EFREM REATTO Medaglia d`Oro al Valor Militare In quel cimitero

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EFREM REATTO Medaglia d`Oro al Valor Militare In quel cimitero
EFREM REATTO Medaglia d’Oro al Valor Militare
INTRODUZIONE
Nel Tembien, a circa 93 chilometri da Asmara, nel baricentro topografico
tra Passo Uarieu (1), Uorc Amba e lo Scimarbò, un piccolo cimitero di
guerra italiano ricorda che questi luoghi, nel Gennaio e nel Febbraio
1936, furono teatro una cruenta battaglia tra italiani ed etiopici, battaglia
che dopo alterne vicende alla fine volse a favore degli italiani; in caso
contrario, qualora avesse prevalso l’esercito etiopico, molto
probabilmente l’intera campagna sarebbe stata compromessa e con lei
l’idea mussoliniana di creare l’impero.
Il cimitero sorge in un recinto circondato da piccole colline punteggiate
da euforbie che vanno ad incontrarsi con i fianchi rocciosi e
strapiombanti di una catena circolare di Ambe (2). All’orizzonte si
intravedono i rilievi che guardano alla conca di Adua; verso sud appare
la piana del Mai Beles e a nord-est la piana di Cacciamò.
In quel cimitero, insieme a tanti altri Caduti, venne sepolto il tenente degli Alpini, Medaglia d’Oro al Valor
Militare, Efrem Reatto, morto in combattimento sulla Uorc Amba il 27 Febbraio 1936.
Il Cimitero attuale non è però quello allestito all’indomani della battaglia dai militi della 2^ Divisione
CC.NN “XXVIII Ottobre” ed in particolare dai militi del II battaglione CC.NN, bensì ciò che resta di quello
originario parzialmente dismesso nel 1973 da una delegazione di ONORCADUTI (3), allorquando le autorità
etiopiche impedirono la traslazione presso il sepolcreto militare italiano di Addis Abeba di tutte le spoglie
dei Caduti, imponendo per “motivi storico-politici” il mantenimento in loco delle sepolture appartenenti agli
ignoti. La motivazione ufficiale fu che il cimitero costituiva tangibile memoria delle battaglie combattute
nella zona dagli etiopici per resistere all’invasore italiano. Conseguentemente i lavori, curati fra grandi
difficoltà dal Ten. Col. Adolfo Cattivelli e dai sergenti maggiori Carlo Orsini e Lorenzo Iannucci, si
concretarono nell’allestimento di grandi tombe collettive, dove furono tumulate le cassettine ossario con le
spoglie mortali di 225 Caduti ignoti, tra i quali anche il Tenente Efrem Reatto, per i quali non era stato
possibile addivenire con certezza al riconoscimento individuale.
Solo alcuni anni dopo, grazie al rinvenimento delle piante cimiteriali a suo tempo compilate, è stato
possibile stabilire l’esatta posizione di quasi tutti i Caduti che erano inumati nel cimitero originario e quindi
anche riconoscere l’esatta dislocazione della tomba di Efrem Reatto che era situata tra quella del
sottotenente Antonio Ciccirello e quella del capo manipolo delle CC.NN Lamberto De Giorgio (4), entrambi
esumati nel 1973 come noti. Pertanto, è da presupporre le spoglie mortali di Reatto, riposte in una cassetta
ossario intestata ad un ignoto e contraddistinta dal numero di verbale 306 PU (5) , riposino ancora in quello
sperduto angolo d’Africa.
Nel riportare sul presente testo i nomi delle località e delle persone si è mantenuta l’esatta traslitterazione
riportata sui documenti originali e sui testi consultati.
Fulvio Capone
PREMESSA STORICA - LA GUERRA D’ETIOPIA 1935 - 1936
Il motivo geopolitico di questa guerra, che il Duce riteneva fondamentale, era quello che l’Italia all’inizio
del 1930 poteva vantare una ragguardevole flotta, flotta alla quale il mediterraneo non bastava più. Il poter
competere con la Francia e l’Inghilterra sotto il profilo navale significava anche avere il libero accesso agli
oceani e quindi imporre “lontano” un’egemonia italiana in grado di dare frutti economici e soprattutto
decongestionare l’eccedenza popolare controllando l’emigrazione e rendendola “nazionale”.
Ma la gestione delle rotte navali oceaniche imponeva l’esistenza intermedia di basi sicure anche
militarmente e di porti adeguati. Tra le colonie italiane dell’Eritrea e della Somalia c’era però l’Impero
etiopico che affacciandosi con il suo bassopiano sul mar Rosso ne impediva il totale controllo, peraltro già
messo in discussione dalla presenza dei francesi a Gibuti e degli inglesi nel Somaliland Britannico sul Golfo
di Aden. Per questi motivi l’Italia aveva dato corso sin dal 1928 ad un massiccio concentramento di
materiali, munizioni ed armi in Eritrea e Somalia.
Sempre in quegli anni l’Imperatore Hailè Selassiè (6) aveva dato via ad una serie di importanti iniziative
economiche a vantaggio degli Stati Uniti e del Giappone, iniziative che di fatto escludevano l’Italia dai
commerci con il Corno d’Africa.
Il “casus belli” venne offerto a Mussolini nel Dicembre 1934, quando il presidio militare italiano del
villaggio di Ual Ual che vigilava una zona di pozzi d’acqua (ai confini tra l’Etiopia e la Somalia italiana)
venne attaccato da preponderanti forze etiopiche. Nel combattimento rimasero uccisi una trentina di ascari
(7). La reazione di Mussolini fu immediata: all’inizio del 1935, sfidando le determinazioni della Società delle
Nazioni ed in particolare il veto dell’Inghilterra, inviò in Eritrea un poderoso contingente di soldati pronti a
muovere guerra contro l’Etiopia (o Abissinia).
Il 3 Ottobre 1935 100.000 soldati italiani ed un considerevole numero di ascari, sotto il comando di Emilio
De Bono passarono il confine segnato dal fiume Mareb e dettero inizio all’avanzata in territorio etiopico. Il 6
Ottobre, tre Corpi d'Armata italiani occuparono Adua. Il 15 Ottobre venne occupata Axum, la capitale
religiosa dell'Etiopia. Dopo una lunga sosta, il 3 novembre, De Bono riprese la marcia verso Macallè con il
1º Corpo d'Armata del generale Ruggero Santini e il Corpo d'Armata Eritreo del generale Alessandro Pirzio
Biroli, raggiungendo l'obiettivo sei giorni dopo. Contemporaneamente, all'inizio della campagna nel nord,
un Corpo d’Armata comandato dal generale Rodolfo Graziani mosse dalla Somalia Italiana aprendo il fronte
sud e, in una ventina di giorni, occupò i presidi etiopici di Dolo, Ualaddaiè, Bur Dodi e Dagnarei.
Il 28 Novembre De Bono, ritenuto da Mussolini non all’altezza del compito, venne sostituito dal generale
Pietro Badoglio il quale appena assunto il comando delle operazioni pose il suo quartier generale a Macallè
mantenendo comunque un atteggiamento offensivo prudente. Nella notte tra il 14 e il 15 Dicembre le
avanguardie etiopiche di ras Immirù (8) passarono al contrattacco e attraversato il fiume Tacazzè
proseguirono nell'offensiva rioccupando lo Scirè. Contemporaneamente le truppe di Ras Sejum (9) e di Ras
Cassa (10) attaccarono nel Tembien costringendo gli italiani a ritirarsi sulle posizioni fortificate di Passo
Uarieu.
Per togliere l'iniziativa al nemico, Badoglio iniziò l'attacco il 20 Gennaio. L'offensiva si concluse con un
discreto successo italiano e alcune posizione chiave furono occupate. Il giorno seguente però gli abissini
passarono al contrattacco e la colonna di camicie nere guidata dal console Filippo Diamanti si trovò isolata
in posizione avanzata e, dopo essere stata circondata, venne quasi annientata. Il XII° battaglione ascari
intervenne per salvare i pochi sopravvissuti e ripiegare nuovamente su Passo Uarieu difeso dalle forze della
2^ Divisione CC.NN “XXVIII Ottobre” del generale Somma. Gli italiani furono rapidamente stretti
d'assedio dagli abissini. Fu inoltre utilizzata tutta l'aviazione disponibile che fece abbondante uso di bombe
ed iprite sulle truppe etiopiche. Dopo tre giorni di assedio la colonna del generale Vaccarisi raggiunse gli
assediati rompendo l'assedio e disperdendo gli assedianti guidati da Ras Cassa. Se la guarnigione di Passo
Uarieu avesse ceduto gli abissini sarebbero dilagati nella piana di Macallè compromettendo l'intera
campagna bellica.
La battaglia terminò la mattina del 24 Gennaio, e con essa l'intera prima battaglia del Tembien .
Il 10 Febbraio 1936 Badoglio mosse le truppe verso il massiccio dell'Amba Aradam che fu rapidamente
accerchiato. L'armata di ras Mulughietà (11) attaccò quindi l'esercito italiano per spezzare l'assedio il 12
febbraio impegnando seriamente la 4^ Divisione CCNN “3 Gennaio” del generale Traditi. In questa fase
avvenne il massacro della Gondrand (12). L'imperatore Hailè Selassiè ordinò a Ras Cassa di portare le
proprie restanti truppe alle spalle dell'armata italiana ma ciò non fu effettuato. Vista l'impossibilità di
proseguire lo scontro con le superiori forze italiane il 15 Febbraio le truppe abissine si ritirarono sotto i
bombardamenti dell'aviazione italiana. Gran parte dell'armata abissina, durante la ritirata, fu oggetto di
attacchi da parte della popolazione locale degli Azebò Galla, in uno di questi attacchi fu ucciso lo stesso ras
Mulughietà.
