I giorni di Aleppo

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I giorni di Aleppo
In copertina
I giorni
di Aleppo
Shiraz Maher, New Statesman, Regno Unito
Il conlitto siriano ha prodotto la peggior catastrofe
umanitaria dalla seconda guerra mondiale. E il
mondo assiste impotente ai bombardamenti sulla
città e al raforzarsi dei gruppi jihadisti
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tweet nelle ultime settimane sono apparsi
ovunque. “Ciao, sono Bana, sono una bambina di 7 anni di Aleppo”, si legge sulla sua
pagina. “Io e mia mamma vogliamo raccontarvi i bombardamenti di qui. Grazie”.
Vite rubate
Una serie di foto mostra Alabed e sua madre Fatemah che cercano di vivere una vita
il più normale possibile: in uno scatto la
bambina è seduta a un tavolo di formica con
un libro. Dietro di lei, in un angolo, c’è una
bambola. “Buongiorno da Aleppo. Sto leggendo per dimenticare la guerra”, dice la
didascalia in inglese. Ma il conlitto non è
mai troppo lontano. Alabed, che ha imparato l’inglese dalla madre, continua a scrivere
che ha paura di morire e invia messaggi di
sida ogni volta che l’immediata minaccia
di un attacco aereo è passata. La mattina
del 3 ottobre ha scritto semplicemente:
“Buongiorno mondo, siamo ancora vive”. Il
17 ottobre Fatemah ha twittato: “Gli attacchi aerei sono initi stamattina, per tutta la
scorsa notte sono piovute bombe”.
Ma nella maggior parte dei casi non conosciamo i nomi delle vittime degli attacchi ordinati dal presidente siriano Bashar
al Assad e da quello russo Vladimir Putin.
Una delle immagini più terribili delle ulti-
ABDALrhMAn ISMAIL (rEUtErS/COntrAStO)
A
volte sappiamo i nomi.
Conosciamo Omran
Daqneesh, il bambino
di cinque anni coperto
di polvere e fango fotografato in un’ambulanza dopo un attacco aereo. Conosciamo il
suo nome perché le foto e un video che lo
ritraggono sono stati pubblicati sui social
network e hanno fatto il giro del mondo.
L’indignazione che hanno suscitato è stata
difusa e sincera, l’immagine di quel bambino frastornato ci è apparsa come il simbolo della soferenza di tutti gli abitanti
della città assediata di Aleppo. Ma poi il
momento è passato. Pochi sanno che qualche giorno dopo i medici hanno annunciato la morte del fratello maggiore di Omran,
Ali, ferito nello stesso attacco aereo. Aveva
dieci anni.
A volte conosciamo i nomi dei neonati
estratti dalle macerie delle case crollate,
ogni tanto vivi, ma spesso morti; quelli dei
bambini che piangono perché hanno perso
i genitori; delle donne che si disperano per
la morte dei mariti e dei igli; degli anziani
che semplicemente aspettano di morire, e
a volte lo desiderano.
Conosciamo Bana Alabed, la bambina
di sette anni intrappolata ad Aleppo i cui
me settimane è quella di una madre e di un
bambino uccisi mentre dormivano nello
stesso letto. La scena sembrava quasi imprigionata nell’ambra, un’istantanea di
vite rubate congelate nell’atto di morire.
Siamo così abituati alle immagini di ediici
in rovina e civili disperati che ormai catturano la nostra attenzione solo per un attimo, o per niente.
Dall’inizio della rivolta siriana, nei primi mesi del 2011, si calcola che siano morte
500mila persone. Secondo il rapporto pubblicato a febbraio dal Centro siriano di ri-
Aleppo, 4 ottobre 2016
cerca politica, altri 1,9 milioni di siriani
sono rimasti feriti. Complessivamente
queste vittime sono l’11,5 per cento della
popolazione siriana di prima della rivoluzione. Se aggiungiamo il numero delle persone costrette a lasciare le loro case – più di
dieci milioni, quasi il 50 per cento della popolazione – le dimensioni della catastrofe
appaiono evidenti.
