnali poco incoraggianti, quello della privatizzazione della Rai è uno
spauracchio che molti agitano nella speranza che mai arrivi, consapevoli del fatto che il controllo dell’informazione permette di supplire
alle manchevolezze di una casta politica inconcludente e mossa da interessi particolari. A noi rimane la libertà di avanzare proposte
coraggiose, nella speranza che prima o poi qualcuno voglia guardare la luna e non il solito dito.
Come sarà la Terza Repubblica?
di Andrea Pisauro
Nell’ultimo mese abbiamo assistito ad un crescendo di avvenimenti: la nascita del partito
democratico (14 ottobre), il disfacimento finale dell’Unione (sulla finanziaria, alla camera come
al senato) e della Casa delle Libertà (rottura definitiva tra An, Udc e FI) e per finire la nascita,
improvvisa quanto spettacolare, del Partito del Popolo (18 novembre, da qui in avanti
semplicemente PB, Partito Berlusconiano). Ma il terremoto che ha fatto deflagrare il sistema
politico italiano ha preso avvio all’inizio dell’anno, con la prima crisi del governo Prodi e l’inizio
del processo costituente del Partito Democratico, e affonda le sue radici nella crisi irreversibile
della stagione politica nota come Seconda Repubblica, 15 anni in cui il paese è rimasto
ostaggio della contrapposizione artificiosa tra una coalizione “comunista” ed un “berlusconiana”
Il 2007 dunque, come già capitato al 1992, sarà ricordato come l’anno della svolta: lo
sbriciolamento della Seconda Repubblica, sulle cui ceneri inevitabilmente nascerà la terza.
E’ pertanto estremamente attuale domandarsi come sarà la Terza Repubblica. Molti osservatori
hanno visto in questi anni nella seconda repubblica, null’altro che la prosecuzione della prima
in una sorta di transizione incompiuta che non ha prodotto i risultati sperati. Oggi è quindi
fondamentale interrogarsi sugli elementi necessari a far sì che l’evoluzione del sistema politico si compia davvero e l’Italia inizi ad
essere una democrazia efficiente, in cui gli elettori possano essere rappresentati ed effettivamente in grado di determinare le politiche
del paese attraverso un sistema partitico in grado di produrre “buona politica”.
Tre sono gli elementi che è opportuno considerare per giudicare lo stato della transizione in atto e la sua destinazione finale: gli attori
che si confrontano, le strategie da loro utilizzate e le regole del gioco politico in cui si confrontano.
Dal punto di vista degli attori in gioco, ovvero i partiti politici, possiamo distinguere tre ulteriori aspetti: la forma partito, l’identità politicoculturale e la leadership. E’ evidente che una rivoluzione è in atto. Nello schieramento di sinistra molti dei vecchi partiti sono scomparsi
(Ds Margherita Sdi) o stanno per scomparire (PRC, Pdci e Verdi) e nuovi soggetti politici appaiono sulla scena (il Pd, il Partito
Socialista, e forse anche un Partito comunisteggiante), in quello di destra il rinnovamento è più marginale con il cambio di nome del
partito di Berlusconi e la nascita del movimento di Storace. Più indietro siamo invece per quanto riguarda il rinnovamento della
leadership, dove l’unica parziale novità è rappresentata dalla ascesa di Veltroni al trono del PD (Berlusconi sta combattendo per
riuscire a traghettarsi nel futuro mentre Prodi è e rimarrà prigioniero di una coalizione che non esiste più). Negli altri partiti o cantieri
ancora tutto tace.
Anche da un rapido sguardo alla situazione degli attori politici (e attuando necessarie semplificazioni) è possibile scorgere i due
possibili destini della nuova stagione politica: il PD e il PB si prefigurano come partiti “liquidi”, leggeri, con una forma partito
“all’americana”, un’identità politico-culturale sfumata e una leadership molto forte. Gli altri partiti (esistenti o nascenti come il PS)
presentano identità più marcate, forme partito più tradizionali (e più europee) e leadership più vincolate.
Anche per quanto concerne la strategia attuata dai vari soggetti in campo sono facilmente individuabili due prospettive alternative. A
parole quasi tutti gli attori (tranne il vecchio Prodi e l’incauto Fini non a caso bastonato da Sartori nel fondo sul Corriere del 28
novembre) sembrano voler passare dall’ottica maggioritaria di un confronto tra coalizioni a quella proporzionale di una lotta tra partiti.
Mutamento questo, indubbiamente collegato alla necessità di pesare la consistenza dei vari competitors nel nuovo scenario. Sbaglia
però chi pensa che con la scomparsa della logica di coalizione venga meno anche il bipolarismo che è, de facto, una caratteristica
strutturale degli elettorati dei regimi democratici. Quello che si sta dissolvendo in queste ore è il cosiddetto “bipolarismo bastardo” che
con grande lungimiranza noi socialisti abbiamo da tempo individuato come il vero ostacolo al dispiegarsi di efficaci strategie politiche.
Non resta dunque che sperare che i partiti si dirigano ora senza indugio verso un bipolarismo dei contenuti, in cui ad affrontarsi siano
diverse soluzioni agli atavici problemi che affliggono l’Italia.
LABOURATORIO
Pagina 4 di 14
NUMERO ZERO
WWW.LABOURATORIO.IT
3 DICEMBRE 2007
Tuttavia è possibile e da non sottovalutare anche un’altra, nefasta, evoluzione, non auspicata apertamente da nessuno ma che trova il
suo riscontro nella nascita e nelle caratteristiche per ora solo tratteggiate di PD e PB: un sistema bipartitico. E’ fondamentale
considerare l’ipotesi che Veltroni e Berlusconi possano felpatamente convergere verso la tattica del fumo negli occhi per arrivare al
referendum, o più probabilmente a una riforma elettorale che favorisca un’evoluzione di questo tipo (il “Vassalum”).
Per quanto concerne le regole del gioco tutto è ancora immobile, ed è il vero nodo da risolvere per poter finalmente decretare la
nascita della terza repubblica. Se finalmente sembra esserci un consenso di massima sul modello elettorale tedesco, da diverso tempo
c’è un comune sentire sulle riforme istituzionali, dalla fine del bicameralismo perfetto al rafforzamento dei poteri del premier. Tutto sta
però a portare a termine ciò che sembra davvero ad un passo, senza dimenticare che con il referendum di primavera lo spettro del
bipartitismo si manifesta anche nero su bianco.
In questo contesto sarebbe davvero auspicabile che il Partito Socialista inizi a cavalcare l’onda del rinnovamento smettendo di
navigare a vista. Al congresso un ricambio della classe dirigente e un rinnovamento della forma partito (non in senso “americano”, ma
in trasparenza delle decisioni e democrazia interna per ridare valore al ruolo dei militanti, la rivoluzione delle commissioni tematiche
aperte ai cittadini che garantiscano un’elaborazione culturale continua ormai impossibile per il PD); nell’immediato un mutamento netto
di strategia, e un’azione incisiva per portare a termine le riforme elettorali e istituzionali.
Esigenze queste, da realizzare non solo per emergere nell’agone politico, ma anche per iniziare a dare battaglia al vuoto ideale e
culturale dei due (attualmente) maggiori partiti (PD e PB).
Nel breve periodo dovremo dunque adoperarci con tutte le nostre forze per disinnescare il referendum sulla legge elettorale e condurre
in porto la riforma elettorale mentre nel lungo periodo porteremo l’onore e l’onere di dare battaglia a quella che si prefigura già come la
nuova anomalia italiana della da noi auspicata terza repubblica: due giganteschi pesci fuor d’acqua nati per nuotare nel lago stagnante
del bipartitismo all’italiana e finiti (si spera) ad annaspare nell’impetuoso fiume del proporzionale.
Dunque non resta che rimboccarsi le maniche per andare, con la ragione e col cuore, sempre avanti!
