Tesi clownterapia - Missione Sorriso VdA
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Tesi clownterapia - Missione Sorriso VdA
UNIVERSITA’ DELLA VALLE D’AOSTA CORSO DI LAUREA IN PEDAGOGIA DELL’INFANZIA DISSERTAZIONE FINALE IN PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO LA CLOWNTERAPIA. UNA RICERCA IN VALLE D’AOSTA. CANDIDATA PRETI STEFANIA ANNA Anno accademico 2006/2007 -1- IL VALORE DI UN SORRISO Un sorriso non costa nulla, ma vale molto. Arricchisce chi lo riceve e chi lo dona. Non dura che un istante, ma il suo valore è talora eterno. Nessuno è tanto ricco da poterne fare a meno, e nessuno è talmente povero da non poterlo dare. In casa porta felicità, nella fatica infonde coraggio. Un sorriso è un segno di amicizia, un bene che non si può comprare, ma solo donare. Se voi incontrerete chi un sorriso non vi sa dare, donatelo voi. Perchè nessuno ha tanto bisogno di un sorriso come colui che ad altri darlo non sa. -2- Indice Introduzione………………………………………….......1 1. CAPITOLO PRIMO: la clownterapia 1.1 Breve storia legislativa dell’umanizzazione pediatrica………………………………………………3 1.2 La clownterapia: Norman Cousins e Patch Adams …………………………………………………………7 1.3 Patch Adams: vita e personalità………………………11 1.3.1 Il film “Patch Adams”, i libri “Salute! Ovvero come un medico-clown cura gratuitamente i pazienti con l’allegria e l’amore” e “Visite a domicilio. Come possiamo guarire il mondo una visita alla volta” ed il film-documentario “Clown in Kabul”………………………………………………….16 1.4 Associazioni………………………….……………......21 1.4.1 La clownterapia nel mondo e in Italia..................21 2.CAPITOLO SECONDO: esperienza sul campo 2.1 Obiettivi……………………………………………….34 2.2 Metodologia e strumenti..……………………………...35 2.3 Campione……………………………………………...40 3.CAPITOLO TERZO. Risultati: il contesto ospedaliero 3.1 Le Associazioni di clownterapia in Italia……………. .41 3.2 Reparto di Pediatria dell’Ospedale Beauregard di Aosta…………………………………………………. .41 3.3 Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta…………44 3.4 Chi è il clown-dottore…………………………………..48 3.4.1 Cosa fa il clown-dottore e come: azioni e strumenti…………………………………………………...49 -3- 3.5 Le interviste……………………………………………54 3.5.1 Sintesi delle interviste……………………………67 4. CAPITOLO QUARTO. Risultati: il bambino in ospedale 4.1 La mia osservazione nel reparto pediatrico di Aosta……………………………………………………….68 4.2 Motivazioni dell’operato del clown-dottore…………...74 4.3 Il comportamento del bambino durante la malattia……77 4.4 Attività per i bambini in ospedale: il gioco…………….79 5. CAPITOLO QUINTO: il sorriso 5.1 Valore educativo ed apprendimento col sorriso……….84 5.2 Rapporto medico-paziente…………………………….88 5.3 Empatia, emozioni ed autoefficacia…………………...94 Riflessioni conclusive……………………………………..97 Bibliografia………………………………………………100 -4- Introduzione Nel seguente lavoro si è scelto di indagare una tra le numerose figure sorte con lo scopo di contribuire al benessere dei piccoli ricoverati, sostenuti, oltre che dalla sua indubbia originalità, dalla notevole visibilità che ha acquisito negli ultimi tempi: il clown-dottore. Si è cercato di dare un’idea di una realtà ancora poco conosciuta e studiata, con l’intento primario di incuriosire e dunque stimolare ulteriori approfondimenti al riguardo, nella ferma convinzione che chiunque si impegna a far fiorire sorrisi sulle labbra di chi soffre contribuisce alla creazione di un mondo migliore e merita pertanto di essere riconosciuto e valorizzato. Nel primo capitolo si è brevemente narrata la storia legislativa dell’umanizzazione pediatrica (Carta di Leida e l’ABIO), si è cercato di dare una definizione della clownterapia e ne sono state illustrate due esperienze pilota dirette, quelle di Norman Cousins e di Patch Adams, che diedero notorietà e basi scientifiche alla terapia del sorriso. Sono state inoltre descritte le associazioni di clownterapia presenti nel mondo e in Italia. In seguito alla lettura del libro “La medicina del sorriso. L’esperienza dei clown-dottori con i bambini” ed alla consultazione dei siti Internet inerenti la clownterapia, si è voluto osservare nella realtà valdostana e all’opera i medici-clown di un’associazione di clownterapia. Nel secondo capitolo sono stati così illustrati gli obiettivi, la metodologia, gli strumenti e il campione osservato nel corso del lavoro. Nel terzo capitolo si è descritto il Reparto di Pediatria dell’Ospedale Beauregard di Aosta, l’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta ed infine la particolareggiata descrizione della figura e dell’operato del clown-dottore. Dopodiché sono stati riportati i testi integrali delle interviste realizzate con i medici-clown dell’Associazione valdostana. Nel quarto capitolo sono state riportate alcune osservazioni svolte nel Reparto di Pediatria dell’Ospedale Beauregard di Aosta per constatare le reazioni dei bambini ospedalizzati di fronte all’attività dei -5- clown-dottori dell’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta. Inoltre, sono state rilevate le motivazioni dell’operato del clowndottore, il comportamento del bambino durante la malattia e le attività per i piccoli pazienti in ospedale (il gioco). Nel quinto capitolo infine si è riflettuto sul valore del sorriso a scuola, sostenendone le funzioni socializzanti, psicologiche ed educative. Per finire, si è accennato al rapporto medico-paziente, all’empatia, alle emozioni e all’autoefficacia. -6- CAPITOLO PRIMO: la clownterapia 1.1 BREVE STORIA LEGISLATIVA DELL’UMANIZZAZIONE PEDIATRICA. “Fino ad una ventina di anni fa i genitori che ricoveravano il proprio bambino in ospedale, oltre al dispiacere e all’ansia, vivevano lo strazio dei pianti del piccolo quando dovevano tornarsene a casa. Continuavano a sentire le grida del bimbo fino in fondo al corridoio, e se le portavano nel cuore per ventiquattr’ore, fino a quando avrebbero potuto riabbracciarlo. Molto è cambiato da allora”. 1 Fino agli anni Sessanta, infatti, l’aspetto psicologico dei piccoli malati era sicuramente trascurato. Basti pensare alla definizione che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dava alla Pediatria: “É un’applicazione della medicina generale ai bambini”. Fortunatamente, col passare degli anni, c’è stata una sensibilizzazione maggiore che ha portato nel 1988, durante il primo convegno di associazioni di volontari per l’infanzia svolto a Leida (Olanda), sul tema “bambino e ospedale”, alla redazione della Carta di EACH (European Association for Children in Hospital) che raccoglie in dieci punti i diritti del bambino in ospedale. L’EACH è l’organismo fondato nel 1993 che raccoglie e coordina tutte le associazioni no profit di 16 paesi europei impegnate per il benessere del bambino prima, durante e dopo il ricovero in ospedale. Nel 1988 quattordici di queste associazioni avevano redatto a Leida una carta che riassume in dieci punti i diritti del bambino in ospedale e che dal 1993 è stata denominata “Carta di Each”. Ad essa si ispirano, a tutt’oggi, le associazioni impegnate nell’assistenza dei piccoli pazienti. Sostanzialmente il documento riassume nella presenza dei genitori, nella preparazione al ricovero, nel gioco e nell’ambiente i quattro punti fondamentali utili a prevenire, o quantomeno ridurre, il trauma del ricovero ospedaliero. Alla formulazione di questa carta si arrivò a seguito di studi e ricerche compiute all’estero sugli effetti dell’ospedalizzazione sul comportamento dei bambini. Anche in Italia negli anni Settanta 1 www.dottorsorriso.it articolo: “L’ospedale che ride” -7- seminari, convegni, dibattiti pubblici diffusero la consapevolezza che l’ospedalizzazione è un fattore di rischio per lo sviluppo psichico del bambino, tanto più grave quanto più piccolo è il bambino. Per ridurre quanto più possibile questo rischio furono elaborate varie “Carte dei diritti del bambino in ospedale”: la versione più diffusa è la Carta di EACH (1988), esposta prima, che riassume in dieci punti le raccomandazioni della Risoluzione del Parlamento Europeo (maggio 1986). Quest’ultimo, approvando la Carta europea dei bambini degenti in ospedale, riconosce tutta una serie di diritti al fanciullo ospedalizzato, tra i quali primariamente il diritto alla salute ma anche alla soddisfazione dei suoi bisogni primari e quindi all’istruzione, all’attività ludica, all’assistenza da parte di personale qualificato, all’informazione, alla costante presenza dei genitori. Questo documento riveste una particolare importanza in quanto ha ispirato molti dei successivi provvedimenti di carattere nazionale e regionale relativi alla condizione del bambino malato ed ospedalizzato. Di seguito vengono presentati i dieci punti della Carta di EACH (www.amicidellapediatria.it). 1. Il bambino deve essere ricoverato in ospedale soltanto se l’assistenza di cui ha bisogno non può essere prestata altrettanto bene a casa o in trattamento ambulatoriale. 2. Il bambino in ospedale ha il diritto di avere accanto a sè in ogni momento i genitori o un loro sostituto. -8- 3. L’ospedale deve offrire facilitazioni a tutti i genitori che devono essere aiutati e incoraggiati a restare. I genitori non devono incorrere in spese aggiuntive o subire perdita o riduzione di salario. Per partecipare attivamente all’assistenza del loro bambino i genitori devono essere informati sulla organizzazione del reparto e incoraggiati a parteciparvi attivamente. 4. Il bambino e i genitori hanno il diritto di essere informati in modo adeguato all’età e alla loro capacità di comprensione. Occorre fare quanto possibile per mitigare il loro stress fisico ed emotivo. 5. Il bambino e i suoi genitori hanno il diritto di essere informati e coinvolti nelle decisioni relative al trattamento medico. Ogni bambino deve essere protetto da indagini e terapie mediche non necessarie. 6. Il bambino deve essere assistito insieme ad altri bambini con le stesse caratteristiche psicologiche e non deve essere ricoverato in reparti per adulti. Non deve essere posto un limite all’età dei visitatori. -9- 7. Il bambino deve avere piena possibilità di gioco, ricreazione e studio adatta alla sua età e condizione, ed essere ricoverato in un ambiente strutturato arredato e fornito di personale adeguatamente preparato. 8. Il bambino deve essere assistito da personale con preparazione adeguata a rispondere alle necessità fisiche, emotive e psichiche del bambino e della sua famiglia. 9. Deve essere assicurata la continuità dell’assistenza da parte dell’équipe ospedaliera. 10. Il bambino deve essere trattato con tatto e comprensione e la sua intimità deve essere momento. - 10 - rispettata in ogni Fu negli anni Settanta che si cominciò a pensare di migliorare le condizioni psicologiche dei piccoli ricoverati. Ogni iniziativa è dipesa principalmente dalla sensibilità dei Primari, nonché dalle Associazioni di volontariato o dalle Fondazioni private che retribuiscono dei professionisti nel campo dell’animazione. A questo proposito è doveroso sottolineare che la prima Associazione ad impegnarsi con regolarità e organizzazione per i bambini in ospedale è l’Associazione per il bambino in ospedale (ABIO), sorta a Milano nel 1986 per iniziativa di alcuni volontari che, i primi tempi, non ebbero vita facile in ospedale, dove la mentalità era piuttosto rigida. Si sottolineò che la Pediatria non poteva essere ridotta a una medicina generale per adulti applicata ai bambini, e la vita dei piccoli in ospedale cominciò a cambiare giorno dopo giorno. Cominciò a mutare innanzitutto l’aspetto dell’ospedale pediatrico: i muri nudi e asettici si coprirono di disegni e decori, entrarono tavolini, seggiolini e giocattoli, quali animali grandi e piccoli di plastica o di peluche, trenini e bambolotti. L’ABIO è stata fondata per promuovere l’umanizzazione dell’ospedale e ridurre al minimo il rischio di trauma che ogni ricovero porta con sé, attraverso la collaborazione tra le diverse figure presenti in ogni struttura ospedaliera al fine di attuare una strategia di attiva promozione del benessere del bambino. La Fondazione ABIO Italia ONLUS non ha fine di lucro e persegue esclusivamente finalità di solidarietà sociale nel campo della beneficenza. Promuove e sostiene la diffusione delle Associazioni ABIO sul territorio nazionale favorendone e coordinandone l’attività secondo i principi dell’omogeneità e della qualità del servizio. L’ABIO è il rappresentante italiano di EACH – European Association for Children in Hospital. 1.2 LA CLOWNTERAPIA: Norman Cousins e Patch Adams. Clownterapia o clowntherapy è il termine composto dall’unione di due parole chiave – clown e terapia – con cui si definisce un nuovo tipo di terapia medica alternativa. Generalmente con il termine clownterapia si indica l’applicazione di un insieme di tecniche derivate dal circo e dal teatro di strada in contesti di disagio (sociale o - 11 - fisico), quali ospedali, case di riposo, case famiglia, orfanotrofi, centri diurni, centri di accoglienza… Poiché tale disciplina viene portata avanti in maniera volontaristica e per iniziativa di privati (in Italia esistono ad oggi decine di associazioni sparse sul territorio ognuna con un proprio statuto e una propria visione della materia), non è ancora possibile dare una definizione univoca a tale termine. 2 Oggi, sempre più spesso si sente parlare di comicoterapia, “terapia della risata” o in modo più raffinato di gelotologia (dal greco ghelos, risata) che è appunto lo studio metodologico del ridere in relazione alle sue potenzialità terapeutiche. La gelotologia trova le sue radici nella PNEI (PsicoNeuroEndocrinoImmunologia), branca della medicina che ha sostanziato la diretta correlazione tra le emozioni ed il sistema immunitario. Esistono infatti importanti correlazioni tra sistema nervoso, sistema endocrino e sistema immunitario. Sostanziali mutamenti provocano cambiamenti anche negli altri, condizionando in maniera rilevante le condizioni di salute dell’individuo. La gelotologia ha scoperto che attraverso il fenomeno della risata vengono intensamente attivate ghiandole del corpo che producono una sostanza chiamata endorfina, un neurotrasmettitore capace di stimolare in maniera rilevante il sistema immunitario, potenziandolo di conseguenza e migliorando le condizioni di salute di un individuo. Questo tipo di approccio curativo si va in effetti diffondendo lentamente in tutto il mondo a partire dalla sua nascita, negli anni Ottanta del Novecento a New York. Fu proprio negli Stati Uniti infatti che apparvero i primi clown-dottori, in conseguenza soprattutto di due esperienze pilota dirette che diedero notorietà e basi scientifiche a questa terapia. Una di queste vicende è la nota odissea terapeutica del giornalista scientifico Norman Cousins (foto 1), resa pubblica grazie ad un suo articolo Anatomy of an Illness (As Perceived by the Patient) (foto 2) [Anatomia di una malattia (dalla prospettiva del paziente)], pubblicato sul «New England Journal of Medicine» nel 1976 e quindi sviluppato in un libro - testimonianza tre anni dopo.3 2 3 www.wikipedia.it R. PROVINE , Ridere. Un’indagine scientifica, Milano, Baldini&Castoldi, 2001, pp. 197-198 - 12 - Foto 1: Norman Cousins Foto 2: copertina libro “Anatomy of an (www.clownterapia.it) Illness (As Perceived by the Patient) di Norman Cousins (www.clownterapia.it) In quest’opera l’autore narra di come gli fosse accaduto di ammalarsi di spondilite anchilosante (infiammazione cronica alla colonna vertebrale), con una prospettiva di vita piuttosto scarsa, una grave alterazione a carico del collagene delle articolazioni che porta progressivamente alla paralisi e alla morte. Egli, refrattario alla medicina tradizionale, decise di curarsi seguendo un’insolita terapia: il ridere (tre - quattro ore al giorno di film comici: i fratelli Marx e gli episodi della vecchia e divertentissima serie televisiva Candid Camera) e la vitamina C (25 g al giorno, assunti per flebo). A dispetto di ogni previsione, in un anno il giornalista guarì completamente. La prima reazione della comunità scientifica americana fu di incredulità e di stupore, alcuni misero in dubbio la sua malattia, ma i fatti erano incontrovertibili e, dopo alcuni anni, non solo fu riconosciuta la validità scientifica della sperimentazione effettuata da Cousins su sé stesso, ma gli venne offerta prima una laurea honoris causa e poi addirittura una cattedra presso l’Università di California di Los Angeles. Tre anni più tardi Cousins fu colpito da un grave infarto al miocardio, dal quale si risollevò con lo stesso caparbio ottimismo che lo aveva guidato alla sconfitta della spondilite. - 13 - Foto 3: Patch Adams (www.clownterapia.it) Il Dott. Hunter “Patch” Adams (foto 3) è stato, invece, l’interprete dell’altra splendida esperienza di vita che ha aperto le strade al recupero della risata in veste curativa. Il rivoluzionario medico - clown americano è fautore di un’assistenza sanitaria vista come servizio ed incentrata sui reali bisogni dei pazienti, dove la comicità è utilizzata per creare familiarità con i malati e ridurre il disagio dei degenti. Patch si definisce “un medico amorevole e divertente”4, si pone infatti nei confronti del paziente come un amico e spera di poterlo conoscere e volergli bene, incoraggiandolo ad essere attivo nel crearsi una vita sana e serena. Nello specifico egli indica nell’empatia, nell’attenzione, nel prendersi cura gli elementi in grado di fare la differenza e di trasformare le esperienze di ricovero rendendole possibilmente più piacevoli. Suggerisce poi l’esplorazione del campo dell’umorismo, ma solamente se guidati dal cuore, affinché non si corra il rischio di ferire le persone o di minimizzare il dolore. Unendo amore e riso, a suo parere elementi essenziali per la guarigione, questo stravagante medico si propone così di servire l’umanità. Egli è convinto che, il clima che si respira negli ospedali, tende a demoralizzare i pazienti, soprattutto se bambini. Come avrebbero reagito i piccoli malati se il medico e gli infermieri invece di indossare austeri camici bianchi, prestassero servizio vestiti da clown? Concretizzare quest’idea non è stato facile, perché culturalmente associare la figura seria e professionale del medico con un clown era impensabile. Il primo medico ad entrare in corsia vestito da clown, con tanto di naso rosso di gomma, è stato il 4 P. ADAMS, Salute! Ovvero come un medico-clown cura gratuitamente i pazienti con l’allegria e con l’amore, Milano, Urra, 1999, p. 61 - 14 - Dottor Adams, noto ormai in tutto il mondo anche per il film autobiografico interpretato da Robin Williams. Pur non essendo corretto riferire alla sua esperienza l’avvio della vera e propria attività di clownterapia (Patch Adams in diverse interviste ha negato l’esistenza di una “terapia” in senso stretto), le sue idee, i suoi insegnamenti e soprattutto il suo esempio hanno permesso la conoscenza della realtà dei clown-dottori. Infatti, secondo lui la parola “terapia” è stata avvicinata alla parola clown perché qualcuno in ospedale possa dire: “Oh, è una terapia? Prego, prego!”. La parte tecnico-scientifica ha talmente influenzato la medicina da far dimenticare che è fondamentale invece in medicina praticare l’amore per il paziente. “La risonanza magnetica è un macchinario eccezionale ma non è medicina, un trapianto di reni può salvare una vita, ma non è medicina! Medicina è rapporti, relazioni. Quest’ultima non inizia quando somministrate una pillola o fate un intervento, ma quando guardate una persona negli occhi, le toccate il braccio, l’accarezzate. La risata, l’amore, la gioia, non sono mai state “terapie”, sono contesti, ambienti della vita dell’uomo. Il clown sta lì per sussurrare continuamente “cambiamo il contesto” e quindi occorre essere un clown che esprime l’affetto che ricrea la quiete.”5 1.3 PATCH ADAMS: vita e personalità. Foto 4: Patch Adams (www.ilportoritrovato.net) 5 www.clownterapia.it (tratto da un congresso svolto alle Molinette di Torino il 25/9/2003 al quale ha partecipato il Dott. Patch Adams) - 15 - Quando un sogno s’impossessa di te che cosa puoi fare? Puoi viverlo, lasciare che questo gestisca la tua vita, o fartelo scappare e passare poi il resto del tempo che ti rimane a pensare che cosa avrebbe potuto essere… (Adams P., 1999, p.1) Patch Hunter “Patch” Adams (foto 4) è nato il 28 maggio 1945 a Washington, USA. “Sua madre, Anna, fu il punto di riferimento della sua infanzia. Aveva un gran senso dell’umorismo ed era sempre interessata a imparare cose nuove. La maggior parte di quello che c’è di buono in lui proviene da sua madre. Mentre cresceva suo padre, ufficiale di fanteria e artiglieria, era assente da casa per la maggior parte del tempo e di solito, quando c’era, stava seduto su una sedia a bere. Ogni volta che gli chiedevano delle guerre in cui aveva combattuto cominciava a piangere. Suo fratello maggiore, Robert Loughridge Adams, soprannominato Wildman, è stato il suo sprone per buona parte della sua gioventù. Decisero di restare vicini perché, qualsiasi cambiamento accadesse, potessero sempre contare l’uno sull’altro. Hunter aveva sedici anni quando suo padre morì per un attacco di cuore. Per lui fu un’enorme tragedia. Tutto ciò accadde nel momento in cui Hunter e suo papà avevano costruito un buon rapporto, proprio come padre e figlio. Dopo aver trascorso una settimana insieme, suo padre gli raccontò come la Seconda Guerra Mondiale e la Guerra di - 16 - Corea avevano distrutto il suo spirito e il suo grande senso di colpa per la sua famiglia: si scusò con lui per non essere stato un buon padre.”6 “I tre anni che seguirono furono i più tumultuosi” 7 per Hunter. Dopo aver vissuto per sette anni in Germania, lui, sua madre e suo fratello si sono spostati negli Stati Uniti, nella vita civile suburbana della Virginia del Nord, luogo d’origine della madre. Pochi mesi dopo la morte di suo padre, Hunter stava ancora soffrendo, ma non riusciva a esprimere i suoi sentimenti. 8 “Un canto interiore insistente diceva di morire perché non c’era speranza. Ogni giorno era pieno di ossessione per il suicidio”. 9 Così andò su una collina e si sedette sul bordo del precipizio, scrivendo delle poesie per la ragazza che lo aveva lasciato. Fortunatamente Hunter aveva troppe cose da dirle, provò, inutilmente, ad andare a trovare la sua ex ragazza tentando di farle venire un gran senso di colpa. 