I giorni di Aleppo
Transcript
I giorni di Aleppo
In copertina I giorni di Aleppo Shiraz Maher, New Statesman, Regno Unito Il conlitto siriano ha prodotto la peggior catastrofe umanitaria dalla seconda guerra mondiale. E il mondo assiste impotente ai bombardamenti sulla città e al raforzarsi dei gruppi jihadisti 16 Internazionale 1177 | 28 ottobre 2016 tweet nelle ultime settimane sono apparsi ovunque. “Ciao, sono Bana, sono una bambina di 7 anni di Aleppo”, si legge sulla sua pagina. “Io e mia mamma vogliamo raccontarvi i bombardamenti di qui. Grazie”. Vite rubate Una serie di foto mostra Alabed e sua madre Fatemah che cercano di vivere una vita il più normale possibile: in uno scatto la bambina è seduta a un tavolo di formica con un libro. Dietro di lei, in un angolo, c’è una bambola. “Buongiorno da Aleppo. Sto leggendo per dimenticare la guerra”, dice la didascalia in inglese. Ma il conlitto non è mai troppo lontano. Alabed, che ha imparato l’inglese dalla madre, continua a scrivere che ha paura di morire e invia messaggi di sida ogni volta che l’immediata minaccia di un attacco aereo è passata. La mattina del 3 ottobre ha scritto semplicemente: “Buongiorno mondo, siamo ancora vive”. Il 17 ottobre Fatemah ha twittato: “Gli attacchi aerei sono initi stamattina, per tutta la scorsa notte sono piovute bombe”. Ma nella maggior parte dei casi non conosciamo i nomi delle vittime degli attacchi ordinati dal presidente siriano Bashar al Assad e da quello russo Vladimir Putin. Una delle immagini più terribili delle ulti- ABDALrhMAn ISMAIL (rEUtErS/COntrAStO) A volte sappiamo i nomi. Conosciamo Omran Daqneesh, il bambino di cinque anni coperto di polvere e fango fotografato in un’ambulanza dopo un attacco aereo. Conosciamo il suo nome perché le foto e un video che lo ritraggono sono stati pubblicati sui social network e hanno fatto il giro del mondo. L’indignazione che hanno suscitato è stata difusa e sincera, l’immagine di quel bambino frastornato ci è apparsa come il simbolo della soferenza di tutti gli abitanti della città assediata di Aleppo. Ma poi il momento è passato. Pochi sanno che qualche giorno dopo i medici hanno annunciato la morte del fratello maggiore di Omran, Ali, ferito nello stesso attacco aereo. Aveva dieci anni. A volte conosciamo i nomi dei neonati estratti dalle macerie delle case crollate, ogni tanto vivi, ma spesso morti; quelli dei bambini che piangono perché hanno perso i genitori; delle donne che si disperano per la morte dei mariti e dei igli; degli anziani che semplicemente aspettano di morire, e a volte lo desiderano. Conosciamo Bana Alabed, la bambina di sette anni intrappolata ad Aleppo i cui me settimane è quella di una madre e di un bambino uccisi mentre dormivano nello stesso letto. La scena sembrava quasi imprigionata nell’ambra, un’istantanea di vite rubate congelate nell’atto di morire. Siamo così abituati alle immagini di ediici in rovina e civili disperati che ormai catturano la nostra attenzione solo per un attimo, o per niente. Dall’inizio della rivolta siriana, nei primi mesi del 2011, si calcola che siano morte 500mila persone. Secondo il rapporto pubblicato a febbraio dal Centro siriano di ri- Aleppo, 4 ottobre 2016 cerca politica, altri 1,9 milioni di siriani sono rimasti feriti. Complessivamente queste vittime sono l’11,5 per cento della popolazione siriana di prima della rivoluzione. Se aggiungiamo il numero delle persone costrette a lasciare le loro case – più di dieci milioni, quasi il 50 per cento della popolazione – le dimensioni della catastrofe appaiono evidenti. Il conlitto ha provocato la più grave crisi umanitaria dalla seconda guerra mondiale. Oggi il