A000942 DONNE AL TIMONE. I NUCLEI FAMILIARI A GUIDA
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A000942 DONNE AL TIMONE. I NUCLEI FAMILIARI A GUIDA
A000942, 1 A000942 FONDAZIONE INSIEME onlus. Da PSICOLOGIA CONTEMPORAMEA del maggio 2006 <<DONNE AL TIMONE. I NUCLEI FAMILIARI A GUIDA FEMMINILE. LE MADRI LESBICHE>> di Anna Oliverio Ferraris e Alessandro Rusticelli. Per la lettura completa del pezzo si rimanda bimensile citato. Scriveva Emile Durkheim nel 1888: <<Non esiste un modo di essere e di vivere che sia il migliore per tutti e la famiglia di oggi non è né più né meno perfetta di quella di una volta: è diversa perché le circostanze sono diverse>>. Le parole del sociologo francese non potrebbero essere più attuali: proprio in questi anni stiamo assistendo a un rapido cambiamento della famiglia. Si pensi al numero crescente di genitori divorziati e al proliferare delle famiglie ricomposte, in cui coppia genitoriale e coppia coniugale non coincidono più e dove i figli transitano tra due nuclei differenti. Due casi del tutto particolari e controversi sono oggi rappresentati dalle famiglie lesbiche, dove l’eliminazione del padre propone un modello familiare del tutto inedito e delle quali ci occupiamo in questo articolo, e dai nuclei monoparentali guidati da donne single, cui è dedicato l’articolo successivo. GENITORI OMOSSESSUALI. Siamo abituati a considerare la famiglia come nucleo elementare costituito da due persone di esso opposto che generano una prole e si assumono un compito educativo comune e condiviso, basato su ruoli affettivi, sociali e materiali diversi e complementari. Pertanto l’accostamento tra omosessualità e famiglia ci può apparire come una contraddizione, anche come qualcosa di perturbante, dal momento che sconvolge completamente il senso comune e mette in discussione antiche certezze. Non solo: mentre in passato gli omosessuali si ponevano sulla scena pubblica come persone trasgressive e disinteressate alla normalità, oggi invece aumentano coloro che rivendicano per sé e per il proprio partner un’esistenza normale, basata sulla famiglia e sulla prole. I nuclei omosessuali con prole sono attualmente una realtà in molti paesi del mondo occidentale. Secondo i rilevamenti dell’U.S. Census Bureau in America nel 33% delle coppie omosessuali femminili e nel 22% di quelle maschili sarebbero presenti uno o più figli. La genitorialità omosessuale non è soltanto una realtà d’oltre oceano, ma un fenomeno che sta assumendo valenze sociali e proporzioni numeriche significative anche in Europa. Si pensi ai Paesi scandinavi, oppure a nazioni quali l’Olanda, il Belgio o, più recentemente, la cattolicissima Spagna, dove la scelta degli omosessuali di costruire una famiglia e avere figli attraverso la fecondazione assistita o l’adozione è un fatto ormai acquisito e un diritto tutelato dalle istituzioni. Anche in Italia una certa percentuale di gay e lesbiche ha dei figli o desidera averne, ma da noi la famiglia omosessuale A000942, 2 continua a rimanere una realtà in gran parte sommersa e clandestina, spesso anche a causa della paura di molte madri e padri omosessuali di uscire allo scoperto, rischiando di perdere la custodia dei figli o di essere discriminati. Sta di fatto che una cosa è formare un legame di coppia omosessuale, un’altra è la genitorialità. Le domande che vengono spontanee quando si pensa a una coppia lesbica o gay con figli sono varie. Avere due madri o due padri crea problemi nella regolarità dello sviluppo emotivo e relazionale dei figli? Le coppie omosessuali possono ostacolare la loro identificazione sessuale? Fino a che punto i ruoli paterno e materno possono essere intercambiabili? Gli studi svolti finora nei paesi anglossassoni sembrano evidenziare che: 1__ i genitori omosessuali sono generalmente in grado di svolgere adeguatamente le funzioni parentali, comunque non peggio dei genitori eterosessuali, e solitamente non spingono i figli verso l’omosessualità, ma cercano di fornire adeguati modelli di identificazione eterosessuale; 2__ i problemi che possono presentarsi nel nucleo omosessuale derivano molto spesso dall’irregolarità, da un punto di vista legale, dell’unione e in tal senso