10 Tornò a casa sua e quando aprì la porta sua madre gli disse: “Ho provato a uccidermi. È meglio che mi ricoveri in un ospedale psichiatrico”. Egli aveva diciotto anni quando lo ricoverarono per due settimane in un reparto psichiatrico di isolamento all’Ospedale Fairfax, fu il “giro di boa”11 della sua vita. Qui conobbe Rudy, il suo compagno di stanza. Quest’ultimo era perseguitato da una curiosa allucinazione: vedeva ovunque scoiattoli pericolosissimi che lo terrorizzavano, e a poco valevano le parole di Hunter che cercava di fargli capire che gli scoiattoli sono graziosi animaletti innocui. Alla crisi e agli urli del compagno, in un primo momento, Hunter rispondeva chiamando gli infermieri che gli somministravano, con la forza, psicofarmaci. Fu l’inizio di un’alleanza: Hunter, che assisteva impotente al brutale intervento degli infermieri, capì che per aiutare l’ammalato dovrà ascoltarlo e mettersi sulla stessa lunghezza d’onda. 6 P. ADAMS, Salute! Ovvero come un medico-clown cura gratuitamente i pazienti con l’allegria e con l’amore, Milano, Urra, 1999, p. 4 7 Ibi, p. 5 8 Ibi, p. 6 9 Ibi, p. 7 10 Cosa sarebbe accaduto se Hunter si fosse suicidato? Di sicuro il mondo intero non avrebbe mai conosciuto quest’uomo, dotato di un personalità unica nel genere umano. Probabilmente non avremmo mai potuto apprendere gli insegnamenti di un uomo che per tutta la vita lotta per un ideale (“La medicina è uno scambio d’amore, non un business. L’antidoto a tutti i mali è l’umorismo.”). 11 Ibi, p. 8 - 17 - D’ora in poi fingerà di credere all’esistenza degli scoiattoli e intraprenderà un’eroica battaglia, imbracciando bazooka immaginari e sparando ai minacciosi nemici, per permettere all’amico di andare in bagno senza essere assalito dalle “belve” in agguato. Hunter lo aiutò a superare le sue fobie ricorrendo ad un gioco divertente. Improvvisamente capì di avere un dono: sa aiutare chi soffre creando un rapporto fatto di allegria e complicità. Da questo momento in poi Hunter diventerà Patch. Percepii una verità profonda e personale, aveva bisogno di aprirsi e di ricevere amore. Non era pazzo ma un’anima in pena che aveva sofferto per la morte del padre e per attraversare una malattia (l’ulcera) ad un’età così giovane. Il ricovero lo portò a formulare una “filosofia sulla felicità”12, diventando così “studioso della vita” per una vita felice. Iniziò a leggere numerosi capolavori della narrativa del diciannovesimo e del ventesimo secolo per riuscire a capire quanto più possibile sulle persone, sulla felicità e sull’amicizia, come “esploratore dei continenti dell’esperienza e del divertimento”13. Patch si accorse che aiutare gli altri gli da’ gioia ed emozione, decise così di iscriversi alla facoltà di medicina. Entrato al Medical College of Virginia a Richmond scoprì ben presto un ambiente accademico conservatore, in cui lezioni e pratica erano dominate da riduzionismo e mancanza di entusiasmo. I docenti insegnavano agli studenti a chiedere al paziente quattro cose veloci, appena quelle che bastavano per prescrivergli qualche esame e qualche pillola, in quattro o cinque minuti appena. Tutti gli altri aspetti della vita del malato (famiglia, lavoro, amici, fede religiosa e molto altro ancora) erano considerati irrilevanti ai fini della pratica medica. Ribellandosi a ciò iniziò a sperimentare un metodo inconsueto e contrastato dai docenti, che consisteva nel diffondere allegria e buonumore nelle stanze dell’ospedale. Sin dai primi anni di studio Patch aveva la bizzarra abitudine di parlare con i malati, di conoscere le loro storie oltre che le loro cartelle cliniche, di stabilire con loro un rapporto empatico, anziché algido e distaccato, di portare sollievo ai 12 13 Ibi, p. 9 Ibi, pp. 9-10 - 18 - bambini, ma anche ai malati gravi, con clownerie e burle. Patch era uno studente fuori dalle righe. Basta solo immaginare che girava nelle aule e per i corridoi dell’ospedale con i capelli lunghi sulle spalle, baffoni, camicie colorate, ma soprattutto una toppa (da qui il soprannome patch) di panno nero per ricordare i marine morti nella guerra del Vietnam. L’establishment accademico voleva i suoi studenti in giacca e cravatta, con i capelli tagliati a spazzola e sosteneva orgogliosamente la guerra nel Vietnam. Pur essendo apprezzato da pazienti, infermiere ed alcuni studenti, il suo atteggiamento non era ben visto da medici e professori e ciò lo intristiva profondamente spingendolo a trovare ambienti più consoni a lui attraverso i corsi facoltativi. Positive esperienze sono state a questo proposito quelle dei primi anni settanta in una clinica per bambini a Washington ed in una clinica libera a Georgetown. Patch ha vissuto in questi anni un periodo pilota in vista della realizzazione del suo grande sogno pensato durante l’ultimo anno di medicina, consistente nella creazione di una clinica buffa gratuita nel West Virginia. Vista dall’alto la costruzione dovrà riprodurre la sagoma di un clown, con il reparto di oftalmologia all’interno dell’occhio e quello di otorinolaringoiatria nell’orecchio. Patch vuole costruire un ospedale in cui sarà meraviglioso vivere perché non avrebbe mai cercato di introdursi in un ospedale “sano”, sicuramente non avrebbe voluto lavorare con un ospedale che rifiutava di assistere i poveri. L’ospedale è immaginato immerso nel verde e contenente una biblioteca, un teatro, sale giochi, laboratori artigianali e spazi per la meditazione. 14 Profondamente orgoglioso del suo progetto, nel 1979 fondò il Gesundheit (che in tedesco vuol dire salute) Institute, una clinica immersa nella natura dove 15000 persone sono state curate gratuitamente da Adams e dai suoi collaboratori. Poiché l’ambizioso progetto presente nella sua mente sin dagli anni universitari necessita di fondi. Qui il paziente non avrebbe avuto nulla a che fare con le assicurazioni e avrebbe accettato tutte le arti e le pratiche. Inoltre, le interviste con il malato sarebbero durate 3 - 4 ore, per creare una 14 P. ADAMS, Salute! Ovvero come un medico-clown cura gratuitamente i pazienti con l’allegria e con l’amore, Milano, Urra, 1999, cap. 10 - 19 - relazione perché attraverso l’amicizia si sviluppa l’arte medica. Patch ha smesso questa attività nel 1983 per fare una campagna per raccogliere fondi e creare il suo ospedale, attraverso i media, seppur con qualche remora, cominciando a tenere conferenze e seminari, a partecipare a convegni, incontri e feste e a presentare spettacoli umoristici in tutti gli Stati Uniti. Patch si sente investito di una missione da compiere, viaggia in tutto il mondo per far conoscere la teoria sul potere terapeutico del sorriso e il suo progetto di un ospedale che di essa sia veicolo concreto. 1.3.1 Il FILM “Patch Adams”, i LIBRI “Salute! Ovvero come un medico-clown cura gratuitamente i pazienti con l’allegria e l’amore” e “Visite a domicilio. Come possiamo guarire il mondo una visita alla volta” ed il FILM-DOCUMENTARIO “Clown in Kabul”. Hunter Adams è diventato famoso in tutto il mondo grazie al successo del film Patch Adams (foto 5), nel quale il suo ruolo viene interpretato da un brillante Robin Williams, che ne romanza la vita (pur rispettando in buona parte episodi realmente accaduti, come l’incredibile bocciatura per troppa gaiezza). Tutto ciò per cercare di divulgare lo spirito e la filosofia di questo personaggio. Foto 5: locandina del film “Patch Adams” (www.kataweb.it) - 20 - Il film è stato prodotto negli USA dalla Universal Pictures, liberamente tratto dall’autobiografia di Hunter “Patch” Adams. Il regista Tom Shadyak è rimasto affascinato dal modo con cui l’umorismo può essere impiegato come strumento di guarigione. Quest’ultimo decide di fare il film ma solo a patto di avere Robin Williams tra gli interpreti. L’attore accettò il copione dopo aver incontrato personalmente Patch di cui ha detto: “Un personaggio incredibile e un medico che esercita la professione con passione e dedizione”. Patch è una sorta di guaritore che cerca di scoprire come funzionano i pazienti. Cosa li diverte? Cosa li stimola? Realizzare le loro fantasie può aumentare l’emissione di endorfine e accelerare la guarigione. E allora Patch riempie una stanza di palloncini, una piscina gonfiabile di spaghetti in giardino, va in giro con un naso rosso da clown e indossa delle scarpe grandi che emettono dei suoni. Secondo Patch: “Sappiamo tutti quanto è importante l’amore, eppure, con quale frequenza viene provato o manifestato veramente? I mali che affliggono la maggior parte dei malati, come la sofferenza, la morte e la paura, non possono essere curati con una pillola. I medici devono curare le persone, non le malattie”. “A Patch dispiace quando gli chiedono un autografo, non vuole essere famoso perché su di lui è stato fatto un film, ma vuole che l’amicizia vinca la solitudine, vuole che l’amore vinca la guerra, vuole essere riconosciuto per quello che cerca di trasmettere, non perché è stata girata una pellicola su una piccola parte della sua vita”. 15 Per concludere, Patch Adams è un film che consente di farsi un’idea di questo personaggio stravagante e sognatore che continua, dopo trent’anni, a dar vita al suo sogno. Più del film il libro di Patch “Salute! Ovvero come un medico clown cura gratuitamente i pazienti con l’allegria e con l’amore” (foto 6) (pubblicato per la prima volta nel 1993, dunque precedente il film) ci aiuta a comprendere la complessità e la profondità del suo pensiero. 15 M. L. MIRABELLA, Clownterapia. Volontari clown in corsia e Missionari della Gioia, Torino, Neos Edizioni, 2005, p. 36 - 21 - Foto 6: copertina del libro “Salute! Ovvero come un medico - clown cura gratuitamente i pazienti con l’allegria e con l’amore” (www.unilibro.it) Mentre nel suo secondo libro “Visite a domicilio. Come possiamo guarire il mondo una visita alla volta” (foto 7), Patch suggerisce a chi si rapporta col malato di essere innanzitutto naturale e spontaneo, di ascoltare, di esprimere affetto, creare un contatto, confortare, ma anche divertire, raccontare storie. 16 Considerando in particolare lo spavento e la monotonia sperimentati dai bambini degenti, consiglia di entrare nel loro mondo e nei loro giochi lasciando emergere liberamente la propria parte buffa. Tutto ciò nella convinzione che ogni visita è comunque apprezzata per il semplice fatto di distrarre da paure e solitudine. Con gli adolescenti propone invece la strategia del porsi in una posizione di ascolto attento e focalizzato sul paziente. 17 Foto 7: copertina del libro “Visite a domicilio. Come possiamo guarire il mondo una visita alla volta” (www.unilibro.it) 16 P. ADAMS, Visite a domicilio. Come possiamo guarire il mondo una visita alla volta, Milano, Urra, 1999, pp. 91-107 17 Ibi, pp. 116-118 - 22 - Patch Adams ha contribuito, inoltre, ad allargare gli orizzonti dei clown: dagli ospedali li ha portati per le strade del mondo, le strade più dissestate e drammatiche, dove bambini e adulti soffrono per le guerre, la fame o la povertà. I clown cercano di diffondere la terapia del sorriso anche in culture differenti dalla nostra, cercando di portare un po’ di buonumore, ma anche aiuti materiali, a popolazioni devastate da guerre, carestie, calamità naturali, incidenti. A questo proposito, ha avuto una certa rilevanza una missione umanitaria nel 2002 in Afghanistan, sostenuta e finanziata dal sindaco di Roma, e per la realizzazione di un film-documentario “Clown in Kabul” (foto 8). Foto 8: locandina del film-documentario “Clown in Kabul” (www.kataweb.it) È stato presentato fuori concorso alla 59a Mostra Internazionale del cinema di Venezia nella sezione evento speciale e salutato da un lunghissimo applauso al termine della proiezione. “Clown in Kabul” il film-documentario che documenta la missione umanitaria avvenuta nel febbraio del 2002 in Afghanistan di 21 clown-dottori provenienti da nove paesi diversi con l’obiettivo di portare pace, colore e gioia nei luoghi della sofferenza. La missione è stata guidata dal Dottor Hunter “Patch” Adams, uno tra i primi clown-dottori, alla quale hanno preso parte anche: Leonardo “Spinotto” Spina, Francesco “Bazar” Pisani, Cristiana “Clorobrilla” - 23 - De Maio, Rossella “Ninì” Bergo, Glauco “Fischietto” Siviero, Paolo “Patito” Dallimonti, Serena “Bollicina” Roveta, Ginevra “Gin Gin” Sanguigno, Mariana “Mariò” Ramos, Enrico “Kerido” Caruso, Robert “Wildman” Adams (fratello di Patch Adams), Kathleen “Beach” Crewes, William “Woodcutter” Waters, Olivia “Ollie” Adams, Danny “Lenky” Kollaja, Jean- Paul “Lypsy” Bell, Nobumasa “Nobi” Ohmori, Cornelia “Hatty” Lintjens, Joanna “Jo” Foden, Joy “Winnifred” Karkeek. La regia, affidata ad Enzo Balestrieri e Stefano Moser, con la supervisione di Ettore Scola, imposta l’opera come un reportage. Con il commento sonoro tratto da composizioni di Nicola Piovano e Pasquale Filastò, assistiamo alla partenza dei medici da Roma, al loro arrivo a Kabul e alle loro visite presso gli ospedali: quelli di Emergency a Kabul e nella valle del Panshir diretti dal medico Gino Strada; quello della Croce Rossa di Alberto Cairo e quello pubblico Indira Gandhi. Ma i Dottori Sorriso hanno anche lavorato nei villaggi intorno alla capitale e nella valle del Panshir, dove le condizioni di vita rimangono preoccupanti e altamente drammatiche. Non hanno fatto solo i clown, ma oltre ai sorrisi in mezzo al dolore, hanno curato le vittime delle mine anti-uomo e soprattutto i bambini, vittime principali e innocenti dell’orrore della guerra. Quando i clown sono entrati negli ospedali, come marziani piombati in una realtà che neanche loro credevano così tragica, sono riusciti nell’intento di portare un po’ di allegria per contrastare il grigiore e la passività della sofferenza e delle malattie. Le loro lacrime ed il loro sconforto quando escono dagli ospedali visitati sono tra le sequenze più toccanti del film. “Quando Patch ha varcato la soglia del reparto ospedaliero dell’Indira Gandhi Hospital, in cui si curavano bimbi denutriti e altri terminali, si è messo a piangere. Ginevra ha cercato di alleviare il dolore atroce di una bimba ustionata e operata senza anestesia. Il clown Gin Gin ha molto sofferto. In Afghanistan milioni di mine inesplose sono un costante pericolo per chi si avventura nelle zone dove si è combattuto. Gli ospedali sono pieni di bimbi “saltati” sulle mine.” - 24 - “Le missioni degli “Ambasciatori del sorriso” aperte a persone dai 10 ai 90 anni, hanno come obiettivo principale quello di portare gioia, amore e aiuto solidale in paesi poveri, paesi provati dalla guerra o le altre emergenze umanitarie. Le missioni ideate dal Dott. Patch Adams e il team del Gesundheit Institute, una ventina di anni fa, riuniscono ogni anno Ambasciatori del sorriso provenienti da tutte le parti del mondo. Li accomuna un’esperienza di gioia e servizio straordinaria che ha favorito nel corso degli anni la nascita di tante situazioni nuove (Clown One Italia e altre) e iniziative di solidarietà (Maria’s Children). L’idea di progettare queste missioni è nata per la prima volta in Russia, nel 1985 in seguito alla visita di Patch all’interno di una missione i cui partecipanti erano medici, diplomatici, insegnanti e ministri.” 1.4 ASSOCIAZIONI. Occuparsi di clownterapia non è un compito semplice, non solo a causa della sua recente apparizione e del logico scarseggiare di materiale al riguardo, ma anche per il proliferare di numerose e variegate associazioni che, pur muovendosi nella stessa direzione, sviluppano idee, progetti e strumenti differenti, originando così una certa confusione. 1.4.1 LA CLOWNTERAPIA NEL MONDO E IN ITALIA. THE CLOWN CARE UNIT. Nel tentativo di risalire alle prime apparizioni dei clown-dottori, si incontra una curiosa ipotesi secondo la quale pare che, già durante gli anni Trenta, negli Stati Uniti, compagnie di clown e buffi personaggi si preoccupassero di intrattenere giovani ammalati durante epidemie di poliomielite; forse traendo spunto da queste lontane esperienze, Michael Christensen, clown professionista al Big Apple Circus, e Paul Binder fondano nel 1986 a New York “The Clown Care Unit”, ovvero un’innovativa unità di clownterapia che fa della risata una sorta di medicina. Questa iniziativa mira a portare gioia e sorrisi negli ospedali pediatrici attraverso veri e propri clown o artisti di strada che, formati - 25 - con nozioni scientifiche, psicologiche e di igiene ospedaliera, diventano appunto “Clown Doctors” e danno vita a regolari e competenti interventi in collaborazione con e sotto il controllo dell’autorità sanitaria. Il progetto è appoggiato da personalità del mondo della politica e dello spettacolo: Hillary Clinton, Paul Newman, Tom Hanks; oltre che da fondazioni, associazioni e privati. Oggi questa fondazione senza scopo di lucro ha sviluppato le sue attività nel territorio dello Stato di New York, dove è attiva con 60 “clown-dottori” in diversi ospedali: al “New York Presbyterian’s Babies & Children’s18 Hospital Columbia-Presbyterian Campus”, all’Harlem Hospital Center”, al “Memorial Sloan-Kettering Cancer Center”, al “Mount Sinai Medical Center”, al “New York Presbyterian Hospital Cornell Campus”, allo “Schneider Children’s Hospital of North Shore-Long Island Jewish Health System”. I “medici professionisti del piacere”, membri di questa associazione, effettuano sui piccoli pazienti: “trapianti di nasi rossi” e “trasfusioni di cioccolata”. Si sono poi così moltiplicate esperienze di comicoterapia attraverso analoghe iniziative sul territorio americano. Nell’ “Health Sciences University” dell’Oregon, i pazienti sono accuditi da “Infermieri del Sorriso”, allenati a raccontare barzellette e riconoscibili per la dicitura: “Attenzione, il buonumore può essere pericoloso per la tua malattia” riportata sui camici. Al “St. Joseph Hospital” di Houston (Texas), gli ammalati sono accuditi da suore umoriste. All’Università dell’Ontario Occidentale (Canada), il medico Rod Martin, ha pubblicato una voluminosa raccolta di ricerche inerenti l’intervento dei dottori-clown nelle attività sociali. All’interno del “Saint John Hospital” di Los Angeles, una televisione a circuito chiuso trasmette solo ed esclusivamente materiale comico. Alla Stanford University of Medicine di San Francisco è da tempo attivo un Istituto Gelotologico, presieduto dal Dottor Fry, ma la risoterapia è praticata regolarmente 11 Il Primario di Pediatria, John M. Driscoll, commenta con queste parole l’importanza che riveste la presenza dei dottori-clown in corsia:“I clown in ospedale sono come dei guaritori: i bambini sono più disposti a collaborare con medici e infermieri, e questo porta migliori risultati nella cura”. - 26 - anche in alcuni ospedali di Los Angeles e di New York; mentre Amy Carrel organizza corsi di humor therapy presso l’Università dell’Oklahoma. Nei primi anni Novanta la nascente clownterapia sbarca anche in Europa ed in particolare in Svezia, Germania, Italia; i primi in assoluto ad accoglierla sono però gli ospedali francesi e svizzeri. LE RIRE MEDECIN. Nel 1991 nasce in Francia l’Associazione Le Rire Médecin i cui membri si recano al capezzale dei bambini ospedalizzati per portare loro divertimento e fantasia. La fondatrice di tale organizzazione è Caroline Simonds, clown americana, trasferitasi a Parigi in quell’anno per diffondere il lavoro pionieristico della Big Apple Circus Clown Care Unit di New York, di cui aveva fatto parte per tre anni e mezzo. L’associazione è composta da un folto gruppo di professionisti che, oltre a possedere un vasto repertorio artistico, lavorano in coppia, rispettano un codice deontologico e si tengono continuamente aggiornati. Scopo di Le Rire Médecin è lavorare a stretto contatto con l’équipe ospedaliera, in vista di un approccio globale alle cure e dunque i suoi clown non mirano solamente a distrarre il bambino, ma cercano di aiutarlo a vivere meglio l’intero periodo di ospedalizzazione. Otto anni dopo il sorgere di quest’iniziativa, dall’incontro tra la Dottoressa Giraffa, è questo il nome d’arte della Simonds, ed il professore di teatro Bernie Warren, scaturisce l’idea di un toccante libro “La medicina del sorriso. L’esperienza dei clown-dottori con i bambini” (foto 9) in cui vengono ripercorsi gli avvenimenti accaduti ad alcuni membri di Le Rire Médecin tra il 1999 e il 2000 nel reparto di Ematologia di un ospedale pediatrico parigino. - 27 - Foto 9: copertina del libro “La medicina del sorriso. L’esperienza dei clown-dottori con i bambini” (www.unilibro.it) FONDAZIONE THEODORA. Theodora in greco vuol dire “regalo degli dei”. In effetti quale nome potrebbe essere più indicato per un’associazione che dal 1993 si è proposta di portare tra le pareti asettiche di un ospedale un raggio di sole per i piccoli pazienti? Grazie all’impegno dei due fondatori, André e Jan Poulie, in memoria della loro madre Theodora, nasce in Svizzera la Fondazione Theodora. L’obiettivo di questa associazione è di alleviare le sofferenze dei bambini ricoverati in ospedale tramite le visite dei Dottor Sogni. Questi ultimi sono artisti professionisti selezionati e formati dalla Fondazione che ne organizza e finanzia le visite settimanali presso gli ospedali. Proprio grazie alle visite dei Dottor Sogni i bambini possono per qualche istante “evadere” dalla malattia per ritrovare il proprio mondo fatto di colori, fantasia, spontaneità, sincerità, sorrisi, sogni. Si pratica la clownterapia anche al Central Hospital di Città del Capo (Sud Africa) dove opera il Dottor Marcus Mc Causland, e in Nuova Zelanda dove troviamo il Dottor Kirkland. Presso il Mental Health Centre, in Israele, Lev Hasharon porta il buonumore in corsia. Nell’Europa del nord, i clown-dottori sono presenti in Svezia, presso l’ospedale civico di Montala. In Gran Bretagna, a Birmingham, è stata - 28 - fondata la clinica della risata di Robert Golden. In Germania, a Tuttlingen e a Sallneck, operano come specialisti in gelotologia Michael Titze ed Erika Kunz. A Zurigo è presente Max Doen. In Danimarca, due medici in pensione, Ole Helming e Morgens Andreassen, hanno fondato un’associazione che ha lo scopo di portare il buonumore in corsia. Dalla seconda metà degli anni Novanta i clown-dottori giungono in Italia, grazie al sorgere di numerosi gruppi ed associazioni. La clownterapia viene portata avanti soprattutto in maniera volontaristica e per iniziativa di privati (in Italia esistono ad oggi decine di associazioni sparse sul territorio ognuna con un proprio statuto e una propria visione della materia). Nel maggio 1995 si registra la prima “visita medica” di un Dottor Sogni, quando il Dottor “Strettoscopio” è andato a trovare i bambini ricoverati all’Istituto dei Tumori di Milano. Il 4 ottobre 1999 la Fondazione Theodora ONLUS (foto 10) viene iscritta nel registro delle imprese. I Dottori Sogni in Italia sono presenti in diversi ospedali: all’ “Istituto Giannina Gaslini” di Genova, al “San Gerardo” di Monza, negli “Ospedali Riuniti” di Livorno, all’ “Ospedale Infantile Regina Margherita” di Torino presso la “Casa di cura San Raffaele Pisana” e all’ “Ospedale Mandelli” di Roma, all’ “Ospedale San Paolo” di Savona. All’ “Istituto dei tumori”, all’ “Ospedale Sacco”, all’ “Istituto neurologico Carlo Besta”, all’ “Ospedale Buzzi”, al “San Raffaele” tutti con sede a Milano. Foto 10: logo della Fondazione Theodora (www.clownterapia.it) Nel 1995 a Milano, nasce la Fondazione no profit Dottor Sorriso (foto 11) istituita da Aldo Garavaglia. I clown-dottori: Kerido, Falispa, - 29 - Calimerò, Martin, Scintilla, Spock, Bombo, Dodo, e le dottoresse clown: Misspancio, Chupa, Pepita, Trilli, Trottola, Tonica e Piumetta sono alcuni dei protagonisti della Fondazione che ogni giorno, a turno, si recano presso gli ospedali pediatrici della città di Milano e provincia per visitare i bambini ricoverati e i loro genitori. Foto 11: logo della Fondazione Aldo Garavaglia “DOTTOR SORRISO” ONLUS (www.clownterapia.it) Attraverso micro-magie e giochi divertenti tengono su il morale ai piccoli degenti, li fanno sorridere, li coinvolgono in giochi di micromagia. Prima di andar via, i clown-dottori consegnano ai bambini le sculture realizzate con i palloncini colorati e una cartolina ricordo, invitandoli a scrivere una lettera che commenti la giornata trascorsa e ad imbucarla in un’apposita cassetta, che si trova in tutte le sale giochi degli ospedali visitati dai Dottor Sorriso. I messaggi depositati da questi bambini, ma anche dai genitori, sono sicuramente la prova tangibile dell’effetto positivo che hanno i clown-dottori sui piccoli pazienti. L’associazione ideata da Aldo Garavaglia collabora con sponsor che credono fortemente in questa iniziativa e che la sostengono economicamente. Con “Lysoform” nasce l’iniziativa benefica “100 anni per regalare sorrisi” a favore della Fondazione Aldo Garavaglia Dottor Sorriso. Nel Gennaio 2003 la Banca Fineco ha sostenuto l’Associazione con la campagna di solidarietà: “Regala un sorriso ad un bambino in ospedale”, che ha permesso ai clienti di donare un contributo direttamente on line. Nel Natale del 2002 la società “Galbusera - Dolciaria”, ha devoluto un generoso contributo in favore dell’associazione. Ma non basta, infatti i Dottor Sorriso sono impegnanti anche in attività internazionali: il 24 febbraio 2002, due - 30 - clown dell’associazione si sono uniti ad una spedizione di circa 20 clown-dottori guidata da Patch Adams in persona, diretta in Afghanistan. Nel Maggio del 1999 il “Dottor Bombo”, insieme ad un gruppo di 25 clown provenienti da diverse parti del mondo guidati da Patch, si è recato tra i bambini del Kossovo, nei campi profughi della Macedonia. Altri clown dell’associazione hanno partecipato ad una missione umanitaria, diretta da Patch, in Russia. Nel 2001 il “Dottor Kerido” e la “Dottoressa Gin Gin” hanno preso parte alla spedizione “Rotta in Siberia” questa volta guidati dal fratello di Patch, Wildman Adams. Tra le ultime iniziative dell’associazione va evidenziata la “Missione Sorriso 2003” in Israele e nei territori della Palestina; la missione ha visitato i bambini di Nazareth, Betlemme, Bethania, Hurtas e Gerusalemme. I Dottor Sorriso, sono presenti nei reparti pediatrici dell’ “Ospedale Fatebenefratelli”, dell’azienda ospedaliera “San Paolo”, dell’azienda ospedaliera “San Carlo Borromeo”, con sede a Milano, e poi ancora nell’“Ospedale Sant’Anna” di Como, a Vimercate, Garbaganate Milanese, Cantù, Varese, Busto Arsizio, Cittiglio, Gallarate, Tradate, Saronno, Padova, Modena, Roma e Napoli. Sono inoltre presenti in alcuni Istituti di Riabilitazione a Cesano Boscone (MI), a Pavia, e a Bosisio Parini (LC). Dal 1995 nell’ospedale per miolesi CPO (Centro paraplegici di Ostia - Roma) è presente l’associazione Ridere per Vivere (foto 12) che ha sperimentato le potenzialità della clownterapia, fuori e dentro l’ambito ospedaliero, sugli adolescenti, sugli anziani, sugli operatori socio-assistenziali, sulle persone malate e sulle persone depresse; in particolare nelle scuole essa è stata utilizzata come prevenzione per il disagio giovanile, per mitigare l’aggressività, per stimolare la creatività, nonché come supporto per gli insegnanti. - 31 - Foto 12: logo dell’Associazione Ridere per Vivere (www.clownterapia.it) I membri di quest’associazione, sono presenti con i medici della risata negli ospedali per adulti, e nei reparti pediatrici con i clowndottori; entrambi i gruppi, che sono appositamente formati attraverso corsi professionali, sostengono il personale socio-sanitario, divertono gli anziani e i disabili ed effettuano spettacoli nelle sale d’aspetto, dove sono presenti persone depresse, con problematiche fisiche e psicologiche in cerca di un sorriso interiore. Ridere per Vivere, in collaborazione con la provincia di Roma, forma i propri clown-dottori attraverso 300 ore di corso, che comprendono il tirocinio in corsia ed i corsi di aggiornamento. Le materie di studio comprendono: la gelotologia, la clownerie, la microprestidigitazione, l’improvvisazione teatrale, comica e sonora, la psicologia dello sviluppo relazionale e dell’ospedale, le relazioni e le dinamiche di gruppo. Ai corsi possono partecipare medici, educatori, psicologi, ma anche studenti di psicologia, comici, cabarettisti, animatori e tutti coloro che desiderano completare la formazione anche sul piano medico. Nel 1990 l’associazione ha iniziato l’attività di ricerca e nel 1991 ha sperimentato il primo laboratorio all’interno del quale si sono messe a disposizione le esperienze e le competenze personali dei due fondatori: la Dottoressa Sonia Fioravanti e il Dottor Leonardo Spina, autore, attore e gelotologo. Il laboratorio, che inizialmente si chiamava “Comicità e salute” e solo successivamente ha preso il nome di - 32 - “Comicità è salute”, punta ad un metodo di comicoterapia attiva, che coinvolge persone con problematiche di diversa natura. Nel 1995 è nata ufficialmente “L’Associazione Nazionale per la ricerca e l’applicazione della risata in funzione terapeutica”; dal 1996 un gruppo di volontari del sorriso ha portato aiuto a persone in difficoltà, degenti in ospedale, in case-famiglia e in case per anziani. I volontari di quest’ associazione, iniziano a svolgere spettacoli gratuiti nelle piazze, negli ospedali, vengono invitati a partecipare ai convegni che si svolgono in Italia, ma anche all’estero, sono invitati in radio ed in televisione, per descrivere le attività in cui sono impegnati. Nel 1997 in Italia, presso l’Ospedale Pediatrico “Anna Mayer” di Firenze, (costruito nel 1884 per opera del Commendatore Giovanni Mayer), è stato introdotto dall’Associazione Clown Aid, il progetto pilota “Clown in corsia”. Soccorso Clown (foto 13), così si chiamano i clown-dottori che fanno parte di questo progetto, è un sistema certamente all'avanguardia basato sull'esperienza della Clown Care Unit di New York, che regala un sorriso ad ogni bambino triste e impaurito dal contesto ospedaliero. Foto 13: logo dell’Associazione Soccorso Clown (www.clownterapia.it) Il Direttore artistico del progetto, il russo Vlad Olshansky (dottor Bobo), collabora con il fratello Yuri (dottor Mainsbaglia), Direttore generale del progetto nonché supervisore di “Soccorso Clown” e creatore dell'”Olshansky Method”. Yuri spiega: “Con il nostro lavoro entriamo in relazione con il bambino nella sua totalità. Per troppo tempo la medicina si è limitata a prendere in esame solo la parte malata del bambino. Noi ci preoccupiamo invece di valorizzare la parte sana e giochiamo con essa. Attraverso la comicità si - 33 - sdrammatizzano i trattamenti medici e si riducono paura e ansia, associate alla degenza. Quando i clown-dottori arrivano in corsia, si respira un clima di gioia, sono i bambini ad andare da loro e diventare dei veri protagonisti, il tutto nel rispetto dell’ambiente, senza intralciare il lavoro dei medici, né le terapie”. Vlad è un clown professionista laureatosi al Circo di Mosca, l’unica scuola professionale per clown; è membro attivo della Clown Care Unit e gli è stato affidato il compito di diffondere nel suo paese la professione dei clown-dottori. È stato nominato supervisore dei medici-clown al “New York Presbyterian Hospital”. L’accademia Soccorso Clown, in base alla richiesta degli ospedali e delle strutture sociali, forma ogni anno nuovi clown-dottori, scelti anche tra professionisti dello spettacolo. Ogni membro dell’accademia è sottoposto a prove di perfezionamento e di “igiene psicologica”, sulla scia del metodo adottato dalla Clown Care Unit del Big Apple Circus di New York, che ha messo a punto uno standard qualitativo cui fanno riferimento tutte le associazioni dei medici-clown. Nella Regione Umbra, vicino a Gubbio, opera Jacopo Fò con la sua Libera Università di Alcatraz (foto 14). Foto 14: logo dell’Associazione Libera Università di Alcatraz (www.clownterapia.it) Fò è un promotore di un appello al Ministero della Sanità per il riconoscimento della dignità terapeutica del ridere. Quest’associazione, con il contributo della Regione Umbria, ha ideato un programma per un corso di 600 ore con lo scopo di formare “comico-terapeuti”. - 34 - Nel 1998 a Bolzano è nata l’Associazione Medicus Comicus (foto 15); i clown-dottori svolgono il loro servizio nei reparti di pediatria degli ospedali altoatesini di Merano, Bolzano, Bressanone, Vipiteno, Brunico e San Candido. Dopo aver seguito una formazione specifica, portano l’allegria e il sorriso ai piccoli degenti, ai familiari e al personale medico e paramedico che vivono la realtà della corsia ospedaliera. Da diversi anni i clown-dottori di quest’associazione (il cui motto è: “il riso fa buon sangue”) collaborano con i Cliniclowns (i piccoli pagliacci) austriaci. Foto 15: logo dell’Associazione Medicus Circus (www.clownterapia.it) A Cagliari è presente l’Associazione Kirighì (foto 16), fondata da medici, psicologi, infermieri, pedagogisti, terapisti, insegnanti, attori e animatori, che mettono a disposizione le proprie professionalità ed esperienze per far sorridere le persone malate. È un’associazione di maghi, giocolieri, burloni, saggi, che portano avanti una terapia di prevenzione del disagio emotivo e sociale. L’associazione è sostenuta dalle quote degli associati, dai contributi pubblici e privati e dalle donazioni spontanee. - 35 - Foto 16: logo dell’Associazione Kirighì (www.clownterapia.it) A Mestre Manuela Polacco ha fondato Il Piccolo Principe (foto 17), un gruppo di clown-dottori che portano il sorriso nella pediatria dell’ospedale locale. “Noi crediamo - dice Manuela Polacco - che l'accoglienza e la condivisione siano l'unica modalità di un rapporto umano vero. Non basta parlare della sofferenza, bisogna con umiltà e rispetto, condividerla. Noi non salviamo nessuno, ma la nostra presenza nei luoghi di sofferenza è un tentativo di rendere la realtà più accogliente per l'uomo stesso; è un'amicizia carica di gratitudine che per noi nasce nell'incontro cristiano, e ha generato una passione per le persone e il bisogno di riaffermare che la vita è comunque buona e degna di essere vissuta”. I clown-dottori di quest’associazione vestono questi panni anche fuori del reparto di pediatria; hanno infatti portato un po’ di colore nel reparto di chirurgia e nel reparto di ginecologia, dove sono ricoverate le mamme in attesa di partorire e le neo- mamme. Foto 17: logo dell’Associazione Il Piccolo Principe (www.ilpiccoloprincipe.tk) - 36 - Nel 2001 a Biella nasce Il Naso In Tasca (foto 18), un’associazione di volontariato no profit che opera in diversi reparti dell’ospedale della città. Il 07 Settembre 2003 presso i Giardini Zumaglini di Biella si è tenuta la terza edizione di “Clowntown - Città della gioia”, una giornata dedicata ai bambini e alle loro famiglie. Patrizia Manna, esperta di progettazioni ed eventi con “Clowntown” ha realizzato momenti di gioco, spettacolo e divertimento per bambini di ogni età.19 Foto 18: logo dell’Associazione Il Naso in Tasca (www.clownterapia.it) 19 www.clownterapia.it - 37 - CAPITOLO SECONDO: esperienza sul campo Vengono ora illustrati gli obiettivi, la metodologia, gli strumenti ed i campioni della ricerca. 2.1 OBIETTIVI. In seguito alla lettura del libro “Salute! Ovvero come un medicoclown cura gratuitamente i pazienti con l’allegria e con l’amore”, di Patch Adams, ho deciso di approfondire il tema della clownterapia. Trasformando il reparto ospedaliero in un luogo magico e incantando i bambini, il clown-dottore cerca di stabilire con loro un rapporto che faccia dimenticare la monotona quotidianità dell’ospedale attraverso l’immaginazione, la magia, le favole ed il gioco. Con il gioco ed il sorriso, i clown cercano di aiutare i bambini a contenere, comprendere ed elaborare le loro emozioni. Il gioco è uno strumento essenziale di comunicazione per i bambini, soprattutto in ospedale, poiché ripristina l’ambiente familiare e favorisce l’elaborazione di contenuti emotivi pesanti inerenti alla malattia. I clown-dottori con “trasfusioni di cioccolata” e bolle di sapone riescono a far sdrammatizzare la tanto temuta figura del medico, cercando di far prendere al bambino familiarità con le procedure terapeutiche, e probabilmente di far accettare ai bambini il loro vissuto di malattia. Dispensando emozioni positive, il clown-dottore cerca di risollevare lo spirito, diffondere la gioia, trasmettere calore umano, regalare un sorriso, un momento di svago, intrattenimento e socializzazione. Consultando i siti Internet inerenti alla clownterapia, ho apprezzato molto l’allegria e la spensieratezza di chi svolgeva questo “mestiere” che emergeva da fotografie colorate, poesie e tante testimonianze positive delle persone (pazienti, genitori dei bambini ricoverati, medici ed infermieri) che avevano sperimentato la terapia del sorriso. Contattai, così, alcuni ospedali pediatrici di Torino e l’Associazione “Il Naso in Tasca” di Biella, chiedendo se vi era la possibilità di poter osservare dei clown-dottori. Ho conosciuto la locale Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta nel corso di una sua manifestazione pubblica per la raccolta - 38 - fondi. Presi contatti con due operatori per avere qualche consiglio per la tesi e per concordare le successive tappe finalizzate alla mia osservazione in corsia ospedaliera. In particolare il lavoro presentato in questa tesi ha i seguenti obiettivi: 1) individuare le principali associazioni di clownterapia che operano sul territorio nazionale attraverso una ricerca on line; 2) comprendere chi è il clown-dottore (genere, età, professione,…); 3) analizzare le modalità di svolgimento della clownterapia ad Aosta (il contesto nel quale viene svolta, l’operato del clown-dottore, il tipo di attività svolte con i piccoli pazienti); 4) cogliere le reazioni del personale ospedaliero, dei bambini e dei loro genitori rispetto alla clownterapia. 2.2 METODOLOGIA e STRUMENTI. È stato usato prevalentemente il metodo osservativo con osservazioni dirette ed indirette. La scelta della metodologia discende dagli obiettivi che sono prevalentemente di natura descrittiva, dall’età dei bambini e dal contesto ospedaliero. I piccoli pazienti sono stati osservati. Si è scelto di non intervistarli per via dell’età in quanto non posseggono ancora una buona capacità di produzione linguistica e per il loro stato di salute: infatti la difficoltà della situazione e la fatica possono generare risposte non attendibili, le domande possono risultare troppo difficili e generare ansia o rifiuto. Per raggiungere il primo obiettivo, che consisteva nell’individuare le principali associazioni di clownterapia che operano sul territorio nazionale è stata realizzata una ricerca on line consultando il sito Internet www.clownterapia.it . Per raggiungere il secondo obiettivo, che consisteva nel comprendere chi è il clown-dottore, sono state realizzate delle interviste. Con le interviste si è cercato anche di mettere in evidenza degli aspetti essenziali, quali la nascita e gli obiettivi dell’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta, le motivazioni che hanno portato alla scelta dei volontari di diventare clown-dottore, l’importanza della - 39 - figura di Patch Adams e dei suoi ideali. Le interviste sono state sottoposte al Presidente ed alcuni soci attivi dell’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta che effettuano attività di volontariato in modo costante presso l’Ospedale Beauregard di Aosta. Viceversa, i soci sostenitori, non avendo seguito adeguata formazione finalizzata all’attività del “medico-clown”, non possono svolgere questa attività, ma sono parte attiva all’interno dell’associazione. Le interviste erano costituite da domande aperte, la loro forma dipende dal tipo di informazioni che si è cercato di rilevare, e dal desiderio di lasciare esprimere ai soggetti intervistati il proprio punto di vista scegliendo loro le parole più adeguate. Alcune interviste sono state svolte il sabato mattina all’Ospedale Beauregard, altre sono state realizzate in orario serale presso il Centro Sociale per il Volontariato (CSV). Tutte le interviste sono state audioregistrate con un registratore, per poi essere riascoltate in modo da focalizzare alcuni punti. Questo strumento serve a dimostrare il massimo di capacità che esso unicamente possiede ovvero di “rilevare a una persona il mondo interno di un’altra persona” 20. “L’immagine tipica della situazione-intervista è infatti quella in cui i soggetti avvertono poco la pressione a rispondere, la forma dell’intervista è aperta e l’atteggiamento dell’intervistatore è non direttivo”.21 I limiti delle interviste riguardano l’aspetto motivazionale, ossia le persone possono rifiutare di essere intervistate o, pur accettando l’intervista, possono resistere a comunicare le proprie opinioni. In questo caso si devono motivare i soggetti per ottenere la loro collaborazione. Un altro limite può essere rappresentato dal livello cognitivo che influisce sulla comprensione delle domande poste dall’intervistatore. Questi limiti nella nostra ricerca non si sono presentati in quanto le persone intervistate amano fare questo tipo di volontariato perché li appassiona e li diverte ed erano motivati a 20 21 T. AURELI, L’osservazione del comportamento del bambino, Bologna, il Mulino, 1997, p. 61 Ibi, p. 66 - 40 - rispondere. Esse inoltre erano tutte di livello culturale medio e non hanno pertanto mostrato problemi di comprensione. Al Presidente dell’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta, sono state poste delle domande sulla storia dell’associazione, su come ha conosciuto gli altri volontari, se ha avuto difficoltà a far accettare l’associazione dal sistema sanitario, sulla figura di Patch Adams, sul corso per diventare clown-dottore, sugli obiettivi dell’associazione, sulle attività che i medici-clown svolgono al di fuori dell’Ospedale Beauregard, se hanno un diario dove annotano le loro esperienze e se svolgono delle riunioni; infine, una domanda sulla propria esperienza personale: raccontare un episodio positivo o negativo legato al volontariato svolto in corsia ospedaliera. Nel riquadro 1 vengono riportate le domande poste al Presidente dell’Associazione durante l’intervista. DOMANDE AL PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE MISSIONE SORRISO VALLE D’AOSTA: - Breve presentazione (nome, età, professione); - Com’è nata l’idea di creare l’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta? - Come hai conosciuto gli altri membri dell’Associazione? - L’Associazione ha incontrato difficoltà per farsi accettare dal sistema sanitario? - Come sei venuta a conoscenza di Patch Adams? Cosa pensi di lui? - Come si diventa clown-dottore (corso…)? - Cosa volete trasmettere come Associazione (amore verso gli altri, emozioni, …)? - Svolgete attività di clownterapia anche al di fuori dell’Ospedale Beauregard? - Avete un diario dove annotate esperienze positive e non? Fate delle riunioni? - Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo operato, che ti ha particolarmente colpita. Riquadro 1 - 41 - Ai membri dell’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta, sono state poste delle domande più sul piano personale, quali una breve presentazione iniziale di sé, la motivazione che li ha portati a diventare clown-dottori, la figura di Patch Adams e il racconto di un episodio positivo o negativo accaduto durante la loro attività di volontariato in corsia ospedaliera. Nel riquadro 2 vengono riportate le domande poste ai soci attivi dell’Associazione. DOMANDE AI CLOWN-DOTTORI: - Breve presentazione (nome, età, professione); - Come mai hai deciso di diventare clown-dottore? - Come sei venuto/a a conoscenza di Patch Adams? Cosa pensi di lui? - Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo operato, che ti ha particolarmente colpito/a Riquadro 2 Per raggiungere il terzo ed il quarto obiettivo, che consistevano nell’analizzare le modalità di svolgimento della clownterapia ad Aosta e nel cogliere le reazioni del personale ospedaliero, dei bambini e dei loro genitori è stata usata l’osservazione. Ho svolto l’osservazione nel Reparto di Pediatria dell’Ospedale Beauregard di Aosta, dove, per qualche mese, mi sono recata il sabato mattina dalle ore 9 alle ore 11. La mia osservazione si è concentrata prevalentemente sul Reparto di Pediatria in quanto, dopo aver letto il libro “La medicina del sorriso. L’esperienza dei clown-dottori con i bambini” di Caroline Simonds e Bernie Warren, volevo vedere nella realtà e all’opera i clown-dottori di un’associazione con dei bambini “grandi”. Negli altri due reparti, presenti nell’ospedale e in cui operano i medici-clown, Patologia Neonatale e Nido, non sono infatti presenti delle attività strutturate: vi sono neonati prematuri e/o con patologie ospitati in incubatrice, in culla termica o in culla normale, per usufruire di un’assistenza di tipo intensivo e sub-intensivo. Per entrare in questo reparto si devono - 42 - infilare un paio di soprascarpe blu usa e getta, i clown-dottori fanno i palloncini nella stanza delle infermiere per non disturbare i piccoli. I clown offrono solo palloncini alle neo-mamme per i loro bambini. È stata scelta un’osservazione distaccata con registrazione carta e matita. Ogni volta che uscivo dalla stanza, annotavo gli appunti su un quaderno, per poi ricopiarli in bella quando tornavo a casa. Venivano registrati il tipo e la durata delle attività, le persone presenti nella stanza, le reazioni dei bambini e dei loro genitori. La registrazione carta e matita è una tecnica narrativa che “consiste nel registrare il comportamento per come esso si verifica. L’enfasi è posta sulla fedeltà e chiarezza della registrazione. In linea di principio, il resoconto cerca di ricavare quante più cose si osservano, di rilevarle il più accuratamente possibile e di comunicarle in un linguaggio quotidiano. Lo scopo è di riprodurre l’effettivo svolgersi del fenomeno”. 22 Il vantaggio di questo tipo di osservazione è la capacità di fornire una descrizione accurata e fedele del fenomeno così come si verifica in natura. I limiti, invece, possono fondarsi sulla paura da parte dell’estraneo: l’osservatore è visibile e i soggetti si rendono conto di essere osservati. “Un adulto estraneo inserito per la prima volta in un gruppo che assume un atteggiamento distaccato e si trincera dietro un foglio bianco che inizia a riempire, costituisce un elemento di disturbo o quanto meno di curiosità che può alterare l’equilibrio del gruppo. Viceversa, un certo numero di visite che precedono l’inizio delle osservazioni e durante le quali l’osservatore familiarizza con i bambini producono un effetto “abitudine” e contribuiscono al declino dell’effetto “novità”, determinato dalla presenza di un estraneo. Sarà bene inoltre che l’osservatore si presenti o venga presentato ai bambini”. 