Il 27 Febbraio 1936 la situazione operativa portò le truppe italiane allo scontro diretto con l'armata di Ras
Cassa che si trovava accampata nel Tembien. La battaglia si limitò alla conquista italiana della vetta
dell'Amba Uorc dove Ras Cassa aveva predisposto il proprio quartier generale. La mattina del 27 circa
centotrenta uomini tra alpini, camicie nere ed ascari scalarono la montagna cogliendo di sorpresa le
sentinelle. Lo stesso Ras Cassa sfuggì per poco alla cattura. L'armata di Ras Cassa fu annientata mentre
quella di Ras Sejum, che era poco distante, fu decimata dai bombardamenti aerei. Nel corso della Seconda
battaglia del Tembien alcuni reparti italiani occuparono l'Amba Alagi.
A fine febbraio le truppe italiane attaccarono l'armata di Ras Immirù che, forte di trentamila uomini, si era
attestata nello Scirè. Inizialmente gli abissini riuscirono a contrattaccare validamente infliggendo pesanti
perdite ad una colonna della Divisione di fanteria “Gavinana”, ma poi per sfuggire all'accerchiamento,
d'intesa con l'imperatore, si ritirarono verso il fiume Tacazzè. Come già successo all'armata di ras
Mulughietà, anche le truppe di Ras Immirù furono decimate durante la ritirata dagli assalti dei guerriglieri
Azebò Galla. Inoltre furono sorprese dall'aviazione italiana mentre guadavano il Tacazzè venendo
annientate. Ras Immirù con i pochi uomini rimasti fedeli si rifugiò sulle montagne. A questo punto l'esercito
italiano occupò tutti i centri più importanti della regione (Gondar, Socotà).
Haile Selassiè, dopo la sconfitta di ras Immirù, radunò la propria guardia imperiale e mosse verso nord,
incontro all'esercito italiano. Le due armate si incontrarono nella conca di Mai Ceu. Gli italiani giunti prima
si occuparono di predisporre le fortificazioni e di disboscare il terreno. Le truppe di Haile Selassiè
arrivarono a fine marzo. Il 31 Marzo 1936, all'alba, gli abissini attaccarono gli alpini ma furono bloccati e
respinti. Infine attaccò la guardia imperiale che riuscì a conquistare diverse posizioni. Il contrattacco italiano
fu portato dagli ascari del Battaglione “Toselli" a cui si affiancarono poi gli alpini italiani. La battaglia
terminò con gravi perdite in entrambi gli schieramenti. Il giorno seguente Hailé Selassié ordinò la ritirata
verso Dessiè. Anche in questo caso le truppe imperiali in ritirata furono decimate dalla popolazione locale in
rivolta. Il 15 Aprile il generale Alessandro Pirzio Biroli occupò Dessiè.
Sul fronte Sud, nel frattempo, mentre Badoglio era impegnato nella Prima battaglia del Tembien, le truppe
di ras Destà mossero verso Dolo per attaccare l'armata di Rodolfo Graziani. A Graziani era stato ordinato di
mantenere una difesa attiva al fine di mantenere impegnata nel sud il maggior numero di truppe nemiche e di
non passare all'offensiva. Prontamente informato del movimento delle truppe di ras Destà, lo attese pronto
allo scontro. Sulle colonne abissine in marcia fu scatenata l'aviazione che le decimò. Fu in questa occasione
che furono usati per la prima volta i gas asfissianti. La seguente offensiva italiana ne disperse i resti. il 20
Gennaio 1936 Graziani occupò la città di Neghelli. Dopo la vittoria su Ras Destà, contro Graziani, furono
schierate le truppe al comando di Wehib Pascià (13), un generale turco al servizio dell'imperatore etiopico.
Wehib cercò di attirare Graziani in una trappola facendolo spingere il più possibile nel deserto dell'Ogaden.
Ma nello svolgere tale operazione i reparti italiani al comando di Guglielmo Nasi e del generale Franco
Navarra inflissero gravissime perdite agli abissini da far fallire l'operazione e da mettere a repentaglio la
stessa sopravvivenza dell'armata abissina.
Il 15 Aprile Mussolini ordinò a Graziani di raggiungere ed occupare Harar. Graziani raggiunse Dagahbùr, il
25 Aprile. Poi le piogge ne rallentarono maggiormente l'avanzata sull'obiettivo prefissato giungendo a Dire
Daua poche ore dopo il passaggio dell'imperatore in viaggio verso l'esilio. Graziani, al fine di intercettare il
treno che portava in esilio l'imperatore sconfitto e prenderlo prigioniero, chiese più volte il permesso di
bombardare i binari per bloccare il treno ma il permesso gli fu negato dal Duce in persona. Dopo
l'occupazione di Harar Graziani fu nominato Maresciallo d'Italia e marchese di Neghelli.
Di fronte ad una situazione sempre più disperata, il 2 Maggio Hailé Selassié abbandonò la guida delle
truppe etiopiche e la capitale per andare in esilio. Il 5 Maggio 1936 le truppe di Badoglio entrarono
vittoriose nella capitale Addis Abeba.
LA SUA VITA
Efrem Reatto nacque a Bassano del Grappa, in Piazza Montevecchio, il 7 Aprile 1909 da Marino (14) e da
Clelia Pascali.
Sin dalla prima infanzia amò la montagna anche se la famiglia era emigrata a Venezia dove il padre,
dipendente dal Ministero della Giustizia, era stato trasferito.
Come la maggior parte dei ragazzi cresciuti durante il ventennio fascista la sua formazione culturale era
improntata all’amore della Patria ed al culto del “guerriero ardito” ed altruista. Di questa sua impostazione
dette prova a soli dieci anni, allorquando si tuffò in Canal Grande per trarre in salvo un bambino che vi era
accidentalmente caduto.
Trasferitosi nel 1923 a Roma con la famiglia, entrò nella prima Avanguardia Fascista Giovanile della
Legione “Santa Croce”. Iscrittosi all’istituto tecnico industriale, a diciassette anni, ottenuto il diploma,
decise di abbracciare la carriera militare (15) e presentò domanda per essere arruolato come allievo
sottufficiale negli alpini.
Il 1° Dicembre 1926 venne incorporato prima nel 6° e poi nel 2° rgt. alpini. L’anno successivo, nel mese di
Aprile, ottenne la promozione a sergente. Preso in forza nel 1929 dal 7° rgt. alpini conseguì il grado di
sergente maggiore.
La sua aspirazione di indossare i gradi da ufficiale si realizzò nel 1931, allorquando venne ammesso alla
Reggia Accademia di fanteria e cavalleria a Modena. Serio, disciplinato e preparato, non tardò a mettersi in
luce per le sue ottime qualità; a tale proposito nel 1932 il maggiore degli alpini Ricci, insegnante presso
l’Accademia, così scriveva a Marino Reatto:
“ Tutto qui procede benissimo: Efrem si distingue veramente per condotta, per buona volontà, per
prestanza fisica militare. Tutti i suoi superiori gli vogliono bene perché veramente fa molto bene. Stamane
l’ho chiamato e l’ho consigliato a continuare a far bene come ha fatto fino ad oggi.
È veramente diventato posato e serio.
Come ti ho sempre promesso, seguo Efrem come se fosse mio figlio ed anche se non ti scrivo, stai tranquillo
perché mantengo sempre contatto con lui attraverso ai suoi superiori.
In questi giorni è stato dato il voto di attitudine (voto che ha la massima importanza) ed egli ha avuto uno
dei migliori voti dati agli allievi del 1° anno”.
Ultimati i corsi in Accademia e presso la Scuola di Parma, Efrem poté finalmente indossare l’uniforme di
sottotenente degli alpini e venne assegnato all’8° rgt., 76^ compagnia del battaglione “Cividale” di stanza a
Udine. Le note caratteristiche così lo descrivevano:
“ Intelligenza pronta e positiva – qualità fisiche ottime – educato – leale – ginnasta completo e ardito –
sciatore di grande capacità ed appassionatissimo di montagna – dà sicuro affidamento di riuscire un
brillante ufficiale degli alpini”.
Grazie a tali qualità non tardò a mettersi in luce durante le gare riservate alle truppe alpine che si tennero ad
Aosta, figurando tra i primi. La sua abilità di rocciatore e la conoscenza della montagna la dimostrò in
particolare nel 1935 quando salvò la vita ad un collega che con lui era impegnato in una difficile ascensione.
Ma la vita spensierata da subalterno volgeva alla fine: una guerra coloniale era da tempo nell’aria; Mussolini
voleva a qualsiasi costo l’Italia Imperiale e la voleva realizzare conquistando uno dei pochi stati africani
rimasto indipendente: l’Etiopia.
Così Efrem Reatto andò incontro al suo destino.