suo epicentro è Aleppo, nel nordovest del paese, una delle città più an- tiche del mondo rimaste sempre abitate e una delle culle della civiltà. Vari conquistatori, dai mongoli ai francesi, hanno combattuto qui, ma prima di Assad nessuno era mai stato così spietato e determinato nell’annientare la città. Aleppo è tuttora il più grande centro urbano nelle mani dei ribelli, la maggior parte dei quali è ormai stata inluenzata dalla visione del mondo jihadista. Anzi, i più importanti gruppi di combattenti schierati con i ribelli sono prevalentemente jihadisti per ideologia e per composizione delle truppe, un segno dell’incapacità dell’occidente di aiutare le forze laiche che guidavano la resistenza al regime nella prima fase della rivolta. Ma Aleppo è troppo importante per lasciarla cadere. Anche se i ribelli sono riusciti a impadronirsi solo di metà della città – la zona occidentale è rimasta saldamente sotto il controllo del regime – il fatto simbolico di non aver perso terreno nella seconda città della Siria, che era anche il suo principale centro economico, ha sostenuto il morale dell’opposizione. Internazionale 1177 | 28 ottobre 2016 17 In copertina ABDALRHMAN ISMAIL (ReUTeRS/CONTRASTO) Aleppo, 17 ottobre 2016 Da quando la zona orientale di Aleppo è caduta nelle mani dei ribelli, nel luglio del 2012, Assad non era mai stato tanto arrogante come oggi. Il suo ottimismo è dovuto a una strategia che ha già funzionato in altre parti del paese, dove le truppe governative hanno lentamente accerchiato le zone occupate dai ribelli e poi le hanno isolate. Niente può uscire e niente può entrare. Dopo che le forze di terra hanno circondato una zona, inevitabilmente cominciano gli attacchi con barili bomba e missili lanciati dagli aerei siriani e russi. Per avere un’idea di quanto sono terribili questi raid, basta considerare che, quando il 19 settembre un convoglio dell’Onu con a bordo viveri e medicine è stato bombardato a ovest di Aleppo, gli Stati Uniti hanno accusato l’aviazione russa di crimini di guerra, subito seguiti dal Regno Unito e dalla Francia. La Russia è entrata uicialmente nel conlitto nel settembre del 2015 e il sostegno di Putin è stato fondamentale per Assad. Anche se il presidente poteva già contare sull’aiuto delle forze iraniane e di altri gruppi sciiti come le milizie libanesi di Hezbollah, nei primi mesi del 2015 i ribelli 18 Internazionale 1177 | 28 ottobre 2016 avevano continuato a ottenere signiicative vittorie. La più importante era stata la conquista della città di Idlib, a una sessantina di chilometri da Aleppo, che aveva posto ad Assad due problemi. Innanzitutto smentiva la propaganda uiciale sui successi militari del suo esercito; e in secondo luogo consegnava ai ribelli una provincia coninante con il governatorato di Latakia, nell’ovest del paese, dove sono concentrati gli alauiti siriani (la Russia ha una base aerea nella zona sudorientale della provincia). Gli alauiti sono la setta sciita eterodossa a cui appartiene la famiglia Assad e che rappresenta la sua base di sostegno. Ansioso di far dimenticare questa e altre sconitte, e dati i legami tra Mosca e Damasco e gli interessi russi in Siria, Assad ha chiamato in gioco Putin. La Russia considera da tempo la Siria un’alleata importante e negli ultimi dieci anni è stata la sua principale fornitrice di armi. Ha anche altri interessi da difendere, come la base navale nella città di Tartus sul Mediterraneo, costruita durante l’era sovietica. Inoltre Putin si è sentito incoraggiato dal momento a lui favorevole. Il mondo sta cambiando, non solo in Medio Oriente e in Nordafrica, dove gli equilibri mutano continuamente, ma anche nella