23 Questi ultimi dimenticano rapidamente la presenza dell’osservatore o tendono con facilità a “ignorarne” la presenza. Per superare almeno in parte questo limite, ho dedicato una preliminare mezz’ora di familiarizzazione con i volontari dell’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta. Inoltre, i clown22 L. CAMAIONI, T. AURELI, P. PERUCCHINI, Osservare e valutare il comportamento infantile, Bologna, il Mulino, 2004, p. 73 23 Ibi, pp. 35-36 - 43 - dottori mi presentavano al bambino ed ai suoi genitori, dicendo il mio nome e spiegando chi ero e perché ero lì. Per far capire agli altri che ero al seguito dell’associazione, indossavo un copricapo-palloncino e il naso dipinto di rosso. Durante l’osservazione rimanevo in piedi sulla porta della stanza del bambino ricoverato. 2.3 CAMPIONE. È stato osservato, durante 15 sedute osservative, un campione complessivo di 40 bambini (maggior numero durante il periodo invernale) suddivisi in neonati, bambini più grandi, ragazzi osservati nella loro camera, al Pronto Soccorso, in corridoio e mentre stavano per tornare a casa. Tutto ciò per cogliere la globalità del comportamento dei soggetti nel contesto ospedaliero e per analizzare il ruolo e lo spazio dedicato alla clownterapia. Sono state svolte 11 interviste ad alcuni soci attivi dell’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta che effettuano attività di volontariato il sabato mattina presso il Reparto di Pediatria, Patologia Neonatale e Nido dell’Ospedale Beauregard di Aosta. Sono stati selezionati i soci che hanno maggior contatto con i bambini ospedalizzati. - 44 - CAPITOLO TERZO Risultati: il contesto ospedaliero 3.1 LE ASSOCIAZIONI DI CLOWNTERAPIA IN ITALIA. Sul territorio nazionale sono presenti nove principali associazioni di clownterapia. Dalla seconda metà degli anni Novanta i clowndottori giungono in Italia, grazie al sorgere di numerosi gruppi ed associazioni. Nel 1995 si registra la visita di un Dottor Sogni della Fondazione svizzera Theodora ai bambini ricoverati all’Istituto dei tumori di Milano, alla quale segue a breve la costituzione di una sezione italiana della fondazione italiana. Le associazioni sono situate in varie città come Firenze, Gubbio, Bolzano, Cagliari, Mestre, Biella, Milano e Roma. 3.2 REPARTO DI PEDIATRIA DELL’OSPEDALE BEAUREGARD DI AOSTA. Il Reparto di Pediatria dell’Ospedale Beauregard di Aosta è situato al piano terra dell’ospedale a sinistra rispetto all’ingresso principale (figura 19). Entrando nel Reparto, a destra vi sono: la Segreteria, l’Ufficio del Primario, due Studi Medici, una stanza (spogliatoio clown-dottori), la cucina, due bagni e una stanza da quattro letti dell’OBI (destinata per i ricoveri della durata di 24 ore). Al centro vi sono: il Pronto Soccorso Pediatrico diviso in tre ambienti: la stanza delle infermiere per l’accoglienza, la sala d’aspetto e, non contigua alle precedenti, la stanza per le visite mediche. A parte vi è una zona adibita a sala da pranzo, composta da tre tavoli, delle sedie, una televisione e un frigorifero. Entrando nel Reparto a sinistra vi sono: otto camere (una sola di esse con il bagno), due bagni, la ludoteca “L’Isola che non c’è”, gestita dalla Cooperativa Noi & gli Altri. Qui i piccoli pazienti, ricoverati o in regime di Day Hospital, hanno la possibilità di usufruire - 45 - di uno spazio allegro e rassicurante dove giocare, socializzare e partecipare alle attività ludico-ricreative proposte dall’educatrice che si occupa di questo spazio. È stata realizzata una sala giochi simile a quella di un asilo nido o di una scuola materna. “È particolarmente importante progettare degli spazi dove i piccoli possano muoversi a proprio piacimento, recuperando una sensazione di “normalità”, senza interferire con il lavoro degli operatori sanitari. Il movimento è fondamentale per ogni bambino perché gli consente di esplorare lo spazio, ed è il bambino stesso a fissare i propri confini, stabilendo un rapporto personale con l’ambiente che lo circonda.”24 “Per sentirsi tranquillo in un ambiente il bambino deve inoltre potersi “fondere” con esso e ciò significa creare un ambiente che possa inviargli un messaggio unitario fatto di atmosfere, colori, luci e arredi. L’arredo adatto a un ambiente per bambini deve essere realmente a misura di bambino, tanto da permettere ai piccoli di utilizzarlo con una certa indipendenza e autonomia. Armadi, tavoli, sedie ma anche lavelli, specchi, toilette dovrebbero essere realizzati in scala adeguata e non solo in termini di dimensioni: infatti arredi che costituiscono anche una stimolazione percettiva e manipolativa attraverso la forma, la consistenza e il colore, aiutano i piccoli pazienti a esercitare una forma di controllo sull’ambiente e contribuiscono a renderli più sicuri.”25 Infine, vi è la stanza d’isolamento (due stanze con il bagno all’interno), per i bambini che hanno gastroenteriti, difese immunitarie basse o altre patologie che ne richiedano l’utilizzo. Il bambino può creare uno spazio proprio portando con sé il proprio peluche, i suoi giocattoli preferiti o le fotografie della sua famiglia per agevolare il superamento della fase di separazione. I coloratissimi disegni sulle pareti del reparto sono stati realizzati nell’estate del 2001 dai ragazzi dell’Istituto d’Arte di Aosta nell’ambito di uno stage riservato alle classi quarte. Sulle pareti vi sono dipinti numerosi personaggi Disney, come ad esempio: Bambi, il Mago Merlino, la Sirenetta, Pinocchio, Minnie e molti altri. Tutto ciò 24 L. RICOTTINI, Quando il paziente è il bambino: problemi di relazione, Torino, Centro Scientifico Editore, 2003, p. 97 25 Ibi, p. 98 - 46 - per rallegrare in parte gli ambienti ma anche per renderli meno estranei ed ostili davanti agli occhi dei bambini. Spesso i genitori, nell’attesa di vedere il medico, camminano con il figlio in braccio nel corridoio mostrandogli le figure che si prestano bene a raccontare le storie e a ricordare cartoni animati in modo da stimolare la fantasia dei bimbi. Inoltre sui muri sono attaccati alcuni disegni dei bambini ricoverati. Un ambiente ben progettato può quindi fare molto per aiutare il bambino a mantenere o a recuperare la propria salute, mantenendo il suo senso di benessere. Per quanto riguarda gli orari all’interno del Reparto di Pediatria dell’Ospedale Beauregard di Aosta, ai piccoli pazienti viene servita la colazione alle ore 8, il pranzo è alle ore 11:40, la merenda alle ore 16 e la cena alle ore 18:40. Per i più piccini i pasti vengono forniti tramite biberon alle 6 del mattino o alle 3 di notte. Al mattino vi è il giro visite da parte del medico nelle stanze dei bambini per poi effettuare quelle al Pronto Soccorso Pediatrico. Inoltre, vengono svolti gli esami invasivi, come ad esempio prelievi del sangue, medicazioni. Per le visite non c’è un orario fisso di giorno, mentre di notte vi è la presenza di un parente e di un medico. I bambini ricoverati possono giocare presso la sala giochi “L’isola che non c’è” aperta tutti i giorni dalle 14:30 alle 18:00 esclusa la domenica. - 47 - Figura 19: piantina del Reparto di Pediatria 3.3 ASSOCIAZIONE MISSIONE SORRISO VALLE D’AOSTA. L’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta (figura 20) è nata nel 2004. L’idea è venuta ad un gruppo di persone che avevano svolto un corso di formazione con la “Fondazione Aldo Garavaglia”, proposto dal gruppo dell’ONLUS valdostano. I membri dell’Associazione operano presso il Reparto di Pediatria, di Patologia Neonatale e al Nido dell’Ospedale Beauregard di Aosta, nelle scuole (per far vedere ai bambini ed ai ragazzi cosa fanno i clown - 48 - in corsia ospedaliera) e nelle microcomunità per anziani (canti, balli, piccole gag). L’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta collabora anche con altre Associazioni: l’ASPERT (progetto fino al 2007), l’UNENDORAISES, l’AVAPA; con il Comune di Aosta per il pranzo di Natale in comunità anziani e microcomunità; con Maria Bonino e l’Associazione Progetto Vita Ana Moise ONLUS (per un bambino rumeno malato di leucemia) per la raccolta fondi con la Pediatria. Figura 20: logo dell’Associazione Missione sorriso Valle d’Aosta Gli scopi dell’Associazione sono quelli di aiutare i bambini ad affrontare situazioni di dolore, di paura, di ansia, utilizzando la musica, la “magia” e l’umorismo; di supportare il personale medico e paramedico; di aiutare i genitori a ritrovare il coraggio di sostenere i loro figli durante la malattia. Gli attuali componenti dell’Associazione sono: la Dottoressa Tatapik (il Presidente), il Dottor Otto, la Dottoressa Pallina, la Dottoressa Frittella, il Dottor Mauciccio, il Dottor Tontolone, il Dottor Pu-pazzo, la Dottoressa Paciok, la Dottoressa Chipirina, la Dottoressa Melarido e la Dottoressa Camomilla (foto 21). - 49 - Foto 21: clown-dottori dell’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta Mensilmente sono programmati due incontri (una riunione ed un laboratorio), finalizzati allo scambio reciproco delle attività e delle esperienze e a favorire l’affiatamento del gruppo. La formazione prevede l’obbligatorietà di iscrizione all’Associazione ed un colloquio iniziale attitudinale. Essa consiste in una parte teorica e in una parte pratica. La parte teorica, della durata di circa 50 ore, si tiene generalmente durante un fine settimana al mese per tre mesi consecutivi, in modo da agevolare la partecipazione dei lavoratori. La parte pratica (il tirocinio), invece, della durata di 30 ore, viene effettuata nel Reparto di Pediatria, Patologia Neonatale e Nido dell’Ospedale Beauregard di Aosta, il sabato mattina dalle ore 8:30 alle ore 12:30; i corsisti sono qui affiancati dai medici-clown operativi. Il percorso formativo deve concludersi in un tempo massimo di 8 mesi. In seguito, vi è la valutazione finale con un colloquio individuale ed un incontro di supervisione con la psicologa del Centro di Servizio per il Volontariato (CSV). A chi termina la formazione con successo, viene rilasciato un attestato con qualifica di “medico-clown”. I partecipanti al corso, massimo 20 persone, vengono seguiti dalle persone dell’Associazione Qui Quo Qua, maghi e mimi, affiancati da clown-dottori già in servizio. Le materie insegnate riguardano le tecniche di mimo, la clownerie, il teatro e le tecniche di gioco volte alla conoscenza del gruppo. Inoltre, la psicologa del CSV, spiega i concetti legati al dolore, alla morte, alla relazione, mentre il Presidente - 50 - dell’Associazione illustra i concetti di igiene, di salute, di malattia e di come ci si muove in Reparto. L’Associazione ha creato un proprio codice deontologico nel quale sono delineate una serie di norme e regole da rispettare. Vengono evidenziate in particolare la responsabilità, il segreto professionale, l’essere rispettoso e discreto, la formazione continua, l’attenzione per la sicurezza, il non accettare compensi o mance. Tra i più recenti riconoscimenti avuti dall’Associazione citiamo il Premio Mimosa conferito domenica 12 marzo 2006 presso il “Salone Ducale del Municipio di Aosta, la cerimonia di consegna delle distinzioni previste dal “Premio Mimosa”, un concorso volto a riconoscere l’operato di donne distintesi nel campo del volontariato, promossa in occasione della festa dell’8 marzo, e organizzata, per il terzo anno consecutivo, dalla presidenza regionale del “Centro Studi Universum”, con il patrocinio del Comune di Aosta e della Consulta femminile”. Tra le premiate Stefania Perego, presidente di “Missione Sorriso Valle d’Aosta”, l’associazione dei “medici-clown” con l’obiettivo di portare negli ospedali la terapia del sorriso. 26 Nel mese di dicembre 2006, i clown-dottori dell’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta si sono recati nell’orfanotrofio di Campina (Bucarest) dove hanno trascorso alcune giornate con i bambini presenti nella struttura. Sono state svolte alcune attività mirate sia manuali, sia attraverso un momento di festa comune dove i mediciclown hanno portato i bambini in un mondo di magia, fatto di colori, storie, gag, divertimento. 3.4 CHI È IL CLOWN-DOTTORE. “…Dottore che sintomi ha la felicità?... canzone di Jovanotti “Mi fido di te” Il clown-dottore rappresenta una figura professionale che si occupa di comicoterapia, “scienza” che utilizza la risata come strumento per cercare di accelerare il processo di guarigione e di catalizzare le emozioni negative trasformandole in energia positiva. 26 “Una mimosa per un sorriso”, La Vallée Notizie, ANNO XXI, n.11, 18 marzo 2006 - 51 - Tale denominazione è stata scelta per alcuni precisi motivi. In primo luogo si tratta di una figura di per sé terapeutica (box 1). È stato condotto uno studio clinico, diretto dal Professor Riccardo Longhi, primario all’Ospedale S. Anna di Como e col contributo della Regione Lombardia. La ricerca, durata sei mesi, è stata effettuata nel S. Anna di Como, nel S. Carlo di Milano e nell’Ospedale di Cantù. Sono stati coinvolti in tutto 343 bambini, 179 con l’assistenza del clown, e 156 (il gruppo di controllo) senza. Il clown era presente tutti i giorni e faceva parte dell’équipe infermieristica, seguiva tutti i trattamenti ai quali il bambino veniva sottoposto, lo ricercava al Pronto Soccorso, lo accompagnava in camera e si occupava prevalentemente di farlo giocare. Il risultato più evidente è stata una diminuzione marcata dell’ansia “indotta”, con un beneficio del tutto inaspettato anche sugli adulti. I familiari dei bambini ricoverati in assistenza di clown hanno riportato con maggior frequenza elevati livelli di ansia e nei bambini senza clown è emersa una maggior frequenza di disturbi del sonno.27 Box 1 Il clown-dottore come figura terapeutica In secondo luogo il clown-dottore indossa un camice, per quanto variamente trasgressivo; in terzo luogo opera in stretto contatto con l’équipe ospedaliera, pur essendo l’unica figura la cui presenza può essere rifiutata dal bambino o dalla sua famiglia. Questo “poter essere rifiutato” restituisce potere al bimbo o al ragazzo, in un contesto in cui egli e la sua famiglia hanno scarse possibilità di scelta. Anche in questo modo il clown-dottore si adopera per ripristinare il “mondo normale” dei degenti. Quali sono le caratteristiche di coloro che scelgono di indossare il camice del clown-dottore? Si tratta di persone dalla spiccata sensibilità le quali decidono di formarsi per diventare dei professionisti che, in abiti da clown, si mettono al servizio degli altri, “con la volontà di far 27 www.consiglio.regione.lombardia.it - 52 - divertire, di donare qualcosa agli altri” 28 per combatterne la sofferenza. Armati di doti personali, conoscenze teoriche e capacità pratiche, esse si creano un buffo ed originale personaggio, contraddistinto da un personale costume e da un nome d’arte, in grado di suscitare spontaneamente simpatia ed ilarità. I clown-dottori che operano nell’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta sono così composti: 7 donne e 4 uomini di età compresa tra i 20 e i 50 anni; sono impiegati, insegnanti, studenti universitari e liberi professionisti (non sono medici veri del reparto ma soltanto dei volontari). Alcuni di loro vivono ad Aosta mentre altri in paesi ubicati nella vallata centrale come ad esempio Morgex, Saint-Vincent, SaintPierre e Pontey. 3.4.1 COSA FA IL CLOWN-DOTTORE E COME: AZIONI E STRUMENTI. Viene ora descritto come, in linea generale, agiscono i clowndottori e quali strumenti utilizzano nel loro delicato lavoro. Gli operatori si recano nella stanza delle infermiere responsabili del reparto per informarsi sulla situazione generale della corsia e sulle condizioni di salute, sia fisica che psicologica, dei singoli bambini. Pongono al personale domande precise: quanti bambini sono presenti? Vi sono situazioni particolari? Possono esservi, infatti, diversissime tipologie patologiche che orientano o impediscono la possibilità di lavorare (bambini appena operati o che in giornata hanno avuto esami invasivi come prelievi, medicazioni…); altri invece devono prendere le medicine (es.: i clown fanno finta di berla e dicono che è buona per convincere il bambino). Inoltre possono informarsi, amichevolmente, anche sullo stato del personale per inserire, una volta entrati in ruolo, elementi di sdrammatizzazione e stabilire una stretta e proficua collaborazione con l’équipe ospedaliera. É infatti indispensabile ottenere la fiducia del personale per poter effettuare un lavoro a lungo termine e di qualità 28 P. MICHELOTTO, Divertirsi diventando clown. Far ridere con il mimo, la magia, le bolle di sapone, il circo delle pulci, la musica, il ventriloquismo, i palloncini, l’equilibrismo, la giocoleria, l’uniciclo, i trampoli, le acrobazie e la fantasi, Vicenza, Troll libri, 2004, p. 15 - 53 - con i piccoli pazienti, godendo del sostegno e della collaborazione di chi si occupa quotidianamente di loro. Spesso poi i clown-dottori fanno giochi e scherzetti al personale ospedaliero, nell’ottica di rendere l’atmosfera dell’intero reparto più serena e rilassata; prendere in giro medici ed infermieri, infatti, stempera le tensioni degli stessi e diverte naturalmente moltissimo i bambini ricoverati. 29 Adeguatamente informati, i clown-dottori si preparano ad entrare nel ruolo indossando saloppette a pois, con delle toppe e tante tasche, potranno avere calze colorate a righe e scarpe lunghe. Mai la parrucca (camuffamento troppo vistoso che crea distacco e, nei piccolissimi timore). Quasi sempre hanno un cappello buffo o démodé. Questo costume deve rendere l’idea che il clown sia povero, emarginato, che abbia trovato gli abiti chissà dove. Sopra questo costume si indossa un camice bianco, come quello dei medici, dipinto a colori vivaci e personalizzato con disegni particolari attinenti al nome del clown stesso che appare ben in evidenza sulla schiena. Sul taschino viene attaccato un cartellino con la foto e il nome del clown-dottore. Per quanto riguarda il trucco sul viso, i bambini si spaventano a vederne uno troppo marcato, poiché il clown è troppo dissimile dagli altri adulti, ragion per cui il clown-dottore (figura 22) si limita ad un trucco molto leggero, tipo lentiggini, guance rosse, naso rosso applicato o dipinto… “Si dice che la maschera più piccola del mondo sia il naso da clown. Ed è una vera e propria maschera, se si prova ad indossarla e poi a toglierla ci si accorge di qual è la sua forza. È un pezzettino, in genere, di plastica rossa. Può essere grosso o piccolo, come quello che molti usano. È rosso, un colore forte e visibile da lontano, qualcosa legato a una grande vitalità. Anche quando si è all’aperto, è molto visibile e, per chi come noi occidentali ha il riferimento del circo, fa subito pensare al personaggio buffo” 30. 29 C. SIMONDS, La medicina del sorriso. L’esperienza dei clown-dottori con i bambini, Milano, Sperling&Kupfer, Editori, 2003, p. 98 30 G. SANGUIGNO, “Il corpo che ride. Curare con il buonumore”, A.L.E. Srl di S. Vittore Olona (MI), XENIA Edizioni, 2004, p. 114 - 54 - Figura 22: il clown-dottore (www.SpazioFormazione.htm) Il medico-clown ha con sé una valigia, con attaccati degli adesivi e con all’interno gli “attrezzi” del mestiere: scherzi, giochi di prestigio, marionette, maracas, tamburelli, palline da giocoliere, pettini giganti… Al collo uno stetoscopio finto, in tasca le bolle di sapone, i palloncini, la pompetta per gonfiare questi ultimi ed un pennarello nero per “decorare” i palloncini. Così trasformati i clown-dottori si avventurano nel reparto per iniziare un originalissimo giro visite, stanza per stanza, annunciando il loro arrivo con la musica di semplici strumenti, quali tamburelli, maracas, chitarra, per suscitare la curiosità dei piccoli pazienti. Ogni paziente è naturalmente libero di scegliere se giocare o meno con i clown, quindi essi devono chiedere il permesso di entrare nella stanza al bambino stesso ed ai suoi genitori: questo accorgimento è cruciale poiché, lasciando al piccolo la possibilità di rifiutare l’intervento, gli si restituisce un potere che non può sperimentare con nessun’altra figura operante nel reparto. La valenza terapeutica del clown-dottore è difatti duplice e si esplicita nell’unica opportunità di scelta offerta al bambino ospedalizzato e alla sua famiglia, che possono accettare di buon grado le istrionerie del buffone o, di contro, rifiutarle senza timori reverenziali. A differenza dello staff medico, che segue un orario di visita ben preciso e dettagliato, il medico-clown entra nella stanza del bambino solo se invitato dal piccolo paziente, senza alcuna costrizione. Questa unica possibilità di rifiuto offre al bambino ospedalizzato la forza e l’opportunità di scaricare le sue paure, le sue tensioni, le sue frustrazioni. - 55 - Raramente si ottiene un rifiuto, ma nel caso in cui ciò avvenga è consigliato lasciare un piccolo dono, ad esempio un palloncino; solitamente, dopo qualche tempo è il bambino stesso a cercare i clown. Se il bambino dorme o è momentaneamente assente dalla stanza per esami o terapie particolari, il clown-dottore proverà a ripassare da lui prima della fine delle visite. Ottenuta invece l’autorizzazione, i medici-clown fingono di rimanere incastrati nella porta, chiedendo aiuto ai bambini per liberarsi. Una volta entrati nella stanza, i clown-dottori si presentano e fanno qualche domanda per incominciare a conoscere il bambino (il suo nome, l’età, se ha fratelli o sorelle, se va a scuola…), senza però mai riferirsi alla sua malattia. Tutto ciò per poter calibrare più attentamente l’azione sulla base dei gusti e del carattere del bambino. 