Stampa A. Dovio - Società Italiana di Medicina Interna

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Stampa A. Dovio - Società Italiana di Medicina Interna
Dibattito culturale
Medicina scientifica e medicina alternativa:
il problema della demarcazione
Giovanni Federspil, Roberto Vettor
(Ann Ital Med Int 2004; 19: 198-204)
Negli ultimi anni è andato riproponendosi in modo
sempre più pressante il problema delle medicine alternative. La grande diffusione di queste pratiche ed il credito
che esse stanno riscuotendo presso il grande pubblico e
presso una parte non trascurabile della comunità medica
hanno spinto molti studiosi ad interessarsi del problema
sia dal punto di vista epistemologico che da quello della
medicina legale e da quello della sociologia.
Un punto essenziale della questione è rappresentato
dalla richiesta pressante dei cultori di queste ‘medicine’
di riconoscere queste pratiche diagnostico-terapeutiche come discipline scientifiche al pari della medicina che trova fondamento nelle conoscenze biologiche – morfologiche, fisiologiche e biochimiche – universalmente accettate come parti della scienza moderna della natura.
Dopo un primo giudizio fortemente contrario all’omeopatia formulato nel 1992 dai rappresentanti di 13 Società
Europee di Farmacologia* la Società Italiana di Medicina
Interna ha elaborato nel 2000 un Documento nel quale
esprimeva un’opinione sostanzialmente avversa alle medicine alternative e manifestava la propria preoccupazione per le conseguenze che la diffusione di queste prassi poteva avere sulla salute pubblica. Questa posizione ha trovato conferma nelle opinioni espresse da numerosi clinici e ricercatori come Rita Levi-Montalcini, Renato
Dulbecco, Giovanni Felice Azzone, Silvio Garattini,
Cesare Scandellari, Giuseppe Remuzzi, Umberto Veronesi
e l’attuale Ministro della Sanità Prof. Girolamo Sirchia.
Nel 2001 il Comitato Nazionale di Bioetica in un documento dedicato agli scopi e ai limiti della medicina ha affermato che “molta parte delle medicine alternative è caratterizzata da suggestioni ‘magiche’ e che la pratica di queste ‘medicine’ si avvale di ‘verità’ scientifiche in gran parte insussistenti o non verificabili”.
Una posizione nettamente diversa da quella finora considerata è stata invece assunta dalla Federazione Nazionale
degli Ordini dei Medici (FNOMCeO), la quale, mutando
parere rispetto a quanto era stato affermato in documen-
ti precedenti della propria Commissione sulle Medicine
Alternative, nel corso di un Convegno Nazionale tenuto
nel 2002 a Terni dichiarava <atti medici> le seguenti medicine alternative: agopuntura, fitoterapia, medicina ayurvedica, medicina antroposofica, medicina omeopatica,
medicina tradizionale cinese, omotossicologia, osteopatia,
chiropratica.
Ancora più recentemente, poi, il Comitato Nazionale di
Bioetica ha reso pubblico un breve Documento nel quale,
dopo aver ricordato che la libertà di cura non può prescindere dalle conoscenze acquisite e convalidate, ha espresso
la propria preoccupazione per una proposta di legge attualmente all’esame della Commissione Affari Sociali della
Camera dei Deputati (Relatore l’On. Lucchese), che mira
ad istituire insegnamenti accademici, ad accreditare Società
scientifiche e ad inserire rappresentanti delle medicine a pratiche non convenzionali nel Consiglio Superiore di Sanità.
La questione fondamentale di fronte alla quale si trova
oggi il mondo medico, e più in generale il mondo scientifico, è squisitamente epistemologica e riguarda lo status
scientifico delle medicine alternative. Mentre i cultori di
queste prassi sostengono che esse non sono sostanzialmente diverse dalla medicina scientifica e che quindi hanno diritto ad un riconoscimento ufficiale, la comunità medicoscientifica ritiene, nella sua maggioranza e nell’opinione
dei suoi più autorevoli rappresentanti, che le medicine alternative non siano in alcun modo assimilabili alla medicina scientifica moderna.