Il conlitto ha provocato la più grave crisi umanitaria dalla seconda guerra mondiale. Oggi il suo epicentro è Aleppo, nel
nordovest del paese, una delle città più an-
tiche del mondo rimaste sempre abitate e
una delle culle della civiltà. Vari conquistatori, dai mongoli ai francesi, hanno combattuto qui, ma prima di Assad nessuno era
mai stato così spietato e determinato
nell’annientare la città.
Aleppo è tuttora il più grande centro urbano nelle mani dei ribelli, la maggior parte dei quali è ormai stata inluenzata dalla
visione del mondo jihadista. Anzi, i più importanti gruppi di combattenti schierati
con i ribelli sono prevalentemente jihadisti
per ideologia e per composizione delle
truppe, un segno dell’incapacità dell’occidente di aiutare le forze laiche che guidavano la resistenza al regime nella prima
fase della rivolta.
Ma Aleppo è troppo importante per lasciarla cadere. Anche se i ribelli sono riusciti a impadronirsi solo di metà della città
– la zona occidentale è rimasta saldamente
sotto il controllo del regime – il fatto simbolico di non aver perso terreno nella seconda città della Siria, che era anche il suo
principale centro economico, ha sostenuto
il morale dell’opposizione.
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In copertina
ABDALRHMAN ISMAIL (ReUTeRS/CONTRASTO)
Aleppo, 17 ottobre 2016
Da quando la zona orientale di Aleppo
è caduta nelle mani dei ribelli, nel luglio
del 2012, Assad non era mai stato tanto arrogante come oggi. Il suo ottimismo è dovuto a una strategia che ha già funzionato
in altre parti del paese, dove le truppe governative hanno lentamente accerchiato le
zone occupate dai ribelli e poi le hanno isolate. Niente può uscire e niente può entrare. Dopo che le forze di terra hanno circondato una zona, inevitabilmente cominciano gli attacchi con barili bomba e missili
lanciati dagli aerei siriani e russi.
Per avere un’idea di quanto sono terribili questi raid, basta considerare che,
quando il 19 settembre un convoglio
dell’Onu con a bordo viveri e medicine è
stato bombardato a ovest di Aleppo, gli
Stati Uniti hanno accusato l’aviazione russa di crimini di guerra, subito seguiti dal
Regno Unito e dalla Francia.
La Russia è entrata uicialmente nel
conlitto nel settembre del 2015 e il sostegno di Putin è stato fondamentale per Assad. Anche se il presidente poteva già contare sull’aiuto delle forze iraniane e di altri
gruppi sciiti come le milizie libanesi di
Hezbollah, nei primi mesi del 2015 i ribelli
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avevano continuato a ottenere signiicative vittorie. La più importante era stata la
conquista della città di Idlib, a una sessantina di chilometri da Aleppo, che aveva posto ad Assad due problemi. Innanzitutto
smentiva la propaganda uiciale sui successi militari del suo esercito; e in secondo
luogo consegnava ai ribelli una provincia
coninante con il governatorato di Latakia,
nell’ovest del paese, dove sono concentrati gli alauiti siriani (la Russia ha una base
aerea nella zona sudorientale della provincia). Gli alauiti sono la setta sciita eterodossa a cui appartiene la famiglia Assad e
che rappresenta la sua base di sostegno.
Ansioso di far dimenticare questa e altre sconitte, e dati i legami tra Mosca e
Damasco e gli interessi russi in Siria, Assad
ha chiamato in gioco Putin. La Russia considera da tempo la Siria un’alleata importante e negli ultimi dieci anni è stata la sua
principale fornitrice di armi. Ha anche altri
interessi da difendere, come la base navale
nella città di Tartus sul Mediterraneo, costruita durante l’era sovietica. Inoltre Putin si è sentito incoraggiato dal momento a
lui favorevole. Il mondo sta cambiando,
non solo in Medio Oriente e in Nordafrica,
dove gli equilibri mutano continuamente,
ma anche nella vicina Ucraina, dove il regime del presidente filorusso Viktor
Janukovyč è stato rovesciato nel 2014.