assomigliano a quelli che incontrano le coppie eterosessuali non sposate, o anche i nuclei monoparentali con figli, situazioni spesso stigmatizzate, anche se non sempre, da molti contesti sociali; 3__ non è invece facile per i figli, soprattutto quando sono già grandicelli, far fronte ad un eventuale cambiamento di sesso di un genitore o di entrambi: perché si verifichi un adattamento alla transessualità del genitore sembra necessario un consistente “lavoro” psicologico. LE FAMIGLIE LESBICHE. Per quanto riguarda l’Italia, abbiamo appena concluso una prima indagine di carattere esplorativo mirata allo studio delle dinamiche familiari e dello sviluppo infantile nelle famiglie lesbiche. Attraverso colloqui guidati e aperti, abbiamo raccolto le testimonianze di 22 madri lesbiche (11 coppie) di età compresa fra i 23 e i 55 anni e dei loro figli. Nelle famiglie che hanno partecipato ai colloqui erano presenti complessivamente 16 figli con età piuttosto eterogenee, comprese tra i 2 e i 35 anni. Di questi, 10 erano stati concepiti attraverso fecondazione assistita, mentre i restanti 6 erano nati nell’ambito di una precedente relazione eterosessuale (Tab. 1). Premesso che tutti i nomi delle madri e dei figli che qui riporteremo sono fittizi, abbiamo potuto riscontrare: 1__ una diffusa soddisfazione relativamente alla loro vita di coppia e alla scelta che avevano fatto; 2__ un atteggiamento generalmente fiducioso nei confronti di questo tipo di famiglia, sebbene queste donne sottolineassero spesso diffidenza dell’ambiente esterno e alcune di loro A000942, 3 rivelassero anche l’imbarazzo nel parlare ai figli della propria omosessualità; 3__ un’attenzione talvolta anche superiore alla media nei confronti dei figli e un notevole impegno ad educarli alla tolleranza di tutte le diversità, risultando in tal senso assai meno tradizionaliste dei genitori eterosessuali; 4__ un notevole coinvolgimento nel settore dei diritti: <<Ormai siamo in molte a cercare di dar vita ad un’associazione attraverso la quale sia possibile ottenere un riconoscimento istituzionale del ruolo della madre non biologica, in modo da proteggere i diritti dei nostri figli, e la modificazione della successione>>, spiega Ilaria (39 anni). Diversi sono comunque i punti di fragilità. Anche se il clima è sereno, non è sempre facile per un figlio accettare l’omosessualità del genitore. Ci vuole tempo per abituarsi all’idea, anche perché possono nascere rivalità che non sempre si riesce ad esplicitare. Significative sono le parole di Mara (35 anni, all’interno di un’unione eterosessuale e inserita appena adolescente nella coppia lesbica): <<Sono sempre stata protettiva con lei (la madre), quasi fossi io la madre. Le persone che mi portava a casa, fossero maschi o femmine, non mi andavano mai bene, pensavo sempre che lei meritasse di più, forse facevo il confronto col papà idealizzato ... La gelosia più grande l’ho vissuta per la prima donna di cui mia madre si è innamorata. Avevo 14 anni e non riuscivo a capire quale era il loro rapporto, c’erano situazioni che non riuscivo a collocare da nessuna parte e quindi mi spiazzavano. Sentivo che questa donna mi toglieva mia madre in modo totale ... allora ero gelosa. A000942, 4 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) 10) 11) tabella 1. COPPIE LESBICHE OSSERVATE E FIGLI PRESENTI NEL NUCLEO FAMILARE. MODALITA' DI SESSO ED ETA' (ANNI) DEL COPPIA (nomi fittizi) CONCEPIMENTO FIGLIO/I relazione eterosessuale Antonella e Gina precedente M 3 relazione eterosessuale Gaia e Susanna precedente F 9 relazione eterosessuale precedente Vanessa e Rosa M 30; F 35 relazione eterosessuale Veronica e Serena precedente F 12; F 13 età media (n.6); 17 anni fecondazione assistita, donatore identificabile Angie e Monica F 5; F 2 fecondazione assistita, Ilaria e Chiara donatore identificabile F3 fecondazione assistita, Maria e Paola M6 donatore identificabile età media (n.4); 4 anni fecondazione assistita, donatore anonimo Giasella e Romina F2 fecondazione assistita, Giorgia e Elisa donatore anonimo M 6; M 4; F 4 fecondazione assistita, Raffaella e Cecilia donatore anonimo F 2 fecondazione assistita, donatore anonimo Simona e Teresa M 2 età media (n. 6); 3,3 anni Sentivo tra loro un’attrazione che non riuscivo a definire, a cui non ero assolutamente preparata e mia madre non mi ha mai detto di avere una relazione con una donna>>. C’è poi il confronto col mondo esterno, non ancora preparato a questo nuovo tipo di famiglie. Marianna (figlia, 12 anni): <<I ragazzi della mia età considerano la parola “omosessualità” come una presa in giro e come un dispregiativo>> e Monica (figlia, 13 anni): <<Una volta il nostro professore tirò fuori l’argomento in classe e tutti i miei compagni si misero a ridere solo a sentire la parola “omosessualità” ... Mi stava venendo da piangere. Ho provato vergogna per l’omosessualità di mia madre ... Questo perché la mia è una mamma diversa dalle altre. In un certo senso meno male che è diversa, però non “diversa” in questo modo!>>. Non è tutto pacifico che la figura materna e paterna siano intercambiabili. Possono esserlo per quanto riguarda le cure parentali e il coinvolgimento affettivo, tuttavia i genitori non sono soltanto dispensatori di affetto, ma sono anche modelli di identificazione per i figli e una guida nel corso del loro A000942, 5 sviluppo: anche se non sono presenti e perfino se sono deceduti, continuano a rappresentare un modello di riferimento variabile in base al sesso. Se non c’è una presa di coscienza e l’intenzione esplicita di svolgere ruoli complementari, due mamme possono creare un clima esageratamente protettivo. I bambini allevati soltanto da donne e senza un riferimento ad una figura maschile che offra un modello alternativo, rischiano di percepire la presenza di due madri come “eccessiva”, vale a dire troppo avvolgente e poco emancipante. Se poi il figlio è di sesso maschile, l’esigenza di relazionarsi con figure maschili (“simili a lui”) è ancora più forte. Un figlio infatti pensa che la mamma, per quanto affezionata, non possa comprendere appieno certe sue esigenze e caratteristiche maschili. Dice Marco (figlio, 30 anni): <<Ho scoperto l’omosessualità di mia madre quando ero già grande, prima non lo immaginavo nemmeno. Non mi ha disturbato la sua omosessualità e non me ne vergogno affatto. Anche con la sua compagna mi trovo bene, la considero una parte della famiglia. Quello che mi ha più pesato è stata la mancanza di un padre. Ho sempre cercato, negli amici che frequentavano il gruppo di mia madre, una figura paterna. Mi ricordo di almeno sei di questi amici che, un po’ a turno, sceglievo come padre. Mi sentivo accettato da loro e ho imparato tanto. Comunque ho avuto questo bisogno di una figura maschile fino ai 18-19 anni>>. E’ pur vero, tuttavia, che anche nelle famiglie tradizionali non sempre il padre rappresenta un valido modello alternativo: può essere assente, non sufficientemente coinvolto nella vita dei figli, oppure coinvolto ma ancor più preoccupato e protettivo di una madre. IL DONATORE. C’è una notevole differenza tra famiglie omosessuali con figli nati da precedenti unioni eterosessuali e famiglie omosessuali che potremmo definire “pure”, ossia con figli nati dalla fecondazione assistita. Le coppie lesbiche che scelgono di avere figli attraverso la fecondazione assistita, oltre a pensare al tipo di vita e di rapporto che desiderano per sé come coppia, devono anche decidere se fare ricorso a un donatore conosciuto oppure a un donatore anonimo. Nel nostro studio abbiamo trovato che il ricorso a un donatore anonimo è prevalente: più della metà delle coppie con figli concepiti attraverso inseminazione artificiale, infatti, ha scelto questa soluzione per i desiderio di avere dei figli che fossero solo ed esclusivamente della coppia, o per il timore che il padre naturale, pur non partecipando alla crescita dei bambini, potesse in seguito rivendicare dei diritti su di loro. Dice Teresa (37 anni): <<All’inizio avevamo pensato di rivolgerci a un amico o a una persona fidata per avere il seme, ma non abbiamo trovato un donatore che ci desse piena fiducia>>. Giselle (42 anni) spiega: <<La nostra famiglia era composta solo ed esclusivamente da noi due, eravamo noi a volere un figlio e non volevamo condividerlo con un terzo. Chiedere il seme a qualcuno che conoscevamo ci ha fatto sempre molta paura. Non abbiamo