LA PARTENZA
Il diario storico del battaglione complementi del 7° reggimento alpini, inquadrato nella Divisione “Pusteria”,
redatto per il giorno 19 Gennaio 1935 così riporta:
Domenica 19 Gennaio 1935, a bordo dell’”Atlanta”: al mattino si imbocca il canale di Massaua. Ci
vengono impartiti gli ordini relativi allo sbarco e diamo le disposizioni conseguenti ai dipendenti reparti.
Alle 19,45 si giunge a Massaua. Alle 23 hanno inizio le operazioni di sbarco. Le operazioni di sbarco
procedono regolarmente: prima vengono sbarcati gli uomini e poi i materiali. Appena sbarcati, vengono
distribuiti i viveri per il giorno 20, e poi si procede immediatamente al caricamento della truppa e dei
materiali su autocarri leggeri; parte dei materiali vengono caricati su auto carrette. Piove.
Lo stesso giorno Efrem Reatto scrive alla famiglia la prima lettera, è entusiasta del compito che lo attende :
Miei carissimi,
ancora poche ore di mare e poi sbarcheremo. Non vi sto a descrivere il viaggio, tanto è riuscito delizioso.
A Porto Said abbiamo avute accoglienze veramente commoventi. Ovunque abbiamo trovato italiani
inneggianti al Duce e alla Patria lontana. Qui a bordo regna la massima allegria. Sembra essere in
crociera per divertimento; nessuno lontanamente pensa alla guerra.
Gli Alpini si sono subito ambientati e ormai han preso possesso della nave come fossero in casa loro.
Bisogna vederli questi figli della montagna: la loro serenità, la loro calma commuovono e per chi sta a
sentire, nella notte piena di stelle, i loro canti elevarsi al di sopra dei rumori prodotti dai motori, da
veramente la sensazione della forza che scaturisce da quelle anime semplici.
Vi assicuro che nessuno di noi ha la sensazione di trovarsi a migliaia di chilometri dalla Madre Patria.
Qui regna il massimo accordo; siamo uno per tutti e tutti per uno.
Appena avrò la possibilità, vi scriverò. Questa sera stessa troveremo gli autocarri che ci trasporteranno
verso l’interno.
Quello di cui vi prego è di stare tranquilli, perché non sarò né temerario né imprudente. State allegri perché
io lo sono. Con tutto il mio affetto vi bacio caramente.
Sul mare di Massaua, il 19 Gennaio 1935 - XIV
Efrem
La notte del 20 Gennaio il battaglione complementi completa lo sbarco ed alle ore 4 del mattino
l’autocolonna si mette in movimento verso l’altopiano e dopo aver sostato a Decamerè giunge sotto una
pioggia battente, alle ore 17,30, a Enda Mariam dove il reparto si accampa. Il giorno 24 gli alpini sono
ancora in attesa dell’ordine di movimento ed Efrem scrive alla famiglia:
Carissimi,
finalmente un po’ di pace dopo tanti giorni di navigazione e di assestamento.
Ci troviamo sull’altipiano, abbastanza bene, trovandoci in zona priva di acqua. Le autobotti fanno servizio
giornaliero per i bisogni della truppa. Siamo tutti attendati; il mio lettino e tutto il resto è di massima utilità.
Come immaginavo, qui non si trova niente. Tutto serve, nulla si butta via. La zona dove mi trovo è alpestre;
poca vegetazione. Speriamo di spostarci fra poco in avanti. La popolazione del luogo, almeno in apparenza,
è mite, viene ad offrirci uova e galline. Proprio un momento fa ne ho comprato per la mensa.
I viveri nostri son gli stessi di quelli dei soldati.
Non sembra di essere in guerra: sembra, invece, di trovarsi alle escursioni estive. La salute di tutti è ottima:
si mangia a quattro palmenti con mia disperazione, essendo direttore di mensa.
Selvaggina moltissima: il mio furore di non poter sparare è al colmo; essendo venuto proprio in questi
giorni il divieto. Spero di poter mangiare carne fresca appena andremo più avanti.
Non preoccupatevi se riceverete posta di rado. Sto benissimo. Meglio di così si muore.
Nell’indirizzo dovete specificare 7° btg. Complementi. Vi ripeto ancora: state tranquilli; specialmente la
mamma. Qui non corro nessun pericolo né per ora né per l’avvenire. Prima di essere impiegati noi, deve
essere impiegata tutta la Divisione.
A dirvelo francamente a me dispiace l’essere stato assegnato ai complementi, proprio per questo motivo!
Per il resto sto benissimo. Regna la massima concordia ed allegria.
Vi bacio caramente, Efrem
Il giorno 27 Gennaio, alle ore 17 giunge al battaglione l’ordine di partenza a piedi per andare a dislocarsi fra
Amba Addechiraes e Amba Mehescel. Alle ore 19 il reparto arriva sulle posizioni assegnate e la 643^
compagnia si attesta oltre l’Amba Mehescel, sopra il villaggio di Enda Mariam, mentre le altre compagnie si
rafforzano in assetto di difesa.
Nei giorni successivi gli alpini sono impiegati in lavori di miglioramento della linea ma a messa mattinata
del 29 perviene l’ordine di movimento in direzione della Sella Maramotti e Colle Margà per andare a
sostituire un battaglione del 224° rgt. fanteria. La posizione viene raggiunta alle ore 13 ed hanno inizio le
operazioni di avvicendamento tra gli alpini ed i fanti, attività che si conclude il giorno 31. Le compagnie,
alle quali sono state assegnate tre mitragliatrici pesanti, sono così dislocate: la 643^ a cavallo del Colle e la
614^ con il Comando di battaglione sulla collina ad est del Colle. Da queste quote si domina la vallata sino a
Mai Feres.
Nonostante la previsione di stazionare per qualche tempo sulle posizioni raggiunte, la sera del 1° Febbraio,
un motociclista reca l’ordine di trasferimento della 5^ Divisione Alpina, di avanzare dal giorno successivo
su Makallè, spostandosi in 5 scaglioni di marcia che devono muovere a distanza di un giorno uno dall’altro.
Il battaglione complementi, comandato dal Tenente Colonnello Ferdinando Casa, costituisce il terzo
scaglione di marcia, che parte alle ore 9 del 4 febbraio, composto da: la 1^ Sezione CC.RR; 10^ colonna
salmerie col comando e 1° e 2° reparto; 1° reparto someggiato della 309^ sezione sanità e plotone portaferiti.
Per la sicurezza in movimento l’avanguardia è costituita dalla 603^ compagnia, mentre la 614^ provvede al
fiancheggiamento con la 643^ in retroguardia. Per ulteriori disposizioni della Divisione, alla colonna si
aggiungono 4 plotoni mortai del 7° rgt. alpini ed una sezione staccata del Genio. Alle ore 13 la colonna
giunge a Mai Feres e si accampa ad ovest del fortino per il pernottamento. Il giorno successivo, alle ore 7,30
il battaglione si muove per la tappa successiva percorrendo una marcia faticosissima lungo impervie ed
aride mulattiere. Alle ore 16,40 arriva la comunicazione da parte della Divisione che la coda della 1^
colonna è stata presa a fucilate all’altezza di Mai Uerì da parte di armati del Degiac Gabriel. Alle ore 17 la
testa del battaglione giunge a Mai Afarit dove si accampa.
Il 6 febbraio di prima mattina, lo scaglione riprende la marcia con un caldo afoso lungo un itinerario tutto in
salita. Nei pressi di Uerì incontra il battaglione alpini “Saluzzo” e alle 18,30 entra a Hausien. Gli uomini
sono stanchissimi e si accampano per riordinarsi e riposare in attesa di spostarsi nel Tembien.
Nella mattinata del giorno 8 il Comando del gruppo battaglioni nazionali comunica che per ordine del Corpo
d’Armata eritreo, il battaglione complementi dovrà a decorrere dalle ore 13,30 trasferirsi percorrendo in due
tappe l’itinerario Hausien - Atalei e Atalei – Santà. Alle 17,30 gli alpini arrivano ad Atelei dove trovano la
colonna del Generale Diamanti reduce dai duri combattimenti sostenuti a Passo Uarieu nell’ultima decade di
gennaio.
Il 9 febbraio alle 7 di mattina il battaglione riprende il movimento adottando particolari misure di sicurezza
in quanto la zona è ancora sotto il controllo degli etiopici che sottopongono i reparti italiani ad improvvisi
attacchi. Giunto a 4 chilometri oltre Santà viene ordinato l’alt nei pressi del Comando del Gruppo battaglioni
indigeni.
Il giorno successivo si procede ad un’ulteriore spostamento in avanti, sino ai roccioni che dominano Addì
Zubahà dove, nonostante la mancanza di sorgenti d’acqua vicine, il battaglione si attesta. Sino al giorno 16
gli alpini stazionano sulle posizioni limitando l’attività operativa ad azioni di pattuglia.
Efrem Reatto approfitta della sosta per scrivere alla famiglia:
Carissimi,
siamo al 16 e ancora non ho ricevuto vostre nuove. Spero che almeno voi abbiate ricevuto le mie lettere. Da
tre giorni ci troviamo fermi. Siamo a 40 chilometri da Macallè, spostati ad ovest. Non facciamo per ora più
parte della V Divisione Alpina, ma del Corpo d’Armata Eritreo (indigeno). Noi si sarebbe riserva d’Armata.
