Tesi clownterapia - Missione Sorriso VdA

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Tesi clownterapia - Missione Sorriso VdA
UNIVERSITA’ DELLA VALLE D’AOSTA
CORSO DI LAUREA IN PEDAGOGIA DELL’INFANZIA
DISSERTAZIONE FINALE IN PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO
LA CLOWNTERAPIA.
UNA RICERCA IN VALLE D’AOSTA.
CANDIDATA
PRETI STEFANIA ANNA
Anno accademico 2006/2007
-1-
IL VALORE DI UN SORRISO
Un sorriso non costa nulla,
ma vale molto.
Arricchisce chi lo riceve e chi lo dona.
Non dura che un istante,
ma il suo valore è talora eterno.
Nessuno è tanto ricco da poterne fare a meno,
e nessuno è talmente povero da non poterlo dare.
In casa porta felicità,
nella fatica infonde coraggio.
Un sorriso è un segno di amicizia,
un bene che non si può comprare,
ma solo donare.
Se voi incontrerete chi un sorriso non vi sa dare,
donatelo voi.
Perchè nessuno ha tanto bisogno di un sorriso
come colui che ad altri darlo non sa.
-2-
Indice
Introduzione………………………………………….......1
1. CAPITOLO PRIMO: la clownterapia
1.1 Breve storia legislativa dell’umanizzazione
pediatrica………………………………………………3
1.2 La clownterapia: Norman
Cousins e Patch Adams
…………………………………………………………7
1.3 Patch Adams: vita e personalità………………………11
1.3.1
Il film “Patch Adams”, i libri “Salute! Ovvero
come un medico-clown cura gratuitamente i pazienti con
l’allegria e l’amore” e “Visite a domicilio. Come
possiamo guarire il mondo una visita alla volta”
ed
il
film-documentario
“Clown
in
Kabul”………………………………………………….16
1.4 Associazioni………………………….……………......21
1.4.1 La clownterapia nel mondo e in Italia..................21
2.CAPITOLO SECONDO: esperienza sul campo
2.1 Obiettivi……………………………………………….34
2.2 Metodologia e strumenti..……………………………...35
2.3 Campione……………………………………………...40
3.CAPITOLO TERZO. Risultati: il contesto ospedaliero
3.1 Le Associazioni di clownterapia in Italia……………. .41
3.2 Reparto di Pediatria dell’Ospedale Beauregard di
Aosta…………………………………………………. .41
3.3 Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta…………44
3.4 Chi è il clown-dottore…………………………………..48
3.4.1 Cosa fa il clown-dottore e come: azioni e
strumenti…………………………………………………...49
-3-
3.5 Le interviste……………………………………………54
3.5.1 Sintesi delle interviste……………………………67
4. CAPITOLO QUARTO. Risultati: il bambino in
ospedale
4.1 La mia osservazione nel reparto pediatrico di
Aosta……………………………………………………….68
4.2 Motivazioni dell’operato del clown-dottore…………...74
4.3 Il comportamento del bambino durante la malattia……77
4.4 Attività per i bambini in ospedale: il gioco…………….79
5. CAPITOLO QUINTO: il sorriso
5.1 Valore educativo ed apprendimento col sorriso……….84
5.2 Rapporto medico-paziente…………………………….88
5.3 Empatia, emozioni ed autoefficacia…………………...94
Riflessioni conclusive……………………………………..97
Bibliografia………………………………………………100
-4-
Introduzione
Nel seguente lavoro si è scelto di indagare una tra le numerose
figure sorte con lo scopo di contribuire al benessere dei piccoli
ricoverati, sostenuti, oltre che dalla sua indubbia originalità, dalla
notevole visibilità che ha acquisito negli ultimi tempi: il clown-dottore.
Si è cercato di dare un’idea di una realtà ancora poco conosciuta e
studiata, con l’intento primario di incuriosire e dunque stimolare
ulteriori approfondimenti al riguardo, nella ferma convinzione che
chiunque si impegna a far fiorire sorrisi sulle labbra di chi soffre
contribuisce alla creazione di un mondo migliore e merita pertanto di
essere riconosciuto e valorizzato.
Nel primo capitolo si è brevemente narrata la storia legislativa
dell’umanizzazione pediatrica (Carta di Leida e l’ABIO), si è cercato
di dare una definizione della clownterapia e ne sono state illustrate due
esperienze pilota dirette, quelle di Norman Cousins e di Patch Adams,
che diedero notorietà e basi scientifiche alla terapia del sorriso. Sono
state inoltre descritte le associazioni di clownterapia presenti nel
mondo e in Italia.
In seguito alla lettura del libro “La medicina del sorriso.
L’esperienza dei clown-dottori con i bambini” ed alla consultazione
dei siti Internet inerenti la clownterapia, si è voluto osservare nella
realtà valdostana e all’opera i medici-clown di un’associazione di
clownterapia. Nel secondo capitolo sono stati così illustrati gli
obiettivi, la metodologia, gli strumenti e il campione osservato nel
corso del lavoro.
Nel terzo capitolo si è descritto il Reparto di Pediatria
dell’Ospedale Beauregard di Aosta, l’Associazione Missione Sorriso
Valle d’Aosta ed infine la particolareggiata descrizione della figura e
dell’operato del clown-dottore. Dopodiché sono stati riportati i testi
integrali
delle
interviste
realizzate
con
i
medici-clown
dell’Associazione valdostana.
Nel quarto capitolo sono state riportate alcune osservazioni svolte
nel Reparto di Pediatria dell’Ospedale Beauregard di Aosta per
constatare le reazioni dei bambini ospedalizzati di fronte all’attività dei
-5-
clown-dottori dell’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta.
Inoltre, sono state rilevate le motivazioni dell’operato del clowndottore, il comportamento del bambino durante la malattia e le attività
per i piccoli pazienti in ospedale (il gioco).
Nel quinto capitolo infine si è riflettuto sul valore del sorriso a
scuola, sostenendone le funzioni socializzanti, psicologiche ed
educative. Per finire, si è accennato al rapporto medico-paziente,
all’empatia, alle emozioni e all’autoefficacia.
-6-
CAPITOLO PRIMO: la clownterapia
1.1 BREVE STORIA LEGISLATIVA DELL’UMANIZZAZIONE
PEDIATRICA.
“Fino ad una ventina di anni fa i genitori che ricoveravano il
proprio bambino in ospedale, oltre al dispiacere e all’ansia, vivevano
lo strazio dei pianti del piccolo quando dovevano tornarsene a casa.
Continuavano a sentire le grida del bimbo fino in fondo al corridoio, e
se le portavano nel cuore per ventiquattr’ore, fino a quando avrebbero
potuto riabbracciarlo. Molto è cambiato da allora”. 1
Fino agli anni Sessanta, infatti, l’aspetto psicologico dei piccoli
malati era sicuramente trascurato. Basti pensare alla definizione che
l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dava alla Pediatria: “É
un’applicazione della medicina generale ai bambini”. Fortunatamente,
col passare degli anni, c’è stata una sensibilizzazione maggiore che ha
portato nel 1988, durante il primo convegno
di associazioni di
volontari per l’infanzia svolto a Leida (Olanda), sul tema “bambino e
ospedale”, alla redazione della Carta di EACH (European Association
for Children in Hospital) che raccoglie in dieci punti i diritti del
bambino in ospedale. L’EACH è l’organismo fondato nel 1993 che
raccoglie e coordina tutte le associazioni no profit di 16 paesi europei
impegnate per il benessere del bambino prima, durante e dopo il
ricovero in ospedale. Nel 1988 quattordici di queste associazioni
avevano redatto a Leida una carta che riassume in dieci punti i diritti
del bambino in ospedale e che dal 1993 è stata denominata “Carta di
Each”. Ad essa si ispirano, a tutt’oggi, le associazioni impegnate
nell’assistenza dei piccoli pazienti. Sostanzialmente il documento
riassume nella presenza dei genitori, nella preparazione al ricovero, nel
gioco e nell’ambiente i quattro punti fondamentali utili a prevenire, o
quantomeno ridurre, il trauma del ricovero ospedaliero.
Alla formulazione di questa carta si arrivò a seguito di studi e
ricerche compiute all’estero sugli effetti dell’ospedalizzazione sul
comportamento dei bambini. Anche in Italia negli anni Settanta
1
www.dottorsorriso.it articolo: “L’ospedale che ride”
-7-
seminari, convegni, dibattiti pubblici diffusero la consapevolezza che
l’ospedalizzazione è un fattore di rischio per lo sviluppo psichico del
bambino, tanto più grave quanto più piccolo è il bambino.
Per ridurre quanto più possibile questo rischio furono elaborate
varie “Carte dei diritti del bambino in ospedale”: la versione più
diffusa è la Carta di EACH (1988), esposta prima, che riassume in
dieci punti le raccomandazioni della Risoluzione del Parlamento
Europeo (maggio 1986). Quest’ultimo, approvando la Carta europea
dei bambini degenti in ospedale, riconosce tutta una serie di diritti al
fanciullo ospedalizzato, tra i quali primariamente il diritto alla salute
ma anche alla soddisfazione dei suoi bisogni primari e quindi
all’istruzione, all’attività ludica, all’assistenza da parte di personale
qualificato, all’informazione, alla costante presenza dei genitori.
Questo documento riveste una particolare importanza in quanto ha
ispirato molti dei successivi provvedimenti di carattere nazionale e
regionale relativi alla condizione del bambino malato ed ospedalizzato.
Di seguito vengono presentati i dieci punti della Carta di EACH
(www.amicidellapediatria.it).
1.
Il
bambino deve essere ricoverato in
ospedale soltanto se l’assistenza di cui ha
bisogno non può essere prestata altrettanto
bene a casa o in trattamento ambulatoriale.
2. Il bambino in ospedale ha il diritto di avere
accanto a sè in ogni momento i genitori o un
loro sostituto.
-8-
3. L’ospedale deve offrire facilitazioni a tutti i
genitori
che
devono
essere
aiutati
e
incoraggiati a restare. I genitori non devono
incorrere in spese aggiuntive o subire perdita o
riduzione
di
salario.
Per
partecipare
attivamente all’assistenza del loro bambino i
genitori
devono
essere
informati sulla
organizzazione del reparto e incoraggiati a
parteciparvi attivamente.
4. Il bambino e i genitori hanno il diritto di
essere informati in modo adeguato all’età e
alla loro capacità di comprensione. Occorre
fare quanto possibile per mitigare il loro stress
fisico ed emotivo.
5. Il bambino e i suoi genitori hanno il diritto
di essere informati e coinvolti nelle decisioni
relative al trattamento medico. Ogni bambino
deve essere protetto da indagini e terapie
mediche non necessarie.
6. Il bambino deve essere assistito insieme ad
altri bambini con le stesse caratteristiche
psicologiche e non deve essere ricoverato in
reparti per adulti. Non deve essere posto un
limite all’età dei visitatori.
-9-
7. Il bambino deve avere piena possibilità di
gioco, ricreazione e studio adatta alla sua età
e condizione, ed essere ricoverato in un
ambiente strutturato arredato e fornito di
personale adeguatamente preparato.
8. Il bambino deve essere assistito da
personale con preparazione adeguata a
rispondere alle necessità fisiche, emotive e
psichiche del bambino e della sua famiglia.
9. Deve essere assicurata la continuità
dell’assistenza
da
parte
dell’équipe
ospedaliera.
10. Il bambino deve essere trattato con
tatto e comprensione e la sua intimità
deve
essere
momento.
- 10 -
rispettata
in
ogni
Fu negli anni Settanta che si cominciò a pensare di migliorare le
condizioni psicologiche dei piccoli ricoverati. Ogni iniziativa è dipesa
principalmente dalla sensibilità dei Primari, nonché dalle Associazioni
di volontariato o dalle Fondazioni private che retribuiscono dei
professionisti nel campo dell’animazione. A questo proposito è
doveroso sottolineare che la prima Associazione ad impegnarsi con
regolarità e organizzazione per i bambini in ospedale è l’Associazione
per il bambino in ospedale (ABIO), sorta a Milano nel 1986 per
iniziativa di alcuni volontari che, i primi tempi, non ebbero vita facile
in ospedale, dove la mentalità era piuttosto rigida. Si sottolineò che la
Pediatria non poteva essere ridotta a una medicina generale per adulti
applicata ai bambini, e la vita dei piccoli in ospedale cominciò a
cambiare giorno dopo giorno. Cominciò a mutare innanzitutto
l’aspetto dell’ospedale pediatrico: i muri nudi e asettici si coprirono di
disegni e decori, entrarono tavolini, seggiolini e giocattoli, quali
animali grandi e piccoli di plastica o di peluche, trenini e bambolotti.
L’ABIO è stata fondata per promuovere l’umanizzazione
dell’ospedale e ridurre al minimo il rischio di trauma che ogni ricovero
porta con sé, attraverso la collaborazione tra le diverse figure presenti
in ogni struttura ospedaliera al fine di attuare una strategia di attiva
promozione del benessere del bambino. La Fondazione ABIO Italia
ONLUS non ha fine di lucro e persegue esclusivamente finalità di
solidarietà sociale nel campo della beneficenza. Promuove e sostiene
la diffusione delle Associazioni ABIO sul territorio nazionale
favorendone
e
coordinandone
l’attività
secondo
i
principi
dell’omogeneità e della qualità del servizio. L’ABIO è
il
rappresentante italiano di EACH – European Association for Children
in Hospital.
1.2 LA CLOWNTERAPIA: Norman Cousins e Patch Adams.
Clownterapia o clowntherapy è il termine composto dall’unione di
due parole chiave – clown e terapia – con cui si definisce un nuovo
tipo di terapia medica alternativa. Generalmente con il termine
clownterapia si indica l’applicazione di un insieme di tecniche
derivate dal circo e dal teatro di strada in contesti di disagio (sociale o
- 11 -
fisico), quali ospedali, case di riposo, case famiglia, orfanotrofi, centri
diurni, centri di accoglienza… Poiché tale disciplina viene portata
avanti in maniera volontaristica e per iniziativa di privati (in Italia
esistono ad oggi decine di associazioni sparse sul territorio ognuna con
un proprio statuto e una propria visione della materia), non è ancora
possibile dare una definizione univoca a tale termine. 2
Oggi, sempre più spesso si sente parlare di comicoterapia, “terapia
della risata” o in modo più raffinato di gelotologia (dal greco ghelos,
risata) che è appunto lo studio metodologico del ridere in relazione
alle sue potenzialità terapeutiche. La gelotologia trova le sue radici
nella
PNEI
(PsicoNeuroEndocrinoImmunologia),
branca
della
medicina che ha sostanziato la diretta correlazione tra le emozioni ed il
sistema immunitario. Esistono infatti importanti correlazioni tra
sistema nervoso, sistema endocrino e sistema immunitario. Sostanziali
mutamenti provocano cambiamenti anche negli altri, condizionando in
maniera rilevante le condizioni di salute dell’individuo. La gelotologia
ha scoperto che attraverso il fenomeno della risata vengono
intensamente attivate ghiandole del corpo che producono una sostanza
chiamata endorfina, un neurotrasmettitore capace di stimolare in
maniera
rilevante
il
sistema
immunitario,
potenziandolo
di
conseguenza e migliorando le condizioni di salute di un individuo.
Questo tipo di approccio curativo si va in effetti diffondendo
lentamente in tutto il mondo a partire dalla sua nascita, negli anni
Ottanta del Novecento a New York. Fu proprio negli Stati Uniti infatti
che apparvero i primi clown-dottori, in conseguenza soprattutto di due
esperienze pilota dirette che diedero notorietà e basi scientifiche a
questa terapia.
Una di queste vicende è la nota odissea terapeutica del giornalista
scientifico Norman Cousins (foto 1), resa pubblica grazie ad un suo
articolo Anatomy of an Illness (As Perceived by the Patient) (foto 2)
[Anatomia di una malattia (dalla prospettiva del paziente)], pubblicato
sul «New England Journal of Medicine» nel 1976 e quindi sviluppato
in un libro - testimonianza tre anni dopo.3
2
3
www.wikipedia.it
R. PROVINE , Ridere. Un’indagine scientifica, Milano, Baldini&Castoldi, 2001, pp. 197-198
- 12 -
Foto 1: Norman Cousins
Foto 2: copertina libro “Anatomy of an
(www.clownterapia.it)
Illness (As Perceived by the Patient) di
Norman Cousins (www.clownterapia.it)
In quest’opera l’autore narra di come gli fosse accaduto di
ammalarsi di spondilite anchilosante (infiammazione cronica alla
colonna vertebrale), con una prospettiva di vita piuttosto scarsa, una
grave alterazione a carico del collagene delle articolazioni che porta
progressivamente alla paralisi e alla morte. Egli, refrattario alla
medicina tradizionale, decise di curarsi seguendo un’insolita terapia: il
ridere (tre - quattro ore al giorno di film comici: i fratelli Marx e gli
episodi della vecchia e divertentissima serie televisiva Candid
Camera) e la vitamina C (25 g al giorno, assunti per flebo). A dispetto
di ogni previsione, in un anno il giornalista guarì completamente. La
prima reazione della comunità scientifica americana fu di incredulità e
di stupore, alcuni misero in dubbio la sua malattia, ma i fatti erano
incontrovertibili e, dopo alcuni anni, non solo fu riconosciuta la
validità scientifica della sperimentazione effettuata da Cousins su sé
stesso, ma gli venne offerta prima una laurea honoris causa e poi
addirittura una cattedra presso l’Università di California di Los
Angeles. Tre anni più tardi Cousins fu colpito da un grave infarto al
miocardio, dal quale si risollevò con lo stesso caparbio ottimismo che
lo aveva guidato alla sconfitta della spondilite.
- 13 -
Foto 3: Patch Adams (www.clownterapia.it)
Il Dott. Hunter “Patch” Adams (foto 3) è stato, invece, l’interprete
dell’altra splendida esperienza di vita che ha aperto le strade al
recupero della risata in veste curativa. Il rivoluzionario medico - clown
americano è fautore di un’assistenza sanitaria vista come servizio ed
incentrata sui reali bisogni dei pazienti, dove la comicità è utilizzata
per creare familiarità con i malati e ridurre il disagio dei degenti.
Patch si definisce “un medico amorevole e divertente”4, si pone infatti
nei confronti del paziente come un amico e spera di poterlo conoscere
e volergli bene, incoraggiandolo ad essere attivo nel crearsi una vita
sana e serena. Nello specifico egli indica nell’empatia, nell’attenzione,
nel prendersi cura gli elementi in grado di fare la differenza e di
trasformare le esperienze di ricovero rendendole possibilmente più
piacevoli. Suggerisce poi l’esplorazione del campo dell’umorismo, ma
solamente se guidati dal cuore, affinché non si corra il rischio di ferire
le persone o di minimizzare il dolore. Unendo amore e riso, a suo
parere elementi essenziali per la guarigione, questo stravagante medico
si propone così di servire l’umanità. Egli è convinto che, il clima che si
respira negli ospedali, tende a demoralizzare i pazienti, soprattutto se
bambini. Come avrebbero reagito i piccoli malati se il medico e gli
infermieri invece di indossare austeri camici bianchi, prestassero
servizio vestiti da clown? Concretizzare quest’idea non è stato facile,
perché culturalmente associare la figura seria e professionale del
medico con un clown era impensabile. Il primo medico ad entrare in
corsia vestito da clown, con tanto di naso rosso di gomma, è stato il
4
P. ADAMS, Salute! Ovvero come un medico-clown cura gratuitamente i pazienti con
l’allegria e con l’amore, Milano, Urra, 1999, p. 61
- 14 -
Dottor Adams, noto ormai in tutto il mondo anche per il film
autobiografico interpretato da Robin Williams.
Pur non essendo corretto riferire alla sua esperienza l’avvio della
vera e propria attività di clownterapia (Patch Adams in diverse
interviste ha negato l’esistenza di una “terapia” in senso stretto), le sue
idee, i suoi insegnamenti e soprattutto il suo esempio hanno permesso
la conoscenza della realtà dei clown-dottori. Infatti, secondo lui la
parola “terapia” è stata avvicinata alla parola clown perché qualcuno in
ospedale possa dire: “Oh, è una terapia? Prego, prego!”. La parte
tecnico-scientifica ha talmente influenzato la medicina da far
dimenticare che è fondamentale invece in medicina praticare l’amore
per il paziente. “La risonanza magnetica è un macchinario eccezionale
ma non è medicina, un trapianto di reni può salvare una vita, ma non è
medicina! Medicina è rapporti, relazioni. Quest’ultima non inizia
quando somministrate una pillola o fate un intervento, ma quando
guardate una persona negli occhi, le toccate il braccio, l’accarezzate.
La risata, l’amore, la gioia, non sono mai state “terapie”, sono contesti,
ambienti della vita dell’uomo. Il clown sta lì per sussurrare
continuamente “cambiamo il contesto” e quindi occorre essere un
clown che esprime l’affetto che ricrea la quiete.”5
1.3 PATCH ADAMS: vita e personalità.
Foto 4: Patch Adams
(www.ilportoritrovato.net)
5
www.clownterapia.it (tratto da un congresso svolto alle Molinette di Torino il 25/9/2003 al quale
ha partecipato il Dott. Patch Adams)
- 15 -
Quando un sogno s’impossessa di te che cosa puoi fare?
Puoi viverlo, lasciare che questo gestisca la tua vita, o
fartelo scappare e passare poi il resto del tempo che ti
rimane a pensare che cosa avrebbe potuto essere…
(Adams P., 1999, p.1)
Patch
Hunter “Patch” Adams (foto 4) è nato il 28 maggio 1945 a
Washington, USA.
“Sua madre, Anna, fu il punto di riferimento della sua infanzia.
Aveva un gran senso dell’umorismo ed era sempre interessata a
imparare cose nuove. La maggior parte di quello che c’è di buono in
lui proviene da sua madre.
Mentre cresceva suo padre, ufficiale di fanteria e artiglieria, era
assente da casa per la maggior parte del tempo e di solito, quando
c’era, stava seduto su una sedia a bere. Ogni volta che gli chiedevano
delle guerre in cui aveva combattuto cominciava a piangere.
Suo fratello maggiore, Robert Loughridge Adams, soprannominato
Wildman, è stato il suo sprone per buona parte della sua gioventù.
Decisero di restare vicini perché, qualsiasi cambiamento accadesse,
potessero sempre contare l’uno sull’altro.
Hunter aveva sedici anni quando suo padre morì per un attacco di
cuore. Per lui fu un’enorme tragedia. Tutto ciò accadde nel momento
in cui Hunter e suo papà avevano costruito un buon rapporto, proprio
come padre e figlio. Dopo aver trascorso una settimana insieme, suo
padre gli raccontò come la Seconda Guerra Mondiale e la Guerra di
- 16 -
Corea avevano distrutto il suo spirito e il suo grande senso di colpa per
la sua famiglia: si scusò con lui per non essere stato un buon padre.”6
“I tre anni che seguirono furono i più tumultuosi” 7 per Hunter.
Dopo aver vissuto per sette anni in Germania, lui, sua madre e suo
fratello si sono spostati negli Stati Uniti, nella vita civile suburbana
della Virginia del Nord, luogo d’origine della madre.