Data la grandissima importanza che questo problema ha
per tutta la medicina e l’intensità del dibattito culturale in
corso, converrà esaminare i termini fondamentali della questione.
Il problema che è necessario risolvere consiste nello stabilire se una serie di asserzioni teoriche sul funzionamen* In un Documento redatto a Belgirate nel 1992 i rappresentanti delle Società Europee di Farmacologia dichiaravano che sui preparati
omeopatici “è del tutto impossibile condurre sperimentazioni scientificamente sostanziate” e che i recenti progressi della biologia molecolare hanno dimostrato che le teorie proposte per spiegare gli effetti di queste preparazioni, “sono completamente non valide”.
Cattedra di Medicina Interna (Direttore: Prof. Giovanni Federspil),
Università degli Studi di Padova
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to dell’organismo umano e sulle sue condizioni morbose,
e di procedure diagnostico-terapeutiche rientrino o non
rientrino fra le discipline scientifiche. In altri termini, si
tratta di stabilire se le nove prassi in questione possiedano o non possiedano quei requisiti minimi che permettono di definire scientifici una disciplina o un insieme di conoscenze.
Un’opinione prevalente fra i medici affonda le sue radici nella tradizione epistemologica del positivismo ottocentesco, secondo la quale la scienza è tale perché sorge
dai fatti ed è confermata dai fatti, oppure, nelle versioni
più estreme, perché è costituita da fatti. Un esempio di questo modo di pensare si trova nelle parole di un celebre clinico fiorentino, Maurizio Bufalini, il quale ha affermato:
“Io non ammetto che cognizione dei fatti. Niuna maniera d’argomentazione è possibile per scoprire fatti ignoti,
perciò [è] impossibile alcuna cognizione che non sia partorita dalla semplice osservazione dei fatti e che venga generata in qualunque modo dalle sole operazioni dell’intelletto. In questa guisa diciamo noi essere di sola osservazione, o sperimentali, le cognizioni possibili della mente
umana”. E un altro clinico famoso, Antonio Cardarelli, ha
soggiunto: “nella clinica nulla si crea, si deve ricercare, le
teorie possono morire, possono cambiare, ma l’osservazione non muore mai”. Questa concezione filosofica che
domina fra i medici anche ai nostri giorni, nel suo nucleo
essenziale afferma il primato dei fatti, cioè delle osservazioni, nella costruzione della scienza. Il sapere scientifico sarebbe insomma costituito soprattutto da fatti, cioè da
ciò che le nostre osservazioni ci dicono sul mondo che ci
circonda. Fatti sarebbero le osservazioni cliniche, fatti le
osservazioni del fisiologo e/o quelle dell’istopatologo,
fatti gli effetti che si registrano dopo la somministrazione di un farmaco.
Questa visione della scienza è basata sul <mito del dato> ed implica l’idea che il mondo, la conoscenza che ne
abbiamo e il nostro linguaggio siano immutabili. Essa è
sostenuta dall’idea che le nostre osservazioni rispecchiano la realtà quale essa è, e che invece le teorie scientifiche sono prodotti della mente umana che non forniscono
una rappresentazione autentica della realtà, se non là dove i dati dell’osservazione diretta permettono di descriverla.
In realtà, essa rappresenta il residuo di un’epistemologia che oggi non è più condivisa da alcun filosofo della
scienza. Dopo la lezione di Karl Popper quasi nulla è rimasto dell’antica visione della scienza ed è divenuto chiaro che i ‘fatti’, pur continuando a restare essenziali nella
costruzione del sapere scientifico, non giocano quel ruolo che Bacone, Bufalini e i positivisti, antichi e recenti, hanno ritenuto. I ‘fatti’ hanno cominciato ad essere messi in
discussione già tra la fine dell’800 e l’inizio del 900,
quando il matematico Henri Poincaré in un’opera giustamente famosa ha tracciato la distinzione, rimasta poi fondamentale, tra ‘fatti bruti’ e ‘fatti scientifici’.