Ri-lettura critica del brand Beppe Grillo
di Redazione
Articolo di Andreas
Fatta eccezione per una decina di articoli di analisi sociologica del “fenomeno Grillo”, la
maggior parte dei commentatori che si è prodotta in considerazioni intorno al v-day ha
lavorato, come a causa di un riflesso condizionato, per trascinare il comico genovese ed il
movimento da lui innescato nel gran pantano del dibattito politico, quasi ad esorcizzarne
le novità con le forme e l’approccio prima ancora che con i contenuti; il dualismo politicaantipolitica ha ridotto Grillo, nella lettura convenzionale dei più, ad un problema “di
palazzo”. In ultima istanza, è stata concessa d’ufficio la dignità di esponente politico,
peraltro prossimo a promuovere liste elettorali, ad un “gran comunicatore” che in un
pomeriggio di settembre ha convinto 300.000 persone ad apporre la propria firma sotto ad
una quantomai sgangherata proposta di legge di iniziativa popolare.
Ma Beppe Grillo ed il grillismo non vivono nello spazio mediatico tradizionale, che viene
anzi ostentatamente rifiutato e bollato come semplice componente del sistema da
combattere. Dopo che stampa e TV hanno fornito tutte le letture possibili del “Grillo
politico”, è forse il caso di contribuire al meno frequentato, ma forse più importante filone
giornalistico del Grillo “gran comunicatore”.
Pochi hanno infatti rilevato che in Grillo convivono diverse figure. Si tratta, prima di tutto, di un comico, o di un ex comico, come lascia
intendere Maurizio Milani sul Foglio dell’11 settembre, in ogni caso di un uomo da palcoscenico, che sa utilizzare recitazione, registri e
linguaggi diversi per parlare di economia, ecologia, politica in forma di spettacolo. Il numero di spettatori alle sue tournée è andato
crescendo di anno in anno, fino a prevederne 500.000 entro i prossimi mesi. Un mattatore, insomma, capace di fare il tutto esaurito per
la gioia sua e delle strutture che ne ospitano lo show. Nessuno paga un biglietto per assistere ad un comizio, ma piuttosto per uno
spettacolo che sia capace di scatenare emozione e riflessione.
In secondo luogo, Grillo è un blogger. Mario Adinolfi su Europa dell’11 settembre, al grido di “non dite che non vi avevo avvertito per
tempo”, accenna giustamente al potere di innovazione delle nuove tecnologie nella comunicazione politica, nella costruzione del
consenso, nelle forme e nei contenuti di aggregazione e mobilitazione. In realtà, il momento dello spettacolo agisce di concerto con lo
spazio digitale. Se gli spettacoli hanno probabilmente contribuito alla creazione di un’opinione pubblica per il blog, adesso è
beppegrillo.it a procacciare spettatori per le date delle tournée, il che fa di Grillo un promoter di se stesso, in ultima istanza un
pubblicitario, un venditore. Riccardo Ferrazza, sul Sole 24 Ore dell’11 settembre, insieme ad una più documentata analisi del Grillo
“fenomeno digitale”, non dimentica di sottolineare come il suo blog sia anche un negozio in rete che ha l’esclusiva per la vendita di libri
e DVD degli spettacoli.
LABOURATORIO
Pagina 5 di 14
NUMERO ZERO
WWW.LABOURATORIO.IT
3 DICEMBRE 2007
Il Grillo politico, opinion maker, “riempitore di vuoti”, nella sua versione elettronica prende quindi le fattezze di uno dei tanti operatori
della rete digitale. I risultati conseguiti rivelano un lavoro di marketing probabilmente nient’affatto improvvisato, e ci dicono che la
vendita del prodotto-Grillo si avvale del particolare momento attraversato dal contesto di riferimento (la “crisi della politica”), e di alcuni
di quei caratteri sociologici o pseudo tali su cui i giornali hanno discettato nei giorni scorsi (come la più o meno fondata teoria
dell’essenza anarco-individualista degli italiani). Ma dall’altro lato, Grillo e la sua squadra di giovani collaboratori rivelano una capacità
di utilizzare le nuove risorse di comunicazione in modo abile e smaliziato. Nella versione di scrittore di pagine elettroniche, come
qualcuno ha fatto notare, Grillo ha saputo reinterpretare il significato più autentico della “forma-blog”: un rapporto uno-a-molti. Un forum
o una chat presuppongono un dialogo fra pari, nel blog invece, è colui che compare nella barra degli indirizzi il “capo”, con il quale
l’utente ha la possibilità di concordare, discordare, completare i contenuti, senza però metterne in discussione l’autorità. Ebbene, da
strumento di proposta di se stessi, da momento di condivisione di interessi e “sfogatoio personale” per grafomani, (come era il blog
“delle origini”), Grillo ha fatto di questo veicolo lo “sfogatoio” per centinaia di migliaia di persone, e su tale caratteristica ha costruito la
propria fortuna. Impossibile leggere i commenti degli utenti (da molto tempo ben oltre il migliaio, intorno ai duemila dopo il v-day) alle
parole quotidiane di Grillo; ciò che conta ai fini dell’obbiettivo del blogger, è che le prime decine di questi, cioè quelli leggibili dal
navigatore, siano peana al gran capo, inframmezzati da blande critiche, per lo scorno di tutti coloro che si vedono censurati e che sono
costretti a manifestare il proprio pensiero in altri spazi digitali, solitamente molto meno frequentati. Il popolo del blog diventa quindi una
ridda di voci più o meno stizzite a cui Grillo non risponde mai, che assolve alla funzione di costruire, semplicemente con il numero,
consenso su di lui e dissenso dagli oggetti dei suoi strali. Si innesca quindi un meccanismo di condivisione di frustrazioni, e chissà,
anche di presa di coscienza collettiva. In molti postano commenti premettendo che finalmente hanno trovato su beppegrillo.it il proprio
spazio, quel che cercavano e che mancava loro. Si tratta di una reazione sulla quale da molto tempo vengono costruite le campagne
pubblicitarie: mettere il consumatore nelle condizioni di ritenere necessario il prodotto per pure ragioni di status sociale, di
gratificazione personale. La distanza fra la creazione di nuove necessità e la soddisfazione di quelle esistenti, nei meccanismi della
comunicazione di massa, si riduce fortemente. Quindi, se da un lato Grillo dice “quello che la gente dice o che vuol sentirsi dire” in
forma di invettiva e con linguaggio popolare, dall’altro mette a disposizione contenuti di controinformazione più o meno corretti,
suscitando prese di coscienza che alimentano il meccanismo del consenso. Da qui, il blog e gli spettacoli come veicolo per il lancio di
campagne di forte impatto.
A loro volta, le campagne di Grillo si compongono di diversi elementi. In sede di presentazione del problema, specie durante gli
spettacoli, Grillo propone analisi che rendono conto di una realtà “alla catastrofe”. Successivamente, con un secco cambio di ritmo e la
creazione di aspettativa nel pubblico, il mattatore presenta la sua soluzione, frutto dei contatti con intellettuali ed esperti del settore che
collaborano con lui. Si tratta solitamente di soluzioni estremamente concrete e tangibili, “che si toccano”, e quindi facilmente
comprensibili: dalla macchina a idrogeno alle case indipendenti dal punto di vista energetico, fino alle banche etiche.
A ciò, segue il momento dell’azione, del lancio vero e proprio della campagna: dal tentativo di portare in Telecom un cartello di piccoli
azionisti, con l’illusione di influire concretamente nella politica aziendale abbinata alla catartica invettiva vis à vis ai dirigenti, alla
“colletta” per l’acquisto del microscopio per lo studio delle particelle sprigionate dai termovalorizzatori, strumento del quale due
ricercatori dell’università di Modena erano stati privati, fino al recente “parlamento pulito”, con la famosa proposta di legge di iniziativa
popolare.
