Il costume femminile della comunità albanese dell`alto Crotonese

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Il costume femminile della comunità albanese dell`alto Crotonese
Il costume femminile della comunità albanese dell’alto
Crotonese, Carfizzi.
La cultura popolare arbëresh custodisce gelosamente il costume femminile, che, per
ricchezza dei tessuti e raffinatezza della lavorazione, può essere legittimamente
considerato un vero e proprio capolavoro di artigiano.
La storia del costume arbëresh è tuttavia legata allo sviluppo dei tempi, come
evidenziano le antiche stampe ritrovate nei musei di Napoli, Firenze e Parigi messe a
confronto con i costumi attuali delle stesse aree. Questo sviluppo, molte volte
determinato dall’ influenza del costume calabrese, non ha comunque generato un
processo involutivo o semplificativo degli elementi. Al contrario, sempre
considerando la nomenclatura originaria delle aree di provenienza Albanese, i
costumi arbëresh si sono mantenuti intatti nella composizione di questi elementi, pur
differenziandosi per colori e vivacità cromatica, meritando di essere considerati fra i
più ricchi e belli costumi popolari d’Europa.
La “ coha ”
Oggi la “coha”, l’antichissimo è preziosissimo abito albanese, proprio delle nostre
none e bisnonne, è diventato il simbolo esteriore di tutte le minoranze e specificità
arbëreshë, ovviamente con le dovute diversificazioni a seconda dei luoghi in cui
queste minoranze si sono insediate. A seconda dei posti infatti esse si differenziano
per fattura e confezione ma la struttura, i colori e la preziosità sono gli elementi che
le accomunano.
La “coha” era l’abito della cerimonia nuziale e delle occasioni “mondane”, ma il
fatto sconcertante e dato dal fato che esso doveva essere anche l’abito del
“trapasso” nel aldilà, l’abito della nuova vita nella sua continuazione ideale. Era
l’abito che doveva sigillare il rinnovato incontro con il coniuge, segno di
riconoscimento ed emblema di fedeltà. Ovviamente era solo la dona a dover eseguire
questo rito secondo quella preservazione della fedeltà come valore che ancora oggi
sembra che debba appartenere più alla donna che all’uomo. Siamo ancora ben
lontani da quella parità culturale tra i due sessi tanto ricercata, perseguita ma non
ancora raggiunta completamente.
Lasciando da parte questo inciso e ritornando all’antico rito funerario, bisogna
sottolineare che fu appunto questo il motivo della scomparsa quasi totale di questo
abito. I pochissimi esemplari rimasti sono sopravvissuti perché alcune famiglie, più
benestanti delle altre, ne confezionavano due di cohe.
La stoffa usata per la sua confezione era molto preziosa, raso damascato a fiori di
colore nero, grigio, beige se la cerimonia veniva in estate; il pregiato pano di lana di
pecora, esclusivamente nero, in inverno. (Il nero era allora un colore predominante).
Il vestito si componeva dai pezzi: una gonna molto ampia (più di sei metri di stoffa)
che accompagnava un corpetto rigido della stessa stoffa, una camicia, un altro
corpetto diverso dal primo ed una sottogonna.
Vediamo i particolari: come abbiamo detto la gonna era molto ampia con piccole e
tantissime pieghe che partivano dalla vita che in arbëreshë vengono dette quindit, e
due tasche laterali. Era foderata con la stessa stoffa con cui veniva cucita la
sottogonna.
Il vestito si allacciava dietro con dei lacci dorati (in arb, gallunit), i quali erano
collegati alle bretelle del corpetto, anch’esse rifinite con del filo dorato, tramite un
grosso ago d’argento, thumit che rimaneva in permanente dotazione alla “coha”.
Piccole e preziose maniche si infilavano sul braccio, anch’esse collegate alle bretelle
del corpetto con dei lacci dorati.
Dietro, l’allacciatura del vestito veniva arricchita con dei fiocchi in raso uguali alla
rifinitura dell’orlo della gonna che doveva essere lunga fino a coprire i piedi.
Il corpetto, tutt’ uno con la gonna, era caratterizzato e reso rigido alla presenza di
tante canne messe in fila, rivestito con del lino rustico e pesante. Era arricchito da
ricami, la cui preziosità indicava l’estrazione sociale della famiglia. Tutto il vestito
veniva cucito con il filo dello stesso colore della sottogonna a della fodera del
vestito.