“Lo scienziato non crea il fatto bruto – ha affermato
Poincaré – ma crea il fatto scientifico poiché traduce sempre l’evento bruto nel linguaggio della scienza e lo descrive sulla base delle teorie scientifiche vigenti. Naturalmente,
i fatti bruti esistono e costituiscono la base sulla quale vengono eretti i fatti scientifici, ma fatti bruti e fatti scientifici sono cose profondamente diverse”. Quando lo scienziato narra un fenomeno scientifico, egli ha già osservato un evento naturale e desidera darne notizia agli altri
scienziati; tuttavia la sua descrizione di quel fenomeno è
sempre potentemente condizionata dalle teorie scientifiche vigenti. Così, il ‘fatto bruto’ viene tradotto nei termini linguistici e più in generale nel linguaggio che da quelle teorie è nato. “Osservo la deviazione di un galvanometro – ha scritto il matematico francese – per mezzo di uno
specchio mobile che proietta un’immagine luminosa o
un punto luminoso su una scala graduata. L’evento bruto è vedere il punto luminoso spostarsi sulla scala, mentre l’evento scientifico è dichiarare che passa corrente
nel circuito. Nell’eseguire un esperimento devo talora
correggere i risultati perché so di aver commesso degli errori. (...) Il primo risultato ottenuto è allora l’evento bruto, mentre l’evento scientifico è il risultato finale, dopo aver
eseguito le correzioni”. A queste considerazioni di Poincaré
si devono poi aggiungere quelle di Karl Popper il quale ha
mostrato come l’osservazione scientifica non sia mai assolutamente neutrale ed oggettiva: lo scienziato, infatti, non
descrive mai tutti i fatti che cadono sotto i suoi sensi ma
solo quei fatti che, in base alle sue idee, cioè alle sue teorie, gli appaiono degni di interesse, cioè dotati di qualche
significato. Asserzioni osservative ed asserzioni teoriche
non sono quindi nettamente separate. “Lo scienziato – ha
scritto ancora Poincaré – interviene attivamente scegliendo i fatti che meritano di essere osservati. Un fatto isolato non ha di per sé interesse alcuno; ma acquista interesse se si ha luogo di pensare che esso potrà essere d’aiuto
a predirne altri; o ancora, se prima di venir predetto, la sua
verificazione è la conferma di una legge”.
Ma se il fatto scientifico è una cosa diversa dal fatto bruto, è anche necessario sottolineare che l’osservazione che
produce i fatti scientifici è ben diversa dall’osservazione
comune che tutti compiamo nella vita quotidiana. Noi
osserviamo gli oggetti che ci circondano e spesso riusciamo anche a darne una descrizione attendibile, ma ciò
non è sufficiente per la scienza. Un’osservazione per poter essere detta scientifica deve possedere alcune caratteristiche specifiche: innanzitutto essa deve essere oggetti-
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va, cioè intersoggettiva, riproducibile, quantitativa, non influenzata dalle ipotesi teoriche che intende controllare, precisa, sufficientemente completa in relazione alle idee che
vuole sottoporre a controllo, compiuta mediante strumenti adeguati a rilevare ciò che si vuole descrivere.
La scienza non è però solo costituita di fatti, cioè dei resoconti di certi fenomeni naturali, ma è soprattutto costituita dalle teorie. Non è difficile infatti rendersi conto
che i fatti acquistano significato e valore soltanto quando
vengono inseriti nel contesto di una teoria, cioè di una rappresentazione ordinata e razionale di qualche porzione di
mondo: un atomo, una proteina, un recettore della membrana cellulare, uno stipite cellulare, una funzione fisiologica come la secrezione di un ormone o una reazione antigene-anticorpo. I ‘fatti scientifici’ sono certamente fondamentali nella costruzione della scienza perché servono
a controllare le varie ipotesi che il ricercatore propone, perché mettono in luce gli errori contenuti nella nostra conoscenza e perché suggeriscono nuove idee e nuovi esperimenti, tuttavia, contrariamente a ciò che si è creduto per
circa quattro secoli, essi non godono di uno status speciale per il quale debbano essere considerati al riparo da
ogni possibile critica e perciò veri e neutrali.