La strategia di Grillo contribuisce però a innovare in modo profondo e decisivo le modalità di partecipazione alla politica. Se la formula
venne già utilizzata dai sostenitori di Howard Dean, gli “Amici di Grillo” sfruttano una risorsa già esistente come meetup.com
ampliandone le potenzialità ed esaltando la creatività dell’utente. Il sito americano dà la possibilità di costituire gruppi a livello locale in
ogni città del mondo, aprendo “stanze di ritrovo” a seconda degli interessi individuali. Un passo avanti importante rispetto a forum, chat
e mailing list, carenti nell’individuazione “preventiva” degli utenti dal punto di vista territoriale e quindi molto più “virtuali”. Con 50.000
iscritti presenti in 208 città di 22 paesi del mondo, oggi i Beppe Grillo Meetups appaiono in testa ai top interests nella home page di
meetup.com, seguiti, tanto per dare l’idea della utilizzazione dello strumento in un contesto diverso da quello per il quale era stato
creato, dai Book Club Meetups, Chihuahua Meetups e dai Democratic Party Meetups, che precedono però i meno imprevisti
Dungeons&Dragons Meetups.
Si è creata nel giro di mesi una rete sul territorio disomogenea, a macchia di leopardo, ma talvolta molto capillare, per la quale
qualunque partito politico avrebbe speso energie e tempo. E’ una rete fortemente dipendente dal centro, a questo strettamente legata
dalla fedeltà al capo degli elementi più esperti e dalla scarsa pratica con le cose politiche dei neofiti, e corroborata da una forte carica
di dinamismo ed entusiasmo. In altre parole, il partito sognato da qualunque leader politico. E’ questa la struttura che ha permesso
l’organizzazione del v-day, una grande manifestazione per la quale partiti e sindacati avrebbero utilizzato eserciti di quadri e
amministratori locali, ed è la stessa che adesso si tradurrà in liste elettorali per le elezioni amministrative, nei modi in cui il capotribù
indicherà dal suo antro digitale, quel beppegrillo.it che ambisce a diventare un brand estremamente spendibile sul mercato politico,
come sinonimo dei requisiti basilari richiesti dai cittadini di ogni tendenza al ceto politico-amministrativo: onestà, coerenza,
concretezza, capacità di decidere.
Intercettazioni. “Basta giovanili giochini socialisti. M’iscrivo alle
primarie della giovanile del PD”
di Redazione
Grazie ai nostri potenti mezzi, siamo riusciti ad intercettare una conversazione via Msn tra due bamboccioni, socialisti giovani, curiosi e
un po’ disillusi che parlano tra loro di ciò che li aspetta per questo benedetto Partito Socialista e per la sua paventata organizzazione
giovanile … che anch’essa nuova dovrebbe essere …
LABOURATORIO
Pagina 6 di 14
NUMERO ZERO
WWW.LABOURATORIO.IT
3 DICEMBRE 2007
I nickname usati dai due intercettati sono stati modificati dalla redazione, per garantire il pieno anonimato dei due intercettati .. e per
caratterizzarne il ruolo in questo dialogo.
giovinotto scrive: oh! hai visto della giovanile del PD?
Cinico scrive: no, guarda, oggi la mia giornata è già abbastanza cupa
giovinotto: ma no guarda che è interessante! Pare che loro faranno delle primarie
vere, aperte a tutti e senza quote prestabilite!
Cinico: che loro facciano primarie vere per eleggere il segretario della giovanile del PD
mi sembra poco credibile …
giovinotto: lo so, ma in questo caso mica c’è un Veltronino a monopolizzare tutto? E
poi dovrebbero svolgersi online, nella maniera più aperta possibile
Cinico: vabbè, fammi vedere dove hai letto questa roba
giovinotto: beccati questo file Giovanile del PD
Cinico: aspè che leggo
Cinico: mhhm .. sì interessante è interessante, però dai, Mario Adinolfi che fa il padrino
di questa cosa è inaccettabile
giovinotto: ma cosa me ne frega a me dell’Adinolfi! Ma non vedi che almeno loro
dicono di voler fare qualcosa di nuovo e infondo ci provano davvero? Noi nemmeno
quello
Cinico: in effetti su quello non posso darti torto
giovinotto: ma scusa, io mi candido piuttosto alle primarie della giovanile del PD,
invece che perdere tempo con una “Nuova FGS” che invece rimane uguale alla prima,
con giusto qualche quotina in più e la garanzia di essere un niente politico
Cinico: ti candidi alle primarie della giovanile del PD? Guarda che io ti voto!
giovinotto: ma senti, meglio provare una competizione aperta, che stare a vedere che
giochini fanno a Roma per salvare l’inutile poltroncina di qualcuno
Cinico: ti ripeto, non so quanto sarà realmente aperta … certo è che questi giochini
sulla nuova giovanile socialista ti fanno proprio passare la voglia di perdere tempo
giovinotto: ma dai sù, hanno gestito la cosa in maniera inaccettabile! Hai visto il
documento dei giovani della Fgs Campania (Documento della Fgs Campania)?
Cinico: sì, sì, l’ho visto
giovinotto: e hai letto in giro per forum e siti i vari commenti e cronache di quanto successo a Perugia?
Cinico: sì, sì, sì ho visto tutto!!!
giovinotto: e allora capisci da te che qua, tra questi simpatici giovani socialisti di Roma e dintorni, di voglia di fare cose nuove non ce
n’è nemmeno un po’ e considerato che quelle vecchie non mi piacevano nemmeno prima, allora tanto vale fare un gesto provocatorio e
candidarsi alle primarie della giovanile del PD
Cinico: … vabbè, ma te sei il solito provocatore
giovinotto: no, è che mi sono rotto i coxxxoni
Cinico: in questo ti capisco …
giovinotto: se la tengano loro la “Nuova Fgs Vecchia”
Cinico: massimalista!!
giovinotto: vecchio!
Cinico: ciao anarchico!
giovinotto: ciao matusa!
La politica delle ideologie e quella dei volti
di Matteo Pugliese
La scena più frequente nelle elezioni americane è un palco, un presentatore stile talk-show, una decina di candidati. Tutti di due soli
partiti. Ma non è questo che conta. Conta piuttosto se sono bianchi o neri, se anglicani o mormoni, se abortisti o meno. Vengono
giudicati dagli elettori dal colore della cravatta, dalla capacità di sorridere o di fare una battuta spiritosa o strappalacrime. Questa è la
politica negli USA. Per chi ha il coraggio di chiamarla politica.
Negli Stati Uniti per un candidato l’appartenenza ad una religione ha raggiunto un’importanza davvero elevata. Dichiararsi non credenti
equivale al fallimento politico. Nel paese dove il creazionismo è insegnato e le sette integraliste di ogni tipo sono importanti lobby a
nessuno dispiace l’appoggio di qualche predicatore televisivo come per il candidato Giuliani. La popolazione americana ha delle
caratteristiche di soddisfazione politica molto infantili, ciò è collegabile alla giovane età di questo popolo nonché ad una cultura
nazionale evanescente, basata, appunto, quasi totalmente sulla tradizione religiosa che gli avi hanno portato dai paesi di origine. Gli
Americani vi si attaccano in modo particolare essendo uno dei pochi riferimenti culturali di cui dispongono, qui si spiega la tendenza al
frequente integralismo.