Pochi mesi dopo la morte di suo padre, Hunter stava ancora
soffrendo, ma non riusciva a esprimere i suoi sentimenti. 8
“Un canto interiore insistente diceva di morire perché non c’era
speranza. Ogni giorno era pieno di ossessione per il suicidio”. 9 Così
andò su una collina e si sedette sul bordo del precipizio, scrivendo
delle poesie per la ragazza che lo aveva lasciato. Fortunatamente
Hunter aveva troppe cose da dirle, provò, inutilmente, ad andare a
trovare la sua ex ragazza tentando di farle venire un gran senso di
colpa. 10 Tornò a casa sua e quando aprì la porta sua madre gli disse:
“Ho provato a uccidermi. È meglio che mi ricoveri in un ospedale
psichiatrico”. Egli aveva diciotto anni quando lo ricoverarono per due
settimane in un reparto psichiatrico di isolamento all’Ospedale
Fairfax, fu il “giro di boa”11 della sua vita. Qui conobbe Rudy, il suo
compagno di stanza. Quest’ultimo era perseguitato da una curiosa
allucinazione: vedeva ovunque scoiattoli pericolosissimi che lo
terrorizzavano, e a poco valevano le parole di Hunter che cercava di
fargli capire che gli scoiattoli sono graziosi animaletti innocui. Alla
crisi e agli urli del compagno, in un primo momento, Hunter
rispondeva chiamando gli infermieri che gli somministravano, con la
forza, psicofarmaci. Fu l’inizio di un’alleanza: Hunter, che assisteva
impotente al brutale intervento degli infermieri, capì che per aiutare
l’ammalato dovrà ascoltarlo e mettersi sulla stessa lunghezza d’onda.
6
P. ADAMS, Salute! Ovvero come un medico-clown cura gratuitamente i pazienti con l’allegria e
con l’amore, Milano, Urra, 1999, p. 4
7
Ibi, p. 5
8
Ibi, p. 6
9
Ibi, p. 7
10
Cosa sarebbe accaduto se Hunter si fosse suicidato? Di sicuro il mondo intero non avrebbe mai
conosciuto quest’uomo, dotato di un personalità unica nel genere umano. Probabilmente non
avremmo mai potuto apprendere gli insegnamenti di un uomo che per tutta la vita lotta per un
ideale (“La medicina è uno scambio d’amore, non un business. L’antidoto a tutti i mali è
l’umorismo.”).
11
Ibi, p. 8
- 17 -
D’ora in poi fingerà di credere all’esistenza degli scoiattoli e
intraprenderà un’eroica battaglia, imbracciando bazooka immaginari e
sparando ai minacciosi nemici, per permettere all’amico di andare in
bagno senza essere assalito dalle “belve” in agguato. Hunter lo aiutò a
superare
le
sue
fobie
ricorrendo
ad
un
gioco
divertente.
Improvvisamente capì di avere un dono: sa aiutare chi soffre creando
un rapporto fatto di allegria e complicità. Da questo momento in poi
Hunter diventerà Patch. Percepii una verità profonda e personale,
aveva bisogno di aprirsi e di ricevere amore. Non era pazzo ma
un’anima in pena che aveva sofferto per la morte del padre e per
attraversare una malattia (l’ulcera) ad un’età così giovane.
Il ricovero lo portò a formulare una “filosofia sulla felicità”12,
diventando così “studioso della vita” per una vita felice. Iniziò a
leggere numerosi capolavori della narrativa del diciannovesimo e del
ventesimo secolo per riuscire a capire quanto più possibile sulle
persone, sulla felicità e sull’amicizia, come “esploratore dei continenti
dell’esperienza e del divertimento”13.
Patch si accorse che aiutare gli altri gli da’ gioia ed emozione,
decise così di iscriversi alla facoltà di medicina. Entrato al Medical
College of Virginia a Richmond scoprì ben presto un ambiente
accademico conservatore, in cui lezioni e pratica erano dominate da
riduzionismo e mancanza di entusiasmo. I docenti insegnavano agli
studenti a chiedere al paziente quattro cose veloci, appena quelle che
bastavano per prescrivergli qualche esame e qualche pillola, in quattro
o cinque minuti appena. Tutti gli altri aspetti della vita del malato
(famiglia, lavoro, amici, fede religiosa e molto altro ancora) erano
considerati irrilevanti ai fini della pratica medica.
Ribellandosi a ciò iniziò a sperimentare un metodo inconsueto e
contrastato dai docenti, che consisteva nel diffondere allegria e
buonumore nelle stanze dell’ospedale. Sin dai primi anni di studio
Patch aveva la bizzarra abitudine di parlare con i malati, di conoscere
le loro storie oltre che le loro cartelle cliniche, di stabilire con loro un
rapporto empatico, anziché algido e distaccato, di portare sollievo ai
12
13
Ibi, p. 9
Ibi, pp. 9-10
- 18 -
bambini, ma anche ai malati gravi, con clownerie e burle. Patch era
uno studente fuori dalle righe. Basta solo immaginare che girava nelle
aule e per i corridoi dell’ospedale con i capelli lunghi sulle spalle,
baffoni, camicie colorate, ma soprattutto una toppa (da qui il
soprannome patch) di panno nero per ricordare i marine morti nella
guerra del Vietnam. L’establishment accademico voleva i suoi studenti
in giacca e cravatta, con i capelli tagliati a spazzola e sosteneva
orgogliosamente la guerra nel Vietnam.
Pur essendo apprezzato da pazienti, infermiere ed alcuni studenti,
il suo atteggiamento non era ben visto da medici e professori e ciò lo
intristiva profondamente spingendolo a trovare ambienti più consoni a
lui attraverso i corsi facoltativi. Positive esperienze sono state a questo
proposito quelle dei primi anni settanta in una clinica per bambini a
Washington ed in una clinica libera a Georgetown.
Patch ha vissuto in questi anni un periodo pilota in vista della
realizzazione del suo grande sogno pensato durante l’ultimo anno di
medicina, consistente nella creazione di una clinica buffa gratuita nel
West Virginia. Vista dall’alto la costruzione dovrà riprodurre la
sagoma di un clown, con il reparto di oftalmologia all’interno
dell’occhio e quello di otorinolaringoiatria nell’orecchio. Patch vuole
costruire un ospedale in cui sarà meraviglioso vivere perché non
avrebbe mai cercato di introdursi in un ospedale “sano”, sicuramente
non avrebbe voluto lavorare con un ospedale che rifiutava di assistere i
poveri. L’ospedale è immaginato immerso nel verde e contenente una
biblioteca, un teatro, sale giochi, laboratori artigianali e spazi per la
meditazione. 14 Profondamente orgoglioso del suo progetto, nel 1979
fondò il Gesundheit (che in tedesco vuol dire salute) Institute, una
clinica immersa nella natura dove 15000 persone sono state curate
gratuitamente da Adams e dai suoi collaboratori. Poiché l’ambizioso
progetto presente nella sua mente sin dagli anni universitari necessita
di fondi. Qui il paziente non avrebbe avuto nulla a che fare con le
assicurazioni e avrebbe accettato tutte le arti e le pratiche. Inoltre, le
interviste con il malato sarebbero durate 3 - 4 ore, per creare una
14
P. ADAMS, Salute! Ovvero come un medico-clown cura gratuitamente i pazienti con l’allegria
e con l’amore, Milano, Urra, 1999, cap. 10
- 19 -
relazione perché attraverso l’amicizia si sviluppa l’arte medica. Patch
ha smesso questa attività nel 1983
per fare una campagna per
raccogliere fondi e creare il suo ospedale, attraverso i media, seppur
con qualche remora, cominciando a tenere conferenze e seminari, a
partecipare a convegni, incontri e feste e a presentare spettacoli
umoristici in tutti gli Stati Uniti. Patch si sente investito di una
missione da compiere, viaggia in tutto il mondo per far conoscere la
teoria sul potere terapeutico del sorriso e il suo progetto di un ospedale
che di essa sia veicolo concreto.
1.3.1 Il FILM “Patch Adams”, i LIBRI “Salute! Ovvero come un
medico-clown cura gratuitamente i pazienti con l’allegria e l’amore” e
“Visite a domicilio. Come possiamo guarire il mondo una visita alla
volta” ed il FILM-DOCUMENTARIO “Clown in Kabul”.
Hunter Adams è diventato famoso in tutto il mondo grazie al
successo del film Patch Adams (foto 5), nel quale il suo ruolo viene
interpretato da un brillante Robin Williams, che ne romanza la vita (pur
rispettando in buona parte episodi realmente accaduti, come
l’incredibile bocciatura per troppa gaiezza). Tutto ciò per cercare di
divulgare lo spirito e la filosofia di questo personaggio.
Foto 5: locandina del film “Patch Adams”
(www.kataweb.it)
- 20 -
Il film è stato prodotto negli USA dalla Universal Pictures,
liberamente tratto dall’autobiografia di Hunter “Patch” Adams. Il
regista Tom Shadyak è rimasto affascinato dal modo con cui
l’umorismo può essere impiegato come strumento di guarigione.
Quest’ultimo decide di fare il film ma solo a patto di avere Robin
Williams tra gli interpreti. L’attore accettò il copione dopo aver
incontrato personalmente Patch di cui ha detto: “Un personaggio
incredibile e un medico che esercita la professione con passione e
dedizione”.
Patch è una sorta di guaritore che cerca di scoprire come
funzionano i pazienti. Cosa li diverte? Cosa li stimola? Realizzare le
loro fantasie può aumentare l’emissione di endorfine e accelerare la
guarigione. E allora Patch riempie una stanza di palloncini, una
piscina gonfiabile di spaghetti in giardino, va in giro con un naso rosso
da clown e indossa delle scarpe grandi che emettono dei suoni.
Secondo Patch: “Sappiamo tutti quanto è importante l’amore, eppure,
con quale frequenza viene provato o manifestato veramente? I mali
che affliggono la maggior parte dei malati, come la sofferenza, la
morte e la paura, non possono essere curati con una pillola. I medici
devono curare le persone, non le malattie”.
“A Patch dispiace quando gli chiedono un autografo, non vuole
essere famoso perché su di lui è stato fatto un film, ma vuole che
l’amicizia vinca la solitudine, vuole che l’amore vinca la guerra, vuole
essere riconosciuto per quello che cerca di trasmettere, non perché è
stata girata una pellicola su una piccola parte della sua vita”. 15
Per concludere, Patch Adams è un film che consente di farsi
un’idea di questo personaggio stravagante e sognatore che continua,
dopo trent’anni, a dar vita al suo sogno.
Più del film il libro di Patch “Salute! Ovvero come un medico clown cura gratuitamente i pazienti con l’allegria e con l’amore” (foto
6) (pubblicato per la prima volta nel 1993, dunque precedente il film)
ci aiuta a comprendere la complessità e la profondità del suo pensiero.
15
M. L. MIRABELLA, Clownterapia. Volontari clown in corsia e Missionari della Gioia, Torino,
Neos Edizioni, 2005, p. 36
- 21 -
Foto 6: copertina del libro “Salute! Ovvero come un medico - clown
cura gratuitamente i pazienti con l’allegria e con l’amore”
(www.unilibro.it)
Mentre nel suo secondo libro “Visite a domicilio. Come possiamo
guarire il mondo una visita alla volta” (foto 7), Patch suggerisce a chi
si rapporta col malato di essere innanzitutto naturale e spontaneo, di
ascoltare, di esprimere affetto, creare un contatto, confortare, ma anche
divertire, raccontare storie. 16 Considerando in particolare lo spavento e
la monotonia sperimentati dai bambini degenti, consiglia di entrare nel
loro mondo e nei loro giochi lasciando emergere liberamente la propria
parte buffa. Tutto ciò nella convinzione che ogni visita è comunque
apprezzata per il semplice fatto di distrarre da paure e solitudine. Con
gli adolescenti propone invece la strategia del porsi in una posizione di
ascolto attento e focalizzato sul paziente. 17
Foto 7: copertina del libro “Visite a domicilio. Come possiamo guarire
il mondo una visita alla volta”
(www.unilibro.it)
16
P. ADAMS, Visite a domicilio. Come possiamo guarire il mondo una visita alla volta, Milano,
Urra, 1999, pp. 91-107
17
Ibi, pp. 116-118
- 22 -
Patch Adams ha contribuito, inoltre, ad allargare gli orizzonti dei
clown: dagli ospedali li ha portati per le strade del mondo, le strade più
dissestate e drammatiche, dove bambini e adulti soffrono per le guerre,
la fame o la povertà.
I clown cercano di diffondere la terapia del sorriso anche in culture
differenti dalla nostra, cercando di portare un po’ di buonumore, ma
anche aiuti materiali, a popolazioni devastate da guerre, carestie,
calamità naturali, incidenti.
A questo proposito, ha avuto una certa rilevanza una missione
umanitaria nel 2002 in Afghanistan, sostenuta e finanziata dal sindaco
di Roma, e per la realizzazione di un film-documentario “Clown in
Kabul” (foto 8).
Foto 8: locandina del film-documentario “Clown in Kabul”
(www.kataweb.it)
È stato presentato fuori concorso alla 59a Mostra Internazionale del
cinema di Venezia nella sezione evento speciale e salutato da un
lunghissimo applauso al termine della proiezione. “Clown in Kabul” il
film-documentario che documenta la missione umanitaria avvenuta nel
febbraio del 2002 in Afghanistan di 21 clown-dottori provenienti da
nove paesi diversi con l’obiettivo di portare pace, colore e gioia nei
luoghi della sofferenza.
La missione è stata guidata dal Dottor Hunter “Patch” Adams, uno
tra i primi clown-dottori, alla quale hanno preso parte anche: Leonardo
“Spinotto” Spina, Francesco “Bazar” Pisani, Cristiana “Clorobrilla”
- 23 -
De Maio, Rossella “Ninì” Bergo, Glauco “Fischietto” Siviero, Paolo
“Patito” Dallimonti, Serena “Bollicina” Roveta, Ginevra “Gin Gin”
Sanguigno, Mariana “Mariò” Ramos, Enrico “Kerido” Caruso, Robert
“Wildman” Adams (fratello di Patch Adams), Kathleen “Beach”
Crewes, William “Woodcutter” Waters, Olivia “Ollie” Adams, Danny
“Lenky” Kollaja, Jean- Paul “Lypsy” Bell, Nobumasa “Nobi” Ohmori,
Cornelia “Hatty” Lintjens, Joanna “Jo” Foden, Joy “Winnifred”
Karkeek.
La regia, affidata ad Enzo Balestrieri e Stefano Moser, con la
supervisione di Ettore Scola, imposta l’opera come un reportage. Con
il commento sonoro tratto da composizioni di Nicola Piovano e
Pasquale Filastò, assistiamo alla partenza dei medici da Roma, al loro
arrivo a Kabul e alle loro visite presso gli ospedali: quelli
di
Emergency a Kabul e nella valle del Panshir diretti dal medico Gino
Strada; quello della Croce Rossa di Alberto Cairo e quello pubblico
Indira Gandhi. Ma i Dottori Sorriso hanno anche lavorato nei villaggi
intorno alla capitale e nella valle del Panshir, dove le condizioni di
vita rimangono preoccupanti e altamente drammatiche. Non hanno
fatto solo i clown, ma oltre ai sorrisi in mezzo al dolore, hanno curato
le vittime delle mine anti-uomo e soprattutto i bambini, vittime
principali e innocenti dell’orrore della guerra.
Quando i clown sono entrati negli ospedali, come marziani
piombati in una realtà che neanche loro credevano così tragica, sono
riusciti nell’intento di portare un po’ di allegria per contrastare il
grigiore e la passività della sofferenza e delle malattie. Le loro lacrime
ed il loro sconforto quando escono dagli ospedali visitati sono tra le
sequenze più toccanti del film. “Quando Patch ha varcato la soglia del
reparto ospedaliero dell’Indira Gandhi Hospital, in cui si curavano
bimbi denutriti e altri terminali, si è messo a piangere. Ginevra ha
cercato di alleviare il dolore atroce di una bimba ustionata e operata
senza anestesia. Il clown Gin Gin ha molto sofferto. In Afghanistan
milioni di mine inesplose sono un costante pericolo per chi si
avventura nelle zone dove si è combattuto. Gli ospedali sono pieni di
bimbi “saltati” sulle mine.”
- 24 -
“Le missioni degli “Ambasciatori del sorriso” aperte a persone dai
10 ai 90 anni, hanno come obiettivo principale quello di portare gioia,
amore e aiuto solidale in paesi poveri, paesi provati dalla guerra o le
altre emergenze umanitarie. Le missioni ideate dal Dott. Patch Adams
e il team del Gesundheit Institute, una ventina di anni fa, riuniscono
ogni anno Ambasciatori del sorriso provenienti da tutte le parti del
mondo. Li accomuna un’esperienza di gioia e servizio straordinaria
che ha favorito nel corso degli anni la nascita di tante situazioni nuove
(Clown One Italia e altre) e iniziative di solidarietà (Maria’s
Children). L’idea di progettare queste missioni è nata per la prima
volta in Russia, nel 1985 in seguito alla visita di Patch all’interno di
una missione i cui partecipanti erano medici, diplomatici, insegnanti e
ministri.”
1.4 ASSOCIAZIONI.
Occuparsi di clownterapia non è un compito semplice, non solo a
causa della sua recente apparizione e del logico scarseggiare di
materiale al riguardo, ma anche per il proliferare di numerose e
variegate associazioni che, pur muovendosi nella stessa direzione,
sviluppano idee, progetti e strumenti differenti, originando così una
certa confusione.
1.4.1 LA CLOWNTERAPIA NEL MONDO E IN ITALIA.
THE CLOWN CARE UNIT.
Nel tentativo di risalire alle prime apparizioni dei clown-dottori, si
incontra una curiosa ipotesi secondo la quale pare che, già durante gli
anni Trenta, negli Stati Uniti, compagnie di clown e buffi personaggi si
preoccupassero di intrattenere giovani ammalati durante epidemie di
poliomielite; forse traendo spunto da queste lontane esperienze,
Michael Christensen, clown professionista al Big Apple Circus, e Paul
Binder fondano nel 1986 a New York “The Clown Care Unit”, ovvero
un’innovativa unità di clownterapia che fa della risata una sorta di
medicina. Questa iniziativa mira a portare gioia e sorrisi negli ospedali
pediatrici attraverso veri e propri clown o artisti di strada che, formati
- 25 -
con nozioni scientifiche, psicologiche e di igiene ospedaliera,
diventano appunto “Clown Doctors” e danno vita a regolari e
competenti interventi in collaborazione con e sotto il controllo
dell’autorità sanitaria.
Il progetto è appoggiato da personalità del mondo della politica e
dello spettacolo: Hillary Clinton, Paul Newman, Tom Hanks; oltre che
da fondazioni, associazioni e privati.
Oggi questa fondazione senza scopo di lucro ha sviluppato le sue
attività nel territorio dello Stato di New York, dove è attiva con 60
“clown-dottori” in diversi ospedali: al “New York Presbyterian’s
Babies & Children’s18 Hospital Columbia-Presbyterian Campus”,
all’Harlem Hospital Center”, al “Memorial Sloan-Kettering Cancer
Center”, al “Mount Sinai Medical Center”, al “New York Presbyterian
Hospital Cornell Campus”, allo “Schneider Children’s Hospital of
North Shore-Long Island Jewish Health System”. I “medici
professionisti del piacere”, membri di questa associazione, effettuano
sui piccoli pazienti: “trapianti di nasi rossi” e “trasfusioni di
cioccolata”.
Si sono poi così moltiplicate esperienze di comicoterapia attraverso
analoghe iniziative sul territorio americano. Nell’ “Health Sciences
University” dell’Oregon, i pazienti sono accuditi da “Infermieri del
Sorriso”, allenati a raccontare barzellette e riconoscibili per la dicitura:
“Attenzione, il buonumore può essere pericoloso per la tua malattia”
riportata sui camici. Al “St. Joseph Hospital” di Houston (Texas), gli
ammalati sono accuditi da suore umoriste. All’Università dell’Ontario
Occidentale (Canada), il medico Rod Martin, ha pubblicato una
voluminosa raccolta di ricerche inerenti l’intervento dei dottori-clown
nelle attività sociali. All’interno del “Saint John Hospital” di Los
Angeles, una televisione a circuito chiuso trasmette solo ed
esclusivamente materiale comico. Alla Stanford University of
Medicine di San Francisco è da tempo attivo un Istituto Gelotologico,
presieduto dal Dottor Fry, ma la risoterapia è praticata regolarmente
11
Il Primario di Pediatria, John M. Driscoll, commenta con queste parole l’importanza che
riveste la presenza dei dottori-clown in corsia:“I clown in ospedale sono come dei guaritori: i
bambini sono più disposti a collaborare con medici e infermieri, e questo porta migliori risultati
nella cura”.
- 26 -
anche in alcuni ospedali di Los Angeles e di New York; mentre Amy
Carrel organizza corsi di humor therapy presso l’Università
dell’Oklahoma.
Nei primi anni Novanta la nascente clownterapia sbarca anche in
Europa ed in particolare in Svezia, Germania, Italia; i primi in assoluto
ad accoglierla sono però gli ospedali francesi e svizzeri.
LE RIRE MEDECIN.
Nel 1991 nasce in Francia l’Associazione Le Rire Médecin i cui
membri si recano al capezzale dei bambini ospedalizzati per portare
loro divertimento e fantasia. La fondatrice di tale organizzazione è
Caroline Simonds, clown americana, trasferitasi a Parigi in quell’anno
per diffondere il lavoro pionieristico della Big Apple Circus Clown
Care Unit di New York, di cui aveva fatto parte per tre anni e mezzo.
L’associazione è composta da un folto gruppo di professionisti che,
oltre a possedere un vasto repertorio artistico, lavorano in coppia,
rispettano un codice deontologico e si tengono
continuamente
aggiornati. Scopo di Le Rire Médecin è lavorare a stretto contatto con
l’équipe ospedaliera, in vista di un approccio globale alle cure e
dunque i suoi clown non mirano solamente a distrarre il bambino, ma
cercano
di
aiutarlo
a
vivere
meglio
l’intero
periodo
di
ospedalizzazione.
Otto anni dopo il sorgere di quest’iniziativa, dall’incontro tra la
Dottoressa Giraffa, è questo il nome d’arte della Simonds, ed il
professore di teatro Bernie Warren, scaturisce l’idea di un toccante
libro “La medicina del sorriso. L’esperienza dei clown-dottori con i
bambini” (foto 9) in cui vengono ripercorsi gli avvenimenti accaduti
ad alcuni membri di Le Rire Médecin tra il 1999 e il 2000 nel reparto
di Ematologia di un ospedale pediatrico parigino.
- 27 -
Foto 9: copertina del libro “La medicina del sorriso. L’esperienza dei
clown-dottori con i bambini” (www.unilibro.it)
FONDAZIONE THEODORA.
Theodora in greco vuol dire “regalo degli dei”. In effetti quale
nome potrebbe essere più indicato per un’associazione che dal 1993 si
è proposta di portare tra le pareti asettiche di un ospedale un raggio di
sole per i piccoli pazienti? Grazie all’impegno dei due fondatori,
André e Jan Poulie, in memoria della loro madre Theodora, nasce in
Svizzera la Fondazione Theodora. L’obiettivo di questa associazione è
di alleviare le sofferenze dei bambini ricoverati in ospedale tramite le
visite dei Dottor Sogni. Questi ultimi sono artisti professionisti
selezionati e formati dalla Fondazione che ne organizza e finanzia le
visite settimanali presso gli ospedali. Proprio grazie alle visite dei
Dottor Sogni i bambini possono per qualche istante “evadere” dalla
malattia per ritrovare il proprio mondo fatto di colori, fantasia,
spontaneità, sincerità, sorrisi, sogni.
Si pratica la clownterapia anche al Central Hospital di Città del
Capo (Sud Africa) dove opera il Dottor Marcus Mc Causland, e in
Nuova Zelanda dove troviamo il Dottor Kirkland. Presso il Mental
Health Centre, in Israele, Lev Hasharon porta il buonumore in corsia.