La scienza – ha affermato un clinico e metodologo contemporaneo, Enrico Poli – non è un catalogo di osservazioni e non può esistere alcuna scienza sperimentale senza teoria. La scienza reale è costituita da un’enorme moltitudine di teorie (da quella della costituzione atomico-molecolare della materia, alla teoria cellulare, alla teoria immunologica, alle teorie sui meccanismi d’azione degli
antibiotici, ecc.) che descrivono in che modo è fatto e funziona il mondo, che prevedono come esso evolverà e come i nostri interventi potranno modificarne l’evoluzione.
L’intera nostra scienza è un insieme di teorie più o meno
estese, più o meno solide, che si continuano l’una nell’altra, che si sostengono reciprocamente e che ci vincolano
a guardare il mondo in una certa maniera. La teoria dell’evoluzione, la teoria cellulare, la genetica, la teoria infettiva delle malattie sono altrettante ipotesi scientifiche
che ci dipingono il mondo dal loro punto di vista: se una
qualsiasi di queste teorie – ad esempio la teoria microbica delle malattie – dovesse domani crollare noi vedremmo buona parte dei fenomeni patologici – dalla febbre all’effetto terapeutico degli antibiotici – in modo totalmente differente. Come ha scritto un grande immunologo e filosofo della scienza, il Premio Nobel Peter B. Medawar,
“una maschera di teoria copre l’intero volto della natura”
e tutta la realtà viene letta attraverso quelle lenti che sono costituite dalle nostre teorie scientifiche.
Queste riflessioni epistemologiche mettono in primo piano l’importanza delle teorie nell’ambito del pensiero
scientifico, ma sollevano anche il problema delle teorie ammissibili e di quelle non ammissibili in un discorso scientifico. Fin dai tempi di Galileo è apparso chiaro che non
tutte le teorie concepibili possono entrare a far parte della scienza: esistono infatti molti tipi di teorie – storiche,
estetiche, giuridiche, filosofiche, scientifiche – ed è evidente che queste ultime sono diverse dalle prime sia per
l’oggetto di cui parlano – le <cose> che costituiscono il
mondo naturale – sia per il modo in cui parlano di questo
oggetto. Fra le regole del metodo scientifico, infatti, ve n’è
una che è più fondamentale delle altre e che riguarda la
struttura concettuale delle ipotesi naturalistiche: poiché la
scienza è un sapere fondamentalmente empirico le teorie
che la compongono e i concetti su cui quelle teorie poggiano, devono necessariamente trovare fondamento nel
mondo che cade, direttamente o indirettamente, sotto i nostri sensi. Le idee e le entità che non hanno un riferimento preciso con la realtà sensibile non possono essere introdotti nel discorso scientifico; conseguentemente, ogni
teoria che contenga termini o concetti che non riescono a
stabilire un legame non ambiguo con il mondo empirico,
non ha titolo per entrare a far parte della scienza sperimentale*.
Questo punto è assolutamente fondamentale e conviene soffermarvisi per chiarirne la portata. Ha scritto Carl
Hempel, “un sistema teorico privo d’interpretazione empirica non è suscettibile di prova e non può quindi costituire una teoria concernente fenomeni empirici: dei suoi
termini e dei suoi concetti si dice che mancano di portata empirica”. Da questa affermazione si desume facilmente che affinché una teoria possa essere considerata scientifica è indispensabile che i termini e i concetti che la costituiscono siano interpretabili empiricamente, cioè siano
formulati in termini di operazioni inequivocabilmente
realizzabili. “Così – ha continuato Hempel – il criterio operativo per l’applicazione del termine ‘difterite’ potrebbe
essere formulato facendo riferimento ai vari sintomi della difterite: questi includerebbero non solo sintomi accertabili mediante l’operazione costituita dall’osservazione
diretta del paziente, bensì anche i risultati di analisi batteriologiche e simili, implicanti <operazioni> come l’impiego di microscopi e l’applicazione di tecniche della colorazione”.