Qui stiamo benissimo. Sembra, come vi ho già scritto, di essere alle escursioni. Ci siamo ambientati
benissimo. Se le comodità non ci sono, facciamo prestissimo a crearle (la lettera si interrompe. N.d.r.).
Il 17, giunto l’ordine di partenza e il 7° battaglione muove verso Passo Uarieu dove dovrà passare alle
dipendenze della Divisione “XXVIII Ottobre” comandata dal Generale Somma. Agli ufficiali viene
comunicato che è in previsione un’azione contro la Uorh Amba sulla quale gli etiopici avevano sistemato
500 uomini ed un cannone da 47.
Il battaglione arriva in serata a Passo Uarieu dove si accampa.
La mattina del 18 il Generale Pirzio Biroli, comandante del 2° Corpo d’Armata, convocati gli ufficiali alle
dipendenze della Divisione “XXVIII Ottobre” espone il concetto d’azione contro la Uorc Amba:
<<DURANTE LA NOTTE FRA IL 19 ED IL 20, DUE PLOTONI FUCILIERI ROCCIATORI DELLA
FORZA DI CIRCA 70 UOMINI CIASCUNO DEVONO IMPOSSESSARSI CIASCUNO DI UNA DELLE
DUE CIME DELL’AMBA; NEL FRATTEMPO ALTRI REPARTI (QUELLI STESSI CHE
DISTACCANO I PLOTONI ROCCIATORI) OCCUPANO LE BASI DELL’AMBA A NORD ED A SUD
IN MODO DA COSTITUIRE UN APPOGGIO AI PLOTONI ARDITI E GARANTIRLI DA
UN’EVENTUALE ACCERCHIAMENTO; ALTRI REPARTI, PIÙ INDIETRO, SONO PRONTI PER
QUALSIASI EVENIENZA; SETTE BATTERIE DI ARTIGLIERIA APPOGGIANO L’AZIONE; È
PREVISTO IL CONCORSO DELL’AVIAZIONE.
SCOPO DELL’AZIONE È: OCCUPARE LA UORC AMBA PER COSTITUIRVI UN OSSERVATORIO
E PORTARVI DEI PEZZI D’ARTIGLIERIA PER POTER BATTERE L’AMBA DEBERANZÀ, IL
PASSO UARIEU E LE PROVENIENZE DAL MAI BELES E DAL TORRENTE CACCIAMÒ>>.
Compito particolare del 7° battaglione complementi è quello di fornire uno dei plotoni rocciatori, il quale
assieme ad un’aliquota di ascari darà la scalata alla cima Sud; occupare la base Sud dell’Amba, nella zona
Uorieghè verso Safrà. Il comando del plotone rocciatori viene affidato al Tenente Gustavo Rambaldi della
614^ compagnia che nella circostanza riceve ordini diretti dal Generale Somma. Tutto è pronto, ma
all’ultimo momento, la mattina del 19, giunge l’ordine di sospendere l’operazione in quanto si ritiene
opportuno un preventivo bombardamento delle posizioni etiopiche.
Lo stesso giorno Efrem Reatto termina di scrivere la lettera che aveva interrotto tre giorni prima:
…Ripiglio la mia lettera dopo aver compiuto uno sbalzo in avanti. Ci troviamo proprio in prima linea, nella
regione del Tembien.
Questa mattina dovevamo fare un’azione: occupare cioè un’Amba che si trova proprio sopra Abbì Addì.
Fino a nuovo ordine è stata sospesa. Mentre vi scrivo, assistiamo al bombardamento eseguito dagli
aeroplani e dall’artiglieria. Un vero spettacolo.
Da indigeni abbiamo saputo che l’armata di Ras Cassa è in rotta; la fame e le malattie più perniciose
mietono centinaia di vite.
Abbiamo saputo con soddisfazione della vittoria conseguita dai nostri verso Amba Alagi. Noi aspettiamo da
un momento all’altro di avanzare per congiungerci con le colonne provenienti da Sud. Qui ci troviamo in
fortini, quelli stessi dove si sono ritirate le colonne del gruppo Generale Diamanti dopo il combattimento
del 21 u.s.; a circa un chilometro innanzi a noi vi sono i cadaveri degli abissini rimasti insepolti. Non vi
dico il tanfo che con il caldo emanano questi corpi in avanzata putrefazione. Ormai ci siamo abituati e non
ci facciamo più caso.
Dal giorno in cui siamo partiti da Enda Mariam siamo tutti senza notizie dei nostri cari.
Con tutto l’affetto vi bacia Efrem.
L’Amba Uorc, il cui nome significa “montagna d’oro”, è costituita da un massiccio montuoso formato da
due vette (Scimerbò Amba e Amba Deber Ansa) unite da un breve avvallamento. Mentre l’occupazione
della vetta nord - ritenuta non presidiata - viene assegnata dal piano d’operazione ad un reparto di camicie
nere della Divisione “XXVIII Ottobre”, la conquista della vetta Sud - sovrastante il Passo Uarieu e
fortemente tenuta dagli abissini - viene affidata al 7° battaglione complementi alpini. Il capomanipolo Tito
Polo (16) delle CC.NN giunto alla vetta Nord vi trova alcune sentinelle e molti abissini addormentati che
vengono posti fuori combattimento; altri riescono però a fuggire recando l’allarme nelle proprie retrovie. Per
l’azione sulla vetta occidentale è incaricato il tenente degli alpini Gustavo Rambaldi, assai noto per la sua
perizia di rocciatore. Partito nella notte sul 27 febbraio, con 30 alpini, quindici ascari, due trasmettitori e tre
mitragliatrici leggere, Rambaldi avrebbe dovuto ricevere l’appoggio di un plotone comandato dal Tenente
Reatto e che doveva portarsi sul primo gradino dell’Amba. Il Ten. Rambaldi superati i difficili due
chilometri che distano dalla base del monte, si accorge che il plotone di Reatto, destinato a tamponare la
forcella garantendo la protezione ad Ovest e nel contempo proteggere il battaglione sottostante, non è
riuscito a mantenersi in contatto: dopo un’ora d’inutili ricerche, inizia ugualmente la salita lunga e difficile
dovendo rinunciare anche all’apporto degli ascari non in grado di seguirlo. Giunto con i suoi trenta alpini al
ciglio del ripiano terminale dell’Amba, Rambaldi constata che il ritardo è ormai grave, tanto da
compromettere l’azione in quanto l’alba era ormai vicina. Ordina pertanto l’assalto alla baionetta ma la
difesa nemica incontrando un’accanita resistenza. Durante il combattimento, due delle tre mitragliatrici
italiane si inceppano ed i rinforzi inviati dal battaglione, al comando del sottotenente Costa, sono bloccati
dagli abissini ormai in fase di accerchiamento dell’Amba. Gli altri reparti del battaglione intanto combattono
alla base dell’Amba. Sostanzialmente non è possibile l’occupazione totale dell’Amba Uorc e l’azione di
Rambaldi e dei suoi pochi alpini vale a favorire solo l’occupazione della punta nord e a tenere sotto il fuoco
il colletto interposto tra le due cime tenendo impegnate notevoli forze avversarie.
Quelle ore sono descritte in modo dettagliato nel diario storico del battaglione complementi:
27 Febbraio - giovedì.
Alle ore 0,30 parte dall’accampamento il plotone rocciatori con 25 ascari eritrei giunto nella notte al
comando del tenente Rambaldi. Alle ore 2,00 parte tutto il battaglione. Appena fuori dalla cinta dei
reticolati il battaglione assume la formazione di avvicinamento. Avanzata la 614^ compagnia, rinforzata dal
plotone mitraglieri della Divisione “XXVIII Ottobre” e da un plotone della 643^ compagnia al comando del
tenente Reatto; 1° rincalzo la 643^ compagnia; 2° rincalzo la 603^ compagnia. Segue il battaglione un
plotone del genio il quale distende la linea telefonica man mano che il battaglione avanza. L’avanzata è
resa faticosa dal terreno intricato e dalla notte, ma il nemico non da alcun segno di vita. Alle ore 6 giunge
una comunicazione radio del tenente Rambaldi che dice che: causa inaccessibilità di terreno è costretto a
discendere e tentare una nuova via per salire sulla cima dell’Amba. Alle 6,35, senza incontrare alcuna
resistenza, il battaglione occupa le posizioni assegnate all’altezza dei roccioni Sud-Ovest della Uorc Amba.
Le compagnie addossate ai roccioni, formano tre posizioni successive di resistenza e procedono subito a
lavori di rafforzamento e sistemazione del terreno. Il comando di battaglione si pone presso la 603^
compagnia. Alle ore 7 circa il tenente Rambaldi riparte per tentare la salita dalla parete Est dell’Amba.
Alla stessa ora il capitano Pollino, comandante della 614^ compagnia, comunica che ha avvistato nuclei
nemici di pochi uomini che nella pianura ad Ovest dell’Amba avanzano rapidamente verso Passo Uarieu.