Nell’Europa del nord, i clown-dottori sono presenti in Svezia, presso
l’ospedale civico di Montala. In Gran Bretagna, a Birmingham, è stata
- 28 -
fondata la clinica della risata di Robert Golden. In Germania, a
Tuttlingen e a Sallneck, operano come specialisti in gelotologia
Michael Titze ed Erika Kunz. A Zurigo è presente Max Doen. In
Danimarca, due medici in pensione, Ole Helming e Morgens
Andreassen, hanno fondato un’associazione che ha lo scopo di portare
il buonumore in corsia.
Dalla seconda metà degli anni Novanta i clown-dottori giungono in
Italia, grazie al sorgere di numerosi gruppi ed associazioni. La
clownterapia viene portata avanti soprattutto in maniera volontaristica
e per iniziativa di privati (in Italia esistono ad oggi decine di
associazioni sparse sul territorio ognuna con un proprio statuto e una
propria visione della materia).
Nel maggio 1995 si registra la prima “visita medica” di un Dottor
Sogni, quando il Dottor “Strettoscopio” è andato a trovare i bambini
ricoverati all’Istituto dei Tumori di Milano. Il 4 ottobre 1999 la
Fondazione Theodora ONLUS (foto 10) viene iscritta nel registro
delle imprese. I Dottori Sogni in Italia sono presenti in diversi
ospedali: all’ “Istituto Giannina Gaslini” di Genova, al “San Gerardo”
di Monza, negli “Ospedali Riuniti” di Livorno, all’ “Ospedale Infantile
Regina Margherita” di Torino presso la “Casa di cura San Raffaele
Pisana” e all’ “Ospedale Mandelli” di Roma, all’ “Ospedale San
Paolo” di Savona. All’ “Istituto dei tumori”, all’ “Ospedale Sacco”,
all’ “Istituto neurologico Carlo Besta”, all’ “Ospedale Buzzi”, al “San
Raffaele” tutti con sede a Milano.
Foto 10: logo della Fondazione Theodora
(www.clownterapia.it)
Nel 1995 a Milano, nasce la Fondazione no profit Dottor Sorriso
(foto 11) istituita da Aldo Garavaglia. I clown-dottori: Kerido, Falispa,
- 29 -
Calimerò, Martin, Scintilla, Spock, Bombo, Dodo, e le dottoresse
clown: Misspancio, Chupa, Pepita, Trilli, Trottola, Tonica e Piumetta
sono alcuni dei protagonisti della Fondazione che ogni giorno, a turno,
si recano presso gli ospedali pediatrici della città di Milano e provincia
per visitare i bambini ricoverati e i loro genitori.
Foto 11: logo della Fondazione Aldo Garavaglia “DOTTOR
SORRISO” ONLUS
(www.clownterapia.it)
Attraverso micro-magie e giochi divertenti tengono su il morale ai
piccoli degenti, li fanno sorridere, li coinvolgono in giochi di
micromagia. Prima di andar via, i clown-dottori consegnano ai
bambini le sculture realizzate con i palloncini colorati e una cartolina
ricordo, invitandoli a scrivere una lettera che commenti la giornata
trascorsa e ad imbucarla in un’apposita cassetta, che si trova in tutte le
sale giochi degli ospedali visitati dai Dottor Sorriso. I messaggi
depositati da questi bambini, ma anche dai genitori, sono sicuramente
la prova tangibile dell’effetto positivo che hanno i clown-dottori sui
piccoli pazienti. L’associazione ideata da Aldo Garavaglia collabora
con sponsor che credono fortemente in questa iniziativa e che la
sostengono economicamente. Con “Lysoform” nasce l’iniziativa
benefica “100 anni per regalare sorrisi” a favore della Fondazione
Aldo Garavaglia Dottor Sorriso. Nel Gennaio 2003 la Banca Fineco ha
sostenuto l’Associazione con la campagna di solidarietà: “Regala un
sorriso ad un bambino in ospedale”, che ha permesso ai clienti di
donare un contributo direttamente on line. Nel Natale del 2002 la
società “Galbusera - Dolciaria”, ha devoluto un generoso contributo in
favore dell’associazione. Ma non basta, infatti i Dottor Sorriso sono
impegnanti anche in attività internazionali: il 24 febbraio 2002, due
- 30 -
clown dell’associazione si sono uniti ad una spedizione di circa 20
clown-dottori guidata da Patch Adams in persona, diretta in
Afghanistan. Nel Maggio del 1999 il “Dottor Bombo”, insieme ad un
gruppo di 25 clown provenienti da diverse parti del mondo guidati da
Patch, si è recato tra i bambini del Kossovo, nei campi profughi della
Macedonia. Altri clown dell’associazione hanno partecipato ad una
missione
umanitaria,
diretta
da
Patch,
in
Russia.
Nel 2001 il “Dottor Kerido” e la “Dottoressa Gin Gin” hanno preso
parte alla spedizione “Rotta in Siberia” questa volta guidati dal fratello
di Patch, Wildman Adams. Tra le ultime iniziative dell’associazione va
evidenziata la “Missione Sorriso 2003” in Israele e nei territori della
Palestina; la missione ha visitato i bambini di Nazareth, Betlemme,
Bethania, Hurtas e Gerusalemme.
I Dottor Sorriso, sono presenti nei reparti pediatrici dell’ “Ospedale
Fatebenefratelli”, dell’azienda ospedaliera “San Paolo”, dell’azienda
ospedaliera “San Carlo Borromeo”, con sede a Milano, e poi ancora
nell’“Ospedale Sant’Anna” di Como, a Vimercate, Garbaganate
Milanese, Cantù, Varese, Busto Arsizio, Cittiglio, Gallarate, Tradate,
Saronno, Padova, Modena, Roma e Napoli. Sono inoltre presenti in
alcuni Istituti di Riabilitazione a Cesano Boscone (MI), a Pavia, e a
Bosisio Parini (LC).
Dal 1995 nell’ospedale per miolesi CPO (Centro paraplegici di
Ostia - Roma) è presente l’associazione Ridere per Vivere (foto 12)
che ha sperimentato le potenzialità della clownterapia, fuori e dentro
l’ambito ospedaliero, sugli adolescenti, sugli anziani, sugli operatori
socio-assistenziali, sulle persone malate e sulle persone depresse; in
particolare nelle scuole essa è stata utilizzata come prevenzione per il
disagio giovanile, per mitigare l’aggressività, per stimolare la
creatività, nonché come supporto per gli insegnanti.
- 31 -
Foto 12: logo dell’Associazione Ridere per Vivere
(www.clownterapia.it)
I membri di quest’associazione, sono presenti con i medici della
risata negli ospedali per adulti, e nei reparti pediatrici con i clowndottori; entrambi i gruppi, che sono appositamente formati attraverso
corsi professionali, sostengono il personale socio-sanitario, divertono
gli anziani e i disabili ed effettuano spettacoli nelle sale d’aspetto,
dove sono presenti persone depresse, con problematiche fisiche e
psicologiche in cerca di un sorriso interiore. Ridere per Vivere, in
collaborazione con la provincia di Roma, forma i propri clown-dottori
attraverso 300 ore di corso, che comprendono il tirocinio in corsia ed i
corsi di aggiornamento. Le materie di studio comprendono: la
gelotologia, la clownerie, la microprestidigitazione, l’improvvisazione
teatrale, comica e sonora, la psicologia dello sviluppo relazionale e
dell’ospedale, le relazioni e le dinamiche di gruppo. Ai corsi possono
partecipare medici, educatori, psicologi, ma anche studenti di
psicologia, comici, cabarettisti, animatori e tutti coloro che desiderano
completare
la
formazione
anche
sul
piano
medico.
Nel 1990 l’associazione ha iniziato l’attività di ricerca e nel 1991
ha sperimentato il primo laboratorio all’interno del quale si sono messe
a disposizione le esperienze e le competenze personali dei due
fondatori: la Dottoressa Sonia Fioravanti e il Dottor Leonardo Spina,
autore, attore e gelotologo. Il laboratorio, che inizialmente si chiamava
“Comicità e salute” e solo successivamente ha preso il nome di
- 32 -
“Comicità è salute”, punta ad un metodo di comicoterapia attiva, che
coinvolge persone con problematiche di diversa natura. Nel 1995 è
nata ufficialmente “L’Associazione Nazionale per la ricerca e
l’applicazione della risata in funzione terapeutica”; dal 1996 un gruppo
di volontari del sorriso ha portato aiuto a persone in difficoltà, degenti
in
ospedale,
in
case-famiglia
e
in
case
per
anziani.
I volontari di quest’ associazione, iniziano a svolgere spettacoli gratuiti
nelle piazze, negli ospedali, vengono invitati a partecipare ai convegni
che si svolgono in Italia, ma anche all’estero, sono invitati in radio ed
in televisione, per descrivere le attività in cui sono impegnati.
Nel 1997 in Italia, presso l’Ospedale Pediatrico “Anna Mayer” di
Firenze, (costruito nel 1884 per opera del Commendatore Giovanni
Mayer), è stato introdotto dall’Associazione Clown Aid, il progetto
pilota “Clown in corsia”. Soccorso Clown (foto 13), così si chiamano i
clown-dottori che fanno parte di questo progetto, è un sistema
certamente all'avanguardia basato sull'esperienza della Clown Care
Unit di New York, che regala un sorriso ad ogni bambino triste e
impaurito dal contesto ospedaliero.
Foto 13: logo dell’Associazione Soccorso Clown
(www.clownterapia.it)
Il Direttore artistico del progetto, il russo Vlad Olshansky (dottor
Bobo), collabora con il fratello Yuri (dottor Mainsbaglia), Direttore
generale del progetto nonché supervisore di “Soccorso Clown” e
creatore dell'”Olshansky Method”. Yuri spiega: “Con il nostro lavoro
entriamo in relazione con il bambino nella sua totalità. Per troppo
tempo la medicina si è limitata a prendere in esame solo la parte
malata del bambino. Noi ci preoccupiamo invece di valorizzare la
parte sana e giochiamo con essa. Attraverso la comicità si
- 33 -
sdrammatizzano i trattamenti medici e si riducono paura e ansia,
associate alla degenza. Quando i clown-dottori arrivano in corsia, si
respira un clima di gioia, sono i bambini ad andare da loro e diventare
dei veri protagonisti, il tutto nel rispetto dell’ambiente, senza
intralciare il lavoro dei medici, né le terapie”. Vlad è un clown
professionista
laureatosi al Circo
di Mosca,
l’unica
scuola
professionale per clown; è membro attivo della Clown Care Unit e gli
è stato affidato il compito di diffondere nel suo paese la professione
dei clown-dottori. È stato nominato supervisore dei medici-clown al
“New York Presbyterian Hospital”. L’accademia Soccorso Clown, in
base alla richiesta degli ospedali e delle strutture sociali, forma ogni
anno nuovi clown-dottori, scelti anche tra professionisti dello
spettacolo.
Ogni
membro
dell’accademia
è
sottoposto
a
prove
di
perfezionamento e di “igiene psicologica”, sulla scia del metodo
adottato dalla Clown Care Unit del Big Apple Circus di New York, che
ha messo a punto uno standard qualitativo cui fanno riferimento tutte
le associazioni dei medici-clown.
Nella Regione Umbra, vicino a Gubbio, opera Jacopo Fò con la
sua Libera Università di Alcatraz (foto 14).
Foto 14: logo dell’Associazione Libera Università di Alcatraz
(www.clownterapia.it)
Fò è un promotore di un appello al Ministero della Sanità per il
riconoscimento
della
dignità
terapeutica
del
ridere.
Quest’associazione, con il contributo della Regione Umbria, ha ideato
un programma per un corso di 600 ore con lo scopo di formare
“comico-terapeuti”.
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Nel 1998 a Bolzano è nata l’Associazione Medicus Comicus (foto
15); i clown-dottori svolgono il loro servizio nei reparti di pediatria
degli ospedali altoatesini di Merano, Bolzano, Bressanone, Vipiteno,
Brunico e San Candido. Dopo aver seguito una formazione specifica,
portano l’allegria e il sorriso ai piccoli degenti, ai familiari e al
personale medico e paramedico che vivono la realtà della corsia
ospedaliera. Da diversi anni i clown-dottori di quest’associazione (il
cui motto è: “il riso fa buon sangue”) collaborano con i Cliniclowns (i
piccoli pagliacci) austriaci.
Foto 15: logo dell’Associazione Medicus Circus
(www.clownterapia.it)
A Cagliari è presente l’Associazione Kirighì (foto 16), fondata da
medici, psicologi, infermieri, pedagogisti, terapisti, insegnanti, attori e
animatori, che mettono a disposizione le proprie professionalità ed
esperienze per far sorridere le persone malate. È un’associazione di
maghi, giocolieri, burloni, saggi, che portano avanti una terapia di
prevenzione del disagio emotivo e sociale. L’associazione è sostenuta
dalle quote degli associati, dai contributi pubblici e privati e dalle
donazioni spontanee.
- 35 -
Foto 16: logo dell’Associazione Kirighì
(www.clownterapia.it)
A Mestre Manuela Polacco ha fondato Il Piccolo Principe (foto
17), un gruppo di clown-dottori che portano il sorriso nella pediatria
dell’ospedale locale. “Noi crediamo - dice Manuela Polacco - che
l'accoglienza e la condivisione siano l'unica modalità di un rapporto
umano vero. Non basta parlare della sofferenza, bisogna con umiltà e
rispetto, condividerla. Noi non salviamo nessuno, ma la nostra
presenza nei luoghi di sofferenza è un tentativo di rendere la realtà più
accogliente per l'uomo stesso; è un'amicizia carica di gratitudine che
per noi nasce nell'incontro cristiano, e ha generato una passione per le
persone e il bisogno di riaffermare che la vita è comunque buona e
degna di essere vissuta”. I clown-dottori di quest’associazione vestono
questi panni anche fuori del reparto di pediatria; hanno infatti portato
un po’ di colore nel reparto di chirurgia e nel reparto di ginecologia,
dove sono ricoverate le mamme in attesa di partorire e le neo- mamme.
Foto 17: logo dell’Associazione Il Piccolo Principe
(www.ilpiccoloprincipe.tk)
- 36 -
Nel 2001 a Biella nasce Il Naso In Tasca (foto 18),
un’associazione di volontariato no profit che opera in diversi reparti
dell’ospedale della città. Il 07 Settembre 2003 presso i Giardini
Zumaglini di Biella si è tenuta la terza edizione di “Clowntown - Città
della gioia”, una giornata dedicata ai bambini e alle loro famiglie.
Patrizia Manna, esperta di progettazioni ed eventi con “Clowntown” ha
realizzato momenti di gioco, spettacolo e divertimento per bambini di
ogni età.19
Foto 18: logo dell’Associazione Il Naso in Tasca
(www.clownterapia.it)
19
www.clownterapia.it
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CAPITOLO SECONDO: esperienza sul campo
Vengono ora illustrati gli obiettivi, la metodologia, gli strumenti ed
i campioni della ricerca.
2.1 OBIETTIVI.
In seguito alla lettura del libro “Salute! Ovvero come un medicoclown cura gratuitamente i pazienti con l’allegria e con l’amore”, di
Patch Adams, ho deciso di approfondire il tema della clownterapia.
Trasformando il reparto ospedaliero in un luogo magico e incantando i
bambini, il clown-dottore cerca di stabilire con loro un rapporto che
faccia dimenticare la monotona quotidianità dell’ospedale attraverso
l’immaginazione, la magia, le favole ed il gioco. Con il gioco ed il
sorriso, i clown cercano di aiutare i bambini a contenere, comprendere
ed elaborare le loro emozioni. Il gioco è uno strumento essenziale di
comunicazione per i bambini, soprattutto in ospedale, poiché ripristina
l’ambiente familiare e favorisce l’elaborazione di contenuti emotivi
pesanti inerenti alla malattia. I clown-dottori con “trasfusioni di
cioccolata” e bolle di sapone riescono a far sdrammatizzare la tanto
temuta figura del medico, cercando di far prendere al bambino
familiarità con le procedure terapeutiche, e probabilmente di far
accettare ai bambini il loro vissuto di malattia. Dispensando emozioni
positive, il clown-dottore cerca di risollevare lo spirito, diffondere la
gioia, trasmettere calore umano, regalare un sorriso, un momento di
svago, intrattenimento e socializzazione.
Consultando i siti Internet inerenti alla clownterapia, ho
apprezzato molto l’allegria e la spensieratezza di chi svolgeva questo
“mestiere” che emergeva da fotografie colorate, poesie e tante
testimonianze positive delle persone (pazienti, genitori dei bambini
ricoverati, medici ed infermieri) che avevano sperimentato la terapia
del sorriso.
Contattai,
così,
alcuni
ospedali
pediatrici
di
Torino
e
l’Associazione “Il Naso in Tasca” di Biella, chiedendo se vi era la
possibilità di poter osservare dei clown-dottori.
Ho conosciuto la locale Associazione Missione Sorriso Valle
d’Aosta nel corso di una sua manifestazione pubblica per la raccolta
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fondi. Presi contatti con due operatori per avere qualche consiglio per
la tesi e per concordare le successive tappe finalizzate alla mia
osservazione in corsia ospedaliera.
In particolare il lavoro presentato in questa tesi ha i seguenti
obiettivi:
1) individuare le principali associazioni di clownterapia che
operano sul territorio nazionale attraverso una ricerca on line;
2) comprendere chi è il clown-dottore (genere, età, professione,…);
3) analizzare le modalità di svolgimento della clownterapia ad
Aosta (il contesto nel quale viene svolta, l’operato del clown-dottore, il
tipo di attività svolte con i piccoli pazienti);
4) cogliere le reazioni del personale ospedaliero, dei bambini e dei
loro genitori rispetto alla clownterapia.
2.2 METODOLOGIA e STRUMENTI.
È stato usato prevalentemente il metodo osservativo con
osservazioni dirette ed indirette.
La scelta della metodologia discende dagli obiettivi che sono
prevalentemente di natura descrittiva, dall’età dei bambini e dal
contesto ospedaliero. I piccoli pazienti sono stati osservati. Si è scelto
di non intervistarli per via dell’età in quanto non posseggono ancora
una buona capacità di produzione linguistica e per il loro stato di
salute: infatti la difficoltà della situazione e la fatica possono generare
risposte non attendibili, le domande possono risultare troppo difficili e
generare ansia o rifiuto.
Per raggiungere il primo obiettivo, che consisteva nell’individuare
le principali associazioni di clownterapia che operano sul territorio
nazionale è stata realizzata una ricerca on line consultando il sito
Internet www.clownterapia.it .
Per raggiungere il secondo obiettivo, che consisteva nel
comprendere chi è il clown-dottore, sono state realizzate delle
interviste. Con le interviste si è cercato anche di mettere in evidenza
degli aspetti essenziali, quali la nascita e gli obiettivi dell’Associazione
Missione Sorriso Valle d’Aosta, le motivazioni che hanno portato alla
scelta dei volontari di diventare clown-dottore, l’importanza della
- 39 -
figura di Patch Adams e dei suoi ideali. Le interviste sono state
sottoposte al Presidente ed alcuni soci attivi dell’Associazione
Missione Sorriso Valle d’Aosta che effettuano attività di volontariato
in modo costante presso l’Ospedale Beauregard di Aosta. Viceversa, i
soci sostenitori, non avendo seguito adeguata formazione finalizzata
all’attività del “medico-clown”, non possono svolgere questa attività,
ma sono parte attiva all’interno dell’associazione. Le interviste erano
costituite da domande aperte, la loro forma dipende dal tipo di
informazioni che si è cercato di rilevare, e dal desiderio di lasciare
esprimere ai soggetti intervistati il proprio punto di vista scegliendo
loro le parole più adeguate.
Alcune interviste sono state svolte il sabato mattina all’Ospedale
Beauregard, altre sono state realizzate in orario serale presso il Centro
Sociale per il Volontariato (CSV). Tutte le interviste sono state
audioregistrate con un registratore, per poi essere riascoltate in modo
da focalizzare alcuni punti.
Questo strumento serve a dimostrare il massimo di capacità che
esso unicamente possiede ovvero di “rilevare a una persona il mondo
interno di un’altra persona” 20.
“L’immagine tipica della situazione-intervista è infatti quella in cui
i soggetti avvertono poco la pressione a rispondere, la forma
dell’intervista è aperta e l’atteggiamento dell’intervistatore è non
direttivo”.21
I limiti delle interviste riguardano l’aspetto motivazionale, ossia le
persone possono rifiutare di essere intervistate o, pur accettando
l’intervista, possono resistere a comunicare le proprie opinioni. In
questo caso si devono motivare i soggetti per ottenere la loro
collaborazione. Un altro limite può essere rappresentato dal livello
cognitivo che influisce sulla comprensione delle domande poste
dall’intervistatore. Questi limiti nella nostra ricerca non si sono
presentati in quanto le persone intervistate amano fare questo tipo di
volontariato perché li appassiona e li diverte ed erano motivati a
20
21
T. AURELI, L’osservazione del comportamento del bambino, Bologna, il Mulino, 1997, p. 61
Ibi, p. 66
- 40 -
rispondere. Esse inoltre erano tutte di livello culturale medio e non
hanno pertanto mostrato problemi di comprensione.
Al Presidente dell’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta,
sono state poste delle domande sulla storia dell’associazione, su come
ha conosciuto gli altri volontari, se ha avuto difficoltà a far accettare
l’associazione dal sistema sanitario, sulla figura di Patch Adams, sul
corso per diventare clown-dottore, sugli obiettivi dell’associazione,
sulle attività che i medici-clown svolgono al di fuori dell’Ospedale
Beauregard, se hanno un diario dove annotano le loro esperienze e se
svolgono delle riunioni; infine, una domanda sulla propria esperienza
personale: raccontare un episodio positivo o negativo legato al
volontariato svolto in corsia ospedaliera.
Nel riquadro 1 vengono riportate le domande poste al Presidente
dell’Associazione durante l’intervista.
DOMANDE
AL
PRESIDENTE
DELL’ASSOCIAZIONE
MISSIONE SORRISO VALLE D’AOSTA:
- Breve presentazione (nome, età, professione);
- Com’è nata l’idea di creare l’Associazione Missione Sorriso
Valle d’Aosta?
- Come hai conosciuto gli altri membri dell’Associazione?
- L’Associazione ha incontrato difficoltà per farsi accettare
dal sistema sanitario?
- Come sei venuta a conoscenza di Patch Adams? Cosa pensi
di lui?
- Come si diventa clown-dottore (corso…)?
- Cosa volete trasmettere come Associazione (amore verso
gli altri, emozioni, …)?
- Svolgete attività di clownterapia anche al di fuori
dell’Ospedale Beauregard?
- Avete un diario dove annotate esperienze positive e non?
Fate delle riunioni?
- Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo
operato, che ti ha particolarmente colpita.
Riquadro 1
- 41 -
Ai membri dell’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta, sono
state poste delle domande più sul piano personale, quali una breve
presentazione iniziale di sé, la motivazione che li ha portati a diventare
clown-dottori, la figura di Patch Adams e il racconto di un episodio
positivo o negativo accaduto durante la loro attività di volontariato in
corsia ospedaliera.
Nel riquadro 2 vengono riportate le domande poste ai soci attivi
dell’Associazione.
DOMANDE AI CLOWN-DOTTORI:
- Breve presentazione (nome, età, professione);
- Come mai hai deciso di diventare clown-dottore?
- Come sei venuto/a a conoscenza di Patch Adams? Cosa
pensi di lui?
- Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo
operato, che ti ha particolarmente colpito/a
Riquadro 2
Per raggiungere il terzo ed il quarto obiettivo, che consistevano
nell’analizzare le modalità di svolgimento della clownterapia ad Aosta
e nel cogliere le reazioni del personale ospedaliero, dei bambini e dei
loro genitori è stata usata l’osservazione.