31 Stabilito attraverso l’osservazione e l’ascolto un primo contatto è possibile dare inizio all’intervento vero e proprio, che potrà variare a seconda della particolare situazione. Esso è sempre svolto da una coppia di clown-dottori, preferibilmente maschio e femmina, poiché ciò consente di sostenersi a vicenda nei momenti difficili, di operare su più fronti (bambino/mamma o altro parente) e di dare luogo alle tipiche scenette clownesche in cui “l’augusto” (sciocco e disubbidiente) e il “bianco” (l’autorità) litigano tra loro. All’inizio i medici-clown propongono una finta visita medica (con uno stetoscopio pupazzo – orsacchiotto lungo; una finta e lunga siringa ed un lungo termometro) al bambino ancora ricoverato o che sta per tornare a casa, consistente in scherzose prove di auscultazione e di riflessologia per la sdrammatizzazione delle azioni e degli strumenti sanitari. I clown-dottori improvvisano anche simpaticissime magie, canzoncine, sculture di palloncini, fiabe, esercizi di giocoleria e via dicendo. Nel fare tutto ciò, i medici-clown coinvolgono attivamente non solo il bambino, ma anche tutte le persone che sono nella stanza, dai parenti al personale sanitario. La partecipazione dei familiari assume una certa rilevanza, siccome anch’essi necessitano di essere sostenuti e 31 www.dottorsorriso.it , articolo “Guarire con il sorriso” - 56 - di ritrovare un po’ di serenità in una situazione spesso contraddistinta da vissuti di ansia. Aiutare i genitori ad uscire dallo stato di angoscia in cui frequentemente si rinchiudono, attraverso un’azione comica non invasiva, migliora la condizione del piccolo, il cui dolore è logicamente aggravato dalla preoccupazione. Alla fine della visita, che è sempre breve e può durare un massimo di 20/30 minuti, è bene che i clown-dottori congedandosi dal bambino gli lascino un piccolo dono, ad esempio, l’adesivo della loro associazione, dei palloncini colorati modellati a forma di animali, l’attestato di coraggio (foto 23) (perché sono in ospedale) e di simpatia (perché hanno giocato con i medici-clown). - 57 - Foto 23: attestato di coraggio e simpatia Infine viene chiesto al bambino se vuole lasciare una letterina o un disegno ai medici-clown e ad imbucarli nell’apposita scatola con sopra l’adesivo dell’associazione che trovano presso il Pronto Soccorso Pediatrico. Questo aspetto è molto importante poiché, seppur piccolo, il dono assume la funzione di ancoraggio, consentendo ai clowndottori di lasciare un segno di sé, ricordando al bambino i momenti vissuti insieme. 3.5 LE INTERVISTE. Vengono di seguito riportati i testi integrali delle interviste condotte. La scelta di riportare integralmente i testi orali comporta alcune difficoltà nella lettura del testo scritto e ce ne scusiamo. - 58 - Intervista alla DOTTORESSA TATAPIK (Presidente dell’Associazione). 1) Breve presentazione (nome, età, professione). In arte come clown mi chiamo dottoressa Tatapik, ho 46 anni e sono un’assistente sanitaria. 2) Com’é nata l’idea di creare l’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta? L’idea è nata da un gruppo di persone, tra le quali io, che avevano fatto un corso di formazione con la Fondazione Aldo Garavaglia arrivato in Valle d’Aosta, proposto attraverso il gruppo dell’ONLUS valdostano. Al termine di questa formazione che è durata un anno e mezzo, le poche persone che erano rimaste avevano voglia di iniziare questo tipo di attività e questo richiedeva comunque una struttura, un’associazione, un impegno non indifferente anche dal punto di vista assicurativo. Quindi nel giugno 2004 è nata l’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta. 3) Come hai conosciuto gli altri membri dell’Associazione? Premetto che molte delle persone che avevano fatto il corso non ci sono più, dei soci che avevamo all’inizio sono rimaste poche persone. Comunque sia ci siamo conosciuti al corso, non ci conoscevamo prima. I soci attuali, invece, sono ragazzi entrati l’anno scorso che hanno fatto un corso di formazione e la maggior parte di loro non si conosceva. Anche loro sono persone che si sono conosciute al corso. 4) L’Associazione ha incontrato difficoltà per farsi accettare dal sistema sanitario? Assolutamente no, cioè proprio no. Nel momento in cui noi abbiamo proposto la nostra presenza e quindi la nostra attività all’interno dell’Ospedale Beauregard, la parte pediatrica, non abbiamo avuto nessun ostacolo, anzi, abbiamo avuto la richiesta di poter intervenire anche in altri ambiti. Noi però materialmente non ce la facciamo, possiamo venire solo il sabato mattina e riusciamo solo a vedere la Pediatria. 5) Come sei venuta a conoscenza di Patch Adams? Cosa pensi di lui? - 59 - Sono venuta a conoscenza di Patch Adams già da tantissimo tempo. Un po’ perché lavoro nell’ambito sanitario di conseguenza la gelontologia è una scienza che in parte già conoscevo, poi ho letto un libro molti anni fa che parlava della clownterapia in Francia attraverso la loro associazione. Questa cosa mi ha sempre attirato, mi è sempre piaciuta, per cui quando ho visto questo corso ho detto “perché no” anche se in realtà non sapevo minimamente che cosa c’era di comune a chi ne faceva parte. Cosa pensi di lui? È un grande! Basta vedere “Clown in Kabul”, è un grande, ti prende il cuore, è veramente una persona esemplare, unica e rara, perché lui è veramente così, è un grande! 6) Come si diventa clown-dottore (corso…)? Per diventare clown-dottore bisogna fare un corso di formazione composto da circa più o meno una cinquantina di ore di teoria con vari argomenti: clownterapia, teatro, concetti di psicologia, sapere le conoscenze di sé stessi, saper mettersi in gioco. La condizione necessaria per tirare fuori ciò che puoi o meno avere dentro, per rendersi conto di avere delle qualità nascoste oppure il contrario, quando arrivano persone sono prontissime, quando in realtà non è così, non pensavano. La formazione è importante perché ti fa guardare dentro per vedere se sei pronto per fare questo percorso. La formazione deve essere continua, perché quello che tu fai nel corso ti aiuta tanto poi però sta a te continuare a provare delle magie, a trovare delle magie, dei trucchi. Per questo noi cerchiamo di fare dei laboratori, mensilmente o una volta al mese, per avere degli scambi, per vedere tra di noi, per provare a fare tecniche insieme, chi ha imparato a fare i palloncini nuovi li insegna agli altri, si provano delle scenette. Per questa attività è importantissimo che ci si aiuti e che ci sia una buona interazione. Il corso si fa ad Aosta, noi l’abbiamo fatto l’anno scorso al Centro di Servizio per il Volontariato (CSV) con il contributo del CSV perché noi all’epoca lo abbiamo pagato il corso personalmente, mentre adesso siamo iscritti al CSV come ONLUS. Quindi insieme a loro e con loro abbiamo fatto questo corso. Quest’ultimo prevede un breve colloquio - 60 - iniziale per capire le attitudini e che ci riserva la facoltà di poter dire alla persona se è pronta o no per un percorso di questo genere. Quindi, non è che tu fai il corso e sicuramente farai il medico-clown, l’Associazione si riserva la facoltà di dire di no, che non funziona. 7) Cosa volete trasmettere (amore verso gli altri, emozioni, …)? Noi vogliamo cercare di portare un sorriso, un po’ di felicità, cercare di far star bene le persone, ma la cosa fondamentale nella quale io probabilmente insisto sempre nel dire è che è vero che noi facciamo questa cosa per gli altri (scherziamo col personale, gag con i genitori), è pur anche vero che questo ci ritorna. Perché in realtà questo lo fai perché stai bene tu a farlo, perché noi siamo qualcosa di quello che facciamo per cui in realtà forse sotto sotto noi lo facciamo per noi stessi. È dura fare volontariato perché ci sono casi diversi, particolari, perché chiede tanto e perché dopo 4 ore può essere anche pesante, poi anche con la morte comunque dopo sorridi e devi andare avanti. Quindi questo ti aiuta veramente dentro a guardarti tanto e a trovare le energie per star bene comunque anche per l’impegno di conseguenza per aiutare gli altri. 8) Svolgete attività di clownterapia anche al di fuori dell’Ospedale Beauregard? Abbiamo partecipato al pranzo di Natale organizzato dal Comune di Aosta e per gli anziani. Abbiamo partecipato ad altre attività, un po’ meno nel 2005 per via del corso di formazione dei ragazzi, eravamo un po’ presi. Abbiamo lavorato però nelle microcomunità per anziani, siamo andati ad Alba in un centro per celebrolesi, cosa che faremo anche quest’anno, in un centro di ippoterapia e con il centro Alzheimer di Aosta. Poi, abbiamo fatto attività di piazza, collaborato con altre associazioni, fatto incontri nelle scuole medie e superiori per avvicinare i ragazzi al volontariato, collaborato con raccolta fondi per la Pediatria. Nel 2005 abbiamo festeggiato il nostro primo compleanno in Piazza e abbiamo partecipato alla giornata del volontariato con le altre associazioni. 9) Avete un diario dove annotate esperienze positive e non? Fate delle riunioni? - 61 - Sì ce l’abbiamo qua in Pediatria ed è una scelta libera, nel senso che non è un obbligo quello di scrivere tutte le volte che cosa provi e cosa non provi, è una scelta nel senso se magari la giornata ti ha portato qualcosa che vuoi condividere con gli altri, allora si va tranquilli è aperto. Tutti possono leggerlo, è vero che spesso forse ci sono momenti in cui ci si racconta un pochino di più nei laboratori, c’è lo scambio, però il diario c’è. A volte forse verrebbe voglia di compilarlo però non puoi perché sei di fretta, devi scappare, però c’è. Facciamo delle riunioni mensili e poi svolgiamo delle riunioni prettamente solo all’interno del comitato, nel senso se dobbiamo fare delle scelte che verranno poi comunque condivise con i soci. 10) Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo operato, che ti ha particolarmente colpita. Negativo. Forse la difficoltà a volte di poter entrare in relazione con il personale. Negativo potrebbe essere quella volta che ho accompagnato un bimbo con l’ambulanza all’Ospedale Regionale. Intervista al DOTTOR OTTO. 1) Breve presentazione (nome, età, professione). Sono il Dottor Otto, ho 36 anni, gioco a calcio, alleno i bambini a calcio ed opero nel campo del carnevale dei bambini di SaintVincent. 2) Come mai hai deciso di diventare clown-dottore? Volevo fare qualcosa di diverso per sorridere, per ridere, per divertirmi e pensavo che questa fosse la cosa più adeguata. Avevo voglia di ridere, era un periodo un po’ difficile, mi si è presentata l’occasione di fare questo corso da medico-clown e l’ho presa al volo. 3) Come sei venuto a conoscenza di Patch Adams? Ho visto il film “Patch Adams”. Cosa pensi di lui? Credo che sia un grande, uno che è riuscito a creare un movimento incredibile. È stato molto bravo e complimenti a lui, e grazie a lui, che adesso posso fare anch’io il clown-dottore. - 62 - 5) Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo operato, che ti ha particolarmente colpito. Di positivo un po’ tutto, qualunque cosa anche un piccolo gesto che ti arriva mi da’ tanto. Non vedo niente di negativo in tutto questo, anche i momenti di difficoltà servono per crescere e per diventare sempre più bravo. Intervista alla DOTTORESSA CHIPIRINA. 1) Breve presentazione (nome, età, professione). Sono la Dottoressa Chipirina, ho 39 anni, ho due bimbe e anche per questo mi sono avvicinata a questa cosa. Mi piace molto avere a che fare con i bimbi, bricolare dal découpage alla pittura. 2) Come mai hai deciso di diventare clown-dottore? Sicuramente dopo aver visto il film “Patch Adams” e poi avendo una bimba alla scuola materna c’è stata l’occasione della presentazione dell’Associazione e così è scattata la voglia di iniziare questo percorso. 3) Come sei venuta a conoscenza di Patch Adams? Per l’appunto con il mitico film bellissimo, da guardare e riguardare. Cosa pensi di lui? Che è un grande perché quello che ha fatto ha aperto questo percorso. 4) Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo operato, che ti ha particolarmente colpita. Ogni volta capita qualcosa di negativo o di positivo, ora non mi viene in mente niente di particolare. Intervista alla DOTTORESSA FRITTELLA. 1) Breve presentazione (nome, età, professione). Ciao, sono la Dottoressa Frittella. Ho 25 anni, studio e lavoricchio. 2) Come mai hai deciso di diventare clown-dottore? - 63 - Ho deciso di diventare clown-dottore dopo aver fatto la mia tesi di laurea sulla clownterapia. 3) Come sei venuta a conoscenza di Patch Adams? Ho conosciuto Patch Adams grazie al film che hanno trasmesso in televisione, però non mi era piaciuto. Invece, la figura di Patch Adams l’ho conosciuta bene attraverso i libri. Cosa pensi di lui? Mi piace molto come persona, per quello che fa, per quello che pensa. 4) Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo operato, che ti ha particolarmente colpita. Un episodio positivo ce ne sono tanti. La cosa più bella di quando fai questo tipo di volontariato è quando le persone che vai a trovare sorridono, si divertono. Ti ringraziano perché sono stati bene con te. Episodio negativo, non ne ho uno in particolare. Magari quando appunto arrivi e non sei magari ben accolto e allora non è positivo ma negativo. Intervista al DOTTOR MAUCICCIO. 1) Breve presentazione (nome, età, professione). Ciao, sono il Dottor Mauciccio. Ho 26 anni, un po’ lavoricchio e un po’ studicchio. 2) Come mai hai deciso di diventare clown-dottore? Ho deciso di diventare clown-dottore perché mi piaceva il naso rosso da clown e poi sono venuto a conoscenza, tramite la mia ragazza, di questo corso di clownterapia. 3) Come sei venuto a conoscenza di Patch Adams? Patch Adams anch’io l’ho visto in un film. Cosa pensi di lui? Penso di lui cose positive, una chiave di lettura della vita molto positiva e molto scherzosa. 4) Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo operato, che ti ha particolarmente colpito. - 64 - Episodi negativi non me ne vengono in mente relativi al mio operato. Positivi un po’ tutto alla fin fine perché è sempre comunque vissuto in chiave comica, a sdrammatizzare, perciò un po’ tutto positivo. Intervista alla DOTTORESSA CAMOMILLA. 1) Breve presentazione (nome, età, professione). Sono la Dottoressa Camomilla, faccio l’impiegata e ho 28 anni. 2) Come mai hai deciso di diventare clown-dottore? Ho deciso di diventare medico-clown perché è una cosa che mi è sempre piaciuta, perché fa bene sia a me che agli altri. Era già un po’ che cercavo di fare questo corso però non ero mai riuscita. Poi, ho visto tramite l’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta, mi sono iscritta, ho iniziato a fare il corso e mi è piaciuto sempre di più. 3) Come sei venuta a conoscenza di Patch Adams? Patch Adams l’ho visto tramite il film con Robin Williams. Cosa pensi di lui? Penso che sia veramente un grande, comunque ha fatto una cosa non da poco, portare il sorriso negli ospedali non è facile. 4) Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo operato, che ti ha particolarmente colpita. Episodi positivi ne ho tanti, negativi per adesso non me ne sono ancora successi. Positivi, mi fa molto piacere quando vedo che i bimbi comunque interagiscono con noi, non hanno problemi a giocare, a parlare. Logico che alcuni magari a vederci sono un po’ spaventati, però in linea di massima interagiscono bene e questo fa piacere. Poi ci sono bambini che sono un po’ più timidi però piano piano poi riescono a sciogliersi e giocano bene quindi questa è la cosa positiva. Intervista alla DOTTORESSA MELARIDO. 1) Breve presentazione (nome, età, professione). Sono la Dottoressa Melarido. Ho 29 anni e faccio l’animatrice di professione da circa quasi dieci anni. - 65 - 2) Come mai hai deciso di diventare clown-dottore? È stato per caso, ad una festa di Natale ho incontrato un volontario di Missione Sorriso che adesso ha lasciato l’Associazione. Stavo raccontando una storia e lui mi ha proposto di fare il corso. L’ho fatto e mi è piaciuto tantissimo, così ho deciso di diventare clown. 3) Come sei venuta a conoscenza di Patch Adams? Sicuramente attraverso il film di Robin Williams, molto commovente che rappresenta la storia di Patch Adams. Da quel film puoi prendere tante decisioni, una di queste è che devi fare almeno anche per poco far sorridere una persona che sta soffrendo e anche per questo ho deciso di diventare medico-clown. Cosa pensi di lui? Che è un po’ matto, anche perché avendolo seguito un po’ e avendo visto “Clown in Kabul” sicuramente quando vedi Patch Adams pensi “sì, questo è matto”. In realtà è quella pazzia che ti fa cambiare le cose, quella che fa evolvere il mondo in senso positivo, e senza di quello e senza il coraggio che lui ha avuto e la sua creatività non avrebbe potuto cambiare le cose. È una persona secondo me estremamente intelligente, è saggia, ha una certa età, non è vecchissimo e quando se ne andrà spero che riesca a passare tutti i suoi insegnamenti. 4) Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo operato, che ti ha particolarmente colpita. Inizierei dal negativo. Durante il corso di formazione i maghi ci avevano detto che in ospedale non si toccano i bambini. Primo giorno di tirocinio, stavo facendo una gag con il Dottor Otto, avevo in mano un pollo finto, l’ho dato in faccia ad una bambina che stava correndo, però non è successo niente. Quello positivo ce n’è uno in particolare. C’era un ragazzo grande, forse aveva 12 o 13 anni, ed era proprio arrabbiatissimo. Stava aspettando l’ambulanza che lo portava al Pronto Soccorso di Aosta per fare degli esami, voleva far esplodere tutto l’ospedale. Tornato dagli esami, è venuto da me e da Tatapik chiedendo una bomba perché voleva far saltare in aria il Pronto Soccorso. Io e Tatapik ci siamo avvicinate facendo una gag e lui si è messo a ridere. Quella è stata una cosa positiva. - 66 - Intervista al DOTTOR PU-PAZZO. 1) Breve presentazione (nome, età, professione). Nella vita privata sono un ragazzo normale, niente di particolare, sono laureato, faccio l’impiegato e vivo da solo. Per quanto riguarda invece la vita sociale, mi occupo di volontariato. Faccio parte del gruppo dei medici-clown, al quale gruppo dedico parecchio del mio tempo libero, quasi tutto diciamo. 2) Come mai hai deciso di diventare clown-dottore? Sicuramente perché un po’ me lo sento dentro perciò non penso di esserlo diventato penso solo di averlo fatto uscire questa parte di me. E in più l’idea di far ridere un bambino che forse in quel momento non ha tanto da dire o comunque non può farlo normalmente, ti da’ la forza in più che il volontariato,come intendo io e come lo vivo io, non è volontariato solo ed esclusivamente per gli altri, ma in gran parte per me stesso. Comunque facendo sorridere e facendo del bene agli altri ho pensato di farlo, e spero di farlo, sto bene con me stesso. 3) Come sei venuto a conoscenza di Patch Adams? Attraverso la televisione, i mass media ho visto, ho scoperto questa figura professionale. Però subito non ho fatto tanto tanto caso, non è stata quella scintilla, no, non è stato in quel momento. È stato dopo, quando sono andato alla ricerca di un’Associazione alla quale aderire oltre a donare il sangue e volevo seguire le persone in difficoltà. Quando realmente c’era la possibilità di aiutare i bambini ho aderito subito. Cosa pensi di lui? Penso che sia un uomo che abbia scoperto, attraverso una sua esperienza, perché lui da paziente si è accorto che forse era più un numero che un paziente, una persona fisica umana. Dalla sua esperienza è riuscito a trasmettere agli altri, e ci riesce tuttora, l’amore che forse tutti noi andiamo alla ricerca. 4) Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo operato, che ti ha particolarmente colpito. Ma, è difficile rispondere a questa domanda perché sono tutte esperienze sia nel bene che nel male. Alla fine le considero poi tutte - 67 - positive. Problemi che vengono che subentrano sono quelle della convivenza con gli altri medici-clown. Non tanto per quanto riguarda l’esperienza in corsia, perché tu clown puoi anche permetterti di sbagliare, sei un clown, sei un buffone. Il discorso subentra magari quando hai proprio a che fare con le altre persone e allora ci può essere una differente opinione, un’esperienza diversa. Intervista alla DOTTORESSA PALLINA. 1) Breve presentazione (nome, età, professione). Sono la Dottoressa Pallina. Ho 38 anni, lavoro in banca, faccio l’impiegata. Ho due figlie, una di 5 anni e una di 10. 2) Come mai hai deciso di diventare clown-dottore? Avevo voglia di provare quest’esperienza perché mi piaceva vedere di che cosa si trattava. C’è stata la possibilità di fare un corso che mi avvicinava a questo tipo di volontariato. Mi sono iscritta al corso e facendolo mi sono appassionata a questa cosa. Poi si è creato un po’ io dico comunella comunque un po’ di affinità con gli altri del corso e quindi abbiamo cominciato a provarci tutti insieme e poi abbiamo deciso di provare davvero. E provando mi ha dato soddisfazione, così ho deciso di continuare. 3) Come sei venuta a conoscenza di Patch Adams? Ho visto un film su di lui. Comunque non è stato questo che mi ha fatto pensare al corso per diventare clown-dottore. Mi ha fatto pensare di farlo quando ho visto il volantino in giro di questo corso, l’idea è venuta lì, mi ha poi ricordato Patch Adams. Cosa pensi di lui? Penso che sia stato proprio un grande, per fortuna che c’è stato a fare questa cosa. 4) Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo operato, che ti ha particolarmente colpita. A livello positivo ce ne sono tanti con tutti i contatti che ho avuto con i bambini, tute le volte che hanno sorriso, che sono riuscita a giocare con loro, mi sono divertita tantissimo. L’unico negativo me lo ricordo è stato quel giorno che siamo andate in ospedale che è mancata - 68 - una bambina. È stato molto doloroso, è stato veramente un giorno tristissimo. Mi aveva colpito comunque la cosa di dover fare lo stesso in quel momento far sorridere anche altre persone nonostante mentre dentro ascoltavamo i suoi lamenti. Questa cosa mi rimarrà sempre nel cuore. Questa bambina l’avevamo conosciuta anche altre volte prima e non ce l’aspettavamo di sicuro. Intervista al DOTTOR TONTOLONE. 1) Breve presentazione (nome, età, professione). Sono il Dottor Tontolone, ho 41 anni e ho una figlia. 2) Come mai hai deciso di diventare clown-dottore? Ho deciso di diventare clown-dottore mentre giocavo con mia figlia. 3) Come sei venuto a conoscenza di Patch Adams? Cosa pensi di lui? Ho visto il film “Patch Adams”. È un buffone, un vero buffone. 4) Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo operato, che ti ha particolarmente colpito. Negativo no. Sono tutte situazioni positive. Mi diverto tanto, sono io che mi diverto principalmente. Ho notato che più mi diverto più i bimbi si divertono. E questo mi fa piacere. Intervista alla DOTTORESSA PACIOK. 1) Breve presentazione (nome, età, professione). Sono la Dottoressa Paciok, ho 31 anni e faccio l’insegnante alla scuola materna da 11 anni. Svolgo tantissime altre cose tra cui l’Università, l’insegnante di ballo…super impegnata. 2) Come mai hai deciso di diventare clown-dottore? Ho deciso di diventare clown-dottore un po’ per caso. Nel senso che una mia amica aveva fatto il corso l’anno scorso e allora ho detto “ma sì”. Era già da tanto che cercavo l’Associazione. La mia amica lo faceva a Milano, ne avevo già sentito parlare e quindi mi sarebbe piaciuto fare qualcosa qua ad Aosta. Già 3 anni fa ho partecipato ad - 69 - alcuni incontri, erano venuti nei reparti Nido e dell’infanzia quelli dell’associazione di Milano che hanno iniziato questa attività. Però poi il corso qua ad Aosta lo hanno organizzato ma costava tantissimo e io non me lo potevo permettere e allora non l’ho fatto. Poi, invece, l’anno scorso il corso era gratuito, quasi gratuito, e si è formato da subito un gruppo molto bello è stato quasi magico. Abbiamo avuto chi ci ha fatto il corso sono stati bravi a creare gruppo, a far uscire un sacco di cose belle. E così abbiamo iniziato, ci siamo imbarcati in questa cosa. 3) Come sei venuta a conoscenza di Patch Adams? Patch Adams l’ho conosciuto dal film che ho visto un sacco di volte e mi è sempre piaciuto. Poi l’ho seguito in una conferenza 3 anni fa nella quale avevano fatto vedere un sacco di video, penso fatti accaduti al di fuori dell’Italia. Cosa pensi di lui? Penso che sia una persona che ha avuto una grande idea, anche se penso che qua siamo ancora un po’ indietro. Soltanto un dottore si presta molto a seguire quello che facciamo noi. Penso però che sia già così lui di carattere perché bisogna averlo dentro come dottore, non è una cosa che acquisti. 