Alle ore 8 circa un centinaio di nemici, sbucati improvvisamente dalle case dei villaggi posti ad Ovest
dell’Amba, attaccano frontalmente le posizioni mentre circa trecento regolari avanzano a largo con
evidente intenzione di aggirare l’ala sinistra. L’attacco però viene decisamente respinto ed il nemico si
ritira nascondendosi nei vicini villaggi; il tentativo di aggiramento continua. Alle ore 9 il tenente Rambaldi
radiotelegrafa che ha raggiunto la cima, ma essendo violentemente attaccato da ingenti forze nemiche, ha
necessità di rinforzi per resistere. Contemporaneamente giunge una richiesta di rinforzi da parte del
capitano Pollino il quale ha avuto forti perdite ed è rimasto solo sulla linea essendo morti due ufficiali e
feriti gli altri due. Alla 614^ compagnia vengono mandati di rinforzo tutti gli uomini disponibili della 603^
compagnia, Improvvisamente si presenta il pericolo di un aggiramento sulla destra, attraverso un comodo
canalone che si apre fra i roccioni e che va a cadere proprio a tergo delle posizioni. Per ovviare a tale
pericolo viene inviato da quella parte un plotone della 603^ compagnia al comando del sottotenente Costa.
Poco dopo si viene a sapere che il sottotenente Costa è morto ma che il pericolo è ovviato. Nella valle
abissina si vedono intanto avanzare quattro carri armati che vengono a prestarci man forte. Il battaglione è
già fortemente impegnato e non possono perciò essere inviati a Rambaldi i rinforzi richiesti. Verso le 9,20
circa 400 regolari con due mitragliatrici, rasentando i roccioni dell’Amba, attaccano violentemente la
posizione e arrivano a pochi passi dagli alpini. Vengono ricacciati da violento tiro di fucilieri e
mitragliatrici e da un assalto alla baionetta e bombe a mano. Alle ore 10,30 con un altro assalto alla
baionetta e bombe a mano gli alpini ricacciano circa 500 regolari che con un attacco irruento e fulmineo
avevano oltrepassato di qualche metro la linea, mentre il tentativo di aggiramento sulla sinistra viene
frustrato dal tiro delle mitragliatrici pesanti e dall’artiglieria. Dalle 10,40 alle 11,50 vengono compiuti altri
tre assalti alla baionetta con intenso lancio di bombe a mano, arrestando così i violenti attacchi e mettendo
in fuga il nemico che aumentato ancora di numero e appoggiato dal fuoco di sei mitragliatrici, avanza in
formazioni compatte precedute da uomini armati di lunghe daghe. Al quinto assalto degli alpini, al grido di
“Savoia” e “A noi” prende valorosamente parte una compagnia di CC.NN del gruppo Diamanti giunta
poco prima a rinforzare la linea. Nel frattempo il tenente Rambaldi, che non aveva potuto mantenere le
posizioni conquistate, a causa della schiacciante superiorità numerica del nemico, ha con i superstiti del
suo reparto nuovamente raggiunto il battaglione andando a rinforzare la linea. Alle ore 12 circa giunge il
battaglione granatieri del Gruppo battaglioni nazionali il quale si schiera subito in prima linea e
contribuisce ad annientare definitivamente il nemico già in fuga precipitosa verso Abbì Addì. Continua fino
verso le ore 16,30 circa il fuoco di fucileria e di mitragliatrici contro elementi nemici che con sorprendente
coraggio giungono sotto le posizioni per recuperare le salme dei morti. Alle ore 17 il battaglione viene
ritirato dalla linea ed avviato al fortino “Valcarenghi” ove passa la notte.
Perdite subite dal battaglione (17) : morti 4 ufficiali, un sottufficiale e 15 di truppa; feriti 4 ufficiali e 45 di
truppa>>.
La testimonianza diretta del capitano Giuseppe Pollino in una lettera scritta a Marino Reatto aggiunge altri
dettagli al combattimento:
Preg.mo Signor Console,
…..Ecco qualche particolare del combattimento del 27 Febbraio.
Per il colpo di mano sulla Uorc Amba al battaglione era stato affidato il compito di impadronirsi di
sorpresa della cima Sud dell’Amba e di mantenervi l’occupazione. Per la conquista dell’altra cima del
massiccio operava un’altra colonna. Il movimento dall’accampamento distante circa sei chilometri dai
piedi dell’Amba, ebbe inizio poco dopo la mezzanotte. Primo, il plotone del mio tenente Rambaldi Gustavo,
formato da 50 alpini scelti fra i migliori rocciatori del battaglione; subito dopo il plotone del Suo figliolo e
quindi il resto della mia compagnia ed un plotone di camicie nere mitraglieri. L’Amba, mentre dalla parte
avversaria era facilmente percorribile in tutti i sensi anche da grossi reparti, dalla parte nostra presentava,
specie di notte,serie difficoltà di salita (rocce strapiombanti,canaloni improvvisamente interrotti da pareti a
picco, tratti di parete con appigli non sicuri, ecc.) Nel nostro settore il massiccio era presidiato nella notte
da poche forze, ritengo 150 uomini al massimo, disposti a piccoli gruppi sui punti dominanti e nascosti in
caverne; al nostro avanzare silenzioso, forse sorpresi nel sonno, qualche gruppo riuscì a dileguarsi
nell’oscurità della notte (ne abbiamo trovato le tracce) senza far uso delle armi. Altri invece, poco sotto la
vetta, visti alle luci “cadere dal cielo gli uomini gallina” come essi hanno detto poi, si sono difesi urlando e
sparando sugli uomini del plotone Rambaldi. Raffiche di mitragliatrici e bombe a mano ben aggiustate
ebbero presto ragione di quegli spaventati e stupidi abissini certamente convinti che nessun nemico sarebbe
arrivato da quella parte. Perdite nostre: un morto -sergente Bait (18) e una dozzina di feriti.
Verso le 6,30, occupate le posizioni stabilite, venivano iniziati i lavori di rafforzamento. Mentre la parte alta
dell’Amba, come ho detto, era presidiata da poche forze, dietro l’imponente massiccio, nascosti in gallerie,
nelle capanne di diversi villaggi e nelle anfrattuosità del terreno, in quella zona intricatissima, erano in
agguato numerosissimi i guerrieri di Ras Cassa e di Ras Sejum. Al primo allarme nemico le lugubri note del
corno di guerra abissino si feceso sentire da ogni parte e nella vallata sottostante all’Amba gli armati
sembravano scaturire dalla terra. Il suolo, completamente coperto dalla massa nera che avanzava urlando e
gesticolando fantasie di guerra, dava l’impressione di un immane formicaio in convulsione. L’Amba Uorc
era per l’avversario un punto di osservazione ed ad un tempo un caposaldo della massima importanza.
Oltre a sbarrare la via di Abbì Addì capitale del Tembien, permettere l’osservazione delle nostre posizioni
di Passo Uarieu dietro il suo imponente massiccio, potevano essere effettuati al coperto della nostra vista i
movimenti delle colonne nemiche. Era quindi naturale che gli abissini tentassero disperatamente di
riconquistarlo.
Le nostre mitragliatrici dalle posizioni vantaggiose, incominciarono subito a falciare senza tregua, mentre
l’artiglieria faceva strage su quei vulnerabilissimi bersagli ben indicati dall’alto dai razzi della mia pistola
da segnalazione. Le ondate d’assalto si susseguivano alle ondate e in breve le falde dell’Amba sotto le
nostre posizioni erano cosparse di cadaveri nemici maciullati dal nostro tiro e dalle bombe a mano. Ciò non
ostante i superstiti delle compatte masse nemiche, facendosi scudo dei cadaveri dei compagni, e saltando
come belve da masso a masso, protetti da tiratori ben appostati, riuscivano ad avvicinarsi alle nostre
posizioni e per ben cinque volte dovettero essere ricacciati alla baionetta. Le loro urla selvagge e feroci, le
loro lunghe scimitarre sguainate per nulla sbigottirono gli alpini che incitati dai loro ufficiali, seppero
tenere duro, meritandosi dagli stessi abissini la qualifica di “uomini roccia”. Questi particolari, signor
Console, possono dare un’idea della violenza del combattimento della Uorc Amba.
Il suo figliolo che aveva il plotone sistemato a difesa di una fronte di una ventina di metri a circa quindici
passi a sinistra del mio posto di comando venne colpito la prima volta verso le nove e quarantacinque.
Dalla prima alla seconda ferita passarono circa venti minuti. Colpito la seconda volta venne subito
trasportato al posto di medicazione del battaglione.
Durante il percorso incontrò il sottotenente Dal Masso della 643^ compagnia col quale s’intrattenne
qualche minuto. Pronunciò poche parole. Accennò alle due ferite e disse di avere molta sete. Ebbe del caffè
che sembrò ristorarlo. Anche al posto di medicazione rimase pochi minuti e poi venne avviato
all’ospedaletto di Passo Uarieu. A circa metà percorso spirò assistito dall’attendente soldato De Conto
Luigi e da quattro portaferiti.
L’episodio del lancio del sasso mi è stato confermato dall’alpino Gallonetto della 643^ compagnia che dice
di aver visto il suo Efrem scagliare con violenza dall’alto di un masso una grossa pietra su alcuni abissini
che strisciavano sotto il masso stesso per avvicinarsi agli alpini.