* “Il metodo scientifico – ha scritto Raimo Tuomela – è liberale fino all’estremo per quel che riguarda la formazione delle teorie: è ragionevole permettere la presentazione di idee audaci ed anche improbabili ed è importante non sopprimere la creatività scientifica. (...)
Ma le teorie e le ipotesi devono essere controllabili (e falsificabili)
e questo requisito deve essere fatto valere con severità. (....) Se una
scienza non soddisfa il requisito della controllabilità, non si riproduce e sviluppa, ma s’irrigidisce e si trasforma in pseudoscienza”.
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Questo criterio metodologico descritto da Hempel –
chiamato principio della definizione operativa – è stato proposto dal fisico Percy W. Bridgman* come regola atta a
discriminare i concetti realmente scientifici da quei concetti pseudo-scientifici che creano pseudo-problemi nella ricerca scientifica**. Il criterio della definizione operativa proposto inizialmente per la fisica, si è poi dimostrato estremamente utile anche nelle scienze biomediche
dove ha rappresentato un importante elemento di chiarificazione che è servito ad eliminare molte implicazioni
<non scientifiche> e molti falsi problemi.
Alla luce di tutto ciò che si è detto fin qui si può ora affrontare il problema della distinzione della scienza dalla
pseudo-scienza.
Le riflessioni esposte finora dimostrano come il problema della distinzione della medicina scientifica dalle medicine pseudo-scientifiche rientri nel più vasto problema
della distinzione della scienza dalla pseudo-scienza. Tale
problema, che è di natura squisitamente filosofica, non può
essere risolto utilizzando i concetti interni alla medicina,
ma deve essere affrontato facendo ricorso agli strumenti
della riflessione epistemologica. Proprio perché la scienza è costituita essenzialmente da teorie, per giudicare dello stato di una disciplina non è sufficiente guardare soltanto ai fatti, cioè alle descrizioni dei fenomeni che vengono addotte a sostegno di questa o quella teoria, ma si devono valutare soprattutto le teorie che costituiscono quella disciplina.
Queste considerazioni rivelano tutta la loro importanza quando si deve affrontare il problema delle medicine
alternative. I cultori di queste, infatti, concentrano la loro attenzione sui fatti, cioè sugli effetti di queste pratiche
e ritengono che l’osservazione di qualche risultato terapeutico positivo possa rappresentare una prova sufficiente per
dimostrare la validità e la scientificità di un’intera dottrina. Essi, invece, trascurano sistematicamente l’aspetto
concettuale delle discipline che difendono e non si curano di appurare se i concetti teorici su cui queste si fonda-
no siano o non siano ammissibili entro un discorso scientifico rigoroso.
In genere, alle medicine alternative si possono muovere due critiche metodologiche fondamentali. La prima riguarda i dati di fatto che esse invocano in loro favore, la
seconda, invece, concerne i concetti teorici che costituiscono il nucleo centrale delle varie dottrine.
Per quanto concerne i dati portati come prova degli effetti terapeutici delle diverse medicine alternative, è necessario dire che i risultati sono molto spesso raccolti e presentati senza alcun rigore: gli eventi presi in considerazione riguardano sovente fenomeni soggettivi e, quando riguardano fenomeni obiettivi, sono descritti in modo sommario ed espressi in forma non quantitativa. Molti lavori sono puramente aneddotici e di frequente le sperimentazioni terapeutiche mancano di gruppi di controllo e non
sono accompagnate da un’analisi statistica dei risultati.
Infine, nell’interpretazione dei risultati i cultori delle medicine alternative affermano, senza alcuna prova indipendente, l’esistenza di rapporti di causa/effetto fra la
somministrazione di una terapia e il miglioramento di un
paziente. È importante a questo punto sottolineare come
molti dei lavori che vengono citati siano pubblicati su riviste che sono organi delle varie Comunità mediche alternative e che ospitano solo studi dedicati a queste ‘medicine’. Su tali riviste manca ogni controllo della comunità
medico-scientifica internazionale.
