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PROFILO DI YOLANDE MUKAGASANA Candidata al Premio Nobel per la Pace 2010 “Non provo più odio per chi ha ucciso la mia famiglia, voglio portare la vita a chi mi ascolta e chiedo di fare altrettanto ogni giorno perché solo così si rende davvero giustizia a chi è morto senza alcuna colpa”. Yolande Mukagasana Yolande Mukagasana è nata a Butare da una famiglia tutsi. All´età di 5 anni viene ferita nel corso della rivoluzione hutu. Diplomatasi nel 1972, solo nel 1988 le è riconosciuto ufficialmente il titolo d’infermiera anestesista, e scopre che anche in questo campo esistono quote hutu e quote tutsi. Nel 1992 apre a Kigali un piccolo aembulatorio privato, che la espone a invidie e critiche che esploderanno durante il genocidio del 1994. Yolande è una sopravvissuta al genocidio. Nei massacri del 1994 perse il marito e i figli riuscendo a salvarsi in maniera miracolosa anche attraverso l’aiuto di una donna Hutu Jacqueline Mukansonera. L’agghiacciante e commovente racconto di quella incredibile storia è reso fedelmente nel libro “La morte non mi ha voluta”. Christian 15 anni, Sandrine, 14, Nadine, 13: i machete non ha avuto pietà dei figli di Yolande così come non ha avuto pietà per suo marito Joseph. Così i loro nonni, i loro zii. Una casa devastata e rasa al suolo. Ogni ricordo di vita felice distrutto. Questo è stato per Yolande Mukagasana, madre, moglie, figlia e sorella, il genocidio del Rwanda, il 1994. Una vita annientata, ma non distrutta. “La morte non mi ha voluta”, ripete spesso, citando il titolo del suo libro, un bel sorriso ormai sereno sul volto, quando parla di quei giorni. Di quel genocidio, che ha lasciato a terra più di un milione di morti in tre mesi, dall’aprile al luglio 1994, se n’è saputo poco: “I media – racconta Yolande – non ne parlavano, e anche quando lo facevano davano informazioni sbagliate o parziali, a protezione di chi il genocidio lo comandava”. Il Rwanda, piccolo paese del centro Africa, incastonato tra Congo, Burundi, Uganda ha conosciuto la divisione etnica solo attraverso il colonialismo europeo. Le tre etnie, Hutu, Tutsi e Twa non erano altro, nella leggenda ruandese, che tre fratelli che convivevano pacificamente insieme. Il colonialismo ha volutamente creato delle divisioni, difendendo gli Hutu e palesando, attraverso un vero e proprio manifesto della razza, la malignità dell’etnia Tutsi: “A scuola eravamo due bambine tutsi – racconta Yolande - e ci usavano per mostrare le differenze fisiche con il resto dei nostri compagni. Era naturale odiarci. Il genocidio è iniziato prima di tutto con la nostra educazione”. E così nel 1994, in 100 giorni, una furia omicida devasta il paese. Un milione di persone, o come dice Yolande: “Una vita per un milione di volte”. Senza distinzione, i Tutsi vengono uccisi da amici e conoscenti trasformatisi in carnefici senza pietà. Yolande si salva, per un assurdo scherzo del destino, nascosta per tre mesi in casa di una donna Hutu, indossando gli abiti tolti a un cadavere. Tra le mani, la sua vita felice era scivolata via come sabbia: “Ho capito il valore della vita solo conoscendo la morte. Da allora, una spinta forte dentro di me mi diceva di rendermi testimone di ciò che è accaduto, messaggera di vita soprattutto tra i giovani”. Yolande è oggi madre di 21 orfani, adottati in seguito a quel genocidio, è autrice di alcuni testi che raccontano della sua vicenda ma anche di quella di chi è scampato e di chi ha ucciso: “Intervistando i carnefici per il mio libro, mi stupisco di come essi siano anzitutto vittime del loro stesso odio”. Yolande non ha paura di tornare là dove gli assassini della sua famiglia girano liberi per strada: “Perché dovrei aver paura? Anche in Europa gli autori del genocidio girano tranquilli. E se posso morire per dare un segno di pace, ben venga. Mi accorgo che non può esserci perdono senza giustizia, né giustizia senza umanità”. Yolande ha dedicato la sua vita a tramandare la memoria del genocidio, attraverso la sua parola, attraverso i suoi scritti, attraverso la sua carismatica presenza. Soprattutto per le giovani generazioni: “Ancora oggi è necessario lavorare con i ragazzi per costruire un futuro senza odio, non ancora debellato”. E’ proprio l’odio che si deve superare per costruire un futuro di pace: “Non provo più odio per chi ha ucciso la mia famiglia, voglio portare la vita a chi mi ascolta e chiedo di fare altrettanto ogni giorno perché solo così si rende davvero giustizia a chi è morto senza alcuna colpa”. Una vera missione, quella di Yolande, che prosegue ogni giorno nonostante le difficoltà quotidiane e il peso incommensurabile della memoria: “In Rwanda 2 non esiste una giornata senza sole, forse è per questo che ci insegnano a mostrare il sorriso anche quando vorremo gridare di dolore”. Dopo il genocidio Yolande si rifugia in Belgio dove, nel 1999, ottiene la cittadinanza. E’ qui che inizia la sua attività di scrittrice e di attivista cercando di portare, a livello internazionale, l’attenzione sulla tragedia che ha colpito e continua a colpire il Rwanda. Yolande ha portato la sua testimonianza in tutto il mondo ospite di Governi, enti, associazioni, Università, scuole. E’ stata inoltre invitata al Parlamento italiano e ha partecipato al 6° summit mondiale dei premi nobel per la pace a Roma dal 24/11/2005 al 26/11/2005. Premi e doni ricevuti e usati per i sopravvissuti del genocidio Yolande ha cominciato a testimoniare in pubblico il 7 aprile 1995, esattamente un anno dopo l’inizio del genocidio, ricevendo per questo premi e doni: Awards from the Alexander Langer Foundation Testimonial Award, in Italy (1998): Grazie a questo premio, Yolande ha potuto portare a termine la ricostruzione della sua casa per fornire un tetto agli orfani del genocidio che aveva adottato. Award for International Understanding Between Nations and for Human Rights conferito dall’European College della Iena University, in Germania (1999) The Peace Golden Dove Award conferito dall’Archivio Disarmo Association di Roma Woman of the 21 st Century for Resistance Award, Brussels (2003) Honourable Mention for Peace Education by UNESCO, Parigi (2003) Prix d’encouragement de la Communauté juive Amèricaine (2008) Grazie a Medici Senza Frontiere del Belgio, accompagnata dal fotografo Alain Kazinierakis, Yolande ha potuto incontrare i sopravvissuti del genocidio, i criminali e i giusti sulle colline e nelle prigioni del Rwanda. Da questa esperienza sono nati una mostra e un libro “Le ferite del Silenzio” costituito di testimonianze e foto. 3