vicina Ucraina, dove il regime del presidente filorusso Viktor Janukovyč è stato rovesciato nel 2014. L’occidente sta ancora pagando le conseguenze dell’invasione dell’Iraq del 2003 ed è riluttante a lasciarsi coinvolgere troppo nella guerra siriana. Nel 2013 il regime di Assad ha usato armi chimiche contro il suo stesso popolo, oltrepassando la linea rossa tracciata dal presidente statunitense Barack Obama, ma non c’è stata nessuna azione di rappresaglia e non si è fatto nulla per impedire a Mosca d’intervenire con la forza in Siria, come ha fatto in Ucraina. La scelta dei civili Tutto questo ha dato inizio a una nuova fase di brutalità in un conlitto già segnato dalla barbarie. I civili che riescono a sopravvivere durante gli attacchi aerei russosiriani sono vittime della strategia di Assad che impedisce ai rifornimenti di raggiungere le zone assediate e a chi resta di uscire, imponendo la scelta tra morire di fame e arrendersi. Questa strategia è stata usata con efetti devastanti contro i civili a Madaya e a Daraya, un sobborgo di Damasco, cadute nelle mani delle forze governative dopo essere rimaste isolate per anni. Ma l’obiettivo non è ottenere delle vittorie immediate. Gli abitanti di Daraya hanno sidato l’esercito di Assad per quattro anni prima di capitolare lo scorso agosto. Il presidente siriano e i suoi alleati – Putin, l’Iran e Hezbollah – hanno deciso di punire brutalmente, e deliberatamente, la popolazione delle zone controllate dai ribelli. Per rovesciare il famoso aforisma attribuito a Mao Zedong, sperano di prosciugare il mare in cui nuotano i rivoluzionari. E quindi ora sono i 300mila abitanti di Aleppo a dover sofrire. È facile perdere il ilo di quello che sta succedendo in Siria, dato che alcune regioni passano continuamente dalle mani dei ribelli a quelle del regime. Le forze governative hanno cominciato ad accerchiare Aleppo all’inizio di luglio e sono riuscite a metterla sotto assedio verso la metà del mese, dopo aver bloccato l’ultima delle due strade usate dai ribelli per far arrivare i rifornimenti in città. Si tratta di Castello road, che collega il sobborgo di Handarat alla zona nordoccidentale del territorio controllato dai ribelli. L’altra strada, che porta all’estremità sudoccidentale della città, passa attraverso il distretto di Ramousehed ed era già stata bloccata. Il blocco è durato quattro o cinque settimane, poi i ribelli sono riusciti a romperlo. Aleppo è troppo importante per loro, e l’assedio ha costretto i vari gruppi a collaborare. L’operazione è stata guidata da Jaish al fatah (l’esercito della conquista), una coalizione di cui fanno parte alcuni tra i principali gruppi jihadisti attivi nel nord della Siria, che ha coordinato anche le campagne militari di Idlib. Uno dei gruppi più importanti della coalizione è Jabhat fateh al Sham, che prima si chiamava Fronte al Nusra ed era ufficialmente riconosciuto come il braccio di Al Qaeda in Siria. Alcuni mesi prima che il regime cominciasse ad attaccare Aleppo, i gruppi ribelli del nord si sono resi conto che la situazione stava diventando difficile, soprattutto a causa degli attacchi aerei russi. Al Qaeda ha insistito perché le varie fazioni si unissero e collaborassero per contrastare non solo Assad, ma anche Putin. Perino il leader mondiale di Al Qaeda, Ayman al Zawahiri, a maggio ha pubblicato un discorso intitolato “Andate in Siria”, in cui invitava i gruppi combattenti a unirsi per consolidare la loro presenza nel nord del paese. Alla ine di luglio il Fronte al Nusra ha dichiarato che intendeva interrompere ufficialmente i rapporti con Al Qaeda e prendere il nuovo nome di Jabhat fateh al Sham. Lo ha fatto per