Identità e diversità culturale

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Identità e diversità culturale
Identità
e diversità culturale
di Jean-Claude Trichet
Presidente della Banca
Centrale Europea
Tra poesia e denaro esiste un rapporto che mi ha sempre colpito. Le poesie, al pari
delle monete d’oro, sono concepite per durare, per conservare la propria integrità,
sorrette dal ritmo, dalle rime e dalle metafore. In tal senso, come il denaro, sono
assimilabili a “una riserva di valore” a lungo termine. Entrambi aspirano all’inalterabilità ed entrambi sono destinati a circolare di mano in mano e di mente in
mente.
La cultura e il denaro, le poesie e le monete appartengono alle persone. La nostra
moneta appartiene agli europei in modo molto profondo: è la fiducia nella propria
moneta che ne fa un efficace strumento di scambio, un’unità di conto e una riserva
di valore. La nostra cultura risiede in quella ricchezza di arte e letteratura che la fiducia delle persone ha deciso di scegliere e preservare nel tempo.
Un concetto fondamentale di identità culturale europea
Un modo per fare luce sull’identità culturale europea consiste nel ricercare un concetto fondamentale, un “cuore” dell’Europa che ne sia contemporaneamente la
fonte originaria e la sintesi.
Nel 1924, Paul Valéry nel suo saggio L’Europeo (L’Européen) scrisse: «Ovunque i
nomi di Cesare, di Gaio, di Traiano e di Virgilio, ovunque i nomi di Mosé e di San
Paolo, ovunque i nomi di Aristotele, di Platone e di Euclide hanno avuto un significato e un’autorità simultanei, là è l’Europa».
Valéry insiste sul carattere spirituale dell’Europa aggiungendo: «È degno di nota il
fatto che l’uomo europeo non sia definito dalla razza, né dalla lingua, né dai costumi, ma dai desideri e dall’ampiezza della volontà».
Al pari di Valéry, possiamo immaginare l’identità culturale europea come l’eccezionale sviluppo dell’unione, conseguita durante l’Impero romano, tra pensiero greco,
diritto romano e Bibbia, dalla quale derivano le tre religioni monoteiste.
Nel nostro cammino alla ricerca di un nucleo concettuale dell’Europa possiamo
spingerci ancora oltre. È ciò che Husserl propone nella sua celebre conferenza viennese del maggio 1935, intitolata La crisi dell’umanità europea e la filosofia. Egli
scorge l’origine dell’idea spirituale d’Europa in Grecia, dove un pugno di uomini
diede inizio a una radicale conversione dell’intera vita culturale del proprio Paese e
di quelli confinanti.
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Husserl sostiene che l’Europa si identifica completamente con le proprie origini
greche, con lo spirito della filosofia. La “crisi” europea, pertanto, deriva dall’evidente fallimento del razionalismo. Husserl conclude la conferenza, tenuta nel 1935,
in modo acuto quanto visionario, senza neppure nominare totalitarismo, fascismo o
nazismo: «La crisi dell’esistenza europea ha solo due sbocchi: il tramonto dell’Europa, nell’estraniazione rispetto al senso razionale della propria vita, la caduta
nell’ostilità allo spirito e nella barbarie, oppure la rinascita dell’Europa dallo spirito
della filosofia, attraverso un eroismo della ragione»1.
L’identità culturale e l’unità fra culture nazionali distinte non significa una semplice quanto indefinita espansione di un nucleo culturale originario. Questo tessuto
è composto, da un lato, dai fili dell’ordito, accuratamente teso, che corrispondono
alle numerose culture nazionali con la loro precisa identità e affondano le proprie
origini in un passato remoto; dall’altro, dai fili della trama, che rappresentano la
mescolanza derivante dalle influenze e dalle fascinazioni reciproche, transnazionali,
che superano i confini fra culture e lingue diverse. Immagino questo tessuto culturale europeo, intrecciato di arte, lingua e letteratura, trarre la propria bellezza,
unità e solidità dalla quantità e dalla diversità dei suoi fili.