Anche il capitano Bona, in una lettera inviata al Console Marino Reatto il 21 Marzo 1936, così descrisse il
combattimento ed il suo epilogo:
Egr. Signor Console,
in quest’ora di dolore ritengo possa essere loro di conforto conoscere come il povero Efrem abbia trascorse
le sue ultime ore e come sia caduto. Dalle sue carte personali che Lei troverà in una delle sue cassette,
conoscerà come a Lui fosse stato affidato di proteggere col suo plotone il fianco destro dello schieramento
della compagnia di prima linea. Per difficoltà incontrate per raggiungere la posizione, ed in seguito ad
ordine del comandante di battaglione, prima dell’inizio del combattimento, Efrem passava agli ordini del
capitano Pollino che lo destinava ad appoggio alla mitragliatrice pesante che era alla destra della
compagnia. Il primo attacco nemico, perché il Battaglione aveva raggiunto le posizioni assegnate, si
verificò alle 6,30 circa. Gli abissini muovevano contro le nostre posizioni a masse, la pianura antistante era
un formicaio di nemici; per cinque volte vennero all’assalto e per cinque volte furono ricacciati. Verso le
nove il povero Efrem veniva colpito una prima volta al braccio sinistro, e per quanto il Capitano Pollino,
che era vicino a lui, lo esortasse a recarsi al posto medicazione, egli volle rimanere al suo posto di
comando. Poco dopo visti cadere i serventi della mitragliatrice pesante, si portava all’arma, caricava e
sparava sul nemico in quel momento incalzante fino a quando colpito una seconda volta al ginocchio ed
all’addome veniva dagli Alpini trasportato al posto di medicazione. Mentre il dottore provvedeva alla prima
medicazione, raccomandò che fossero mandati rinforzi ed aggiunse: <<Salutatemi mamma e papà>>. In
barella, i portaferiti che lo trasportavano all’Ospedaletto di Passo Uarieu constatarono pochi istanti dopo,
che era morto.
Noi in linea apprendemmo la terribile notizia solo parecchie ore dopo. Signor Console, il povero Efrem è
morto da Eroe, come pochi sanno morire, è spirato col nome della Mamma e del Babbo sulle labbra.
È stato proposto per la medaglia d’oro con la seguente motivazione: <<In duro combattimento ferito
gravemente ad una spalla, sdegnava cure e conforto rifiutando di abbandonare la linea. Vista una
mitragliatrice pesante che, tenuta sotto violento fuoco dell’avversario, aveva perduto tutti i suoi serventi, si
portava in posizione battutissima, caricava l’arma ed apriva il fuoco sul nemico finché, nuovamente ferito,
si rovesciava colpito a morte>>.
È sepolto fra i suoi colleghi Ufficiali caduti con Lui quello stesso giorno e fra i suoi Alpini nel cimitero
Militare di Passo Uarieu.
Il nostro immediato trasferimento dal Tembien alla zona di Amba Alagi non ci ha permesso, per ora, sulle
tombe dei nostri Caduti il monumentino che S.E. l’On. BISI, nostro comandante di Battaglione, ha divisato
di far costruire, ma la cosa è semplicemente rimandata. Tornerò al cimitero e mi riservo di inviarLe la
fotografia della sua Tomba.
Il caro Efrem, l’Eroe del 7° Battaglione, tanto caro ai colleghi ed ai suoi soldati è stato vendicato quello
stesso giorno ed il suo ricordo rimarrà perennemente vivo in noi – il Suo esempio ci sarà di sprone per
l’avvenire. (…).
Con me tutti i colleghi del Battaglione inviano a Lei e alla Signora vivissime condoglianze.
Dev.mo
Capitano Bona
Il Tenente medico Giuseppe Rigotti del 7° rgt. alpini inviò a Marino Reatto, nel mese di Aprile 1936, una
lettera nella quale descrive le cure prestate al ferito e le cause del decesso:
…Erano circa le 10,30 del 27 febbraio. Il combattimento continuava aprissimo, le sorti non essendo ancora
decise. Da due ore al mio posto di medicazione affluivano ininterrottamente i feriti che in lunghe e dolorose
file di barelle aspettavano di essere soccorsi. Quando, steso su una barella, coperto di polvere come un
Eroe dei poemi omerici, giunge il Tenente Reatto. Io gli chiedo cosa gli era accaduto. Mi risponde
semplicemente: <<Sto male, inviate rinforzi, salutatemi mamma e papà>>.
Io mi rendo subito conto della gravità di una delle due ferite. Infatti la pallottola di fucile lo aveva colpito
immediatamente sopra il ginocchio, ledendo i vasi femorali, con conseguente emorragia interna fortissima.
L’altra ferita era pure di palla di fucile, al braccio. Lo rassicuro dicendogli che non è grave e che guarirà.
Medico le gloriose ferite, gli faccio una puntura di olio canforato e una di caffeina, gli do un sorso di
cognac che prende volentieri. (…) Io cercavo di convincere me stesso che la ferita non era così grave come
l’avevo giudicata, attribuendo questo mio giudizio al pessimismo proprio dei giovani medici, e per essere la
prima volta che mi trovavo a contatto di feriti in un combattimento.
La sera mi raggiungeva la notizia che pochi minuti dopo che ci eravamo stretti la mano, il Tenente Reatto
era morto. (…)
Verosimilmente l’ufficiale morì in seguito alla grave emorragia interna, forse di impossibile stabilizzazione
presso il posto di medicazione. Una considerazione merita anche la constatazione che tra il posto di
medicazione ubicato nei pressi della Uorc Amba e l’ospedaletto da campo allestito a Passo Uarieu
intercorreva una distanza di circa sei chilometri, che i portaferiti dovevano percorrere a piedi.
Il sacrificio di Efrem Reatto, come quello di tanti altri che come lui credevano in quella guerra perché
convinti di essere portatori di civiltà, sicuramente non considerandola un’aggressione nei confronti di uno
stato sovrano, merita in ogni caso molto rispetto e deve essere valutato rapportandolo al contesto nel quale è
maturato e si è manifestato. Quei giovani erano cresciuti nel mito dell’eroismo dimostrato dai loro padri
durante la grande guerra, eroismo inteso come l’apice dell’amor patrio. Per questo motivo andarono a
combattere con entusiasmo la loro guerra in Africa Orientale, e molti di loro non tornarono.
La conquista della Uorc Amba, dopo lo stallo di quella che viene ricordata come la prima battaglia del
Tembien, consentì alle truppe italiane di poter procede nell’avanzata. Il 27 Febbraio 1936 iniziava così la
seconda battaglia del Tembien che porterà alla sconfitta degli etiopici ed alla ripresa dell’avanzata verso
Sud, puntando su Fenaroà e Socotà.
Fu proprio a ricordo di questa impresa condotta dal 7° battaglione complementi sulla Uorc Amba durante la
battaglia del Tembien (18) che gli alpini vollero, chiesero ed ottennero che il 7° battaglione complementi
assumesse il nome di quella montagna; e ciò si deve soprattutto al comandante Magg. Tommaso Risi succeduto al Ten. Col. Ferdinando Casa - per cui la nuova denominazione di battaglione “Uorc Amba” ebbe
effetto dal 15 Marzo 1936 con “anzianità” retroattiva dal Dicembre 1935.
NOTE
1)In realtà, la località ricognita all’inizio del 1935 dall’Ufficiale topografo Alberto Mosca (alias “Cancellire” del Consolato Alberto Marietti) si chiamava Uarieghe
ma nella trascrizione dell’IGM divenne Passo Uarieu. (cfr. “Passo Uarieu”, P.R. Di Colloredo,Ed. Associazione Culturale Italia 2008, pag. 7-8).
2)Tipica montagna dell’altipiano etiopico, caratterizzata da ripide pareti e dalla cima piatta.
3) Organo del Ministero della Difesa che si occupa delle sepolture appartenenti ai Caduti in guerra
4) De Giorgio Lamberto di Tito e di Anna Pampichili, nato a Pescina (l’Aquila) nel 1907.Capo manipolo del 1° battaglione CC.NN di Eritrea “Gruppo Diamanti”.
Caduto in combattimento sulla Uorc Amba il 27 Febbraio 1926, decorato do MAVM.
5) All’atto dell’esumazione, le spoglie mortali appartenenti ai Caduti sono state riposte in cassette metalliche contraddistinte dal numero di verbale trascritto sopra
due targhette di legno, una delle quali collocata all’interno della cassetta; inoltre i delegati di ONORCADUTI, hanno provveduto alla compilazione di un
memoriale e di un verbale di esumazione. Tali documenti testimoniali sono custoditi nell’archivio di ONORCADUTI. Per quanto riguarda Efrem Reatto, esumato
come Ignoto, fa fede sia la posizione della tomba situata tra Ciccirello e Di Giorgio, sia l’annotazione sul verbale che indica sulla lapide, ancora leggibile, il n° 11
(cfr. foto).
6) Hailé Selassié (Tafari Makonnen) Negus Neghesti d'Etiopia. Duecentoventicinquesimo discendente della dinastia Salomonica. Nato a Ejersa Goro, 23 Luglio
1892 e morto dopo la presa di potere del DERG, in circostanze mai chiarite, ad Addis Abeba il 12 settembre 1974.
7) Ual Ual (conosciuta anche come Walwal) era un importante complesso di 359 pozzi utilizzato dai nomadi somali, da inglesi, italiani e etiopici, situato all'interno
dei deserti dell'Ogaden, in una zona dove i confini non sono ben definiti, tra la Somalia italiana e l'impero etiopico. Nel 1930 il pozzo fu occupato da una
formazione di somali italiani, benché essi non interferissero con le tribù che venivano da ogni direzione a prendere acqua per sé e per i propri cammelli.