Ho svolto l’osservazione nel Reparto di Pediatria dell’Ospedale
Beauregard di Aosta, dove, per qualche mese, mi sono recata il sabato
mattina dalle ore 9 alle ore 11.
La mia osservazione si è concentrata prevalentemente sul Reparto
di Pediatria in quanto, dopo aver letto il libro “La medicina del sorriso.
L’esperienza dei clown-dottori con i bambini” di Caroline Simonds e
Bernie Warren, volevo vedere nella realtà e all’opera i clown-dottori di
un’associazione con dei bambini “grandi”. Negli altri due reparti,
presenti nell’ospedale e in cui operano i medici-clown, Patologia
Neonatale e Nido, non sono infatti presenti delle attività strutturate: vi
sono neonati prematuri e/o con patologie ospitati in incubatrice, in
culla termica o in culla normale, per usufruire di un’assistenza di tipo
intensivo e sub-intensivo. Per entrare in questo reparto si devono
- 42 -
infilare un paio di soprascarpe blu usa e getta, i clown-dottori fanno i
palloncini nella stanza delle infermiere per non disturbare i piccoli. I
clown offrono solo palloncini alle neo-mamme per i loro bambini.
È stata scelta un’osservazione distaccata con registrazione carta e
matita. Ogni volta che uscivo dalla stanza, annotavo gli appunti su un
quaderno, per poi ricopiarli in bella quando tornavo a casa. Venivano
registrati il tipo e la durata delle attività, le persone presenti nella
stanza, le reazioni dei bambini e dei loro genitori. La registrazione
carta e matita è una tecnica narrativa che “consiste nel registrare il
comportamento per come esso si verifica. L’enfasi è posta sulla fedeltà
e chiarezza della registrazione. In linea di principio, il resoconto cerca
di ricavare quante più cose si osservano, di rilevarle il più
accuratamente possibile e di comunicarle in un linguaggio quotidiano.
Lo scopo è di riprodurre l’effettivo svolgersi del fenomeno”. 22
Il vantaggio di questo tipo di osservazione è la capacità di fornire
una descrizione accurata e fedele del fenomeno così come si verifica in
natura.
I limiti, invece, possono fondarsi sulla paura da parte dell’estraneo:
l’osservatore è visibile e i soggetti si rendono conto di essere osservati.
“Un adulto estraneo inserito per la prima volta in un gruppo che
assume un atteggiamento distaccato e si trincera dietro un foglio
bianco che inizia a riempire, costituisce un elemento di disturbo o
quanto meno di curiosità che può alterare l’equilibrio del gruppo.
Viceversa, un certo numero di visite che precedono l’inizio delle
osservazioni e durante le quali l’osservatore familiarizza con i bambini
producono un effetto “abitudine” e contribuiscono al declino
dell’effetto “novità”, determinato dalla presenza di un estraneo. Sarà
bene inoltre che l’osservatore si presenti o venga presentato ai
bambini”. 23 Questi ultimi dimenticano rapidamente la presenza
dell’osservatore o tendono con facilità a “ignorarne” la presenza.
Per superare almeno in parte questo limite, ho dedicato una
preliminare
mezz’ora
di
familiarizzazione
con
i
volontari
dell’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta. Inoltre, i clown22
L. CAMAIONI, T. AURELI, P. PERUCCHINI, Osservare e valutare il comportamento
infantile, Bologna, il Mulino, 2004, p. 73
23
Ibi, pp. 35-36
- 43 -
dottori mi presentavano al bambino ed ai suoi genitori, dicendo il mio
nome e spiegando chi ero e perché ero lì. Per far capire agli altri che
ero al seguito dell’associazione, indossavo un copricapo-palloncino e
il naso dipinto di rosso. Durante l’osservazione rimanevo in piedi
sulla porta della stanza del bambino ricoverato.
2.3 CAMPIONE.
È stato osservato, durante 15 sedute osservative, un campione
complessivo di 40 bambini (maggior numero durante il periodo
invernale) suddivisi in neonati, bambini più grandi, ragazzi osservati
nella loro camera, al Pronto Soccorso, in corridoio e mentre stavano
per tornare a casa. Tutto ciò per cogliere la globalità del
comportamento dei soggetti nel contesto ospedaliero e per analizzare il
ruolo e lo spazio dedicato alla clownterapia.
Sono
state
svolte
11
interviste
ad
alcuni
soci
attivi
dell’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta che effettuano
attività di volontariato il sabato mattina presso il Reparto di Pediatria,
Patologia Neonatale e Nido dell’Ospedale Beauregard di Aosta. Sono
stati selezionati i soci che hanno maggior contatto con i bambini
ospedalizzati.
- 44 -
CAPITOLO TERZO
Risultati: il contesto ospedaliero
3.1 LE ASSOCIAZIONI DI CLOWNTERAPIA IN ITALIA.
Sul territorio nazionale sono presenti nove principali associazioni
di clownterapia. Dalla seconda metà degli anni Novanta i clowndottori giungono in Italia, grazie al sorgere di numerosi gruppi ed
associazioni. Nel 1995 si registra la visita di un Dottor Sogni della
Fondazione svizzera Theodora ai bambini ricoverati all’Istituto dei
tumori di Milano, alla quale segue a breve la costituzione di una
sezione italiana della fondazione italiana. Le associazioni sono situate
in varie città come Firenze, Gubbio, Bolzano, Cagliari, Mestre, Biella,
Milano e Roma.
3.2 REPARTO DI PEDIATRIA DELL’OSPEDALE BEAUREGARD
DI AOSTA.
Il Reparto di Pediatria dell’Ospedale Beauregard di Aosta è situato
al piano terra dell’ospedale a sinistra rispetto all’ingresso principale
(figura 19).
Entrando nel Reparto, a destra vi sono: la Segreteria, l’Ufficio del
Primario, due Studi Medici, una stanza (spogliatoio clown-dottori), la
cucina, due bagni e una stanza da quattro letti dell’OBI (destinata per i
ricoveri della durata di 24 ore).
Al centro vi sono: il Pronto Soccorso Pediatrico diviso in tre
ambienti: la stanza delle infermiere per l’accoglienza, la sala d’aspetto
e, non contigua alle precedenti, la stanza per le visite mediche.
A parte vi è una zona adibita a sala da pranzo, composta da tre
tavoli, delle sedie, una televisione e un frigorifero.
Entrando nel Reparto a sinistra vi sono: otto camere (una sola di
esse con il bagno), due bagni, la ludoteca “L’Isola che non c’è”,
gestita dalla Cooperativa Noi & gli Altri. Qui i piccoli pazienti,
ricoverati o in regime di Day Hospital, hanno la possibilità di usufruire
- 45 -
di uno spazio allegro e rassicurante dove giocare, socializzare e
partecipare alle attività ludico-ricreative proposte dall’educatrice che si
occupa di questo spazio. È stata realizzata una sala giochi simile a
quella di un asilo nido o di una scuola materna. “È particolarmente
importante progettare degli spazi dove i piccoli possano muoversi a
proprio piacimento, recuperando una sensazione di “normalità”, senza
interferire con il lavoro degli operatori sanitari. Il movimento è
fondamentale per ogni bambino perché gli consente di esplorare lo
spazio, ed è il bambino stesso a fissare i propri confini, stabilendo un
rapporto personale con l’ambiente che lo circonda.”24
“Per sentirsi tranquillo in un ambiente il bambino deve inoltre
potersi “fondere” con esso e ciò significa creare un ambiente che possa
inviargli un messaggio unitario fatto di atmosfere, colori, luci e arredi.
L’arredo adatto a un ambiente per bambini deve essere realmente a
misura di bambino, tanto da permettere ai piccoli di utilizzarlo con una
certa indipendenza e autonomia. Armadi, tavoli, sedie ma anche
lavelli, specchi, toilette dovrebbero essere realizzati in scala adeguata e
non solo in termini di dimensioni: infatti arredi che costituiscono
anche una stimolazione percettiva e manipolativa attraverso la forma,
la consistenza e il colore, aiutano i piccoli pazienti a esercitare una
forma di controllo sull’ambiente e contribuiscono a renderli più
sicuri.”25
Infine, vi è la stanza d’isolamento (due stanze con il bagno
all’interno), per i bambini che hanno gastroenteriti, difese immunitarie
basse o altre patologie che ne richiedano l’utilizzo. Il bambino può
creare uno spazio proprio portando con sé il proprio peluche, i suoi
giocattoli preferiti o le fotografie della sua famiglia per agevolare il
superamento della fase di separazione.
I coloratissimi disegni sulle pareti del reparto sono stati realizzati
nell’estate del 2001 dai ragazzi dell’Istituto d’Arte di Aosta
nell’ambito di uno stage riservato alle classi quarte. Sulle pareti vi
sono dipinti numerosi personaggi Disney, come ad esempio: Bambi, il
Mago Merlino, la Sirenetta, Pinocchio, Minnie e molti altri. Tutto ciò
24
L. RICOTTINI, Quando il paziente è il bambino: problemi di relazione, Torino, Centro
Scientifico Editore, 2003, p. 97
25
Ibi, p. 98
- 46 -
per rallegrare in parte gli ambienti ma anche per renderli meno estranei
ed ostili davanti agli occhi dei bambini. Spesso i genitori, nell’attesa di
vedere il medico, camminano con il figlio in braccio nel corridoio
mostrandogli le figure che si prestano bene a raccontare le storie e a
ricordare cartoni animati in modo da stimolare la fantasia dei bimbi.
Inoltre sui muri sono attaccati alcuni disegni dei bambini ricoverati.
Un ambiente ben progettato può quindi fare molto per aiutare il
bambino a mantenere o a recuperare la propria salute, mantenendo il
suo senso di benessere.
Per quanto riguarda gli orari all’interno del Reparto di Pediatria
dell’Ospedale Beauregard di Aosta, ai piccoli pazienti viene servita la
colazione alle ore 8, il pranzo è alle ore 11:40, la merenda alle ore 16 e
la cena alle ore 18:40. Per i più piccini i pasti vengono forniti tramite
biberon alle 6 del mattino o alle 3 di notte. Al mattino vi è il giro visite
da parte del medico nelle stanze dei bambini per poi effettuare quelle
al Pronto Soccorso Pediatrico. Inoltre, vengono svolti gli esami
invasivi, come ad esempio prelievi del sangue, medicazioni. Per le
visite non c’è un orario fisso di giorno, mentre di notte vi è la presenza
di un parente e di un medico. I bambini ricoverati possono giocare
presso la sala giochi “L’isola che non c’è” aperta tutti i giorni dalle
14:30 alle 18:00 esclusa la domenica.
- 47 -
Figura 19: piantina del Reparto di Pediatria
3.3 ASSOCIAZIONE MISSIONE SORRISO VALLE D’AOSTA.
L’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta (figura 20) è nata
nel 2004. L’idea è venuta ad un gruppo di persone che avevano svolto
un corso di formazione con la “Fondazione Aldo Garavaglia”,
proposto dal gruppo dell’ONLUS valdostano.
I membri dell’Associazione operano presso il Reparto di Pediatria,
di Patologia Neonatale e al Nido dell’Ospedale Beauregard di Aosta,
nelle scuole (per far vedere ai bambini ed ai ragazzi cosa fanno i clown
- 48 -
in corsia ospedaliera) e nelle microcomunità per anziani (canti, balli,
piccole gag).
L’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta collabora anche
con altre Associazioni:
l’ASPERT (progetto fino
al 2007),
l’UNENDORAISES, l’AVAPA; con il Comune di Aosta per il pranzo
di Natale in comunità anziani e microcomunità; con Maria Bonino e
l’Associazione Progetto Vita Ana Moise ONLUS (per un bambino
rumeno malato di leucemia) per la raccolta fondi con la Pediatria.
Figura 20: logo dell’Associazione Missione sorriso Valle d’Aosta
Gli scopi dell’Associazione sono quelli di aiutare i bambini ad
affrontare situazioni di dolore, di paura, di ansia, utilizzando la musica,
la “magia” e l’umorismo; di supportare il personale medico e
paramedico; di aiutare i genitori a ritrovare il coraggio di sostenere i
loro figli durante la malattia.
Gli attuali componenti dell’Associazione sono: la Dottoressa
Tatapik (il Presidente), il Dottor Otto, la Dottoressa Pallina, la
Dottoressa Frittella, il Dottor Mauciccio, il Dottor Tontolone, il
Dottor Pu-pazzo, la Dottoressa Paciok, la Dottoressa Chipirina, la
Dottoressa Melarido e la Dottoressa Camomilla (foto 21).
- 49 -
Foto 21: clown-dottori dell’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta
Mensilmente sono programmati due incontri (una riunione ed un
laboratorio), finalizzati allo scambio reciproco delle attività e delle
esperienze e a favorire l’affiatamento del gruppo.
La
formazione
prevede
l’obbligatorietà
di
iscrizione
all’Associazione ed un colloquio iniziale attitudinale. Essa consiste in
una parte teorica e in una parte pratica. La parte teorica, della durata di
circa 50 ore, si tiene generalmente durante un fine settimana al mese
per tre mesi consecutivi, in modo da agevolare la partecipazione dei
lavoratori. La parte pratica (il tirocinio), invece, della durata di 30 ore,
viene effettuata nel Reparto di Pediatria, Patologia Neonatale e Nido
dell’Ospedale Beauregard di Aosta, il sabato mattina dalle ore 8:30
alle ore 12:30; i corsisti sono qui affiancati dai medici-clown operativi.
Il percorso formativo deve concludersi in un tempo massimo di 8
mesi. In seguito, vi è la valutazione finale con un colloquio individuale
ed un incontro di supervisione con la psicologa del Centro di Servizio
per il Volontariato (CSV). A chi termina la formazione con successo,
viene rilasciato un attestato con qualifica di “medico-clown”.
I partecipanti al corso, massimo 20 persone, vengono seguiti dalle
persone dell’Associazione Qui Quo Qua, maghi e mimi, affiancati da
clown-dottori già in servizio. Le materie insegnate riguardano le
tecniche di mimo, la clownerie, il teatro e le tecniche di gioco volte
alla conoscenza del gruppo. Inoltre, la psicologa del CSV, spiega i
concetti legati al dolore, alla morte, alla relazione, mentre il Presidente
- 50 -
dell’Associazione illustra i concetti di igiene, di salute, di malattia e di
come ci si muove in Reparto.
L’Associazione ha creato un proprio codice deontologico nel quale
sono delineate una serie di norme e regole da rispettare. Vengono
evidenziate in particolare la responsabilità, il segreto professionale,
l’essere rispettoso e discreto, la formazione continua, l’attenzione per
la sicurezza, il non accettare compensi o mance.
Tra i più recenti riconoscimenti avuti dall’Associazione citiamo il
Premio Mimosa conferito domenica 12 marzo 2006 presso il “Salone
Ducale del Municipio di Aosta, la cerimonia di consegna delle
distinzioni previste dal “Premio Mimosa”, un concorso volto a
riconoscere l’operato di donne distintesi nel campo del volontariato,
promossa in occasione della festa dell’8 marzo, e organizzata, per il
terzo anno consecutivo, dalla presidenza regionale del “Centro Studi
Universum”, con il patrocinio del Comune di Aosta e della Consulta
femminile”. Tra le premiate Stefania Perego, presidente di “Missione
Sorriso Valle d’Aosta”, l’associazione dei “medici-clown” con
l’obiettivo di portare negli ospedali la terapia del sorriso. 26
Nel mese di dicembre 2006, i clown-dottori dell’Associazione
Missione Sorriso Valle d’Aosta si sono recati nell’orfanotrofio di
Campina (Bucarest) dove hanno trascorso alcune giornate con i
bambini presenti nella struttura. Sono state svolte alcune attività mirate
sia manuali, sia attraverso un momento di festa comune dove i mediciclown hanno portato i bambini in un mondo di magia, fatto di colori,
storie, gag, divertimento.
3.4 CHI È IL CLOWN-DOTTORE.
“…Dottore che sintomi ha la felicità?...
canzone di Jovanotti “Mi fido di te”
Il clown-dottore rappresenta una figura professionale che si occupa
di comicoterapia, “scienza” che utilizza la risata come strumento per
cercare di accelerare il processo di guarigione e di catalizzare le
emozioni negative trasformandole in energia positiva.
26
“Una mimosa per un sorriso”, La Vallée Notizie, ANNO XXI, n.11, 18 marzo 2006
- 51 -
Tale denominazione è stata scelta per alcuni precisi motivi. In
primo luogo si tratta di una figura di per sé terapeutica (box 1).
È stato condotto uno studio clinico, diretto dal Professor Riccardo
Longhi, primario all’Ospedale S. Anna di Como e col contributo della
Regione Lombardia. La ricerca, durata sei mesi, è stata effettuata nel
S. Anna di Como, nel S. Carlo di Milano e nell’Ospedale di Cantù.
Sono stati coinvolti in tutto 343 bambini, 179 con l’assistenza del
clown, e 156 (il gruppo di controllo) senza. Il clown era presente tutti i
giorni e faceva parte dell’équipe infermieristica, seguiva tutti i
trattamenti ai quali il bambino veniva sottoposto, lo ricercava al Pronto
Soccorso, lo accompagnava in camera e si occupava prevalentemente
di farlo giocare. Il risultato più evidente è stata una diminuzione
marcata dell’ansia “indotta”, con un beneficio del tutto inaspettato
anche sugli adulti. I familiari dei bambini ricoverati in assistenza di
clown hanno riportato con maggior frequenza elevati livelli di ansia e
nei bambini senza clown è emersa una maggior frequenza di disturbi
del sonno.27
Box 1 Il clown-dottore come figura terapeutica
In secondo luogo il clown-dottore indossa un camice, per quanto
variamente trasgressivo; in terzo luogo opera in stretto contatto con
l’équipe ospedaliera, pur essendo l’unica figura la cui presenza può
essere rifiutata dal bambino o dalla sua famiglia. Questo “poter essere
rifiutato” restituisce potere al bimbo o al ragazzo, in un contesto in cui
egli e la sua famiglia hanno scarse possibilità di scelta. Anche in
questo modo il clown-dottore si adopera per ripristinare il “mondo
normale” dei degenti.
Quali sono le caratteristiche di coloro che scelgono di indossare il
camice del clown-dottore? Si tratta di persone dalla spiccata sensibilità
le quali decidono di formarsi per diventare dei professionisti che, in
abiti da clown, si mettono al servizio degli altri, “con la volontà di far
27
www.consiglio.regione.lombardia.it
- 52 -
divertire, di donare qualcosa agli altri” 28 per combatterne la sofferenza.
Armati di doti personali, conoscenze teoriche e capacità pratiche, esse
si creano un buffo ed originale personaggio, contraddistinto da un
personale costume e da un nome d’arte, in grado di suscitare
spontaneamente simpatia ed ilarità.
I clown-dottori che operano nell’Associazione Missione Sorriso
Valle d’Aosta sono così composti: 7 donne e 4 uomini di età compresa
tra i 20 e i 50 anni; sono impiegati, insegnanti, studenti universitari e
liberi professionisti (non sono medici veri del reparto ma soltanto dei
volontari). Alcuni di loro vivono ad Aosta mentre altri in paesi ubicati
nella vallata centrale come ad esempio Morgex, Saint-Vincent, SaintPierre e Pontey.
3.4.1 COSA FA IL CLOWN-DOTTORE E COME: AZIONI E
STRUMENTI.
Viene ora descritto come, in linea generale, agiscono i clowndottori e quali strumenti utilizzano nel loro delicato lavoro.
Gli operatori si recano nella stanza delle infermiere responsabili
del reparto per informarsi sulla situazione generale della corsia e sulle
condizioni di salute, sia fisica che psicologica, dei singoli bambini.
Pongono al personale domande precise: quanti bambini sono presenti?
Vi sono situazioni particolari? Possono esservi, infatti, diversissime
tipologie patologiche che orientano o impediscono la possibilità di
lavorare (bambini appena operati o che in giornata hanno avuto esami
invasivi come prelievi, medicazioni…); altri invece devono prendere
le medicine (es.: i clown fanno finta di berla e dicono che è buona per
convincere il bambino).
Inoltre possono informarsi, amichevolmente, anche sullo stato del
personale per inserire, una volta entrati in ruolo, elementi di
sdrammatizzazione e stabilire una stretta e proficua collaborazione con
l’équipe ospedaliera. É infatti indispensabile ottenere la fiducia del
personale per poter effettuare un lavoro a lungo termine e di qualità
28
P. MICHELOTTO, Divertirsi diventando clown. Far ridere con il mimo, la magia, le bolle di
sapone, il circo delle pulci, la musica, il ventriloquismo, i palloncini, l’equilibrismo, la giocoleria,
l’uniciclo, i trampoli, le acrobazie e la fantasi, Vicenza, Troll libri, 2004, p. 15
- 53 -
con i piccoli pazienti, godendo del sostegno e della collaborazione di
chi si occupa quotidianamente di loro. Spesso poi i clown-dottori
fanno giochi e scherzetti al personale ospedaliero, nell’ottica di
rendere l’atmosfera dell’intero reparto più serena e rilassata; prendere
in giro medici ed infermieri, infatti, stempera le tensioni degli stessi e
diverte naturalmente moltissimo i bambini ricoverati. 29
Adeguatamente informati, i clown-dottori si preparano ad entrare
nel ruolo indossando saloppette a pois, con delle toppe e tante tasche,
potranno avere calze colorate a righe e scarpe lunghe. Mai la parrucca
(camuffamento troppo vistoso che crea distacco e, nei piccolissimi
timore). Quasi sempre hanno un cappello buffo o démodé. Questo
costume deve rendere l’idea che il clown sia povero, emarginato, che
abbia trovato gli abiti chissà dove.
Sopra questo costume si indossa un camice bianco, come quello
dei medici, dipinto a colori vivaci e personalizzato con disegni
particolari attinenti al nome del clown stesso che appare ben in
evidenza sulla schiena. Sul taschino viene attaccato un cartellino con
la foto e il nome del clown-dottore.
Per quanto riguarda il trucco sul viso, i bambini si spaventano a
vederne uno troppo marcato, poiché il clown è troppo dissimile dagli
altri adulti, ragion per cui il clown-dottore (figura 22) si limita ad un
trucco molto leggero, tipo lentiggini, guance rosse, naso rosso
applicato o dipinto…
“Si dice che la maschera più piccola del mondo sia il naso da
clown. Ed è una vera e propria maschera, se si prova ad indossarla e
poi a toglierla ci si accorge di qual è la sua forza. È un pezzettino, in
genere, di plastica rossa. Può essere grosso o piccolo, come quello che
molti usano. È rosso, un colore forte e visibile da lontano, qualcosa
legato a una grande vitalità. Anche quando si è all’aperto, è molto
visibile e, per chi come noi occidentali ha il riferimento del circo, fa
subito pensare al personaggio buffo” 30.
29
C. SIMONDS, La medicina del sorriso. L’esperienza dei clown-dottori con i bambini, Milano,
Sperling&Kupfer, Editori, 2003, p. 98
30
G. SANGUIGNO, “Il corpo che ride. Curare con il buonumore”, A.L.E. Srl di S. Vittore Olona
(MI), XENIA Edizioni, 2004, p. 114
- 54 -
Figura 22: il clown-dottore (www.SpazioFormazione.htm)
Il medico-clown ha con sé una valigia, con attaccati degli adesivi e
con all’interno gli “attrezzi” del mestiere: scherzi, giochi di prestigio,
marionette, maracas, tamburelli, palline da giocoliere, pettini
giganti… Al collo uno stetoscopio finto, in tasca le bolle di sapone, i
palloncini, la pompetta per gonfiare questi ultimi ed un pennarello
nero per “decorare” i palloncini.