due motivi. Prima di tutto per costringere i gruppi jihadisti a mettere da parte le diferenze e tenere a freno le singole ambizioni in vista di un obiettivo più ampio: rompere l’assedio di Aleppo e al tempo stesso rafforzare il controllo del nord. Il secondo motivo era conquistare il sostegno popolare presentandosi come un’organizzazione al servizio dei civili. Jabhat fateh al Sham e altri gruppi simili stanno già raggiungendo entrambi gli obiettivi. Andando in aiuto dei cittadini di Aleppo, abbandonati e assediati, hanno ripetutamente dimostrato il loro impegno per alleviare la crisi umanitaria. Molta della loro propaganda si basa su questo. Il portavoce in lingua inglese di Jabhat fateh al Sham è Mostafa Mahamed, un egiziano che viveva in Australia. “Jabhat fateh al Sham è profondamente radicato nella società ed è formato da siriani comuni”, ha spiegato su Twitter dopo che il gruppo si è allontanato da Al Qaeda. “Siamo pronti a dare la vita piuttosto che accettare una situazione che danneggia le persone per le quali stiamo combattendo. Oggi il jihad è più importante di noi, più importante delle nostre diferenze”. Con questa etica della “lotta per il popolo” il gruppo si è conquistato le simpatie dei civili che vivono nelle zone assediate, anche se la maggior parte di loro non condivide le sue idee religiose e le sue posizioni politiche. La gratitudine dei civili è aumentata quando lo scorso agosto Jabhat fateh al Sham ha contribuito a rompere per qualche giorno l’assedio di Aleppo. Nella battaglia sono rimasti uccisi circa cinquecento ribelli. Assad ha ripreso il controllo della città nel giro di una settimana e a metà agosto gli abitanti erano di nuovo in trappola. Ora i ribelli stanno studiando come rompere l’assedio in modo deinitivo, ma non hanno ancora lanciato una controfensiva importante. Il giornalista e regista freelance statunitense Bilal Abdul Kareem, che conosce bene i gruppi ribelli siriani, si è trovato intrappolato nella zona orientale di Aleppo quando è ricominciato l’assedio. “Eravamo venuti qui pensando di fermarci due o tre giorni”, ricorda in un’intervista via Skype. Spiega che la vita in città sta divencontinua a pagina 20 » Da sapere Divisa e sotto assedio Luglio 2012 La rivoluzione contro il presidente Bashar al Assad si estende ad Aleppo, la seconda città della Siria. I ribelli conquistano la zona orientale della città, mentre le forze governative mantengono il controllo della parte occidentale. Giugno 2013 L’esercito lancia un’ofensiva per riconquistare Aleppo. Il gruppo Stato islamico (Is) s’iniltra in città. Gennaio 2014 Approittando delle divisioni tra i ribelli, il governo impone un blocco sulla zona orientale della città. 29 giugno L’Is proclama un califato che si estende dalla Siria all’Iraq. Settembre Cominciano i bombardamenti della coalizione guidata dagli Stati Uniti contro le postazioni dell’Is. Maggio 2015 Un rapporto di Amnesty international denuncia che in un anno i barili bomba sganciati su Aleppo hanno provocato tremila morti. Ottobre 2015 La Russia annuncia il suo intervento in Siria. Febbraio 2016 Con il sostegno dell’aviazione russa, l’esercito avanza a nord di Aleppo. Le Forze democratiche siriane, una coalizione guidata dai curdi, conquistano una zona a nordovest della città. Il 27 febbraio entra in vigore una tregua. Aprile Mentre a Ginevra proseguono i negoziati di pace, ad Aleppo riprendono i bombardamenti. Luglio Le forze governative impongono l’assedio alla parte orientale di Aleppo, dove vivono 250mila persone. Settembre Una tregua negoziata tra Russia e Stati Uniti dura una settimana. The Aleppo Project, Sky Internazionale 1177 | 28 ottobre 2016 19