Alcuni studiosi accusano i critici delle medicine alternative di non voler accettare fatti nuovi che non sono ancora spiegabili in base alle conoscenze disponibili, e ritengono che il rifiuto delle pratiche mediche non ortodosse
sia il segno di un’inaccettabile chiusura mentale. In realtà,
la critica al modo in cui i fatti sono raccolti e descritti dalle medicine alternative non nega per nulla in via di principio la possibilità che manovre mediche non ortodosse siano seguite da qualche effetto benefico; essa costituisce soltanto un richiamo alle comuni regole della metodologia
scientifica e ricorda che coloro che vogliono essere considerati scienziati hanno il dovere di osservare e registrare i fenomeni in modo obiettivo e consensuale.
La seconda critica alle medicine alternative riguarda la
loro struttura teorica e prescinde dal fatto che gli effetti terapeutici vantati da coloro che praticano le varie medicine alternative siano o non siano reali. Questa critica è molto più radicale della precedente poiché, mentre le descrizioni dei fatti possono essere corrette e migliorate senza
alcun profondo cambiamento delle dottrine, un miglioramento della struttura concettuale di molte medicine alternative è possibile soltanto al prezzo di un loro profondo
e definitivo mutamento.
* “Il fisico – ha scritto Bridgman – per trattare con i significati delle parole che usa, ha ormai trovato una maniera abbastanza soddisfacente per i suoi scopi. (...) Questo metodo è stato chiamato <operativo> e consiste essenzialmente in questo, che per conoscere il significato di un termine dobbiamo poter descrivere ciò che facciamo quando lo usiamo. Con qualunque concetto noi non indichiamo
altro che una serie di operazioni”.
** Filippo Selvaggi ha dato questa descrizione del principio della
definizione operativa per la fisica: “Ogni concetto della fisica deve
poter essere definito mediante una serie di osservazioni e operazioni fisiche, almeno concettualmente possibili, ossia indicando un
procedimento sperimentale atto a rivelarlo ai nostri sensi. Enti e relazioni, che non siano rilevabili mediante esperienze, almeno ideali, non hanno senso fisico, non sono oggetto della fisica”. Questo principio è stato poi esteso alle scienze naturali in genere.
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Se si rileggono le affermazioni fatte negli ultimi anni dai
difensori delle medicine alternative si può costatare facilmente che questi molto spesso identificano la scientificità
delle medicine alternative con gli effetti curativi che queste pratiche eserciterebbero sui processi morbosi. Molti,
infatti, hanno sostenuto che la questione di queste ‘medicine’ si risolve nel problema della loro efficacia terapeutica: una volta accertato l’effetto curativo di una di queste pratiche mediche, questa diverrebbe, ipso facto, una medicina scientifica. L’argomento invocato dai cultori e dai
difensori delle medicine alternative è dunque il seguente:
“poiché la scienza è una conoscenza vera, fondata sui
fatti, quanto più numerosi saranno i fatti che sostengono
un’opinione tanto più scientifica sarà quell’opinione”.
Quindi, – essi continuano – “se la terapia X raccomandata dalla disciplina Y si dimostra efficace, ciò vuol dire che
i presupposti teorici della disciplina Y sono veri e che pertanto la disciplina Y deve essere considerata una disciplina scientifica”. Non occorre molto per accorgersi che
questo argomento è, in effetti, un classico errore logico;
esso, infatti, rappresenta un esempio tipico della cosiddetta ‘fallacia dell’affermazione del conseguente’.
Per rendere evidente la stortura del ragionamento dei difensori delle medicine alternative sarà sufficiente portare un esempio del loro modo di argomentare:
- Samuel Hahnemann ha affermato che le malattie sono
provocate dall’alterazione di una forza misteriosa – l’energia vitale – che pervade tutto l’organismo;
- Hahnemann ha affermato che in una certa specifica
malattia la somministrazione di un certo medicamento
estremamente diluito corregge l’alterazione dell’energia
vitale e provoca la guarigione dalla malattia;
- in un certo numero di pazienti affetti da quella specifica malattia la somministrazione di quel medicamento è stata seguita dalla guarigione;
- quindi quel medicamento è efficace nel curare quella malattia;
- quindi effettivamente quel medicamento corregge l’alterazione dell’energia vitale;
- quindi l’energia vitale effettivamente esiste.