Luigi Barzini su “l’Europeo” n. 14 del ’63 affermava riferendosi alla popolazione italiana di quegli anni: “molti elettori italiani hanno idee
politiche rozze, primitive, in gran parte infantili: essi votano per lo più spinti da odi, risentimenti, nostalgie sentimentali, cause
occasionali, speranze irragionevoli o paure. […] Le donne votano spinte da motivi profondi, nobili, irrazionali, motivi legati alla loro vita
sentimentale e religiosa. Vi sono circa cinque voti femminili per due maschili tra i voti della DC. […] L’elettorato preferisce i partiti di
LABOURATORIO
Pagina 7 di 14
NUMERO ZERO
WWW.LABOURATORIO.IT
3 DICEMBRE 2007
massa che promettono impossibili paradisi terrestri e rivoluzioni che trasformino ogni cosa dalle fondamenta a partiti più seri che
vogliono risolvere realisticamente i problemi con i mezzi a disposizione…”. Ritengo questo spaccato molto attuale per rappresentare la
realtà americana. Il cardine della politica di questo paese è la mancanza di ideologie di riferimento: tutto si basa sulle opinioni personali
dei candidati sui singoli temi. Ci viene presentato un bipartitismo chiuso. Che non garantisce affatto “un’alternanza per l’alternativa” ma
permette un inciucio tra le parti che si passano il testimone lasciando
sostanzialmente ogni cosa invariata.
Passando al Vecchio Mondo ci troviamo di fronte una situazione se non opposta
per lo meno molto differente: le ideologie abbondano e in paesi come il Regno
Unito per esempio, come ha affermato recentemente l’ex premier Blair,
dichiararsi apertamente seguace di un particolare culto o comunque fare
riferimento ad un dio è molto pericoloso in politica. Questa caratteristica
appartiene però quasi solo ai paesi nordici. La Prima Repubblica era
caratterizzata da una fortissima componente ideologica. Con il passaggio alla
Seconda questo fenomeno si è attenuato sino a giungere alla situazione
odierna. Elezioni importanti come quelle francesi piuttosto recenti testimoniano
una situazione non solo italiana ma che si sta diffondendo in tutta Europa più o
meno rapidamente. In Italia l’inaugurazione di questo nuovo metodo è da
attribuire a Silvio Berlusconi, campione di propaganda mediatica. Una parte della
sinistra ha capito che non si può tenere testa al populismo con l’ideologia
quando la popolazione è in gran parte ignorante e si lascia condizionare dalla retorica. Per questo il progetto del Partito democratico è
il tentativo del centrosinistra di scimmiottare il grande partito di Berlusconi che naturalmente vedendosi sfidato rilancia fondando un
nuovo soggetto più populista e arido. Entrambi i progetti: PD e Partito della Libertà sono due contenitori vuoti e riempiti uno dal “maanchismo” di Veltroni e l’altro dall’ego di Berlusconi.
La recente decisione del segretario del PD per cui non ci saranno tesserati al partito è un segno di cambiamento. Ci si avvicina ai
partiti americani, senza tessere, con speciali Card per i funzionari, partiti che si riuniscono solo per le elezioni. Scatole vuote appunto.
Tutto ciò deve essere evitato e progetti minori come il Partito Socialista che si rifanno ad una centenaria tradizione devono impedire
che questo accada.
Diritti civili e sociali: la lezione di Martin Luther King
di Danilo Di Matteo
Anche i più convinti sostenitori delle riforme di Luis Rodriguez Zapatero tendono spesso a
considerarle importanti conquiste nell’ambito dei diritti civili. Così vi è chi ritiene che in un mondo
nel quale le grandi scelte strategiche ed economiche sono legate a mille vincoli e compatibilità, al
socialismo delle libertà e dei cittadini non resti che migliorare la qualità della vita estendendo i
diritti civili e promovendone il rispetto.
Ma è proprio così? Volgiamo lo sguardo insieme al passato e all’oggi. L’abolizione dello
schiavismo negli Usa rappresentò insieme l’acquisizione di diritti e un grosso mutamento sociale
(non privo di risvolti controversi). Per Giovanna Reggiani il diritto alla sicurezza era condizione
indispensabile per muoversi in città e tornare a casa. A pensare che ancora sussiste in certi
ambienti un atteggiamento indulgente nei confronti dello stupro! La maternità e la paternità
responsabile, e quindi la possibilità di ricorrere alle tecniche di fecondazione assistita,
rappresentano un momento fondamentale nella vita dei singoli, delle coppie e della comunità. E
la moratoria delle esecuzioni capitali ha mille risvolti politici e sociali nel mondo. Per non dire dei
milioni di uomini e donne gay verso i quali si continuano a ergere steccati e pregiudizi. O delle
mille barriere mentali (e non solo) nei confronti dei disabili, che contribuiscono sovente, ad
esempio, a rendere per loro quasi impensabile una vita sentimentale soddisfacente.Ecco: l’anno
prossimo ricorrerà il quarantennale della morte di Martin Luther King. Scorrendo il libro della sua
vita, si scorge subito il legame che egli coglieva fra la fine della segregazione razziale (i diritti civili), il suffragio davvero universale
(diritti politici), la guerra alla povertà (diritti sociali). Nell’ultimo King si nota un’impostazione più radicale, è vero, soprattutto in risposta
alla miseria e all’abbrutimento della vita nei ghetti del Nord; ma l’ansia di giustizia sociale è presente fin dall’inizio, nutrendosi fra l’altro
del Social Gospel (il Vangelo sociale).Il messaggio principale dell’apostolo della nonviolenza è proprio quello di considerare le persone
nella loro globalità, in relazione con i propri simili.
Così concepire una marcia contro la povertà non è in contraddizione con quella per i diritti civili, quella del sogno (bianchi e neri gli uni
accanto agli altri); entrambe vogliono mettere in pratica i principi della Dichiarazione d’indipendenza e della Costituzione: libertà,
democrazia, diritto a perseguire la felicità. Tanto la segregazione quanto la miseria, invece, li negano prepotentemente. E la povertà, ci
ammonisce King, non si riduce all’indigenza.In definitiva si tratta del dilemma di fondo del liberalsocialismo: come mantenere le
promesse di libertà per tutti contenute negli ideali liberali. La libertà “di”, la libertà “da” e le libertà tutte.
LABOURATORIO
Pagina 8 di 14
NUMERO ZERO
WWW.LABOURATORIO.IT
3 DICEMBRE 2007
Come tutte le previsioni del tempo che si rispettino iniziamo
dalle temperature medie registrate questa settimana:
“Previsioni del tempo” per la
prima settimana di Dicembre
di Antonio Albano
PD: 35%
Pdl:33%
AN:13%
Cosa Bianca:7%
Cosa Rossa:5%
Lega:4%
PS:n.p.
Tempo previsto per questa settimana:
Fronti temporaleschi si dirigono verso la cosa rossa.Una vasta
depressione con “centro” intorno al PD spinge la cosa rossa a
smarcarsi e ad accelerare sulla via della costituente
nonostante i venti contrari dell’On.Diliberto.
Una nebbia fitta che,forse,lascerà il passo a brevi schiarite nei
giorni più caldi,sarà presente per tutta la settimana sul PS;si
sconsiglia di mettersi in viaggio se si deve giungere in zona!
Il sole splenderà per tutta la settimana sul regno del salvatore
della Patria Walter Veltroni . Il Nostro è sempre più convinto di
poter andare alle elezioni senza l’ala sinistra dell’attuale
maggioranza!Forte di questa scelta e di un sistema elettorale
pensato appositamente,si è garantito la leadership anche in
caso di sconfitta,tanto se perdo non è colpa mia,sarebbe stato
sorpreso a pensare.
Tempo tendente al bello sull’ormai ex FI:dopo la tempesta
bianca che si è scatenata intorno al predellino della sua auto,il
Cavaliere è deciso più che mai a far asse con il Walter
“Democrat-nazionale a vocazione maggioritaria” per far fuori
tutto e tutti usando come grimaldello la legge elettorale.Tanto
vinco io,ha urlato ai quattro venti!
Il sole imperverserà sul territorio Casiniano : per un Giovanardi
che va, Mastella tornerà,questi i pensieri del Leader Cattolico.
Temporali sparsi in AN:Fini sotto l’ombrello del suo 13% .
*: Dati elaborati da Antonio Albano su informazioni spesso
inventate!