Così trasformati i clown-dottori si avventurano nel reparto per
iniziare un originalissimo giro visite, stanza per stanza, annunciando il
loro arrivo con la musica di semplici strumenti, quali tamburelli,
maracas, chitarra, per suscitare la curiosità dei piccoli pazienti. Ogni
paziente è naturalmente libero di scegliere se giocare o meno con i
clown, quindi essi devono chiedere il permesso di entrare nella stanza
al bambino stesso ed ai suoi genitori: questo accorgimento è cruciale
poiché, lasciando al piccolo la possibilità di rifiutare l’intervento, gli si
restituisce un potere che non può sperimentare con nessun’altra figura
operante nel reparto.
La valenza terapeutica del clown-dottore è difatti duplice e si
esplicita nell’unica opportunità di scelta offerta al bambino
ospedalizzato e alla sua famiglia, che possono accettare di buon grado
le istrionerie del buffone o, di contro, rifiutarle senza timori
reverenziali. A differenza dello staff medico, che segue un orario di
visita ben preciso e dettagliato, il medico-clown entra nella stanza del
bambino solo se invitato dal piccolo paziente, senza alcuna
costrizione. Questa unica possibilità di rifiuto offre al bambino
ospedalizzato la forza e l’opportunità di scaricare le sue paure, le sue
tensioni, le sue frustrazioni.
- 55 -
Raramente si ottiene un rifiuto, ma nel caso in cui ciò avvenga è
consigliato lasciare un piccolo dono, ad esempio un palloncino;
solitamente, dopo qualche tempo è il bambino stesso a cercare i clown.
Se il bambino dorme o è momentaneamente assente dalla stanza
per esami o terapie particolari, il clown-dottore proverà a ripassare da
lui prima della fine delle visite.
Ottenuta invece l’autorizzazione, i medici-clown fingono di
rimanere incastrati nella porta, chiedendo aiuto ai bambini per
liberarsi. Una volta entrati nella stanza, i clown-dottori si presentano e
fanno qualche domanda per incominciare a conoscere il bambino (il
suo nome, l’età, se ha fratelli o sorelle, se va a scuola…), senza però
mai riferirsi alla sua malattia. Tutto ciò per poter calibrare più
attentamente l’azione sulla base dei gusti e del carattere del bambino. 31
Stabilito attraverso l’osservazione e l’ascolto un primo contatto è
possibile dare inizio all’intervento vero e proprio, che potrà variare a
seconda della particolare situazione. Esso è sempre svolto da una
coppia di clown-dottori, preferibilmente maschio e femmina, poiché
ciò consente di sostenersi a vicenda nei momenti difficili, di operare su
più fronti (bambino/mamma o altro parente) e di dare luogo alle
tipiche
scenette
clownesche
in
cui
“l’augusto”
(sciocco
e
disubbidiente) e il “bianco” (l’autorità) litigano tra loro.
All’inizio i medici-clown propongono una finta visita medica (con
uno stetoscopio pupazzo – orsacchiotto lungo; una finta e lunga siringa
ed un lungo termometro) al bambino ancora ricoverato o che sta per
tornare a casa, consistente in scherzose prove di auscultazione e di
riflessologia per la sdrammatizzazione delle azioni e degli strumenti
sanitari. I clown-dottori improvvisano anche simpaticissime magie,
canzoncine, sculture di palloncini, fiabe, esercizi di giocoleria e via
dicendo.
Nel fare tutto ciò, i medici-clown coinvolgono attivamente non
solo il bambino, ma anche tutte le persone che sono nella stanza, dai
parenti al personale sanitario. La partecipazione dei familiari assume
una certa rilevanza, siccome anch’essi necessitano di essere sostenuti e
31
www.dottorsorriso.it , articolo “Guarire con il sorriso”
- 56 -
di ritrovare un po’ di serenità in una situazione spesso contraddistinta
da vissuti di ansia. Aiutare i genitori ad uscire dallo stato di angoscia
in cui frequentemente si rinchiudono, attraverso un’azione comica non
invasiva, migliora la condizione del piccolo, il cui dolore è
logicamente aggravato dalla preoccupazione.
Alla fine della visita, che è sempre breve e può durare un massimo
di 20/30 minuti, è bene che i clown-dottori congedandosi dal bambino
gli lascino un piccolo dono, ad esempio, l’adesivo della loro
associazione, dei palloncini colorati modellati a forma di animali,
l’attestato di coraggio (foto 23) (perché sono in ospedale) e di simpatia
(perché hanno giocato con i medici-clown).
- 57 -
Foto 23: attestato di coraggio e simpatia
Infine viene chiesto al bambino se vuole lasciare una letterina o un
disegno ai medici-clown e ad imbucarli nell’apposita scatola con sopra
l’adesivo dell’associazione che trovano presso il Pronto Soccorso
Pediatrico. Questo aspetto è molto importante poiché, seppur piccolo,
il dono assume la funzione di ancoraggio, consentendo ai clowndottori di lasciare un segno di sé, ricordando al bambino i momenti
vissuti insieme.
3.5 LE INTERVISTE.
Vengono di seguito riportati i testi integrali delle interviste
condotte. La scelta di riportare integralmente i testi orali comporta
alcune difficoltà nella lettura del testo scritto e ce ne scusiamo.
- 58 -
Intervista
alla
DOTTORESSA
TATAPIK
(Presidente
dell’Associazione).
1) Breve presentazione (nome, età, professione).
In arte come clown mi chiamo dottoressa Tatapik, ho 46 anni e
sono un’assistente sanitaria.
2) Com’é nata l’idea di creare l’Associazione Missione Sorriso
Valle d’Aosta?
L’idea è nata da un gruppo di persone, tra le quali io, che
avevano fatto un corso di formazione con la Fondazione Aldo
Garavaglia arrivato in Valle d’Aosta, proposto attraverso il gruppo
dell’ONLUS valdostano. Al termine di questa formazione che è durata
un anno e mezzo, le poche persone che erano rimaste avevano voglia
di iniziare questo tipo di attività e questo richiedeva comunque una
struttura, un’associazione, un impegno non indifferente anche dal
punto di vista assicurativo. Quindi nel giugno 2004 è nata
l’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta.
3) Come hai conosciuto gli altri membri dell’Associazione?
Premetto che molte delle persone che avevano fatto il corso non
ci sono più, dei soci che avevamo all’inizio sono rimaste poche
persone. Comunque sia ci siamo conosciuti al corso, non ci
conoscevamo prima. I soci attuali, invece, sono ragazzi entrati l’anno
scorso che hanno fatto un corso di formazione e la maggior parte di
loro non si conosceva. Anche loro sono persone che si sono conosciute
al corso.
4) L’Associazione ha incontrato difficoltà per farsi accettare dal
sistema sanitario?
Assolutamente no, cioè proprio no. Nel momento in cui noi
abbiamo proposto la nostra presenza e quindi la nostra attività
all’interno dell’Ospedale Beauregard, la parte pediatrica, non abbiamo
avuto nessun ostacolo, anzi, abbiamo avuto la richiesta di poter
intervenire anche in altri ambiti. Noi però materialmente non ce la
facciamo, possiamo venire solo il sabato mattina e riusciamo solo a
vedere la Pediatria.
5) Come sei venuta a conoscenza di Patch Adams? Cosa pensi di
lui?
- 59 -
Sono venuta a conoscenza di Patch Adams già da tantissimo
tempo. Un po’ perché lavoro nell’ambito sanitario di conseguenza la
gelontologia è una scienza che in parte già conoscevo, poi ho letto un
libro molti anni fa che parlava della clownterapia in Francia attraverso
la loro associazione. Questa cosa mi ha sempre attirato, mi è sempre
piaciuta, per cui quando ho visto questo corso ho detto “perché no”
anche se in realtà non sapevo minimamente che cosa c’era di comune a
chi ne faceva parte.
Cosa pensi di lui?
È un grande! Basta vedere “Clown in Kabul”, è un grande, ti
prende il cuore, è veramente una persona esemplare, unica e rara,
perché lui è veramente così, è un grande!
6) Come si diventa clown-dottore (corso…)?
Per diventare clown-dottore bisogna fare un corso di formazione
composto da circa più o meno una cinquantina di ore di teoria con vari
argomenti: clownterapia, teatro, concetti di psicologia, sapere le
conoscenze di sé stessi, saper mettersi in gioco. La condizione
necessaria per tirare fuori ciò che puoi o meno avere dentro, per
rendersi conto di avere delle qualità nascoste oppure il contrario,
quando arrivano persone sono prontissime, quando in realtà non è così,
non pensavano. La formazione è importante perché ti fa guardare
dentro per vedere se sei pronto per fare questo percorso. La
formazione deve essere continua, perché quello che tu fai nel corso ti
aiuta tanto poi però sta a te continuare a provare delle magie, a trovare
delle magie, dei trucchi. Per questo noi cerchiamo di fare dei
laboratori, mensilmente o una volta al mese, per avere degli scambi,
per vedere tra di noi, per provare a fare tecniche insieme, chi ha
imparato a fare i palloncini nuovi li insegna agli altri, si provano delle
scenette. Per questa attività è importantissimo che ci si aiuti e che ci
sia una buona interazione.
Il corso si fa ad Aosta, noi l’abbiamo fatto l’anno scorso al Centro
di Servizio per il Volontariato (CSV) con il contributo del CSV perché
noi all’epoca lo abbiamo pagato il corso personalmente, mentre adesso
siamo iscritti al CSV come ONLUS. Quindi insieme a loro e con loro
abbiamo fatto questo corso. Quest’ultimo prevede un breve colloquio
- 60 -
iniziale per capire le attitudini e che ci riserva la facoltà di poter dire
alla persona se è pronta o no per un percorso di questo genere. Quindi,
non è che tu fai il corso e sicuramente farai il medico-clown,
l’Associazione si riserva la facoltà di dire di no, che non funziona.
7) Cosa volete trasmettere (amore verso gli altri, emozioni, …)?
Noi vogliamo cercare di portare un sorriso, un po’ di felicità,
cercare di far star bene le persone, ma la cosa fondamentale nella quale
io probabilmente insisto sempre nel dire è che è vero che noi facciamo
questa cosa per gli altri (scherziamo col personale, gag con i genitori),
è pur anche vero che questo ci ritorna. Perché in realtà questo lo fai
perché stai bene tu a farlo, perché noi siamo qualcosa di quello che
facciamo per cui in realtà forse sotto sotto noi lo facciamo per noi
stessi.
È dura fare volontariato perché ci sono casi diversi, particolari,
perché chiede tanto e perché dopo 4 ore può essere anche pesante, poi
anche con la morte comunque dopo sorridi e devi andare avanti.
Quindi questo ti aiuta veramente dentro a guardarti tanto e a trovare le
energie per star bene comunque anche per l’impegno di conseguenza
per aiutare gli altri.
8) Svolgete attività di clownterapia anche al di fuori dell’Ospedale
Beauregard?
Abbiamo partecipato al pranzo di Natale organizzato dal
Comune di Aosta e per gli anziani. Abbiamo partecipato ad altre
attività, un po’ meno nel 2005 per via del corso di formazione dei
ragazzi, eravamo un po’ presi. Abbiamo lavorato però nelle
microcomunità per anziani, siamo andati ad Alba in un centro per
celebrolesi, cosa che faremo anche quest’anno, in un centro di
ippoterapia e con il centro Alzheimer di Aosta. Poi, abbiamo fatto
attività di piazza, collaborato con altre associazioni, fatto incontri nelle
scuole medie e superiori per avvicinare i ragazzi al volontariato,
collaborato con raccolta fondi per la Pediatria. Nel 2005 abbiamo
festeggiato il nostro primo compleanno in Piazza e abbiamo
partecipato alla giornata del volontariato con le altre associazioni.
9) Avete un diario dove annotate esperienze positive e non? Fate
delle riunioni?
- 61 -
Sì ce l’abbiamo qua in Pediatria ed è una scelta libera, nel senso
che non è un obbligo quello di scrivere tutte le volte che cosa provi e
cosa non provi, è una scelta nel senso se magari la giornata ti ha
portato qualcosa che vuoi condividere con gli altri, allora si va
tranquilli è aperto. Tutti possono leggerlo, è vero che spesso forse ci
sono momenti in cui ci si racconta un pochino di più nei laboratori, c’è
lo scambio, però il diario c’è. A volte forse verrebbe voglia di
compilarlo però non puoi perché sei di fretta, devi scappare, però c’è.
Facciamo delle riunioni mensili e poi svolgiamo delle riunioni
prettamente solo all’interno del comitato, nel senso se dobbiamo fare
delle scelte che verranno poi comunque condivise con i soci.
10) Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo
operato, che ti ha particolarmente colpita.
Negativo. Forse la difficoltà a volte di poter entrare in
relazione con il personale. Negativo potrebbe essere quella volta che
ho accompagnato un bimbo con l’ambulanza all’Ospedale Regionale.
Intervista al DOTTOR OTTO.
1) Breve presentazione (nome, età, professione).
Sono il Dottor Otto, ho 36 anni, gioco a calcio, alleno i bambini
a calcio ed opero nel campo del carnevale dei bambini di SaintVincent.
2) Come mai hai deciso di diventare clown-dottore?
Volevo fare qualcosa di diverso per sorridere, per ridere, per
divertirmi e pensavo che questa fosse la cosa più adeguata. Avevo
voglia di ridere, era un periodo un po’ difficile, mi si è presentata
l’occasione di fare questo corso da medico-clown e l’ho presa al volo.
3) Come sei venuto a conoscenza di Patch Adams?
Ho visto il film “Patch Adams”.
Cosa pensi di lui?
Credo che sia un grande, uno che è riuscito a creare un
movimento incredibile. È stato molto bravo e complimenti a lui, e
grazie a lui, che adesso posso fare anch’io il clown-dottore.
- 62 -
5) Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo
operato, che ti ha particolarmente colpito.
Di positivo un po’ tutto, qualunque cosa anche un piccolo gesto
che ti arriva mi da’ tanto. Non vedo niente di negativo in tutto questo,
anche i momenti di difficoltà servono per crescere e per diventare
sempre più bravo.
Intervista alla DOTTORESSA CHIPIRINA.
1) Breve presentazione (nome, età, professione).
Sono la Dottoressa Chipirina, ho 39 anni, ho due bimbe e anche
per questo mi sono avvicinata a questa cosa. Mi piace molto avere a
che fare con i bimbi, bricolare dal découpage alla pittura.
2) Come mai hai deciso di diventare clown-dottore?
Sicuramente dopo aver visto il film “Patch Adams” e poi avendo
una bimba alla scuola materna c’è stata l’occasione della presentazione
dell’Associazione e così è scattata la voglia di iniziare questo percorso.
3) Come sei venuta a conoscenza di Patch Adams?
Per l’appunto con il mitico film bellissimo, da guardare e
riguardare.
Cosa pensi di lui?
Che è un grande perché quello che ha fatto ha aperto questo
percorso.
4) Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo
operato, che ti ha particolarmente colpita.
Ogni volta capita qualcosa di negativo o di positivo, ora non mi
viene in mente niente di particolare.
Intervista alla DOTTORESSA FRITTELLA.
1) Breve presentazione (nome, età, professione).
Ciao, sono la Dottoressa Frittella. Ho 25 anni, studio e
lavoricchio.
2) Come mai hai deciso di diventare clown-dottore?
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Ho deciso di diventare clown-dottore dopo aver fatto la mia tesi
di laurea sulla clownterapia.
3) Come sei venuta a conoscenza di Patch Adams?
Ho conosciuto Patch Adams grazie al film che hanno trasmesso
in televisione, però non mi era piaciuto. Invece, la figura di Patch
Adams l’ho conosciuta bene attraverso i libri.
Cosa pensi di lui?
Mi piace molto come persona, per quello che fa, per quello che
pensa.
4) Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo
operato, che ti ha particolarmente colpita.
Un episodio positivo ce ne sono tanti. La cosa più bella di
quando fai questo tipo di volontariato è quando le persone che vai a
trovare sorridono, si divertono. Ti ringraziano perché sono stati bene
con te. Episodio negativo, non ne ho uno in particolare. Magari quando
appunto arrivi e non sei magari ben accolto e allora non è positivo ma
negativo.
Intervista al DOTTOR MAUCICCIO.
1) Breve presentazione (nome, età, professione).
Ciao, sono il Dottor Mauciccio. Ho 26 anni, un po’ lavoricchio e
un po’ studicchio.
2) Come mai hai deciso di diventare clown-dottore?
Ho deciso di diventare clown-dottore perché mi piaceva il naso
rosso da clown e poi sono venuto a conoscenza, tramite la mia ragazza,
di questo corso di clownterapia.
3) Come sei venuto a conoscenza di Patch Adams?
Patch Adams anch’io l’ho visto in un film.
Cosa pensi di lui?
Penso di lui cose positive, una chiave di lettura della vita molto
positiva e molto scherzosa.
4) Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo
operato, che ti ha particolarmente colpito.
- 64 -
Episodi negativi non me ne vengono in mente relativi al mio
operato. Positivi un po’ tutto alla fin fine perché è sempre comunque
vissuto in chiave comica, a sdrammatizzare, perciò un po’ tutto
positivo.
Intervista alla DOTTORESSA CAMOMILLA.
1) Breve presentazione (nome, età, professione).
Sono la Dottoressa Camomilla, faccio l’impiegata e ho 28 anni.
2) Come mai hai deciso di diventare clown-dottore?
Ho deciso di diventare medico-clown perché è una cosa che mi è
sempre piaciuta, perché fa bene sia a me che agli altri. Era già un po’
che cercavo di fare questo corso però non ero mai riuscita. Poi, ho
visto tramite l’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta, mi sono
iscritta, ho iniziato a fare il corso e mi è piaciuto sempre di più.
3) Come sei venuta a conoscenza di Patch Adams?
Patch Adams l’ho visto tramite il film con Robin Williams.
Cosa pensi di lui?
Penso che sia veramente un grande, comunque ha fatto una cosa
non da poco, portare il sorriso negli ospedali non è facile.
4) Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo
operato, che ti ha particolarmente colpita.
Episodi positivi ne ho tanti, negativi per adesso non me ne sono
ancora successi. Positivi, mi fa molto piacere quando vedo che i bimbi
comunque interagiscono con noi, non hanno problemi a giocare, a
parlare. Logico che alcuni magari a vederci sono un po’ spaventati,
però in linea di massima interagiscono bene e questo fa piacere. Poi ci
sono bambini che sono un po’ più timidi però piano piano poi riescono
a sciogliersi e giocano bene quindi questa è la cosa positiva.
Intervista alla DOTTORESSA MELARIDO.
1) Breve presentazione (nome, età, professione).
Sono la Dottoressa Melarido. Ho 29 anni e faccio l’animatrice
di professione da circa quasi dieci anni.
- 65 -
2) Come mai hai deciso di diventare clown-dottore?
È stato per caso, ad una festa di Natale ho incontrato un
volontario di Missione Sorriso che adesso ha lasciato l’Associazione.
Stavo raccontando una storia e lui mi ha proposto di fare il corso. L’ho
fatto e mi è piaciuto tantissimo, così ho deciso di diventare clown.
3) Come sei venuta a conoscenza di Patch Adams?
Sicuramente attraverso il film di Robin Williams, molto
commovente che rappresenta la storia di Patch Adams. Da quel film
puoi prendere tante decisioni, una di queste è che devi fare almeno
anche per poco far sorridere una persona che sta soffrendo e anche per
questo ho deciso di diventare medico-clown.
Cosa pensi di lui?
Che è un po’ matto, anche perché avendolo seguito un po’ e
avendo visto “Clown in Kabul” sicuramente quando vedi Patch Adams
pensi “sì, questo è matto”. In realtà è quella pazzia che ti fa cambiare
le cose, quella che fa evolvere il mondo in senso positivo, e senza di
quello e senza il coraggio che lui ha avuto e la sua creatività non
avrebbe potuto cambiare le cose. È una persona secondo me
estremamente intelligente, è saggia, ha una certa età, non è
vecchissimo e quando se ne andrà spero che riesca a passare tutti i suoi
insegnamenti.
4) Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo
operato, che ti ha particolarmente colpita.
Inizierei dal negativo. Durante il corso di formazione i maghi ci
avevano detto che in ospedale non si toccano i bambini. Primo giorno
di tirocinio, stavo facendo una gag con il Dottor Otto, avevo in mano
un pollo finto, l’ho dato in faccia ad una bambina che stava correndo,
però non è successo niente. Quello positivo ce n’è uno in particolare.
C’era un ragazzo grande, forse aveva 12 o 13 anni, ed era proprio
arrabbiatissimo. Stava aspettando l’ambulanza che lo portava al Pronto
Soccorso di Aosta per fare degli esami, voleva far esplodere tutto
l’ospedale. Tornato dagli esami, è venuto da me e da Tatapik
chiedendo una bomba perché voleva far saltare in aria il Pronto
Soccorso. Io e Tatapik ci siamo avvicinate facendo una gag e lui si è
messo a ridere. Quella è stata una cosa positiva.
- 66 -
Intervista al DOTTOR PU-PAZZO.
1) Breve presentazione (nome, età, professione).
Nella vita privata sono un ragazzo normale, niente di
particolare, sono laureato, faccio l’impiegato e vivo da solo. Per
quanto riguarda invece la vita sociale, mi occupo di volontariato.
Faccio parte del gruppo dei medici-clown, al quale gruppo dedico
parecchio del mio tempo libero, quasi tutto diciamo.
2) Come mai hai deciso di diventare clown-dottore?
Sicuramente perché un po’ me lo sento dentro perciò non penso
di esserlo diventato penso solo di averlo fatto uscire questa parte di
me. E in più l’idea di far ridere un bambino che forse in quel momento
non ha tanto da dire o comunque non può farlo normalmente, ti da’ la
forza in più che il volontariato,come intendo io e come lo vivo io, non
è volontariato solo ed esclusivamente per gli altri, ma in gran parte per
me stesso. Comunque facendo sorridere e facendo del bene agli altri
ho pensato di farlo, e spero di farlo, sto bene con me stesso.
3) Come sei venuto a conoscenza di Patch Adams?
Attraverso la televisione, i mass media ho visto, ho scoperto
questa figura professionale. Però subito non ho fatto tanto tanto caso,
non è stata quella scintilla, no, non è stato in quel momento. È stato
dopo, quando sono andato alla ricerca di un’Associazione alla quale
aderire oltre a donare il sangue e volevo seguire le persone in
difficoltà. Quando realmente c’era la possibilità di aiutare i bambini ho
aderito subito.
Cosa pensi di lui?
Penso che sia un uomo che abbia scoperto, attraverso una sua
esperienza, perché lui da paziente si è accorto che forse era più un
numero che un paziente, una persona fisica umana. Dalla sua
esperienza è riuscito a trasmettere agli altri, e ci riesce tuttora, l’amore
che forse tutti noi andiamo alla ricerca.
4) Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo
operato, che ti ha particolarmente colpito.
Ma, è difficile rispondere a questa domanda perché sono tutte
esperienze sia nel bene che nel male. Alla fine le considero poi tutte
- 67 -
positive. Problemi che vengono che subentrano sono quelle della
convivenza con gli altri medici-clown. Non tanto per quanto riguarda
l’esperienza in corsia, perché tu clown puoi anche permetterti di
sbagliare, sei un clown, sei un buffone. Il discorso subentra magari
quando hai proprio a che fare con le altre persone e allora ci può essere
una differente opinione, un’esperienza diversa.
Intervista alla DOTTORESSA PALLINA.
1) Breve presentazione (nome, età, professione).
Sono la Dottoressa Pallina. Ho 38 anni, lavoro in banca, faccio
l’impiegata. Ho due figlie, una di 5 anni e una di 10.
2) Come mai hai deciso di diventare clown-dottore?