4) Raccontami un episodio positivo o negativo, relativo al tuo operato, che ti ha particolarmente colpita. Sono tornata da poco qui in Pediatria perché ho frequentato un corso di sostegno quest’anno, perciò ero sempre a lezione. Ho partecipato di più alle manifestazioni in piazza…imbarazzo iniziale, più che altro i primi 10 minuti, perché sei in mezzo alla piazza di Aosta dove sei tutto conciato e tutti ti conoscono. Ecco, un episodio da ridere c’è. La prima volta, la prima manifestazione che abbiamo fatto dovevamo arrivare tutti già vestiti. Io da Saint-Pierre sono dovuta venire ad Aosta già truccata e vestita. All’inizio ero imbarazzatissima perché passavo in paese, sai, abito in un paesino. Poi, ho iniziato a scendere in macchina e mi rendevo conto che la gente che mi si affiancava mi guardava. Ero imbarazzata e dicevo “e adesso?”, invece poi andando avanti in macchina mi giravo e gli facevo le boccacce. Sono così entrata un po’ nella parte. - 70 - 3.5.1 SINTESI DELLE INTERVISTE. Dalle risposte ricevute dai membri dell’Associazione Missione Sorriso Valle d’Aosta è emerso che nel complesso l’occasione che li ha portati alla scelta di diventare clown-dottore è dovuta al fatto che sono venuti a conoscenza del corso dell’Associazione e per via dei loro figli piccoli. Tutti hanno conosciuto la figura di Patch Adams grazie al film interpretato da Robin Williams. La maggior parte di loro ha raccontato un episodio positivo particolarmente significativo verificatosi durante l’operato in corsia ospedaliera. - 71 - CAPITOLO QUARTO Risultati: il bambino in ospedale 4.1 LA MIA OSSERVAZIONE NEL REPARTO PEDIATRICO DI AOSTA. Si è parlato nel capitolo primo dell’umanizzazione della Pediatria e nel capitolo terzo è stata fatta una descrizione della struttura e del funzionamento del Reparto di Pediatria dell’Ospedale Beauregard di Aosta. In tale contesto si è svolta la mia osservazione. Si deve innanzitutto tener presente che nel Reparto di Pediatria dell’Ospedale Beauregard di Aosta vi è una realtà ben diversa rispetto ad altri ospedali italiani per quanto riguarda le patologie dei piccoli pazienti. Infatti, qui le patologie più ricorrenti sono: i focolai, le infezioni alle vie urinarie (99,9% dei bambini con i pannolini tra i 2 e i 24 mesi), crisi di asma, convulsioni febbrili (stand by, in osservazione per un giorno), bambini diabetici seguiti in Pediatria fino ai 18 anni, leucemia acuta (85% blasti) limfoide-mieloide-porpora (= infiammazione dei piccoli vasi sanguigni; eruzione cutanea per una durata di 4 o 6 settimane). Vi sono casi di bambini con tumori che vengono solo visitati e poi trasferiti fuori Aosta. Qui di seguito viene riportata una piantina di una stanza tipo (figura 24) nella quale ho osservato le attività dei clown-dottori con i bambini ospedalizzati nel Reparto di Pediatria presso l’Ospedale Beauregard di Aosta. - 72 - Figura 24: piantina stanza tipo Ho constatato che le reazioni dei bambini di fronte all’attività dei clown sono influenzate da vari elementi e tra questi in primo luogo incide l’età dei bambini. Fino ai sei mesi i bambini vivono un rapporto quasi simbiotico con la madre e ne consegue che i clown devono intervenire sulla diade madre-figlio. I neonati sono poi disturbati dai suoni forti perciò occorre agire con pacatezza, evitando rumori e movimenti rapidi e se è permesso si può azzardare un delicato contatto fisico, ad esempio una carezza. Con i bambini molto piccoli occorre prestare particolare attenzione, poiché è frequente che si spaventino trovandosi davanti strampalati personaggi colorati e chiassosi; in questi casi non è appropriato forzarli all’interazione (box 1). Prima osservazione. Quando i due clown-dottori (la Dottoressa Tatapik e la Dottoressa Camomilla) sono entrati nella stanza vi era una bimba di 2 mesi nel suo lettino che piangeva e vicino a lei c’era la sua mamma. Un clown ha iniziato a suonare una maracas per distrarre la piccola. Quest’ultima ha smesso di piangere e osservava lo strumento musicale come se - 73 - fosse incantata. Mi ha poi spiegato il clown che il suono rilassa. La bimba è stata poi portata via da un’infermiera perché doveva pesarla. Seconda osservazione. Nella stanza vi era una bimba di pochi giorni in braccio alla sua mamma. Poco dopo è arrivato il papà della piccola ed è rimasto in piedi vicino al letto della moglie. I due clown-dottori (la Dottoressa Tatapik e il Dottor Otto) hanno fatto cantare una canzoncina al papà facendogli prima indossare degli occhiali giganti per scherzare. Alla fine c’è stato un applauso generale e tante risate. Dopodiché è stato fatto il gioco della scatolina magica, ovvero di nascondere qualcosa all’interno per farlo scomparire (un fazzolettino scozzese). Poi, dicendo tutti insieme una parolina magica “non saprei” e battendo sopra alla scatolina con una bacchetta magica l’oggetto ricompare. Alla fine della magia i clown hanno fatto dei palloncini, un’ape ed un topolino realizzati a suon di chitarra/musica. Prima di uscire dalla stanza i clown hanno salutato la bimba e i suoi genitori, questi ultimi hanno ringraziato molto i clown. Terza osservazione. Nella stanza vi era una mamma con in braccio la sua bimba di 5 mesi. I clown-dottori (la Dottoressa Frittella e il Dottor Mauciccio) le hanno fatto qualche domanda: come si chiama la piccola, se ha altri figli… I due clown hanno fatto le bolle di sapone, la bimba li ha osservati in silenzio. Poi, i clown hanno fatto un palloncino a forma di cagnolino, la bimba lo ha toccato, lo ha messo in bocca e intanto muoveva le braccia e le gambe. Quando i clown sono usciti dalla stanza la piccola sorridendo ha detto “Ghé!” e un clown: “Ha detto grazie nella sua lingua!”. La mamma si è messa a ridere ed ha ringraziato i clown. Box 1: alcune osservazioni significative con bambini dai 2 ai 6 mesi Tra i due e i tre anni i bambini apprezzano molto pupazzi e marionette, i quali possono essere utilizzati con profitto per far trapelare e sfogare le emozioni attraverso l’identificazione. Un - 74 - pupazzo può facilmente diventare un mezzo per comunicare col bambino e prestarsi per giochi violenti attraverso i quali canalizzare paura, collera, frustrazione, solitudine, noia, tristezza (box 2). Quarta osservazione. Nella stanza vi è una bambina di 3 anni, ricoverata la sera prima per via di una caduta dalle scale di casa riportando un bernoccolo. La piccola è in piedi sul letto, seduto vicino a lei c’è il suo papà che la sta aiutando a vestirsi perché tornano a casa. Sulla porta della stanza i due clown-dottori (la Dottoressa Tatapik e la Dottoressa Frittella) chiedono alla bimba e al suo papà: “Possiamo entrare?”. Il papà tutto contento risponde: “Sì! Guarda chi c’è!”. La bimba non parla. I clown si mettono a giocare con il pupazzo della piccola, un coniglietto bianco. Poi i clown cantano la canzoncina del naso rosso. Al termine della canzone il papà ha detto: “Brave!” e ha fatto battere le manine a sua figlia per applaudirle. Il papà ci ha mostrato il libro sugli animali che ha comprato alla bimba. I due clown le hanno chiesto se voleva un palloncino e lei ha detto che voleva una giraffa indicandola poi con il ditino sul libro. Il papà ha domandato a sua figlia come si chiama la sua sorellina e la bimba ha detto Elisa. Inoltre, il papà ci ha raccontato che sua figlia suona il violino, gliel’ha insegnato sua moglie, violinista di professione. Poi, la Dottoressa Tatapik ha chiesto alla piccola: “Cosa fa la tua sorellina tutto il giorno?” e la bimba gli ha risposto: “Piange”. Ci siamo messi tutti a ridere. Dopo aver fatto un palloncino/topolino per la sua sorellina ed averle lasciato l’adesivo dell’Associazione da mettere sulla macchina del papà, i clown hanno salutato la bimba, il suo papà e il coniglietto bianco. Intanto il papà applaudiva e diceva: “Ciao! Brave! Bravissime!”. Quest’ultimo è poi uscito dalla stanza con in braccio la figlia con i palloncini in mano per salutarci ancora dicendo: “Sofia è contenta! Grazie!”. Ci ha poi anche restituito la pompetta per gonfiare i palloncini dimenticata da uno dei due clown. Box 2: osservazione di una bimba di 3 anni - 75 - Con piccoli di 4 o 5 anni si può proficuamente giocare con la magia. È importante soprattutto che il clown conosca il mondo proprio dei bambini e quindi i cartoni animati, i giocattoli, le canzoncine, in modo da poterli utilizzare e richiamare nei suoi interventi. Utili in questa fase anche fiabe e storie, in particolare quelle aventi per protagonisti gli animali. I bambini ospedalizzati hanno infatti un grande bisogno di rifugiarsi nell’immaginario per sfuggire alla traumatica realtà dell’ospedale (box 3). Quinta osservazione. Nella stanza vi è una bambina di 4 anni: è sdraiata a letto con la flebo al braccio; seduta vicino a lei c’è la sua mamma. I due clowndottori (la Dottoressa Camomilla e la Dottoressa Tatapik) chiedono se possono entrare ma la bimba dice di no perché è arrabbiata. La mamma la convince perché vuole vedere lo spettacolo di magia fatto dai clown. Così piano piano i clown si avvicinano a loro facendo le bolle di sapone, la piccola le scoppia tutta contenta. I clown decidono di fare una magia: far diventare colorate le pagine bianche del loro libro. Un clown inizia a raccontare una storia con gli animali. Per vedere le pagine colorate dice alla bimba di battere sopra al libro con una bacchetta magica dicendo una parolina magica. Dopo aver detto la parola “colore” sulle pagine bianche sono apparsi dei disegni di animali a colori. Applausi generali. Mentre i clown fanno i palloncini, un’ape e un cagnolino per la bimba, arriva un’infermiera. La piccola dice: “Cosa fa la bianca (per via del colore della divisa)?” e l’infermiera risponde: “Sono bianca e azzurra (per il colore del colletto della divisa).” Poi quest’ultima dice alla bimba: “Ti hanno dato la bacchetta magica? Anch’io ho una cosa magica…” e ci fa vedere che al collo ha legato ad un cordoncino di plastica il pesciolino Nemo che si illumina. Poi, un clown ha chiesto alla piccola: “Vuoi una flebo alla nutella?” e la bimba ha risposto: “Sì!” tutta contenta. Box 3: osservazione di una bimba di 4 anni Dagli 11 anni in su, con la pubertà e l’ingresso nella delicata fase adolescenziale, il clown può utilmente lavorare con l’ironia e l’auto- 76 - ironia e sfoderare tutta la sua fantasia in scenette spiritose. In generale comunque, l’atteggiamento più saggio da adottare con gli adolescenti consiste nell’ascoltarli, poiché solo in questo modo li si stimola ad aprirsi, suggerendo l’atteggiamento più consono da adottare per entrare in contatto con loro (box 4). Sesta osservazione. Nella stanza in cui vi era la bambina di 4 anni arriva un ragazzino di 11 anni, alto e molto magro, fa un mezzo sorriso quando vede i clown-dottori. Questi ultimi lo hanno salutato, si sono presentati e gli hanno chiesto:”Vuoi anche tu una flebo alla nutella?” e lui ha risposto: “Me l’hanno tolta oggi!”. Il ragazzino si mette a ridere quando i due clown iniziano ad accusarsi a vicenda perché puzzano. Arriva la mamma del ragazzino e quest’ultimo dice ai clown-dottori: “Mia mamma ha una sorpresa nella pancia, è incinta!”. I clown fanno gli auguri alla sua mamma e le chiedono se sarà un bimbo o una bimba. La mamma ci dice tutta contenta che sarà un maschietto. Ad un certo punto il ragazzino inizia a piangere perché gli fanno male i punti dell’intervento all’appendicite. La Dottoressa Tatapik gli racconta che anche lei è stata sottoposta da piccola a questo tipo d’intervento e gli consiglia di schiacciare il punto: “Schiaccia, così hai meno male!”. Poco dopo il ragazzino si calma e smette di piangere. I clown-dottori decidono di far sdraiare sul letto il ragazzino e gli propongono di fare uno spettacolo di magia. Lui annuisce. Così, in un sacchetto vengono riposti al suo interno dei palloncini colorati annodati e per magia, dopo aver pronunciato una parola magica “spada”, diventano dei foulard annodati dello stesso ordine di colore dei palloncini. Dopodiché i clown hanno fatto dei palloncini: un topolino, un fiore per la sua mamma e due spade, una per il ragazzino e uno per il suo papà (arrivato da poco nella stanza). Questi ultimi hanno fatto finta di duellare con le due spade. I clown salutano tutti lasciando l’adesivo dell’Associazione ai bambini e colorando loro il naso di rosso. I genitori e i loro figli li ringraziano tutti contenti. Box 4: osservazione di un ragazzino di 11 anni - 77 - Indipendentemente dall’età dei bambini, una strategia che spesso funziona, suscitando un gran divertimento, consiste poi nel far eseguire qualcosa di buffo ai genitori, rendendoli in tal modo goffi e ridicoli. 32 Molto importante è il ruolo che i clown di corsia affidano ai genitori (o altri parenti) presenti nella stanza. Spesso si entra in contatto con il bambino attraverso il genitore; il sorriso o la risata di questi spalancano le porte del cuore del piccolo. La mamma ed il bambino sono in preda ad una spirale di ansia: lui sta male, la madre è in angoscia, il piccolo subisce l’aggravamento dipendente da quell’angoscia. Strappare la madre a quello stato, mediante un’azione comica non invasiva, fa migliorare la condizione del piccolo quasi automaticamente. 4.2 MOTIVAZIONI DELL’OPERATO DEL CLOWN-DOTTORE. I motivi per i quali un clown-dottore interviene in ambito pediatrico sono molteplici e si situano su piani e livelli differenti, ma egli si inserisce anzitutto in un più ampio progetto di umanizzazione, che intende portare alla creazione di strutture meno fredde e sempre più adeguate ai bambini, affinché l’esperienza della degenza ospedaliera sia resa possibilmente meno traumatica. Detto questo risulta evidente come la ragione più vera che spinge il clown ad agire è da ricercarsi in caratteristiche personali di sensibilità e di disponibilità. Il clown-dottore interviene infatti per cercare di allontanare o di ridurre i vissuti di paura, solitudine e distacco che spesso accompagnano la sofferenza, e per fare ciò cerca di stimolare il recupero dell’autostima e della fiducia negli altri e di facilitare i rapporti interpersonali e la collaborazione. “Quando il clown-dottore (foto 25) entra in un reparto pediatrico cerca di cogliere la curiosità dei bambini inizialmente dirottando l’attenzione sul personale medico ed infermieristico creando complicità attraverso lo scherzo, in modo da tastare il terreno senza sembrare troppo intrusivi. Rotto il ghiaccio intraprende un dialogo più 32 C. SIMONDS, B. WARREN, La medicina del sorriso. L’esperienza dei clown-dottori con i bambini, Milano, Sperling&Kupfer editori, 2003, pp. 106-107 - 78 - aperto e diretto con il bambino attraverso giochi di prestigio, battute spiritose e altre forme di comunicazione atte a liberare l’angoscia che spesso accompagna un ricovero, o esternare la paura di separazione dai genitori. Naturalmente questi momenti più delicati sono da escludere se non si possiede una preparazione più che sufficiente anche su temi di ordine psicologico; l’importante è che lo scopo principale rimanga quello del divertimento come distrazione, come svago.”33 Foto 25: “Il dottore dei bambini” di Ajroldi Beniamino (www.italianartplease.com) Nonostante l’accento sul divertimento e la distrazione, l’intervento dei clown-dottori negli ospedali non è solo un servizio d’attività ricreativa, ma un supporto psicopedagogico e viene in aiuto ai piccoli pazienti che si trovano a dover superare l’impatto con la realtà ospedaliera. L’attività del medico-clown spesso aiuta il bambino ad inserirsi più serenamente nell’ambiente ospedaliero e talvolta ha anche dei riflessi positivi sulle terapie: infatti il sorriso produce endorfina e chi sorride ha una migliore difesa immunitaria. Utilizzando la gioia e le risate per favorire la liberazione, da parte del cervello, di alcune endorfine e di altri neurotrasmettitori in grado di dare piacere e di agire 33 G. RICCI, N. BIATO, Dal curare al prendersi cura: bisogni e servizi educativi per un bambino ospedalizzato, Roma, Armando, 2003, p. 134 - 79 - come sedativi naturali, la clownterapia si propone cinque obiettivi fondamentali: - ridurre lo stress da paura e da sofferenza; - diminuire l’uso dei farmaci, fino al 50%; - contenere l’ansia e alleviare il dolore; - rendere più sopportabile la degenza ospedaliera; - abbreviare i tempi del ricovero e della cura. Certamente il compito primario del clown resta quello di portare il sorriso, il riso e la gioia dove c’è la sofferenza; questo anche perché far ridere è dare amore e operare un radicale mutamento della sfera emotiva, della socialità e dell’autostima. La risata che egli cerca di stimolare con il suo intervento sembra poi essere un vero e proprio atto terapeutico. Ridere ed impegnarsi in un’attività ludica, permettendo un investimento di energie tale da provocare varie modificazioni fisiologiche e psicologiche, stimola in pratica una migliore reattività alla malattia, accelerando il processo di guarigione, agevolando le cure mediche e rendendole più efficaci. 34 Ridere insieme permette di aprirsi agli altri e di instaurare relazioni positive; il clown cerca attraverso il mezzo della risata di creare con il bambino un clima di fiducia, che gli permetta di esprimersi. Il riso assume in questo modo anche funzioni di tipo conoscitivo ed emotivo poiché, permettendo l’instaurarsi di relazioni significative, consente al bambino di esternare liberamente i propri stati d’animo e di farsi conoscere anche nelle sue debolezze; a questo proposito la risata può avere una notevole efficacia quando riesce a porsi come sbocco emotivo in casi complessi di chiusura. 35 La clownterapia mira a stimolare nel bambino la capacità di reagire, valorizzandolo al di sopra della malattia nella sua parte sana; rivolgendosi in particolare alla parte che è in buona salute i clown aiutano genitori e operatori a prendere coscienza del fatto che il bambino non si riduce alla sua malattia e dunque sono in grado di offrire una visione diversa delle cose. 36 Emerge così con evidenza 34 C. SIMONDS, B. WARREN, La medicina…, o. c. , pp. 41-42 M. CAPURSO, Gioco e studio in ospedale: creare e gestire un servizio ludico-educativo in un reparto pediatrico, Trento, Erikson, 2001, p. 186 36 C. SIMONDS, B. WARREN, La medicina…, o. c. , p. 81 35 - 80 - come la clownterapia non consiste solamente nel far ridere per forza e anzi spesso si avvale semplicemente di una carezza, uno sguardo, una parola. Ciò risulta chiaramente osservando l’adoperarsi del clown per la sdrammatizzazione dei vissuti e delle situazioni stressogene e per la rielaborazione dell’esperienza ospedaliera in modo non traumatico; dando voce al dolore e ponendosi in condizioni di ascolto ed accoglienza egli riesce a dirigere verso una catarsi che rende liberi da angosce e ansie. Dispensando emozioni positive il clown-dottore cerca di sollevare lo spirito, diffondere la gioia, trasmettere calore umano, regalare un sorriso, un momento di svago, intrattenimento e socializzazione. Lavorando con e sulle emozioni si pone inoltre l’obiettivo di insegnare ad esternare e neutralizzare i sentimenti negativi e valorizzare e potenziare quelli positivi, restituendo loro un giusto spazio nel processo di guarigione. È dunque suo compito ridefinire tutto in positivo dando conferme e trasformare, quando si può, le emozioni negative mutandole di segno. 4.3 IL COMPORTAMENTO DEL BAMBINO DURANTE LA MALATTIA. Per un bambino il ricovero in ospedale rappresenta un evento fisico ed emotivo perché è sempre e comunque un’emozione intensa e un’esperienza assolutamente particolare. All’inizio i dottori, le infermiere e tutto il personale ospedaliero, sono per lui solamente camici bianchi anonimi che si muovono in uno spazio sconosciuto, completamente differente da quello familiare e percepito come poco dominabile. Più il bambino è piccolo, più queste figure possono essere vissute come imprevedibili, paurose. “Ad aumentare l’ansia del bambino provvede anche il fatto di dover dormire in un letto non suo, di dover mangiare insieme ad altri bambini sconosciuti, di dover seguire orari diversi da quelli a cui è abituato, oltre al fatto di dover sottostare a pratiche invasive da parte di adulti sconosciuti (e si badi che anche il mettere il termometro può essere vissuto come una pratica invasiva) ciò in una situazione in cui - 81 - tutto avviene al cospetto di tutti, in un contesto ampio e da lui poco dominabile e in cui non sembra più esistere nulla di privato.” 37 Se adeguatamente seguito dalla famiglia e dal personale ospedaliero, ognuno, per piccolo che sia, distinguerà, con i suoi tempi, le nuove relazioni e instaurerà, nella maggior parte dei casi, un rapporto di fiducia che, non sarà dipendente dall’eventuale trattamento doloroso, ma dal livello di empatia che si è venuto a creare.38 Nel bambino la sensazione di paura generata dall’ospedalizzazione rinforza la sua dipendenza dalle figure parentali. È stata rivolta molta attenzione alla figura e al ruolo della madre, persona con la quale il bambino stabilisce le sue prime relazioni, e alla sua funzione indispensabile durante l’ospedalizzazione del bambino. “La madre è indispensabile per il bambino per conoscere e rapportarsi in modo sereno con l’ambiente che lo circonda. Soprattutto per i più piccoli essa è il filtro attraverso il quale il bambino si avvicina al mondo esterno, uno spazio di sicurezza dal quale può scoprire il mondo.” 39 La mamma può facilitare molto i rapporti tra il personale curante e il bambino, non solo tenendolo tranquillo durante le procedure sanitarie, ma anche comunicando ai curanti le sue piccole abitudini (il nome con cui indica i vari oggetti, come è abituato a essere chiamato…) facilitando il suo inserimento nella vita del reparto. Se la madre assiste alle medicazioni e alle iniezioni può spiegarne al figlio il motivo e consolarlo se sono dolorose. Inoltre essa cercherà di far capire al suo bambino che tutti desiderano vederlo migliorare e guarire, e che un male “piccolo” (un’iniezione o una medicina amara) non è una punizione ma soltanto un mezzo per farlo guarire. 