La ripresa del socialismo in Italia: quali possibilità.
di Elio Capriati
Per chi vuole impegnarsi in politica, giovane o adulto che sia, è molto più facile ( e conveniente)
partecipare alla costituente del Partito democratico o a quella della Cosa rossa che alla Costituente
socialista. Per quale ragione? Perchè solo un vero idealista, chi crede sul serio e non per piaggeria ai
valori ed ai programmi del Pse può spendere energie e passione politica nell’improba impresa della
Costituente socialista, peraltro soggetta ad un inaudito oscuramento da parte dei mezzi di
informazione.
Molti compagni (ovviamente non tutti) sono saliti sul pulman affollatissimo del Pd solo per non essere
esclusi dal potere che conta mentre altri preferiscono la Cosa rossa perchè, in via principale, non
ritengono di poter convivere con due o tre ex-psi “chiacchierati” come De Michelis,che è diventato,
ingiustamente, per alcuni peggio di un appestato, quando sappiamo bene dei milioni e milioni di euro
“ingoiati da tutti i partiti, di destra e sinistra nella seconda repubblica perchè, come hanno detto
giustamente Salvi e Villone, la casta è stata capace negli ultimi dodici anni di legalizzare la
corruzione o perlomeno di favorirne l’espansione (e penso alla pessima gestione bassoliniana e
demitiana della regione Campania, ad esempio, dove sono tutti coinvolti inclusa l’opposizione). Ma
tant‘è.
La tristezza è che tanti socialisti hanno deciso di annullarsi chi nel Pd chi nella cosa rossa.. Spero sempre che, prima o poi, abbiano
uno scatto d’orgoglio.Comunque, a mio parere, in Italia c’è ancora uno spazio socialista. Penso che le aree socialiste siano tre : la
prima nel Partito socialista dove confluiscono componenti e filoni provenienti dalla “diaspora” del Psi nonchè svariati club e circoli
socialisteggianti, la seconda nel Pd ovvero la componente DLS (Democatici Laici Socialisti) che ha formato la corrente “A sinistra per
LABOURATORIO
Pagina 9 di 14
NUMERO ZERO
WWW.LABOURATORIO.IT
3 DICEMBRE 2007
Veltroni” con l’obiettivo (vano) di fare aderire il Pd al Pse. E’ qui che risiede l’aspetto più eclatante della questione socialista perchè la
parte legata al riformismo di marca “laburista” comprende il grosso dell’elettorato “socialdemocratico”, quello che -tanto per intenderci –
votava l’ex-Pci come se si fosse trattato di scegliere un qualsiasi partito di stampo laburista. E il fatto sorprendente sta nel fatto che
questo elettorato progressista/socialista è, secondo me, vittima di un gigantesco abbaglio collettivo massmediale e di un oggettivo
raggiro politico ideologico perpetrato dal gruppo dirigente degli ex-ds, a causa dei quali è rimasto intrappolato nel recinto
tendenzialmente “centrista” del PD.
La terza area socialista è in Sinistra democratica per i socialismo europeo. Quest’ultima, però, mi sembra in preda a non poche
contraddizioni. Chi ha ascoltato l’intervento del prof. Mascilli Migliorini (SD) tenuto agli Stati Generali della “Cosa rossa” a Napoli, ha
pensato: “E’ una relazione da socialista”. Ha citato persino Filippo Turati mettendolo nel Pantheon della Cosa rossa. Non credo che ci
siano molte possibilità di conciliare questa parte di Sd con Pdci e Rifondazione comunista. Mi sembra, quindi, un progetto alquanto
difficoltoso da attuare quello della “Cosa rossa”.In ogni caso, non mi straccio le vesti se si realizza questo progetto, anzi è meglio che
vada in porto. Mussi, al riguardo, propone una federazione tra i quattro partitini della sinistra critica. Benissimo, anche perchè il
nascente Ps -a mio parere – dovrà presumibilmente allearsi con questa federazione anche per bilanciare la deriva centrista del Pd, ma
solo allearsi, come in Francia il Psf intesse accordi elettorali con la sinistra comunista, o come farà la Spd in Germania, probabilmente,
con la Linke una volta terminata l’esperienza della “Grosse Koalition”.
Concludendo, tutti coloro che responsabilmente sono impegnati nella costruzione di un soggetto socialista nuovo cerchi, nel contempo
e per quanto possibile, di far pian piano avvicinare le tre aree “eurosocialiste” per la ripresa del socialismo democratico in Italia, che va
ben oltre la piccola Costituente socialista.
Socialisti?
di Mattia Panazzolo
Ci son fortune che non si regalano facilmente. Accade infatti, nell’unico paese europeo avulso dalla socialdemocrazia, di poter
assistere ad annose dispute tra chi fu comunista per finta (dicesi migliorista) e chi socialista all’italiana. I primi orgogliosi della loro
appartenenza “perchè i socialisti italiani sono i peggiori d’europa”, i secondi a rivendicare la lungimiranza delle loro scelte.
Peccato che i secondi, che pur dovrebbero essere facilitati nelle proprie argomentazioni dalle scelte poi compiute dagli ex avversari,
finiscano spesso per incespicare sul famigerato orgoglio retrosocialista.
Il buon Ghirelli sul Riformista ha preso di petto la questione, sostenendo le ragioni del p.s.i. e stilando un breve decalogo dei successi
del suo ex partito, finendo però tristemente col dedicare quasi metà dell’ autocompiacimento alla legge Merlin e alla revisione del
concordato perchè “molto più dignitoso del primo”.
Se i fallimenti dell’approccio italiano al problema della prostituzione non necessitano di essere ribaditi, appare invece opportuno
spendere qualche parola sulla revisione del concordato, ormai assunto a vero e proprio totem
socialista, probabilmente per l’unica feticistica ragione di portare la firma di “ghino di tacco”.
L’intero accordo del 1984 si basava sull’obiettivo di togliere alla chiesa cattolica il titolo di
“religione di Stato”, riconosciutole dall’art.1 del trattato del 1929. Battaglia dal principio
condivisibile, ma ampiamente superata dalla giurisprudenza della corte costituzionale, che
dopo i primi decenni di interpretazione “rigida” della costituzione con preminenza riconosciuta
all’ art.7 e quindi alla chiesa cattolica, ha provveduto a dar voce al combinato disposto degli
articoli 8-19-20, con il connesso principio di libertà religiosa.
Per ottenere un obiettivo meramente formale si sono dovute fare numerose concessioni alla
controparte, inserendo nel nuovo concordato questioni precedentemente ricomprese nella
sfera di azione unilaterale dello Stato.
Tra queste:
La disciplina dei beni culturali e degli edifici di culto (compresi quelli di proprietà dello Stato);
L’8 per mille (con la chiesa cattolica che incassa i 2/3 degli introiti da contribuenti che non hanno scelto nessun destinatario nella
dichiarazione dei redditi);
I preti che svolgono assistenza spirituale nelle carceri e negli ospedali pagati dallo stato (nella sanità gli assistenti religiosi stipendiati
sono il triplo dei dentisti).
Inoltre si ribadisce l’impianto dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica, con insegnanti scelti dal clero e pagati
dallo Stato.
La revisione del concordato non lo rende più dignitoso per il semplice fatto che una revisione dignitosa non è possibile, dovendo essa
necessariamente fare i conti con il vergognoso art.7 della costituzione italiana, che fa assumere rango costituzionale ai patti
lateranensi, generando uno spropositato potere contrattuale della controparte e minando alla base l’autonomia dello Stato.
Tale articolo fu adottato con il voto favorevole della democrazia cristiana e del partito comunista italiano, contrari tutti i partiti laici. Si
tratta del patto fondantivo del catto-comunismo, quella sorta di monopartitismo imperfetto che ha caratterizzato la storia repubblicana
tutta senza soluzione di continuità e che sublima oggi nel partito democratico.