Passiamo adesso alla camicia. Essa doveva essere di puro lino, lunga fin sotto al
finocchio, era impreziosita da ricami molto complessi sul davanti ma soprattutto
sulle maniche, che erano molto arricchite. Il suo colletto era un vero e proprio
ornamento, molto elaborato, fatto con dei fili di cotone bianco sovrapposti,”thekët”.
Sulla camicia veniva indossato un altro corpetto che sostituiva il reggiseno, allora
inesistente, cucito con stoffa coloratissime e preziose e che si allacciava sul davanti
con i sottili fili dorati (gallunit).
La sottogonna, la cosiddetta, Kamizolla, era ampia più di tre metri, anch’essa di
raso di colori molto vivaci come il fucsia, il verde smeraldo, l’arancione, il rosso. Il
colore era abbinato alla fodera della gonna ed era rifinita sull’orlo con nastrini
ricamati ed era lunga fino ai piedi.
Vediamo adesso le calze. Esse venivano fatte ai ferri con lavori traforati e molto
complicati, di vari colori, abbinati al vestito stesso.
Un asciugamano di lino ricamato, aggiustato in un certo modo faceva da copricapo
e sostituiva l’odierno velo nuziale.
Una cosa da sottolineare è che le sarte usavano riportare il loro nome sul vestito che
esse stesse confezionavano, ricamando a punto croce sul lino. L’abito era quindi
“firmato”.
La visione d’insieme che si aveva della sposa con la coha, era l’immagine stessa
della regalità che è tipica della donna arbëreshë, una donna offerte ed altera.
La ricchezza del vestito era resa ancora più appariscente dalla presenza dei
magnifici ori che si usavano portare in quel giorno e di cui la nostra comunità è
ricca. La donna aveva la “coha” come vestito nuziale, diventato oggi
“tradizionale”, quello maschile non aveva un termine specifico che lo
contraddistinguesse.
Per l’occasione nuziale l’uomo portava pantaloni corti e stretti che coprivano il
ginocchio, abbottonati lateralmente con bottoni vistosi. Erano neri, di panno o di
cotone a seconda della stagione in qui le nozze avevano luogo. Calzettoni fatti ai
ferri con colori vivaci che dovevano essere lunghi fin sopra le ginocchia.
La camicia doveva essere bianca e di lino, tessuta in casa al telaio. Il gilet era
anch’esso nero, della stessa stoffa dei pantaloni, era rifinito con colori vivaci come
le rifiniture della coha. Portava inoltre un berretto a punta con un pon-pon colorato,
abbinato alle calze ed alle rifiniture del gilet.
Di questo vestito non ne è rimasta traccia, in quanto, sembra che esso venisse
utilizzato per tutti i giorni, dopo la cerimonia. Le rifiniture che lo impreziosivano
venivano infatti scucite, perché il vestito divenisse di uso quotidiano ed ordinario.
Un particolare venuto fuori dalle interviste: l’uomo appartenente alle famiglie più
agiate confezionava il suo vestito nuziale con le stesse stoffe con cui la sposa cuciva
il suo ed era solito portare all’orecchio un orecchino d’oro.
Elementi del vestiario
Linjë -a
camicia di puro lino, lunga fin sotto il ginocchio, impreziosita da
Ricami molto complessi sul davanti ma soprattutto sulle maniche,
molto arricciate;
Thekë -t
colletto molto elaborato, fatto con fili di cotone bianco sovrapposti;
Kurpet -i
corpetto che sostituiva il reggiseno, indossato sulla camicia, cucito con
stoffe coloratissime e preziose, si allacciava sul davanti con sottili fili
dorati,”gallunit”;
Kamizollë –a sottogonna ampia di raso, color fucsia, verde smeraldo, arancione,
rosso. Il colore è abbinato alla fodera della gonna;
Cohë –a
gonna molto ampia con piccole e tantissime pieghe che partono dalla
vita chiamate,”quindit”, e due tasche laterali. La parte superiore è un
corpetto tutt’ uno con la gonna, caratterizzato e reso rigido dalla
presenza di tante canne messe in fila,rivestito di lino rustico e pesante.
Viene arricchito da ricami;
Nabsë –a
copricapo. E’ un asciugamano di lino ricamato che sostituiva l’ odierno
Velo nuziale.