Avevo voglia di provare quest’esperienza perché mi piaceva
vedere di che cosa si trattava. C’è stata la possibilità di fare un corso
che mi avvicinava a questo tipo di volontariato. Mi sono iscritta al
corso e facendolo mi sono appassionata a questa cosa. Poi si è creato
un po’ io dico comunella comunque un po’ di affinità con gli altri del
corso e quindi abbiamo cominciato a provarci tutti insieme e poi
abbiamo deciso di provare davvero. E provando mi ha dato
soddisfazione, così ho deciso di continuare.
3) Come sei venuta a conoscenza di Patch Adams?
Ho visto un film su di lui. Comunque non è stato questo che mi
ha fatto pensare al corso per diventare clown-dottore. Mi ha fatto
pensare di farlo quando ho visto il volantino in giro di questo corso,
l’idea è venuta lì, mi ha poi ricordato Patch Adams.
Cosa pensi di lui?
Penso che sia stato proprio un grande, per fortuna che c’è stato a
fare questa cosa.
4) Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo
operato, che ti ha particolarmente colpita.
A livello positivo ce ne sono tanti con tutti i contatti che ho avuto
con i bambini, tute le volte che hanno sorriso, che sono riuscita a
giocare con loro, mi sono divertita tantissimo. L’unico negativo me lo
ricordo è stato quel giorno che siamo andate in ospedale che è mancata
- 68 -
una bambina. È stato molto doloroso, è stato veramente un giorno
tristissimo. Mi aveva colpito comunque la cosa di dover fare lo stesso
in quel momento far sorridere anche altre persone nonostante mentre
dentro ascoltavamo i suoi lamenti. Questa cosa mi rimarrà sempre nel
cuore. Questa bambina l’avevamo conosciuta anche altre volte prima e
non ce l’aspettavamo di sicuro.
Intervista al DOTTOR TONTOLONE.
1) Breve presentazione (nome, età, professione).
Sono il Dottor Tontolone, ho 41 anni e ho una figlia.
2) Come mai hai deciso di diventare clown-dottore?
Ho deciso di diventare clown-dottore mentre giocavo con mia
figlia.
3) Come sei venuto a conoscenza di Patch Adams? Cosa pensi di
lui?
Ho visto il film “Patch Adams”. È un buffone, un vero buffone.
4) Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo
operato, che ti ha particolarmente colpito.
Negativo no. Sono tutte situazioni positive. Mi diverto tanto,
sono io che mi diverto principalmente. Ho notato che più mi diverto
più i bimbi si divertono. E questo mi fa piacere.
Intervista alla DOTTORESSA PACIOK.
1) Breve presentazione (nome, età, professione).
Sono la Dottoressa Paciok, ho 31 anni e faccio l’insegnante alla
scuola materna da 11 anni. Svolgo tantissime altre cose tra cui
l’Università, l’insegnante di ballo…super impegnata.
2) Come mai hai deciso di diventare clown-dottore?
Ho deciso di diventare clown-dottore un po’ per caso. Nel senso
che una mia amica aveva fatto il corso l’anno scorso e allora ho detto
“ma sì”. Era già da tanto che cercavo l’Associazione. La mia amica lo
faceva a Milano, ne avevo già sentito parlare e quindi mi sarebbe
piaciuto fare qualcosa qua ad Aosta. Già 3 anni fa ho partecipato ad
- 69 -
alcuni incontri, erano venuti nei reparti Nido e dell’infanzia quelli
dell’associazione di Milano che hanno iniziato questa attività. Però poi
il corso qua ad Aosta lo hanno organizzato ma costava tantissimo e io
non me lo potevo permettere e allora non l’ho fatto. Poi, invece, l’anno
scorso il corso era gratuito, quasi gratuito, e si è formato da subito un
gruppo molto bello è stato quasi magico. Abbiamo avuto chi ci ha fatto
il corso sono stati bravi a creare gruppo, a far uscire un sacco di cose
belle. E così abbiamo iniziato, ci siamo imbarcati in questa cosa.
3) Come sei venuta a conoscenza di Patch Adams?
Patch Adams l’ho conosciuto dal film che ho visto un sacco di
volte e mi è sempre piaciuto. Poi l’ho seguito in una conferenza 3 anni
fa nella quale avevano fatto vedere un sacco di video, penso fatti
accaduti al di fuori dell’Italia.
Cosa pensi di lui?
Penso che sia una persona che ha avuto una grande idea, anche
se penso che qua siamo ancora un po’ indietro. Soltanto un dottore si
presta molto a seguire quello che facciamo noi. Penso però che sia già
così lui di carattere perché bisogna averlo dentro come dottore, non è
una cosa che acquisti.
4) Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo
operato, che ti ha particolarmente colpita.
Sono tornata da poco qui in Pediatria perché ho frequentato un
corso di sostegno quest’anno, perciò ero sempre a lezione. Ho
partecipato di più alle manifestazioni in piazza…imbarazzo iniziale,
più che altro i primi 10 minuti, perché sei in mezzo alla piazza di
Aosta dove sei tutto conciato e tutti ti conoscono. Ecco, un episodio da
ridere c’è. La prima volta, la prima manifestazione che abbiamo fatto
dovevamo arrivare tutti già vestiti. Io da Saint-Pierre sono dovuta
venire ad Aosta già truccata e vestita. All’inizio ero imbarazzatissima
perché passavo in paese, sai, abito in un paesino. Poi, ho iniziato a
scendere in macchina e mi rendevo conto che la gente che mi si
affiancava mi guardava. Ero imbarazzata e dicevo “e adesso?”, invece
poi andando avanti in macchina mi giravo e gli facevo le boccacce.
Sono così entrata un po’ nella parte.
- 70 -
3.5.1 SINTESI DELLE INTERVISTE.
Dalle risposte ricevute dai membri dell’Associazione Missione
Sorriso Valle d’Aosta è emerso che nel complesso l’occasione che li
ha portati alla scelta di diventare clown-dottore è dovuta al fatto che
sono venuti a conoscenza del corso dell’Associazione e per via dei
loro figli piccoli. Tutti hanno conosciuto la figura di Patch Adams
grazie al film interpretato da Robin Williams. La maggior parte di loro
ha raccontato un episodio positivo particolarmente significativo
verificatosi durante l’operato in corsia ospedaliera.
- 71 -
CAPITOLO QUARTO
Risultati: il bambino in ospedale
4.1 LA MIA OSSERVAZIONE NEL REPARTO PEDIATRICO DI
AOSTA.
Si è parlato nel capitolo primo dell’umanizzazione della Pediatria e
nel capitolo terzo è stata fatta una descrizione della struttura e del
funzionamento del Reparto di Pediatria dell’Ospedale Beauregard di
Aosta. In tale contesto si è svolta la mia osservazione.
Si deve innanzitutto tener presente che nel Reparto di Pediatria
dell’Ospedale Beauregard di Aosta vi è una realtà ben diversa rispetto
ad altri ospedali italiani per quanto riguarda le patologie dei piccoli
pazienti. Infatti, qui le patologie più ricorrenti sono: i focolai, le
infezioni alle vie urinarie (99,9% dei bambini con i pannolini tra i 2 e i
24 mesi), crisi di asma, convulsioni febbrili (stand by, in osservazione
per un giorno), bambini diabetici seguiti in Pediatria fino ai 18 anni,
leucemia
acuta
(85%
blasti)
limfoide-mieloide-porpora
(=
infiammazione dei piccoli vasi sanguigni; eruzione cutanea per una
durata di 4 o 6 settimane). Vi sono casi di bambini con tumori che
vengono solo visitati e poi trasferiti fuori Aosta.
Qui di seguito viene riportata una piantina di una stanza tipo
(figura 24) nella quale ho osservato le attività dei clown-dottori con i
bambini ospedalizzati nel Reparto di Pediatria presso l’Ospedale
Beauregard di Aosta.
- 72 -
Figura 24: piantina stanza tipo
Ho constatato che le reazioni dei bambini di fronte all’attività dei
clown sono influenzate da vari elementi e tra questi in primo luogo
incide l’età dei bambini.
Fino ai sei mesi i bambini vivono un rapporto quasi simbiotico con
la madre e ne consegue che i clown devono intervenire sulla diade
madre-figlio. I neonati sono poi disturbati dai suoni forti perciò
occorre agire con pacatezza, evitando rumori e movimenti rapidi e se è
permesso si può azzardare un delicato contatto fisico, ad esempio una
carezza. Con i bambini molto piccoli occorre prestare particolare
attenzione, poiché è frequente che si spaventino trovandosi davanti
strampalati personaggi colorati e chiassosi; in questi casi non è
appropriato forzarli all’interazione (box 1).
Prima osservazione.
Quando i due clown-dottori (la Dottoressa Tatapik e la Dottoressa
Camomilla) sono entrati nella stanza vi era una bimba di 2 mesi nel
suo lettino che piangeva e vicino a lei c’era la sua mamma. Un clown
ha iniziato a suonare una maracas per distrarre la piccola. Quest’ultima
ha smesso di piangere e osservava lo strumento musicale come se
- 73 -
fosse incantata. Mi ha poi spiegato il clown che il suono rilassa. La
bimba è stata poi portata via da un’infermiera perché doveva pesarla.
Seconda osservazione.
Nella stanza vi era una bimba di pochi giorni in braccio alla sua
mamma. Poco dopo è arrivato il papà della piccola ed è rimasto in
piedi vicino al letto della moglie. I due clown-dottori (la Dottoressa
Tatapik e il Dottor Otto) hanno fatto cantare una canzoncina al papà
facendogli prima indossare degli occhiali giganti per scherzare. Alla
fine c’è stato un applauso generale e tante risate. Dopodiché è stato
fatto il gioco della scatolina magica, ovvero di nascondere qualcosa
all’interno per farlo scomparire (un fazzolettino scozzese). Poi,
dicendo tutti insieme una parolina magica “non saprei” e battendo
sopra alla scatolina con una bacchetta magica l’oggetto ricompare.
Alla fine della magia i clown hanno fatto dei palloncini, un’ape ed un
topolino realizzati a suon di chitarra/musica. Prima di uscire dalla
stanza i clown hanno salutato la bimba e i suoi genitori, questi ultimi
hanno ringraziato molto i clown.
Terza osservazione.
Nella stanza vi era una mamma con in braccio la sua bimba di 5
mesi. I clown-dottori (la Dottoressa Frittella e il Dottor Mauciccio) le
hanno fatto qualche domanda: come si chiama la piccola, se ha altri
figli… I due clown hanno fatto le bolle di sapone, la bimba li ha
osservati in silenzio. Poi, i clown hanno fatto un palloncino a forma di
cagnolino, la bimba lo ha toccato, lo ha messo in bocca e intanto
muoveva le braccia e le gambe. Quando i clown sono usciti dalla
stanza la piccola sorridendo ha detto “Ghé!” e un clown: “Ha detto
grazie nella sua lingua!”. La mamma si è messa a ridere ed ha
ringraziato i clown.
Box 1: alcune osservazioni significative con bambini dai 2 ai 6 mesi
Tra i due e i tre anni i bambini apprezzano molto pupazzi e
marionette, i quali possono essere utilizzati con profitto per far
trapelare e sfogare le emozioni attraverso l’identificazione. Un
- 74 -
pupazzo può facilmente diventare un mezzo per comunicare col
bambino e prestarsi per giochi violenti attraverso i quali canalizzare
paura, collera, frustrazione, solitudine, noia, tristezza (box 2).
Quarta osservazione.
Nella stanza vi è una bambina di 3 anni, ricoverata la sera prima
per via di una caduta dalle scale di casa riportando un bernoccolo. La
piccola è in piedi sul letto, seduto vicino a lei c’è il suo papà che la sta
aiutando a vestirsi perché tornano a casa. Sulla porta della stanza i due
clown-dottori (la Dottoressa Tatapik e la Dottoressa Frittella)
chiedono alla bimba e al suo papà: “Possiamo entrare?”. Il papà tutto
contento risponde: “Sì! Guarda chi c’è!”. La bimba non parla. I clown
si mettono a giocare con il pupazzo della piccola, un coniglietto
bianco. Poi i clown cantano la canzoncina del naso rosso. Al termine
della canzone il papà ha detto: “Brave!” e ha fatto battere le manine a
sua figlia per applaudirle. Il papà ci ha mostrato il libro sugli animali
che ha comprato alla bimba. I due clown le hanno chiesto se voleva un
palloncino e lei ha detto che voleva una giraffa indicandola poi con il
ditino sul libro. Il papà ha domandato a sua figlia come si chiama la
sua sorellina e la bimba ha detto Elisa. Inoltre, il papà ci ha raccontato
che sua figlia suona il violino, gliel’ha insegnato sua moglie, violinista
di professione. Poi, la Dottoressa Tatapik ha chiesto alla piccola:
“Cosa fa la tua sorellina tutto il giorno?” e la bimba gli ha risposto:
“Piange”. Ci siamo messi tutti a ridere. Dopo aver fatto un
palloncino/topolino per la sua sorellina ed averle lasciato l’adesivo
dell’Associazione da mettere sulla macchina del papà, i clown hanno
salutato la bimba, il suo papà e il coniglietto bianco. Intanto il papà
applaudiva e diceva: “Ciao! Brave! Bravissime!”. Quest’ultimo è poi
uscito dalla stanza con in braccio la figlia con i palloncini in mano per
salutarci ancora dicendo: “Sofia è contenta! Grazie!”. Ci ha poi anche
restituito la pompetta per gonfiare i palloncini dimenticata da uno dei
due clown.
Box 2: osservazione di una bimba di 3 anni
- 75 -
Con piccoli di 4 o 5 anni si può proficuamente giocare con la
magia. È importante soprattutto che il clown conosca il mondo proprio
dei bambini e quindi i cartoni animati, i giocattoli, le canzoncine, in
modo da poterli utilizzare e richiamare nei suoi interventi. Utili in
questa fase anche fiabe e storie, in particolare quelle aventi per
protagonisti gli animali. I bambini ospedalizzati hanno infatti un
grande bisogno di rifugiarsi nell’immaginario per sfuggire alla
traumatica realtà dell’ospedale (box 3).
Quinta osservazione.
Nella stanza vi è una bambina di 4 anni: è sdraiata a letto con la
flebo al braccio; seduta vicino a lei c’è la sua mamma. I due clowndottori (la Dottoressa Camomilla e la Dottoressa Tatapik) chiedono se
possono entrare ma la bimba dice di no perché è arrabbiata. La
mamma la convince perché vuole vedere lo spettacolo di magia fatto
dai clown. Così piano piano i clown si avvicinano a loro facendo le
bolle di sapone, la piccola le scoppia tutta contenta. I clown decidono
di fare una magia: far diventare colorate le pagine bianche del loro
libro. Un clown inizia a raccontare una storia con gli animali. Per
vedere le pagine colorate dice alla bimba di battere sopra al libro con
una bacchetta magica dicendo una parolina magica. Dopo aver detto la
parola “colore” sulle pagine bianche sono apparsi dei disegni di
animali a colori. Applausi generali. Mentre i clown fanno i palloncini,
un’ape e un cagnolino per la bimba, arriva un’infermiera. La piccola
dice: “Cosa fa la bianca (per via del colore della divisa)?” e
l’infermiera risponde: “Sono bianca e azzurra (per il colore del colletto
della divisa).” Poi quest’ultima dice alla bimba: “Ti hanno dato la
bacchetta magica? Anch’io ho una cosa magica…” e ci fa vedere che
al collo ha legato ad un cordoncino di plastica il pesciolino Nemo che
si illumina. Poi, un clown ha chiesto alla piccola: “Vuoi una flebo alla
nutella?” e la bimba ha risposto: “Sì!” tutta contenta.
Box 3: osservazione di una bimba di 4 anni
Dagli 11 anni in su, con la pubertà e l’ingresso nella delicata fase
adolescenziale, il clown può utilmente lavorare con l’ironia e l’auto- 76 -
ironia e sfoderare tutta la sua fantasia in scenette spiritose. In generale
comunque, l’atteggiamento più saggio da adottare con gli adolescenti
consiste nell’ascoltarli, poiché solo in questo modo li si stimola ad
aprirsi, suggerendo l’atteggiamento più consono da adottare per
entrare in contatto con loro (box 4).
Sesta osservazione.
Nella stanza in cui vi era la bambina di 4 anni arriva un ragazzino
di 11 anni, alto e molto magro, fa un mezzo sorriso quando vede i
clown-dottori. Questi ultimi lo hanno salutato, si sono presentati e gli
hanno chiesto:”Vuoi anche tu una flebo alla nutella?” e lui ha risposto:
“Me l’hanno tolta oggi!”. Il ragazzino si mette a ridere quando i due
clown iniziano ad accusarsi a vicenda perché puzzano. Arriva la
mamma del ragazzino e quest’ultimo dice ai clown-dottori: “Mia
mamma ha una sorpresa nella pancia, è incinta!”. I clown fanno gli
auguri alla sua mamma e le chiedono se sarà un bimbo o una bimba.
La mamma ci dice tutta contenta che sarà un maschietto. Ad un certo
punto il ragazzino inizia a piangere perché gli fanno male i punti
dell’intervento all’appendicite. La Dottoressa Tatapik gli racconta che
anche lei è stata sottoposta da piccola a questo tipo d’intervento e gli
consiglia di schiacciare il punto: “Schiaccia, così hai meno male!”.
Poco dopo il ragazzino si calma e smette di piangere. I clown-dottori
decidono di far sdraiare sul letto il ragazzino e gli propongono di fare
uno spettacolo di magia. Lui annuisce. Così, in un sacchetto vengono
riposti al suo interno dei palloncini colorati annodati e per magia,
dopo aver pronunciato una parola magica “spada”, diventano dei
foulard annodati dello stesso ordine di colore dei palloncini.
Dopodiché i clown hanno fatto dei palloncini: un topolino, un fiore per
la sua mamma e due spade, una per il ragazzino e uno per il suo papà
(arrivato da poco nella stanza). Questi ultimi hanno fatto finta di
duellare con le due spade. I clown salutano tutti lasciando l’adesivo
dell’Associazione ai bambini e colorando loro il naso di rosso. I
genitori e i loro figli li ringraziano tutti contenti.
Box 4: osservazione di un ragazzino di 11 anni
- 77 -
Indipendentemente dall’età dei bambini, una strategia che spesso
funziona, suscitando un gran divertimento, consiste poi nel far
eseguire qualcosa di buffo ai genitori, rendendoli in tal modo goffi e
ridicoli. 32 Molto importante è il ruolo che i clown di corsia affidano ai
genitori (o altri parenti) presenti nella stanza. Spesso si entra in
contatto con il bambino attraverso il genitore; il sorriso o la risata di
questi spalancano le porte del cuore del piccolo. La mamma ed il
bambino sono in preda ad una spirale di ansia: lui sta male, la madre è
in angoscia, il piccolo subisce l’aggravamento dipendente da
quell’angoscia. Strappare la madre a quello stato, mediante un’azione
comica non invasiva, fa migliorare la condizione del piccolo quasi
automaticamente.
4.2 MOTIVAZIONI DELL’OPERATO DEL CLOWN-DOTTORE.
I motivi per i quali un clown-dottore interviene in ambito
pediatrico sono molteplici e si situano su piani e livelli differenti, ma
egli si inserisce anzitutto in un più ampio progetto di umanizzazione,
che intende portare alla creazione di strutture meno fredde e sempre
più adeguate ai bambini, affinché l’esperienza della degenza
ospedaliera sia resa possibilmente meno traumatica. Detto questo
risulta evidente come la ragione più vera che spinge il clown ad agire è
da ricercarsi in caratteristiche personali di sensibilità e di disponibilità.
Il clown-dottore interviene infatti per cercare di allontanare o di
ridurre i vissuti di paura, solitudine e distacco che spesso
accompagnano la sofferenza, e per fare ciò cerca di stimolare il
recupero dell’autostima e della fiducia negli altri e di facilitare i
rapporti interpersonali e la collaborazione.
“Quando il clown-dottore (foto 25) entra in un reparto pediatrico
cerca di cogliere la curiosità dei bambini inizialmente dirottando
l’attenzione sul personale medico ed infermieristico creando
complicità attraverso lo scherzo, in modo da tastare il terreno senza
sembrare troppo intrusivi. Rotto il ghiaccio intraprende un dialogo più
32
C. SIMONDS, B. WARREN, La medicina del sorriso. L’esperienza dei clown-dottori con i
bambini, Milano, Sperling&Kupfer editori, 2003, pp. 106-107
- 78 -
aperto e diretto con il bambino attraverso giochi di prestigio, battute
spiritose e altre forme di comunicazione atte a liberare l’angoscia che
spesso accompagna un ricovero, o esternare la paura di separazione dai
genitori. Naturalmente questi momenti più delicati sono da escludere
se non si possiede una preparazione più che sufficiente anche su temi
di ordine psicologico; l’importante è che lo scopo principale rimanga
quello del divertimento come distrazione, come svago.”33
Foto 25: “Il dottore dei bambini” di Ajroldi Beniamino
(www.italianartplease.com)
Nonostante l’accento sul divertimento e la distrazione, l’intervento
dei clown-dottori negli ospedali non è solo un servizio d’attività
ricreativa, ma un supporto psicopedagogico e viene in aiuto ai piccoli
pazienti che si trovano a dover superare l’impatto con la realtà
ospedaliera. L’attività del medico-clown spesso aiuta il bambino ad
inserirsi più serenamente nell’ambiente ospedaliero e talvolta ha anche
dei riflessi positivi sulle terapie: infatti il sorriso produce endorfina e
chi sorride ha una migliore difesa immunitaria. Utilizzando la gioia e
le risate per favorire la liberazione, da parte del cervello, di alcune
endorfine e di altri neurotrasmettitori in grado di dare piacere e di agire
33
G. RICCI, N. BIATO, Dal curare al prendersi cura: bisogni e servizi educativi per un
bambino ospedalizzato, Roma, Armando, 2003, p. 134
- 79 -
come sedativi naturali, la clownterapia si propone cinque obiettivi
fondamentali:
- ridurre lo stress da paura e da sofferenza;
- diminuire l’uso dei farmaci, fino al 50%;
- contenere l’ansia e alleviare il dolore;
- rendere più sopportabile la degenza ospedaliera;
- abbreviare i tempi del ricovero e della cura.
Certamente il compito primario del clown resta quello di portare il
sorriso, il riso e la gioia dove c’è la sofferenza; questo anche perché far
ridere è dare amore e operare un radicale mutamento della sfera
emotiva, della socialità e dell’autostima. La risata che egli cerca di
stimolare con il suo intervento sembra poi essere un vero e proprio atto
terapeutico. Ridere ed impegnarsi in un’attività ludica, permettendo un
investimento di energie tale da provocare varie modificazioni
fisiologiche e psicologiche, stimola in pratica una migliore reattività
alla malattia, accelerando il processo di guarigione, agevolando le cure
mediche e rendendole più efficaci. 34
Ridere insieme permette di aprirsi agli altri e di instaurare relazioni
positive; il clown cerca attraverso il mezzo della risata di creare con il
bambino un clima di fiducia, che gli permetta di esprimersi. Il riso
assume in questo modo anche funzioni di tipo conoscitivo ed emotivo
poiché, permettendo l’instaurarsi di relazioni significative, consente al
bambino di esternare liberamente i propri stati d’animo e di farsi
conoscere anche nelle sue debolezze; a questo proposito la risata può
avere una notevole efficacia quando riesce a porsi come sbocco
emotivo in casi complessi di chiusura. 35
La clownterapia mira a stimolare nel bambino la capacità di
reagire, valorizzandolo al di sopra della malattia nella sua parte sana;
rivolgendosi in particolare alla parte che è in buona salute i clown
aiutano genitori e operatori a prendere coscienza del fatto che il
bambino non si riduce alla sua malattia e dunque sono in grado di
offrire una visione diversa delle cose. 36 Emerge così con evidenza
34
C. SIMONDS, B. WARREN, La medicina…, o. c. , pp. 41-42
M. CAPURSO, Gioco e studio in ospedale: creare e gestire un servizio ludico-educativo in un
reparto pediatrico, Trento, Erikson, 2001, p. 186
36
C. SIMONDS, B. WARREN, La medicina…, o. c. , p. 81
35
- 80 -
come la clownterapia non consiste solamente nel far ridere per forza e
anzi spesso si avvale semplicemente di una carezza, uno sguardo, una
parola. Ciò risulta chiaramente osservando l’adoperarsi del clown per
la sdrammatizzazione dei vissuti e delle situazioni stressogene e per la
rielaborazione dell’esperienza ospedaliera in modo non traumatico;
dando voce al dolore e ponendosi in condizioni di ascolto ed
accoglienza egli riesce a dirigere verso una catarsi che rende liberi da
angosce e ansie.