LABOURATORIO
Pagina 10 di 14
NUMERO ZERO
WWW.LABOURATORIO.IT
3 DICEMBRE 2007
Se Ghirelli o chi per lui necessita di qualche buona ragione per rinfrancare il proprio orgoglio è quindi al 1948 che dovrebbe guardare,
non al 1984. Le pagine peggiori del p.s.i. sono quelle che lo hanno visto ammiccare alternativamente a p.c.i. e d.c. le migliori quelle
che lo hanno visto a sprazzi nemico del monopartitismo massimalista e clericale. Solo ripartendo da qui può avere ancora un minimo
senso parlare di partito socialista nel 2007, cercando di evitare l’ operazione retorico-nostalgica e autoreferenziale che si preannuncia.
p.s.: mi accorgo solo ora che il povero Ghirelli ha aderito al p.s.i. nel ‘56, mentre nel ‘48 militava ancora nel p.c.i.
un minuto di silenzio.
Orgoglio e Laicità
di Michelangelo Stanzani
Orgoglio e Laicità
sintesi della relazione introduttiva svolta in occasione dell’inaugurazione della Rosa Arcobaleno Emilia Romagna il 10
novembre ‘07
Rosa Arcobaleno
La Rosa Arcobaleno è la prima associazione LGBT di ispirazione socialista a nascere in
Italia, benché esperienze analoghe, con nomi simili, esistano in diversi Paesi europei. Da un
anno la Rosa Arcobaleno si batte quotidianamente per promuovere nel nostro Paese i diritti
civili e per contribuire a diffondere nella politica e nella società un clima di uguaglianza e di
parità. L’esperienza della Rosa Arcobaleno è frutto del fermento politico e culturale
sviluppatosi in seno alla Federazione dei Giovani Socialisti nella fertile stagione della Rosa
nel Pugno. Nel corso del 2007 la Rosa Arcobaleno si è consolidata e si è resa associazione
autonoma, partecipando come tale al comitato organizzatore del Gay Pride di Roma, oltre ad
avere promosso iniziative di interesse sociale e culturale.
Rapporto con la politica
Il nostro rapporto con la politica e con i movimenti politici è dunque forte, per non dire
fondante, ma allo stesso tempo anche molto chiaro. Noi non siamo un coordinamento
omosessuale di partito, ma un’associazione autonoma con un forte riferimento politico, ideale, culturale, al liberal-socialismo e, in
particolare, al socialismo europeo; pensieri politici e modelli sociali a cui si devono le più alte conquiste di civiltà nella storia delle
rivendicazioni del movimento omosessuale. Va da sé che i nostri rapporti principali siano stati sin qui rivolti - e molto probabilmente
anche in futuro saranno in primo luogo rivolti - a quei partiti e a quei movimenti che, come noi, si muovono entro il solco del socialismo
liberale: dai Radicali italiani, al cui recente congresso di Padova abbiamo partecipato, ai Socialisti democratici, al cui progetto di
costituire anche in Italia un partito del socialismo europeo guardiamo con grande attenzione e speranza e a cui non faremo mai
mancare il nostro contributo e il nostro costante stimolo nell’elaborazione politica sui temi LGBT, per quanto da una posizione di
assoluta autonomia.
Rapportocon il movimento LGBT
Crediamo profondamente nel pluralismo delle realtà associative come in un grande valore e siamo convinti di potere fornire il nostro
contributo e la nostra massima collaborazione alle altre associazioni LGBT che da anni, con coraggio e con grande incisività, operano
nel nostro territorio, a partire dall’organizzazione del Gay Pride 2008, che, per nostro doppio orgoglio, si svolgerà a Bologna. Con noi
gli ideali e le prassi del socialismo libertario e riformista tornano a dialogare con un mondo in cui da troppo tempo i socialisti avevano
rinunciato ad essere presenti e che oggi guarda a quegli ideali con qualche diffidenza. Ad oggi come Rosa Arcobaleno Emilia
Romagna siamo presenti, a diverso titolo e in diverse forme, nelle province di Bologna, Modena, Forlì e Cesena, Ravenna, Rimini e
Parma. Se non possiamo ancora vantare grandi numeri, possiamo d’altro canto andare molto fieri del fatto che ogni nostro iscritto sia
un militante. E, come migliore tradizione socialista impone, non un “militonto”, ma un attivista attento, critico e partecipe di ogni
momento della nostra vita associativa. Questa è la nostra ricchezza. Questa è la ricchezza di un gruppo che sulla trasparenza e sulla
sua massima apertura costruisce oggi la sua identità. Mi piace qui ricordare l’incontro che ho avuto poche settimane fa con Hebe De
Bonafini, presidente delle Madres de Plaza de Mayo. Le Madri, quando nel 1977 iniziarono la loro lotta contro la dittatura militare
neoliberista, erano appena in due, ma attraverso la socializzazione della loro maternità si fecero madri di tutti i 30.000 desaparecidos
argentini e furono subito gruppo. Ancora oggi, parlando alle giovani generazioni, spesso scettiche di fronte alla prospettiva di
impegnarsi in prima persona, esortano a fare leva sui valori e a non lasciarsi spaventare dal fatto di essere in pochi, perché, amano
ripetere, “in due si è già un gruppo”. Non mi viene in mente esempio più alto di determinazione e coraggio.
Orgoglio
Due sono stati i momenti fondamentali della nostra attività di questo primo anno: il Gay Pride di Roma e la manifestazione del Coraggio
laico. Entrambe bellissime e partecipate risposte all’offensiva clericale lanciata in occasione del Family day. Due manifestazioni
LABOURATORIO
Pagina 11 di 14
NUMERO ZERO
WWW.LABOURATORIO.IT
3 DICEMBRE 2007
dedicate a valori fondanti per l’identità della nostra associazione: orgoglio e laicità. Spesso, a proposito del Gay Pride, ci viene
obiettato, anche da compagni in buona fede, “ma perché “orgoglio”? c’è forse da essere orgogliosi dell’orientamento sessuale di una
persona?” La risposta è nelle parole di Jorge Luís Zapatero, pronunciate al Parlamento spagnolo in occasione dell’approvazione della
famosa riforma del diritto di famiglia, con cui è stato esteso alle coppie omosessuali l’accesso all’istituto matrimoniale.
Dice Zapatero: “Oggi la società spagnola dà una risposta a un gruppo di persone
che per anni sono state umiliate, che hanno visto i loro diritti ignorati, la loro
dignità offesa, la loro identità negata e la loro libertà repressa. Oggi la società
spagnola restituisce loro il rispetto che meritano, riconosce i loro diritti, restaura la
loro dignità, afferma la loro identità e ristabilisce la loro libertà. […] È vero che
sono una minoranza, ma la loro vittoria è la vittoria di tutti, è la vittoria della
libertà. La loro vittoria ci rende tutti migliori, rende migliore la nostra società. […] I
nostri figli ci guarderebbero increduli se sapessero che non molto tempo fa le loro
madri non avevano gli stessi diritti dei loro padri e se scoprissero che le persone
dovevano restare unite nel matrimonio, anche contro la loro volontà, quando non
erano più in grado di convivere. Oggi possiamo offrire loro una splendida lezione:
ogni diritto conquistato, ogni libertà raggiunta è stata il frutto dello sforzo e del
sacrificio di molte persone alle quali dobbiamo riconoscenza e orgoglio.”
Questa è la nostra accezione di orgoglio. Un orgoglio che si è sviluppato a fronte
di una discriminazione ancora troppo spesso subita, magari in silenzio e, soprattutto, senza la garanzia di adeguate tutele. Secondo
l’Eurobarometro, l’Italia è, infatti, il Paese europeo con la più alta percezione di discriminazione per orientamento sessuale. Se questo
dato dovesse sembrare eccessivo a qualcuno, sarebbe solo prova della mancanza di ogni coscienza antidiscriminatoria nel nostro
Paese. E la comunicazione in questo non ha poche responsabilità. Nella lettura dei fatti di cronaca nera, che tanto sembrano
appassionare gli Italiani, ancora troppo spesso passa con eccessiva nonchalance l’assioma tra omosessualità e degrado sociale e
morale, come se fosse per la mera appartenenza al famigerato “mondo gay” che molti omossessuali e transessuali sono ancora oggi
ammazzati. Come se ci si dimenticasse che permangono, specie in alcune realtà, fortissimi condizionamenti sociali, che relegano
l’omosessualità a ambiti marginali. Condizionamenti sociali che passano anche attraverso un uso improprio (e colpevole) delle parole.