La straordinaria rete di influenza transnazionale
In Dichtung und Wahrheit (Poesia e verità) Goethe scrive a proposito della sua scoperta di Shakespeare: «Shakespeare, sia in traduzione sia in originale, a brani o nella
sua interezza, esercitò una forza talmente grande all’interno della nostra consorteria
di Strasburgo al punto che, così come alcuni sono grandi esperti delle Sacre Scritture, diventammo progressivamente grandi esperti di Shakespeare. Nel nostro modo
di parlare imitavamo le virtù e i vizi del nostro tempo che egli ci aveva mostrato [...].
La gioiosa rivelazione che qualcosa di sublime si librava sopra di me si rivelò contagiosa per i miei amici, i quali adottarono tutti il mio modo di pensare».
Goethe traduce Maometto e Tancredi di Voltaire, così come Il nipote di Rameau di
Diderot, che gli era stato dato da Schiller. In una lettera a Schiller, Goethe si
esprime in questi termini in merito all’opera di Diderot: «Questo dialogo esplode
come una bomba direttamente nel cuore della letteratura francese». Grazie a Goethe, Il nipote di Rameau divenne celebre in Germania molto prima che in Francia!
L’influenza esercitata da Goethe sulle altre culture è di per se stessa straordinaria.
La pubblicazione del Werther mise a soqquadro l’Europa. Fu uno dei libri che Bonaparte portò con sé durante la spedizione in Egitto, e quando incontrò Goethe volle
discuterne con lui.
Dante Alighieri ci offre un altro magnifico esempio di quest’influenza e fascinazione che, in Europa, oltrepassa il tempo e lo spazio. La Divina commedia esercita
un fascino estremamente potente sui suoi lettori europei. A cinque secoli di distanza dalla sua creazione, William Blake commenta, in margine alla traduzione
dell’Inferno di Henry Boyd: «La poesia più grande è immorale, i più grandi personaggi malvagi, molto satanici. [...] Astuzia e moralità non sono poesia ma filosofia
[...]. La poesia è fatta per giustificare il vizio, mostrarne la ragione e la sua necessaria espiazione»2. Marcel Proust ne Alla ricerca del tempo perduto è grandemente
ispirato dall’opera di Dante. Oltre seicento anni dopo la Divina commedia, Proust
scrive, scorgendo una ninfea in un piccolo fiume: «[Il nenufaro] toccava una riva
solo per tornare a quella dalla quale era venuto, rifacendo all’infinito la doppia traversata [...] simile a uno di quegli infelici il cui singolare tormento [...] eccitava la
curiosità di Dante, il quale se ne sarebbe fatto raccontare più diffusamente le particolarità e la causa dallo stesso suppliziato se Virgilio [...] non l’avesse costretto a
raggiungerlo in tutta fretta, come i miei parenti facevano con me»3.
Secondo Kadare,
l’influenza di Dante
sulla cultura
popolare albanese è
talmente forte da
far sì che nei
registri di stato
civile del suo Paese
vi sia un gran
numero di
“Beatrici”,
egualmente ripartite
fra cristiani e
musulmani.
Passiamo ora da Proust a Ismail Kadare, uno scrittore contemporaneo. Egli scrive
che, studente in Albania, si ritrovò all’età di tredici o quattordici anni a imbattersi
per caso in «due canti [che] venivano citati più spesso degli altri nei libri, nelle riviste e nei giornali: quello di Paolo e Francesca, i tragici amanti che non conoscono
requie nel secondo girone dell’Inferno, e quello del conte Ugolino, nel nono girone,
il quale, in preda ai morsi della fame, finì col cibarsi dei suoi stessi figli». Secondo
Kadare, l’influenza di Dante sulla cultura popolare albanese è talmente forte da far
sì che nei registri di stato civile del suo Paese vi sia un gran numero di “Beatrici”,
egualmente ripartite fra cristiani e musulmani4.