Dispensando emozioni positive il clown-dottore cerca di sollevare
lo spirito, diffondere la gioia, trasmettere calore umano, regalare un
sorriso, un momento di svago, intrattenimento e socializzazione.
Lavorando con e sulle emozioni si pone inoltre l’obiettivo di insegnare
ad esternare e neutralizzare i sentimenti negativi e valorizzare e
potenziare quelli positivi, restituendo loro un giusto spazio nel
processo di guarigione. È dunque suo compito ridefinire tutto in
positivo dando conferme e trasformare, quando si può, le emozioni
negative mutandole di segno.
4.3 IL COMPORTAMENTO DEL BAMBINO DURANTE LA
MALATTIA.
Per un bambino il ricovero in ospedale rappresenta un evento fisico
ed emotivo perché è sempre e comunque un’emozione intensa e
un’esperienza assolutamente particolare. All’inizio i dottori, le
infermiere e tutto il personale ospedaliero, sono per lui solamente
camici bianchi anonimi che si muovono in uno spazio sconosciuto,
completamente differente da quello familiare e percepito come poco
dominabile. Più il bambino è piccolo, più queste figure possono essere
vissute come imprevedibili, paurose.
“Ad aumentare l’ansia del bambino provvede anche il fatto di
dover dormire in un letto non suo, di dover mangiare insieme ad altri
bambini sconosciuti, di dover seguire orari diversi da quelli a cui è
abituato, oltre al fatto di dover sottostare a pratiche invasive da parte di
adulti sconosciuti (e si badi che anche il mettere il termometro può
essere vissuto come una pratica invasiva) ciò in una situazione in cui
- 81 -
tutto avviene al cospetto di tutti, in un contesto ampio e da lui poco
dominabile e in cui non sembra più esistere nulla di privato.” 37
Se adeguatamente seguito dalla famiglia e dal personale
ospedaliero, ognuno, per piccolo che sia, distinguerà, con i suoi tempi,
le nuove relazioni e instaurerà, nella maggior parte dei casi, un
rapporto di fiducia che, non sarà dipendente dall’eventuale trattamento
doloroso, ma dal livello di empatia che si è venuto a creare.38
Nel bambino la sensazione di paura generata dall’ospedalizzazione
rinforza la sua dipendenza dalle figure parentali. È stata rivolta molta
attenzione alla figura e al ruolo della madre, persona con la quale il
bambino stabilisce le sue prime relazioni, e alla sua funzione
indispensabile durante l’ospedalizzazione del bambino. “La madre è
indispensabile per il bambino per conoscere e rapportarsi in modo
sereno con l’ambiente che lo circonda. Soprattutto per i più piccoli
essa è il filtro attraverso il quale il bambino si avvicina al mondo
esterno, uno spazio di sicurezza dal quale può scoprire il mondo.” 39
La mamma può facilitare molto i rapporti tra il personale curante e il
bambino, non solo tenendolo tranquillo durante le procedure sanitarie,
ma anche comunicando ai curanti le sue piccole abitudini (il nome con
cui indica i vari oggetti, come è abituato a essere chiamato…)
facilitando il suo inserimento nella vita del reparto. Se la madre assiste
alle medicazioni e alle iniezioni può spiegarne al figlio il motivo e
consolarlo se sono dolorose. Inoltre essa cercherà di far capire al suo
bambino che tutti desiderano vederlo migliorare e guarire, e che un
male “piccolo” (un’iniezione o una medicina amara) non è una
punizione ma soltanto un mezzo per farlo guarire. 40
La funzione paterna in ambito ospedaliero non è così facilmente
definibile come quella materna: il padre infatti per molto tempo ha
mantenuto un atteggiamento più distaccato nei confronti del figlio,
rispetto alla madre, probabilmente perché maggiormente impegnato in
37
S. KANIZSA; B. DOSSO, La paura del lupo cattivo. Quando un bambino è in ospedale, Roma,
Meltemi editore, p. 20
38
M. T. MANGINI, M. L. ROCCA, Cappe gialle: un po’ di colore tra i camici bianchi
dell’ospedale pediatrico, Milano, Ethel editoriale Giorgio Mondatori – Gruppo d’Adamo, 1996,
p. 20
39
G. FILIPPAZZI, Un ospedale a misura di bambino. Esperienze e proposte., Milano, Franco
Angeli, 1997, p. 20
40
Ibi, p. 21
- 82 -
attività esterne alla famiglia. La figura paterna, molto importante per il
bambino, è meno presente in ospedale. Alcuni padri sono latitanti per
necessità
di
lavoro
e di mantenimento
della
famiglia.
La
partecipazione dei genitori alla promozione della salute del bambino e
la loro possibilità di stargli vicino anche durante il ricovero fanno sì
che l’ospedalizzazione infantile si configuri sempre più come un
processo complesso che coinvolge fortemente non solo il bambino ma
anche la sua famiglia.
La comunicazione con l’adulto è fondamentale per sentirsi
sostenuti e condividere ciò che accade. Il malato, a qualsiasi età,
instaura buone relazioni quando sente di essere rispettato, capito nella
sua individualità, nei suoi bisogni e nei suoi tempi. La via
comunicativa per entrare in contatto con il bambino è impercettibile, la
si trova dopo vari tentativi, esplorando con delicatezza i diversi livelli:
verbale, non verbale, corporeo. L’intesa si troverà attraverso una frase
comprensibile, uno sguardo espressivo o un sorriso complice.41
4.4 ATTIVITA’ PER I BAMBINI IN OSPEDALE: IL GIOCO
“L’attività è gioia e la gioia fa l’effetto di un’iniezione di salute”.
Questa frase della famosa pedagogista Maria Montessori fa capire
quanto sia importante in reparti come la Pediatria poter dare la
possibilità al bambino di continuare a giocare e a sorridere anche
quando la sua vita viene sorpresa da eventi imprevisti e il suo “mondo
bambino” viene sostituito dal “mondo sanitario”.
Tra le attività sperimentabili con profitto in situazioni di ricovero
nell’infanzia e nella fanciullezza, un posto di rilievo spetta senza
dubbio al gioco, che in ospedale assume una valenza educativa e
terapeutica in quanto strumento che predispone all’evento della
malattia stemperandone gli aspetti negativi.
L’attività ludica rappresenta il mezzo privilegiato per affrontare e
superare la condizione di passività e chiusura che il bambino
sperimenta in seguito all’ospedalizzazione, permettendogli di essere
41
M. T. MANGINI, M. L. ROCCA, Cappe gialle…, o. c. , p. 23
- 83 -
protagonista attivo e di accrescere il suo senso di autostima
continuando a sperimentarsi e a definire positivamente la propria
personalità.
“Per alleviare gli aspetti negativi ed il disagio della vita in ospedale
è costituita dal fatto che il bambino sia messo in condizione di potersi
impegnare a fondo nel gioco. Gli effetti positivi sono molteplici:
impegnandosi in un’attività che gli è abituale, il bambino avverte una
continuità con la sua vita quotidiana e pertanto la nuova situazione
dell’ospedale gli sembra in certa misura meno estranea. Inoltre,
l’impegno e l’attività sono degli antidoti all’ansia in quanto migliorano
la situazione emotiva generale del bambino. Il gioco può poi essere
utilizzato sia come preparazione a interventi chirurgici o terapie,
disunendo in tal modo notevolmente la paura del nuovo e
dell’imprevisto presente in tali situazioni, sia come mezzo di
liberazione delle tensioni emotive che molto spesso inevitabilmente si
sviluppano nello stato di malattia e nell’ospedalizzazione”. 42
Il gioco dell’ospedale riguarda situazioni di tipo sanitario e
prevede solitamente l’uso di strumenti medicali. Attraverso esso il
bambino può acquisire informazioni sulle terapie, attenuare ed
esprimere stati d’animo quali la paura e l’ansia. Più specificatamente si
parla a questo proposito di gioco delle parti o di drammatizzazione,
poiché il bambino assume il ruolo delle varie figure professionali che
si occupano di lui e ne mette in pratica le azioni su pupazzi e bambole,
utilizzando strumenti e materiale sanitario. Questa attività permette
una riduzione del disagio per il fatto che, sdrammatizzando la
situazione e rendendo meno minacciosi strumenti ed azioni, consente
al bambino di familiarizzare con tutto ciò che riguarda la sua malattia e
ne stempera conseguentemente ansie e timori. “La funzione
terapeutica del gioco opera anche in via preventiva: anticipando nella
finzione ludica l’evento, il bambino dissolve vissuti d’ansia e controlla
la futura esperienza spiacevole”. 43
Un caso particolare di gioco per prevenire le ansie da
ospedalizzazione, è quello dell’Ospedale dei pupazzi (foto 26), situato
42
P. BREGANI, A. R. DAMASCELLI, Il gioco in ospedale. Il gioco come aiuto ai bambini per
superare i traumi dell’ospedalizzazione, Milano, Emme, 1978, pp. 41-42
43
A. NOBILE, Gioco e infanzia, Brescia, La scuola, 1994, pp. 144-145
- 84 -
in uno spazio chiuso (ospedale, ambulatorio, scuola) oppure una tenda
da campo che sarà sistemata in una piazza o luogo pubblico della città
per 1 o 2 giorni. L’ambientazione sarà resa realistica utilizzando un
processo simile a quello usato negli ospedali veri. I bambini saranno
ricevuti nell’accettazione e da qui si sposteranno nella sala d’attesa
fino a che non verranno chiamati da un pupazzologo. Accompagnati da
quest’ultimo, essi andranno nell’ambulatorio dove sarà svolta la visita.
Foto 26: Ospedale dei Pupazzi
(www.sism.org)
Visitando l’Ospedale dei pupazzi, i bambini di un’età compresa tra
i 3 e i 7 anni, potranno portare i loro peluche e le loro bambole perché
vengano curati dai pupazzologi (studenti di medicina). I bambini
potranno così seguire l’intero corso di una visita in ospedale senza
essere loro stessi i pazienti. Inoltre, essi inventeranno la malattia per i
loro piccoli amici, che possono essere trattati e curati nell’Ospedale
dei pupazzi. Il dottore deve raccogliere l’anamnesi del paziente
chiedendo al genitore del pupazzo (il bambino) le informazioni
necessarie. I pupazzi verranno pesati e misurati dalla testa ai piedi per
vedere se sono delle giuste dimensioni per la loro età. Potranno essere
utilizzati diversi strumenti per la diagnosi dei pupazzi: stetoscopi veri,
macchinari per i raggi X o l’ECG fatti apposta per l’Ospedale dei
pupazzi, cerotti, bende… Per realizzare tutto questo verranno coinvolti
gli studenti delle facoltà di Medicina che partecipano al progetto
dell’Ospedale dei Pupazzi, che dovranno essere preparati alla loro
professione di “pupazzologi” tramite un corso sull’approccio al piccolo
paziente. Verrà inoltre fornita ai pupazzologi tutta una gamma di
- 85 -
possibili diagnosi, accorgimenti e prescrizioni tra le quali scegliere nel
corso delle visite, oltre ai ricettari e libretto sanitario (modelli) su cui
scrivere le loro conclusioni. I trattamenti dei pazienti saranno limitati
all’auscultazione, bendaggio, rilevazione della pressione sanguigna e
così via, anche se sarà possibile effettuare degli interventi di sutura in
sala operatoria in caso di necessità. Le prescrizioni possono consistere
in favole da raccontare, coccole, carezze oppure in medicine o punture.
Nell’ospedale è prevista anche una farmacia, dove i bambini si
recheranno dopo la visita con la ricetta a prelevare le “medicine”
prescritte.
Finora gli Ospedali dei pupazzi sono stati organizzati con grande
successo in Germania, Inghilterra, Norvegia, Svezia, Olanda, Croazia
e altre nazioni europee e non solo. Al momento, in diverse città
italiane quali Siena, Ferrara, Brescia, Genova, Milano, Monza, Napoli,
Padova, Palermo si è svolto questo tipo di progetto.44
“Gli ospedali sono di per sé dei luoghi che spaventano un bambino
ma le operazioni, gli interventi e i trattamenti spesso lo terrorizzano.
Un’accurata ed esauriente spiegazione attraverso il gioco che anticipi
l’esperienza che il bambino dovrà subire allevia la sua tensione,
familiarizzandole e rendendolo partecipe della situazione che dovrà
affrontare. Per esempio, una spiegazione e una utilizzazione
nell’attività di gioco degli strumenti medici necessari all’intervento di
anestesia o all’esame radiologico, possono ridurre enormemente le
ansie del bambino ad esso relative”.45
Altre numerose iniziative possono essere messe in atto nei reparti
pediatrici allo scopo di risollevare l’umore dei bambini. Tra queste
svolgono un ruolo importante le feste, in particolare quelle legate a
precise ricorrenze, come i compleanni o le festività, in quanto
funzionano da collegamento col mondo esterno, con la normalità.
In alcuni ospedali è previsto addirittura l’ingresso di piccoli
animali domestici, i quali, secondo i principi della pet-therapy,
aiuterebbero a ritrovare tranquillità dopo il trauma del ricovero,
44
45
www.sism.org
P. BREGANI, A. R. DAMASCELLI, Il gioco in ospedale…, o.c. , pp. 85-86
- 86 -
consentendo ai bambini di assumere un ruolo di protezione verso una
creatura più debole.
Tra le più semplici modalità di espressione artistica stimolate con
profitto nei reparti pediatrici rientrano sicuramente il disegno e la
manipolazione, queste attività, oltre a compensare le carenze dovute
alla limitazione di movimento (es.: flebo al braccio, post intervento
chirurgico,…),
permettono
l’espressione
dell’aggressività
ed
assumono l’importante funzione di strumento diagnostico, attraverso il
quale gli adulti possono interpretare le emozioni ed i sentimenti che i
bambini non riescono ad esternare in altri modi.
Simili obiettivi sono perseguiti anche addentrandosi in ambito
letterario e cioè stimolando l’invenzione e la scrittura di poesie e
racconti o semplicemente narrando favole o fiabe che inducano i
bambini
a
sognare
e
ad
entrare
in
contatto
col
mondo
dell’immaginario.
Un’ulteriore forma d’arte in grado di assumere un importante ruolo
in situazione di ospedalizzazione è la musica sia essa sperimentata in
modo passivo (es.: chitarra suonata dal clown) o attivo: ascoltata può
rilassare e dare conforto o divertire e rallegrare, mentre agitata (es.:
bimbo che suona le maracas o i tamburelli) permette principalmente lo
scarico delle tensioni e la comunicazione di sentimenti. Attraverso la
musica è poi possibile instaurare con i bambini un rapporto profondo,
in modo che sentano di non essere abbandonati a sé stessi; ecco
dunque che le note possono accompagnare numerose situazioni vissute
dai piccoli ricoverati rendendole meno spiacevoli, ad esempio
stemperandone l’ansia prima di una visita medica o di pratiche
invasive. In ogni caso la musico-terapia, oltre ad essere utilizzata per
controllare la paura ed il dolore, agisce anche in vista di una più piena
accoglienza e riesce in questo modo ad occuparsi contemporaneamente
del contesto fisico e di quello umano, favorendo scambi e relazioni in
un ambiente più sereno e disteso.
- 87 -
CAPITOLO QUINTO: il sorriso
5.1
VALORE
EDUCATIVO
ED
APPRENDIMENTO
COL
SORRISO.
È possibile evidenziare un collegamento tra il sorriso e
l’educazione; sembra pertanto utile approfondire questa tematica come
ulteriore sostegno della legittimità di una reale terapia del sorriso.
Dopo aver osservato la clownterapia in corsia ospedaliera,
vengono ora sottolineati gli aspetti che ne fanno un efficace strumento
educativo soprattutto per i bambini ricoverati.
Benché si tenda a sottostimare il ruolo pedagogico del sorriso e
della comicità, frequentemente viene sottolineata l’utilità di un
atteggiamento scherzoso nelle relazioni educative. Durante un
percorso formativo la miglior carta di presentazione è spesso un
sorriso aperto e sincero. Avviare una relazione educativa trasmettendo
serenità e positività è poi un ottimo presupposto per ottenere fiducia e
collaborazione e per instaurare una comunicazione. Il sorriso fa parte
della comunicazione non-verbale, dell’insieme di messaggi che
inviamo per affiancare, sottolineare, talvolta sostituire le parole. “Esso
è la molla che attiva lo sguardo, l’interesse a prolungare lo stato di
vigilanza, diventando un messaggio che accresce le certezze; esso,
quindi, acquista valore nei meccanismi cognitivi e nei processi di
interazione e individuazione dell’Io. Il bambino impara a collegare il
sorriso alle manifestazioni di tenerezza che esso determina e comincia
a interagire con un atteggiamento sempre più costruttivo sul piano
relazionale”. 46
Un sorriso o una battuta divertente generalmente creano
un’atmosfera serena ed accogliente: infatti hanno il pregio di mettere
le persone a proprio agio e di favorire un’apertura alla relazione,
cercando di predisporre il nostro interlocutore ad uno stato d’animo
più positivo.
46
S. CORBO, Bambini in asili nido, Roma, Armando Editore, 1994, p. 163
- 88 -
“L’educatore cauto non entra da padrone, né adopera il riso
dell’iconoclasta; egli sa far sentire al fanciullo nella sua simpatia, che
prima di ogni altro lo stesso fanciullo è giudice e superatore di sé
stesso e lo conforta e lo sospinge”. 47 Il sorriso deve essere considerato
un elemento fondamentale della professionalità dell’educatore. Esso
rappresenta, con i suoi diversi contenuti induttivi, un comportamento
di alto significato umano e professionale e l’attitudine a rispondere al
bisogno di conforto del bambino.
La necessità che il valore del comico in educazione sia
riconsiderato più approfonditamente è riconosciuta da tempo, come
dimostra un interessante studio degli anni Settanta che si occupa
proprio dello stretto rapporto tra comico, creatività ed educazione. La
ricerca è stata svolta da Mario Valeri e Giovanni Genovesi con la
sincera e valida partecipazione degli alunni della scuola “R. Pezzani”
di Parma e dal parere favorevole degli insegnanti. Sono stati distribuiti
dei questionari in diciassette classi (nove di terza e otto di quinta
elementare). I risultati della ricerca hanno portato
ad una
considerazione positiva dell’educazione al senso del comico. Infatti,
secondo un’insegnante di una delle classi prese in esame:
“L’educazione al comico è formativa, perché aiuta a vivere, a
sdrammatizzare certe situazioni che siamo propensi a credere solo
nostre e che sono di tutti, della vita di ogni giorno”.
Come ci hanno insegnato gli antichi greci con l’uso della
commedia, la capacità di rilevare il ridicolo nelle cose e nei fatti, se
non si limita ad una posizione di spettatore soltanto divertito, deve
stimolare l’intelligenza ad intervenire in maniera arguta e pensosa:
tutto ciò porta ad una maggiore carica di umanità. Educare al senso del
comico significa anche sviluppare la fantasia dei fanciulli, che
trasforma immagini reali in immagini figurative e viceversa.
L’umorismo è anche un modo di prendere contatto con la realtà,
mascherando gli eventuali dolori e stati d’animo, un modo per non
essere mai soli perché la persona di spirito è anche la più ricercata
perché più simpatica e socievole. Il sorriso inoltre produce sensazioni
47
M. VALERI, G. GENOVESI, Comico, creatività, educazione, Firenze, Guaraldi, 1973, p. 32
- 89 -
piacevoli, attira persone e situazioni più positive, regala ottimismo;
emozioni e pensieri negativi perdono il loro potere.
“Le aperture umane e le conclusioni di cui il fanciullo è
protagonista ad ogni momento della sua esistenza scolastica trovano
assai spesso espressione nelle sue valutazioni di comicità, e attraverso
di queste possono essere diagnosticate. E d’altra parte è per il tramite
del senso comico che si profila la possibilità di stabilire con il fanciullo
dei rapporti di simpatia e di collaborazione suscettibili di notevoli
ulteriori sviluppi in senso educativo; ed è da esso, dal senso del
comico del fanciullo, che occorre muovere per superare, integrandoli
in schemi mentali più comprensivi e profondi, i contrasti, le fratture di
significati dell’esperienza, che in esso appunto esprime il fanciullo
(figura 27)”.48
Figura 27: bimbo-clown
(www.aurorablu.it)
In campo scolastico, l’umorismo migliora il rapporto insegnanteallievo in quanto mantiene vivo l’ascolto e l’apprendimento. Se
l’allievo è ansioso, la sua attenzione viene assorbita, distratta dalla
tensione e non è quindi disponibile per agire come dovrebbe. Il ridere
fa scaricare l’ansia e libera l’attenzione, permettendo un lavoro
efficiente e soddisfacente. Inoltre l’umorismo serve in un primo tempo
a risvegliare l’attenzione dell’allievo, stimolandone la curiosità sulle
48
R. LAPORTA, Il senso del comico nel fanciullo ed il suo valore nell’educazione, Bologna,
Malipiero, 1957, p. 154
- 90 -
nozioni da apprendere e poi a mantenerla costante. Ciò aumenta la
probabilità di trattenere nella memoria il materiale da imparare. 49
“La condivisione da parte dell’educatore delle esperienze infantili,
la comunità dell’elaborazione di esse, è ciò che gli permette di
assumere, per dir così, in solido con i fanciulli le reazioni di comicità a
determinate situazioni, e di condividere, facendo pesare in ciò la
propria personalità per quanto possibile, i loro successivi sviluppi.
Codesta assunzione,
tale da impegnare l’educatore non solo nella
elaborazione intellettuale e pratica dell’esperienza, ma altresì
nell’atmosfera emotiva che si genera da quella, determina nel gruppo
che dell’esperienza è il protagonista vincoli sociali esprimibili con
termini come simpatia, solidarietà, fiducia nella comprensione
reciproca. La conoscenza del fanciullo attraverso le reazioni di
comicità si presenta anche qui come l’altra faccia della costituzione del
rapporto educativo: non si conosce se non si opera insieme per un
interesse comune, e non si può operare efficacemente se non
conoscendosi sempre meglio. L’educazione una volta di più si rivela
rapporto umano totale, integrale, e quindi essenziale ed unico:
indivisibile nei suoi aspetti astratti. E il comico ci si dimostra a sua
volta ricco di elementi emotivi fra i più facili ad impiegarsi per
stabilire tale rapporto. Il riso associa, accomuna chi ride: la socialità
del riso, di cui si è detto a suo tempo, sebbene gravida di chiusure e di
inibizioni verso l’esterno, è un fatto che l’educatore non può ignorare e
del quale deve potersi servire quando gli sia utile. È questo dunque un
orientamento che viene spontaneo di proporre ad una sperimentazione
didattica conscia dell’interesse che la comicità presenta per
l’educazione”.50
Il comico assume nuovi aspetti e sarà compito dell’insegnante
saperli cogliere per indirizzarli a fini formativi. Il bambino potrà così
sviluppare ed affinare la sua sensibilità per creare nuove situazioni di
esperienza che libereranno la sua personalità attraverso quel “comico
che appare come il cerchio luminoso che muovendo avanti verso
49
G. FERRARIO, Ridere di cuore. Il potere terapeutico della risata, Milano, Tecniche Nuove,
2006, p. 35
50
Ibi, p. 156
- 91 -
nuove ragioni del reale, contribuisce a scoprire le disarmonie e i
contrasti per meglio comporre e costruire”. 51
In questi ultimi anni l’uso della clownerie o del clowning,
nell’ambito dei laboratori di teatro, sia in Italia che all’estero, è stato
molto apprezzato da docenti e allievi. Esistono molte esperienze in
proposito, una fra queste è l’esperienza reggiana della Scuola Media
Belvedere. Qui è stato realizzato un progetto educativo della durata
triennale al quale prendono parte molti insegnanti di discipline diverse.