Persino nei più prestigiosi mezzi di comunicazione nazionali si sprecano esempi della mancanza di una buona pratica
antidiscriminitoria. E se manca, che sia la legge a sancirla.
Laicità
L’altra importante manifestazione a cui abbiamo aderito è stata quella del Coraggio laico, che ci introduce all’altra parola d’ordine: la
laicità. Noi crediamo che la cultura politica italiana soffra di un profondo deficit di cultura liberale, a cui corrisponde un altrettanto
profondo deficit di libertà, pagato sulla pelle di tutti gli Italiani e degli omosessuali in particolare. La laicità per noi è lo strumento con cui
si declina la libertà. Il tema della laicità è un tema complesso e articolato, che tocca, incrociandoli, molti aspetti della vita politica,
economica e sociale di una democrazia. Temi fondamentali come la modernizzazione politica, civile ed economica del nostro Paese
sono tra loro strettamente connessi. Così il tema dei diritti civili difficilmente può essere scisso da un’esigenza più generale di
liberalizzazione della società italiana, perché così ci insegna l’esperienza europea. Un esempio. Piccolo. Lo scorso fine settimana ero a
Bruxelles, a trovare un amico. Un vecchio compagno del Liceo che, come tanti, ha lasciato l’Italia, non da ultimo per potere vivere
liberamente e con le giuste tutele la sua omosessualità. Peraltro ha lasciato l’Italia per il Belgio, Paese cattolico, come cattolicissima è
la Spagna di Zapatero. A questo proposito noi crediamo che in Italia non sia certo il cattolicesimo il problema, quanto piuttosto la
vulgata che ad esso assegna il monopolio dei valori. Il problema è semmai la mancanza di quel sano relativismo liberale che sta alla
base del modello europeo di “società aperta” e che in Italia si agita, come uno spettro, solo nella testa del Papa. Il problema è quella
famosa mancanza di libertà e di laicità, che riguarda i diritti civili, ma non solo: il mio amico in Belgio ha avuto la possibilità di accedere
a una professione in Italia blindata (quella giuridica) e, soprattutto, di intraprendere una carriera meritocratica, della quale, trentenne,
gode già dei frutti, in termini sia di responsabilità sia di gratificazioni economiche. Non è per noi un caso che l’Italia sia il Paese più
vecchio del mondo, il Paese della generazione 1.000 € e del talento svilito dagli automatismi di carriera per scatti di anzianità preclusi a
chi lavora con contratti a termine, il Paese in cui le donne godono di un tasso occupazionale più basso che in Turchia, il Paese in cui i
lavoratori faticano ad arrivare a fine mese per mantenere la classe politica più costosa d’Europa e allo stesso tempo l’unico Paese
dell’Europa a 15, con la Grecia, a non prevedere nel proprio ordinamento alcuna legislazione specifica per le unioni civili, preferendo in
questo la compagnia di Albania, Bulgaria, Bielorussia, Bosnia Erzegovina, Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Macedonia,
Moldavia, Monaco, Polonia, Romania, Russia, San Marino, Serbia e Montenegro, Slovacchia, Turchia, Ucraina e Città del Vaticano. La
grande tradizione del socialismo liberale ci insegna che libertà, laicità e diritti sono temi strettamente connessi ai quelli dei doveri e
della responsabilità. Con questa lente noi guardiamo al riconoscimento legislativo delle coppie di fatto. In particolare, chiediamo che
agli omosessuali sia concesso di assumersi formalmente delle responsabilità, responsabilità tipicamente coniugali che di fatto già in
tanti si assumono, superando nei fatti dibattiti stantii sulla famiglia. Sono milioni di persone in Italia che, omosessuali ed eterosessuali,
si fanno carico quotidianamente dei doveri derivanti da una convivenza. Sono coppie, famiglie, che conoscono bene il valore della
responsabilità. Ed è proprio a fronte di questa responsabilità e di questi doveri che oggi, improrogabilmente, chiedono diritti. Il diritto a
vedere riconosciuta la loro unione di fatto. Diritto che nel caso delle persone omosessuali assumerebbe un valore non solo civile ma
anche umano, essendo l’unica possibilità di dare piena espressione alla propria personalità nella vita di coppia, restando per loro
precluso l’accesso all’istituto matrimoniale.
I nostri obiettivi
La Rosa Arcobaleno Emilia Romagna inaugura a Bologna la sua prima sede autonoma e apre la campagna di tesseramento per un
2008 ricco di appuntamenti e di iniziative, che andranno dall’appoggio ad attività politiche coerenti, alla costante ricerca di
sensibilizzare e coinvolgere la stessa popolazione LGBT fin ad oggi o indifferente o non rappresentata, perché non si sia omosessuali
LABOURATORIO
Pagina 12 di 14
NUMERO ZERO
WWW.LABOURATORIO.IT
3 DICEMBRE 2007
solo un giorno alla settimana quando si va a ballare, all’impegno perché le nostre tematiche diventino mainstream nell’azione politica in
primo luogo dei movimenti a noi politicamente più affini, alla collaborazione con chi si impegna per l’affermazione dei diritti LGBT nel
mondo del lavoro, e ancora a tutto ciò che il nostro entusiasmo e la nostra determinazione riuscirà a realizzare. Certo solo con l’aiuto di
quanti vorranno accettare la nostra sfida, fatta dei valori che ho sintetizzato nelle parole “orgoglio” e “laicità”, ma soprattutto di un
metodo, che è quello dell’apertura laica a ogni contributo, impegnandoci sin da ora alla massima trasparenza e disponibilità
nell’accogliere le istanze di chi vorrà unirsi a noi, giocando un ruolo da protagonista e non da semplice comparsa. E poi, come ci ha
insegnato Nenni, “si faccia quel che si deve, succeda quello che può”.
Reinaldo Arenas
Abbiamo scelto di intitolare la Rosa Arcobaleno Emilia Romagna a Reinaldo Arenas, scrittore, omosessuale, cubano, dissidente,
perseguitato dal regime castrista, incarcerato e poi fuggito in esilio negli Stati Uniti, morto suicida a New York nel 1990, gravemente
malato di AIDS. Davanti alla disillusione maturata negli anni dell’esilio nei confronti delle contraddizioni della società americana, Arenas
scrisse: “La differenza tra il sistema comunista e quello capitalista è che, benché entrambi ti diano un calcio nel culo, in quello
comunista te lo danno e devi applaudire, in quello capitalista te lo danno e puoi gridare. Io sono venuto qui a gridare”. E noi siamo qui
ad unirci a quel grido.
Sulla modernità
di Redazione
Articolo di Daniele Baroncelli
La nostra generazione sta vivendo delle situazioni completamente
diverse rispetto alla generazione passata. Ci è stata tramandata una certa
idea di società, di famiglia, di lavoro, che inevitabilmente va a cozzare con
il presente. C’è dentro ognuno di noi la tentazione alla conservazione, a
rifarsi a quei modelli che conosciamo già e che ci danno quel senso di
sicurezza di cui la nostra indifesa generazione è alla ricerca. Ma non c’è
niente di più sbagliato che affrontare il presente con gli strumenti del
passato. Dobbiamo metterci bene in testa, marchiato a fuoco, che la
nostra società sarà necessariamente diversa da quella dei nostri genitori.
E prima lo capiamo e prima riusciremo a migliorarlo, questo presente.