L’occidente sta ancora pagando le conseguenze dell’invasione dell’Iraq del 2003
ed è riluttante a lasciarsi coinvolgere troppo nella guerra siriana. Nel 2013 il regime
di Assad ha usato armi chimiche contro il
suo stesso popolo, oltrepassando la linea
rossa tracciata dal presidente statunitense
Barack Obama, ma non c’è stata nessuna
azione di rappresaglia e non si è fatto nulla
per impedire a Mosca d’intervenire con la
forza in Siria, come ha fatto in Ucraina.
La scelta dei civili
Tutto questo ha dato inizio a una nuova fase di brutalità in un conlitto già segnato
dalla barbarie. I civili che riescono a sopravvivere durante gli attacchi aerei russosiriani sono vittime della strategia di Assad
che impedisce ai rifornimenti di raggiungere le zone assediate e a chi resta di uscire, imponendo la scelta tra morire di fame
e arrendersi. Questa strategia è stata usata
con efetti devastanti contro i civili a Madaya e a Daraya, un sobborgo di Damasco,
cadute nelle mani delle forze governative
dopo essere rimaste isolate per anni. Ma
l’obiettivo non è ottenere delle vittorie immediate. Gli abitanti di Daraya hanno sidato l’esercito di Assad per quattro anni
prima di capitolare lo scorso agosto.
Il presidente siriano e i suoi alleati – Putin, l’Iran e Hezbollah – hanno deciso di
punire brutalmente, e deliberatamente, la
popolazione delle zone controllate dai ribelli. Per rovesciare il famoso aforisma attribuito a Mao Zedong, sperano di prosciugare il mare in cui nuotano i rivoluzionari.
E quindi ora sono i 300mila abitanti di
Aleppo a dover sofrire.
È facile perdere il ilo di quello che sta
succedendo in Siria, dato che alcune regioni passano continuamente dalle mani dei
ribelli a quelle del regime. Le forze governative hanno cominciato ad accerchiare
Aleppo all’inizio di luglio e sono riuscite a
metterla sotto assedio verso la metà del
mese, dopo aver bloccato l’ultima delle
due strade usate dai ribelli per far arrivare
i rifornimenti in città. Si tratta di Castello
road, che collega il sobborgo di Handarat
alla zona nordoccidentale del territorio
controllato dai ribelli. L’altra strada, che
porta all’estremità sudoccidentale della
città, passa attraverso il distretto di Ramousehed ed era già stata bloccata.
Il blocco è durato quattro o cinque settimane, poi i ribelli sono riusciti a romperlo.
Aleppo è troppo importante per loro, e l’assedio ha costretto i vari gruppi a collaborare. L’operazione è stata guidata da Jaish al
fatah (l’esercito della conquista), una coalizione di cui fanno parte alcuni tra i principali gruppi jihadisti attivi nel nord della
Siria, che ha coordinato anche le campagne militari di Idlib. Uno dei gruppi più
importanti della coalizione è Jabhat fateh
al Sham, che prima si chiamava Fronte al
Nusra ed era ufficialmente riconosciuto
come il braccio di Al Qaeda in Siria.
Alcuni mesi prima che il regime cominciasse ad attaccare Aleppo, i gruppi ribelli
del nord si sono resi conto che la situazione
stava diventando difficile, soprattutto a
causa degli attacchi aerei russi. Al Qaeda
ha insistito perché le varie fazioni si unissero e collaborassero per contrastare non
solo Assad, ma anche Putin. Perino il leader mondiale di Al Qaeda, Ayman al Zawahiri, a maggio ha pubblicato un discorso
intitolato “Andate in Siria”, in cui invitava i
gruppi combattenti a unirsi per consolidare la loro presenza nel nord del paese. Alla
ine di luglio il Fronte al Nusra ha dichiarato che intendeva interrompere ufficialmente i rapporti con Al Qaeda e prendere il
nuovo nome di Jabhat fateh al Sham. Lo ha
fatto per due motivi. Prima di tutto per costringere i gruppi jihadisti a mettere da
parte le diferenze e tenere a freno le singole ambizioni in vista di un obiettivo più
ampio: rompere l’assedio di Aleppo e al
tempo stesso rafforzare il controllo del
nord. Il secondo motivo era conquistare il
sostegno popolare presentandosi come
un’organizzazione al servizio dei civili.