A questo punto tutti possono vedere come gli argomenti di coloro che ritengono di poter provare la verità delle teorie delle medicine alternative sulla base dei loro effetti terapeutici siano fallaci. Come “la guarigione del
paziente non prova la correttezza della diagnosi”, così
l’osservazione di un effetto positivo dopo una manovra terapeutica, anche se venisse effettivamente dimostrato in
un numero adeguato di casi opportunamente randomizzati, può provare soltanto che quella manovra terapeutica è
efficace in una certa malattia ma non dice assolutamente
nulla sulla natura del processo morboso stesso e sui mec-
canismi che l’hanno provocato. Dall’effetto della penicillina sulla polmonite, infatti, non è in alcun modo possibile dedurre che la polmonite è provocata dal pneumococco, come dall’effetto della streptomicina sulla tubercolosi non è possibile dedurre che questa malattia è provocata dal bacillo di Koch.
I medici ‘alternativi’, invece, ritengono, con molta ingenuità, che i presunti effetti che essi descrivono dimostrino la verità delle loro teorie mediche: così, ad esempio, coloro che praticano l’agopuntura tradizionale cinese pensano che l’infissione di un ago in un certo punto modifichi davvero il flusso di ‘energia’ da un organo all’altro (ad
esempio, che la puntura del punto IT1, detto piccolo stagno, modifichi il passaggio dell’energia dal meridiano
cardiaco al meridiano dell’intestino tenue), e coloro che
praticano la medicina antroposofica ritengono veramente che nella pertosse la somministrazione di Pertudoron
Weleda e di Cuprum Aceticum D3 temperi l’azione del corpo astrale, che in questa malattia “resta attaccato al corpo provocando lo spasmo della glottide”. Chiunque voglia
riflettere sulle affermazioni contenute nei manuali delle medicine alternative può facilmente costatare come le argomentazioni siano svolte percorrendo un circolo vizioso: gli
effetti terapeutici vengono addotti come prova delle teorie e le teorie vengono poi addotte per spiegare gli effetti terapeutici.
La dimostrazione di un effetto terapeutico, invece, non
può in alcun modo costituire la prova di una dottrina medica. Affinché una teoria medica possa essere provata è
indispensabile che essa sia provabile, cioè che i concetti
e gli eventi di cui essa parla siano effettivamente sottoponibili ad autentici controlli empirici e possano essere demoliti sotto i colpi della critica sperimentale*.
Ora, mentre alcune delle nove medicine alternative dichiarate dalla FNOMCeO <atti medici> sono semplici pratiche empiriche, altre sono vere e proprie dottrine mediche basate su specifici presupposti fisiologici e patologici. L’agopuntura tradizionale cinese, l’omeopatia nelle
sue numerose varianti, l’omotossicologia, la medicina
ayurvedica, la medicina antroposofica sono tutte dottrine
fondate su concetti e su entità non controllabili operativa* A questo proposito Marcello Pera ha scritto: “Mi interessa piuttosto sottolineare il punto centrale in discussione: una teoria è giudicata scientifica e una pratica attendibile, solo se questa è figlia di
quella e quella rispetta il requisito dell’obiettività delle prove. (...)
Non è di alcun interesse, se non storico, sociologico o simile, sapere che la medicina cinese ha millenni di vita; anche la magia e l’astrologia li hanno avuti eppure sono state abbandonate a favore di
un’altra tradizione di ricerca. È invece di sommo interesse sapere se
questa medicina si proponga lo scopo di produrre asserzioni controllabili con prove rigorose e usi il metodo che ne consegue o piuttosto persegua lo scopo di associare una pratica o un trattamento del
corpo ad una filosofia della vita. Nel secondo caso dovremmo concludere che essa è pseudo-scientifica; nel primo che è una scienza
genuina”.