Certo, anch’io mi pongo dei grossi interrogativi. Mi chiedo dove stia
portando questa incapacità di “riprodursi” da parte della nostra
generazione. Dei trentenni e delle trentenni che non hanno figli e
nemmeno hanno la prospettiva di averne a breve. Mi chiedo se non si sia
perso il senso naturale della vita, che è primariamente quello di perpetrare
la specie.
Credo realmente che siamo una generazione di passaggio. Sia ben chiaro, un passaggio verso una società migliore. Su questo non ho
assolutamente dubbi.
Siamo in una fase dove le prospettive umane sono cambiate positivamente.
L’uomo sta diventando sempre più al centro del mondo, e questa è una situazione che i più valenti intellettuali a partire dal ‘700 hanno
incessantemente desiderato.
Ma la nostra generazione, in Italia, sta soffrendo questo passaggio molto più che negli altri paesi europei, principalmente a causa
dell’incapacità della nostra politica di guidare socialmente questi processi di cambiamento.
I partiti in Italia hanno da sempre preferito investire sulla demonizzazione dell’avversario politico che sulla responsabile elaborazione di
un modello di Italia che rispondesse alle mutanti esigenze della società. E questa incapacità (o meglio, indifferenza) politica ha
impedito ad una intera generazione di avere gli strumenti economici e sociali per vivere dignitosamente (senza i sussidi della famiglia)
questa fase storica.
Il basso tasso di natalità dell’Italia rispetto all’Europa è un incontestabile indice della pessima politica degli ultimi governi. Se in Italia i
giovani non fanno figli è principalmente perché non esistono le condizioni sociali favorevoli. Mentre un altro paese latino, la Spagna, è
stato definito il secondo miglior paese al mondo dove essere bambini.
Desidero ardentemente che l’Italia diventi un paese civile e plurale, dove gli individui siano messi nelle condizioni di scegliere. Chi
vuole sposarsi ed avere figli, deve poterlo fare. Chi vuole investire nella ricerca personale e professionale, anche. E’ indubbio che
questa difficoltà a mettere in piedi una famiglia stia condizionando la nostra generazione tutta, allontanando dalla percezione comune il
valore della natalità. Che non è un valore clericale, ma il presupposto stesso della vita. La nostra generazione si sta disabituando al
processo fondante dell’esistere. E questo
non ha niente a che fare con la modernità.
LABOURATORIO
Pagina 13 di 14
NUMERO ZERO
WWW.LABOURATORIO.IT
3 DICEMBRE 2007
Sullo Stato. Chi ha ragione: Hegel o Locke?
di Nicolò Cavalli
E’ lo Stato una soggetto trascendente, emanazione di Dio in terra, infallibile
per il suo primato etico, ente che concede ai cittadini i diritti di cui essi
usufruiscono, oppure lo Stato è frutto di un patto sociale, di un accordo tra
donne e uomini già naturalmente in possesso dei propri diritti, e che
decidono di sacrificare parte della propria libertà per regolare le relazioni
sociali? Con una eccessivamente grossolana semplificazione, la domanda
potrebbe essere: ha ragione Hegel o ha ragione Locke?
Sebbene possa sembrare pura astrazione intellettuale, una questione
prettamente adatta a sedi accademiche, dalla tenzone tra queste due
concezioni primarie ed opposite scaturisce in realtà un’importantissima
disquisizione sulla natura fondante dello Stato, che si ripercuote
necessariamente nella declinazione e nella regolazione dei rapporti
concernenti la socialità umana all’interno dello stesso.
Da una parte chi afferma che le prerogative dell’entità-Stato siano quelle di
definire, secondo criteri morali solitamente mutuati dalla Tradizione e,
direttamente od indirettamente, da Dio, delle sfere dicotomiche di Bene e Male in base alle quali legiferare ed in funzione delle quali
imporre ai cittadini doveri e concedere loro diritti: su queste basi, in ogni tempo, si sono erette le monarchie assolute e le teocrazie,
quelle situazioni cioè di identità tra potere temporale e spirituale, dove i precetti religiosi vengono trasposti in leggi, dove vi è
un’eguaglianza algebrica tra dettami sacri e norme statuali. Tratto distintivo dello Stato teocratico è l’intangibilità della Legge, che non
può essere modificata in quanto emanazione del Verbo divino, e dunque la sua mancanza di democraticità, il suo fondamento
acontrattualistico, la sua natura totalitaria.
Dall’altra parte c’è invece chi ritiene che lo Stato non possa permettersi di ledere la dignità della persona, la sua particolarità, i suoi
diritti primari, poichè nasce quale regolatore dei rapporti tra gli uomini per la libera scelta da parte di un gruppo d’individui di divenire
cittadini, dando vita ad un contratto sociale. Il concetto di contratto sociale come base del potere, introdotto da Hobbes e Locke, risulta
propedeutico alla progressiva laicizzazione della politica, al suo emanciparsi dai vincoli della religione, e quindi, con Rousseau, alla
concezione della decisione politica come espressione della volontà generale dei membri della comunità, per giungere all’uguaglianza
politica, ed infine alla democrazia, al potere del popolo anzichè del Dio, o di chi ne fa in vario modo le veci. L’idea stessa di Stato
moderno, nettata dalle derive hobbesiane dei totalitarismi del XX secolo, prende indiscutibilmente le mosse dalla visione
contrattualistica di John Locke, sul potere quale estrinsecarsi di un accordo, predicato di una volontà condivisa della comunità intera.
Le due strade insomma, quella “democratica” e quella “teocratica” appaiono costituzionalmente differenti, e, dal momento che tertium
non datur, inconciliabili. Una sintesi tra esse, a dire il vero, potrebbe essere vista nel Leviatano di Hobbes, ircocervo politico dal volto
degli Stalin e degli Hitler, che è dunque meglio lasciare riposto nelle pagine dei manuali.
D’altro canto, se la gran maggioranza degli Stati moderni ha imboccato, in gradi e forme differenti, la prima via, è altresì vero che
esistono ad oggi molteplici esempi di teocrazie, soprattutto nell’area musulmana: si passa dall’Iran, dove un pugno di sacerdoti, gli
ayatollah, maschera il proprio potere assoluto concedendosi il vezzo di indire elezioni sedicenti libere, all’Arabia Saudita, dove la
sharìa, la legge coranica, regna sovrana, all’Afghanistan prima della deposizione del regime Talebano, uno delle più brutali, barbare,
rabbiose dittature mai conosciute dalla storia dell’umanità.
In Occidente invece è riservato a Dio il più alto scranno solo in un caso, il Vaticano, cittadella storicamente riottosa nei confronti del
confinante Belpaese, e che a partire dal 2004 ha iniziato a schierarsi apertamente e sistemicamente nelle questioni politiche interne
dello stato Italiano, tra qualche fischio e i tanti applausi di chi dimentica l’evoluzione storica soggiacente alle conquiste del pensiero
moderno. Dal momento infatti che le seconde nascono dalla prima, è innegabile l’efficacia della laicizzazione dello Stato, della
separazione tra potere spirituale e gestione della cosa comune, quale strumento, meccanismo e argine difensivo nei confronti delle
deflagrazioni d’odio che insanguinarono l’Europa sotto le forme di persecuzioni ed eccidi delle minoranze religiose, come avvenne
contro gli ebrei, gli ugonotti, i valdesi, soprattutto a partire dal XVII secolo.
Il patrimonio di pensiero storico e filosofico che l’esperienza europea ci lascia può e deve fare riflettere. Esso ci insegna che aprire la
porta delle Leggi alla dottrina del trascendente può sottrarre al popolo il potere di autogovernarsi, che molte volte il caso fa
giurisprudenza, che quelle due strade sono spesso divergenti, lontane, a volte addirittura pericolosamente incompatibili. Attenzione
quindi a sovrapporle con troppa faciloneria (o a farsi però con altrettanta faciloneria apostoli del contrario), alla ricerca di un mero
consenso elettorale, come amano tanto fare i politici nostrani.
LABOURATORIO
Pagina 14 di 14