Jabhat fateh al Sham e altri gruppi simili stanno già raggiungendo entrambi gli
obiettivi. Andando in aiuto dei cittadini di
Aleppo, abbandonati e assediati, hanno
ripetutamente dimostrato il loro impegno
per alleviare la crisi umanitaria. Molta della loro propaganda si basa su questo. Il portavoce in lingua inglese di Jabhat fateh al
Sham è Mostafa Mahamed, un egiziano
che viveva in Australia. “Jabhat fateh al
Sham è profondamente radicato nella società ed è formato da siriani comuni”, ha
spiegato su Twitter dopo che il gruppo si è
allontanato da Al Qaeda. “Siamo pronti a
dare la vita piuttosto che accettare una situazione che danneggia le persone per le
quali stiamo combattendo. Oggi il jihad è
più importante di noi, più importante delle
nostre diferenze”.
Con questa etica della “lotta per il popolo” il gruppo si è conquistato le simpatie
dei civili che vivono nelle zone assediate,
anche se la maggior parte di loro non condivide le sue idee religiose e le sue posizioni politiche. La gratitudine dei civili è aumentata quando lo scorso agosto Jabhat
fateh al Sham ha contribuito a rompere per
qualche giorno l’assedio di Aleppo. Nella
battaglia sono rimasti uccisi circa cinquecento ribelli. Assad ha ripreso il controllo
della città nel giro di una settimana e a metà agosto gli abitanti erano di nuovo in
trappola. Ora i ribelli stanno studiando come rompere l’assedio in modo deinitivo,
ma non hanno ancora lanciato una controfensiva importante.
Il giornalista e regista freelance statunitense Bilal Abdul Kareem, che conosce
bene i gruppi ribelli siriani, si è trovato intrappolato nella zona orientale di Aleppo
quando è ricominciato l’assedio. “Eravamo venuti qui pensando di fermarci due o
tre giorni”, ricorda in un’intervista via
Skype. Spiega che la vita in città sta divencontinua a pagina 20 »
Da sapere
Divisa
e sotto assedio
Luglio 2012 La rivoluzione contro il presidente Bashar al Assad si estende ad
Aleppo, la seconda città della Siria. I ribelli conquistano la zona orientale della città, mentre le forze governative mantengono il controllo della parte occidentale.
Giugno 2013 L’esercito lancia un’ofensiva per riconquistare Aleppo. Il gruppo
Stato islamico (Is) s’iniltra in città.
Gennaio 2014 Approittando delle divisioni tra i ribelli, il governo impone un
blocco sulla zona orientale della città.
29 giugno L’Is proclama un califato che
si estende dalla Siria all’Iraq.
Settembre Cominciano i bombardamenti della coalizione guidata dagli Stati
Uniti contro le postazioni dell’Is.
Maggio 2015 Un rapporto di Amnesty international denuncia che in un anno i barili bomba sganciati su Aleppo hanno provocato tremila morti.
Ottobre 2015 La Russia annuncia il suo
intervento in Siria.
Febbraio 2016 Con il sostegno dell’aviazione russa, l’esercito avanza a nord di
Aleppo. Le Forze democratiche siriane,
una coalizione guidata dai curdi, conquistano una zona a nordovest della città. Il
27 febbraio entra in vigore una tregua.
Aprile Mentre a Ginevra proseguono i
negoziati di pace, ad Aleppo riprendono i
bombardamenti.
Luglio Le forze governative impongono
l’assedio alla parte orientale di Aleppo,
dove vivono 250mila persone.
Settembre Una tregua negoziata tra Russia e Stati Uniti dura una settimana.
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