40 La funzione paterna in ambito ospedaliero non è così facilmente definibile come quella materna: il padre infatti per molto tempo ha mantenuto un atteggiamento più distaccato nei confronti del figlio, rispetto alla madre, probabilmente perché maggiormente impegnato in 37 S. KANIZSA; B. DOSSO, La paura del lupo cattivo. Quando un bambino è in ospedale, Roma, Meltemi editore, p. 20 38 M. T. MANGINI, M. L. ROCCA, Cappe gialle: un po’ di colore tra i camici bianchi dell’ospedale pediatrico, Milano, Ethel editoriale Giorgio Mondatori – Gruppo d’Adamo, 1996, p. 20 39 G. FILIPPAZZI, Un ospedale a misura di bambino. Esperienze e proposte., Milano, Franco Angeli, 1997, p. 20 40 Ibi, p. 21 - 82 - attività esterne alla famiglia. La figura paterna, molto importante per il bambino, è meno presente in ospedale. Alcuni padri sono latitanti per necessità di lavoro e di mantenimento della famiglia. La partecipazione dei genitori alla promozione della salute del bambino e la loro possibilità di stargli vicino anche durante il ricovero fanno sì che l’ospedalizzazione infantile si configuri sempre più come un processo complesso che coinvolge fortemente non solo il bambino ma anche la sua famiglia. La comunicazione con l’adulto è fondamentale per sentirsi sostenuti e condividere ciò che accade. Il malato, a qualsiasi età, instaura buone relazioni quando sente di essere rispettato, capito nella sua individualità, nei suoi bisogni e nei suoi tempi. La via comunicativa per entrare in contatto con il bambino è impercettibile, la si trova dopo vari tentativi, esplorando con delicatezza i diversi livelli: verbale, non verbale, corporeo. L’intesa si troverà attraverso una frase comprensibile, uno sguardo espressivo o un sorriso complice.41 4.4 ATTIVITA’ PER I BAMBINI IN OSPEDALE: IL GIOCO “L’attività è gioia e la gioia fa l’effetto di un’iniezione di salute”. Questa frase della famosa pedagogista Maria Montessori fa capire quanto sia importante in reparti come la Pediatria poter dare la possibilità al bambino di continuare a giocare e a sorridere anche quando la sua vita viene sorpresa da eventi imprevisti e il suo “mondo bambino” viene sostituito dal “mondo sanitario”. Tra le attività sperimentabili con profitto in situazioni di ricovero nell’infanzia e nella fanciullezza, un posto di rilievo spetta senza dubbio al gioco, che in ospedale assume una valenza educativa e terapeutica in quanto strumento che predispone all’evento della malattia stemperandone gli aspetti negativi. L’attività ludica rappresenta il mezzo privilegiato per affrontare e superare la condizione di passività e chiusura che il bambino sperimenta in seguito all’ospedalizzazione, permettendogli di essere 41 M. T. MANGINI, M. L. ROCCA, Cappe gialle…, o. c. , p. 23 - 83 - protagonista attivo e di accrescere il suo senso di autostima continuando a sperimentarsi e a definire positivamente la propria personalità. “Per alleviare gli aspetti negativi ed il disagio della vita in ospedale è costituita dal fatto che il bambino sia messo in condizione di potersi impegnare a fondo nel gioco. Gli effetti positivi sono molteplici: impegnandosi in un’attività che gli è abituale, il bambino avverte una continuità con la sua vita quotidiana e pertanto la nuova situazione dell’ospedale gli sembra in certa misura meno estranea. Inoltre, l’impegno e l’attività sono degli antidoti all’ansia in quanto migliorano la situazione emotiva generale del bambino. Il gioco può poi essere utilizzato sia come preparazione a interventi chirurgici o terapie, disunendo in tal modo notevolmente la paura del nuovo e dell’imprevisto presente in tali situazioni, sia come mezzo di liberazione delle tensioni emotive che molto spesso inevitabilmente si sviluppano nello stato di malattia e nell’ospedalizzazione”. 42 Il gioco dell’ospedale riguarda situazioni di tipo sanitario e prevede solitamente l’uso di strumenti medicali. Attraverso esso il bambino può acquisire informazioni sulle terapie, attenuare ed esprimere stati d’animo quali la paura e l’ansia. Più specificatamente si parla a questo proposito di gioco delle parti o di drammatizzazione, poiché il bambino assume il ruolo delle varie figure professionali che si occupano di lui e ne mette in pratica le azioni su pupazzi e bambole, utilizzando strumenti e materiale sanitario. Questa attività permette una riduzione del disagio per il fatto che, sdrammatizzando la situazione e rendendo meno minacciosi strumenti ed azioni, consente al bambino di familiarizzare con tutto ciò che riguarda la sua malattia e ne stempera conseguentemente ansie e timori. “La funzione terapeutica del gioco opera anche in via preventiva: anticipando nella finzione ludica l’evento, il bambino dissolve vissuti d’ansia e controlla la futura esperienza spiacevole”. 43 Un caso particolare di gioco per prevenire le ansie da ospedalizzazione, è quello dell’Ospedale dei pupazzi (foto 26), situato 42 P. BREGANI, A. R. DAMASCELLI, Il gioco in ospedale. Il gioco come aiuto ai bambini per superare i traumi dell’ospedalizzazione, Milano, Emme, 1978, pp. 41-42 43 A. NOBILE, Gioco e infanzia, Brescia, La scuola, 1994, pp. 144-145 - 84 - in uno spazio chiuso (ospedale, ambulatorio, scuola) oppure una tenda da campo che sarà sistemata in una piazza o luogo pubblico della città per 1 o 2 giorni. L’ambientazione sarà resa realistica utilizzando un processo simile a quello usato negli ospedali veri. I bambini saranno ricevuti nell’accettazione e da qui si sposteranno nella sala d’attesa fino a che non verranno chiamati da un pupazzologo. Accompagnati da quest’ultimo, essi andranno nell’ambulatorio dove sarà svolta la visita. Foto 26: Ospedale dei Pupazzi (www.sism.org) Visitando l’Ospedale dei pupazzi, i bambini di un’età compresa tra i 3 e i 7 anni, potranno portare i loro peluche e le loro bambole perché vengano curati dai pupazzologi (studenti di medicina). I bambini potranno così seguire l’intero corso di una visita in ospedale senza essere loro stessi i pazienti. Inoltre, essi inventeranno la malattia per i loro piccoli amici, che possono essere trattati e curati nell’Ospedale dei pupazzi. Il dottore deve raccogliere l’anamnesi del paziente chiedendo al genitore del pupazzo (il bambino) le informazioni necessarie. I pupazzi verranno pesati e misurati dalla testa ai piedi per vedere se sono delle giuste dimensioni per la loro età. Potranno essere utilizzati diversi strumenti per la diagnosi dei pupazzi: stetoscopi veri, macchinari per i raggi X o l’ECG fatti apposta per l’Ospedale dei pupazzi, cerotti, bende… Per realizzare tutto questo verranno coinvolti gli studenti delle facoltà di Medicina che partecipano al progetto dell’Ospedale dei Pupazzi, che dovranno essere preparati alla loro professione di “pupazzologi” tramite un corso sull’approccio al piccolo paziente. Verrà inoltre fornita ai pupazzologi tutta una gamma di - 85 - possibili diagnosi, accorgimenti e prescrizioni tra le quali scegliere nel corso delle visite, oltre ai ricettari e libretto sanitario (modelli) su cui scrivere le loro conclusioni. I trattamenti dei pazienti saranno limitati all’auscultazione, bendaggio, rilevazione della pressione sanguigna e così via, anche se sarà possibile effettuare degli interventi di sutura in sala operatoria in caso di necessità. Le prescrizioni possono consistere in favole da raccontare, coccole, carezze oppure in medicine o punture. Nell’ospedale è prevista anche una farmacia, dove i bambini si recheranno dopo la visita con la ricetta a prelevare le “medicine” prescritte. Finora gli Ospedali dei pupazzi sono stati organizzati con grande successo in Germania, Inghilterra, Norvegia, Svezia, Olanda, Croazia e altre nazioni europee e non solo. Al momento, in diverse città italiane quali Siena, Ferrara, Brescia, Genova, Milano, Monza, Napoli, Padova, Palermo si è svolto questo tipo di progetto.44 “Gli ospedali sono di per sé dei luoghi che spaventano un bambino ma le operazioni, gli interventi e i trattamenti spesso lo terrorizzano. Un’accurata ed esauriente spiegazione attraverso il gioco che anticipi l’esperienza che il bambino dovrà subire allevia la sua tensione, familiarizzandole e rendendolo partecipe della situazione che dovrà affrontare. Per esempio, una spiegazione e una utilizzazione nell’attività di gioco degli strumenti medici necessari all’intervento di anestesia o all’esame radiologico, possono ridurre enormemente le ansie del bambino ad esso relative”.45 Altre numerose iniziative possono essere messe in atto nei reparti pediatrici allo scopo di risollevare l’umore dei bambini. Tra queste svolgono un ruolo importante le feste, in particolare quelle legate a precise ricorrenze, come i compleanni o le festività, in quanto funzionano da collegamento col mondo esterno, con la normalità. In alcuni ospedali è previsto addirittura l’ingresso di piccoli animali domestici, i quali, secondo i principi della pet-therapy, aiuterebbero a ritrovare tranquillità dopo il trauma del ricovero, 44 45 www.sism.org P. BREGANI, A. R. DAMASCELLI, Il gioco in ospedale…, o.c. , pp. 85-86 - 86 - consentendo ai bambini di assumere un ruolo di protezione verso una creatura più debole. Tra le più semplici modalità di espressione artistica stimolate con profitto nei reparti pediatrici rientrano sicuramente il disegno e la manipolazione, queste attività, oltre a compensare le carenze dovute alla limitazione di movimento (es.: flebo al braccio, post intervento chirurgico,…), permettono l’espressione dell’aggressività ed assumono l’importante funzione di strumento diagnostico, attraverso il quale gli adulti possono interpretare le emozioni ed i sentimenti che i bambini non riescono ad esternare in altri modi. Simili obiettivi sono perseguiti anche addentrandosi in ambito letterario e cioè stimolando l’invenzione e la scrittura di poesie e racconti o semplicemente narrando favole o fiabe che inducano i bambini a sognare e ad entrare in contatto col mondo dell’immaginario. Un’ulteriore forma d’arte in grado di assumere un importante ruolo in situazione di ospedalizzazione è la musica sia essa sperimentata in modo passivo (es.: chitarra suonata dal clown) o attivo: ascoltata può rilassare e dare conforto o divertire e rallegrare, mentre agitata (es.: bimbo che suona le maracas o i tamburelli) permette principalmente lo scarico delle tensioni e la comunicazione di sentimenti. Attraverso la musica è poi possibile instaurare con i bambini un rapporto profondo, in modo che sentano di non essere abbandonati a sé stessi; ecco dunque che le note possono accompagnare numerose situazioni vissute dai piccoli ricoverati rendendole meno spiacevoli, ad esempio stemperandone l’ansia prima di una visita medica o di pratiche invasive. In ogni caso la musico-terapia, oltre ad essere utilizzata per controllare la paura ed il dolore, agisce anche in vista di una più piena accoglienza e riesce in questo modo ad occuparsi contemporaneamente del contesto fisico e di quello umano, favorendo scambi e relazioni in un ambiente più sereno e disteso. - 87 - CAPITOLO QUINTO: il sorriso 5.1 VALORE EDUCATIVO ED APPRENDIMENTO COL SORRISO. È possibile evidenziare un collegamento tra il sorriso e l’educazione; sembra pertanto utile approfondire questa tematica come ulteriore sostegno della legittimità di una reale terapia del sorriso. Dopo aver osservato la clownterapia in corsia ospedaliera, vengono ora sottolineati gli aspetti che ne fanno un efficace strumento educativo soprattutto per i bambini ricoverati. Benché si tenda a sottostimare il ruolo pedagogico del sorriso e della comicità, frequentemente viene sottolineata l’utilità di un atteggiamento scherzoso nelle relazioni educative. Durante un percorso formativo la miglior carta di presentazione è spesso un sorriso aperto e sincero. Avviare una relazione educativa trasmettendo serenità e positività è poi un ottimo presupposto per ottenere fiducia e collaborazione e per instaurare una comunicazione. Il sorriso fa parte della comunicazione non-verbale, dell’insieme di messaggi che inviamo per affiancare, sottolineare, talvolta sostituire le parole. “Esso è la molla che attiva lo sguardo, l’interesse a prolungare lo stato di vigilanza, diventando un messaggio che accresce le certezze; esso, quindi, acquista valore nei meccanismi cognitivi e nei processi di interazione e individuazione dell’Io. Il bambino impara a collegare il sorriso alle manifestazioni di tenerezza che esso determina e comincia a interagire con un atteggiamento sempre più costruttivo sul piano relazionale”. 46 Un sorriso o una battuta divertente generalmente creano un’atmosfera serena ed accogliente: infatti hanno il pregio di mettere le persone a proprio agio e di favorire un’apertura alla relazione, cercando di predisporre il nostro interlocutore ad uno stato d’animo più positivo. 46 S. CORBO, Bambini in asili nido, Roma, Armando Editore, 1994, p. 163 - 88 - “L’educatore cauto non entra da padrone, né adopera il riso dell’iconoclasta; egli sa far sentire al fanciullo nella sua simpatia, che prima di ogni altro lo stesso fanciullo è giudice e superatore di sé stesso e lo conforta e lo sospinge”. 47 Il sorriso deve essere considerato un elemento fondamentale della professionalità dell’educatore. Esso rappresenta, con i suoi diversi contenuti induttivi, un comportamento di alto significato umano e professionale e l’attitudine a rispondere al bisogno di conforto del bambino. La necessità che il valore del comico in educazione sia riconsiderato più approfonditamente è riconosciuta da tempo, come dimostra un interessante studio degli anni Settanta che si occupa proprio dello stretto rapporto tra comico, creatività ed educazione. La ricerca è stata svolta da Mario Valeri e Giovanni Genovesi con la sincera e valida partecipazione degli alunni della scuola “R. Pezzani” di Parma e dal parere favorevole degli insegnanti. Sono stati distribuiti dei questionari in diciassette classi (nove di terza e otto di quinta elementare). I risultati della ricerca hanno portato ad una considerazione positiva dell’educazione al senso del comico. Infatti, secondo un’insegnante di una delle classi prese in esame: “L’educazione al comico è formativa, perché aiuta a vivere, a sdrammatizzare certe situazioni che siamo propensi a credere solo nostre e che sono di tutti, della vita di ogni giorno”. Come ci hanno insegnato gli antichi greci con l’uso della commedia, la capacità di rilevare il ridicolo nelle cose e nei fatti, se non si limita ad una posizione di spettatore soltanto divertito, deve stimolare l’intelligenza ad intervenire in maniera arguta e pensosa: tutto ciò porta ad una maggiore carica di umanità. Educare al senso del comico significa anche sviluppare la fantasia dei fanciulli, che trasforma immagini reali in immagini figurative e viceversa. L’umorismo è anche un modo di prendere contatto con la realtà, mascherando gli eventuali dolori e stati d’animo, un modo per non essere mai soli perché la persona di spirito è anche la più ricercata perché più simpatica e socievole. Il sorriso inoltre produce sensazioni 47 M. VALERI, G. GENOVESI, Comico, creatività, educazione, Firenze, Guaraldi, 1973, p. 32 - 89 - piacevoli, attira persone e situazioni più positive, regala ottimismo; emozioni e pensieri negativi perdono il loro potere. “Le aperture umane e le conclusioni di cui il fanciullo è protagonista ad ogni momento della sua esistenza scolastica trovano assai spesso espressione nelle sue valutazioni di comicità, e attraverso di queste possono essere diagnosticate. E d’altra parte è per il tramite del senso comico che si profila la possibilità di stabilire con il fanciullo dei rapporti di simpatia e di collaborazione suscettibili di notevoli ulteriori sviluppi in senso educativo; ed è da esso, dal senso del comico del fanciullo, che occorre muovere per superare, integrandoli in schemi mentali più comprensivi e profondi, i contrasti, le fratture di significati dell’esperienza, che in esso appunto esprime il fanciullo (figura 27)”.48 Figura 27: bimbo-clown (www.aurorablu.it) In campo scolastico, l’umorismo migliora il rapporto insegnanteallievo in quanto mantiene vivo l’ascolto e l’apprendimento. Se l’allievo è ansioso, la sua attenzione viene assorbita, distratta dalla tensione e non è quindi disponibile per agire come dovrebbe. Il ridere fa scaricare l’ansia e libera l’attenzione, permettendo un lavoro efficiente e soddisfacente. Inoltre l’umorismo serve in un primo tempo a risvegliare l’attenzione dell’allievo, stimolandone la curiosità sulle 48 R. LAPORTA, Il senso del comico nel fanciullo ed il suo valore nell’educazione, Bologna, Malipiero, 1957, p. 154 - 90 - nozioni da apprendere e poi a mantenerla costante. Ciò aumenta la probabilità di trattenere nella memoria il materiale da imparare. 49 “La condivisione da parte dell’educatore delle esperienze infantili, la comunità dell’elaborazione di esse, è ciò che gli permette di assumere, per dir così, in solido con i fanciulli le reazioni di comicità a determinate situazioni, e di condividere, facendo pesare in ciò la propria personalità per quanto possibile, i loro successivi sviluppi. Codesta assunzione, tale da impegnare l’educatore non solo nella elaborazione intellettuale e pratica dell’esperienza, ma altresì nell’atmosfera emotiva che si genera da quella, determina nel gruppo che dell’esperienza è il protagonista vincoli sociali esprimibili con termini come simpatia, solidarietà, fiducia nella comprensione reciproca. La conoscenza del fanciullo attraverso le reazioni di comicità si presenta anche qui come l’altra faccia della costituzione del rapporto educativo: non si conosce se non si opera insieme per un interesse comune, e non si può operare efficacemente se non conoscendosi sempre meglio. L’educazione una volta di più si rivela rapporto umano totale, integrale, e quindi essenziale ed unico: indivisibile nei suoi aspetti astratti. E il comico ci si dimostra a sua volta ricco di elementi emotivi fra i più facili ad impiegarsi per stabilire tale rapporto. Il riso associa, accomuna chi ride: la socialità del riso, di cui si è detto a suo tempo, sebbene gravida di chiusure e di inibizioni verso l’esterno, è un fatto che l’educatore non può ignorare e del quale deve potersi servire quando gli sia utile. È questo dunque un orientamento che viene spontaneo di proporre ad una sperimentazione didattica conscia dell’interesse che la comicità presenta per l’educazione”.50 Il comico assume nuovi aspetti e sarà compito dell’insegnante saperli cogliere per indirizzarli a fini formativi. Il bambino potrà così sviluppare ed affinare la sua sensibilità per creare nuove situazioni di esperienza che libereranno la sua personalità attraverso quel “comico che appare come il cerchio luminoso che muovendo avanti verso 49 G. FERRARIO, Ridere di cuore. Il potere terapeutico della risata, Milano, Tecniche Nuove, 2006, p. 35 50 Ibi, p. 156 - 91 - nuove ragioni del reale, contribuisce a scoprire le disarmonie e i contrasti per meglio comporre e costruire”. 51 In questi ultimi anni l’uso della clownerie o del clowning, nell’ambito dei laboratori di teatro, sia in Italia che all’estero, è stato molto apprezzato da docenti e allievi. Esistono molte esperienze in proposito, una fra queste è l’esperienza reggiana della Scuola Media Belvedere. Qui è stato realizzato un progetto educativo della durata triennale al quale prendono parte molti insegnanti di discipline diverse. Il clowning è uno strumento importante per coinvolgere bambini e ragazzi in un protagonismo positivo. “La ricerca del proprio clown” è inserita in un lavoro didattico basato sulle potenzialità corporee, l’espressività, la costruzione dell’identità. L’esperienza di clowning aiuta, non solo a prendere più dimestichezza con il linguaggio delle emozioni, ma soprattutto a collaborare con i compagni e a vincere alcune spigolosità.52 5.2 RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE. Non è detto, però, che far ridere sia facile e far ridere le persone malate è ancora più difficile; quando poi si tratta di far ridere i bambini malati risulta un’impresa notevole perché cambia il modo di rapportarsi con loro: l’adulto che vuole far divertire il bambino deve necessariamente sapersi porre sul suo stesso piano, deve trovare una sintonia in grado di liberare le emozioni e di accogliere lo scherzo. Un altro problema è quello di analizzare ciò che fa più paura al bambino nella situazione del ricovero. Ovviamente il personale sanitario, proprio a causa del ruolo che deve rivestire, un ruolo intrusivo che invade lo spazio privato del minore e della famiglia, che invade la corporeità altrui, rimane l’oggetto di maggiore ansia da parte dei degenti. Sarà su questa figura che si dovrà lavorare per far ridere ma anche per far passare un po’ la paura. Da qui la scelta di trasformare l’idea del medico con il suo impeccabile camice bianco e gli strumenti del mestiere (lo stetoscopio al collo e la penna che sporge dal taschino 51 M. VALERI, G. GENOVESI, Comico, creatività, educazione, o. c. , p. 155 A. FARNETI, La maschera più piccola del mondo. Aspetti psicologici della clownerie, Bologna, Alberto Perdisa editore, 2004, pp. 148-152 52 - 92 - che rappresentano lo stereotipo del medico) in un clown, personaggio un po’ goffo simile a quelli che si vedono nelle favole, nei cartoni animati, nelle carte da regalo o nei giocattoli; in ogni oggetto studiato per i bambini, questa figura ha gradualmente assunto la connotazione emblematica di un personaggio amico dei piccoli. Il clown è stato scelto come simbolo di gioia e d’innocenza. Esso è una creatura debole e sognante, attraverso la sua visione del mondo da’ libertà e respiro a chi lo guarda. Ecco che il tramite è stato creato: il “dottore cattivo”, nella fantasia di molti, diventa un clown, da sempre presente nell’immaginario infantile. L’input di un cambiamento così radicale arriva dall’America, precisamente da Hunter Adams, soprannominato da tutti Patch. Vedere dei clown che passeggiano nei corridoi dei reparti vestiti in modo buffo attira certamente l’attenzione dei presenti, sia grandi che piccini, producendo senza dubbio effetti distensivi. Esiste quindi la possibilità che questi personaggi possano avere la funzione di ponte tra la fantasia, mondo di appartenenza squisitamente infantile, e la realtà medica: se il bambino incontra un clown “travestito” da dottore e sorride alla vista di un naso rosso o di toppe colorate sui pantaloni che spuntano da uno pseudo camice, forse sarà curioso di scoprire se anche il medico “vero” tiene nascosti da qualche parte alcuni palloncini colorati e dei giochi di magia. Tale mediazione sarebbe dunque utile per sdrammatizzare le paure legate alla rappresentazione che il bambino ha dei medici e della cura. Come descritto nel quarto capitolo, vi è una realtà ben diversa rispetto ad altri ospedali italiani per quanto riguarda le patologie dei piccoli pazienti. Infatti, qui le patologie più ricorrenti sono: crisi di asma, infezioni alle vie urinarie, convulsioni febbrili, post intervento appendicite… In Valle i bambini malati di tumore vengono visitati nel nostro