Dante introduce in Italia l’utilizzo della “terza rima” (o rima tripla), che struttura la
poesia in terzine caratterizzate da una sequenza di rime collegate tra loro in modo
tale che ciascuna di esse, salvo la prima terzina del canto, sia concatenata alla rima
di due versi precedente. Questo nuovo tipo di verso – che crea un’impressione di
estrema fluidità, offrendo contemporaneamente la stabilità di una struttura immodificabile – riscosse un immediato successo e fu subito adottato da Boccaccio e da
Petrarca. Dante stesso l’aveva preso a prestito da un’altra lingua, il provenzale: il
sirventes, una composizione lirica che risaliva ai trovatori e che faceva uso della
terza rima (o rima tripla). Ecco un altro esempio della felice influenza nata dall’incrocio tra due forme di linguaggio vernacolare: il provenzale e l’italiano. Altre influenze europee possono spiegare l’impatto emotivo prodotto dalla Divina
commedia. Trent’anni prima della nascita di Dante, Boncompagno da Signa, un professore di retorica di Bologna, pubblicò l’opera Rhetorica Novissima. In un capitolo
dedicato alla memoria, adattò l’“Arte della memoria” di derivazione classica5 – la
tecnica utilizzata dagli oratori greci e romani per memorizzare i propri discorsi –
trasformandola in una potente memoria artificiale di vizi e virtù, di Paradiso e Inferno.
Seguire il cammino di una metafora poetica nel corso dei secoli, vederla attraversare lingue e confini, è un’altra delle meraviglie della cultura europea. Simonide di
Ceo scrive: «Di coloro che alle Termopili morirono, gloriosa è la sorte, bello il destino, altare la tomba. Ricordo prima che lamento, e lode è il compianto. Tal monumento funebre né la ruggine oscurerà né il tempo che tutto distrugge».
Questa metafora, che paragona la poesia a un “monumento indistruttibile”, fu ripresa successivamente da Orazio nelle sue Odi: «Ho innalzato un monumento più
duraturo del bronzo e più alto della mole regale delle piramidi, che né la pioggia
che corrode, né l’aquilone sfrenato possano abbattere o la sequela infinita degli
anni o la fuga del tempo». La metafora fu inoltre impiegata da Ovidio, Boccaccio,
Ronsard e du Bellay ne Les antiquités de Rome che, tradotte da Spenser come The
Ruins of Rome, ispirarono a Shakespeare la composizione del suo magnifico So-
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netto 55: «Né il marmo né i dorati monumenti / dei principi sopravviveranno a questa possente rima». Questo splendido sonetto tratta dell’immortalità della persona
amata, dei sentimenti che essa ispira e della natura immutabile della poesia stessa.
La sua metafora centrale risale a duemila anni prima, a Simonide, e ha viaggiato
attraverso i secoli e oltrepassato le frontiere della lingua greca, latina, italiana,
francese e inglese.
Lo scrittore Cees Nooteboom in De ontvoering van Europa (Il ratto di Europa) offre
la propria personale interpretazione dell’unità e della diversità culturale europea:
«Se sono europeo – e spero di stare cominciando a diventarlo dopo quasi sessant’anni di strenui sforzi – ciò significa indubbiamente che il multiculturalismo europeo influenza profondamente la mia identità olandese».
È nostro dovere renderci pienamente consapevoli della nostra identità culturale nazionale, non solo perché rappresenta le fondamenta del nostro intelletto e della
nostra sensibilità, ma anche perché la ricca varietà culturale europea e le sue radici
nazionali rappresentano ciò che la rende così unica. È questo immenso patrimonio
culturale, con tutte le sue diversità, che conferisce agli europei la loro identità.
Europeità vuol dire condividere con tutti gli altri europei le stesse fondamentali
fonti culturali, nonostante abbiano retroterra molto diversi. Ciò significa che io vivo
in una moderna atmosfera letteraria, influenzata direttamente e indirettamente dal
ceco Kafka, dall’irlandese Joyce e dal francese Proust.