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mente, come la forza vitale, i miasmi, la psora, il corpo etereo, il corpo astrale, lo Yang e lo Yin, i meridiani, il prana, l’energia universale, ecc. Queste dottrine, quindi, non
potendo essere falsificate non possono entrare a far parte delle scienze empiriche. Nel loro stato attuale esse sono soltanto inestricabili pasticci linguistici derivati da
tradizioni popolari, da credenze fantastiche, da cattive
teorie metafisiche*.
Il Documento di Terni della FNOMCeO sembra ignorare tutta questa problematica epistemologica e con spensierata disinvoltura ha dichiarato <atti medici> dottrine e
pratiche totalmente prive di contenuto scientifico come l’omeopatia, la medicina ayurvedica, la medicina antroposofica e la medicina tradizionale cinese.
La medicina scientifica moderna si è costituita, attraverso un lungo e faticoso processo, come un’autentica scienza naturale ormai strettamente legata alla fisica, alla chimica e al pensiero biologico generale. I nomi di Vesalio,
di Harvey, di Morgagni, di Pasteur, di Koch, di Bernard,
di Liebig, di Ehrlich, di Banting, di Sherrington, di
Fleming, di Medawar, di Eccles, di Watson e Crick hanno segnato questo cammino. Ora questa medicina rischia
di venire mischiata e confusa con una congerie di teorie
fantastiche spesso contrastanti fra loro, e di generare così una pratica medica informe.
“Chi accetta facilmente una spiegazione – insegnava ai
suoi studenti Augusto Murri – è affetto dalla più terribile delle malattie dello spirito: la credulità”. Per questa ragione la discussione fra chi sostiene che la medicina deve rispettare le regole osservate da tutte le altre scienze empiriche e coloro che difendono le più svariate e fantastiche teorie mediche, incontra grandi difficoltà. Di fronte a
coloro che credono in questi sistemi teorici non resta,
quindi, che ricordare le parole famose di Immanuel Kant:
“Se di diversi uomini ciascuno ha il suo mondo proprio,
è da supporre che essi sognino. Su questa base se noi
consideriamo quei fabbricanti di castelli in aria, ciascuno
dei quali costruisce a sé un mondo del proprio pensiero e
lo abita tranquillamente escludendone tutti gli altri, (...) attenderemo con pazienza, date le contraddizioni delle loro visioni, che questi signori abbiano finito di sognare”.
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- Cassoli P. I guaritori. I protagonisti dell’altra medicina. Milano:
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* Alcuni esempi possono mostrare meglio di molti discorsi il tipo
di asserzioni che costituiscono le teorie di molte medicine alternative:
a) “Obbligandolo a trasformare una sostanza estranea, noi chiediamo all’organismo un lavoro; e così suscitiamo in lui reazioni che,
se la scelta del farmaco è corretta, avranno la possibilità di ristabilire l’armonia tra i suoi elementi costitutivi - corpo fisico, corpo eterico corpo astrale e Io - cioè di guarirlo” (Bott).
b) Le affezioni tumorali sono innegabilmente dovute ad una intensificazione dei processi di moltiplicazione. Nel cancro ci troviamo
in presenza di un processo lunare I scatenato che il II non è capace
di controllare o limitare. (...) Le leucemie sono processi simili, ma
includono in più un fattore Saturno II (Bott).
c) “Le piante toniche sono atte a ricostituire i tessuti, ad accrescere la vitalità, ad aumentare i fluidi vitali” (Lad e Frawley).
d) “Secondo l’ayurveda le piante possiedono l’energia che costituisce l’essenza della mente e del sistema nervoso, che è l’ambrosia dell’immortalità e che costituisce l’essenza del sistema nervoso, il
principio per cui assimiliamo i cibi, le impressioni e le esperienze”
(Lad e Frawley).
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Manoscritto ricevuto il 25.8.2003; accettato il 28.4.2004.
Per la corrispondenza:
Prof. Giovanni Federspil, Cattedra di Medicina Interna, Clinica Medica 3, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università degli
Studi, Via Giustiniani 2, 35128 Padova. E-mail: [email protected]
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