reparto pediatrico per poi essere trasferiti e curati negli ospedali fuori Valle. Con il passare degli anni la medicina ha fatto grandi passi, molte patologie possono essere curate con degli appositi farmaci. Il medico può così dedicarsi di più al bambino. Se un dottore si limita a visitare e poi se ne va, non avrà mai un rapporto con il piccolo paziente. Se invece dà del suo tempo “non in veste da medico”, ma - 93 - magari va in reparto nel pomeriggio per chiacchierare con i bambini o fare un gioco allora potrà diventare anche un amico. Per entrare in relazione con il bambino ci vuole tanto tempo. Il bambino deve essere accolto come un piccolo ospite, accompagnato al suo letto, presentato ai suoi compagni di stanza, malati come lui. Il suo nome è parte integrante di lui, e deve quindi essere bene in vista all’ingresso della camera, affinché ciascuno possa rivolgersi a lui chiamandolo per nome. Sentendosi rispettato e circondato da persone che sanno chi è lui e che gli si sono presentate al primo incontro, potrà stabilire più facilmente un rapporto di fiducia. I medici e gli infermieri capaci e desiderosi di trasformarsi in clown sono abbastanza rari: non tanto perché non abbiano le competenze pratiche, ma soprattutto per la paura di rompere equilibri delicati nel rapporto con i pazienti. Uscire dal proprio ruolo è sempre difficile. La classe medica deve in qualche modo conservare il suo potere consolidato nei secoli: non si può negare che essa sia molto potente, non è facile modificare un certo atteggiamento nei confronti dei malati. Non bisogna dimenticare che non solo i medici ma anche i pazienti hanno bisogno dei “rituali” di un ospedale tradizionale. Se è vero che essere trattati come numeri può accentuare il disagio dal paziente, specie se chi ti sta davanti non è più una persona ma un letto o un numero o una patologia, è più facile affrontarlo, prestargli le dovute cure. È anche vero che vedere il medico come un uomo particolare, che possiede la “scienza che cura”, esprimendosi magari con parole incomprensibili che ne accentuano il prestigio, può far sentire il malato in buone mani. Il gioco dei ruoli è sempre importante ma in ospedale lo è più che in altri contesti. Non si deve dimenticare che il malato ed i suoi parenti sono in una condizione di dipendenza, che li rende vulnerabili e fragili. Si aspettano delle certezze e delle parole definitive da persone che ritengono forti e onnipotenti. Si può fare appello solo alla sensibilità di chi ha effettivamente nelle mani la vita degli altri. I medici e i paramedici hanno un compito molto arduo perché non devono assolutamente perdere in credibilità e, nel contempo, devono apparire umani quel tanto che basta. - 94 - Il tempo in cui è uscito il famoso film basato sulla vita di Patch Adams è stato apprezzato perché i tempi erano pronti ad accogliere discorsi che, solo qualche decennio fa, ci avrebbero scandalizzati. Non sarebbe stato accettato da nessuno un medico che si lascia andare a giocare con i malati e che si traveste da clown facendosi beffe della sua autorità. Neppure se animato dalle migliori attenzioni. Non si può curare solo “un corpo” e si deve far in modo che l’intera persona venga presa in carico dagli operatori sanitari. Per molto tempo l’ospedale è rimasto un luogo un po’ isolato dal mondo, in cui vigevano regole rigide, i medici e gli infermieri parlavano un linguaggio criptico e si avvicinavano al paziente solo per curarlo. Bisogna rendere l’ambiente ospedaliero un luogo in cui non solo si soffre o si muore, ma in cui si possa vivere per sopravvivere. La vivibilità di un reparto è condizione indispensabile per il buon rendimento di medici e infermieri, l’efficacia delle terapie dipende in una buona percentuale dal clima emotivo che si instaura. La presenza di personale adeguatamente preparato significa dire al bambino: “conosco i desideri dei bambini e desidero rendere piacevole la tua permanenza, aiutandoti a trovare nuovi amici ed a imparare nuovi giochi”53, allontanando così da lui il rischio di cadere nella passività e di concentrarsi sulla sua condizione di “malato”. Da qui la missione di MAKE-A-WISH, quella di esaudire i desideri di bambini tra i 3 ed i 17 anni affetti da gravi malattie, per portare loro un momento di gioia e di speranza. Per un bambino gravemente malato, vedere che il suo desiderio si realizza, significa capire che nulla è impossibile, recuperare speranza e forza per continuare a lottare, significa dimenticare per un attimo di essere malato e tornare ad essere semplicemente un bambino. Normalmente i desideri più richiesti rientrano in queste quattro categorie: visitare posti che hanno sempre sognato ma mai visto, incontrare un personaggio famoso, sognare cosa vorrebbero fare da grandi e vivere nel presente quell’esperienza oppure possedere qualcosa in particolare come un computer, la maglia dello sportivo preferito, un giocattolo speciale. Per 53 G. FILIPPAZZI, Un ospedale a misura di bambino. Esperienze e proposte, Milano, Franco Angeli, 1997, p. 14 - 95 - tutti i desideri Make-A-Wish si prende cura di tutti i particolari necessari per fare sì che il desiderio diventi realtà nella maniera più magica possibile. Figura 28: logo Make-A-Wish Italia ONLUS (www.makeawish.it) Make-A-wish è presente in 30 Paesi nei 5 continenti, con 176 uffici e 36.000 volontari. Make-A-Wish, che ha recentemente ricevuto il riconoscimento ufficiale dell’ONU, è oggi une delle organizzazioni benefiche più conosciute e reputate a livello mondiale, dal 1980 ha realizzato oltre 140.000 desideri. Make-A-Wish Foundation è nata ventisette anni fa. Nel 1980 a Phoenix (Arizona) Chris Greicius, un bimbo di 7 anni affetto da leucemia, aveva il grande desiderio di fare il poliziotto. La famiglia, gli amici e la comunità di Phoenix si sono allora mobilitati per dare l’opportunità a Chris di vivere un’esperienza indimenticabile. Il bimbo è stato ricevuto con tutti gli onori dal locale distretto di Polizia, ha potuto indossare una divisa fatta apposta per lui, ha prestato giuramento, ed è stato nominato poliziotto onorario. Quindi è andato in pattuglia, e ha persino fatto una ricognizione in elicottero. Purtroppo, dopo alcuni giorni, la malattia ha avuto il sopravvento. Le persone che si erano mobilitate per realizzare il desiderio di Chris, profondamente toccate, hanno deciso di adoperarsi per permettere anche ad altri bambini di poter rivivere la magia di quei momenti indimenticabili. Make-A-Wish Italia ONLUS (figura 28) è stata fondata nel settembre 2004 per onorare la memoria di Carlotta Frontani, una bambina veramente speciale scomparsa per una grave malattia nel novembre 2002 all’età di 10 anni. Le cure cui Carlotta è stata sottoposta, l’hanno obbligata a restare per oltre otto mesi isolata in una camera sterile senza alcun contatto con l’esterno. Durante i lunghi - 96 - mesi del ricovero, Carlotta ha sempre dimostrato un grande interesse per gli altri bambini che erano ricoverati nel suo reparto: non li poteva conoscere di persona ma inevitabilmente sapeva di loro dai medici e dalle infermiere. Era molto interessata alle storie di questi bambini e cercava in qualche modo di essere loro vicina mandando un piccolo regalo: un giocattolo, una videocassetta, un disegno. I genitori di Carlotta, fondatori di Make-A-Wish Italia ONLUS, hanno deciso di impegnarsi in questa missione per far sì che le persone si rendessero conto della grandezza del sentimento della loro bambina, la quale viveva un momento drammatico, eppure faceva il possibile per portare conforto ad altri bambini che stavano soffrendo. Un desiderio esaudito non porta al bambino gravemente malato solamente un momento di gioia e spensieratezza, ma spesso ha anche un incredibile impatto positivo dal punto di vista medico. Keith Goh, uno tra i neurochirurghi pediatrici più conosciuti al mondo, e membro del Consiglio Direttivo di Make-A-Wish International: “Quando raccontiamo alla gente che il nostro lavoro è realizzare i desideri dei bambini che lottano contro gravi malattie, probabilmente molti di noi non sanno che quando parliamo di “potenza” di un desiderio c’è un fondamento scientifico alla base di questa affermazione. La moderna ricerca medico-scientifica dimostra che le emozioni positive si trasformano direttamente in benefici per la salute del paziente. Per esempio una semplice risata riduce la pressione del sangue e lo stress, migliora il sistema immunitario e allevia il dolore. Gli studi dimostrano che la risata, realmente, riduce gli ormoni legati allo stress come l’epinefrina e il cortisone che, se prodotti in grande quantità, provocano danni al corpo. Ridere stimola il sistema immunitario a produrre più T-linfociti (cellule assassine per natura), gamma interferone e immunoglobuline, che sono meccanismi di difesa contro infezioni e cellule cancerose. Inoltre le endorfine che sono antidolorifici naturali prodotti dal corpo capaci anche di tirare su il morale, vengono rilasciate in dosi maggiori. Per qualcuno che sta - 97 - affrontando una grave malattia, questi benefici sono enormi. E poi una risata non costa nulla!”. 54 5.3 EMPATIA, EMOZIONI ed AUTOEFFICACIA. L'empatia è un modo di comprendere con rispetto e di condividere cosa un'altra persona sta provando. Si tratta di offrire una relazione di qualità basata sull'ascolto non valutativo, dove ci si concentra su quello che è più vivo nell'altra persona in termini di sentimenti e bisogni fondamentali. È l'attitudine di quando si decide di essere completamente disponibile per un'altra persona, mettendo da parte le preoccupazioni e i pensieri personali, pronti ad offrire piena attenzione. La parola deriva dal greco "εμπαθεια" (empateia) e veniva usata per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava l'autore-cantore al suo pubblico.55 Empatia ed attenzione (il “prendersi cura”) sono gli elementi che fanno la differenza. Se i pazienti si sentono a proprio agio, coloro che fanno visita possono condividere una situazione di fiducia in cui è possibile dare accoglienza e sollievo alla sofferenza. Empatia è acquisizione emotiva della realtà del sentire altrui, è “rendersi conto” del dolore e della gioia provata dagli altri. “Nell’esercizio della professione il clown-dottore impara a usare una vasta gamma di emozioni, che può esprimere, fra l’altro, attraverso testi preparati o improvvisazioni. Le “scene” che vengono così recitate, e di cui lui stesso e i bambini sono i registi e gli interpreti, sono molto diverse. Ecco alcune emozioni e i giochi che ispirano il clown: - la paura (l’inquietudine, lo spavento, l’imbarazzo, l’apprensione, il nervosismo, la timidezza, il terrore) si esprime con l’imitazione di mostri, le scene melodrammatiche, gli scherzi al personale dell’ospedale, l’invenzione di finti esami medici, i trucchi magici, il nascondersi nella camera del bambino; 54 55 www.makeawish.it www.wikipedia.it - 98 - - la tristezza (la disperazione, la nostalgia, l’autocommiserazione, la malinconia, l’inquietudine, il dispiacere, l’umiliazione) si manifestano con le scene d’amore patetiche, le ninnananne, la perdita di un oggetto, il clown che diventa vittima e piange perché è solo o abbandonato; - la collera (la rabbia, la gelosia, l’indignazione, la diffidenza, la temerarietà, il disprezzo) trovano espressione nei furti, nelle zuffe, nelle sparatorie, nei balli sfrenati, nella balordaggine, nella mancanza di destrezza: porte che non si aprono, passi falsi, collisione con ostacoli immaginari; - la gioia (la felicità, l’amore, l’allegria, il flirt, l’entusiasmo, l’ilarità, l’eccentricità, l’ispirazione, la tenerezza) si rivelano attraverso la coppia di clown, le cerimonie immaginarie, le parate, la caccia al tesoro, la corsa alla luna, l’annaffiarsi a vicenda”.56 Oltre all’empatia è importante anche l’efficacia personale. La percezione della propria efficacia riflette una complessa organizzazione affettivo-cognitiva che orienta la persona in un particolare dominio della sua esistenza. A parità di conoscenze o di abilità possedute in partenza, l’autoefficacia percepita è risultata comportare una più piena valorizzazione delle capacità possedute e una più ampia realizzazione delle potenzialità. L’autoefficacia percepita si riferisce alla fiducia ed alle aspettative che l’individuo ha di padroneggiare con successo determinate situazioni. Nel quadro di una più generale promozione del benessere individuale l’autoefficacia percepita è risultata associata ad una maggiore capacità di far fronte alle situazioni stressanti, ad una maggiore capacità di aderire a norme salutari di comportamento, ad un rafforzamento di sistemi biologici che svolgono una parte cruciale nella difesa della salute.57 Recentemente è stato proposto un nuovo modello concettuale che lega le convinzioni di autoefficacia emotiva e interpersonale al benessere psicosociale e al pensiero positivo (soddisfazione di vita, 56 C. SIMONDS, B. WARREN, La medicina…, o. c., pp. 155-156 G. V. CAPRARA, A. GENNARO, Psicologia della personalità. Storia, indirizzi teorici e temi di ricerca, Bologna, il Mulino, 1994, pp. 434-435 57 - 99 - autostima, ottimismo). La convinzione dell’individuo di riuscire a dominare il proprio mondo interno, ovvero di gestire le emozioni positive e negative sono importanti nel sostenere la convinzione di saper gestire la propria relazione (autoefficacia interpersonale) con il mondo esterno, cioè i rapporti con gli altri. Quindi, l’azione delle convinzioni di gestire con efficacia i propri affetti e le proprie relazioni interpersonali ha un ruolo determinante per garantire un buon adattamento, successo e benessere.58 58 G. V. CAPRARA, P. STECA, Voglia di felicità. Soddisfazione di vita, autostima e ottimismo: le tre risorse del pensiero positivo, in «PSICOLOGIA CONTEMPORANEA», XXXIII (2006), n. 198, p. 67 - 100 - Riflessioni conclusive A conclusione del percorso compiuto attraverso il lavoro esposto, è possibile offrire alcune riflessioni. I clown-dottori tramite l’osservazione e l’ascolto svolgono il loro primo contatto con il bambino ospedalizzato. Essi vogliono amare ogni bambino, capire la sua sofferenza e trovare gesti e parole che portino sollievo e liberazione. Attraverso l’adoperarsi del clown per la sdrammatizzazione dei vissuti e per la rielaborazione dell’esperienza ospedaliera in modo non traumatico, il clown-dottore cerca di dare voce al dolore, ponendosi in condizione di ascolto e accoglienza. L’osservazione è una strategia privilegiata per sostenere una lettura e una comprensione del comportamento infantile che possa essere l’appropriato presupposto della capacità di sviluppare un’adeguata relazione educativa con il bambino. Tra le competenze professionali dell’educatore, la capacità di osservare svolge un ruolo decisivo in tutte le tappe che scandiscono la progettazione e la realizzazione dell’intervento educativo. L’apprendimento tramite osservazione è la prima esperienza di formazione “sul campo” solitamente proposta ai tirocinanti che si preparano a diventare educatori. La persona in formazione ha bisogno, prima ancora di sperimentarsi nel ruolo di educatore, di conoscere il contesto educativo nel quale si troverà ad operare. Dovrà, cioè, conoscere quali sono i ritmi che scandiscono la giornata nei contesti educativi; dovrà farsi un’idea delle differenti modalità educative che educatori diversi possono adottare all’interno dello stesso contesto. La competenza osservativa è fondamentale perché consente un’approfondita conoscenza del bambino (o comunque della persona) e della sua individualità e facilita il lavoro di documentazione della storia personale. La valutazione integrata con le pratiche dell’osservazione e della documentazione concorrono alla migliore conoscenza del singolo bambino, in maniera da rispondere puntualmente ai suoi effettivi bisogni. L’educatore nel contesto ospedaliero così come in quello educativo, per far sentire al bambino che gli è vicino, lo ascolta, facendogli dono di presenza e di parola, esprimendogli così - 101 - comprensione e confidenza. Gli sguardi, i gesti, la postura del corpo, il tono della voce e il sorriso, incentivano e favoriscono la comunicazione e l’interazione tra l’adulto e il bambino. Nell’infanzia è fondamentale conoscere l’amore, quello della famiglia e quello di altri adulti significativi. I piccoli hanno bisogno di tempo per giocare, ascoltare, e pensare… hanno bisogno di tempo per crescere e diventare adulti che sappiano usare con profitto il loro tempo. Tra le attività sperimentabili con profitto in situazioni di ricovero nell’infanzia un posto di rilievo spetta senza dubbio al gioco, che in ospedale assume una valenza educativa e terapeutica in quanto strumento che favorisce l’affrontare la malattia stemperandone gli aspetti negativi. La malattia può infatti generare nel bambino scarsa fiducia nelle sue capacità, ecco allora che proporre al bambino attività adatte alle sue condizioni, che valorizzino la sua parte sana, significa rinforzare la sua autostima, aiutandolo ad uscire dall’apatia e a ritrovare la serenità indispensabile per guarire. Il gioco in ospedale diventa un sistema di aiuto particolarmente efficace quando il bambino ha un adulto con cui giocare, un familiare, un clown-dottore o una persona espressamente disegnata a questo scopo. L’adulto può infatti ascoltare il bambino che gli parla dei suoi interessi, dei suoi timori, e rassicurarlo, evitando timori infondati e manifestando fiducia nelle sue capacità di affrontare e superare la situazione. Inoltre, l’adulto può suggerire al bambino giochi adatti a elaborare il vissuto specifico e raccontare storie tranquillizzanti. La lettura di libri con immagini è uno strumento essenziale per sollecitare la curiosità, la comprensione e la produzione verbale. Ascoltando storie lette o raccontate dall’adulto, in maniera da sviluppare tutte quelle competenze cognitive, emotive, sociali che la lettura ad alta voce può esortare. Tra gli oggetti che si predispongono in contesti educativi, quali il nido, e capaci di suscitare emozioni, stimolare attività, acquisire e sperimentare esperienze, le marionette risultano “strumenti” di forte valenza simbolica, capaci di rappresentare vecchie fiabe così come di inventarne di nuove. Le marionette danno voce alla fantasia e aiutano a rappresentare la realtà. Il gioco costituisce una delle modalità principali per conoscere e anche per imparare ad esprimersi. Inoltre, esso è anche un potente - 102 - mezzo di comunicazione attraverso il quale il bambino non solo rappresenta direttamente l’avvenimento, anche se non sa ancora esprimersi verbalmente. - 103 - Bibliografia Adams P., Salute! Ovvero come un medico-clown cura gratuitamente i pazienti con l’allegria e con l’amore, Milano, Urra Libri, 1999 Adams P., Visite a domicilio. Come possiamo guarire il mondo una visita alla volta, Milano, Urra Libri, 2001 Aureli T., L’osservazione del comportamento del bambino, Bologna, il Mulino, 1997 Bonino S., Mille fili mi legano qui: vivere la malattia, Roma, Bari, Editori Laterza, 2006 Bregani P., Damascelli A. R., Il gioco in ospedale. Il gioco come aiuto ai bambini per superare i traumi dell’ospedalizzazione, Milano, Emme, 1978 Camaioni L., Aureli T., Perucchini P., Osservare e valutare il comportamento infantile, Bologna, il Mulino, 2004 Camaioni L., Bascetta C., Aureli T., L’osservazione del bambino nel contesto educativo, Bologna, il Mulino, 1988 Caprara G. V., Gennaro A., Psicologia della personalità. Storia, indirizzi teorici e temi di ricerca, Bologna, il Mulino, 1994 Capurso M., Gioco e studio in ospedale. Creare e gestire un servizio ludico-educativo in un reparto pediatrico, Trento, Erickson, 2001 Corbo S., Bambini in ospedale, Roma, Armando Editore, 1994 Dosso B., Kanizsa S., La paura del lupo cattivo. Quando un bambino è in ospedale, Roma, Meltemi, 1998 Ferrario G., Ridere di cuore. Il potere terapeutico della risata, Milano, Tecniche Nuove, 2006 - 104 - Filippazzi G., Un ospedale a misura di bambino: esperienze e proposte, Milano, Franco Angeli, 2004 Laporta R., Il senso del comico nel fanciullo ed il suo valore nell’educazione, Bologna, Malipiero, 1957 Mangini M. T., Rocca M. L., “Cappe gialle” un po’ di colore tra i camici bianchi dell’ospedale pediatrico, Milano, Ethel editoriale Giorgio Mondadori-Gruppo d’Adamo, 1996 Michelotto P., Divertirsi diventando clown. Far ridere con il mimo, la magia, le bolle di sapone, il circo delle pulci, la musica, il ventriloquismo, i palloncini, l’equilibrismo, la giocoleria, l’uniciclo, i trampoli, le acrobazie e la fantasia, Vicenza, Troll libri, 2004 Mirabella M. L., Clownterapia. Volontari clown in corsia e missionari della gioia, Rivoli, Neos Edizioni, 2005 Nobile A., Gioco e infanzia, Brescia, La scuola, 1994 Provine R., Ridere. Un’indagine scientifica, Milano, Baldini & Castoldi, 2001 Ricci G. F., Biato N., Dal curare al prendersi cura: bisogni e servizi educativi per un bambino ospedalizzato, Roma, Armando, 2003 Ricottini L., Quando il paziente è un bambino: problemi di relazione, Torino, Centro Scientifico Editore, 2003 Sanguigno G., Il corpo che ride. Curare con il buon umore, Milano, Xenia Edizioni, 2004 Simonds C., Warren B., La medicina del sorriso. L’esperienza dei clown-dottori con i bambini, Milano, Sperling&Kupfer Editori, 2003 - 105 - Articolo di giornale: - “Una mimosa per un sorriso”, La Vallée Notizie, ANNO XXI, n. 11, 18 marzo 2006. Filmografia: - DVD “Patch Adams”, di Shadyac Tom, Universal Pictures, 1998; - film-documentario “Clown in Kabul”, di Balestrieri Enzo, Moser Stefano, Star Edizioni Cinematografiche, tele+, Film Unit 80, 2002. Materiale reperito on line: - Ercolani D., “Guarire con il sorriso”, Viversani&belli, n. 24, 14 giugno 2002. Disponibile da: http://www.dottorsorriso.it - IReR, “Umanizzazione dell’ospedale: studi di caso degli effetti della clownterapia sull’utenza e sugli operatori dei reparti pediatrici, Milano, 2002. Disponibile da: http://www.consiglio.regione.lombardia.it - Ronchi M., “L’ospedale che ride”, Selezione Reader’s Digest, maggio 2003. Disponibile da: http://www.dottorsorriso.it - Vinsani N. (a cura di), “La terapia del sorriso”, Dipartimento Materno Infantile, novembre/dicembre 2003 n. 5/6. Disponibile da: http://www.asmn.re.it - 106 - Rivista: - Caprara G. V., Steca P., “Voglia di felicità. Soddisfazione di vita, autostima e ottimismo: le tre risorse del pensiero positivo, Psicologia Contemporanea, XXXIII, n. 198, 2006. Siti Internet utilizzati: - http://www.amicidellapediatria.it - http://www.asmn.re.it - http://www.aurorablu.it - http://www.clownterapia.it - http://www.consiglio.regione.lombardia.it - http://www.dottorsorriso.it - http://www.ilpiccoloprincipe.tk - http://www.ilportoritrovato.net - http://www.italianartplease.com - http://www.kataweb.it - http://www.makeawish.it - http://www.sism.org - http://www.SpazioFormazione.htm - http://www.unilibro.it - http://www.wikipedia.it - 107 -