Il clowning è uno strumento importante per coinvolgere bambini e
ragazzi in un protagonismo positivo. “La ricerca del proprio clown” è
inserita in un lavoro didattico basato sulle potenzialità corporee,
l’espressività, la costruzione dell’identità. L’esperienza di clowning
aiuta, non solo a prendere più dimestichezza con il linguaggio delle
emozioni, ma soprattutto a collaborare con i compagni e a vincere
alcune spigolosità.52
5.2 RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE.
Non è detto, però, che far ridere sia facile e far ridere le persone
malate è ancora più difficile; quando poi si tratta di far ridere i bambini
malati risulta un’impresa notevole perché cambia il modo di
rapportarsi con loro: l’adulto che vuole far divertire il bambino deve
necessariamente sapersi porre sul suo stesso piano, deve trovare una
sintonia in grado di liberare le emozioni e di accogliere lo scherzo. Un
altro problema è quello di analizzare ciò che fa più paura al bambino
nella situazione del ricovero. Ovviamente il personale sanitario,
proprio a causa del ruolo che deve rivestire, un ruolo intrusivo che
invade lo spazio privato del minore e della famiglia, che invade la
corporeità altrui, rimane l’oggetto di maggiore ansia da parte dei
degenti. Sarà su questa figura che si dovrà lavorare per far ridere ma
anche per far passare un po’ la paura. Da qui la scelta di trasformare
l’idea del medico con il suo impeccabile camice bianco e gli strumenti
del mestiere (lo stetoscopio al collo e la penna che sporge dal taschino
51
M. VALERI, G. GENOVESI, Comico, creatività, educazione, o. c. , p. 155
A. FARNETI, La maschera più piccola del mondo. Aspetti psicologici della clownerie,
Bologna, Alberto Perdisa editore, 2004, pp. 148-152
52
- 92 -
che rappresentano lo stereotipo del medico) in un clown, personaggio
un po’ goffo simile a quelli che si vedono nelle favole, nei cartoni
animati, nelle carte da regalo o nei giocattoli; in ogni oggetto studiato
per i bambini, questa figura ha gradualmente assunto la connotazione
emblematica di un personaggio amico dei piccoli. Il clown è stato
scelto come simbolo di gioia e d’innocenza. Esso è una creatura debole
e sognante, attraverso la sua visione del mondo da’ libertà e respiro a
chi lo guarda. Ecco che il tramite è stato creato: il “dottore cattivo”,
nella fantasia di molti, diventa un clown, da sempre presente
nell’immaginario infantile. L’input di un cambiamento così radicale
arriva dall’America, precisamente da Hunter Adams, soprannominato
da tutti Patch.
Vedere dei clown che passeggiano nei corridoi dei reparti vestiti in
modo buffo attira certamente l’attenzione dei presenti, sia grandi che
piccini, producendo senza dubbio effetti distensivi. Esiste quindi la
possibilità che questi personaggi possano avere la funzione di ponte tra
la fantasia, mondo di appartenenza squisitamente infantile, e la realtà
medica: se il bambino incontra un clown “travestito” da dottore e
sorride alla vista di un naso rosso o di toppe colorate sui pantaloni che
spuntano da uno pseudo camice, forse sarà curioso di scoprire se anche
il medico “vero” tiene nascosti da qualche parte alcuni palloncini
colorati e dei giochi di magia. Tale mediazione sarebbe dunque utile
per sdrammatizzare le paure legate alla rappresentazione che il
bambino ha dei medici e della cura.
Come descritto nel quarto capitolo, vi è una realtà ben diversa
rispetto ad altri ospedali italiani per quanto riguarda le patologie dei
piccoli pazienti. Infatti, qui le patologie più ricorrenti sono: crisi di
asma, infezioni alle vie urinarie, convulsioni febbrili, post intervento
appendicite… In Valle i bambini malati di tumore vengono visitati nel
nostro reparto pediatrico per poi essere trasferiti e curati negli ospedali
fuori Valle. Con il passare degli anni la medicina ha fatto grandi passi,
molte patologie possono essere curate con degli appositi farmaci. Il
medico può così dedicarsi di più al bambino. Se un dottore si limita a
visitare e poi se ne va, non avrà mai un rapporto con il piccolo
paziente. Se invece dà del suo tempo “non in veste da medico”, ma
- 93 -
magari va in reparto nel pomeriggio per chiacchierare con i bambini o
fare un gioco allora potrà diventare anche un amico. Per entrare in
relazione con il bambino ci vuole tanto tempo. Il bambino deve essere
accolto come un piccolo ospite, accompagnato al suo letto, presentato
ai suoi compagni di stanza, malati come lui. Il suo nome è parte
integrante di lui, e deve quindi essere bene in vista all’ingresso della
camera, affinché ciascuno possa rivolgersi a lui chiamandolo per
nome. Sentendosi rispettato e circondato da persone che sanno chi è lui
e che gli si sono presentate al primo incontro, potrà stabilire più
facilmente un rapporto di fiducia.
I medici e gli infermieri capaci e desiderosi di trasformarsi in
clown sono abbastanza rari: non tanto perché non abbiano le
competenze pratiche, ma soprattutto per la paura di rompere equilibri
delicati nel rapporto con i pazienti. Uscire dal proprio ruolo è sempre
difficile.
La classe medica deve in qualche modo conservare il suo potere
consolidato nei secoli: non si può negare che essa sia molto potente,
non è facile modificare un certo atteggiamento nei confronti dei
malati. Non bisogna dimenticare che non solo i medici ma anche i
pazienti hanno bisogno dei “rituali” di un ospedale tradizionale. Se è
vero che essere trattati come numeri può accentuare il disagio dal
paziente, specie se chi ti sta davanti non è più una persona ma un letto
o un numero o una patologia, è più facile affrontarlo, prestargli le
dovute cure. È anche vero che vedere il medico come un uomo
particolare, che possiede la “scienza che cura”, esprimendosi magari
con parole incomprensibili che ne accentuano il prestigio, può far
sentire il malato in buone mani. Il gioco dei ruoli è sempre importante
ma in ospedale lo è più che in altri contesti. Non si deve dimenticare
che il malato ed i suoi parenti sono in una condizione di dipendenza,
che li rende vulnerabili e fragili. Si aspettano delle certezze e delle
parole definitive da persone che ritengono forti e onnipotenti. Si può
fare appello solo alla sensibilità di chi ha effettivamente nelle mani la
vita degli altri. I medici e i paramedici hanno un compito molto arduo
perché non devono assolutamente perdere in credibilità e, nel
contempo, devono apparire umani quel tanto che basta.
- 94 -
Il tempo in cui è uscito il famoso film basato sulla vita di Patch
Adams è stato apprezzato perché i tempi erano pronti ad accogliere
discorsi che, solo qualche decennio fa, ci avrebbero scandalizzati. Non
sarebbe stato accettato da nessuno un medico che si lascia andare a
giocare con i malati e che si traveste da clown facendosi beffe della
sua autorità. Neppure se animato dalle migliori attenzioni. Non si può
curare solo “un corpo” e si deve far in modo che l’intera persona
venga presa in carico dagli operatori sanitari.
Per molto tempo l’ospedale è rimasto un luogo un po’ isolato dal
mondo, in cui vigevano regole rigide, i medici e gli infermieri
parlavano un linguaggio criptico e si avvicinavano al paziente solo per
curarlo. Bisogna rendere l’ambiente ospedaliero un luogo in cui non
solo si soffre o si muore, ma in cui si possa vivere per sopravvivere. La
vivibilità di un reparto è condizione indispensabile per il buon
rendimento di medici e infermieri, l’efficacia delle terapie dipende in
una buona percentuale dal clima emotivo che si instaura. La presenza
di personale adeguatamente preparato significa dire al bambino:
“conosco i desideri dei bambini e desidero rendere piacevole la tua
permanenza, aiutandoti a trovare nuovi amici ed a imparare nuovi
giochi”53, allontanando così da lui il rischio di cadere nella passività e
di concentrarsi sulla sua condizione di “malato”.
Da qui la missione di MAKE-A-WISH, quella di esaudire i desideri
di bambini tra i 3 ed i 17 anni affetti da gravi malattie, per portare loro
un momento di gioia e di speranza. Per un bambino gravemente
malato, vedere che il suo desiderio si realizza, significa capire che
nulla è impossibile, recuperare speranza e forza per continuare a
lottare, significa dimenticare per un attimo di essere malato e tornare
ad essere semplicemente un bambino. Normalmente i desideri più
richiesti rientrano in queste quattro categorie: visitare posti che hanno
sempre sognato ma mai visto, incontrare un personaggio famoso,
sognare cosa vorrebbero fare da grandi e vivere nel presente
quell’esperienza oppure possedere qualcosa in particolare come un
computer, la maglia dello sportivo preferito, un giocattolo speciale. Per
53
G. FILIPPAZZI, Un ospedale a misura di bambino. Esperienze e proposte, Milano, Franco
Angeli, 1997, p. 14
- 95 -
tutti i desideri Make-A-Wish si prende cura di tutti i particolari
necessari per fare sì che il desiderio diventi realtà nella maniera più
magica possibile.
Figura 28: logo Make-A-Wish Italia ONLUS
(www.makeawish.it)
Make-A-wish è presente in 30 Paesi nei 5 continenti, con 176 uffici
e 36.000 volontari. Make-A-Wish, che ha recentemente ricevuto il
riconoscimento ufficiale dell’ONU, è oggi une delle organizzazioni
benefiche più conosciute e reputate a livello mondiale, dal 1980 ha
realizzato oltre 140.000 desideri.
Make-A-Wish Foundation è nata ventisette anni fa. Nel 1980 a
Phoenix (Arizona) Chris Greicius, un bimbo di 7 anni affetto da
leucemia, aveva il grande desiderio di fare il poliziotto. La famiglia,
gli amici e la comunità di Phoenix si sono allora mobilitati per dare
l’opportunità a Chris di vivere un’esperienza indimenticabile. Il bimbo
è stato ricevuto con tutti gli onori dal locale distretto di Polizia, ha
potuto indossare una divisa fatta apposta per lui, ha prestato
giuramento, ed è stato nominato poliziotto onorario. Quindi è andato in
pattuglia, e ha persino fatto una ricognizione in elicottero. Purtroppo,
dopo alcuni giorni, la malattia ha avuto il sopravvento. Le persone che
si erano mobilitate per realizzare il desiderio di Chris, profondamente
toccate, hanno deciso di adoperarsi per permettere anche ad altri
bambini di poter rivivere la magia di quei momenti indimenticabili.
Make-A-Wish Italia ONLUS (figura 28) è stata fondata nel
settembre 2004 per onorare la memoria di Carlotta Frontani, una
bambina veramente speciale scomparsa per una grave malattia nel
novembre 2002 all’età di 10 anni. Le cure cui Carlotta è stata
sottoposta, l’hanno obbligata a restare per oltre otto mesi isolata in una
camera sterile senza alcun contatto con l’esterno. Durante i lunghi
- 96 -
mesi del ricovero, Carlotta ha sempre dimostrato un grande interesse
per gli altri bambini che erano ricoverati nel suo reparto: non li poteva
conoscere di persona ma inevitabilmente sapeva di loro dai medici e
dalle infermiere. Era molto interessata alle storie di questi bambini e
cercava in qualche modo di essere loro vicina mandando un piccolo
regalo: un giocattolo, una videocassetta, un disegno. I genitori di
Carlotta, fondatori di Make-A-Wish Italia ONLUS, hanno deciso di
impegnarsi in questa missione per far sì che le persone si rendessero
conto della grandezza del sentimento della loro bambina, la quale
viveva un momento drammatico, eppure faceva il possibile per portare
conforto ad altri bambini che stavano soffrendo.
Un desiderio esaudito non porta al bambino gravemente malato
solamente un momento di gioia e spensieratezza, ma spesso ha anche
un incredibile impatto positivo dal punto di vista medico. Keith Goh,
uno tra i neurochirurghi pediatrici più conosciuti al mondo, e membro
del Consiglio Direttivo di Make-A-Wish International: “Quando
raccontiamo alla gente che il nostro lavoro è realizzare i desideri dei
bambini che lottano contro gravi malattie, probabilmente molti di noi
non sanno che quando parliamo di “potenza” di un desiderio c’è un
fondamento scientifico alla base di questa affermazione. La moderna
ricerca medico-scientifica dimostra che le emozioni positive si
trasformano direttamente in benefici per la salute del paziente. Per
esempio una semplice risata riduce la pressione del sangue e lo stress,
migliora il sistema immunitario e allevia il dolore. Gli studi
dimostrano che la risata, realmente, riduce gli ormoni legati allo stress
come l’epinefrina e il cortisone che, se prodotti in grande quantità,
provocano danni al corpo. Ridere stimola il sistema immunitario a
produrre più T-linfociti (cellule assassine per natura), gamma
interferone e immunoglobuline, che sono meccanismi di difesa contro
infezioni e cellule cancerose. Inoltre le endorfine che sono
antidolorifici naturali prodotti dal corpo capaci anche di tirare su il
morale, vengono rilasciate in dosi maggiori. Per qualcuno che sta
- 97 -
affrontando una grave malattia, questi benefici sono enormi. E poi una
risata non costa nulla!”. 54
5.3 EMPATIA, EMOZIONI ed AUTOEFFICACIA.
L'empatia è un modo di comprendere con rispetto e di condividere
cosa un'altra persona sta provando. Si tratta di offrire una relazione di
qualità basata sull'ascolto non valutativo, dove ci si concentra su
quello che è più vivo nell'altra persona in termini di sentimenti e
bisogni fondamentali. È l'attitudine di quando si decide di essere
completamente disponibile per un'altra persona, mettendo da parte le
preoccupazioni e i pensieri personali, pronti ad offrire piena
attenzione. La parola deriva dal greco "εμπαθεια" (empateia) e veniva
usata per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava
l'autore-cantore al suo pubblico.55 Empatia ed attenzione (il “prendersi
cura”) sono gli elementi che fanno la differenza. Se i pazienti si
sentono a proprio agio, coloro che fanno visita possono condividere
una situazione di fiducia in cui è possibile dare accoglienza e sollievo
alla sofferenza. Empatia è acquisizione emotiva della realtà del sentire
altrui, è “rendersi conto” del dolore e della gioia provata dagli altri.
“Nell’esercizio della professione il clown-dottore impara a usare una
vasta gamma di emozioni, che può esprimere, fra l’altro, attraverso
testi preparati o improvvisazioni. Le “scene” che vengono così
recitate, e di cui lui stesso e i bambini sono i registi e gli interpreti,
sono molto diverse. Ecco alcune emozioni e i giochi che ispirano il
clown:
- la paura (l’inquietudine, lo spavento, l’imbarazzo, l’apprensione, il
nervosismo, la timidezza, il terrore) si esprime con l’imitazione di
mostri,
le scene melodrammatiche, gli scherzi al personale
dell’ospedale, l’invenzione di finti esami medici, i trucchi magici, il
nascondersi nella camera del bambino;
54
55
www.makeawish.it
www.wikipedia.it
- 98 -
- la tristezza (la disperazione, la nostalgia, l’autocommiserazione, la
malinconia, l’inquietudine, il dispiacere, l’umiliazione) si manifestano
con le scene d’amore patetiche, le ninnananne, la perdita di un oggetto,
il clown che diventa vittima e piange perché è solo o abbandonato;
- la collera (la rabbia, la gelosia, l’indignazione, la diffidenza, la
temerarietà, il disprezzo) trovano espressione nei furti, nelle zuffe,
nelle sparatorie, nei balli sfrenati, nella balordaggine, nella mancanza
di destrezza: porte che non si aprono, passi falsi, collisione con
ostacoli immaginari;
- la gioia (la felicità, l’amore, l’allegria, il flirt, l’entusiasmo, l’ilarità,
l’eccentricità, l’ispirazione, la tenerezza) si rivelano attraverso la
coppia di clown, le cerimonie immaginarie, le parate, la caccia al
tesoro, la corsa alla luna, l’annaffiarsi a vicenda”.56
Oltre all’empatia è importante anche l’efficacia personale. La
percezione
della
propria
efficacia
riflette
una
complessa
organizzazione affettivo-cognitiva che orienta la persona in un
particolare dominio della sua esistenza. A parità di conoscenze o di
abilità possedute in partenza, l’autoefficacia percepita è risultata
comportare una più piena valorizzazione delle capacità possedute e
una più ampia realizzazione delle potenzialità. L’autoefficacia
percepita si riferisce alla fiducia ed alle aspettative che l’individuo ha
di padroneggiare con successo determinate situazioni. Nel quadro di
una più generale promozione del benessere individuale l’autoefficacia
percepita è risultata associata ad una maggiore capacità di far fronte
alle situazioni stressanti, ad una maggiore capacità di aderire a norme
salutari di comportamento, ad un rafforzamento di sistemi biologici
che svolgono una parte cruciale nella difesa della salute.57
Recentemente è stato proposto un nuovo modello concettuale che
lega le convinzioni di autoefficacia emotiva e interpersonale al
benessere psicosociale e al pensiero positivo (soddisfazione di vita,
56
C. SIMONDS, B. WARREN, La medicina…, o. c., pp. 155-156
G. V. CAPRARA, A. GENNARO, Psicologia della personalità. Storia, indirizzi teorici e temi
di ricerca, Bologna, il Mulino, 1994, pp. 434-435
57
- 99 -
autostima, ottimismo). La convinzione dell’individuo di riuscire a
dominare il proprio mondo interno, ovvero di gestire le emozioni
positive e negative sono importanti nel sostenere la convinzione di
saper gestire la propria relazione (autoefficacia interpersonale) con il
mondo esterno, cioè i rapporti con gli altri. Quindi, l’azione delle
convinzioni di gestire con efficacia i propri affetti e le proprie relazioni
interpersonali ha un ruolo determinante per garantire un buon
adattamento, successo e benessere.58
58
G. V. CAPRARA, P. STECA, Voglia di felicità. Soddisfazione di vita, autostima e ottimismo: le
tre risorse del pensiero positivo, in «PSICOLOGIA CONTEMPORANEA», XXXIII (2006), n.
198, p. 67
- 100 -
Riflessioni conclusive
A conclusione del percorso compiuto attraverso il lavoro esposto, è
possibile offrire alcune riflessioni.
I clown-dottori tramite l’osservazione e l’ascolto svolgono il loro
primo contatto con il bambino ospedalizzato. Essi vogliono amare ogni
bambino, capire la sua sofferenza e trovare gesti e parole che portino
sollievo e liberazione. Attraverso l’adoperarsi del clown per la
sdrammatizzazione dei vissuti e per la rielaborazione dell’esperienza
ospedaliera in modo non traumatico, il clown-dottore cerca di dare
voce al dolore, ponendosi in condizione di ascolto e accoglienza.
L’osservazione è una strategia privilegiata per sostenere una lettura
e una comprensione del comportamento infantile che possa essere
l’appropriato presupposto della capacità di sviluppare un’adeguata
relazione educativa con il bambino. Tra le competenze professionali
dell’educatore, la capacità di osservare svolge un ruolo decisivo in
tutte le tappe che scandiscono la progettazione e la realizzazione
dell’intervento educativo. L’apprendimento tramite osservazione è la
prima esperienza di formazione “sul campo” solitamente proposta ai
tirocinanti che si preparano a diventare educatori. La persona in
formazione ha bisogno, prima ancora di sperimentarsi nel ruolo di
educatore, di conoscere il contesto educativo nel quale si troverà ad
operare. Dovrà, cioè, conoscere quali sono i ritmi che scandiscono la
giornata nei contesti educativi; dovrà farsi un’idea delle differenti
modalità educative che educatori diversi possono adottare all’interno
dello stesso contesto. La competenza osservativa è fondamentale
perché consente un’approfondita conoscenza del bambino
(o
comunque della persona) e della sua individualità e facilita il lavoro di
documentazione della storia personale. La valutazione integrata con le
pratiche dell’osservazione e della documentazione concorrono alla
migliore conoscenza del singolo bambino, in maniera da rispondere
puntualmente ai suoi effettivi bisogni.
L’educatore nel contesto ospedaliero così come in quello
educativo, per far sentire al bambino che gli è vicino, lo ascolta,
facendogli dono di presenza e di parola, esprimendogli così
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comprensione e confidenza. Gli sguardi, i gesti, la postura del corpo, il
tono della voce e il sorriso, incentivano e favoriscono la
comunicazione e l’interazione tra l’adulto e il bambino. Nell’infanzia è
fondamentale conoscere l’amore, quello della famiglia e quello di altri
adulti significativi. I piccoli hanno bisogno di tempo per giocare,
ascoltare, e pensare… hanno bisogno di tempo per crescere e diventare
adulti che sappiano usare con profitto il loro tempo.
Tra le attività sperimentabili con profitto in situazioni di ricovero
nell’infanzia un posto di rilievo spetta senza dubbio al gioco, che in
ospedale assume una valenza educativa e terapeutica in quanto
strumento che favorisce l’affrontare la malattia stemperandone gli
aspetti negativi. La malattia può infatti generare nel bambino scarsa
fiducia nelle sue capacità, ecco allora che proporre al bambino attività
adatte alle sue condizioni, che valorizzino la sua parte sana, significa
rinforzare la sua autostima, aiutandolo ad uscire dall’apatia e a
ritrovare la serenità indispensabile per guarire. Il gioco in ospedale
diventa un sistema di aiuto particolarmente efficace quando il bambino
ha un adulto con cui giocare, un familiare, un clown-dottore o una
persona espressamente disegnata a questo scopo. L’adulto può infatti
ascoltare il bambino che gli parla dei suoi interessi, dei suoi timori, e
rassicurarlo, evitando timori infondati e manifestando fiducia nelle sue
capacità di affrontare e superare la situazione. Inoltre, l’adulto può
suggerire al bambino giochi adatti a elaborare il vissuto specifico e
raccontare storie tranquillizzanti. La lettura di libri con immagini è uno
strumento essenziale per sollecitare la curiosità, la comprensione e la
produzione verbale. Ascoltando storie lette o raccontate dall’adulto, in
maniera da sviluppare tutte quelle competenze cognitive, emotive,
sociali che la lettura ad alta voce può esortare. Tra gli oggetti che si
predispongono in contesti educativi, quali il nido, e capaci di suscitare
emozioni, stimolare attività, acquisire e sperimentare esperienze, le
marionette risultano “strumenti” di forte valenza simbolica, capaci di
rappresentare vecchie fiabe così come di inventarne di nuove. Le
marionette danno voce alla fantasia e aiutano a rappresentare la realtà.
Il gioco costituisce una delle modalità principali per conoscere e
anche per imparare ad esprimersi. Inoltre, esso è anche un potente
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mezzo di comunicazione attraverso il quale il bambino non solo
rappresenta direttamente l’avvenimento, anche se non sa ancora
esprimersi verbalmente.
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