mai A000942, 6 chiesto a nessuno di farci da donatore, temendo che un giorno questa persona potesse rimangiarsi la parola data e farsi viva per reclamare dei diritti sui bambini>>. Ilaria e Chiara (entrambe 39 anni) invece hanno scelto un donatore identificabile: <<Non abbiamo mai pensato di formare una famiglia allargata coinvolgendo un uomo. Desideravamo una famiglia che fosse composta da noi due e dai nostri bambini. Poi abbiamo scoperto le possibilità che offrivano le leggi olandesi e abbiamo deciso di recarci lì per l’inseminazione. In Olanda le coppie che richiedono la fecondazione assistita fanno ricorso a un donatore la cui identità viene rivelata al bambino una volta che questi ha compiuto la maggiore età. Penso che sia una legge giusta, perché è un nostro diritto quello di non avere il donatore tra di noi, ma è anche un diritto del figlio o della figlia quello di poterlo, un giorno, identificare>>. Le donne che abbiamo intervistato si sono impegnate attivamente, anche se in certi casi con alcune difficoltà, nel fornire ai figli modelli di riferimento maschili, coinvolgendo nella vita familiare amici, parenti e in generale figure di identificazione sostitutive per colmare l’assenza di un padre. I bambini nati da fecondazione assistita, inoltre, sono stati informati molto presto sulle modalità con cui sono stati concepiti. Ma ciò che è significativo è il tipo di spiegazione che forniscono le mamme. Dice Maria (45 anni): <<Abbiamo parlato con lui (il bimbo ha attualmente 6 anni) di come è nato in termini generali. Gli abbiamo detto che desideravamo un figlio perché ci volevamo tanto bene. Però dal momento che due donne non possono fare un bambino allora ci siamo fatte dare un semino .... Noi parliamo del donatore definendolo sempre “donatore” e niente più. Questa è una scelta consapevole: abbiamo deciso di parlare di un semino e di un donatore piuttosto che di un papà che non c’è o che è altrove e non si interessa a lui>>. E Giorgia (38 anni): <<Vedi, io parlo di donatore come persona, di chi è, di cosa fa e così via, ma piuttosto di un “semino”, di una cellula. Questo dipende dal mio modo di percepire le cose: io considero il fatto di donare il seme come qualcosa di molto simile al donare il sangue. Certamente questo viene da una persona a cui sono grata, ma la cosa finisce lì. E’ come quando doni il sangue o il midollo a qualcuno che ne ha bisogno. Io credo che i figli siano di chi li cresce e di chi gli dà amore, il legame biologico c’entra poco, almeno nel caso del donatore anonimo>>. Finché i figli sono piccoli accettano queste spiegazioni senza porsi ulteriori domande, tuttavia ridurre il donatore ad un’anonima cellula e spiegare l’assenza del padre diventa più difficile per queste madri quando i bambini crescono. IL MIO PAPA’. L’analisi dei disegni di alcuni dei figli di queste coppie e la letteratura sull’argomento suggeriscono che intorno ai 6-7 anni i bambini iniziano a porsi delle domande, a diventare più curiosi riguardo alla propria storia e più A000942, 7 consapevoli della diversità rispetto alla situazione familiare dei coetanei. Marco (6 anni) spiega così il disegno che ha fatto della sua famiglia: <<La Paola è il mio papà femmina. Io non ho il papà ma lo ha mamma e la Paola. La Paola è come il papà, però è una femmina. Quindi lei è il mio papà femmina!>>. Marco esprime apertamente il desiderio di avere un papà maschio chiedendo, per esempio, di ricevere per Natale un papà <<alto, magro e biondo>> come lui, oppure dicendo: <<Mi piacerebbe che a un certo punto arrivasse un papà da qualche parte>>. FIG. 1 Disegni della famiglia realizzati da Fabrizio rispettivamente all’età di 5 anni (a sinistra): <<Io con mamma Giorgia e mamma Elisa>> e di 6 anni (a destra). In questo secondo disegno Fabrizio non rappresenta più la famiglia, ma una famiglia immaginaria, composta da un bambino di 9 anni e un papàrobot cui attribuisce 17 anni. Dai disegni di Fabrizio (fig. 1) si coglie poi come a questa età i bambini inizino a comprendere più chiaramente la differenza della propria famiglia e pian piano comincino a porsi delle domande sulla propria storia, sulle proprie origini biologiche e sulla figura del padre. Si