L'imperatore, che era sempre stato particolarmente sensibile per quanto riguardava i diritti dell'Etiopia sull'Ogadèn, fin da quando era un giovane governatore
dell’Harar celebrò il suo avvento al trono ordinando all'uomo, che aveva nominato governatore di questo territorio, il dejazmach Gabre Mariam, di liberare la zona
dalla presenza degli italiani. Nel Dicembre 1934 avvenne l’attacco al fortino di Ual Ual, presidiato da una sessantina di soldati somali, i dubat, alle dipendenze del
capitano Roberto Cimmaruta. Una prima minaccia ai pozzi era stata segnalata in Luglio, quando, a cinque ore di marcia da Ual Ual, si era accampata la banda di
un fuoriuscito somalo Omar Samantar, un ribelle che nel 1925 aveva pugnalato a El Bur, il capitano italiano Carolei. Le intenzioni di Samantar erano state
abbastanza chiare: avrebbe voluto (anche perché questo era l'ordine datogli dal suo protettore etiopico Gabré Mariam) occupare i pozzi. Ma gli erano venuti a
mancare i viveri, ed era stato costretto a rimandare l'impresa. In Novembre il Samantar con un migliaio di armati, in parte ribelli della sua banda, ed in parte soldati
etiopici venuti da Harar per ordine di Gabre Mariam, dette inizio al tentativo di occupare definitivamente i pozzi. La situazione era però complicata dalla presenza,
nella zona, di una commissione anglo-etiopica agli ordini del tenente colonnello britannico Clifford, consigliere del Negus. La commissione stava verificando la
delimitazione tra i pascoli appartenenti all'Etiopia e quelli che dovevano essere considerati parte del Somaliland oltre, a individuare i confini con la Somalia
Italiana. Talune versioni danno però per certo che Clifford dichiarò la banda di Samantar come una normale scorta della commissione. In questo modo nel tardo
pomeriggio del 5 Dicembre 1934, gli etiopici ed i somali giunsero a diretto contato con il presidio italiano. Ancora oggi non è ben chiaro se il primo colpo partì
dai dubat del capitano Cimmaruta o dagli uomini di Omar Samantar, oppure dai soldati etiopici del fitaurari Chifera Balcha. Sembra, tuttavia, assai probabile che
l'attacco sia stato sferrato dalle forze etiopiche. La difesa degli ascari fu strenua. Ma la maggior parte dei dubat venne massacrata. Dalla vicina Uardàr, accorse
prontamente il capitano Cimmaruta con due carri armati; mentre decollarono anche due aerei. Lo scontro volse in sfavore degli etiopici, che abbandonarono il
campo, lasciandovi oltre 100 morti. L’incidente venne messo all’ordine del giorno della Società delle Nazioni, che emanò un verdetto di assoluzione per entrambe
le parti.
8) Ras Imru Haile Selassie nato nello Scirè nel Novembre 1892, morto ad Addis Abeba ad Agosto 1980. È stato uno dei capi locali dell'Impero etiopico sotto Hailè
Selassiè. Il suo dominio era nel territorio dello Scirè.
9) Ras Mangascià Sejum era uno dei Ras che governavano i territori tigrini a ridosso del Mareb.
10) Ras Kassa Haile Darge nato nel 1881 morto ad Addis Abeba, 1956, era uno dei Ras dell'Impero abissino. Cugino di secondo grado del Negus Neghesti Hailè
Selassiè. Durante la guerra italo-etiopica comandò il fronte dell'estremo nord assieme al ras Seyum e il ras Ymru.
11) Ras Mulugeta Yeggazu, noto anche come Mulughieta o Mulughietà, è stato un ras dell'Abissinia nel XX secolo. Fu più volte governatore di varie province
etiopiche, fu dignitario di Menelik II e ricoprì negli anni diversi incarichi ministeriali. Ricoprì la carica di Ministro della Guerra durante il regno del negus Hailè
Selassiè. Durante la guerra italo-etiope, Mulughietà guidò un'armata (la più imponente del fronte nord) nella regione dell'Endertà e venne sconfitto il 19 febbraio
1936. Morì dieci giorni dopo, durante la ritirata, ucciso dai guerriglieri Azebò Galla alleati degli italiani.
12) Il 13 Febbraio 1936, nei pressi di Mai Lahlà, oltre il fiume Mareb, un folto gruppo di irregolari abissini dette l’assalto ad un cantiere italiano della ditta
Gondrand massacrando i 74 operai che colà lavoravano.
13) Mehmet Vehib Kaçı conosciuto come Mehmet Wehib o Wehib Pasha, nato a Ioannina nel 1877. È stato un generale dell’Impero ottomano. Dopo aver
combattuto nelle guerre balcaniche e nella prima guerra mondiale ha partecipato alla guerra d’Etiopia come consulente militare di Hailè Selasiè. Morto a Istambul
nel1940.
14) (Cfr. Documento autoreferenziale a firma di Marino Reatto cfr. in PCM -1940-43-, b. 2868, f. Reatto Marino -aspiranti senatori-).Curriculum vitae del
Consigliere Generale, Consigliere Nazionale Reatto Marino del fu dott. Fortunato, nato a Bassano del Grappa il 17 Marzo 1879. Invalido di guerra. Volontario di
guerra. Medaglia d’Argento al Valor Militare. Legionario Fiumano. Iscritto al Partito (P.N.F.. N.d.r.) dal 1° Agosto 1919. Squadrista. Marcia su Roma. Tenente
Colonnello degli alpini R.O.).Terminati gli studi liceali e assolto in anticipo il servizio militare, vinto un concorso al Ministero della Giustizia, dedicò moltissimo
la sua attività al giornalismo e per parecchi anni fu corrispondente di giornali veneti, “Gazzettino”, “Adriatico”, “Gazzetta di Venezia”, “Provincia di Padova”.
Cresciuto con sentimenti di vivo patriottismo, di carattere esuberante si iscrisse fino dal 1900 alla Soc. irredentista Trento-Trieste diventando ardente
propagandista nel veneto e nella zona Trentina soggetta all’Austria.Partecipava così a tutte le dimostrazioni che sotto la parvenza di convegni sportivi, si
svolgevano a Trento con l’intervento degli esponenti massimi dell’irredentismo Battisti, Larcher, Gerloni, Tonini, Scatoni ecc.. Nel 1909, a Trento, veniva
arrestato e trattenuto per qualche giorno dal Commissario di Polizia di quel tempo, il tristemente famoso italofobo Much e da questi diffidato ed espulso dal
territorio austro-ungarico. Nel Settembre 1910, allorchè la politica militare austriaca era tutta intesa a provocare una guerra contro l’Italia moltiplicando gli
incidenti ai confini, venne asportata dai gendarmi austriaci una bandiera italiana issata sul confine alla vetta della Cima Dodici (m.2300) mentre poco lontano si
inaugurava un rifugio italiano. Quale protesta all’oltraggio e alla politica quietista e pavida di quel tempo del Governo Italiano, il Reatto con due amici, salito alla
predetta Cima Dodici contestataci dall’Austria, vi dipingevano i colori nazionali sulla croce e sulle rocce. Tale fatto determinò la vibrata protesta dell’Austria e
conseguente sopralluogo delle Commissioni Militari dei due Stati, la espulsione e diffida di entrare in territorio austriaco dei provocatori nonché la punizione del
Reatto da parte del Ministero della Giustizia per avere organizzata e diretta un’azione “che poteva provocare gravi conseguenze politiche e militari”. Tuttavia il
Reatto nel 1911, 12, 13 varie volte ebbe a varcare il vietato confine per delicate mansioni informative d’indole militare. Nel 1906 si istituiva a Venezia, primo in
Italia, il Battaglione volontari San Marco, il Reatto vi si arruolava quale Ufficiale e istituiva a Bassano un plotone dedicandosi alla preparazione militare dei
giovani. Nel 1908 a Milano si formava il Corpo Volontari Ciclisti Automobilisti, il Reatto si dedicava anche a questa nuova iniziativa e fondava un sottocomitato a
Bassano negli anni dal 1910 al 1913, istruiva 400 volontari anticipando l’attuale premilitare e facendo partecipare per la prima volta i suoi volontari alle manovre
in Piemonte e nel Veneto con i bersaglieri ciclisti dell’8° e 12° reggimento. Nel 1914 a Valdobbiadene (Treviso) instancabile nella sua attività e, sempre avendo di
mira la preparazione di volontari per una eventuale guerra contro l’Austria, fondava i reparti volontari Alpini, arruolava e istruiva oltre un centinaio di valligiani
che poco prima della dichiarazione di guerra si trovarono pronti ed ai quali, per ordine della autorità militare, ne aggiungeva ancora 300 formando così in breve un
battaglione che fu chiamato “dei volontari del Feltre”. Questo Battaglione ben presto operava in zona alpina, sulle Tofane, dando valido contributo di valore e di
sangue nelle numerose e ardite azioni cui partecipava. Il Reatto in un aspro combattimento si guadagnava una Medaglia d’Argento al Valore; dichiarato invalido di