Come ha scritto il filosofo spagnolo José Ortega y Gasset nel 1930 in La ribellione
delle masse: «Se oggi dovessimo fare l’inventario del contenuto della nostra mente
– opinioni, principi, desideri, supposizioni – scopriremmo che la gran parte di esso
non deriva dalla Francia per il francese, né dalla Spagna per lo spagnolo, bensì dal
comune sostrato europeo».
L’aspirazione all’universalità della cultura europea
Jacques Derrida, il filosofo francese, in L’autre cap6 formula la questione in questo
modo: «È piacevole ricordarsi di essere un intellettuale europeo senza volerlo essere
del tutto. Sentirsi fra le altre cose europeo, significa essere più o meno europeo?
Entrambe le cose, senza dubbio».
È proprio perché l’Europa si è gradualmente formata sulla base di un genuino e radicato riconoscimento della sua diversità culturale che essa aspira a essere universale. La sua unità culturale non è sinonimo di confinamento, introspezione o
isolamento all’interno di una “fortezza” culturale. Una parte integrante della sua
cultura è la sua fascinazione e la sua insaziabile curiosità per l’abbondanza di culture oltre le sue coste.
Aspiriamo anche all’universalità! Siamo aperti al mondo e in stretto contatto con le
istituzioni degli altri continenti. Miriamo a svolgere un ruolo il più possibile attivo
nelle istituzioni finanziarie internazionali e nei gruppi intergovernativi informali ai
quali apparteniamo, proponendo in ogni occasione un approccio multilaterale.
Teniamo in gran conto i confronti con le banche centrali degli altri continenti, e in
particolar modo quelli che intercorrono regolarmente tra l’Eurosistema e le banche
centrali in Asia, in America Latina e nella Regione mediterranea.
Vorrei concludere dicendo che siamo uniti poiché siamo investiti dell’importante
responsabilità derivante dal Trattato di Maastricht, che ci rende custodi della politica monetaria della moneta unica, in quanto l’unione economica e monetaria rappresenta una magnifica impresa su cui si fonda la prosperità dell’Europa e una
solidità condivisa da tutti, e perché la moneta unica costituisce un emblema dell’unità europea. In un mondo globalizzato come quello odierno, che procede rapidamente all’integrazione, è da ritenersi esemplare l’esperienza maturata con l’unità
economica e monetaria, basata sulla libera volontà degli Stati membri. Anche per
questo motivo siamo felici di impegnarci in stretta collaborazione con le istituzioni
di altri continenti che, guardando alla BCE e all’Eurosistema, valutano quali lezioni
trarre dall’unicità dell’esperienza europea. Lo scrittore e filosofo Ernest Renan ha
definito l’identità di una nazione in questo modo: «Nel passato, un’eredità di gloria
e dei rimpianti da dividere, nell’avvenire un programma da realizzare»7.
Edmund Husserl, La crisi dell’umanità europea e la filosofia, in La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Milano 1961, p. 358.
1
William Blake, From the annotations to Henry Boyd’s. A Translation of the Inferno of Dante Alighieri, Oxford Classics, Selected Poetry, p. 138.
2
3
Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto - Dalla parte di Swann, Mondadori, Milano 2002, pp. 205-206.
4
Ismail Kadare, Dante l’inevitabile, Fandango, Roma 2008.
5
Frances Yates, L’arte della memoria, Einaudi, Torino 2007.
Jacques Derrida, L’autre Cap, “Liber, Revue européenne des livres”, ottobre 1990, n°5, Raison d’Agir Editions [Trad. it., Oggi
l’Europa. L’altro capo, seguito da La democrazia aggiornata, Garzanti, Milano 1991].
6
«Dans le passé un héritage de gloire et de regrets à partager; dans l’avenir un même programme à réaliser». Ernest Renan,
Qu’est ce qu’une nation? (1882), trad. it., Che cos’è una nazione?, Donzelli, Roma 2004.
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