tratta di curiosità del tutto legittime che fanno parte del processo di costruzione dell’identità individuale. Se a 5 anni Fabrizio, nel rappresentare la sua famiglia disegna se stesso in mezzo alla due mamme (che si tengono gioiosamente per mano) usando colori vivaci e fornendo un’immagine unita e allegra del suo nucleo familiare, a 6 anni invece il disegno è in bianco e nero, una delle due mamme è scomparsa e al suo posto c’è (un po’ distanziato dalla coppia madre-figlio) un “papà-robot”, con dei grossi piedi di mattoni. Ma anche gli altri due personaggi sembrano dei robot: squadrati, composti da elementi da costruzione, senza dita, senza capelli, senza alcun tratto fisionomico sul viso. Mentre nel primo disegno i personaggi sono contestualizzati in un paesaggio (un prato verde illuminato dal sole giallo) nel secondo, invece, non c’è l’ambientazione, il che indica la A000942, 8 difficoltà che ha il bambino a collocare i suoi personaggi in un contesto significativo. Poiché però i bambini, proprio come gli adulti, avvertono l’esigenza di trovare significati in ciò che succede intorno a loro e che li riguarda, Fabrizio, fornisce, a voce, la sua versione dei fatti. UNA QUESTIONE ANCORA APERTA. I bambini iniziano abbastanza presto a capire che il donatore è qualcosa di più di una “persona gentile” che ha dato alle madri il “semino” di cui avevano bisogno: è una persona che, se pur non presente in famiglia, ha un legame del tutto speciale con loro. E’ normale quindi che inizino a chiedersi che sia il donatore, a fantasticare su di lui e in ultima analisi ad attribuirgli dei significati della propria storia che saranno tanto più rilevanti e affettivamente carichi quanto più il bambino sarà privo di figure maschili con cui interagire e confrontarsi direttamente nel quotidiano. Con la crescita, pian piano, potrebbe crearsi uno iato tra il modo in cui le madri considerano il donatore e la percezione che ne hanno i figli. Dice Raffaella (33 anni), riflettendo su questo aspetto: <<Forse un giorno potrà succedere che la bambina ci chieda di conoscere il donatore e sappiamo che possono sorgere difficoltà quando le risponderemo che è impossibile. Questo sinceramente ci crea un po’ di timore. E’ difficile prevedere come poter affrontare cose del genere, ma noi siamo disposte a riconoscere il problema quando si presenterà e a chiedere un aiuto professionale>>. Dal momento che la maggior parte degli studi sull’argomento riguarda coppie con figli avuti da una precedente relazione eterosessuale, oppure da nati attraverso la tecnica della fecondazione assistita, ma in entrambi i casi ancora in età prescolare, non è possibile dire con certezza quali significati e aspettative i figli tenderanno ad attribuire alla figura del donatore nel corso della loro crescita, né in che modo le madri reagiranno a questi eventi. Marco e Fabrizio, tuttavia, entrambi di 6 anni, ci lasciano intravedere l’esistenza di una problematica che le loro madri, prima o poi, dovranno affrontare. E se alcuni figli accettano le spiegazioni delle mamme, altri possono invece continuare a porsi domande. Certo, sarà diversa la condizione dei figli di un donatore identificabile, ma lontano, o rispetto a quelli che sono nati da un donatore facilmente raggiungibile, quasi uno “zio”. Prima ancora di un’esigenza emotiva si tratta di un’esigenza cognitiva, di un desiderio di chiarezza. Se è innegabile, infatti, come sostengono molti, che il vero genitore non è quello biologico, ma quello che alleva ed educa i figli, è però inevitabile che nel ricostruire il proprio percorso individuale una persona cerchi di mettere insieme tutti i tasselli della propria vicenda esistenziale. Quando una delle tessere del mosaico manca si è spinti a ricercarla, anche se si è bene adattati alla propria condizione. A000942, 9 Anna Oliverio Ferraris: è ordinario di Psicologia dello sviluppo presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Psicologa e psicoterapeuta è autrice di numerosi saggi. Alessandro Rusticelli: psicologo clinico e studioso della famiglia, ha svolto la ricerca sulle madri lesbiche e i loro figli presso la Cattedra di Psicologia dello sviluppo all’Università “la Sapienza” di Roma.