guerra a seguito di grave trauma riportato in combattimento, tuttavia, sempre cogli alpini, partecipava a tutta la guerra per la quale erasi arruolato volontariamente
disdegnando l’esonero cui aveva diritto non solo, ma rifiutandosi di obbedire alla ingiunzione fattagli dai suoi superiori a ritornare alla direzione degli Uffici della
Pretura di Valdobbiadene e sebbene, traversie e disgrazie avessero colpito la sua famiglia che a Caporetto fu costretta a fuggire perdendo casa e beni. Congedatosi
nel Luglio 1919 prese residenza a Venezia Cancelliere in quella Corte d’Appello e subito con vivo entusiasmo diede se stesso al movimento fascista iscrivendosi al
Partito il 1° Agosto 1919. Verso la fine di Settembre raggiungeva a Fiume le truppe del Comandante. Partecipava quindi alla Marcia su Roma e nel Febbraio 1923
si iscriveva alla Milizia -Legione San Marco- ove quale Centurione, tenne il comando della Centuria Ufficiali sino all’Ottobre 1923 in cui si trasferiva a Roma
quale 1° Segretario al Ministero della Giustizia. Non per questo cessava dalla sua attività fascista che subito entrò nelle avanguardie giovanili romane quale
istruttore e nel 1926 venne subito prescelto, nella fondazione dell’Opera Balilla, per lo inquadramento di una delle due legioni avanguardiste romane, ebbe il
comando della 246^ con 3000 avanguardisti e 50 Ufficiali. Il Reatto poi, trasformò la sua Legione in Alpini sciatori, primo in Italia e con instancabile, grandissima
fede e sommo disinteresse, attese alla istruzione in montagna, alla istruzione sugli sci di migliaia di avanguardisti, infondendo in essi amore alla montagna,sprezzo
del pericolo e desiderio vivissimo di servire la Patria nelle truppe alpine. Nella Legione Av. Alpini militarono quali avanguardisti i figli del DUCE, Vittorio e
l’indimenticabile Bruno. Comandò la legione fino a tutto il 1934 e dovette lasciarla dopo la sua promozione a Console. Per i sette anni di comando, tenuto senza
alcun compenso pecuniario, ebbe un diploma di benemerenza e da parte dell’Ecc. Ricci “le espressioni di viva soddisfazione per il lavoro tenace ed appassionato
svolto in così lungo periodo”. (omissis). La sua attività si svolse anche nel campo sindacale e giornalistico. Nell’Ottobre 1923 con l’attuale Consigliere Nazionale
Piero Gazzotti, osteggiato da superiori e colleghi, il reatto fondava il primo Sindacato Fascista dei Funzionari Giudiziari e vi coprì la carica di Vice Segretario
generale e redattore capo del giornale di classe dove ebbe campo di farsi notare e combattere per i numerosi articoli di fond o politico e polemici. Nel 1929,
Dicembre, ebbe la grande ventura di essere prescelto dal DUCE quale educatore dei suoi figli e così ebbe l’onore e la responsabilità di seguire nei primi anni,
Vittorio e l’indimenticabile Bruno, Romano ed Anna Maria di poi. Ritenne sempre tale delicato incarico un altissimo riconoscimento morale e premio alla sua
incrollabile fede e devozione al DUCE. È una delle più belle pagine della sua modesta vita di cui sempre andrà superbo. In questo lungo periodo 1929-1943, nella
molteplice sua attività a Villa Torlonia, fu guida dei primi tentativi di Vittorio e Bruno per fare un giornaletto che poi divenne giornale e rivista. Il Reatto ne fu il
Direttore responsabile ossia il cireneo delle esuberanze polemiche e letterarie di Vittorio che prometteva di riuscire un ottimo scrittore, acuto critico e polemista,
giornalista completo per diventare il Direttore di un grande giornale. Venuta la guerra d’africa, per volere del Duce, che gli aveva rifiutato il permesso di seguire
quale volontario i suoi figli al fronte, assunse il comando della IV Legione Universitaria “Benito Mussolini” in Roma dedicandosi con entusiasmo alla istruzione
degli Allievi Ufficiali e contemporaneamente attendendo al suo incarico di educatore di Romano ed Anna Maria. Nel Comando della Legione tenuto sino al
Giugno 1937, ebbe la soddisfazione di ultimare due corsi di un migliaio di Allievi Ufficiali col plauso dei superiori, encomio del Corpo d’Armata, e quello che più
importa, la lode del DUCE. Sempre seguendo con affettuoso e vivo interessamento l’educazione e l’istruzione di Romano e di Anna Maria dalla 1^ classe
elementare è giunto con loro alla 1^ liceale, ambedue, che il Reatto ha avuto cari come figli e tali resteranno nel suo cuore, oggi non hanno più bisogno dell’opera
sua perche essi dotati di vivissima intelligenza sapranno guidarsi da soli. Pago di aver goduto per tanto tempo (14 anni) la fiducia e la benevolenza del DUCE che
ha servito sempre in silenzio e con tutta fedeltà, osa sperare che queste gli siano continuate anche per l’avvenire. Terminando il suo curriculum vitae, lo scrivente
si permette esternare le sue aspirazioni. Nominato dal DUCE a Consigliere Nazionale dal 1941, in considerazione di tutto un passato dedicato alla Patria ed al
Fascismo, per le benemerenze acquisite in pace ed in guerra vorrebbe essere nominato senatore del Regno. Passando poi ad aspirazioni di indole economica onde
avere assicurato nella vecchiaia la tranquillità di vita che non gli sarebbe data dalla modestissima pensione (lire 1455 mensili) cui ha diritto dopo 45 anni di
servizio, chiede di poter entrare in qualche Consiglio di Amministrazione quali l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni, la Fiat, la Montecatini, la Marelli ecc. o la
concessione di una Agenzia AGIP in una città dell’Italia Centrale o Settentrionale.Roma 27 Maggio 1943 XXI - Firmato: Marino Reatto (Non risulta che Marino
Reatto abbia ottenuto la nomina a Senatore. Presso l’ACS, Pol.Pol. b. 1143, è presente una velina della Questura di Venezia datata 25 Agosto 1943, dalla quale
risulta che Marino Reatto venne indagato “per illecito arricchimento sotto il passato regime”. Nello stesso archivio non sono custoditi altri documenti che possano
indicare l’esito dell’inchiesta).
Cfr. Stato di Servizio n° 11724, Archivio Accademia Militare.
15) Tito Polo, nato a San Vito al Tagliamento nel 1909. Capo manipolo della 116^ legione CC.NN. Decorato di due MAVM e di MBVM.
16) Bait Francesco,nato a Pola nel 1911. Sergente Maggiore del 7° battaglione alpini. Decorato di MAVM alla memoria.
17) Caduti del 7° battaglione alpini complementi inumati nel Cimitero di Passo Uarieu:
tenente REATTO Efrem, decorato di MOVM
sottotenente AGNISETTA Felice nato a Torino nel 1913, decorato di MAVM
sottotenente CICCIRELLO Antonio nato a Calao (Perù) nel 1911, decorato di MOVM
sottotenente COSTA Annibale nato a Santo Stefano Belbo (Cuneo) nel 1911, decorato di MAVM
alpino DAMELE Giovanni
alpino PIOMBO Ilario
alpino CACCIAN Agostino
alpino MONTANELLA Mario
alpino DALL’OSTO Massimo
alpino CARELLO Michele nato a Caprie (Torino) nel 1913, decorato di CGVM.
alpino BOGO Luigi
alpino TORMEN Amedeo
alpino BARBERO Felice nato a Verzuolo (Cuneo), decorato di CGVM.
alpino ANTELLI Mario
alpino IONO Cipriano
alpino DI MARIO Graziano
alpino BALOCCO Silvio Paolo nato a Cengio (Savona) nel 1913, decorato di MBVM.
alpino SECCHIARI Gino nato ad Apuania (Carrara) nel 1914, decorato di MBVM.
alpino MARTINI Oreste nato a Mondovì nel 1907, decorato di MAVM
alpino DE MORI Marino
alpino GAVA Antonio
alpino GROVELLO Carlo
caporal maggiore IGNOTO (forse sergente maggiore BAIT Francesco)
BIBLIOGRAFIA
“Medaglia d’Oro sul campo Efrem Reatto”, Ed. Panetto & Petrelli, 1939 Spoleto
“Cimitero di guerra Reginaldo Giuliani”, G. Caorsi, Giugno XIV E.F. Imperia
“Passo Uarieu”, P. R, di Colloredo, Associazione Culturale Italia, Genova 2008
“I pilastri del romano impero”, P. R, di Colloredo, Associazione Culturale Italia, Genova 2009
“La guerra d’Etiopia”, P. Badoglio, Ed. Mondadori, Milano 1937
“La campagna italo-etiopica 1935-36”, L. E. Longo, Tomo I, AUSSME, Roma 2005
“Dizionario biografico decorati al VM nella campagna d’Abissinia” G. C. Stella, Ravenna 1988
“Archivio Storico dell’Accademia Militare”, Modena
“Archivio Ufficio Storico SME”, Roma
“Archivio Centrale dello Stato”, Roma
“Archivio del Commissariato Generale Onoranze Caduti in Guerra”, Min. della Difesa, Roma
Lettera di Mussolini al padre di Efrem.
Queste pagine, curate da Fulvio Capone, sono state pubblicate sul n° 130 dell’ ILLUSTRE Bassanese nel
marzo 2011.